#meno male che ci sono loro
Explore tagged Tumblr posts
Text
ho 29 anni e mi ritengo una persona abituata alla morte. o almeno penso di esserla mentre guardo fuori dalla finestra ingnorando il telefono che mi suona in cuffia. se fossimo in quel film con tutte le emozioni probabilmente ora sarebbero tutte chiuse sottochiave mentre in plancia di comando ci sarebbe solo l'apatia. non ho ancora ben capito quale emozione provo nei confronti della morte, se paura, tristezza o rabbia. in questo momento provo apatia. poi mi fermo a rivedere le foto di Leo e mi dico che a volte qualcosa di buono questa famiglia del cazzo lo sa fare. Eri un bravo micio, ciecato completamente e quando ti abbiamo trovato in mezzo a quella boscaglia era un miracolo se il tuo cuore ancora continuasse a battere. eppure oh possiamo girarci intorno finché vogliamo ma quando dicono che l'amore è prendersi cura hanno ragione. sei arrivato che eri molto più morto che vivo e probabilmente te ne sei andato nello stesso modo, con quella stessa immensa incredibile voglia di rimanere attaccato alla vita. tutto ciò che su sull'amore l'ho imparato dagli animali non dalle persone. e ti giuro che abbiamo fatto davvero tutto il possibile ma a volte non è sufficiente cazzo, non basta, perché a volte i miracoli succedono ma non sono eterni e mi dispiace così tanto.... eri bellissimo anche se eri un gattino disastrato e adoravo giocare con te prima di andare a letto perché volevi saltarmi addosso anche se non ci vedevi un cazzo. eppure tu vedevi molto più di quanto si possa fare, anche se non avevi più gli occhi. un micetto con la 104 ti dicevo sempre.
mi sono sempre ritenuta una persona abituata alla morte.
soprattutto perché quando lavori con gli animali ne vedi tanti andarsene. la loro vita è breve, un soffio e forse tutto ciò che possiamo fare e voler loro bene e fare in modo che questa esistenza gli faccia meno male possibile. e mi fa sorridere questa cosa che non ci vedevi una minchia ma sapevi perfettamente dover'ero sempre, in ogni momento. e che quando mi sentivi rientrare a casa scendevi le scale. a raccontarla così sembra na cosa impossibile ma vi giuro che lui saliva sul divano, scendeva le scale, si arrampicava sul tetto.
e adesso che non ci sei più mi sento un pochino persa. sei solo un gatto sì, però sei uno di quegli animali che ti lasciano qualcosa quando incrociano la tua esistenza.
ah comunque non è vero che sono abituata alla morte, perché a quella non ti abitui mai.
ti porto nel cuore, ovunque io vada.
59 notes
·
View notes
Text
L'HA DETTO VERAMENTE
Non voglio somigliare a quei blogger che mettono il succo della storia dopo sei pagine per trattenerti a lungo sul loro sito. Riporto subito l'assurda frase che mi ha lasciato di stucco. È una dichiarazione attribuita a Salvini dopo l'attentato a Trump: «Spero che questo serva a qualcuno che semina parole di odio contro le destre, i fascisti, i razzisti».
Ho visto che tanta gente ne parlava sui social network.
Ma all'inizio ho dubitato.
Sì, cara persona immaginaria con una vasta e inspiegabile conoscenza dei miei post, hai perfettamente ragione: lo scetticismo mi è capitato in altre occasioni e ne ho anche discusso, ma questa volta ho dubitato con veemenza inaudita, credimi. Però non voglio farti preoccupare: non nutro speranze sul fatto che Salvini abbia qualcosa di umano. Ho avuto dubbi per l'incredibile stupidità della frase pronunciata dal ministro, che rappresenta una confessione in piena regola, un'autodenuncia senza filtri, senza espressioni edulcorate, senza alcun tentativo di dissimulazione.
Sì, ho sopravvalutato Salvini. Ho pensato a fake news ben confezionate.
E allora ho cercato conferme sul web. Ho trovato notizie di agenzia: Ansa, Adnkronos. E c'erano quelle esatte parole che poi ho ritrovato in tanti articoli. Sul Manifesto, tanto per cominciare. Ma già immagino l'obiezione di tanta gente: sono comunisti, ce l'hanno con Salvini, farebbero qualsiasi cosa per metterlo in cattiva luce. E allora le mie ricerche non si sono fermate.
Ho trovato un riferimento a quelle parole in una vignetta di Makkox. Ma anche qui immagino le proteste: è la sinistra radical chic di Propaganda Live, non è affidabile.
Le stesse considerazioni dubbiose possono essere rivolte a Fanpage, in teoria.
Ma ne parla anche il Sole24Ore. E qui la sinistra e il comunismo mi sembrano distanti anni luce. Il Sole24Ore riporta stralci di un piccolo monologo di Salvini. Ci sono le affermazioni incriminate.
Poi ho trovato filmati diffusi su Twitter.
Pensate che io mi sia fidato dei filmati? Certo che no. I video che circolavano sul web sembravano riferiti al TG1, il principale megafono governativo dopo Bruno Vespa. E allora mi sono detto: «Mi resta una sola cosa da fare». Ho pensato a una mossa estrema, pericolosa, temeraria, autolesionista: guardare il TG1 su RaiPlay.
Le date dei tweet mi hanno subito indirizzato sulla strada giusta: l'edizione del mattino. Meno male. Guardare più di un telegiornale di destra è troppo per il mio fragile equilibrio psicofisico. Ho trovato la fonte con un solo tentativo. 14 luglio 2024: edizione delle ore 7.00.
Potete verificare anche voi. Non si tratta di un deepfake, anche perché Salvini non ha smentito. Non ha mica detto: «Al Tg1 c'era un impostore».
Non è l'opera di sintetizzatore vocale basato su un'intelligenza artificiale.
Salvini, raggiunto al telefono, ha detto realmente quelle cose, con seriosa gravità, con placida sicurezza, con atteggiamento da saggio della montagna. Senza rendersi conto di nulla. Senza intravedere l'inquietante corollario delle sue parole.
Bisogna accettarlo. È il paese in cui viviamo. È Salvini. È la realtà.
[L'Ideota]
39 notes
·
View notes
Text
Lo lascio: è deciso, ormai
"E tu perché non parli… una parola sospenderebbe il mio rancore"
(da “Luna diamante” Mina-Fossati)
È ufficiale: m'ha proprio rotto le palle. Mi controlla, non mi fa respirare. Poi, 'il Signore' vuole essere servito e riverito. Dentro casa non m'aiuta mai. E comunque non siamo fatti per stare insieme. Forse nessuno lo è, in un matrimonio. Perché noi tutti abbiamo ciascuno la propria visione diversa della vita, siamo in disaccordo su ciò che vorremmo fare, chi frequentare. Quello che piace a me non piace a lui e viceversa. Mi esaspera. Sempre.
Mi provoca, mi stuzzica i nervi. Oddio: non lo sopporto più, non lo sopportooooo! Cazzo! È un continuo logorio, con lui. Una ininterrotta tensione psicologica: non lo reggo proprio più. Mi sono assolutamente rotta il cazzo: e bastaaaa, mannaggia la puttanaaaaa! Non mi sente mai, se gli dico le cose: s'incazza e smadonna. Cafone. Non vuole 'le briglie', come dice lui. Ma allora che cazzo m'hai sposata a fare? Ai figli penso io, alla casa io, le bollette io, la spesa io e vaffanculooooo, ‘sto stronzo del cazzo…
Eccolo che torna dal lavoro. Sono le nove passate. Sono incazzata nera e pronta a litigare, stavolta di brutto. Spero che i bambini in cameretta non ci sentano. Per fortuna la loro camera è distante dalla cucina e sicuro adesso guardano i cartoni in tv. Mentre sto facendo quello che devo fare, gli volto le spalle per non dargli una padellata in testa. Non subito, almeno. Lui allora mi viene dietro, mi afferra una chiappa e me la pizzica. Mi fa un cazzo di male: domani ci sarà il livido. Io sto per infilargli un coltello molto affilato nel fegato, ma il porco lesto mi infila una mano nelle mutande, si insinua nel solco e già mi tremano le gambe. Mi conosce come il suo cazzo, 'sto bastardo.
Subito a seguire, senza riguardi infila il suo dito medio tutto su per il mio culo! Che figlio di puttana: dovrei girarmi incazzata e sputargli in faccia… Ma il cornuto sa che sono una vera mignotta, che mi piace farmi scopare e dare il culo. Che a tradimento e nei momenti meno adatti me la gusto ancora di più. Dovrei divincolarmi. Ma invece allargo di più le gambe: mi inarco, alzo le chiappe e lo agevolo. Non posso farne a meno. Sfila il dito e se lo passa al naso, aspirando. Cazzo mi fai: il tassello? Sono una forma di pecorino? Un'anguria? Non riesco a formulare una frase che lui mi tira a sé, mi blocca le braccia, mi toglie la camicetta…
"cazzo fai? Sei scemo? Ci sono i figli, di là…"
"zitta, troiazza: andiamo in camera, che ti devo scopare. Devo sborrarti dentro. Mi urge svuotarmi e per farlo io voglio solo te…"
"mavaffanculo: chi cazzo pensi di essere? Non mi puoi trattare così… oooooh….. ma mi senti?"
Intanto cammino anch'io a passo svelto verso la camera. Chiusa la porta a chiave, non mi fa dire una parola: preme la mia testa verso il basso, mi fa inginocchiare, si sbottona la patta e mi ficca l'uccello in bocca. Lo succhio avida, perché non ne posso più dalla voglia. Devo farlo sborrare una prima volta e quindi lo faccio arrivare fino in fondo. Voglio ingoiarlo, devo sentire il sapore del suo glande mentre si strofina sulla lingua e poi giù, in gola. Lo pompo. Sempre più veloce. Lo desidero: è mio marito. Me lo scopo da anni con gran gusto. Ne pretendo il seme e adoro il suo sapore.
Ricordo le prime volte che me lo buttava a forza in bocca, mi veniva da vomitare. Ero solo una ragazzetta in difficoltà, alle prime armi. Ma lui:
“Non mi frega una mazza se non ci riesci. Spalanca bene la tua boccuccia di rosa, rilassa la gola, pompami e non farmi sentire i denti. Devi imparare a succhiarmelo e prendermelo tutto fino in fondo, perché sai quanta mia sborra dovrai ingoiare se ci sposiamo…”
Più lo odio, più sono sul punto di lasciarlo e più provo piacere quando non considera affatto che abbia messo il broncio, che sia incazzata nera con lui e che stia sfaccendando per casa. Mi prende, mi gira come una trottola, mi sfila gli slip e mi schiaffa il suo cazzone dritto nella fica o - molto meglio quando lo fa - nel culo. Mmmmmh... Protesto solo perché devo farlo formalmente. Ma dentro di me godo come una pazza. Lo adoro. Quanto mi piace essere sfondata! Occasionalmente, se magari mi gira da troia, lo faccio restare senza fiato, quando con sua gran sorpresa scopre che non porto le mutande: m'alza la gonna, infila la mano e trova direttamente il pelo e le labbra o lo sfintere indifeso. Impazzisce e diventa un toro infoiato.
"sei una vera e bellissima puttana, ti adoro! Non mi resistere, sai?"
"ma che dici: ho le occhiaie, i capelli di stoppa e puzzo di fritto e di sudore come una capra…"
"non fa nulla: così nature e un po’ dimessa mi piaci ancora di più. Mi fai arrapare e non finirei mai di scoparti e incularti… amo l'odore del tuo solco tra le natiche quando l'allarghi per fartelo leccare e poi penetrare. Che vera zoccola sei!"
"e allora dai, cazzo di impotente col pisello moscio. Su: fottimi. Che aspetti?"
Quando vuole il culo, che è il più delle volte, me lo spacca letteralmente. Mi fa molto male. Ma più mi fa soffrire, più io divarico le chiappe per accoglierlo tutto: amo servirlo, farlo godere. Sentirlo sborrare è il paradiso, per la mia mente. Sento che è quello il momento in cui mi desidera intensamente. E questa cosa per me è una vera droga dell'anima. Gli perdono tutto, quando viene dentro di me.
Ormai capisco quando sta per venire e allora, con miracoli di contorsionismo, allungo il braccio sotto il ventre e attraverso le mie gambe gli accarezzo dolcemente le palle, gliele tengo mentre mi sfonda e gliele strizzo un po’. Poi con la mano a coppa sui suoi coglioni sento bene le contrazioni di quando mi eiacula nello sfintere e mi allargo, mi apro, controspingo e sono tutta solo per lui.
Lo faccio svuotare completamente e riposare dentro di me. A lungo quanto vuole. Allora mi si adagia sopra a peso morto. Mi sovrasta e mi ricopre tutta; fatico a respirare: lui è alto 1,90 per un quintale di maschio puro. Mentre io sono 1,55 e porto la taglia quaranta! Ma sono roba sua e del mio corpo, della mia anima può fare ciò che vuole. Mi piace, adoro sentirmi impotente e immobilizzata sotto a un uomo. Se è mio marito è meglio.
Stiamo lì, io e lui. Io a godere col suo cazzo ben piantato dentro di me a pulsare. È sudato fradicio. Me lo leccherei dappertutto. Mentre riposa, lui con la sua mano sotto al mio bacino intanto mi accarezza e sgrilletta la fregna, le sue labbra mi percorrono la schiena e baciano tutto il mio collo; m'assapora. Mi lecca. È tenerissimo. Gli piaccio, è evidente. Vengo, al solo pensiero di lui dentro di me, anche immobile. Mi pizzica forte i capezzoli, mi fa i lividi sulle zinne, 'sto testa di gran cazzo.
“Ahiaaaaa…. In culo a quella vera troia di tua madre, perché lo sai che batte, vero? Stronzooo: mi fai maleee! (Continua, ti prego: magari accarezzami le mammelle a lungo, un po’ di dolcezza, eccheccazzo!)"
Mi mordicchia l'orecchio, poi di nuovo mi lecca tutto il collo, ci soffia sopra delicatamente e mi fa il solletico. Gioca. Cerca l'intimità, con me. Rido di gioia. È il mio uomo. Per questa volta magari non lo lascio. Apre bocca d'improvviso, penso che mi confermerà che mi ama, che non può vivere senza di me e invece mi dice: “che cazzo m'hai preparato per cena, troia?” e allora mi viene proprio voglia di tagliargli l'uccello di netto! Una sera di queste lo faccio, vedi tu…
RDA
22 notes
·
View notes
Text
" «Con la cultura non si mangia» ha dichiarato […] Tremonti il 14 ottobre 2010. Poi, non contento, ha aggiunto: «Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia». Che umorista. Che statista. Meno male che c’è gente come lui, che pensa ai sacrosanti danè. E infatti, con assoluta coerenza, Tremonti ha tagliato un miliardo e mezzo di euro alle università e otto miliardi alla scuola di primo e secondo livello, per non parlare del Fus, il Fondo unico per lo spettacolo e altre inutili istituzioni consimili. Meno male. Sennò, signora mia, dove saremmo andati a finire?
In questi ultimi anni, però, l’ex socialista Tremonti non è stato il solo uomo politico a pronunciarsi sui rapporti tra cultura ed economia. Per esempio, l’ex ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha sostenuto che per i laureati non c’è mercato e che la colpa della disoccupazione giovanile è dei genitori che vogliono i figli dottori invece che artigiani. Sapesse, contessa… E il filosofo estetico Stefano Zecchi, in servizio permanente effettivo nel centrodestra, ha chiuso in bellezza, come del resto gli compete per questioni professionali: ha detto che in Italia i laureati sono troppi. Insomma, non c’è dubbio che la destra italiana abbia sposato la cultura della non cultura e (chissà?) magari già immagina un ritorno al tempo dell'imperatore Costantino, quando la mobilità sociale fu bloccata per legge e ai figli era concesso fare solo il lavoro dei padri. (Non lo sapeva, professor Sacconi? Potrebbe essere un’idea…) E la sinistra o come diavolo si chiama adesso? Parole, parole, parole. Non c’è uno dei suoi esponenti che, dal governo o dall'opposizione, non abbia fatto intensi e pomposi proclami sull'importanza della cultura, dell'innovazione, dell'istruzione, della formazione, della ricerca e via di questo passo, ma poi, stringi stringi, non ce n’è stato uno (be’, non esageriamo: magari qualcuno c’è stato…) che non abbia tagliato i fondi alla cultura, all'innovazione, all'istruzione, alla formazione, alla ricerca e via di questo passo. Per esempio, nel programma di governo dell'Unione per il 2006 si diceva: «Il nostro Paese possiede un’inestimabile ricchezza culturale che in una società postindustriale può diventare la fonte primaria di una crescita sociale ed economica diffusa. La cultura è un fattore fondamentale di coesione e di integrazione sociale. Le attività culturali stimolano l’economia e le attività produttive: il loro indotto aumenta gli scambi, il reddito, l’occupazione. Un indotto che, per qualità e dimensioni, non è conseguibile con altre attività: la cultura è una fonte unica e irripetibile di sviluppo economico». Magnifico, no? Poi l’Unione (o come diavolo si chiamava allora) vinse le elezioni e andò al governo. La prima legge finanziaria, quella per il 2007, tagliò di trecento milioni i fondi per le università. Bel colpo. Ci furono minacce di dimissioni del ministro per l’Università e la Ricerca, Fabio Mussi. Ma le minacce non servirono. Tant’è che, nella successiva legge di bilancio, furono sottratti altri trenta milioni dal capitolo università a favore… degli autotrasportatori. E inoltre, come scrivono Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi, nel 2006 con il governo Prodi «c’è stato un calo del trenta per cento circa dei finanziamenti, cosicché il già non generoso sostegno alla ricerca di base è diminuito, da circa centotrenta a poco più di ottanta milioni di euro, proprio nel periodo in cui al governo si è insediato lo schieramento politico che, almeno a parole, ha sempre manifestato un grande interesse per la ricerca». Certo, dopo quanto avevano scritto nel programma, non sarebbe stato chic e «progressista» avere la faccia tosta di dire che bisognava sottrarre risorse alla scuola e all'università, e allora non l’hanno detto. Però l’hanno fatto, eccome. "
Bruno Arpaia e Pietro Greco, La cultura si mangia, Guanda (collana Le Fenici Rosse), 2013¹ [Libro elettronico]
#Bruno Arpaia#Pietro Greco#La cultura si mangia#saggistica#intellettuali italiani#economia#Giulio Tremonti#industria culturale#scritti saggistici#produzione creativa#libri#Italia contemporanea#scuola#ricerca scientifica#educazione#economia della conoscenza#artigianato#formazione#Maurizio Sacconi#Stefano Zecchi#centrodestra#centrosinistra#Fabio Mussi#Francesco Sylos Labini#Stefano Zapperi#Romano Prodi#Fondo unico per lo spettacolo#Divina Commedia#lavoro#società italiana
19 notes
·
View notes
Text
Indignatevi per i vivi.
Trent’anni senza vederli
di Fabrizio Tesseri
Facile indignarsi per i morti. Al massimo dura fino al funerale, poi tutto come prima.
Bisognerebbe indignarsi per i vivi.
Ma noi non li vediamo, i vivi. Letteralmente.
A volte non li vediamo al punto da travolgerli di notte sulle strade di campagna, scaraventandoli nelle scoline con le loro biciclette, quando va bene. Quando li vediamo è perché indossano quei gilet catarifrangenti che noi abbiamo in macchina in caso di incidente. Quando li vediamo è, appunto, un caso, un incidente.
Però non è che li abbiamo rimossi, propio non li abbiamo mai considerati.
Eppure sono decenni che sono qui, almeno tre decenni. Trent'anni fa, per esempio, alcuni singalesi e indiani, molto giovani, erano ospitati in un piccolo hotel fuori mano, trasformato da allora in una sorta di residenza per stranieri. È in campagna, ma era appiccicato ad un paio di grandi industrie, allora.
Da anni, al posto della più grande, la Goodyear, è rimasto un rudere e, con ogni probabilità, amianto e altri rifiuti sepolti sotto terra e sotto una memoria labile che ha cancellato i morti e i disoccupati.
È rimasta la fabbrica di alluminio, la sola piscina da 25 metri sul territorio e quel vecchio hotel malandato.
Beh, trent'anni fa, un misto di delinquenti e fascistelli (si lo so, è ridondante, sono sinonimi) andarono a picchiare i rifugiati in quel vecchio alberghetto. Per la verità, le presero per bene.
Ci fu tensione, venne organizzata una manifestazione di solidarietà, la polizia schierata in forze manco fosse un derby di quella che era la serie D del tempo, riuscì a picchiare chi manifestava solidarietà e il risultato fu che tutti ci distraemmo. Quasi tutti.
Alcuni da anni seguono e denunciano le condizioni dei migranti nella Pianura Pontina, su tutti Marco Omizzolo.
La maggior parte di noi però, semplicemente, non li ha mai visti.
Eppure sono tanti, lavorano nelle serre, nelle campagne, quasi tutti maschi, dormono in vecchie case o stalle, quando va bene. A decine, tutti insieme.
Qualcuno però ha fatto il salto sociale e ha aperto un negozietto oppure è stato fortunato e non solo è sopravvissuto, ma ha trovato anche un buon datore di lavoro, non un padrone, e ha messo su famiglia.
E allora vivono per lo più nei centri più o meno storici e ci sono i ragazzi nelle nostre scuole e per la quasi totalità dei nostri figli sono loro compagni, senza aggettivi o caratterizzazioni. Loro li vedono.
Noi queste famiglie, non gli altri, le vediamo solo perché vivono accanto a noi. Più colorati nei vestiti, odori diversi, magari più confusione, e in alcuni quartieri quelle donne e quegli uomini arrivati da lontano sono i soli a parlare con i "nostri" vecchi, soli dietro le persiane accostate al sole. Sono gli unici che si affacciano a vedere come mai la signora oggi non si è vista e magari sta male e ha bisogno.
Però, gli altri non li vediamo.
Ma vediamo il prodotto della loro esistenza.
Vediamo i prezzi della frutta e verdura in offerta sui banchi dei supermercati. Compriamo contenti il Sottocosto. Ammiriamo la villa e la fuoriserie dei loro Padroni.
Questi, spesso ma non sempre, hanno cognomi tronchi, che finiscono per enne, si tratta di famiglie che hanno avuto la terra nel ventennio, pezzi di famiglie del nord smembrate e portate a colonizzare la terra redenta. Coloni. Ma di cosa? Qui ci vivevano i Volsci, forse anche avanguardie di Etruschi e i Romani, di sicuro, che hanno lasciato il loro segno e la Regina Viarum. Coloni di cosa, dunque?
Gente che ha conosciuto la povertà, la fame, la guerra, la malaria, i lutti, la fatica indicibile.
Uno si aspetterebbe che se uno ha vissuto questo, mai farebbe vivere lo stesso o di peggio ad altri esseri umani e invece...ma allora, come è possibile? Perché?
Forse perché abbiamo dimenticato. Forse perché negli ultimi trent'anni abbiamo buttato nell'indifferenziato il concetto di comunità.
Abbiamo smesso di vedere l'altro ma solo quello che l'altro ha. E abbiamo voluto arricchirci o almeno illuderci di farlo. Abbiamo smesso di dare valore e iniziato a dare un prezzo, a tutto.
E quando dai un prezzo a qualsiasi cosa vuol dire che sei in competizione e la competizione porta a voler prevalere e finisce che bari pure con te stesso quando fai i solitari.
E tutti siamo contenti di comprare le zucchine a 0,99 euro al chilo e il Padrone compra un altro ettaro e abbassa la paga da 4,50 euro l'ora a 4 euro, preserva il margine di profitto, la grande distribuzione apre nuovi scintillanti ipermercati, noi oltre le zucchine compriamo i pomodori maturi, si fa per dire, a marzo.
È una magia!
Qualcosa di inspiegabile. Qualcosa di invisibile.
Tranne che ogni tanto.
Quando sotto una macchina non finisce una volpe ma un ventenne troppo stanco da scordare il gilet catarifrangente.
Tranne che ogni tanto, per un incidente sul lavoro o una rissa tra disperati.
Ma dura poco, meno della pubblicità tra il TG e i Talk Show della sera.
C'è il volantino delle offerte nella cassetta postale, sabato si fa spesa.
29 notes
·
View notes
Text
Ho bisogno di cambiare. Forse questa è l'unica cosa che so al momento. E' tornato il buio, è tornato prepotentemente, come non mai e non so come affrontarlo. Sinceramente non so cosa sia andato storto nella mia vita, in quale momento o in quali momenti mi sono perso. Non è la prima volta che mi accade, ho avuto i miei periodi no ma non sono mai stati così visibili, esposti al mondo. C'è un mondo di rabbia dentro me che ho sempre saputo gestire ma ultimamente no, basta veramente un cazzo e come una bomba sono pronto ad esplodere. Questo mi fa tremendamente paura, anche perché non importa chi ci sia dall'altro lato e si ritroverà a beccarsi tutto il mio odio. Odio, odio per cosa? Questo ancora devo capirlo. Nella mia vita ho sofferto si, come tutti e meno di molti ma questo non può e non dovrebbe giustificare nulla. Sono bloccato, non riesco a vivere, e quando poi lo faccio e torno alla normalità è sempre peggio, ogni volta fa un po' più male. Forse la parte peggiore è vivere quegli attimi di felicità che mi mancano perché sono un ingordo, ho bisogno di sentirmi pieno, a volte anche un po' apprezzato ma allo stesso tempo non sono capace di gestirlo. Ho imparato che non sono mai contento di nulla, non mi basta mai e quindi come si fa? Come posso sopraffare questo mio modo di essere? Sono sempre in conflitto con me stesso, come se ci fossero due personalità che a volte convivono nello stesso momento e questo crea un conflitto enorme, vado in tilt. Spesso penso che l'unica soluzione sia quella di isolarmi, di mandare tutti via, le persone sono sempre state bene senza di me, possono continuare a farlo per il resto della loro vita. Ma della mia che ne sarà, deve davvero finire così? Deve essere davvero "un solo attimo di beatitudine può forse colmare una vita intera?". Non sono pronto a questo, non sono pronto a vivere un futuro misero fatto di solitudine, ne ho già vissuta tanta, ad un certo punto deve arrivare il mio momento no? Forse il mio momento è già arrivato e l'ho perso? Ed ora che si fa? Come supero tutta la tristezza che sento in ogni centimetro della mia pelle? Tutta questa tristezza che a volte non ha fatto parte della mia vita per alcuni attimi. Ci si abitua mai a stare male? Dobbiamo davvero vivere una vita di merda quando potremmo essere felici? Non lo so, ho perso il libretto delle istruzioni di questa vita. Ho perso tanto e sto continuando a perdere, sto continuando a perdermi. Aspetto un po' di luce in questa oscurità, una mano che forse mi tiri su anche se so che dipende tutto da me. Da me, appunto, questo è il problema più grande. Ho sempre provato a fare tutto da solo nella mia vita e questo è il risultato, un "uomo" a pezzi che distrugge tutto ciò che tocca. In fondo volevo solo una vita, una famiglia, una casa e dei figli, ed invece eccomi qui, io e i miei demoni a pensare su come farla finita. Ho bisogno di cambiare, ma per cambiare devo cambiare me, non so se ci riuscirò.
25 notes
·
View notes
Note
Ciao Kon, non so bene perché sto scrivendo a te questa cosa ma so che sei un medico e sembra che ami il tuo lavoro.
Studio medicina, sto finendo il primo anno e mi trovo in un brutto periodo da un paio di mesi ormai. Mi sono immatricolata in ritardo (fine primo semestre) e di conseguenza ho cercato di recuperare il più possibile ma ho iniziato fin da subito a stare male, avere sempre ansia e un’angoscia infinita. Gli esami vanno bene, ma io continuo a stare male. Medicina è quello che ho sempre voluto fare, anche se tutti mi hanno sempre messo in guardia sulla difficoltà di questo percorso e la “scarsa salute mentale” di cui spesso godono le persone che scelgono questa strada. Ho paura che sia sempre peggio, che il primo anno sia solo un assaggio di quello che sarà poi. Ho un’altra laurea alle spalle e un po’ di esperienza in un lavoro che non mi piace del tutto, e c’è questo pensiero che si ingigantisce sempre di più: mollare medicina, mollare quello che mi sta facendo stare male e dedicarmi a quest’altro lavoro che sì, non mi piace al 100%, ma forse mi permetterebbe di condurre una vita più tranquilla e con meno ansie. Il dubbio quindi è: continuare a provare a fare quello che ho sempre sognato di fare pur stando male, oppure rassegnarsi e ripiegare su altro pur dovendo convivere con la frustrazione e il rimpianto/rimorso di aver archiviato per sempre il sogno nel cassetto?
Che brutta cosa i sogni nel cassetto e sai perché?
Credi di averceli messi tu ma in realtà ci sono stati messi da un'altra persona, una persona che è morta innumerevoli volte e tutte le volte è rinata diversa, con un nuovo modo di guardare alla vita.
Io volevo fare l'entomologo, poi l'insegnante, dopo il ninja e infine il cecchino e invece mi trovo a fare una cosa che non avrei mai sognato.
C'era un sogno più valido di altri? Ogni sogno è stato valido finché è stato sognato nel lì e nell'allora ma il qui e ora non ne ha bisogno perché i sogni proiettati nel futuro guidano contromano e si schiantano contro la persona diversa che saremo.
Vuoi un consiglio per fare una scelta?
Ma non ne hai bisogno... tu la scelta giusta l'hai già fatta, perché quella sbagliata è la scelta che non farai.
L'attimo che decidi non è un salto nel vuoto di un destino fumoso che ti attende ma la porzione di quel cammino che in quel momento era adatto al tuo piede e al tuo passo.
Ti sembrano farraginose frasi motivazionali?
Ma la vita non è sacrificio e lotta... questo tipo di narrazione dannunziana è portata avanti da burattinai che ti vendono scarpe scadenti e poi ti costringono a danzare alla loro musica per fartele consumare.
Io provo pietà per la sofferenza dell'eroe che corona il sogno di una vita e mi chiedo sempre cos'abbia dovuto dimostrare e a chi.
La sofferenza avverte che non è il momento del cambiamento e quindi adesso ti chiedo:
Dov'è la persona che aveva sognato di diventare una dottoressa?
Quanti cucchiai hai a disposizione per vivere il resto della tua vita?
Alla fine, qual è il nome della persona a cui devi tutto ciò?
Un abbraccio e se vuoi chiacchierare in differita (e per differita intendo audiopipponi infiniti) mi puoi trovare su telegram come kon_igi
<3
25 notes
·
View notes
Text
Ogni martedì ho il corso di inglese, che finisce alle 13 e sono distante circa 15 minuti dal Polo dove sono i miei colleghi.
Così un paio di martedì fa ho chiesto loro se mi potessero aspettare per il pranzo, sarei arrivata per le 13.15 più o meno e mi hanno detto di no perché volevano mangiare prima per colpa della fila alla mensa.
Va bene, capisco, nessun problema.
Invece l’altro giorno era mercoledì, non avevo alcun problema di orario, esco dalla biblioteca per pranzare alle 13 coi miei colleghi e mi dicono che stanno aspettando una persona, che finisce la lezione alle 13.30.
Me non mi hanno aspettata ma questa persona sì, mi sa devo cambiare compagnia.
Ovviamente non ho fatto notare questa cosa ai miei colleghi e me la sono sono tenuta per me, però ci sono rimasta male.
Chiunque incontri riesce a ferirmi volontariamente o involontariamente.
Non è giusto.
#pensieri#frasi#frasi tumblr#frasi belle#thought#anima#frasi italiane#art#solitudine#rabbia#frasi rabbia
15 notes
·
View notes
Text
“Ma tu cancelli le persone dalla tua vita così, senza dare una spiegazione?”
Si.
La risposta è un semplicissimo e freddissimo “Si”.
Perché se le cancello vuol dire che loro, prima, hanno cancellato me.
Con la cattiveria, con la falsità, con l’ipocrisia, con il falso perbenismo, con le lame conficcate tra le scapole della fiducia.
Perché ho un carattere strano, è vero, ma non riserva sorprese: se amo, lo dimostro, se disprezzo anche.
Può piacere o meno, ma è pulito.
Con me non ci si sporca.
Non tradisco. Non lo so fare, non voglio imparare a farlo.
E non perché sono santa tra i peccatori.
Non tradisco perché mi rispetto: dopo aver tradito qualcuno, che sia un amore o un amico o una semplice conoscenza, smetti di essere un essere umano e il solo pensiero mi fa venire la nausea.
Non perdono chi mi tradisce.
Non lo odio.
Ma lo sposto nell’oblìo della mia vita: non esiste, non fa male, diventa suppellettile inutile destinato alla discarica del passato.
Per e con le persone che amo io combatto, mi arrabbio, cerco confronti, assillo, annullo l’orgoglio, stringo la presa...a volte anche troppo...rispetto, ma non mollo.
Non ho mai imposto la mia presenza, ma ho preteso coerenza da chi voleva condividere il mio viaggio.
Io cancello senza spiegazioni, è vero: lo faccio nella vita quando l’indifferenza lascia spazio al disgusto.
E lo faccio sui social che per me sono solo un mezzo e non l’essenziale.
La critica se è costruttiva diventa acqua tra le dune arse della superficialità.
La critica diventa fumo tra le parole vuote di chi non guarda mai in faccia nessuno, nemmeno se stesso.
Ho imparato che il tempo è più caro dei diamanti, ed anche il silenzio ha un potere che prima non conoscevo: mi concedo il lusso di viverli, non di buttarli via con chi attribuisce un prezzo a tutto, ma non da valore a niente.
Sono considerazioni di un giorno di pioggia, quando tutto sembra surreale e ti accorgi di essere ormai dipendente solo dall’essenziale...
...come il cuore, come il mare.
Natascja Di Berardino
11 notes
·
View notes
Text
Ci sono amicizie che, per un tempo, sembrano l’universo intero. Persone che entrano nella nostra vita con un impatto devastante, come stelle cadenti che illuminano ogni angolo della nostra esistenza. Con loro, condividiamo segreti, pensieri, speranze e dolori, intrecciando le nostre vite come se nulla potesse mai scioglierle. Ci convinciamo che quei legami, così profondi e preziosi, dureranno per sempre. E poi, un giorno, senza un motivo chiaro, senza un segnale evidente, le strade iniziano a divergere. Passano giorni, mesi, anni, e quella presenza fondamentale si allontana, fino a diventare solo un’ombra lontana.
All'inizio, fa male. Un dolore acuto, come una ferita aperta che non sembra voler guarire. Ogni luogo sembra risuonare della loro assenza, ogni oggetto un richiamo ai momenti passati insieme. Era come vivere in una casa piena di fotografie di un tempo che non esiste più, ma da cui è impossibile distogliere lo sguardo. Tutto sembrava richiamare quella persona, ogni piccolo dettaglio, anche quelli che un tempo sembravano insignificanti. Ogni sorriso, ogni risata, ogni segreto condiviso diventava un nodo in gola, un peso nel cuore. Era come camminare in una casa dove le pareti sono ricoperte di ricordi che non vuoi dimenticare, ma che fanno male ogni volta che li osservi.
Col tempo, però, il dolore si smussa. Non scompare, ma diventa una presenza silenziosa, una sorta di eco lontano che non lacera più, ma che fa parte di noi. È strano, quasi spaventoso, rendersi conto di come il cuore impari a convivere con il vuoto, di come l’assenza si fonda con la nostra normalità. E ci si sorprende nel ritrovare una parvenza di serenità anche senza quella persona che, un tempo, sembrava indispensabile.
Ma forse la cosa più dolorosa, quella che ci spaventa di più, è proprio la facilità con cui il cuore si abitua. Guardarsi allo specchio e rendersi conto che quel legame, un tempo così intenso, ora è diventato una presenza sfocata, un ricordo che non riesce più a suscitare le stesse emozioni di una volta. È un pensiero che ci fa sentire fragili, vulnerabili. Come se la nostra stessa capacità di amare, di creare legami profondi, fosse in realtà limitata, destinata a consumarsi con il tempo.
È spaventoso pensare a quanto tutto sia effimero, a come le persone che hanno significato tutto possano diventare niente. È come vivere in un mondo fatto di sabbia, dove ogni passo che lasciamo dietro di noi viene lentamente cancellato dal vento. Ci spaventa la consapevolezza che anche i legami più forti possano svanire, che l’affetto e l’amore possano trasformarsi in ricordi sempre più vaghi, fino a dissolversi completamente.
E così, impariamo a convivere con questo vuoto. Impariamo ad abitare una casa spoglia, a riempire le nostre giornate di gesti nuovi, di volti nuovi. Eppure, ogni tanto, quando meno ce lo aspettiamo, il passato torna a bussare alla porta. Basta un profumo, una canzone, un luogo particolare, e tutto quel dolore che sembrava addormentato si risveglia, ricordandoci di quanto abbiamo amato e perso. È un dolore che non ci travolge più, ma che si insinua piano, come un’ombra che non possiamo scacciare del tutto.
A volte mi domando se sia giusto così, se sia giusto accettare che anche le persone più importanti possano svanire come nebbia al sole. Mi domando se sia possibile costruire qualcosa di eterno, o se siamo destinati a perdere, a dimenticare, a trasformare tutto in ricordi. Ma forse, il senso di tutto questo sta proprio qui: nell’accettare che ogni incontro, ogni legame, è una parte del nostro cammino, una tappa preziosa che ci arricchisce e ci cambia, anche se non sarà per sempre.
E così, continuiamo a camminare. Portiamo con noi i frammenti di quelle persone, di quei momenti, anche se ormai sono solo ombre nel nostro passato. Forse, alla fine, ciò che conta non è quanto dura un legame, ma quanto ci ha fatto sentire vivi, quanto ci ha permesso di scoprire parti di noi che non conoscevamo. Forse è questo il dono che ci lasciano le amicizie passate: la consapevolezza di essere stati amati, di aver vissuto qualcosa di unico, anche se solo per un breve istante.
E in questo silenzio, in questo vuoto che a volte sembra pesare troppo, continuiamo a camminare
17 notes
·
View notes
Text
Concentrato (come il succo di frutta) e distratto
Non sono mai stato bravo a rimanere concentrato a lungo. Se volessi cercare una scusa per questa mia lacuna potrei dire che sono un creativo e quindi seguo il flusso dell’ispirazione, ma so che è una cazzata. Magari ho una ADHD o come si chiama ma non me l’hanno nI diagnosticata e certo non farò come certi personaggi famosi che se la auto diagnosticano: è un argomento troppo serio per parlarne con leggerezza.
Non riesco a lavorare con la musica, semplicemente mi distrae e crea confusione nella mia testa. Mi succede non solo se sto studiando o leggendo una cosa complicata da capire ma mi accade anche se sto disegnando.
Ho bisogno di silenzio perché probabilmente sono troppo sensibile agli stimoli esterni, mi basta pochissimo per dimenticare ciò che sto facendo e iniziare a fare quelli che potremmo definire voli pindarici. Non so se sia un bene o un male essere così, forse ciò potrebbe portarmi a sviluppare di più la mia fantasia, chi lo sa. Va detto anche che ci sono momenti in cui sono particolarmente ispirato e non mi distrae nulla neppure il bisogno di dormire o di mangiare. Di fare la pipì no, quella mi viene sempre e non mi sottraggo neppure nei momenti di massima ispirazione.
Più semplicemente credo di essere fondamentalmente pigro e ciò porta a una serie di altre considerazioni come la necessità di disciplina. Ci pensavo pochi giorni fa quando ho dovuto scrivere una dedica sul libro che regalerò a una mia carissima amica. Ho preso diversi fogli da riciclo che ho usato per scrivere la “brutta copia” della dedica perché non volevo sporcarle il libro con cancellature e scarabocchi.
Ho scritto non meno di dieci versioni della dedica, dopo diversi tentativi avevo la scrivania sommersa di questi fogli usati sul cui retro avevo scritto decine di frasi che mi sembravano o troppi banali o troppe o inconcludenti come questo post.
Una volta trovata la formula giusta ho copiato il testo scritto su una pagina all’inizio del libro cercando di non sbagliare perché stavolta avevo la penna e non la matita.
Sono riuscito a restare concentrato, questa volta, ma mi è costata fatica e ho dovuto aspettare le tenebre e il loro silenzio per farlo.
Ecco a ben vedere la notte è il momento ideale per me per lavorare non fosse per Morfeo che a una cert’ora mi reclama per sé.
Vedo queste stesse difficoltà in mio figlio e mi viene un po’ un senso di colpa quasi gli abbia trasmesso anche questo difetto come i capelli scuri.
Tuttavia sta poco al telefonino, non vede molta Tv, giusto la sera dopo cena ma poi preferisce giocare o scorrazzare per casa e legge, legge tanto specie ora che può farlo da solo senza l’ausilio di un adulto che legga per lui.
Lo vedo anche ora steso sul letto e uno dei libri sulle gambe che sfoglia con attenzione insospettabile cura per un bimbo di 7 anni.
Magari, come esortavano i greci, diventerà un uomo migliore di suo padre.
Come al solito, quando scrivo così tanto, mi chiedo chi mai tra i miei followers avrà il coraggio di leggere fino a qui questo lunghissimo post.
A chiunque lo faccia dico solo: grazie.
24 notes
·
View notes
Text
Davvero, per favore, qui, su X e ovunque, sforzatevi di analizzare la situazione Capodanno di Roma con un briciolo di obiettività e mente fredda. Sono 24 ore che leggo di tutto e di più perché ci sono voluti 2 secondi netti per infilare nel calderone la qualunque e spostare il focus dal discorso degli artisti.
Sforzatevi di capire di cosa stanno parlando davvero, perché nessuno ha difeso i testi di Tony Effe. Sono fuori tema anche loro? Probabile. Stanno usando il termine censura un po' a sproposito? Anche qui, probabile.
Ma da qui a dire che allora sono tutti misogini e che addirittura appoggiano la violenza sulle donne, ce ne passa. Mahmood ha letteralmente scritto che tutto può essere criticato, dove lo vedete l'appoggio ai testi? A me sembra chiaro che la presa di posizione sia perché l'esclusione da Roma, potenzialmente, è un gesto che può portare alla censura. Qui non lo è nel senso puro del termine ma appare tale per le dinamiche. Presta il fianco a una caccia alle streghe trasversale perché, se voglio, posso trovare qualcosa che non va ovunque, che sia una canzone che cita le dipendenze o fatti di cronaca, politica o rapporti tossici. E a quel punto posso pretendere che venga bloccata. Anche nelle canzoni di Ale eh, ad esempio quando cita le droghe o rapporti tossici, si potrebbe dire che sono temetiche che urtano la sensibilità e chiedere così che lui non si esibisca da nessuna parte. È esattamente questo che porta alla censura, nella musica, nei libri, ovunque. Poi si può discutere che su altri temi non ci sia stata la stessa presa di posizione ma anche qui io distinguo le cose, questo è comunque lavoro, in altro c'è una componente troppo personale che, per esempio, non credo Ale sarà mai a suo agio a condividere in modo palese (again, ma tramite la musica sì, quindi con la libertà di espressione di cui ha sempre parlato).
Ciò detto, per me l'errore è stato a monte, perché come fai a fare una line up per un evento del genere senza un'unità di intenti? È chiaro che il passo indietro di Roma è politico, il Sindaco ha chiaramente detto che non voleva che l'evento fosse divisivo, ergo ha scelto il quieto vivere. Tony Effe non andava invitato a prescindere, per me potrebbe non cantare mai più in vita sua e ne sarei contenta ma adesso non facciamo l'errore di condannare tutto questo discorso perché di mezzo c'è lui.
Anche perché poi, l'utente medio del social lo usa come pretesto per scagliarsi contro gli altri - Mahmood in primis - vomitandogli addosso le cose peggiori. Perché tutti bravissimi a riempirsi la bocca di belle parole per difendere le donne, salvo poi usare contro chi non piace il tono e il linguaggio che tanto disprezzano. Moralisti a convenienza, paladini della giustizia solo se si sta tutti dentro i paletti delle loro idee, tutti gli altri al rogo (e poi magari stannano personaggi discutibili tanto quanto quelli che criticano).
Detto ciò, mi pare altrettanto ovvio che i cantanti vivano la cosa diversamente dallo spettatore, nel senso che scindono la persona dall'opera che può essere eccessiva perché espressione artistica. Sarebbe un po' come dire che se uno scrittore scrive di omicidi allora è un delinquente. Non voglio dire che certi testi vadano giustificati perché, obiettivamente, fanno ribrezzo ma neanche credo che siano la condanna dei giovani. Se i ragazzi di oggi non hanno gli strumenti per discernere con la propria testa il bene dal male, una storia dalla realtà, una canzone da un esempio da imitare, vuol dire che gli educatori hanno fallito. E prima che si arrivi agli intrattenitori, ci dovrebbero essere la famiglia e gli insegnanti, senza parlare di chi ci governa.
Quindi, in sintesi, anche meno.
#mahmood#rant post#flusso di coscienza#mi pentirò del post? ovviamente#lo cancellerò? nah#da qualche parte dovevo dirlo e#twitter is a hellsite#tumblr is better
7 notes
·
View notes
Text
Denti
"Devi andare…"
Si era infilata sotto le coperte, nuda. Aveva fatto l’amore. Era andato tutto come doveva andare, aveva finto. Come sempre. Ed eccolo lì quello sguardo, quell'insofferenza, quel disinteresse. Glielo leggeva negli occhi come lo aveva visto in tutti gli altri. Non faceva quasi più male. Sgattaiolò fuori dal letto, senza dire nulla e si rivestì. Aveva la mente straordinariamente lucida e distaccata, indifferente. Una cena, un uomo, del sesso, il copione sempre uguale. Non serviva tirar fuori le emozioni, per una cosa così, gli uomini non le vogliono. Si impara a non darne, si impara a nasconderle, a camuffarle perché nessuno te le cerca: si può anche farne a meno.
Il calore effimero di quelle ore stava già sparendo dal suo corpo, al cuore non era neppure arrivato vicino. Sentiva che non lo avrebbe più rivisto e forse ne avrebbe scordato presto anche il nome. Peccato, pensò. Perché questo almeno aveva un sorriso bellissimo in cui per un attimo si era persa, fantasticando di poter restare ed essere la benvenuta. Ciò che aveva imparato sugli attimi era ormai diventato il suo credo: gli uomini ti arrivano in un attimo, bruciano in un attimo e in un attimo spariscono, non bisogna affezionarsi alle meteore. Si infilò il cappotto mentre lo guardava aprirle la porta.
"Allora, ciao" – le disse
"Buonanotte" – rispose lei
Agli addii spesso non serve altro. Nemmeno girarsi per guardarsi un’ultima volta. Se scegli di restare estraneo, lo resti sempre per chiunque. E lei rispettava le loro scelte, sparendo come gli attimi di cui conservava i ricordi e che le avevano tolto il futuro. Non era più tempo di illusioni, l’amore è solo una favola che ti racconti, addosso lascia solo segni.
[2015©Yelena b.] www.yelenabworld.tumblr.com
"Il sorriso è un gesto di clemenza del silenzio." (Achille Bonito Oliva)
Scusami. Ti scrivo solo per dirti questo: scusami. Ieri sera, mentre facevamo l’amore ho avuto paura: mi stavi mangiando pian piano il cuore e capivo che stavo innamorandomi di te, del tuo muoverti con disperata grazia su di me, del tuo odore e del tuo sapore. Delle tue labbra, che pur assaggiavo e gustavo. E ho avuto paura. Oggi capisco che mi sei entrata nelle vene.
Forse abbiamo corso troppo. Non c’è stata progressività: ci siamo conosciuti in rete e siamo finiti quasi subito a letto. Il forte bisogno di sentirsi cercati e accettati fa perdere il senno a chiunque. Siamo partiti dalla coda. E tu allora scrivimi o telefonami: interrompi il freddo insopportabile del silenzio che circonda entrambi da ieri.
Ho avuto paura perché pur stando con me, godendo finalmente entrambi dei nostri corpi, ieri tu facevi sesso con molta rabbia. Sembrava volessi farmi scontare le colpe di un altro uomo. Eri la portavoce guerriera dell’intero genere femminile nella sacra crociata contro quello maschile. Ma io non sono il nemico di nessuno. Semmai, sono nemico dell'odio. Sono un uomo solo apparentemente sicuro di sé, mentre invece custodisco e nutro senza dovermene vergognare una mia timida delicatezza interiore.
Ameresti la mia variegata fragilità d'animo, se la conoscessi. Vorrei solo vedere i tuoi denti, le tue labbra schiudersi per farmi partecipe di un tuo prezioso, raro e soprattutto autentico sorriso. Non quello formale, da geisha, per i clienti del tuo studio, ma quello vero. Che t'esca spontaneo semplicemente perché sei contenta, proprio felice dentro di vedermi. E di essere finalmente desiderata da un uomo: perché non è ancora peccato desiderare una donna, né lo è godere nell'essere oggetto di brama maschile.
Non è comune per me desiderare una donna qualsiasi e ieri c’è stata per il mio cuore una rivoluzione copernicana. Sul mio cammino ho trovato te. Non può essere un caso. Si: ho avuto paura di innamorarmi di nuovo. Si ha sempre paura, di qualcosa che si scopre di amare. Paura di perderla, paura di essere vulnerabile. Ancora curo le bruciature profonde e dolorose di due anni fa. E anche tu hai avuto l’anima lacerata. Sebbene tu non mi abbia ancora detto molto a riguardo.
Iniziamo da capo, col piede giusto: vuoi? Vediamoci stasera, magari domani o doman l’altro; che ne dici del weekend? Mi urgi. Decidi tu e per favore conosciamoci meglio. Schiudiamo le porte dei nostri pudori offesi. Spezziamo la cortina silenziosa che ci circonda. Non ti dirò più “devi andare.” E rinnovo la mia richiesta di scuse per averlo detto. Che vero cafone!
Provo vergogna. Sin da ora ti prego di venire e restare quanto vuoi, con i tuoi pensieri sdraiati sul mio torace: li accarezzerò e ti farò sentire a casa, protetta, coccolata. Mia veramente, stavolta. Mia. È il nostro autunno. E la vita in fin dei conti è solo un lentissimo, inconsapevole scivolare verso la fine. Accompagnami: insieme sarà più dolce.
RDA
12 notes
·
View notes
Text
Perché non ci si può schierare in nessuno dei fronti artificiali del gangsterismo globale
Il distacco cognitivo rispetto alla realtà si fa sempre più massiccio; lo schema Buoni-Cattivi resta dominante e non lascia scampo ai neuroni in nessun campo. Se le oligarchie sono ai ferri corti nel ridisegnare la mappa delle spartizioni mondiali, la sceneggiata dei “blocchi” tiene banco indisturbata, ma è assurda, tanto i presunti blocchi sono intrecciati tra di loro. Tutti dipendono in misura diversa dagli altri e non esistono in nessun campo delle spartizioni nette e dei fronti contrapposti. Le sceneggiate per le plebi servono, appunto, alle plebi. Questo vale per l’Ucraìna, per i BRICS e per Gaza. Tanto per fare qualche esempio alla rinfusa. Per quelli del Blocco B (stracciomondismo antioccidentale) Israele deve essere attaccata a parole e i palestinesi difesi a parole. Per quelli del Blocco A (occidentalismo antipovero) Israele dev’essere giustificata e al massimo censurata, ma la Palestina dev’essere garantita solo con qualche formuletta dialettica.
Poi andiamo a verifica. Nel Blocco B troviamo tanto la Russia quanto alcuni paesi degli Accordi di Abramo, ovvero i maggiori esportatori in Israele, nonché suoi alleati strategici. Israele del resto si è sempre rifiutata di armare l’Ucraìna e ha anche inviato dei volontari tra le truppe russe. L’Unione Europea ha invece aumentato gli aiuti a Gaza. Siamo noi italiani a portarli, e adesso è partita una macrospedizione coordinata tra Francia e Giordania che, sicuramente vanta il più occidentalista dei governi mediorientali. Il segretario di Stato americano, Blinken, che è israelita, ha iniziato un tour per coordinare gli aiuti a Gaza. Il che non significa che lo schema vada rovesciato. Non è che l’immaginario Blocco A sia più vicino ai palestinesi (o meglio meno lontano da loro) di quanto lo sia l’inesistente Blocco B. È tutta una pagliacciata in cui s’intrecciano interessi al contempo comuni e divergenti tra le varie oligarchie. Le quali su una cosa concordano: i loro fatti non collimano mai con le loro dichiarazioni.
Anche l’alleanza contro i pirati yemeniti houti nel Mar Rosso è composita e, per la prima volta da tanto tempo, annovera insieme gli alleati della guerra mondiale: Italia, Germania e Giappone. Era già accaduto una quarantina di anni fa con l’opposizione al blocco all’Iran voluto dagli americani. È un groviglio difficile da districare e mi rendo conto che sia complicato prendere posizioni che non siano viscerali e non partano da un qualcosa di positivo ma dalla presunzione di scegliere, tra le varie schifezze, il “male assoluto” contro cui illudersi di ergersi, tifando per un altro bandito. Un po’ come se nella guerra tra palermitani e corleonesi ci si fosse schierati pretendendo che il clan considerato meno peggio stesse facendo la lotta alla Mafia.
Hamas, come l’Isis e tutta la galassia dei terroristi islamisti, non è compatta ed ha vari clan e capi che si combattono tra loro. Tra qualche tempo scopriremo quale componente si era accordata con Tel Aviv per scatenare, con il massacro del 7 ottobre, la macelleria di massa su Gaza (Hamasrael…). Lo scopriremo perché sarà quella che assumerà il comando della Palestina ridimensionata, così come ci renderemo conto di quanto avranno inciso in tutta questa tragedia concordata a tavolino i giacimenti di gas sottomarino e l’ipotetica apertura del Canale Ben Gurion (cui i blocchi alterni di Suez e del Mar Rosso sono provvidenziali). Si vedrà come si svilupperanno gli Accordi di Abramo e se riuscirà la mossa di impedire il ravvicinamento tra Arabia Saudita e Iran.
In qualche modo proprio l’Iran è nell’occhio del ciclone. Ma non è un motivo sufficiente per simpatizzare per un regime imperialista che pretende di parlare nel nome di un dio. L’attentato sulla tomba di Suleimani non deve farci dimenticare di che personaggio stiamo parlando. Coordinava i suoi nell’Iraq invaso, smembrato, occupato e retto da un governo fantoccio messo insieme da Teheran e dagli americani. Per quasi mezzo secolo l’Iran ha svolto una politica che ha favorito gli interessi americani nell’area e ha combattuto tutti i governi socialnazionali e filoeuropei. Provò ad invadere l’Iraq nel 1980 per impedire la realizzazione del nucleare iracheno con tecnologia francese e aiuto italiano. La stessa Siria partecip�� fin dal 1977, con un attentato a Baghdad, all’offensiva israelo-americana contro l’Iraq e l’Europa. E se gli ayatollah stanno a Teheran lo debbono proprio alla necessità israelo-americana di allora, di cui (Irangate docet) furono consapevoli esecutori.
Comprendo che assistere a una serie di macellerie perpetrate per conto di oligarchie criminali non sia piacevole e si vorrebbe che qualcosa cambi. Ma se ciò accadrà, prescinderà dai gangsters. Non ce n’è uno che sia meglio degli altri, cos�� come non ce n’è nessuno che una volta o l’altra non svolga una funzione positiva da qualche parte. Perfino la Russia e l’Iran sono riusciti a farlo in Siria, il che è davvero tutto dire visto che per il resto sono anche peggio degli americani! Quel che è certo è che non si può stare con nessuno dei banditi. Ed è ormai così evidente, almeno per l’inconscio, che neppure l’individuazione del Nemico da cui identificarsi per contrapposizione sta facendo l’unanimità in nessuno dei conflitti, e questo non per effetto di propaganda ma per rifiuto istintivo di accodarsi a una qualche bestia idrofoba e bugiarda. Dobbiamo crescere noi. Crescere spiritualmente, esistenzialmente, concettualmente: dobbiamo farlo in Europa e per la Civiltà. Solo questo conta, solo questo è. La lotta tra gli imitatori goffi dei titani – comunque nemici dell’Olimpo – non può essere la nostra.
G.Adinolfi
7 notes
·
View notes
Text
vogliamo parlare di quello che è successo a DomenicaIn? una cosa disgustosa.
allora intanto parliamo della pochissima professionalità, perché c'erano artisti che hanno aspettato lì ore a vedere siparietti a dir poco imbarazzanti e se ne sono dovuti andare senza essersi esibiti perché "era finito il tempo". tempo che hanno trovato per parlare dieci minuti dei capelli di una, altri per sessua4lizzare un altro e altri ancora per leggere un comunicato raccapricciante.
comunicato che si sono affrettati a scrivere perché due artisti hanno osato dire cose assurde come "basta ammazzare bambini e gente innocente". parole di una gravità assurda, a quanto pare. ma, ehi, l'ambasciatore di isnotreal si è sentito punto sul vivo e minacciato, quando nessun nome è stato fatto e viviamo in un mondo così malato, distorto e marcio dove ci sta più di un genocidio in corso. excusatio non petita accusatio manifesta.
però qui siamo ad un livello di distopismo superiore perché viene considerato come messaggio d'odio "dobbiamo proteggere i bambini". non si nascondono più, non ci provano nemmeno.
e subito a leggere quel comunicato due volte (perché dopo è stato ripetuto come prima cosa al Tg1 delle 20). ci mancherebbe eh, noi sudditi così servili, dobbiamo leccare il culo ai potenti sempre.
però io quelle parole non le condivido. quelle parole non mi rappresentano proprio. a rappresentarmi, la settimana scorsa, è stata quella persona che ha urlato "Palestina libera" durante il discorso di Ghali. a rappresentarmi è stata quell'altra che ha detto "cita Gaza" mentre la Venier leggeva quell'oscenità. a rappresentarmi sono stati quei ragazzi con quei cartelli e la bandiera palestinese, l'ultima sera di festival, sulla Costa Smeralda.
anzi mi stupiscono i giornalisti lì, a DomenicaIn, che mi sono sembrati abbastanza d'accordo con i discorsi sia di Ghali che di Dargent. la Venier un po' meno. palese da come ha cercato di smorzare le parole di Ghali con l'ambigua "eh la pace la vogliamo tutti" (e se non ricordo male anche una frase come "quei bambini ti ricordano te stesso?", nella speranza di sviare il discorso), nel liquidare Dargen con "dobbiamo seguire una scaletta" (che poi non è stata comunque rispettata), e dalle parole che ha rivolto ai giornalisti lì: "non mi mettete in imbarazzo".
perché la Venier ama tutti. un po' meno chi non sta al suo gioco (ed i bambini palestinesi, ma in generale quello con la pelle più scura, temo). ed il suo gioco è sempre stato quello di bacini e abbraccini di qua, ti amo e amore mio di là. sessua4lizzare e oggettificare una persona da una parte e parlare della loro vita intima e sessu4le dall'altra. sono contenta sia crollato il mito di "zia Mara" (o quantomeno, me lo auguro sia caduto) perché non ho mai capito da cosa, come e perché sia nato.
un modo orribile per chiudere una settimana di Sanremo, che tra alti e bassi, è comunque riuscita a portare messaggi importanti.(Amadeus si è comunque preso una responsabilità nel mettere in gara due canzoni come Casa Mia e Onda Alta).
ora domenica, Ghali sarà da Fazio a Che Tempo Che Fa. ho letteralmente 0 aspettative perché Fazio è tra i più democristiani che ci siano in circolazione. magari il suo astio nei confronti della Rai permetterà di far parlare Ghali più liberamente, non so (però sono sicura che non ci risparmierà la domanda "eh ma quindi tu...condanni ham4s?", possiamo già metterci il cuore in pace).
mi è piaciuto molto come Ghali nel suo discorso abbia nominato internet come fonte di informazione (se non ricordo male, in relazione alla possibilità di vedere come lui abbia sempre parlato dell'argomento), un bel suggerimento nel dire che se sai cercare, trovi anche quello che non ti vogliono dire. (e l'imbarazzo che ho provato nel vedere una persona intelligente fare un discorso coerente e giusto essere ridotta in "sei proprio sexy" e "io l'ho visto da dietro" da due vecchie viscide, non ve lo so spiegare, anche perché lui era visibilmente a disagio.) e Dargen, citando dati dell'ISTAT parlando dell'immigrazione, ha reso il suo discorso letteralmente inconfutabile. tant'è che sono corsi ai ripari nell'unico modo a loro possibile, ovvero zittendolo.
questo perché la stragrande - per non dire la quasi totalità - delle persone si limitano alle informazioni che vengono passate loro dai media, senza andare a controllarle da sé, magari approfondire e vedere se c'è dell'altro che non dicono perché altrimenti distruggerebbe le loro argomentazioni, la loro credibilità.
e questa è l'Italia, "un paese di musichette, mentre fuori c'è la morte" come dicono in Boris. ed è vero. domenica scorsa è stata la conferma. siamo questa cosa qui. pizza, pasta, mandolino e grasse risate, senza mai prenderci responsabilità e stare dalla parte giusta della storia. una storia che poi si ricorderà di noi e che non perdonerà.
adesso ho visto che qualche cantante e influencer ha iniziato a parlare. aspettavano che qualche altro ci mettesse la faccia prima di loro e adesso cavalcano l'onda per avere consensi credo (soprattutto per gli influencer, dato che per loro è tutto un trend, anche la vita dei palestinesi se i tempi chiamano). meglio di niente suppongo? almeno se ne parla.
distopico comunque è stato che poche ore dopo il comunicato Rai, durante il Super Bowl tra pubblicità sioniste, c'è stato l'attacco a Rafah. io non penso di riuscire a dire altro, davvero. questa situazione è angosciante e terrificante e siamo tutti complici finché i governi che dovrebbero rappresentarci non ci ascoltano (anzi, ci zittiscono) e non intervengano in qualche modo.
#free palestine#free gaza#palestine#italia#italian tag#robe italiane#sanremo#sanremo 2024#domenica in
27 notes
·
View notes
Text
Il cuore del mondo non è a destra né a sinistra, il cuore del mondo è allo sbando. Il cuore del mondo è fatto della somma del cuore di tutti, ricchi e poveri dal punto di vista materiale, cosa facile da definire, ricchi e poveri sul piano spirituale, e qui la faccenda si complica. In America, da un certo punto di vista, le elezioni erano tra un mostro e un faro, ma la realtà ci ha detto che si trattava di un punto di vista che non è il più diffuso. E allora si tratta di capire chi risponde meglio all’insofferenza, perché è questa la vela che spinge gli umani nel mare della loro esistenza. E si tratta di una insofferenza che non va letta solo in termini politici, ma anche in termini culturali e direi anche teologici. Si è insofferenti per la nostra vita che è sempre la stessa. E se l’operaio è schiacciato da quello che fa, c’è chi è schiacciato dalle proprie fortune, nel senso che non gli bastano mai. Il capitalismo religioso in cui viviamo ha sacerdoti molto diversi tra loro, ma chi si è sfidato in America apparteneva alla stessa religione, la stessa di tutti i leader in campo sulla scena mondiale. È chiaro che poi ognuno nel presente rovescia un suo passato o quello del suo popolo, è chiaro che Putin e il capo coreano hanno una lettura diversa della storia: c’è chi si sente derubato e c’è chi pensa di aver fatto doni che non ha mai fatto. Trump ragiona come se l’America dovesse smettere di fare regali agli altri e ovviamente ignora che lui non guida nessun processo, ma è il risultato dello stato delirante degli umani.
Oggi non sono gli ideali e le utopie a governare il mondo, ma la paura, e vince chi meglio sa manipolare la paura. Però attenzione a pensare che ci sia solo questo filo, nel groviglio i fili sono tanti, compreso un certo esaurimento del buon senso e della ragionevolezza. Musk e Trump confinano in maniera sbagliata con esigenze giuste, l’esigenza di un mondo meno grigio e burocratico, più proteso verso la pura energia vitale che verso i cavilli di una democrazia sfinita. E tra l’altro loro sono sembrati combattenti di un sistema apparendo magicamente ignari che è proprio il sistema che gli ha assicurato grandi ricchezze.
Ogni prossima elezione, da un piccolo paese a una regione, all’intera nazione, deve tenere conto non solo di quello che hanno in tasca i cittadini, ma dei loro miti assai confusi, della bancarotta antropologica che mette assieme ricchissimi e poverissimi contro l’umanità dei colti, o di quelli che si dicono buoni ma alla fine descrivono la luce senza darla.
Per ottenere buoni risultati bisogna aiutare la vita degli altri, non pretendere che riconoscano il valore della nostra. Forse è arrivato il momento di considerare che tra le tante miserie presenti nel mondo c’è anche quella di un certo universo di sinistra che viene visto come poco autentico, vicino ai propri interessi che con arroganza si vuole far passare come gli interessi di tutti. In America non ha vinto il male e non ha perso il bene. Si è solo arrivati a un altro momento di questa pericolosa commedia in cui vince chi tuona meglio, ma i fiori crescono non grazie ai tuoni, ma grazie all’acqua e al sole.
7 notes
·
View notes