#memoria di Ginevra.
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Donazione in memoria della piccola Ginevra: un gesto di solidarietà che porta speranza ai bambini dell’Ospedale di Alessandria
La generosità della mamma Veronica, un atto d’amore che ricorda Ginevra e aiuta i giovani pazienti durante le festività.
La generosità della mamma Veronica, un atto d’amore che ricorda Ginevra e aiuta i giovani pazienti durante le festività. Un dono che rinnova la memoria e porta conforto Per il settimo anno consecutivo, in occasione del compleanno della piccola Ginevra, la mamma Veronica ha compiuto un gesto di straordinaria generosità, donando materiali e giocattoli alle strutture di Riabilitazione e Chirurgia…
#aiuto alle famiglie#aiuto concreto#Alessandria today#Alessio Pini Prato#altruismo#amore per i bambini#attrezzature ospedaliere#Azienda Ospedaliero-Universitaria Alessandria#bambini ospedalizzati#Beneficenza#chirurgia Pediatrica#comunità solidale#conforto ai pazienti#donazione#donazioni natalizie#festività natalizie#generosità#gesto di solidarietà#Ginevra#giochi per bambini#Google News#italianewsmedia.com#leucodistrofia di Krabbe#malattie neurodegenerative#Marco Polverelli#Memoria#memoria di Ginevra.#memoria positiva#Natale#Ospedale Alessandria
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C.S.I. ||| E ti vengo a cercare [Live 1996]
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Pezzo di Battiato rielaborato in memoria del partigiano Beppe Fenoglio.
Una piccola osservazione:
Se gli angeli hanno una voce è quella di Ginevra di Marco, da brividi.
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Il sistema familarista instaurato da Giorgia Meloni rappresenta il punto cardine del suo progetto politico, una vera e propria trasposizione della famiglia all’interno del partito “Fratelli d’Italia” e cosa ancor più grave all’interno della compagine governativa. L’Italia democratica e caciottara, concepita dalla famiglia Meloniana, viene a fondarsi su una vera parentopoli allargata, dove cognato, sorella, madre, ex cognato, amici personali e fidatissimi si intrecciano con gli interessi politici del Paese. Il “tengo famiglia” del grande Totò De Curtis la dice lunga sul modo di rapportarsi della Premier con questa, e il suo trovare sostegno e forza proprio nei vincoli di parentela. Fratelli d’Italia, il partito personale della Premier, non rappresenta altro che la sua identità fascio caciottara, la sua anima politica in cui si ritrovano interessi familiari, amicali, parentali.generazionali di un mondo nostalgico che sopravvive e si nutre ancora oggi dell’ideologia del ventennio. Del resto mai scelta del nome, Fratelli d’Italia, fu più azzeccata per il partito di cui “Giorgia” è fondatrice e madre. Un coacervo di “valori” propagandistici ingialliti dal tempo, Dio, Patria, e Famiglia, e il ricordo nostalgico del “bastone e della carota” in un Paese come l’Italia fragile e di memoria corta sono ritornati alla ribalta. [...] Solo un rigurgito del ventennio, un uso privatistico della politica, un cumulo di menzogne e di arrogante ipocrisia fanno da proscenio all’azione di questo governo, il peggiore dell’epopea conservatrice. Qualsiasi circostanza anche riservata, qualsiasi manifestazione e azione comportamentale della Premier viene celebrata e veicolata dai media con l’apoteosi degna del vecchio Istituto Luce. L’immagine di questi giorni di una serafica Meloni, donna , madre, e cristiana davanti il presepe di casa, il suo apprezzamento verso quello che rappresenta il fulcro della nostra cultura cristiana, il pensiero alla figlia Ginevra, e le critiche rivolte a coloro che la pensano in maniera diversa, danno la dimensione della sua innata ipocrisia. [...]
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Ritratto
Ortese: chi sono io?
Amica, ma delle vittime
di Anna Maria Ortese
("La Stampa", 19 giugno 1990, a pag. 17)
Bisognerebbe essere grati – nel secolo dell’immagine, e della divorante ansia di essere guardati, o comunque ammirati – a una rivista come Leggere, e a una firma elegante e avveduta come quella di Ginevra Bompiani, per le sei pagine dedicate alla Ortese. Voglio dire: la Ortese dovrebbe essere grata. Ma chissà se lo è. Dico proprio così: «la Ortese», come se questo nome non mi riguardasse, e io fossi un semplice lettore della rivista. E, in realtà, nella mansueta figura qui rappresentata, divisa tra grigie preoccupazioni familiari, lodi ripetitive (che mi ricordano tanto un celebre personaggio della Austen) per la piccola città in cui vive, e trepidazione per trappole lontane («il Topo di Siena»), senza dire di assurde affermazioni di timore (in una città di «buonissimi»!), io non mi riconosco. Nè mi riconosco, se non in minima parte, in quel bellissimo titolo: «Amica al vivente». No, Ginevra s’inganna. Io non sono, se non qualche volta, e per stretto dovere, amica al vivente.
Se Ginevra avesse rintracciato (e guardato) qualcuno dei miei libri più perduti alla memoria dei lettori, o anche uno solo di essi, Toledo, avrebbe compreso che io non sono amica al vivente, altro che nel comune sentimento dell’orrore per l’inferno in cui apparentemente salvi o meno – viviamo tutti: e un istante solo. Non amica al vivente, dunque, se per vivente, o viventi, devono intendersi anche tutti gli esseri umani nella loro stagione del trionfo, della vanità, del cinismo, e infine della crudeltà e il disprezzo per i loro «inferiori» (in potere), e comunque per i vinti. Non in questo senso. Amica agli uccelli, e a tutti i figli della Natura, sempre; non amica – e non sempre, o quasi mai – alla natura umana.
Mi avesse interrogata, Ginevra, prima di scrivere (ma nessuno lo fa), avrei dato risposte precise, e mi sentirei, guardando il bel ritratto, meno tradita. Persona di pace avrei voluto essere (come Ginevra mi vede), ma vivendo sono diventata persona di guerra. E la mia guerra, ora in fine, è stata guerra silenziosa, il grido silenzioso di chi è oppresso dall’Universo intero, e dai suoi sicari: bellezza, tempo, primavera, fortuna; e poi giustizia ridotta ad esecuzioni continue, e sommarie, del più inerme, e sicuramente «prigioniero».
Non amica al vivente in genere, allora, ma al vivente che piange da ogni parte: nei boschi, all’alba, prima del massacro; nelle città perdute ad ogni ora del giorno; nei continenti desertificati (e derubati di quel che resta) eternamente. Viventi come orfani di giustizia, predati senza tregua dalle forze vincenti, cacciati come lupi, e – se lupi – accusati di non essere l’Uomo! Amica di tutto il vivente non è quindi possibile, senza tradimento della propria ragione. E io non voglio tradirla.
Ma non mi sento nemmeno di vivere in una illusione, o di vivere di una intelligenza senza speranza, come suggerisce una nota di redazione. Il disprezzo e l’ira contro il Male (riconoscibile nella perfetta definizione filosofica di Nulla Attivo) che domina tutto questo secolo, e tutto il pianeta (cosa mai accaduta prima), questo disprezzo e quest’ira non sono inutili, aprono invece la guerra inevitabile, se deve esservi una riconquista degli alti Territori perduti. Ed è forse vero che non vi è molta speranza di approdare a un futuro, di ottenere salvezza per questo pianeta e questa vita. Ma se (con l’eccezione degli Uccelli) tutto il pianeta ne fosse indegno? E solo qui, ora in questa condizione di terrore e malinconia, si effettuasse il carcere, la pena cui siamo (si può arguire dal grande silenzio) destinati? Non sarebbe già salvezza accettarla come «giustizia», come tale patirla?
Ecco, io oso sperare che oltre il carcere del tempo, e di questo pianeta, e anche di questo Universo bruciato dal tempo, vi sia qualcosa: di solido, di fermo, di purissimo, di senza fine calmo e bello. Il porto dov’è disceso finalmente Keats, la notte del 23 febbraio 1821, a Roma – vero Cristo della Bellezza – e dove forse è scampato Shelley, dalla improvvisa tempesta, con la sua «aziola»: «Oh come fui felice quando seppi / che non era per nulla cosa umana, nè un essere / simile a me da temere e da odiare!»
I Poeti inglesi, come un gruppo di arcangeli precipitati in questi deserti (nel medesimo periodo «apparvero» anche, come meteoriti, Pushkin in Russia e l’uomo delle Ricordanze in Italia), mi assicurano che da qualche luogo di gioia cadono qui, per essere crocifissi e illuminare il mondo, gli uomini della luce. Testimoni di una terra inimmaginabile, di cui solo l’alta matematica racchiude l’ipotesi. Terra imperitura, dove tornano con dolcezza tutti gli uccisi e i sacrificati dell’Essere. Non – credo – illusione, nè rifugio estremo alla assoluta desolazione. Ma calcolo eseguito nella notte della vita, nell’assedio della ragione, contabilità scintillante delle isole, i mari, i nomi, le navi di luce, di cui l’Essere – non il Nulla – ha scoperto una volta il passaggio, qui e ne ha fissato sulle mappe tormentate della memoria le orme indelebili, e la non vanificabile direzione.
…e poi questa lettera all’amico Giorgio Di Costanzo
Rapallo - 22 - 6 - 90
Caro Giorgio - se hai visto una mia "lettera" sulla Stampa - cancella - con la mente - il titolo perché non è mio - e mi è dispiaciuto vederlo. Avevo scritto solo: "Non a tutto il vivente." - E' andata così.
- Stai bene. Aff.te - Anna Maria
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La sua voce cadde da un ramo come un'ombra più in alto del suo peso. - Roberto Sanesi, L’improvviso a Milano
Dal 2020, il Premio Roberto Sanesi, dedicato alla memoria del poeta, critico, artista e traduttore Roberto Sanesi (Milano, 1930/2001) promuove la poesia in musica sul territorio torinese e piemontese, dando l’opportunità a progetti poetico-musicali fino ai 35 anni di età provenienti da tutta Italia di vincere una produzione per il proprio album e di confrontarsi con una giuria di addetti ai lavori, tra cui il musicista e performer Federico Sanesi, lo scrittore Giovanni Cattabriga, parte del collettivo Wu Ming e la poetessa Barbara Giuliani.
Tra i vincitori delle edizioni passate, Elena Cappai Bonanni e SOFIA_ con il progetto Karoshi, Simone Biondo e Daniele Ravagnan con il progetto Danno Mentale, Simone Tencaioli con il progetto Somma Zero, Gaia Ginevra Giorgi e Riccardo Santalucia, con il progetto L’animale nella fossa.
Oltre alle performance dei progetti finalisti scelti dalla giuria emerita, ogni anno il Premio Roberto Sanesi ospita lo spettacolo di un protagonista della spoken word music italiana: tra gli artisti che si sono esibiti nelle edizioni passate, Pierpaolo Capovilla (Il teatro degli orrori, I cattivi maestri) e Max Collini (Offlaga Disco Pax, Spartiti).
Per la quinta edizione, la finale si svolgerà il 21 settembre allo Spazio 211 di Torino (Via Cigna, 211) e ospiterà le performance di Federico Sanesi, Nuria Sala Grau e Barbara Giuliani.
L’evento è organizzato e promosso dall’Associazione Culturale Neutopia di Torino, che dal 2016 redige la rivista «Neutopia Magazine», pubblicando racconti, poesie, recensioni e fumetti. Dal 2019 organizza, nel quartiere torinese Barriera di Milano, il festival di poesia di strada Poetrification, nato in collaborazione con il poeta e performer Ivan Fassio (Asti, 1979 - Torino, 2020).
Per sostenere la quinta edizione del Premio Roberto Sanesi, ti chiediamo di contribuire con una donazione, scegliendo una delle tante ricompense su Produzioni dal basso che ti verranno recapitate al tuo indirizzo alla chiusura della campagna di crowdfunding.
Grafica di Elisa C. G. Camurati
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Petina Gappah
Ci sono fatti storici ancora avvolti dal silenzio, in qualche modo anche dalla vergogna. La letteratura serve anche a questo, a interrompere il silenzio.
Petina Gappah, pluripremiata avvocata e scrittrice, definita la voce dello Zimbabwe, scrive in inglese libri ambientati nel suo paese d’origine mentre esercita brillantemente la sua professione di avvocata internazionalista. È la figura legale di riferimento per l’area araba allargata di libero scambio (GAFTA) ad Accra.
La passione per il suo lavoro rimane forte mentre narra dei fallimenti e delle ingiustizie dello Zimbabwe nella speranza che, nonostante l’oscurità, si possa ottenere un cambiamento.
Ha anche scritto per diverse testate internazionali come The Financial Times, The New York Times, The Guardian e Süddeutsche Zeitung, ed è stata editorialista per OmVärlden, la rivista svedese sullo sviluppo e gli affari globali.
È nata in Zambia il 16 giugno 1971, da genitori emigrati dallo Zimbabwe, dove è ritornata quando aveva nove mesi. Dopo l’indipendenza del paese, la sua famiglia si era trasferita a Harare, in una zona prevalentemente abitata da persone bianche bianca, tanto che è stata una delle prime alunne nere della sua scuola elementare. Ha iniziato a scrivere quando aveva dieci anni, il suo primo racconto è stato pubblicato sulla rivista della scuola che frequentava.
Dopo la laurea in giurisprudenza in Zimbabwe, ha conseguito un dottorato in diritto internazionale all’Università di Graz e un master a Cambridge. Successivamente si è trasferita a Ginevra, dove ha iniziato a lavorare come avvocata specializzata in diritto internazionale.
Nel 2009 ha pubblicato il suo primo libro, la raccolta di racconti An Elegy for Easterly, tradotto in diverse lingue, che le è valso diverse prestigiose candidature come opera prima e ha vinto il Guardian First Book Award.
Nel 2010 è tornata ad Harare per tre anni per lavorare al suo primo romanzo, Il libro della memoria che, pubblicato nel 2015, è il testamento immaginario di una donna albina imprigionata nel braccio della morte, che spera in una tregua presidenziale. Il libro ha vinto il Premio McKitterick dalla Society of Authors.
La seconda raccolta di racconti Rotten Row, pubblicata nel 2016, è stata scelta come “Libro del giorno” da The Guardian.
Dal 2017 è stata DAAD Fellow e Writer-in-Residence a Berlino.
Nel giugno dello stesso anno ha tenuto la conferenza annuale del Journal of Southern African Studies, intitolata Looking for Dr Livingstone’s African Companions, presso la School of Advanced Study dell’Università di Londra.
Out of Darkness, Shining Light, del 2019, che in italiano è stato tradotto con il titolo Oltre le tenebre, ha vinto i National Arts Merit Awards 2020 per Outstanding fiction book.
Il libro si apre a Chitambo, nell’attuale Zambia, dove David Livingstone è morto nel 1873 e si chiude in riva al mare, a Bagamoyo, di fronte all’isola di Zanzibar. In mezzo ci sono i sessanta giorni di un Cuore di tenebra a rovescio, il racconto di come i suoi attendenti e la cuoca Halima, sfidando la fame e i pericoli, gli sono rimasti fedeli fino all’ultimo, cercando pace per quello strano uomo bianco e una vita migliore per se stessi.
“La storia di David Livingstone, il grande esploratore dell’Africa, ossessionato dalla ricerca delle sorgenti del Nilo, è cosa nota. Ciò che pochi sanno è che il viaggio più incredibile lo ha fatto da morto, quando il suo corpo imbalsamato è stato trasportato per oltre duemila chilometri dall’interno del continente africano fino alla costa, per poter essere sepolto in Inghilterra. Chi erano gli uomini e le donne che lo accompagnarono? Perché lo fecero? Il mio romanzo è nato per restituire un volto e un destino a queste figure dimenticate”.
Petina Gappah ha lavorato con il David Livingstone Birthplace Museum per reinterpretare i Tableaux Pilkington Jackson di Charles d’Orville.
Con la sua scrittura riesce nel difficile compito di rendere luoghi per lo più sconosciuti, con tale intimità e vitalità da farli sentire subito familiari. E dotata di una speciale sensibilità verso la tragedia umana e anche verso la commedia, insita nell’esistenza. Spalanca le porte di un milione di case illuminate e ci permette di guardarci dentro. In ognuna troviamo qualcosa di meraviglioso e strano, compreso un riflesso di ciò che siamo.
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Il Comune di Pesaro aderisce alla Giornata Nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo
Il Comune di Pesaro aderisce alla Giornata Nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo Il Comune di Pesaro aderisce alla Giornata Nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo che si celebra il 1° febbraio di ogni anno per conservare la memoria dei conflitti del passato e per attirare l’attenzionale sul dramma che vivono i civili di tutto il mondo coinvolti in guerre e conflitti armati. La Giornata di quest’anno assume un particolare significato a causa del drammatico contesto internazionale: nell'ultimo anno sono state oltre 33.000* le vittime civili coinvolte nei 31* conflitti in corso nel mondo. Un numero di vittime che non era così elevato dal 2010, fortemente condizionato dal protrarsi del conflitto russo-ucraino e dalla recrudescenza del conflitto israelo-palestinese. «Non dobbiamo dimenticare che i conflitti di ieri e di oggi, portino con sé atrocità sui civili. La storia si può ripetere in modo diverso, abbiamo il dovere di diffondere e far prevalere la cultura della pace, uguaglianza e libertà», così il sindaco di Pesaro Matteo Ricci e il presidente del Consiglio comunale Marco Perugini. Abbiamo raccolto, pertanto, con convinzione l’invito dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra (ANVCG) e dell’Associazione Nazionale Comuni italiani (ANCI) ad aderire alla campagna “Stop alle bombe sui civili”, illuminando di blu nella serata del 1° febbraio i luoghi simbolo della città, come via San Francesco e la fontana di piazzale Matteotti, come appello alla collettività e alla comunità internazionale affinché le Convenzioni, i Trattati e le Dichiarazioni internazionali, che già esistono per la protezione dei civili, vengano estesi, attuati e rispettati. «Segni che speriamo possano richiamare l’attenzione dei cittadini sui messaggi di questa Giornata: ricordare il sacrificio della popolazione durante le guerre mondiali; sensibilizzare la comunità sull’impatto dei conflitti attuali sui civili», hanno concluso. La Convenzione di Ginevra e i protocolli aggiuntivi, il Trattato di Ottawa sulla messa al bando delle mine antiuomo, la Convenzione Onu sulle bombe a grappolo, la Convenzione delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali, la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, solo per citare le principali. Invitiamo tutti i cittadini ad approfondire il tema della Giornata e più in generale delle vittime civili di guerra attraverso il sito e i canali social dell’Associazione. Nella foto, insieme al sindaco Ricci, il presidente dell’Anvcg di Pesaro e Urbino Davide Venturi, la dott.ssa Simona Cicioni referente nazionale scuola ANVCG, Elvino Del Bene consigliere provinciale e Rosalba Cenciarini cons. Provinciale. *dato Action on Armed violence *dato Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Il grazie di Giorgia al Ferrara Summer Festival: "Attraverso la musica diventiamo una sola cosa”
È con 'gocce di memoria' che la cantautrice Giorgia dà il benvenuto al suo pubblico - 3mila persone - dal palco del Ferrara Summer Festival. Una piazza gremita ed una platea mista, difatti Giorgia con la sua musica coinvolge tutte le fasce di età, riuscendo ad esprimere attraverso i suoi testi i sentimenti e le emozioni, dall'amicizia all'amore.
"Siete in tanti e siete bellissimi, sono molto grata del tempo che ci unisce, certamente - dichiara Giorgia con un barlume di ironia - ci toglie il collagene ma - prosegue - ci restituisce questa importanza del legame perché con il tempo assume più valore. Io da anni vi canto le mie canzoni e quando mi trovo così di fronte a voi grazie alla musica si crea questa unione, come se fossimo tutti collegati e diventassimo una cosa sola. Continuiamo questo viaggio musicale nel tempo, - conclude l'artista - ringrazio l'intera organizzazione del Ferrara Summer Festival e tutti i tecnici." Un coinvolgimento continuo del pubblico ha accompagnato l'intera durata del concerto, reso unico dalla performance dell'artista.
"Ci tengo a rivolgere un pensiero speciale - dichiara l'organizzatore Fabio Marzola - agli operatori logistici che hanno lavorato sotto un sole rovente (40º) per disporre ben 3mila sedie nell'intera piazza." Prossimi appuntamenti questa sera - mercoledì 12 luglio - con Steve Hackett; giovedì 13 luglio 'I Soliti Idioti'; venerdì 14 luglio Paola & Chiara e Black Eyed Peas; sabato 15 luglio Geolier, Enia e Shablo; domenica 16 luglio Fiorella Mannoia.
MEDIA INFO E CONTATTI UFFICIO STAMPA FERRARA SUMMER FESTIVAL: [email protected]
Tutti gli appuntamenti di Ferrara Summer Festival
Info e biglietti
+39 0532 473033 – +39 351 5952501
Ferrara Summer Festival, cos'è
Ferrara Summer Festival è una manifestazione che punta a proporre Artisti ed Eventi presentando una Rassegna di Spettacoli Musicali, e non, nel periodo estivo all'interno del Centro Storico di Ferrara. La cornice rinascimentale della città di Ferrara crea la suggestione per vivere serate di spettacolo uniche. L'organizzazione del Ferrara Summer Festival porta la firma di Fabio Marzola, presidente dell'Associazione Musicale Butterfly ed il patrocinio di Comune di Ferrara e Regione Emilia-Romagna.
17.06 – PEGGY GOU
18.06 – MAX ANGIONI
20.06 – UMBERTO TOZZI
22.06 – DRUSILLA FOER
23.06 – MODÀ
24.06 – THE LUMINEERS
28.06 – SALMO
29.06 – NU GENEA & COMA COSE + GINEVRA
30.06 – BIAGIO ANTONACCI
01.07 – TEENAGE DREAM
02.07 - COMFORT FESTIVAL
05.07 – EROS RAMAZZOTTI
06.07 – EUROPE
07.07 – FLUO RUN FERRARA
08.07 – PAUL KALKBRENNER
09.07 – LAZZA
11.07 – GIORGIA
12.07 – STEVE HACKETT
13.07 – I SOLITI IDIOTI
14.07 – BLACK EYED PEAS + PAOLA & CHIARA
15.07 – GUÈ + GEOLIER + ERNIA + SHABLO
16.07 – FIORELLA MANNOIA / DANILO REA
18.07 – GIACOBAZZI & FRIENDS
19.07 – VOGLIO TORNARE NEGLI ANNI 90
20.07 – GIANNI MORANDI
21.07 – MADAME
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Giordano Bruno: le intuizioni scientifiche di un frate scomodo
La rivoluzione scientifica di Giordano Bruno. Il 17 febbraio 1600 moriva sul rogo Giordano Bruno, il frate-filosofo che cercò la verità a costo di scontrarsi con l'autorità della Chiesa. Ancora oggi è il simbolo della libertà di pensiero. "Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarla". È così che Giordano Bruno, il frate-filosofo che con le sue opinioni aveva osato sfidare la Chiesa, accolse la condanna a morte inflittagli dal tribunale dell'Inquisizione. Pochi giorni dopo il tragico verdetto, il 17 febbraio 1600, quel pensatore "libero e ostinato" sarebbe stato condotto al rogo in Campo de' Fiori, a Roma. Proprio là dove oggi sorge il monumento in sua memoria, che lo ritrae imponente e fiero, con lo sguardo cupo rivolto al Vaticano. Scopriamo la sua storia attraverso l'articolo "Sfida fatale" di Federica Campanelli, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Il monumento dedicato a Giordano Bruno, in Campo de’ Fiori, a Roma, nel luogo dove il filosofo venne arso vivo. La statua è dello scultore Ettore Ferrari e venne inaugurata nel 1889. Pyty / Shutterstock Un secolo difficile Giordano Bruno, all'anagrafe Filippo, era nato nel 1548 a Nola, vicino a Napoli, nel mezzo di un secolo cruciale nella storia della Chiesa: spaccata in due dalla Riforma luterana, era seguita la Controriforma cattolica lanciata dal Concilio di Trento iniziato nel 1545. Due anni prima, Paolo III aveva istituito l'Inquisizione romana (o Santo Uffizio) e nel 1559 Paolo IV creò l'Indice dei libri proibiti. Il papato si dotò così di due strumenti persecutori di cui Bruno, suo malgrado, farà presto conoscenza. La carriera monastica di Giordano Bruno iniziò nel convento di San Domenico a Napoli, dove entrò a 17 anni. Rivoluzionario Giovane dall'animo irrequieto, fu investito dalla prima denuncia quando era ancora novizio, reo di aver tolto dalla propria cella le immagini dei santi. Più avanti, nel 1576, un confratello lo accusò di eresia per aver espresso dei dubbi sulla dottrina della Trinità. «L'accusa era difficile da provare, ma in un eventuale processo si sarebbe sommata alla precedente denuncia, che rimarcava il poco rispetto che Bruno aveva del culto dei santi», racconta Anna Foa, docente di Storia moderna alla Sapienza di Roma e autrice del saggio Giordano Bruno (il Mulino). Vagabondo Il rischio di una condanna era dunque consistente, e così Bruno lasciò Napoli riparando a Roma. Dovette però fuggire anche da lì, perché fu accusato ingiustamente dell'omicidio di un frate. Iniziò quindi un periodo di peregrinazioni in tutta Europa, dove, spogliatosi degli abiti domenicani, vagabondò di città in città avvicinandosi a ogni confessione cristiana, desideroso di allargare i propri orizzonti di studio e le proprie riflessioni filosofiche. A Ginevra aderì al calvinismo, in Germania entrò in contatto con i luterani e in Inghilterra con gli anglicani, distinguendosi tra l'altro per una serie di lezioni poco gradite sulla teoria eliocentrica di Copernico, di cui era sostenitore. Questa e altre sue convinzioni irritarono le varie gerarchie ecclesiastiche e Bruno si ritrovò così scomunicato praticamente da tutte le Chiese cristiane europee, cattoliche o riformate che fossero. Con questo curriculum, nel 1592 fece ritorno in Italia. L'inizio del calvario Nel marzo 1592 si stabilì a Venezia, chiamato da tal Giovanni Mocenigo, un nobile ansioso di apprenderne le cosiddette "arti magiche" e in particolare la mnemotecnica, un efficace metodo di memorizzazione che lo stesso Bruno aveva ideato, rimarcando però come tale tecnica derivasse "non dalla magia, ma dalla scienza". Ma quel soggiorno veneziano fu l'inizio della sua fine. Quando infatti il filosofo riferì l'intenzione di riprendere i suoi viaggi, Mocenigo, irritato, corse a denunciarlo per eresia. Risultato: Bruno fu arrestato la sera del 23 maggio 1592, e tre giorni dopo mandato a processo. Processo sommario Ma quali erano i capi d'accusa? Mocenigo aveva sostenuto, tra le altre cose, che Bruno fosse una specie di stregone, che non credesse nella verginità di Maria, che fosse un lussurioso e che volesse fondare una nuova setta. Dalle accuse emerse poi uno degli elementi centrali del pensiero di Bruno: la presenza di un universo infinito e di infiniti mondi, idea inaccettabile per l'epoca, che andava persino oltre la teoria copernicana. «Le accuse, per quanto gravi, provenivano tuttavia dal solo Mocenigo ed erano piuttosto confuse, motivo per cui il processo veneziano poteva anche finire con un'assoluzione o una condanna lieve», spiega l'esperta. A quel punto giunse però una richiesta di estradizione da Roma, dove Bruno fu trasferito il 27 febbraio 1593. Alle accuse del Mocenigo si erano intanto aggiunte quelle di fra' Celestino da Verona, che con Bruno aveva condiviso la detenzione veneziana. «I nuovi capi d'accusa, simili a quelli del Mocenigo, furono avallati da altri quattro compagni di cella di Bruno, e alla fine emerse l'immagine distorta di un uomo senza religione, pronto a burlarsi di ogni credenza», continua la storica. Giudizio romano Della fase romana del processo non è sopravvissuto alcun verbale, ma esiste un Sommario compilato tra il 1597 e il 1598. Questo documento, basato sugli atti veneziani e su quelli romani, è stato scoperto nel 1940 e reso pubblico solo pochi decenni fa. Quel che sappiamo è che il tribunale raccolse un totale di 31 capi d'imputazione, che ricoprivano praticamente ogni aspetto della vita di Bruno, dalla sua condotta morale, alle credenze teologiche e filosofiche. L'iter processuale si protrasse in ogni caso per anni, tra interrogatori, sospensioni e, forse, un episodio di tortura nel 1597. Fu infine l'intervento del cardinale gesuita Roberto Bellarmino, pezzo grosso del Santo Uffizio, implicato anche nel caso Galileo, a sbloccare la situazione. L'imputato non ritratta Bellarmino sottopose a Bruno otto proposizioni da abiurare, poiché eretiche. «L'abiura era un elemento fondamentale nei processi di tal genere: se un eretico rinnegava le proprie opinioni, otteneva infatti un trattamento mite, ma per Bruno rinunciare alle sue verità significava sottomettersi a un'autorità, quella dei giudici e dei teologi dell'Inquisizione, che lui non riconosceva», commenta Foa. La posizione dell'imputato si fece sempre più seria, e il 21 dicembre 1599, nell'ultimo interrogatorio, dichiarò di non aver nulla da ritrattare. In sostanza, Bruno rigettò l'accusa di eresia in quanto non si considerava un teologo, bensì un filosofo che andava, semplicemente, alla ricerca della verità. Ma agli occhi della Chiesa, negando l'abiura, confermava di essere un "eretico impenitente, pertinace e ostinato", come recitava la sentenza di condanna espressa l'8 febbraio 1600. Il 17 dello stesso mese, quel pensatore fuori dal comune fu zittito per sempre, avvolto dalle fiamme. Anticipatore L'impatto di Giordano Bruno sulle posizioni della Chiesa, specie in ambito scientifico, fu sconvolgente, ma tuttora la Santa Sede, pur avendo espresso "profondo rammarico" per la sua morte, non ne ha riabilitato il pensiero. Eppure Giordano Bruno, figlio di un'era ancora "prescientifica" (ossia precedente l'introduzione del metodo sperimentale di Galileo Galilei), è stato capace di intuizioni straordinarie. Nello scritto La cena de le ceneri (1584) espresse per esempio il principio di relatività del moto, anticipando lo stesso Galileo. Inoltre, con la sua teoria sulla presenza di "mondi innumerevoli e innumerabili", cioè immaginando che l'universo ospiti un numero infinito di stelle-soli, Bruno ipotizzò l'esistenza di pianeti extrasolari (confermata solo nel 1995) anticipando persino la teoria del multiverso. Complesse teorie scientifiche a parte, Giordano Bruno sarà ricordato per sempre, grazie a quel processo, come simbolo universale della libertà di pensiero. Da difendere anche a costo della vita. Fotogallery Le leggende nere della Chiesa Read the full article
#chiesacattolica#frate-filosofo#galileogalilei#GiordanoBruno#gnosticismo#inquisizione#multiverso#niccolòcopernico#pianetiextrasolari
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Al passato chiedi di noi (on Wattpad) https://www.wattpad.com/story/332986448-al-passato-chiedi-di-noi?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_myworks&wp_uname=Booksareimmortal&wp_originator=1aPo94dADR%2B%2BOiIKi8qhwCwsnzNFa2w2%2BoUsRRWmBdAM8pgyeK%2FsEVtjtiKuXvxD%2BTUdxJUVh907dS4rlxl9ZRizQwu0J2HXUqARcUcpPTAuv5xS93pZQY5DUBWW9RCq Ginevra, orfana da pochi giorni, si ritrova catapultata in una nuova realtà, di fronte alla sua nuova casa: un orfanotrofio. Ginevra ha sette anni e non sa bene perché si trovi lì, dove sia la sua mamma o quando potrà rivederla. Sa solo che i ricordi degli ultimi giorni sembrano essersi dissolti nel nulla. Dove sono finiti? Il tempo passa e Ginevra ha ormai diciassette anni, un piccolo lavoretto estivo, un migliore amico di cui è segretamente innamorata, e la memoria ancora frammentata. La vita sembra andarle bene. Finché una tempesta non travolge ogni cosa. La signora Alberti le rivela l'esistenza di una lettera diretta proprio a Ginevra, da parte di sua madre. La sua madre morta. Nella lettera la donna le fa una richiesta, le chiede di andare in cerca di suo padre, trovarlo e chiedergli di raccontarle la storia. Raccontarle del passato. Ginevra è confusa, suo padre non sa nemmeno chi sia, non sa neanche se ne abbia ancora uno. Da dove dovrebbe cominciare senza un nome o altro? In mano non ha nulla, eppure inizia a pensarci. Come potrebbe far finta di niente a quel punto? La curiosità è troppa, supera qualsiasi paura, così come la voglia di conoscere la verità supera il rancore per tutte le bugie. Ginevra comincia questa ricerca, una di quelle lunghe, dolorose, che le prenderà non solo tempo, ma anche una parte di sé stessa. Intanto, però, il presente non aspetta lei, la vita va avanti, inizia il quarto anno di scuola, arriva un nuovo odioso professore di lettere, la signora Alberti viene a mancare e le persone intorno a lei soffrono senza che se ne accorga. Per Ginevra non esiste altro che il suo passato, lasciando che diventi più importante di qualsiasi altro. Fino a quando non si accorge che chi resta ancorato al passato non potrà fare altro che restare intrappolato in un tempo che non esiste più, mentre il mondo si muove rivolgendosi al futuro. Quando il passato minaccia di distruggere tutto ciò che ci appartiene, ha senso cercare la verità
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Omosessuali, rom, disabili le vittime senza nome dell’Olocausto
Aktion T4, Porrajmos e Omocausto. Hanno un nome, quelli che in molti definiscono gli Olocausti dimenticati. Disabili, rom e omosessuali sterminati durante gli anni del nazismo, grazie anche al ruolo svolto dai regimi fascisti collaborazionisti.
Spesso non hanno più un volto e una voce, perché furono in pochi a sopravvivere ai folli piani di sterminio messi in atto da Hitler e a poter, quindi, trasmettere quella Memoria, fondamentale per tramandare le atrocità commesse dall’uomo. Anche la matematica dell’orrore, quella che dovrebbe documentare e far comprendere nella sua brutalità numerica, con le cifre delle persone morte, la portata di questo sterminio, deve fare i conti con documenti fatti sparire o con (è il caso dei rom) l’assenza di una tradizione scritta. Oppure, come avviene per i gay, con la negazione della loro omosessualità, anche dopo la liberazione dai campi di concentramento.
Anche i Testimoni di Geova furono perseguitati, tra il 1933 e il 1945 (diecimila internati, prevalentemente tedeschi): a loro veniva anche offerta – invano – la possibilità di rinunciare al loro credo religioso, in cambio della libertà. Olocausti che – come hanno fatto notare, non senza qualche polemica, alcune associazioni – si è spesso cercato di dimenticare. E sono proprio le associazioni come l’Avi (per la tutela delle persone disabili), Arcigay e Gay Center, Opera Nomadi e Aizo (rom e sinti) ad aver organizzato, nella settimana della Memoria, alcuni eventi, in tutta Italia, per cercare di far conoscere, ad esempio, l’Aktion T4, il programma nazista di eutanasia che, in nome dell’igiene della razza cara ai nazisti, portò alla soppressione di almeno 70mila persone affette da malattie genetiche, inguaribili o da malformazioni fisiche.
O l’Omocausto, che portò alla morte di almeno 7mila omosessuali nei campi di sterminio nazisti (oltre alle decine di migliaia di persone che vennero condannate sulla base del Paragrafo 175, quello che puniva gli atti e, persino, le fantasie omosessuali). E, infine, lo Porrajmos, che in lingua romaní indica la “devastazione”: furono più di mezzo milione i rom e i sinti morti nei campi di sterminio. I piani di sterminio degli zingari vennero attuati non soltanto nei territori annessi dal dominio nazista, ma anche da parte dei governi collaborazionisti, come la Romania e la Jugoslavia, che furono, insieme alla Polonia, tra i principali teatri di questa persecuzione. Ad Auschwitz erano rinchiusi nel tristemente noto Zigeunerlager, ed erano contraddistinti dal triangolo marrone. Come Barbara Ritter, cecoslovacca rom, scomparsa dieci anni fa. Una delle poche persone a raccogliere la sua testimonianza, durante un incontro che si è tenuto a Ginevra, è stata Carla Osella, presidente dell’Aizo (Associazione Italiana Zingari Oggi). A lei ha raccontato della deportazione nel campo, nel reparto dell'”angelo della Morte”, quel Josef Mengele noto per i suoi esperimenti medici e di eugenetica che svolse usando come cavie umane i deportati, anche bambini. “Barbara venne rinchiusa nel lager di Mengele, e qui sottoposta ad una serie di esperimenti. Le inocularono la malaria, per vedere se era in grado di guarire. Non morì, a differenza di tante persone, tutti bambini, che erano con lei”, racconta Osella. “Uno dei racconti più atroci che mi fece, fu quello che vide per protagonista un bimbo, ad Auschwitz. Per tenere buoni i bambini, Mengele era solito dar loro della cioccolata. Un giorno prese uno di questi e, proprio di fronte a Barbara, gli sparò, senza alcuna apparente motivo”.
Barbara assistette anche a numerosi tentativi di ribellione, da parte dei rom, nei confronti dei soldati nazisti. “La Ritter si salvò, perché, dopo essere stata trasferita a Buchenwald, riuscì a fuggire, mentre chi era rimasto ad Auschwitz fu ucciso”, ricorda ancora la presidente dell’associazione. Ma i racconti come questo sono pochi. “Non ho notizia, in Italia, di nessun rom sopravvissuto all’Olocausto, che sia ancora in vita – dice Massimo Converso, presidente dell’Opera Nomadi – E poi c’è il problema, a livello di trasmissione della memoria, dell’assenza di una tradizione scritta. I rom erano spesso analfabeti”. Mezzo milione i morti certi, anche se di moltissimi zingari si è persa ogni traccia, senza che si possa dire con certezza che siano stati uccisi dai nazisti. E questo potrebbe spiegare perché altre stime parlino di un milione e mezzo di morti. In provincia di Viterbo, a Blera, ne vennero chiusi una cinquantina in un campo di concentramento repubblichino, sconosciuto ai più. “Dal settembre del 1943 al giugno del 1944”, spiega Converso, che ieri, a Roma, ha preso parte alla tradizionale fiaccolata che ricorda i rom uccisi. Silvia Cutrera, a capo dell’Avi (associazione per la vita indipendente) è, invece, riuscita a intervistare il tedesco Friedrich Zawrel: classe 1929, venne internato nello “Am Spiegelgrund”, un ricovero, a Vienna, per bambini “disturbati mentalmente”, e che, sotto il Terzo Reich, fu trasformato in “centro dell’orrore”. Era considerato affetto da comportamento deviato, perché figlio di un alcolizzato non in grado di prestare servizio militare: in più aveva anche marinato alcune lezioni, a scuola. “Ha personalmente assistito agli esperimenti condotti sui bambini, ricoverati insieme a lui – racconta la Cutrera – Non venivano uccisi, ma si somministravano loro farmaci, per vedere chi riusciva a vivere più a lungo oppure per studiare le loro reazioni. Anche lui fu costretto a prendere medicine letali”. Dopo aver subito molestie e violenze, ha cercato di fuggire. Riacciuffato, è stato segregato per un anno in una cella di isolamento: è riuscito a salvarsi soltanto grazie all’aiuto di una infermiera.
Rosa era, invece, il colore del triangolo che indicava, nei campi di concentramento, gli omosessuali. “Le stime sui morti, in questo caso, sono difficilissime – racconta Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center – perché molti non volevano ammettere di essere omosessuali. Altri vennero portati nei campi di concentramento per altri motivi e, quindi, la loro omosessualità non emergeva”. “E’ una storia cancellata, la loro”, dice Porpora Marcasciano, presidente del MIT (movimento di identità transessuale) e componente del Comitato nazionale Bologna Pride 2012, “anche per colpa di quel pudore cattolico che porta a censurare determinati argomenti. E bisogna considerare che molti gay erano anche deportati politici e non avevano alcuna intenzione di dichiarare il loro orientamento sessuale, anche una volta liberati”. Tra i pochi – è forse l’unica, in Italia, a poter ancora ricordare quegli anni di persecuzioni – c’è la transessuale Lucy, che entrò nel campo di sterminio di Dachau come Luciano. E che, nel 2010, per la prima volta, è tornata a visitare il luogo dal quale è riuscita miracolosamente a salvarsi. “Di Omocausto si è iniziato a discutere in Italia grazie a quegli studiosi, soprattutto tedeschi, che hanno sollevato il caso – osserva Aurelio Mancuso, presidente di Equality – Fino a non molto tempo fa, una ventina di anni fa, non si parlava affatto delle vittime omosessuali. C’erano anche difficoltà relative alle fonti e ai documenti”. “Bisogna poi ricordare quelle centinaia di persone mandate al confino dal regime fascista – aggiunge Mancuso – e che, comunque, rientravano nelle persecuzioni dell’epoca contro gli omosessuali”. Mancuso evidenzia anche il ruolo chiave svolto dalle comunità ebraiche italiane nel portare alla luce la questione dell’Omocausto: “Si è fatto molto lavoro comune, fondamentale per una memoria condivisa, e tanti rabbini si sono pronunciati in merito alle persecuzioni dei gay durante il periodo nazista”.
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Un mondo di carta
Isabelle de Borchgrave incontra Mariano Fortuny
a cura di Pascaline Vatin Barbini
Skira, Ginevra-Milano 2008, 120 pagine, 113 ill. a colori, 24 x 16.5cm, Italiano, Inglese,Francese, ISBN 9788861307193
euro 29,00
email if you want to buy [email protected]
Mostra Venezia, Museo Fortuny 15 marzo-21 luglio 2008
Isabelle de Borchgrave ci racconta Mariano Fortuny, il suo genio, il suo mondo, il suo Palazzo Pesaro degli Orfei, la sua famiglia, i suoi amici, i suoi vestiti e tessuti in questo carnet de voyage ricco di evocazioni ed emozioni, e illustrato con disegni, acquerelli e fotografie. Impressioni di un incontro tra due artisti. Attraverso le pagine del volume è possibile ritrovare l’atmosfera sorridente e ironica della casa-atelier di Fortuny, mentre la genialità creatrice di Isabelle de Borchgrave (la sua perizia tecnica, il suo consumato colpo d’occhio di scenografa smaliziata e di illusionistica illustratrice, di grande artefice, insomma, di un mondo di carta in un universo di carte) ci introduce furtivamente proprio dentro a quelle forme, a quei segni e a quelle immagini tanto tenacemente sedimentate nella nostra memoria e nel nostro immaginario. Oltre ottanta tra abiti, accessori e trompe-l’oeil realizzati interamente in carta con incredibile perizia e un talento inconfondibile dall’artista belga Isabelle de Borchgrave tratteggiano un insolito percorso nella vita e nel mondo di Fortuny, ne illustrano episodi e personaggi salienti, creando nel suo palazzo-museo ambientazioni e modelli tridimensionali coinvolgenti. Isabelle, personaggio eclettico, spazia dalla pittura all’alta moda, dal tessile alla decorazione, dal design a una particolarissima lavorazione della carta, sempre lo stesso semplice tipo di carta bianca che, nelle sue mani, si trasforma con effetti di seta, damasco, pizzo, plissé, in innumerevoli varianti di colori, di toni, di decori. Contando su un’abilità minuziosa, trae ispirazione da un occhio attento e infaticabile, oltre che da una singolare attitudine alla sperimentazione.Per questo l’incontro con l’opera di Mariano Fortuny (1871-1949) - pittore, fotografo, creatore di abiti e costumi, mobili, scenografie e luci per il teatro - è per lei fatale. Il volume, realizzato in occasione della mostra veneziana, ha il compito di sottolineare non solo la preziosità degli abiti tridimensionali ma una sfida più complessa: restituire un sogno, un’atmosfera, un’epoca, non dal punto di vista filologico ma attraverso una partecipazione e condivisione empatica totale.
19/11/21
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Ginevra, tantissimi auguri di buon compleanno!!!! Con tanto affetto,
Anastasia💜
OHHHH grazie mille tesoro 🥺❤️❤️ e comunque hai un nome bellissimo e non mi ricordo se te l'ho già detto perché ho una memoria orrenda ✨ un bacio grande grande 🌸
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Alice Rivaz
https://www.unadonnalgiorno.it/alice-rivaz/
Che cosa aspettiamo per dire la nostra? Lasceremo sempre al genio maschile il compito di delineare i nostri ritratti, di descrivere il cammino della nostra mente, i segreti della nostra sensibilità, le passioni del nostro corpo? Gli scrittori disincarnano e trascendono, le donne. immerse nella materia, alle prese con il limo originale… incarnano.
Alice Rivaz, ousider della letteratura del Novecento, è stata la maggiore scrittrice di lingua francese della Svizzera romanda. Aveva una penna elegante, asciutta, mai banale, dal carattere ironico e sferzante e un’autonomia fuori dalle convenzioni.
Antesignana del femminismo, ha affrontato argomenti considerati tabù come l’omosessualità e l’antisemitismo.Nacque, col nome di Alice Golay, nella cittadina svizzera di Rovray, il 14 agosto 1901. Aveva otto anni quando suo padre decise di lasciare il lavoro di insegnante per dedicarsi alla politica e scrivere per un giornale operaio trasferendo la famiglia a Losanna. È stato seguendo il suo esempio che si è sempre interessata a problematiche storico-sociali.
Diplomatasi in pianoforte al Conservatorio, non ebbe modo di coronare il sogno di diventare concertista.
Affamata d’indipendenza, nel 1925, venne assunta al Bureau International du Travail di Ginevra dove ha trascorso la sua intera carriera lavorativa. È stata prima dattilografa, poi archivista e infine redattrice.
Nel 1940 è uscito il suo primo romanzo, Nuvole fra le mani, pubblicato con lo pseudonimo Alice Rivaz, la cui pubblicazione venne fortemente incoraggiata dallo scrittore romando Charles-Ferdinand Ramuz. Due anni dopo, ha vinto il Premio Schiller.
Fino al pensionamento è stata divisa tra la certezza del lavoro presso la grande istituzione cosmopolita e l’urgenza della scrittura, più volte intrapresa e interrotta, in sofferto equilibrio tra l’apparente obbedienza a profondissimi legami familiari e la trasgressione di una libertà interiore e personale ostinatamente coltivata.
Un intreccio complesso, di straordinaria ricchezza, celato sotto una quotidiana normalità, che riassume i molteplici aspetti del travaglio della condizione femminile rivelandone inedite sfaccettature.
La sua opera forte e innovativa ha saputo svilupparsi e affermarsi nonostante tanti impedimenti e difficoltà.
Ha denunciato l’egoismo e l’indifferenza della società nei confronti delle persone ai margini, evocato la sua infanzia, i suoi ricordi, il suo debutto letterario e le ragioni della scelta di uno pseudonimo.
La sua scrittura segue il filo di pensieri e sentimenti e traduce la vita interiore in immagini, gesti e sensazioni corporee.
Nel 1945, ha pubblicato sulla rivista Suisse contemporaine, tre anni prima de Il Secondo Sesso di Simone de Beauvoir, Un popolo immenso e nuovo che denunciava l’assenza delle donne dalla produzione letteraria, rivolgendo un appassionato appello affinché si impugnasse la penna in prima persona per esprimere la propria diversità.
Nel 1946 è uscito Come la sabbia e, l’anno successivo, La pace degli alveari che ha aperto a una nuova visione del mondo in netto contrasto con la cultura dominante.
Dopo una lunga pausa dalla scrittura, nel 1961, è uscito il libro di racconti Sans Alcool e nel 1966 Contate i giorni, riflessione autobiografica attraverso la vita di una donna prossima alla vecchiaia, il rapporto con la madre, l’amore, la depressione, la solitudine, il bilancio dell’esistenza e il pensiero della morte.
Del 1968 è il romanzo autobiografico L’alfabeto del mattino, un viaggio nella formazione della coscienza attraverso lo sguardo di una bambina.
I Racconti di memoria e d’oblio, del 1973, svelano la faccia nascosta della normalità in un universo di persone umiliate e offese.
L’ultima grande opera narrativa, Getta il tuo pane, del 1979, è un romanzo della memoria, quasi una summa di tutte le sue tematiche, un magma di ricordi, immagini e riflessioni che trova il proprio senso nel fluire liberatorio della scrittura. L’anno successivo ha visto la luce una raccolta di saggi e articoli, Questo nome che non è il mio, che riunisce anche gli scritti sulla condizione femminile. Infine, nel 1983, con il titolo di Tracce di vita, ha pubblicato i suoi quaderni di appunti, redatti dal 1939 al 1982.
In una lunga carriera letteraria ha trattato temi come l’incomunicabilità sentimentale, la ricerca dell’identità personale, la frustrazione per una vocazione mancata, la libertà femminile, la disparità sociale. Di sfondo, nei suoi libri, c’è sempre la grande Storia, che interferisce continuamente nelle vite quotidiane.
La relazione tra i sessi è stata per lei un tema da condividere con le altre donne, per evitare di ripetere gli errori degli uomini che restano comunque interlocutori preziosi di una tassonomia affettiva più vasta.
Lea Melandri, massima teorica del femminismo italiano ha detto di lei: “Straordinaria, ineguagliabile Alice Rivaz, riesce a nominare l’impresentabile della vita di donne e uomini in poche pagine, quando altre e altri lo fanno, senza la stessa forza e felice spudoratezza in poderosi saggi.”
Alice Rivaz si è spenta a Genthod il 27 febbraio 1998 in una casa di riposo, il luogo dove aveva sempre sperato di non finire. Solo recentemente i suoi scritti sono stati tradotti in italiano.Dal 2015 è stato istituito il premio letterario Prix Alice Rivaz.
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Ancona, il Comune aderisce alla Giornata Nazionale vittime civili di guerre e conflitti. Grande importanza posta al conflitto russo-ucraino e dalla recrudescenza del conflitto israelo-palestinese
Ancona, il Comune aderisce alla Giornata Nazionale vittime civili di guerre e conflitti. Grande importanza posta al conflitto russo-ucraino e dalla recrudescenza del conflitto israelo-palestinese. Il Comune di Ancona aderisce alla "Giornata Nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo" che cade il 1° febbraio di ogni anno per conservare la memoria dei conflitti del passato e per attirare l'attenzionale sul dramma che vivono i civili di tutto il mondo coinvolti in guerre e conflitti armati. Per richiamare l'attenzione dei cittadini sui questo tema, di tragica attualità, la sera di giovedì prossimo verrà illuminata di colore blu la Fontana del Calamo. La Giornata di quest'anno assume un particolare significato a causa del drammatico contesto internazionale: nell'ultimo anno sono state oltre 33.000* le vittime civili coinvolte nei 31* conflitti in corso nel mondo. Un numero di vittime che non era così elevato dal 2010, fortemente condizionato dal protrarsi del conflitto russo-ucraino e dalla recrudescenza del conflitto israelo-palestinese. "Abbiamo raccolto con convinzione – dichiara l'assessore ai Servizi sociali Manuela Caucci- l'invito dell'Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra (ANVCG) e dell'Associazione Nazionale Comuni italiani (ANCI) ad aderire alla campagna "Stop alle bombe sui civili", illuminando di blu nella serata del 1° febbraio la Fontana del Calamo come appello alla collettività e alla comunità internazionale affinché le Convenzioni, i Trattati e le Dichiarazioni internazionali, che già esistono per la protezione dei civili, vengano estesi, attuati e rispettati. La Convenzione di Ginevra e i protocolli aggiuntivi, il Trattato di Ottawa sulla messa al bando delle mine antiuomo, la Convenzione Onu sulle bombe a grappolo, la Convenzione delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali, la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, solo per citare le principali. Invitiamo tutti i cittadini ad approfondire il tema della Giornata e più in generale delle vittime civili di guerra attraverso il sito www.anvcg.it e i canali social dell'Associazione".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Isabel Allende
Afrodita
"Mi pento delle diete,
dei piatti prelibati rifiutati per vanità, come mi rammarico di tutte le occasioni di fare l'amore che ho lasciato correre…
Non posso separare l'erotismo dal cibo e non vedo nessun buon motivo per farlo; al contrario, ho intenzione di continuare a godere di entrambi fino a quando le forze e il buon umore me lo consentiranno.
Da qui nasce l'idea di questo libro, un viaggio senza carta geografica attraverso le regioni della memoria sensuale, là dove i confini tra l'amore e l'appetito a volte sono talmente labili da confondersi completamente."
Un libro che gioca con ironia sul piacere de gioco sessuale unito al piacere del gusto e della cultura culinaria di diversi paesi, lo consiglio come un libro per divagare dalla solita routine e sorrdere durante la lettura
C.Avantaggiato
Buon viaggio
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