#marco scipione
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koufax73 · 27 days ago
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Marco Scipione, "(H)ost": recensione e streaming
Marco Scipione si presenta all’esordio solista con un “H(ost)”, un lp complesso e poliedrico che rispecchia pienamente la personalità del sassofonista. All’interno dell’album infatti il sassofono si presta a una serie di divagazioni che vanno a toccare generi e riferimenti diversi, fra cui il noise, l’ambient e la colonna sonora. Nato dalla necessità di esternare il lato più intimo della ricerca…
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jaimendonsa · 3 months ago
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e-book grátis TRATADO SOBRE AS APARIÇÕES DE ANJOS, DEMÔNIOS E ESPÍRITOS, E SOBRE OS FANTASMAS E VAMPIROS DA HUNGRIA, BOÊMIA,  MORÁVIA E SILÉSIA Antoine Augustin Calmet
A obra de Calmet não se limita apenas à catalogação de relatos e à análise crítica dos fenômenos sobrenaturais. Ele também explora as implicações culturais e sociais dessas crenças, considerando como as histórias de vampiros e aparições influenciam o comportamento e o pensamento das pessoas. Por exemplo, Calmet discute como o medo dos vampiros poderia ter levado comunidades inteiras a adotarem práticas ritualísticas, como a exumação de corpos e a aplicação de medidas preventivas contra supostos vampiros, mostrando o impacto real dessas crenças no cotidiano.
Calmet examina as fontes históricas e literárias que alimentaram essas histórias, buscando identificar a origem das narrativas de vampiros e aparições. Ele considera relatos de viajantes, crônicas locais e até mesmo correspondências pessoais para construir uma visão mais ampla e fundamentada desses fenômenos. Sua abordagem meticulosa revela uma tentativa de compreender não apenas o "como" dessas histórias se propagaram, mas também o "porquê", analisando o contexto histórico e social que favoreceu o surgimento e a perpetuação dessas crenças.
As reflexões de Scipione Maffei complementam o trabalho de Calmet ao trazer uma perspectiva filosófica mais ampla. Maffei questiona as fronteiras entre o racional e o irracional, e sua contribuição ajuda a expandir o debate sobre a natureza dos fenômenos sobrenaturais. Ele discute, por exemplo, se as aparições de espíritos poderiam ser interpretadas como manifestações de estados mentais alterados ou se realmente indicariam a existência de uma realidade além da compreensão humana.
No conjunto, "TRATADO SOBRE AS APARIÇÕES DE ANJOS, DEMÔNIOS E ESPÍRITOS, E SOBRE OS FANTASMAS E VAMPIROS DA HUNGRIA, BOÊMIA,  MORÁVIA E SILÉSIA” é uma obra pioneira que se destaca pela tentativa de conciliar a investigação científica com o respeito às tradições populares. O livro oferece uma visão abrangente e crítica de fenômenos que, embora enraizados na superstição, continuam a fascinar e a intrigar até os dias de hoje. A contribuição de Calmet e Maffei é, portanto, um marco na literatura sobre o sobrenatural, e sua influência pode ser percebida em estudos posteriores que buscam entender as interações entre crença, cultura e razão.
Leia, gratuitamente: https://tinyurl.com/3dt3avxb
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aki1975 · 1 year ago
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Marlon Brando interpreta Marco Antonio nel film “Giulio Cesare” del 1953.
L’ascesa di Scipione l’Africano rappresentò il primo caso in cui Roma visse la tendenza al cesarismo alla base delle successive contese. Contro alle tendenze conservatrici di Quinto Fabio Massimo e dei patrizi agrari, Scipione, leader di una fazione mercantile, riuscì a raccogliere i migliaia di volontari e gli importanti investimenti che furono necessari alla campagna di Zama.
L’ampliamento del dominio di Roma non solo all’Italia Centrale, ma alla Magna Grecia, all’Italia Settentrionale, alla Gallia Narborense, alla Spagna, all’Africa ed alla Grecia crea una disparità fra provincie, colonie a territori soggetti in modi diversi a Roma. Un’organizzazione basata sull’oligarchia cittadina rappresentata dal Senato non poteva essere sufficiente.
Inoltre l’estensione dei territori non coincise con una distribuzione equa delle terre: si creano latifondi in mano a patrizi ed equites e classi popolari che finirono per farsi assoldare da nuove leadership demagogiche: con Mario gli eserciti cominciano ad essere stipendiati dai comandanti anziché essere costituiti da cittadini.
Questa dialettica fra vecchia classe senatoria e nuove élite produsse gli scontri della fase finale della Repubblica:
- le riforme dei Gracchi, nipoti di Scipione l’Africano, volte a redistribuire il territorio in modo più equo e concluse con la morte di Tiberio Gracco (133 a. C.), di Caio Gracco (121 a. C.) e di Marco Druso (91 a. C.);
- la guerra civile fra Mario e Silla che terminò con la dittatura di quest’ultimo nel 82 a. C.;
- la congiura di Catilina (62 a. C.);
- il primo triumvirato (60 a. C.), patto privato fra Cesare, Pompeo e Crasso con cui i tre si accordano per spartirsi le cariche in cambio di vantaggi politici: Cesare fa approvare la distribuzione delle terre ai veterani di Pompeo ed ottiene in cambio di partire per le Gallie;
- l’inizio della campagna delle Gallie (58 a. C.) con cui Cesare mira a crearsi le clientele e la fedeltà delle legioni necessarie per l’avanzamento della carriera politica;
- la sconfitta a Carre e la morte di Crasso (53 a. C.) con cui si incrina il primo triumvirato;
- i disordini che a Roma videro fronteggiarsi le bande del cesariano Clodio e del pompeiano Milano con il conseguente assassinio di Clodio (52 a. C.)
- la seconda guerra civile fra Cesare e Pompeo terminata con la sconfitta di quest’ultimo a Farsalo (48 a. C.), con la vittoria di Cesare nella guerra di successione egiziana in cui conosce Cleopatra (47 a. C.), con il suicidio di Catone a Utica (46 a. C.) e con la sconfitta di Labieno e di Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno a Munda (45 a. C.);
- le Idi di marzo del 44 a. C. in cui fu assassinato Cesare da parte di molti congiurati fra i quali Cassio e Bruto, figlio di Servilia (sorella di Catone l’Uticense) dopo alcuni provvedimenti di dubbia costituzionalità da parte dello stesso Cesare;
- il triumvirato fra Ottaviano, Antonio e il cesariano Lepido del 43 a. C. per sconfiggere i congiurati battuti a Filippi nel 42 a. C.;
- mentre Antonio ripudia Ottavia per Cleopatra, Ottaviano sposa Livia Drusilla, di famiglia anti-cesariana nel 38 a. C.;
- il terzo conflitto, fra Ottaviano ed Antonio, la cui resa dei conti ad Azio (31 a. C.), grazie alla vittoria di Agrippa, aprì la via al Principato di Augusto.
Lo sviluppo dell’economia schiavistica ebbe poi come contraltari:
- la necessità di sedare le rivolte servili: la più nota è quella del 70 a. C. guidata da Spartaco;
- la lotta alla corruzione: sempre del 70 a. C. sono le Verrine di Cicerone.
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jacopocioni · 2 years ago
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La cavallerizza medicea in Piazza San Marco
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Come tutti sappiamo, in passato a Firenze si tenevano varie corse di cavalli: il Palio dei Cocchi, la Corsa dei Barberi giusto per ricordarne qualcuna. Per preparare i giovani al maneggio dei cavalli, un contributo fondamentale fu dato dalla Cavallerizza Medicea, in Piazza San Marco, nel palazzo oggi in uso all’Università. In una lettera di Scipione Ammirato a Cristina di Lorena, moglie di Ferdinando I, lo scrittore si compiace con la Granduchessa per avere assistito agli esercizi dei suoi paggi nelle stalle di San Marco, premiandoli ed onorandoli. L’Ammirato tesse lodi di “quella nobile invenzione” tramite la quale, giocando e quasi scherzando si impara l’arte “di difendere i regni e di conquistarli”.
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I cavalli da maneggio venivano custoditi nelle scuderie di San Marco fin dal 1515, in un locale appositamente costruito per questo scopo da Lorenzo de’ Medici Duca di Urbino. Nel 1512 Lorenzo di Piero de’ Medici, tornato da Roma assieme alla madre, vide che Giuliano aveva creato la Compagnia del Diamante; anche lui ne volle creare una e le dette il nome di Compagnia del Broncone. Entrambe le Compagnie avevano un forte richiamo alle “imprese” di Lorenzo il Magnifico e si dedicarono all’organizzazione del carnevale del 1513. I Medici non avevano mai disdegnato di partecipare alle feste che coinvolgevano tutti i cittadini e in cui sacro e profano, fin dal Medioevo, venivano costantemente mischiati. Sacre rappresentazioni e feste a tema mitologico, composizioni musicali e poetiche dotte, ricercatezza ed eleganza nei costumi e negli allestimenti si univano ed espressioni più spontanee e a spunti popolari. Per la realizzazione di questi apparati festivi venne coinvolto Andrea del Sarto, come pittore e architetto di uno dei carri della compagnia del Diamante; nella stessa occasione Jacopo Carucci fece il suo esordio pubblico impegnato nella realizzazione di gran parte dei dipinti che ornavano i carri. Il tema scelto per decorare i carri della Compagnia del Diamante fu quello delle tre età dell’uomo. Anche la Compagnia del Broncone si ispirò a temi antichi, facendo rappresentare nei trionfi figure mitologiche e personaggi della storia romana, che avevano come scopo quello di celebrare l’Età dell’oro, allusione non troppo velata alla rinascita di Firenze grazie al ritorno dei Medici.
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Le due Compagnie festeggiavano e gareggiavano onorevolmente insieme. Quando salì al governo di Firenze Cosimo I, fece rinnovare le scuderie, istituendovi una “scuola di cavallerizza”. Si deve poi a Francesco I lo sviluppo della scuola: fuori dalle stalle fece costruire una Nizza (recinto) per le esercitazioni ippiche e specialmente per “correr la lancia”. Toccò poi a Ferdinando I ampliare la cavallerizza, ingrandendo i portici, gli stanzoni e tutti gli altri annessi e facendovi dipingere da Alessandro Allori “i sei più pregiati cavalli, che allora vi si trovassero, di vario pelame e delle più nobili e famose razze”. Tutto questo lo si può leggere nelle “Notizie istoriche delle chiese fiorentine” di Giuseppe Richa: “Sono le Stalle de’ Cavalli di rispetto del Serenissimo Gran Duca, che sono in gran numero, e servono per il solo esercizio della Cavallerizza, e per le Feste solenni nelle Cavalcate; in faccia di un Corridore, che vi è coperto per poter fare gli esercizi in tempo di pioggia, sono dipinti al naturale sei cavalli di mano di Alessandro Allori, i quali sono oltremodo vaghi, mostrando ognuno di loro diversa attitudine e varia movenza; e fuori di quelle stalle una Nizza, ove si esercita la gioventù nel correre la lancia.» Sin qui il Cinelli, tralasciando parecchie notizie necessarie a fare il giusto concetto di sì famoso luogo. Avrebbe adunque dovuto dire, che i Cavalli di rispetto già quivi stavano fino dal 1515, avendo murato quello luogo Lorenzo de’ Medici Duca d' Urbino, prima che il Duca Cosimo I v’istituisse la scuola di maneggiar cavalli, ingrandendo col ricetto capace di 150 cavalli alcuni stanzoni in volta retta da 64 colonne di pietra serena d’ ordine dorico , ed altre appartenenze utilissime. Ha pure tralasciato di riportare due iscrizioni, che sono le seguenti : La prima, posta alla Nizza. FRANCISCUS MEDICES MAGNUS ETRUSCO. DUX II. QUOD NOBILISSIMO ADOLESCENTIUM QUI EQUESTRI SPLENDORE SE ORNARI CUPIUNT IN PRIMIS 1° ANNIS FRATRIS COMMODO FIERET HUNC IN EQUO SE EXERCENDl LOCVM EXTRII IUSSIT RUSTICO PICARDINIO EQUOR. MAGISTRO ANNO . D . CIO . IO . L . XXXVI. La seconda, sotto la Loggia. FERD. MED. M. D. ETRURIAE III. UMBRATILE CURRICULUM AD EXERCENDAM IOVENTUTEM FLOR. EQUESTRIS MILITIAE STUDIOSAM ET AD DIRIGENDA CORPORA EQUORUM AEDIFICANDUM PINGENDUM ORNANDUM CURAVIT AN. D. MDLXXXXII
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Gabriella Bazzani
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pandaemoniumpancakes · 2 years ago
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Marco Basaiti, Adam, 1504, oil on panel, 152 x 84 cm, Galleria Borghese. 
Marco Basaiti, Eve, 1504, oil on panel, 152 x 84 cm, Galleria Borghese. 
   “Pendant to the Adam, the painting was part of Scipione Borghese’s collection. Several fragmentary, no longer visible, letters in the scroll on the trunk of the tree next to Eve have been read as ‘Zambellin’, the diminutive of the famous painter Giovanni Bellini. However, in 1925 the panels were assigned to Bellini’s disciple Marco Basaiti, an attribution subsequently accepted by scholars. There are clear references to the engraving, drawings, and paintings portraying the same subjects by the great German artist Albrecht Dürer before, during, and right after his second stay in Venice (1505-1507).”
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elcinelateleymickyandonie · 4 years ago
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Marcello Mastroianni.
Filmografía
1939 - Marionette, dir. (Carmine Gallone)
1941 - La corona de hierro (Alessandro Blasetti)
1942 - Regeneración (Mario Camerini)
1944 - I bambini ci guardano (Vittorio De Sica)
1948 - I miserabili (Riccardo Freda)
1949 - Vent'anni (Giorgio Bianchi)
1950 - Cuori sul mare (Giorgio Bianchi)
1950 - Domenica d'agosto (Luciano Emmer)
1950 - Vita da cani (Vida de perros) (Mario Monicelli y Steno)
1950 - Atto d'accusa (Giacomo Gentilomo)
1951 - Parigi è sempre Parigi (París, siempre París) (Luciano Emmer)
1951 - L'eterna catena (Anton Giulio Majano)
1952 - Le ragazze di piazza di Spagna (Tres enamoradas o Las muchachas de la plaza de España) (Luciano Emmer)
1952 - Sensualità (Clement Fracassi)
1952 - Storia di cinque città (episodio: Passaporto per l'Oriente, Romolo Macellini, [RE: 1949])
1952 - La muta di Portici (Giorgio Ansoldi)
1952 - Il viale della speranza (Dino Risi)
1953 - Gli eroi della domenica (Los héroes del domingo) (Mario Camerini)
1953 - Penne nere (Oreste Biancoli)
1953 - Febbre di vivere (Claudio Gora)
1953 - Lulù (Fernandino Cerchio)
1953 - Non è mai troppo tardi (F. W. Ratti)
1954 - Tragico ritorno (Pier Luigi Foraldo)
1954 - La valigia dei sogni (Luigi Comencini)
1954 - Cronache di poveri amanti (Carlo Lizzani)
1954 - Tempi nostri (Nuestro tiempo) (episodio: Il pupo, Alessandro Blasetti)
1954 - La principessa delle Canarie (Tirma) (P. Moffa, C. Serrano de Osma)
1954 - La schiava del peccato (La esclava del pecado) (R. Matarazzo)
1954 - Casa Ricordi (C. Gallone)
1955 - Giorni d'amore (Días de amor) (G. De Santis)
1955 - Peccato che sia una canaglia (La ladrona, su padre y el taxista) (Alessandro Blasetti)
1955 - La bella mugnaia (La bella campesina) (Mario Camerini)
1955 - Tam tam mayumbe (Cuando suena el tam-tam) (Gian Gaspare Napolitano)
1955 - La fortuna di essere donna (La suerte de ser mujer) (Alessandro Blasetti)
1956 - Il bigamo (El bígamo) (Luciano Emmer)
1957 - Padri e figli (Padres e hijos) (Mario Monicelli)
1957 - Le notti bianche (Noches blancas) (Luchino Visconti)
1957 - La ragazza della salina/Harte manner heisse liebe (Frantisek Cáp)
1957 - Il momento più bello (Luciano Emmer)
1957 - Il medico e lo stregone.
1958 - I soliti ignoti (Rufufú) (Mario Monicelli)
1958 - Racconti d'estate (Sirenas en sociedad) (G. Franciolini)
1959 - Un ettaro di cielo (Una hectárea de cielo) (Aglauco Casadio)
1959 - La legge (La ley) (Jules Dassin)
1959 - Amore e guai (Angelo Dorigo)
1959 - Contro la legge (Fiavio Calzavara, [RE:1950])
1959 - Il nemico di mia moglie (El enemigo de mi mujer) (Gianni Puccini)
1959 - Tutti innamorati (Papá se ha enamorado) (Giuseppe Orlandini)
1959 - Fernando I, re di Napoli (G. Franciolini)
1960 - La dolce vita (Federico Fellini)
1960 - Adua e le compagne (Adua y sus amigas) (A. Pietrangeli)
1960 - Il bell'Antonio (El bello Antonio) (Mauro Bolognini)
1961 - La notte (La noche) (Michelangelo Antonioni)
1961 - L'assassino (El asesino) (Elio Petri)
1961 - Fantasmi a Roma (Fantasmas de Roma) (A. Pietrangeli)
1961 - Divorzio all'italiana (Divorcio a la italiana) (Pietro Germi)
1962 - Vie privée (Una vida privada) (Louis Malle)
1962 - Cronaca familiare (Crónica familiar) (Valerio Zurlini)
1963 - Otto e mezzo - 8½ (Ocho y medio) (Federico Fellini)
1963 - I compagni (Los camaradas) (Mario Monicelli)
1964 - Ieri, oggi, domani (Ayer, hoy y mañana) (Vittorio De Sica)
1964 - Matrimonio all'italiana (Matrimonio a la italiana) (Vittorio De Sica)
1965 - Casanova '70 (Mario Monicelli)
1965 - La decima vittima (La víctima nº 10) (Elio Petri)
1965 - Oggi, domani, dopodomani (episodios: L'uomo dei 5 palloni, L'ora di punta, La moglie bionda) (E. De Filippo, Marco Ferreri, L. Salce)
1965 - L'uomo dei cinque palloni (Marco Ferreri)
1966 - Io, io, io... e gli altri (Yo, yo, yo... y los demás) (Alessandro Blasetti)
1966 - Spara forte, più forte, non capisco (Dispara fuerte, más fuerte, no lo entiendo) (E. De Filippo)
1967 - Lo straniero (El extranjero) (Luchino Visconti)
1968 - Questi fantasmi (Renato Castellani)
1968 - Amanti (Vittorio De Sica)
1968 - Diamonds for Breakfast (Christopher Morahan)
1970 - Giochi particolari (Franco Indovina)
1970 - Dramma della gelosia - tutti i particolari in cronaca (El demonio de los celos) (Ettore Scola)
1970 - Los girasoles (I girasoli) (Vittorio De Sica)
1970 - Leo the Last (John Boorman)
1971 - Fellini Roma.
1971 - Correva l'anno di grazia 1870 (TV) (Alfredo Giannetti)
1971 - Permette? Rocco Papaleo (Ettore Scola)
1971 - Scipione detto anche l'africano (Luigi Magni)
1971 - La moglie del prete (Dino Risi)
1971 - Ça n'arrive qu'aux autres (Nadine Trintignant)
1972 - Liza / La cagna (Marco Ferreri)
1972 - What? (Roman Polanski)
1973 - L'événement le plus important depuis que l'homme a marché sur la lune (Jacques Demy)
1973 - Allonsanfan (Paolo y Vittorio Taviani)
1973 - Mordi e fuggi (Dino Risi)
1973 - La Grande Bouffe (Marco Ferreri)
1973 - Muerte en Roma (Rappresaglia, de George P. Cosmatos)
1973 - Salut l'artiste (Yves Robert)
1974 - Ne touche pas à la femme blanche (Marco Ferreri)
1974 - C'eravamo tanto amati / Una mujer y tres hombres / (Nos habíamos querido tanto) cameo (Ettore Scola)
1975 - La pupa del gangster (Giorgio Capitani)
1975 - Per le antiche scale (Por las antiguas escaleras) (Mauro Bolognini)
1975 - La donna della domenica (Salvatore Santamaria)
1976 - Todo modo (Elio Petri)
1977 - Una giornata particolare (Ettore Scola)
1978 - Bye bye monkey (Marco Ferreri)
1978 - Cosi come sei (Alberto Lattuada)
1980 - Città di donne (Federico Fellini)
1981 - La piel (Liliana Cavani)
1983 - Gabriela, Cravo e Canela (Naib)
1983 - Historia de Piera (Marco Ferreri)
1985 - Le due vite di Mattia Pascal (Mario Monicelli)
1985 - Maccheroni (Ettore Scola)
1986 - Ginger e Fred (Federico Fellini)
1987 - Ojos negros (Nikita Mikhalkov)
1987 - O melissokomos (El apicultor) (Theo Angelopoulos)
1989 - Splendor (Ettore Scola)
1990 - Stanno tutti bene de Giuseppe Tornatore .... como Matteo Scuro
1991 - Le voleur d'enfants (Christian de Chalonge)
1992 - Used People (Romance otoñal), de Beeban Kidron
1993 - Un, deux, trois, soleil, de Bertrand Blier
1993 - De eso no se habla (Maria Luisa Bemberg)
1994 - Prêt-à-porter (Robert Altman)
1995 - Al di là delle nuvole (Michelangelo Antonioni y Wim Wenders)
1995 - Sostiene Pereira (Roberto Faenza)
1995 - Trois vies & une seule mort (Tres vidas y una sola muerte) (Raúl Ruiz)
1995 - Las cien y una noches (Agnès Varda)
1997 - Viagem ao Princípio do Mundo (Viaje al principio del mundo) (Manoel de Oliveira).
Premios y nominaciones
Premios Oscarː
1963 - Mejor Actor: Divorcio a la italiana
1978 - Mejor Actor: Una jornada particular
1988 - Mejor Actor: Ojos negros
Festival Internacional de Cine de Cannes
1970 Mejor actor
1987 Mejor actor
Distinciones honoríficas
- Caballero Gran Cruz de la Orden al Mérito de la República Italiana (1994)
- Gran Oficial de la Orden al Mérito de la República Italiana (1987).
Créditos: Tomado de Wikipedia
https://es.wikipedia.org/wiki/Marcello_Mastroianni
#HONDURASQUEDATEENCASA
#ELCINELATELEYMICKYANDONIE
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docdm · 4 years ago
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Scipione Rebiba, Cardinale-Presbitero di S. Pudenziana, Arcivescovo di Pisa.
Secondo lo studioso di genealogia episcopale Charles Bransom, è uno dei più antichi vescovi del quale si conoscano con certezza i dati sulle ordinazioni episcopali: più del 95% degli oltre 5200 vescovi viventi lo pongono al vertice della propria genealogia episcopale, inclusi papa Francesco e tutti i suoi predecessori ininterrottamente a partire da papa Clemente XI.
Nacque a San Marco, piccolo centro siciliano arroccato su una collina dei monti Nebrodi, a quel tempo facente parte dell'arcidiocesi di Messina, il 3 febbraio 1504 da Francesco e Antonia Lucia Filingeri.  Intraprese gli studi giuridici a Palermo, conseguendo la laurea in utroque iure, e quelli teologici. Ricevette gli ordini minori e quelli maggiori negli anni 1524-1528, mentre era arcivescovo Giovanni Carandolet, e fu insignito di un beneficio nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli di Palermo.
In seguito, intorno agli anni 1536-1537, si trasferì a Roma, venendo a contatto con la giovane congregazione dei Chierici Regolari, ed entrò al servizio del cardinal Gian Pietro Carafa, vescovo di Chieti e Protonotario Apostolico presso la Curia Romana. In rappresentanza del Carafa assunse il governo della diocesi di Chieti e da papa Paolo III, il 16 marzo 1541, fu nominato vescovo titolare di Amiclae e vicario generale della chiesa teatina.  
Per una singolare circostanza il Rebiba si colloca all'origine della linea ascendente della successione apostolica della maggioranza dei vescovi della Chiesa cattolica. Coloro che hanno inteso ricostruire le genealogie episcopali dei romani pontefici e dei vescovi si sono tutti arrestati al Rebiba, oltre il quale, ad oggi, non è possibile risalire.
Vescovo titolare di Amicle(1541-1555)
Vescovo ausiliare di Chieti(1541-1555)
Vescovo di Mottola (1555-1556)
Cardinale presbitero di Santa Pudenziana (1556-1565)
Arcivescovo metropolita di Pisa (1556-1560)
Primate di Sardegna e Corsica (1556-1560)
Arcivescovo-vescovo di Troia (1560)
Camerlengo del Collegio Cardinalizio (1565-1567)
Cardinale presbitero di Sant'Anastasia (1565-1566)
Patriarca titolare di Costantinopoli (1565-1573)
Cardinale presbitero di Sant'Angelo in Pescheria(1566-1570)
Cardinale presbitero di Santa Maria in Trastevere(1570-1573)
Grande Inquisitore della Congregazione della Romana e Universale Inquisizione (1573-1577)
Cardinale vescovo di Albano (1573-1574)
Cardinale vescovo di Sabina (1574-1577)
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pangeanews · 5 years ago
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Oggi Leopardi compie gli anni. Insieme agli auguri, sveliamo l’autore che il divo Giacomo ha “plagiato” per scrivere “L’infinito”. Ovvero, modesta proposta per una storia della letteratura italiana alternativa
Senza Amore, sottotitolo L’ultimo capitolo della letteratura italiana, è l’ultimo testo scritto da Andrea Sciffo, insegnante di liceo, poeta, novellista e saggista, edito dalla rivista digitale sui generis Il Covile, cui l’autore monzese contribuisce regolarmente con meditazioni che hanno in due viennesi, Hofmannsthal e Illich, in due lombardi, Corti e Quadrelli, e in Simone Weil, i puntelli di un pensiero radicalmente altro – cristiano, cattolico, dunque fedele all’intuizione poundiana per cui il sentire (per esempio: il potere della musica) unisce, col cuore, nella carne, mentre il pensare (per esempio: il vuoto cerebralismo) divide, nella mente, nelle idee, o meglio nelle ideologie, quindi negli ideologismi, nonché all’et-et asburgico, tardobarocco e antimoderno – insomma controcorrente rispetto alla letteratura e alla critica gnostica, e a-gnostica, del XX e XXI secolo.
*
Lui è Andrea Sciffo
Senza Amore, sottotitolo L’ultimo capitolo della letteratura italiana, perché tale è secondo la sua tesi la storia delle patrie lettere, da intendersi come letteratura post-unitaria (l’equazione di base è proprio questa e vale a dire che tutto ciò che è post-unitario si colloca in un ambiente decisamente post-amoroso) ossia della falsa patria di nome “Italia” e non delle sue singole parti – le quali soffrono tuttavia di una falsa “identità” che si fonda appunto sulla totale mancanza d’amore, da cui deriva, e che deriva, da una storia anch’essa “senza amore” che abbraccia – o meglio strangola –, soffocandola in una stretta mortale tutta la letteratura italiana – o meglio italofona –, a partire dal cronologismo (“la crudeltà di Chronos”, ovvero “il male radicale”, scriveva il leibniziano Gilles Deleuze a proposito del naturalismo di Émile Zola) che limita le scuole e la scuola.
Si tratta ovviamente dello storicismo e dello scuolismo dei Tiraboschi prima e poi dei De Sanctis, dei Croce, e infine dei Ferroni, dei Sapegno, contro i quali Sciffo scrive in quello che si direbbe un piccolo pamphlet, non fosse che quello pamphlettario è un tono che non appartiene alle sue sue corde, cor–cordis, al suo cuore, libero dal grottesco gioco delle parti di cui è vittima un paese preso tra Commedia dantesca (cf. Inf.) e quotidiana commedia farsesca – “senza amore”.
*
“Se esiste una definizione sintetica che possa abbracciare la letteratura italiana nella sua interezza, […] è proprio questa endiadi che consta delle due sole parole che non andrebbero mai accostate. Se è senza amore la storia delle patrie lettere, a maggior ragione lo sono anche le storie individuali dei singoli che popolano la cultura italica, cresciuti nel suo cono d’ombra come tanti arlecchini senza arte né parte”.
Così esordisce Sciffo puntellandosi, o meglio, come scrive egli stesso facendo eco a una massima apocrifa metà anni Cinquanta di Noventa, che denunciava come tutta la cultura ufficiale italiana fosse fondata sugli errori della scuola torinese, e così la scuola di Stato, lo stato delle cose delle stantie scuole “scuolastiche” ancora e sempre deamicisiane (Cuore) basate a loro volta sulla continua coscrizione degli studenti e cittadini (senza amore e ormai senza civitas) e sul disamore quale condizione forse irrimediabile in assenza della parola-chiave che è summa di tutti gli affetti e aspetti (eros, agàpe, filìa, storghé, dilectio) del sommo affetto – per rilanciare poi l’idea di un apprendimento più libero – non meno impegnato – con mezzi propri – magari più essenziale – anche in povertà – anarcronistico nel senso di libero dal potere del tempo –  come Pinocchio.
“[…] E poi verrebbe la grande amorosa agnizione, un ritrovarsi in armonia con l’altro da sé, una catarsi purificatrice del gran difetto del soggetto moderno: l’ipocrisia. La vecchia pagliacciata sarebbe finita e soltanto i suoi estremi attori fingerebbero di non accorgersene: il trucco scivolato dalle guance e i costumi logori; le battute del copione prevedibili e comunque i guitti ne dimenticano ogni volta una o due”.
Come Pinocchio con un libro trovato quasi per caso, o con la convivialità, tema fondamentale del pensiero di Illich, oppure nella natura, o nello spazio rurale, come fece la Weil, due ambiti quasi del tutto assenti tra gli autori “italiani” del XIX e XX secolo – certo con qualche eco nella Brianza di Manzoni, nella Padanìa della Scapigliatura, nel Veneto di Comisso, di Zanzotto, ma di norma declinati in senso atrocemente negativo come sul Vesuvio di Leopardi, nella Sicilia di Pirandello, di Verga, in Cristo si è fermato a Eboli, e nella Roma di Moravia, di Pasolini, tanto per citare degli esempi d’altri universi etnici e letterari.
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Senza Amore, sottotitolo L’ultimo capitolo della letteratura italiana, e le ultime pagine sono proprio quelle di Manzoni, e soprattutto di Leopardi, alle quali non è corrisposto secondo Sciffo nessun rinascimento – essendo stato il cosiddetto risorgimento politico la fine, – quanto un trionfo – sancito dalle istituzioni, dagli scuolismi, e dalla scuola, – di una serie d’istanze tipicamente leopardiane come il senso del dolore e della noia, tra erudizione e freddezza, e della figura del “letterato” denunciato dalla Weil, proprio a proposito del poeta recanatese cui Sciffo oppone il dalmata Tommaseo, che considera ben superiore.
Dietro c’è una vera e propria censura, ovvero l’ostilità verso tutta la letteratura del Seicento, parallela a quella ancor più dichiarata dei Savoia e di tutto il risorgimento nei confronti del Barocco, del Tardo-Barocco, con la sua Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte “totale” che va dalla figurazione pittorica alla parola alla musica alle figure architettoniche che negli esiti del movimento controriformista trovò un altro ultimo capitolo (nel 1866 nel monastero cretese di Arkadi, unico esempio greco ortodosso di Barocco, dava rifugio a dei martiri resistenti agli ottomani – nel mentre da cinque anni gli “italiani” inneggiavano al fatto di essersi cinti il capo con l’elmo pagano appartenuto a Scipione l’Africano)… – e nelle lettere autori come Filicaia, Magalotti, Maggi, Menzini, Redi, Salvini… – e De Lemene, che secondo Sciffo fu plagiato proprio dal poeta de L’infinito…
“Riempie il tutto, e se fingendo io penso / oltre al confin de’ vasti spazij, e veri, / deserti imaginati…”.
Questi versi sono tratti da una raccolta di poesie sacre edita a fine Seicento, e che per Sciffo “quasi certamente Leopardi plagiò per poi rifonderli forse inconsciamente nel più celebre dei suo i Canti”. Così come nel libro Sette giornate del mondo creato (1686) “per esempio […] le due terzine con cui Giuseppe Girolamo Semenzi immortalò Il passero solitario [sic]”, con queste melodiose parole: “Sto poetando al ciel ne l’erma cella / talora e far godo la vita anch’io / selvaggia quanto più, tanto più bella, // Passero solitario è detto pio. / Gloria però del solitario è quella, / onde un bruto non è ma quasi un Dio”.
Come si può evincere dalla lettura del volume Arcadia edificante, edito da ESI a Napoli nel 1969 e curato da Carmine Di Biase, prima di Leopardi e della letteratura unitaria ovvero “senza amore” l’universo italofono era ben altro, dal “controcanto” lombardo a quello partenopeo con poeti che cantano il Creatore, le Creature, la loro creaturalità, e infatti un terzo esempio che egli cita è una strofa – “strofa che espone il legame psicobiologico del poeta tardobarocco con la ‘natura’ sentita come simbiotico altro-da-sé con cui però è inevitabile la pulsione fusionale: in un processo di integrazione tra organico e inorganico che mi pare di una limpidezza mai più ottenuta in tempi recenti, per la quale il ‘creante’ viene chiamato ‘autore’ delle cose che un individuo sente come maggiormente intime e personali”.
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L’entità chiamata “Italia” – come ha fatto con la cultura di alcune sue regioni – come ha fatto recidendo l’albero che costituivano – che tali erano sotto occupazioni non più estranee – come sotto quelle cristiane spagnole e austriache – ha annichilito, annullato, o meglio emarginato, questo suo possibile “controcanto” che dice di un mondo  del tutto differente, radicato nella creaturalità, d’uomini connessi col Creato come lo sono i passeri, e gli alberi, e in cui l’autore, il poeta, non canta soltanto del suo dolore, della sua noia, ma anche e soprattutto della sua “comunione” con Dio, per tramite di ciò che è “altro-da-sé”.
In questo Sciffo è allievo della scuola-non-scuola della Weil, di Quadrelli, e dunque erede della vera tradizione, quella del Cristianesimo, della poesia di Hölderlin, del Tardo-Barocco, e della censurata “Arcadia edificante” di cui ha voluto testimoniare: non senza ma con amore.
Marco Settimini
L'articolo Oggi Leopardi compie gli anni. Insieme agli auguri, sveliamo l’autore che il divo Giacomo ha “plagiato” per scrivere “L’infinito”. Ovvero, modesta proposta per una storia della letteratura italiana alternativa proviene da Pangea.
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miamilatinnews · 2 years ago
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#ErosRamazzotti está listo para reunirse con su público del otro lado del océano. Así, comenzará el 30 de octubre en Los Ángeles el #BattitoInfinitoWorldTour para la que ya se han anunciado las primeras 70 fechas en todo el mundo: una gira colosal que pone la música en directo en el centro de todo el programa, con una banda excepcional compuesta por músicos históricos y recién llegados: Luca Scarpa (Director musical, piano), Eric Moore (Batería), Giovanni Boscariol (Teclados), Giorgio Secco y Luca Mantovanelli (Guitarra), Paolo Costa (Bajo), Marco Scipione (Saxo), Dario Tanghetti (Percusión). Mientras que Monica Hill y Roberta Gentile (Coros) acompañarán la voz de Eros. https://www.instagram.com/p/CkRe83qui_-/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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pumpkinbooger · 3 years ago
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CHRIST BLESSING
end of 15th century - beginning of 16th century
Marco d’Oggiono, attributed
(Oggiono c. 1470 - c. 1530)
Given in 1611 by Paul V to his nephew Scipione Borghese, this panel came into the gallery with the name of Leonardo da Vinci, an attribution that has remained unchanged until recently, when it was unanimously attributed to Marco d’Oggiono. The work’s affiliation to Leonardo’s dictates is so strong that the critics assumed that it derived from a prototype by the Master; on the other hand, it is likely that the painting is the full development of inspirations from a series of sketches left by Leonardo and personally reinterpreted by the artist.
The iconographic style of the work is evocative, drawing the image from the Byzantine tradition of the ‘Christ Pantocrator’, whose right hand gesture alludes to the mystery of the Holy Trinity. The proximity to Leonardo’s style is solidly confirmed in the meticulous and faithful rendering of the earth’s surface, updated using the new knowledge acquired by the explorations at the end of the century.
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koufax73 · 3 months ago
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Marco Scipione: "New Rise" è il nuovo singolo
Marco Scipione inaugura il proprio progetto solista con New Rise, un pezzo ipnotico e coinvolgente in cui il sassofono si prende la scena lasciando a bocca aperta chi ascolta. Un approccio totalizzante e innovativo, che estrae lo strumento dal ruolo di comprimario lasciandolo libero di respirare e creare una bolla sonora capace di avvolgere e stregare. Superando qualsiasi barriera di genere e…
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fondazioneterradotranto · 5 years ago
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Nuovo post su https://is.gd/KePsKR
La settecentesca accademia di S. Vito dei Normanni (1/2)
di Armando Polito
Inutile cercarla  in rete o in biblioteca, almeno che non si ricorra, sapendolo, all’unica fonte esistente, vale a dire un manoscritto (ms_F/7) del XVIII secolo custodito nella biblioteca pubblica arcivescovile “Annibale De Leo” a Brindisi. Quello delle accademie è un fenomeno molto diffuso nei secoli passati e se ne ebbero di tutti i gusti, nel senso che i temi in esse dibattuti potevano essere di natura scientifica, filosofica o, in senso lato, letteraria. Tra le accademie letterarie chi non ha almeno una volta sentito parlare dell’Arcadia, fondata a Roma nel 1690 da Giovanni Mario Crescimbeni e della quale negli anni furono pastori (così si chiamavano i soci) anche parecchi salentini1?
Non tutta la produzione di ogni accademia ebbe il privilegio di esser data alle stampe e non mancano casi, come il nostro, in cui solo una fortuita e fortunata circostanza consente di liberarne, magari solo parzialmente, la memoria dalla polvere del tempo e dalla limitatissima frequentazione tipica dei manoscritti: in fondo, se è lecito paragonare le piccole cose alla grandi, pure Fleming scoprì la penicillina per caso …
Il manoscritto, in gran parte inedito (solo pochi componimenti di pochi autori sono stati pubblicati da Pasquale Sorrenti in La Puglia e i suoi poeti dialettali: antologia vernacola pugliese dalle origini ad oggi, De Tullio, Bari, 1962; ristampa Forni, Sala Bolognese, 1981; una copia è custodita nella biblioteca “Achille Vergari” di Nardò), del quale ci accingiamo a leggere una parte (è mia intenzione, se avrò vita e voglia, di pubblicarlo integralmente), è una sorta di diario, con allegata documentazione, delle assemblee tenute dai componenti di un’accademia che si riuniva a S. Vito in casa del principe Fabio Marchese2.
Il tutto ricalca perfettamente, anche nei dettagli (tra i quali spicca la finalità, in alcuni casi, dichiaratamente  encomiastica) le coeve pubblicazioni a stampa di altre accademie, in primis l’Arcadia, con l’unica differenza che non risultano indicati  i soprannomi  che i singoli pastori si davano. Se i temi trattati non fossero seri (con preponderanza di quelli religiosi) qualcuno potrebbe ritenere che l’Accademia di San Vito fosse un’associazione di buontemponi , anche perché, come vedremo, ad un certo punto gli associati l’11 giugno 1730 elessero a loro principe (un ruolo parallelo a quello che nell’Arcadia era ricoperto dal custode), come vedremo, Vito Petrino, un ragazzo di appena quattordici anni, al quale spettava esprimere un giudizio sulla questione del giorno trattata prima in due parti da due distinti componenti dell’assemblea; per giunta, l’imberbe fanciullo succedeva al principe della precedente (o, più precisamente, la prima registrata) riunione del 5 marzo 1730, il sacerdote Francesco Ruggiero, che molto probabilmente, come vedremo in seguito, è lo stesso che sarebbe diventato arciprete della chiesa maggiore (S. Maria della Vittoria) dI S. Vito dei Normanni.
Vito Petrino fu principe anche della terza riunione del  5 novembre 1730; le successive (17 gennaio, 2 aprile e 14 marzo del 1731 e 1 gennaio e 12 febbraio 1738) non ebbero principe. L’elezione a principe di Vito Petrino è celebrata nella carta che di seguito riproduco.
c. 54r
Eiusdem ad Illustrem Dominum Vitum Petrinum quarto decimo anno natum, qui prò excellentia virtutis Princeps praesentis Achademiae conspicitur. Sexasticon
  Laudibus es dignus, laudes Petrine mereris,
rethoricas artes dum studiosus amas.
Tu puer egregia fulges Demostenis arte.
Laurea virtutum pendet ab ore tuo.
Sit tibi longa salus, sint Nestoris Anni,
ut Domui Lumen sis, patriaeque decus.
  Ad Dominam Victoriam Avossa Matrem eiusdem, prae gaudio flentem. Octasticon
  Mellifluo eloquio nati Victoria gaudes,
et lato ostendis corde tui lacrimas.
Mater amas, et amare licet sine crimine Natum,
virtutum comitem, moribus atque piis
apparent vultu, mentem quae gaudia tentant,
ex oculis meritò fletus ut unda fluit.
Laetare o felix, faciemque ostende serenam,
doctrinis Gnati laeta, iucunda fave.
            (del medesimo [Scipione Ruggiero] all’illustre Don Vito Petrino a 14 anni, che per eccellenza di virtù viene considerato principe della presente accademia. Esasticoa
  O Petrino, sei degno di lode, meriti lode, mentre diligente ami la retorica. Tu ragazzo risplendi nell’arte di Demosteneb dalla tua bocca pende l’alloro delle virtù. Abbia tu lunga vita, abbia tu gli anni di Nestorec, affinché tu sia luce per la famiglia e decoro per la patria.
  A Donna Vittoria Avossa3 madre del medesimo, piangente per la gioia. Ottasticod
  Tu, Vittoria, godi dell’eloquio del figlio e mostri per il tuo  gran cuore le lacrime. da madre tu ami ed è lecito amare senza distinzione il figlio compagno delle virtù e per i pii costumi appaiono in volto le gioie che accarezzano la mente, dagli occhi a ragione il pianto scorre come onda. Rallegrati, o felice e mostra il volto sereno, lieta del sapere del figlio, gioiosa applaudi)
______________  
a Epigramma di sei versi.
b Famoso politico e oratore greco del IV secolo a. C.
c Fu il più vecchio e il più saggio tra i sovrani greci che, sotto la guida di Agamennone, assediarono Troia.
d Epigramma di otto versi.
  Le altre carte che ho estrapolato e che ora riproduco costituiscono, per così dire, l’ossatura dell’intero manoscritto. La prima riunione avvenne il 5 marzo 1730, come testimonia la carta che segue
c. 12v
Problema Accademico ove vieppiù approfittara si puose un virtuoso nell’Accademie, ovvero nello solitario studio. Sostenuto nella Casa delli Signori de Leo dalli Signori clerici Don Carmine di Leo, e Signor Don Ortenzio di Leo, e giudicato dal Reverendo Signor Don Francesco Ruggiero Prencipe dell’Accademia a 5 marzo seconda Domenica di Quaresima 1730 Santo Vito
________
a Nel senso etimologico di giovare (quando ancora la collaborazione non aveva assunto il concetto egoistico con cui il verbo viene usato oggi).
  Spiccano i nomi della famiglia De Leo, soprattutto quello di Ortensio, esperto in legge, archeologo ed antiquario, zio di Annibale, il fondatore della biblioteca brindisina. Le carte 13r-14v riportano l’introduzione all’argomento a firma di Francesco Ruggiero, le 15r-19v l’intervento di Carmine De Leo, le 20r-25r quello di Oronzo De Leo (altro rappresentante della famiglia), la 25v il giudizio di Francesco Ruggiero, lo stesso che aveva introdotto l’argomento. Le carte 26r-36v contengono componimenti poetici di Carlo De Marco, Scipione Ruggiero (molto probabilmente parente di Francesco), Andrea De Leonardis (2), Vito Petrino (4), Oronzo Calabrese (2), Anselmo De Leo (2), Giuseppe Ruggiero (probabilmente parente di Francesco e di Scipione) (2), Francesco Ruggiero (2) (non recitato/come Prencipe non potè recitare), Giuseppe Milone, Ferdinando De Leo.
Di Carlo De Marco la stessa biblioteca conserva molti manoscritti costituenti il fondo del suo epistolario (alcune lettere sono indirizzate a Ferdinando De Leo).
Per quanto riguarda la famiglia De Leo a Carmine ed Ortensio (di lui nello stessa biblioteca si custodisce un manoscritto contenente la Vita di Gianfrancesco Maia Materdona di Mesagne, datata 1780, per cui vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/02/19/mattarella-la-cagnetta-mesagne-larcivescovo-brindisi/) si sono aggiunti Anselmo e Ferdinando, per la famiglia Ruggiero a Francesco si sono aggiunti Scipione e Giuseppe. La partecipazione, tenendo conto del numero dei componimenti inseriti per ciascuno o per ciascuna famiglia, appare abbastanza bilanciata. Al numero di contributi di Vito Petrino potrebbe non essere estraneo il fatto che appartenesse, magari solo per parentela, allo stretto entourage di Fabio Marchese2.
  La seconda riunione ebbe luogo il 14 giugno 1730, come si legge nella carta che segue.
c. 39r
Problema accademi: se San Vito avesse dimostrato magior costanza nella Fede per non sgomentarsi dalli minaccie de’ Tiranni, o pure per resistere alli vezi di bellissime sonzelle. Sostenuto nella Casa dell’Eccellentissimo Sig. Principe di Santo Vito dalli Signori Dottori D. Giacomo de Leonardis,e Ferdinando di Leo; e giudicato dal Signor Vito Petrino Principe dell’Accademia alli 14 di Giugno vigilia del detto Santo. 1730 ore 22
Le carte 40r-41v  contengono l’introduzione di Vito Petrino, le 42r-45v l’intervento di Giacomo De Leonardis, le 46r-50v quello di Ferdinando De Leo, le 51r-51v il giudizio di Vito Petrino, le 52r-89r i componimenti poetici di Scipione Ruggiero (6, il secondo3 e il quarto4 presentano un tema che ha dei punti di contatto con quanto riportato in nota 2), Andrea Felice De Leonardis (3), Domenico Oronzo Ruggiero (4), Fra’ Rosario Mazzotti di Brindisi, lettore filosofo dell’Ordine dei Predicatori (7; il sesto e il settimo, carte 73r-73v sono in dialetto), Lorenzo  (6), Teodomiro De Leo (4), Giuseppe Giovanni Greco (2), Carmine De Leo (11), Francesco Ruggiero (8), Fra’ Luigi Maria dell’ordine dei Predicatori (2), Fra’ Domenico dei Minori Osservanti, Fra’ Rusino da S. Vito dei Minori Osservanti (3), Fra’ Anselmo da S. Vito dei Minori Osservanti, Salvatore Calcagnuti, Giuseppe Ruggiero, Giuseppe Bardari (5), Ortensio De Leo (2), Giacinto Greco, Cosmo Greco di Taranto (2).
Da notare come ai precedenti sisono aggiunti nuovi nomi, come ai rappresentanti della famiglia De Leo si è aggiunto Teodomiro e come nell’elenco che ho riportato la parte del leone la recitano con il loro elevato numero di contributi Rosario Mazzotti con 7 componimenti e, soprattutto, Carmine De Leo con 11.
La terza riunione ebbe luogo il 5 novembre 1730, come si legge nella carta che segue.
c. 91r
Problema accademico. Qual renda più glorioso un principe: l’uso dell’esatta giustizia, o quello della clemanza? Tenuta in Casa dell’Eccellentissimo Signor Principe di S. Vito a 5 novembre giorno di domenica nell’anno 1730 coll’intervento dell’Illustrissimo D. Cono Del Vermea Vescovo d’Ostuni ad ore 22
_____
a Fu vescovo di Ostuni dal 1720 al 1747; di lui fu pubblicata la Dichiarazione fatta in favore della causa della venerabile madre suor Rosa Maria Serio carmelitana, s. n., Ostuni, 1747. Di Maria Serio si parlerà più avanti in riferimento a Vito Petrino.
Fino c. 92v prosegue l’introduzione di Vito Petrino Principe dell’Accademia. le carte 93r-100v  contengono l’intervento di Francesco Ruggiero, le 101r-108r quello di Giuseppe Bardari, le 108v-110r il giudizio di Vito Petrino Principe dell’Accademia, le 110v-129r i componimenti poetici di Vito Petrino, Cono Dello Verme Monsignore d’Ostuni (10), Giuseppe Marchese (probabilmente parente di Fabio), Angelo Lauresich canonico d’Ostuni (5), Carmine De Leo (4), Teodomiro De Leo (4), Fra’ Raimondo Arcuti di Ruffano lettore filosofo dell’Ordine dei Domenicani (2, il secondo, a c. 128r è in dialetto leccese), Giuseppe Ruggiero (2).
Altri nomi si sono aggiunti e tra essi spicca, anche per il numero di contributi, quello del vescovo dimOstuni Cono Luchini del Verme.
La quarta riunione si svolse il 17 gennaio 1731, come apprendiamo dalla carta che segue.
c. 129v
Assemblea accademica in occasione del natale dell’Eccellentissimo Signore D. Fabio Marchese tenuta nella Sala del detto Eccellentissimo Signore alli 17 gennaio giorno di mercordì festa di S. Antonio Abbate1731 ad ore 22.
Le carte 130r-140v contengono i componimenti poetici di Carmine De Leo (3, il secondo a c. 134r è ropalico), Ferdinando De Leo (7; il terzo a c. 138v è un anagramma purissimo letterale).
La c. 141r contiene il sonetto introduttivo di Teodoro De Leo alla sua commedia, che occupa le cc. 141v-146r. Le cc. 146v-156v ospitano componimenti di Ortensio De Leo (3), Giuseppe Ruggieri (2), Girolamo Bax, Oronzo De Leo (2), Francesco Ruggiero.
La quinta riunione si ebbe il 2 aprile 1731, come testimonia la carta che segue.
c. 161r
Problema accademico. Qual sia stato maggior portento del Glorioso San Francesco di Paola; l’entrar nel fuoco, e non abbruggiarsi o il passar il mare e non annegarsi. Tenuta nella Chiesa del Convento dei PP. Antoniani di Santo Vito a 2 aprile 1731 luned�� ad ore 21 giorno del detto Glorioso Santo
Le cc. 162r-171v contengono il discorso di Andrea Felice De Leonardis, le 172r-190v i componimenti di Scipione Ruggiero, Giuseppe Giovanni Greco (3), Francesco Ruggiero (2), Carmine De Leo (2), Ferdinando De Leo (5),Teodomiro De Leo (5), Ortensio De Leo (4).
La sesta riunione si svolse il 14 marzo 1731, come attesta la carta che segue.
c. 191r
  Problema accademico. Qual fusse stato magiore: il piacimento di Modesto nel’aver il Glorioso San Vito abbracciata la fede Cattolica, o la dispiacenza d’Ila nel’aver il detto Santo suo figlio lasciato l’infedeltà? Sostenuta la prima Parte dal Reverendo Signor D. Andrea Felice De Leonardis licenziato in Teologia, e la 2a parte fu sostenuta dal Dottor Signor D. Ferdinando di Leo. E la detta Accademia fu tenuta nella Maggior Chiesa della Terra di Santo Vitoa sotto li 14 del Mese di Giugno del 1731 Giorno di Giovedì viggilia del menzionato nostro Protettore Martire di Cristo Glorioso S. Vito. E s’incominciò ad ore 22 del suddetto giorno. Li discorsi de quali sono l’infrascritti.
14 marzo 1731 ore 22
_________
a È la chiesa di S. Maria della Vittoria.
Le cc. 192r-197v contengono L’intervento di Andrea Felice De Leonardis, le 198r-203r quello di Ferdinando De Leo; seguono alle cc. 204r-211r i componimenti di Francesco Ruggiero (2), Carmine De Leo, Teodomiro De Leo (3), Ortensio De Leo (4)
__________________
1 Sul tema vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/ 
2 Casimiro di S. Maria Maddalena, Cronica della provincia de’ Minori Osservanti Scalzi di S. Pietro Alcantara, Abbate, Napoli, 1729, tomo I, p. 234: Nell’anno 1698 la Terra di Martano assieme con Calimera dal medesimo D. Orazio Trani, Duca di Corigliano fu venduta a D. Girolamo Belprato Marchese, Principe di Crucoli, e S. Vito. Tomo 3 del Repertor. fog. 594, e Quintern. 185 fog. 86. Questa nobilissima Famiglia: Marchese prese ancora il Cognome Belprato, allorchè D. Giuseppe Marchese Principe di Crucoli, restò erede di D. Pompeo, e D. Bernardino Belprato, Conti d’Anversa in Appruzzo, che morirono senza Figli. A D. Giuseppe succedè D. Girolamo suddetto suo Figlio primo Signor di Martano. Nel mese di Novembre dell’anno 1676, aveva già presa per Moglie D. ELeonora Caracciolo de’ Marchesi dell’Amorosa. Da Lei ebbe il presente D. Fabbio suo Figlio Principe di Crucoli, e S. Vito, e secondo Signor di Martano. A’ 7 di Febbraio del 1700 sposò D. Fulvia Gonzaga, ch’er de’ più stretti Parenti del Duca di Mantova. Egli vive con una generosità, e magnificenza propria di Principe, onde pare, ch’abbia accresciuto maggiore splendore alla sua cospicua Famiglia. Sugli antenati di Fabio Marchese fino a quasi la metà del secolo XVII vedi Ferrante della Marra, Discorsi delle famiglie estinte, forastiere, o non comprese nei seggi di Napoli, Beltrano, Napoli, 1641, pp. 224-236.
3 Giuseppe Gentili, Vita della Venerabile Madre Rosa Maria Serio di S. Antonio, Recurti, Venezia, 1742, pp. 338-340: Molti altri miracoli trovo ancora registrati ne’ processi, operati dalla Serva di Dio nella Terra di S. Vito, uno de’ quali fu in persona dell’Eccellentissimo Signor Principe D. Fabio Marchesi Padrone di detta Terra. Ritrovandosi egli nel mese di Luglio dell’anno 1726 attaccato da Febbre maligna con pessimi segni, e sintomi mortali, e vedendo, che il male ogni giorno più l’opprimeva, senza ricevere giovamento alcuno da tanti medicamenti sperimentati, un giorno, in cui per la violenza del male neppure poteva sofferire un picciolo spiraglio di luce, onde gli conveniva star totalmente all’oscuro, gli sovvenne di ricorrere alla Serva di Dio Suor Rosa Maria, di cui aveva avuto in dono dalla Superiora del monastero di Fasano un Berrettino intriso del suo sangue. Chiamato pertanto un Giovane, che gli assisteva, per nome Vito Domenico Petrini, e fattogli prendere dal suo scrigno il detto Berrettin, con gran divozione, e con viva fede nei meriti della Serva di Di, applicollo alla sua testa, e indi a non molto comandò a’ suoi domestici, che aprissero le Finestre, e ad alta voce esclamò: – Io sto bene, ed ho ricevuto la grazia -. Quasi nel tempo medesimo sopraggiunsero i Medici, e disse loro, che voleva alzarsi, sentendosi bene in salute, per ispeciale miracolo della Serva di Dio; e quantunque i Medici lo trovassero netto di Febbre, nulladimeno non volevano accordargli l’uscir da lett, mentre non avendo egli avuta crisi alcuna, era cosa facile, che ritornasse la Febbre. Ma egli affidato nella protezione della sua liberatrice: – No – soggiunse loro – non tornerà, perché questa è grazia, ed io ho viva Fede nella Serva di Dio, che me l’ha fatta -. E in loro presenza volle alzarsi dal letto, né più lo molestò la Febbre, godendo poi una perfetta salute. Da questa miracolosa guarigione concepì il detto Signor Principe tale affetto, e fiducia verso la Serva di Dio, e tal confidenza nella sua Reliquia, che quante volte deve accingersi a qualche viaggio, la prima cosa, a cui rivolge il suo pensiero, è il premunirsi con la detta prodigiosa Reliquia, tenendo per certo, avere in essa uno scudo contra ogni pericolo, ed un forte riparo da tutte le disgrazie. Per mostrar poi la dovuta gratitudine, si è più volte portato apposta a venerarne il Sepolcro, e le Religiose di quel Monastero riconoscono nella persona di questo Principe uno de’ maggiori  Protettori del loro Istituto, ed un singolar promotore della Santità della loro V. Madre. Lo stesso Vito Domenico Petrini, del quale abbiamo poco di anzi fatto menzione, fu nel mese di Gennaio 1729 sorpreso da un gravissimo dolore di petto con febbre ardente, e affannoso respiro accompagnato da sputo sanguigno, e da un totale stordimento di capo. Li Medici giudicarono essere il male pericoloso, e mortale, perciocché da’ segni esterni argomentavano esser pontura; determinarono però di non applicargli per allora, che erano le 21 ore, rimedio alcuno, volendo aspettare la mattina vegnente, acciò che il male si fosse maggiormente manifestato. La Madre vedendo il Figlio estremamente angustiato, e li Medici molto lenti nell’operare, desiderosa di porgergli qualche presentaneo sollievo, prese una Reliquia della Serva di Dio Suor Rosa Maria (ed era appunto una di quelle pezze intrise nel sangue, che usciva dalle ferite del suo cuore) avuta dalla Superiora del Monastero, applicolla con fede viva al cuore dell’affannato Figliuolo, e poi fece scrivere una lettera alle Religiose del Monastero di Fasano, dando loro contezza del pessimo stato del medesimo, acciocché colle sue orazioni gl’impetrassero dalla Ven. Madre la grazia. Prima però di spedire la lettera, fece ritorno alla Stanza dell’Infermo, ed interrogatolo come se la passasse, egli rispose di star bene, di non sentir più dolore, né affanno, né calore febbrile … Un fratello minore del sopradetto Vito Domenico, chiamato Andrea, non uno, ma due portentosi miracoli ricevette, coll’applicargli Vittoria Accossa loro Madre le Reliquie della Serva di Dio …  
Alla fine del brano riportato apprendiamo che la madre di Vito si chiamava Vittoria Accossa. Su questo nome la carta 54r, che sopra abbiamo analizzato, pone un problema con il suo Vittoria Avossa. Errore del copista del nostro manoscritto o di stampa del volume del Gentili?
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aneddoticamagazinestuff · 5 years ago
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LA DITTATURA NELLA ROMA ANTICA
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LA DITTATURA NELLA ROMA ANTICA
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La carriera politica (cursus honorum) a Roma in età repubblicana, e poi, formalmente, in età monarchico imperiale, era segnata da tappe e regole chiare.
Il primo gradino era – a scelta – il tribunato militare (grado di ufficiale) oppure la questura. Il secondo gradino era l’edilizia o curule (patrizia) o plebea. Poi si diveniva pretore, ed il gradino più alto era il consolato. In tempi normali, tra una investitura e l’altra dovevano passare cinque anni, anche se in determinate circostanze la carica poteva essere prolungata a tempo. Questo per impedire che una successione anno dopo anno di cariche potesse far nascere tentazioni autoritarie nella testa di qualcuno. Le cariche erano poi sempre collegiali, era cioè previsto che si fosse almeno in due, perché i poteri avessero dei contrappesi. Ogni carica durava un anno. Prima che scadessero, si procedeva ad eleggere i magistrati dell’anno seguente, così da evitare vacanza di gestione. I plebei avevano una magistratura esclusiva, il tribunato delle plebe, in numero che variava nel tempo. Con le leggi Liciniae-Sextiae anche per i plebei si aprì una carriera specifica, al cui culmine c’era il consolato, massima carica. Avevano tutti potere di iniziativa legislativa, ma le leggi erano promulgate dal Senatus PopulusQue Romanus (SPQR, il Senato E il Popolo Romano).
Di grande importanza la carica della CENSURA, quinquennale, che sorvegliava il rispetto delle leggi, ed aveva anche il potere di espellere dal senato chi era giudicato abusivo o indegno di esserci. Famose le censure di Marco Porcio Catone, soprannominato IL CENSORE, come il censore per antonomasia, e quella di Appio Claudio Pulcro.
Il consolato era il gradino più alto del cursus honorum: in tempo di pace era la massima autorità civile, con potere esecutivo e possibilità di proporre leggi e provvedimenti, che il SPQR vagliava per poi decidere. In caso di guerra era il comandante in capo. Uscito di carica, entrava di diritto nel senato e poteva aspirare ad un governatorato in una delle province, incarico di prestigio e molto remunerativo. Ad un certo punto le province dell’impero furono troppe per il numero di ex consoli (consulares), ed allora furono designati al governatorato anche gli ex pretori. Poteva succedere che in determinate circostanze i problemi da affrontare fossero troppo grandi per essere fronteggiati con le magistrature ordinarie. Allora a situazione STRAORDINARIA si opponeva MAGISTRATURA STRAORDINARIA. Ecco allora il DITTATORE, dotato di PIENI POTERI. Intorno a questa figura LEGALE e prevista dalla Costituzione romana, l’intera Società romana si compattava, intorno al capo scelto.. Però, a differenza di quanto sta combinando Orban e forse combinerebbe Salvini, la durata della carica era determinata con precisione, salvo proroghe decise secondo la prassi normale, oppure era a problema. Al termine del periodo, il dittatore, se non voleva essere condannato a morte, deponeva la carica, e così anche a problema risolto.
ALCUNI ESEMPI. Nell’anno 218 a.C. Annibale attraversa il fiume Ebro in Spagna, e così tra Roma e Cartagine scoppia la seconda guerra punica, nota anche come guerra annibalica. Valicò Pirenei ed Alpi, e, con grande sorpresa dei romani, dilagò nella Pianura Padana. Sconfisse i romani al Ticino ed al Trebbia, poi scese verso il centro Italia. Gli si fece incontro il console Flaminio, per fermarlo. A quel tempo i romani concepivano la guerra come fatta di scontri cavallereschi: una schiera contro l’altra, pronti, via, e lealmente uno vince uno perde. Annibale invece adotta espedienti inattesi, provocando sfracelli nei nemici, che lo gratificano come attore con perfidia: la perfidia punica. Così si dirige verso il lago Trasimeno, e, là dove a ridosso dell’acqua ci sono delle colline boscose, distribuisce e nasconde vari contingenti militari tra gli alberi, per far sfilare i romani e circondarli. Quel giorno si aggiunge anche una nebbia fitta fitta, per cui i romani avanzano senza vedere nulla di quanto hanno intorno. Di colpo Annibale, fin lì seguito dai romani, si ferma, parte il segnale e dalle colline scendono i cartaginesi appostati. Mai vista una situazione del genere dai romani. Ed è una strage micidiale: molti romani sono uccisi a fil di spada, molti altri annegano nel lago.
Arriva la notizia della tragedia a Roma, ed è il panico. Le magistrature ordinarie hanno finora fallito, la situazione di estremo pericolo è straordinaria: è il momento allora di ricorrere alla magistratura straordinaria, la dittatura. E viene nominato Quinto Fabio Massimo. La gens Fabia era molto antica, politicamente appartenente al patriziato conservatore, con un potere economico fondato sul possesso della terra, fautori quindi di una economia legata all’agricoltura, ed ostili a quella basata sul commercio. I Fabi, collegandosi all’omologa classe sociale terriera di Cartagine, avevano fatto di tutto per evitare la guerra. Ma Annibale, che apparteneva alla famiglia Barca, imperialista e mercantile, aveva messo tutti d’accordo, rompendo gli indugi e provocando la guerra.
Fabio ha a sua disposizione nuove legioni reclutate in fretta e furia. E fa delle riflessioni: se Annibale ha sterminato legioni esperte, cosa farà mai contro questi sbarbatelli novizi? Non pare il caso di affrontarlo di nuovo in campo aperto. Annibale – pensa Fabio – ha il problema dei rifornimenti: era partito convinto che gli italici, approfittando della sua presenza in Italia, si sarebbero sganciati da Roma, ed in minima parte questo si verifica. In minima parte però: latini, etruschi, sanniti, umbri ed altri restano ben fedeli a Roma. Allora ecco che i romani hanno linee di rifornimento, anche di soldati, praticamente inesauribili, ma Annibale no. Allora Fabio inizia a praticare la guerriglia: toccata e fuga, specie contro i reparti punici dediti a fare provviste. Temporeggia, e quindi si merita il titolo di CUNCTATOR, il temporeggiatore, all’inizio titolo dispregiativo, ma poi, dopo la tragedia di Canne, titolo elogiativo. Scaduti i sei mesi di carica, la depose, e fu Canne: più di 50 mila romani uccisi e diecimila catturati…
Prima di lui nel IV secolo c’era stata la figura semi-leggendaria di Furio Camillo, terribile contro i latini, contro i galli e contro gli etruschi prossimi a Roma. Fu lui a conquistare la potente città etrusca di Veio. L’assedio andava avanti da dieci anni: allora a partire dal centro dell’accampamento romano, fece scavare una galleria, fino a sbucare all’interno della città, che fu presa intatta.
Altro dittatore famoso fu Lucio Papirio Cursore, così soprannominato, perché dedito alla corsa, in cui era insuperabile. A lui fu affidato il compito di fronteggiare i sanniti, che stavano dando, e poi avrebbero ancora dato, tanto filo da torcere ai romani, che la spuntarono, perché resistettero di più, grazie a tanta gente coriacea come Papirio.
E poi Lucio Cornelio Silla, feroce e spietato, che pretendeva di rimandare indietro le lancette della Storia: liste di proscrizione, cioè elenchi di persone da eliminare senza conseguenze penali, anzi con il premio. Ma al suo tempo ormai Roma declina vero la fine della Repubblica.
Cesare si fece dittatore perpetuo, ma durò poco, perché giovani idealisti nostalgici e senza un progetto lo uccisero. Ma ormai la strada era tracciata: Augusto si fece dare la carica di tribuno della plebe per sempre. Era una dittatura camuffata: il tribuno della plebe infatti era sacro ed inviolabile, ed aveva il diritto di veto. Quindi non si muove foglia che Augusto non voglia. E’ un piano inclinato, e la distanza tra potere e popolo si dilata sempre più, con pochi ricchi sfondati e masse di sbandati e nullatenenti, nei quali il sentimento di appartenenza a Roma si affievolisce sempre più. E’ il germe della rovina dell’impero romano, e di tutti gli Stati. Historia magistra vitae.
Il dittatore in guerra si sceglieva un magister equitum, un capo della cavalleria, reparto che da Scipione in poi divenne di determinante importanza nelle vittorie romane. Costui era il vice dittatore, in caso di assenza di quest’ultimo, ma doveva cieca obbedienza, come gli altri.
Oggi facciamo qualcosa del genere in ambito civile ed economico, con la nomina del commissario straordinario, quando un’azienda di una certa importanza e grandezza va in una fase di crisi.
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freedomtripitaly · 5 years ago
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Programmare un weekend a Verona è semplice ma bisogna organizzare nel dettaglio la propria visita. Questa città infatti offre ai visitatori moltissimi luoghi imperdibili, di forte rilievo storico, culturale e tradizionale. La città è famosa in tutto il mondo in quanto scenario della tragedia di William Shakespeare “Romeo e Giulietta”. All’interno dell’opera dell’autore inglese infatti due giovani di due famiglie rivali veronesi si innamorano, creando così uno dei miti romantici e tragici più famosi della letteratura mondiale. Verona attira quindi turisti da tutto il mondo per la romantica storia di Romeo e Giulietta, ma anche per la grande offerta culturale e artistica della città. Sono moltissime infatti le attività da fare, basta sapere cosa vedere a Verona e, tra antichi palazzi, opere teatrali e musicali, mostre e strutture architettoniche imponenti, la città ha molto da offrire. Verona sorge su una delle aree più antiche d’Italia, abitata sin dal neolitico durante il quale vi erano villaggi lungo l’Adige, motivo per cui anche gli appassionati di storia trovano in questa città un punto di interesse. La città di Verona: cosa vedere Verona presenta moltissimi luoghi di interesse culturale e storico, risalenti all’epoca romana, medievale, moderna fino a quella più contemporanea. La città veniva chiamata anche Marmora o Marmorina per il grande utilizzo della pietra e dei marmi nelle proprie costruzioni. Sono tantissimi i monumenti storici presenti nel centro città e non solo, composti da marmi unici e molto antichi. Alcuni esempi sono l’Arena di Verona, il teatro romano, le porte Borsari e Leoni e l’arco dei Gavi. Durante la Signoria di Cansignorio della Scala questo soprannome venne scelto come simbolo della città. Tra le cose da vedere a Verona ci sono anche moltissimi musei per appassionati di diverse arti e periodi storici. Uno dei più conosciuti è lo Scipione Maffei, un museo lapidario che diede inizio alla raccolta di lapidi ed epigrafi nella musicologia europea. Inoltre c’è il Museo Civico di Storia Naturale, con esposizioni di geologia, paleontologia, zoologia, botanica e collezioni sulla preistoria. Il Museo di Castelvecchio presenta alcune opere rinomate dell’arte italiana ed europea, tra cui opere di scultura, pittura, disegni e armi. Infine il Museo Archeologico al Teatro Romano è un centro di esposizione archeologica, suddiviso in numerose sezioni nelle quali sono presenti urne etrusche, statue in bronzo, vasi greci, epigrafi, statue ed eletti del teatro romano. Cosa vedere a Verona: L’Arena Visitare Verona e non ammirare l’Arena di Verona è un grande spreco. Questo monumento è il simbolo della città in tutto il mondo, viene stampato su cartoline, calamite, souvenir di ogni genere e menù. L’Arena è un anfiteatro romano, il terzo di dimensioni in Italia ed emblema di Verona in tutto il mondo. È situato nel centro della città, in piazza Bra, e può essere raggiunto da qualsiasi zona di Verona comodamente a piedi o tramite mezzi pubblici. La storia dell’Arena di Verona risale a numerosi secoli fa, l’edificazione avviene infatti nei primi decenni del I secolo dopo Cristo, sotto l’impero di Augusto. L’obiettivo dell’imperatore era quello di offrire al popolo un anfiteatro per diverse tipologie di intrattenimento, come spettacoli e sconti con i gladiatori. Nel 265 la struttura prese parte del perimetro urbano, in quanto l’imperatore Gallieno fece costruire delle mure esterne per proteggere la città. L’anfiteatro ha una forma ellittica e misura 75,68 x 44,43 metri. Nei secoli l’imponente monumento ha subito diverse opere di restauro ed è stato utilizzato per accogliere moltissimi viaggiatori. Negli anni sono state ospitate moltissime opere liriche e teatrali, alcune tra le più famose come La Santa Alleanza, Casino di Campagna e La fanciulla di Gand. Oggi la struttura ospita eventi sportivi e di intrattenimento, nonché moltissimi concerti di artisti italiani ed internazionali, come Leonard Cohen, Spandau Ballet, Duran Durant, Sting, Rod Stewart, Paul McCartney, Alicia Keys, i Pink Floyd, Bob Dylan, Elton John, e molti altri. Se vuoi trascorrere un weekend a Verona potrai visitare la struttura interna, salvo eventi programmati. La Casa di Romeo e Giulietta La Casa di Giulietta è uno dei posti da vedere a Verona. Questo palazzo medievale situato in via Cappello ogni anno accoglie milioni di turisti che vogliono porgere omaggio alla famosissima tragedia di William Shakespeare. All’interno del cortile di questa villa medievale è presente poi la Statua di Giulietta ed è tradizione scattare una fotografia con essa toccando un seno, come augurio di buon auspicio. Inoltre all’ingresso di questa abitazione sono presenti muri sui quali è possibile scrivere un messaggio d’amore per il proprio partner o il proprio innamorato, questa parte è infatti coperta di graffiti, biglietti romantici e scritte lasciate dai visitatori. Moltissime persone che cercano cosa vedere a Verona rinunciano a visitare questo edificio perché non lo reputano autentico. A Verona però hanno vissuto veramente le due famiglie Montecchi e Capuleti (chiamata però Cappelletti), lo stemma di quest’ultima famiglia è all’ingresso della Casa di Giulietta. Lo stemma sulla chiave di volta testimonia quindi la presenza di questa famiglia all’interno del palazzo. Non è ancora stato provato con esattezza l’attinenza tra il famoso balcone della casa in via Cappello e l’effettiva esistenza di Giulietta, nonostante questo però ogni anno moltissimi romantici (e non solo) visitano questa abitazione affascinati dalle leggende e dalle storie delle antiche famiglie veronesi. Verona in un giorno: Piazza Brà Piazza Brà è una delle piazze principali della città, nonché uno dei posti da non perdere a Verona. In questa piazza è possibile assaporare un buon caffè in uno dei numerosi bar, oppure sedersi all’ombra di un albero ammirando il panorama. Questa piazza è situata nel cuore del centro storico e offre un’incredibile visione della città e del suo centro. Il nome di questa piazza deriva dalla parola longobarda “breit” che significa largo. Questa area viene realizzata nella prima metà del Cinquecento, quando venne realizzato il palazzo degli Honorj dall’architetto Michele Sanmicheli. In questo modo infatti viene delimitata l’area e nasce la piazza così com’è oggi. La piazza non ha un forma tradizionale quadrata o rettangolare, in quanto al centro è presente l’imponente Arena. Nel lato orientale è situato invece il Palazzo Barbieri, un edificio neoclassico progettato da Giuseppe Barbieri, da cui prende il nome la struttura, Danneggiato nel 1945 durante un bombardamento, oggi l’edificio è stato ricostruito ed ampliato e presenta moltissime sale, tra cui Sala del Consiglio, Sala degli arazzi e Sala di rappresentanza. Piazza delle Erbe Piazza delle Erbe è uno degli scorci più belli e unici della città. Nella lista delle cose da vedere a Verona questa piazza non può mancare, in quanto è un’area dove palazzi, stature, torri e elementi architettonici di epoche differenti coesistono con armonia. Nell’epoca romana in questa piazza era presente il Foro, il centro della vita di tutti i giorni, con il Campidoglio, Templi e Terme. La piazza è lunga 160 metri e ospita un coloratissimo mercato che ha origine nel 1401, quando Gian Galeazzo Visconti ordinò una colonna del mercato. La piazza più antica della città si interseca con Via della Costa e via Pellicciai, iniziando da via Cairoli e Corso Sant’Anastasia. Sono numerosissimi gli edifici storici che si affacciano su questa zona della città, tra cui il palazzo del Comune, la Torre dei Lamberti, la Casa dei Giudici, la Casa dei Mercanti e le case dei Mazzanti. Una vera ciliegina sulla torta è poi il Palazzo Maffei, in stile barocco e arricchito da statue di dei greci. All’interno di questa piazza c’è poi un monumento molto antico, la fondata della Madonna Verona, risalente al 380 e arricchita durante il periodo medievale. Un altro monumento importante è il capitello, detto Tribuna, del XII secolo. Infine davanti a palazzo Maffei è presente il leone di San Marco su una colonna in marmo bianco, che simboleggia la Repubblica di Venezia. Chiesa di San Zeno Maggiore La Chiesa di San Zeno Maggiore è una grande basilica visitata ogni anno da moltissimi turisti. Questo edificio viene realizzato tra il X e XI secolo e ospita moltissimi capolavori dell’arte Italiana. La struttura si sviluppa su tre livelli e oggi è uno degli esempi del periodo romanico meglio conservati in Italia. Numerosi sono gli elementi che caratterizzano questa basilica, dal rosone al protiro, dagli altorilievi al frontone. Al suo interno è presente la cripta, la parte centrale e il presbiterio. Il campanile invece è staccato dalla chiesa ed è alto 62 metri. All’interno della Chiesa di San Zeno è presente la Pala di San Zeno di Andrea Mantegna. Un itinerario di viaggio a Verona deve includere questa maestosa basilica. Piazza dei Signori e Arche Scaligere Un’altra famosissima piazza della città è quella dei Signori e Arche Scegliere. Simbolo di questa piazza è senza dubbio la grande statua di Dante situata al centro, dedicata allo scrittore toscano dopo che trovò rifugio nella città dopo essere stato esiliato da Firenze. All’interno della piazza ci sono la Loggia del Consiglio, il Palazzo degli Scaligeri e il Palazzo del Capitanio. Da questa piazza si può accedere poi al Mercato Vecchio, un cortile dove è presente la Scala della Ragione. Castelvecchio Castelvecchio, chiamato anche Castello di San Martino in Aquaro è un antico castello che oggi ospita l’omonimo museo. Numerose sono le vicende che riguardano la costruzione di questo imponente edificio, tutte includono il ruolo strategico della posizione del castello e il legame con la cinta urbana costruita per la difesa della città. Numerose sono le famiglie che hanno apportato modifiche a questa struttura, che oggi presenta una disposizione planimetrica complessa. A causa di queste continue fasi di costruzione infatti si possono distinguere tre parti: la Corte della Reggia scaligera, la Corte d’Armi e la Corte del Mastio. Tra le cose da vedere a Verona ci sono sicuramente le Corti del castello. La Corte della Reggia ha una planimetria a trapezio, la Corte d’Armi è quasi rettangolare e ha un recinto merlato e infine il Masti presenta un grande ponte fortificato composto da laterizio. All’interno della struttura è presente il museo civico, allestito tra il 1958 e il 1974 da Carlo Scarpa. Al suo interno sono presenti opere di scultura, pittura, armi antiche, ceramiche, miniatura, antiche campane e oreficerie. Weekend a Verona: tra piatti tipici ed esperienze uniche Visitare Verona in un giorno offre la possibilità di vivere moltissime esperienze e gustare piatti unici della tradizione veneta. Grazie ai numerosi eventi e concerti organizzati all’Arena infatti è possibile godere di spettacoli indimenticabili. Inoltre la cucina veronese offre una vasta gamma di risotti e polente cucinate in trattorie tradizionali e ristoranti moderni. Tra i piatti tipici della zona c’è sicuramente la Pearà, un piatto a base di manzo bollito con salsa di pane. Tra gli altri piatti tipici ci sono anche pasta e fasoi, bigoli con le sarde, riso al Tastasal, risotto all’amarone, Pastissada de Caval e le Fritole. https://ift.tt/2o98URX Itinerario per visitare Verona in una giornata Programmare un weekend a Verona è semplice ma bisogna organizzare nel dettaglio la propria visita. Questa città infatti offre ai visitatori moltissimi luoghi imperdibili, di forte rilievo storico, culturale e tradizionale. La città è famosa in tutto il mondo in quanto scenario della tragedia di William Shakespeare “Romeo e Giulietta”. All’interno dell’opera dell’autore inglese infatti due giovani di due famiglie rivali veronesi si innamorano, creando così uno dei miti romantici e tragici più famosi della letteratura mondiale. Verona attira quindi turisti da tutto il mondo per la romantica storia di Romeo e Giulietta, ma anche per la grande offerta culturale e artistica della città. Sono moltissime infatti le attività da fare, basta sapere cosa vedere a Verona e, tra antichi palazzi, opere teatrali e musicali, mostre e strutture architettoniche imponenti, la città ha molto da offrire. Verona sorge su una delle aree più antiche d’Italia, abitata sin dal neolitico durante il quale vi erano villaggi lungo l’Adige, motivo per cui anche gli appassionati di storia trovano in questa città un punto di interesse. La città di Verona: cosa vedere Verona presenta moltissimi luoghi di interesse culturale e storico, risalenti all’epoca romana, medievale, moderna fino a quella più contemporanea. La città veniva chiamata anche Marmora o Marmorina per il grande utilizzo della pietra e dei marmi nelle proprie costruzioni. Sono tantissimi i monumenti storici presenti nel centro città e non solo, composti da marmi unici e molto antichi. Alcuni esempi sono l’Arena di Verona, il teatro romano, le porte Borsari e Leoni e l’arco dei Gavi. Durante la Signoria di Cansignorio della Scala questo soprannome venne scelto come simbolo della città. Tra le cose da vedere a Verona ci sono anche moltissimi musei per appassionati di diverse arti e periodi storici. Uno dei più conosciuti è lo Scipione Maffei, un museo lapidario che diede inizio alla raccolta di lapidi ed epigrafi nella musicologia europea. Inoltre c’è il Museo Civico di Storia Naturale, con esposizioni di geologia, paleontologia, zoologia, botanica e collezioni sulla preistoria. Il Museo di Castelvecchio presenta alcune opere rinomate dell’arte italiana ed europea, tra cui opere di scultura, pittura, disegni e armi. Infine il Museo Archeologico al Teatro Romano è un centro di esposizione archeologica, suddiviso in numerose sezioni nelle quali sono presenti urne etrusche, statue in bronzo, vasi greci, epigrafi, statue ed eletti del teatro romano. Cosa vedere a Verona: L’Arena Visitare Verona e non ammirare l’Arena di Verona è un grande spreco. Questo monumento è il simbolo della città in tutto il mondo, viene stampato su cartoline, calamite, souvenir di ogni genere e menù. L’Arena è un anfiteatro romano, il terzo di dimensioni in Italia ed emblema di Verona in tutto il mondo. È situato nel centro della città, in piazza Bra, e può essere raggiunto da qualsiasi zona di Verona comodamente a piedi o tramite mezzi pubblici. La storia dell’Arena di Verona risale a numerosi secoli fa, l’edificazione avviene infatti nei primi decenni del I secolo dopo Cristo, sotto l’impero di Augusto. L’obiettivo dell’imperatore era quello di offrire al popolo un anfiteatro per diverse tipologie di intrattenimento, come spettacoli e sconti con i gladiatori. Nel 265 la struttura prese parte del perimetro urbano, in quanto l’imperatore Gallieno fece costruire delle mure esterne per proteggere la città. L’anfiteatro ha una forma ellittica e misura 75,68 x 44,43 metri. Nei secoli l’imponente monumento ha subito diverse opere di restauro ed è stato utilizzato per accogliere moltissimi viaggiatori. Negli anni sono state ospitate moltissime opere liriche e teatrali, alcune tra le più famose come La Santa Alleanza, Casino di Campagna e La fanciulla di Gand. Oggi la struttura ospita eventi sportivi e di intrattenimento, nonché moltissimi concerti di artisti italiani ed internazionali, come Leonard Cohen, Spandau Ballet, Duran Durant, Sting, Rod Stewart, Paul McCartney, Alicia Keys, i Pink Floyd, Bob Dylan, Elton John, e molti altri. Se vuoi trascorrere un weekend a Verona potrai visitare la struttura interna, salvo eventi programmati. La Casa di Romeo e Giulietta La Casa di Giulietta è uno dei posti da vedere a Verona. Questo palazzo medievale situato in via Cappello ogni anno accoglie milioni di turisti che vogliono porgere omaggio alla famosissima tragedia di William Shakespeare. All’interno del cortile di questa villa medievale è presente poi la Statua di Giulietta ed è tradizione scattare una fotografia con essa toccando un seno, come augurio di buon auspicio. Inoltre all’ingresso di questa abitazione sono presenti muri sui quali è possibile scrivere un messaggio d’amore per il proprio partner o il proprio innamorato, questa parte è infatti coperta di graffiti, biglietti romantici e scritte lasciate dai visitatori. Moltissime persone che cercano cosa vedere a Verona rinunciano a visitare questo edificio perché non lo reputano autentico. A Verona però hanno vissuto veramente le due famiglie Montecchi e Capuleti (chiamata però Cappelletti), lo stemma di quest’ultima famiglia è all’ingresso della Casa di Giulietta. Lo stemma sulla chiave di volta testimonia quindi la presenza di questa famiglia all’interno del palazzo. Non è ancora stato provato con esattezza l’attinenza tra il famoso balcone della casa in via Cappello e l’effettiva esistenza di Giulietta, nonostante questo però ogni anno moltissimi romantici (e non solo) visitano questa abitazione affascinati dalle leggende e dalle storie delle antiche famiglie veronesi. Verona in un giorno: Piazza Brà Piazza Brà è una delle piazze principali della città, nonché uno dei posti da non perdere a Verona. In questa piazza è possibile assaporare un buon caffè in uno dei numerosi bar, oppure sedersi all’ombra di un albero ammirando il panorama. Questa piazza è situata nel cuore del centro storico e offre un’incredibile visione della città e del suo centro. Il nome di questa piazza deriva dalla parola longobarda “breit” che significa largo. Questa area viene realizzata nella prima metà del Cinquecento, quando venne realizzato il palazzo degli Honorj dall’architetto Michele Sanmicheli. In questo modo infatti viene delimitata l’area e nasce la piazza così com’è oggi. La piazza non ha un forma tradizionale quadrata o rettangolare, in quanto al centro è presente l’imponente Arena. Nel lato orientale è situato invece il Palazzo Barbieri, un edificio neoclassico progettato da Giuseppe Barbieri, da cui prende il nome la struttura, Danneggiato nel 1945 durante un bombardamento, oggi l’edificio è stato ricostruito ed ampliato e presenta moltissime sale, tra cui Sala del Consiglio, Sala degli arazzi e Sala di rappresentanza. Piazza delle Erbe Piazza delle Erbe è uno degli scorci più belli e unici della città. Nella lista delle cose da vedere a Verona questa piazza non può mancare, in quanto è un’area dove palazzi, stature, torri e elementi architettonici di epoche differenti coesistono con armonia. Nell’epoca romana in questa piazza era presente il Foro, il centro della vita di tutti i giorni, con il Campidoglio, Templi e Terme. La piazza è lunga 160 metri e ospita un coloratissimo mercato che ha origine nel 1401, quando Gian Galeazzo Visconti ordinò una colonna del mercato. La piazza più antica della città si interseca con Via della Costa e via Pellicciai, iniziando da via Cairoli e Corso Sant’Anastasia. Sono numerosissimi gli edifici storici che si affacciano su questa zona della città, tra cui il palazzo del Comune, la Torre dei Lamberti, la Casa dei Giudici, la Casa dei Mercanti e le case dei Mazzanti. Una vera ciliegina sulla torta è poi il Palazzo Maffei, in stile barocco e arricchito da statue di dei greci. All’interno di questa piazza c’è poi un monumento molto antico, la fondata della Madonna Verona, risalente al 380 e arricchita durante il periodo medievale. Un altro monumento importante è il capitello, detto Tribuna, del XII secolo. Infine davanti a palazzo Maffei è presente il leone di San Marco su una colonna in marmo bianco, che simboleggia la Repubblica di Venezia. Chiesa di San Zeno Maggiore La Chiesa di San Zeno Maggiore è una grande basilica visitata ogni anno da moltissimi turisti. Questo edificio viene realizzato tra il X e XI secolo e ospita moltissimi capolavori dell’arte Italiana. La struttura si sviluppa su tre livelli e oggi è uno degli esempi del periodo romanico meglio conservati in Italia. Numerosi sono gli elementi che caratterizzano questa basilica, dal rosone al protiro, dagli altorilievi al frontone. Al suo interno è presente la cripta, la parte centrale e il presbiterio. Il campanile invece è staccato dalla chiesa ed è alto 62 metri. All’interno della Chiesa di San Zeno è presente la Pala di San Zeno di Andrea Mantegna. Un itinerario di viaggio a Verona deve includere questa maestosa basilica. Piazza dei Signori e Arche Scaligere Un’altra famosissima piazza della città è quella dei Signori e Arche Scegliere. Simbolo di questa piazza è senza dubbio la grande statua di Dante situata al centro, dedicata allo scrittore toscano dopo che trovò rifugio nella città dopo essere stato esiliato da Firenze. All’interno della piazza ci sono la Loggia del Consiglio, il Palazzo degli Scaligeri e il Palazzo del Capitanio. Da questa piazza si può accedere poi al Mercato Vecchio, un cortile dove è presente la Scala della Ragione. Castelvecchio Castelvecchio, chiamato anche Castello di San Martino in Aquaro è un antico castello che oggi ospita l’omonimo museo. Numerose sono le vicende che riguardano la costruzione di questo imponente edificio, tutte includono il ruolo strategico della posizione del castello e il legame con la cinta urbana costruita per la difesa della città. Numerose sono le famiglie che hanno apportato modifiche a questa struttura, che oggi presenta una disposizione planimetrica complessa. A causa di queste continue fasi di costruzione infatti si possono distinguere tre parti: la Corte della Reggia scaligera, la Corte d’Armi e la Corte del Mastio. Tra le cose da vedere a Verona ci sono sicuramente le Corti del castello. La Corte della Reggia ha una planimetria a trapezio, la Corte d’Armi è quasi rettangolare e ha un recinto merlato e infine il Masti presenta un grande ponte fortificato composto da laterizio. All’interno della struttura è presente il museo civico, allestito tra il 1958 e il 1974 da Carlo Scarpa. Al suo interno sono presenti opere di scultura, pittura, armi antiche, ceramiche, miniatura, antiche campane e oreficerie. Weekend a Verona: tra piatti tipici ed esperienze uniche Visitare Verona in un giorno offre la possibilità di vivere moltissime esperienze e gustare piatti unici della tradizione veneta. Grazie ai numerosi eventi e concerti organizzati all’Arena infatti è possibile godere di spettacoli indimenticabili. Inoltre la cucina veronese offre una vasta gamma di risotti e polente cucinate in trattorie tradizionali e ristoranti moderni. Tra i piatti tipici della zona c’è sicuramente la Pearà, un piatto a base di manzo bollito con salsa di pane. Tra gli altri piatti tipici ci sono anche pasta e fasoi, bigoli con le sarde, riso al Tastasal, risotto all’amarone, Pastissada de Caval e le Fritole. Sono moltissime le cose da vedere a Verona in una giornata: l’Arena, la bellissima Piazza Erbe, le Arche Scaligere e la casa di Giulietta.
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inascolto-concert · 6 years ago
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REDNEKO PLANE | Sax, Basso, Batteria | Un sax elettricamente modificato, basso e batteria si fondono con effetti d'ambiente e distorsioni feroci a creare uno stoner/dark jazz che a tratti sfocia nella più sfrenata sperimentazione. Marco Scipione al Sax, Gianmarco Straniero al Basso e Alessandro Ferrari alla Batteria offrono al pubblico un'esperienza sonora d'impatto nella quale l’improvvisazione e l’ispirazione sono componenti primarie e irrinunciabili.
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sciscianonotizie · 7 years ago
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