#macchina iconica
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ilcovodelbikersgrunf · 1 year ago
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Perché il leggendario pandino, macchina iconica per generazioni, è così resistente?
In questo reel Alba ci racconta vita, morte (non ancora avvenuta) e miracoli di una macchina che ha fatto la storia d’Italia.
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tizianacerralovetrainer · 2 years ago
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Un padre, finita la festa di laurea della propria figlia, le disse:
“Ti sei laureata con il massimo dei voti!
Ecco il tuo regalo.
Un’auto che ho acquistato molti anni fa!
Ha diversi anni, ma prima che te la dia, portala nel parcheggio delle auto usate in centro e dì loro che voglio venderla, poi fammi sapere quanto ti offrono.”
La figlia andò al parcheggio delle auto usate, tornò da suo padre e disse:
“Mi hanno offerto mille euro (1.000,00 €) perché sembra molto logora!”
Il padre, prontamente, le disse:
“Portala al banco dei pegni.”
La figlia andò al banco dei pegni, tornò da suo padre e gli disse:
“Il banco dei pegni mi ha offerto cento euro (100,00 €), dato che è una macchina molto vecchia!”
Il padre chiese a sua figlia di andare in un club automobilistico e mostrare loro l’auto.
La figlia portò la macchina al club, tornò da suo padre e gli disse:
“Alcune persone nel club hanno offerto centomila euro (100.000,00 €) per questa auto, dato che è una Lamborghini, un’auto iconica e ricercata da molti!”
Il padre, allora, disse alla figlia:
“Volevo che tu sapessi che il posto giusto ti valorizza nel modo giusto.
Se non sei valutata, non essere arrabbiata, significa che sei nel posto sbagliato.
Chi conosce il tuo valore ti apprezza.
Non stare mai in un posto dove nessuno vede il tuo valore!”
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atomheartmagazine · 1 year ago
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Nuovo post su Atom Heart Magazine
Nuovo post pubblicato su https://www.atomheartmagazine.com/the-crew-motorfest-recensione/
The Crew Motorfest: una nuova tappa per la serie
The Crew Motorfest rappresenta una svolta significativa per la serie. Le influenze di Forza Horizon si sentono in maniera marcata e nel contempo sembra allontanarsi dai tratti distintivi che hanno reso celebre la serie durante gli anni.
Modello di guida rivisto e aggiornato, location incantevoli e tantissimi contenuti. Basterà per renderlo un “must have” tra i titoli di guida? Scopriamolo insieme.
Fin dal primo secondo di gioco di The Crew Motorfest, la sensazione di déjà-vu con il già citato Forza Horizon è persistente. Gli scenari e le presentazioni delle gare sono un chiaro rimando all’ormai iconica serie sviluppata da Playground Games.
La prima critica possiamo e dobbiamo muoverla al sistema di progressione. Avremo infatti davvero poche occasioni per utilizzare la nostra vettura, in quanto in quasi tutte le playlist verrà fornito un veicolo in prestito per poter gareggiare, venendo quindi a mancare l’utilità di migliorare il proprio con l’avanzamento della storia.
Altra nota dolente è senza dubbio il sistema di microtransazioni davvero troppo marcato. Motorfest ci farà notare in maniera persistente che possiamo acquistare qualsiasi cosa con valuta reale. 
The Crew Motorfest: mappa di gioco e playlist
La mappa di gioco è molto più piccola rispetto ai precedenti capitoli. Basti pensare che in The Crew Motorfest potremmo girare tutta l’isola hawaiiana di O’ahu in poco più di 15 minuti, contro i circa 60 minuti del predecessore.
Tuttavia, gli sviluppatori sono riusciti a utilizzare meno spazio, ma in modo davvero egregio. Sia per quanto riguarda la semplice estetica, sia – cosa forse più importante – per ciò che concerne la quantità di contenuti offerti e la loro qualità, utilizzando O’ahu come una tela su cui dipingere avventure e relative sensazioni.
Ogni playlist di The Crew Motorfest, rigorosamente a tema, ha infatti le sue peculiarità. Potremmo sbizzarrirci tra tipi di veicoli e stili di guida differenti. Anche i temi sono ben curati.  Avremo la possibilità di tuffarci nella playlist Made in Japan, che ci trasporterà tra ciliegi in fiore e luci al neon, oppure scegliere la storia della 911 sfruttando diverse generazioni dell’iconica Porsche che Motorfest ci metterà a disposizione.
Troveremo quindi moltissime modalità di gioco: dalle classiche gare checkpoint, alle sfide di drift, testa a testa e drag race. Non mancheranno le corse in stile Formula 1, le scorazzate in moto e quad, e potremo persino divertirci in gare acquatiche e aeree (anche se, in verità, la loro presenza è stata oltremodo ridotta rispetto a The Crew 2). Anche online troveremo pane per i nostri denti, tra Grand Race e Demolition Royale.
Proprio nel comparto online, la novità è l’introduzione di un hub social per incontrarsi con altri giocatori, stringere amicizie e votare le creazioni della community. Attualmente sembra essere un po’ “embrionale”, ma sempre utile per riposare la testa tra una gara e l’altra.
Recensione del gameplay
The Crew Motorfest presenta notevoli miglioramenti nel gameplay rispetto al passato. In The Crew 2 il feeling della guida era davvero deludente: andando in sottosterzo in curva, si staccava il retrotreno e ci ritrovavamo a derapare in maniera innaturale (e molto fantasiosa). In Moterfest, avremo finalmente un miglior senso del peso e una perdita progressiva di trazione. Per intenderci, sentiremo esattamente dov’è il bilanciamento della macchina mentre stiamo affrontando una curva, e potremo di conseguenza controbilanciare in modo più intuitivo per mantenerla in direzione.
In caso di incidente, è stata introdotta anche la funzione “rewind,” che consente di riavvolgere gli ultimi quattordici secondi di gioco. Inoltre, i tracciati sono progettati per essere privi di ostacoli contro cui collidere e presentano barriere laterali in curva per evitare che alcuni scivolamenti eccessivi rendano impossibile prendere il checkpoint.
Sarà ovviamente possibile personalizzare l’esperienza di guida in base alle nostre preferenze: indicatori della traiettoria, cambio automatico e svariate assistenze elettroniche che possono renderla più accessibile o più impegnativa a seconda delle scelte.
Ok, finché siamo su quattro ruote tutto molto bello. Per quanto riguarda vetture acquatiche e aeree, invece, siamo alle solite: il modello di guida è abbastanza superficiale e, a tratti, potremmo definirlo snervante. Anche sulle moto, lo stile di guida appare troppo semplificato, togliendo quasi tutto il divertimento.
Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale degli avversari, punto spesso dolente per molti titoli del settore, viene fuori qualche limite di troppo anche qui.
Conclusioni
The Crew Motorfest è una svolta quasi totale per Ubisoft e per la serie stessa. La mappa è più piccola rispetto al solito, ma davvero ben strutturata e graficamente impattante (non ci aspettavamo altro, del resto). Il modello di guida è stato rivisto e risulta più coinvolgente. Tuttavia, le troppe similitudini con Forza Horizon portano il titolo a smarrire la sua identità. Scelta coraggiosa quella di citarlo così apertamente come a volergli lanciare il guanto di sfida? Può darsi. Al momento, però, il titolo non ha la forza di reggere un tale confronto e finisce col sembrare semplicemente una copia accattivante del rivale.
Voto: 7-
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lamilanomagazine · 1 year ago
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I film su Silvio Berlusconi - da Paolo Sorrentino a Nanni Moretti
I film su Silvio Berlusconi - da Paolo Sorrentino a Nanni Moretti. Silvio Berlusconi si è spento a 86 anni, chiudendo un enorme ciclo di eventi strorici, politici, e anche umani. Un personaggio che è stato determinante nella storia dell'Italia, nella politica, e nel cinema. L'ex premier ha ispirato diversi registi, che attraverso la macchina da presa hanno cercato di dargli vita e colore artistico, sul grande schermo. I film:  "Loro" il film di Paolo Sorrentino, diviso in due capitoli; racconta la vita di Silvio Berlusconi tra il 2006 e il 2010. Ad interpretarlo è Toni Servillo,  che ne restituisce un'immagine umana, tenera, e "disarmata". Iconico il dialogo con Veronica Lario, in cui Paolo Sorrentino riesce con maestria a dare luce ad un processo di umanizzazione del Cavaliere, mettendo a nudo ogni lato della sua fragilità. "Il Caimano" di Nanni Moretti, nel film, Berlusconi è interpretato da Elio De Capitani e il regista descrive la sua controversa figura, rendendolo spietato e disposto a tutto, pronto ad aizzare i suoi sostenitori, pur di mantenere le redini del potere. Sempre di Moretti, del 1998, è Aprile. Qui Berlusconi non è il vero protagonista, ma il film si apre con l'annuncio di Emilio Fede, allora direttore del Tg4, che annuncia la vittoria delle elezioni del 1994 da parte del patron di Forza Italia. Una vittoria sconcertante per il regista che, nei panni di se stesso, decide di girare un documentario sul nuovo leader politico italiano. My Way: Berlusconi in his own words (2015) Tratto dall'autobiografia scritta da Alan Friedman, l'unica autorizzata dal Cavaliere, il docufilm diretto da Antongiulio Panizzi. Una narrazione fatta in prima persona da Berlusconi che risponde alle domande di Friedman. Un incontro a tu per tu con il giornalista inglese, dove il leader racconta la sua vita, sin da quando era giovanissimo e si affacciava al mondo dell'imprenditoria. Anche qui si tratta di un documentario, diretto da Roberto Faenza e Filippo Macelloni, dove si racconta attraverso testimonianze e stralci di interviste da lui rilasciate, il controverso percorso umano e politico di Silvio Berlusconi. L'intero racconto è mediato dalla voce di Neri Marcorè che, ovviamente, accompagna i vari momenti della narrazione imitando la parlata, ormai iconica, berlusconiana.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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labalenottera · 3 years ago
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mi si è slogata la caviglia buona (buona nel senso che è quella che non dovrebbe gonfiarsi)
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fagmegumi · 3 years ago
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comunque nessuno sta parlando della macchina più iconica della storia italiana ossia la FIAT UNO
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put-on-a-happyface · 4 years ago
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Per tutta la città
Ti cerco in macchina
C'è il mondo fuori che ci aspetta
E guarda in camera
La nostra storia è iconica
Tu voli via da qua
E sei lontana oppure nevica anche là?
Dimmi che rumore fa
Lontana già
Conosci la serenità?
Dimmi che rumore fa
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goodbearblind · 4 years ago
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"La fotogiornalista Eve Arnold scattò questa foto a Marilyn nel 1955, a Long Island, prima di un servizio fotografico. Le chiese cosa stesse leggendo per farsi un’idea di come la diva passasse il tempo. Marilyn rispose che aveva l’Ulisse di Joyce in macchina e che lo aveva iniziato a leggere già da molto. Disse che amava il ‘suono’ del romanzo e che lo leggeva spesso ad alta voce per tentare di capirne il senso ma che lo trovava tanto difficile da non riuscire a leggerlo con continuità. Quando si fermarono in un parco giochi per iniziare lo shooting, Marilyn tirò fuori il libro e si mise a leggere mentre Eve preparava la macchina fotografica. Così nacque questa foto iconica. Un episodio magari insignificante che però mostra una Marilyn lontanissima dalla dumb blond dell’immaginario collettivo, una donna malinconica, nel continuo tentativo di migliorarsi nel suo percorso personale e di artista. Nasceva oggi, 1 giugno 1926." (Re-movies) . . #marilynmonroe ❤️ https://www.instagram.com/p/CA5bv5HqSrN/?igshid=12rcur59o3rqi
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coolfrancescalove · 4 years ago
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Un padre disse a sua figlia: "Ti sei laureata con il massimo dei voti, ecco un'auto che ho acquistato tempo fa... ha diversi anni.
Ma prima che te la dia, portala nel parcheggio delle auto usate in centro, dì loro che voglio venderla e prova a vedere quanto ti offrono."
La figlia andò al parcheggio delle auto usate, tornò da suo padre e disse: "Mi hanno offerto 1.000 dollari perché sembra molto logora".
Il padre disse: "Portala al banco dei pegni".
La figlia andò al banco dei pegni, tornò da suo padre e disse: "Il banco dei pegni offriva $ 100 perché era una macchina molto vecchia".
Il padre chiese allora a sua figlia di andare in un club automobilistico e mostrare loro l'auto..
La figlia porto l'auto al club, tornata disse a suo padre: "Alcune persone nel club hanno offerto $ 100.000 per il fatto che è una Nissan Skyline R34, un'auto iconica e ricercata da appassionati e intenditori".
Il padre concluse dicendo: "Volevo che tu sapessi che il posto giusto ti valorizza nel modo giusto. Se non sei valutata, non essere arrabbiata, significa che sei nel posto sbagliato. Chi conosce il tuo valore è chi ti apprezza.
Non stare mai in un posto dove nessuno vede il tuo valore".
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diceriadelluntore · 5 years ago
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Storia Di Musica #102 - Deep Purple, Made In Japan (The Remastered Edition), 1998
Quello di oggi è probabilmente uno dei dischi più famosi della storia del rock, e lo è per molti motivi. Autori della leggenda furono 5 ragazzi inglesi che insieme sono stati uno dei più grandi gruppi della storia del rock; nella seconda delle future innumerevoli formazioni, nei pochi anni in cui fu attivo con questa line up questo gruppo ha costruito pilastri fondamentali della mitologia della musica popolare occidentale. I Deep Purple quando esordirono nel 1968 con Shades Of Purple Deep e The Book Of Taliesyn erano una formazione ancora alla ricerca di un suono definito, in bilico tra il nascente progressive, i suoni psichedelici che arrivavano dalla California e i primi vagiti di quella trasformazione del rock che molti stavano iniziando a plasmare. Il cambiamento avviene quando Ritchie Blackmore (chitarra), Ian Paice (batteria) e Jon Lord (organo Hammond e tastiere) mandano via il cantante Rod Evans e il bassista Nick Simper e li sostituiscono con Ian Gillian, dagli Episode Six, e dalla stessa band Roger Glover al basso. Con la potenza vocale di Gillian la rivoluzione che inizia con In Rock e continua con Fireball e Machine Head (in serie 1971 e 1972) si chiama hard rock: insieme ai Led Zeppelin e ai Black Sabbath i Deep Purple in questa formazione detta Mark II sono i portabandiera di questo stile elettrico, potente, dal suono travolgente (e dalla presenza scenica epica). Il successo è folgorante, e i dischi dei Deep Purple scalano le classifiche di mezzo mondo, anche grazie a esibizioni dal vivo strepitose. Il management del gruppo nota picchi di vendite altissimi in Giappone e chiede ai nostri una serie di concerti nella terra del Sol Levante. La band è intimorita perchè sa dei gusti esigenti dei nipponici. Si concordano tre concerti in tre giorni, due ad Osaka (il 15 e 16 Agosto 1972) e uno al Teatro Budokan (il 17) di Tokyo. In quegli anni, sul successo e sul mito del The Great White Wonder (il bootleg dei Basement Tapes di Dylan & The Band) iniziava ad esserci una forte richiesta di dischi dal vivo: il problema era la relativa qualità del suono delle registrazioni in diretta e spesso i tagli imposti alla post-produzione. I Deep Purple chiamarono a registrare il fido Martin Birch, uno dei più grandi produttori e ingegneri del suono inglesi (che produrrà anche gli Iron Maiden, i Black Sabbath, i Whitesnakes e tanti altri). Nelle tre serate giapponesi l’alchimia tra gruppo e pubblico è totale, la voglia di stupire e di suonare alla grande diviene la magica pressione che permette di superare sé stessi e Made in Japan, che uscirà nel Dicembre 1972 in Europa e nell’Aprile ‘73 negli Stati Uniti è uno dei live del secolo (per molti IL live del rock). La scaletta originale prevedeva 7 pezzi, 5 registrati ad Osaka e 2 a Tokyo, ma il mio riferimento discografico di oggi è la versione rimasterizzata digitalmente, dai nastri originali, che aggiunge altri 3 brani, i bis dei concerti di Tokyo del 17 Agosto e di Osaka del 15. La band prende le canzoni simbolo dagli album precedenti ma le riveste di una nuova forza, tanto che in pratica quasi tutte diventeranno più famose nelle versioni live di questa performance (che ha davvero dell’incredibile): sono spesso dei trampolini di lancio per cavalcate di suono, duelli tra chitarra e organo da cardiopalma, per la forza e la magia della voce di Gillian, che stregherà un’intera generazione. Si parte con Highway Star (da Machine Head), iconica, stellare, potentissima. Poi i ritmi rallentano e arriva uno dei brani più famosi della storia del Rock: Child In Time, dedicato agli orrori della guerra sui bambini è chiaramente presa in prestito da Bombay Calling degli It’s A Beautiful Day ma segnata dagli urli strazianti e magici di Gillian e dagli assoli di Blackmore diviene un brano leggenda, usatissimo, per quanto difficilissimo (lo stesso Gillian finirà per non cantarlo più dal vivo negli anni successivi per mancanza di potenza vocale). Poi altro brano culto: Smoke On The Water, il riff del Rock, fu ispirata a Jon Lord nel 1971 dal fumo che la band, che era nello studio mobile dei Rolling Stones a provare materiale, vide sul lago di Ginevra proveniente dal Casinò di Montreux, dove si stava esibendo Frank Zappa con i Mothers Of Invention: uno “stupido” accese un fumogeno, incendiando l’intera struttura (che riaprirà solo nel 1975). Poi è la volta di The Mule, favolosa, dove è la batteria di Paice a farla da padrone, e fu ispirata alla band da un racconto di Isaac Asimov presente ne Il Ciclo delle Fondazioni. Arriva Strange Kind Of Woman, altro iper classico, che in questa sua versione definitiva ha un duello storico tra la chitarra di Blackmore e la voce di Gillian, minuti favolosi. Ma non finisce qui: una Lazy favolosa, con un intro elettronico e blues e la voce di Gillian che arriva solo dopo qualche minuto si smorza poi nei 19 minuti intergalattici di Space Truckin’, ai confini dell’Universo del suono. Nella versione Cd rimasterizzata, c’è spazio anche per versione devastanti e indimenticabili di Black Knight, Speed King e una cover di Lucille di Albert Collins, tutte e tre vestite di questo abito scintillante, elettrico e possente che era la loro musica del periodo, una vera e proprio macchina del suono rock. Due ultime curiosità: la foto di copertina, divenuta anch’essa iconica, non fu scattata in Giappone, ma in Inghilterra al Rainbow Theatre di Londra, e nella versione originale dell’Lp si intravede tra il pubblico un giovane,  Phil Collen, che fonderà più in là i Def Leppard; per anni Gillian non trovò così “positiva” la sua performance, mentre per tutti gli altri membri della band questa fu la prova più vera e onesta di cosa erano i Deep Purple in quel momento. Sono curioso di sapere chi lo ascolterà per la prima volta cosa proverà, e cosa penserà di uno dei dischi probabilmente più belli, emozionanti e importanti della storia del rock (toglierei il probabilmente, ma i gusti sono cambiati…).
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corallorosso · 5 years ago
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La storia dietro la misteriosa foto che il deserto ha "donato" a Graciela Iturbide di Cartier Bresson non è un orologio Angeli e morte hanno segnato la vita personale e professionale della fotografa messicana Graciela Iturbide (Città del Messico, 1942). Entrambe le figure vanno di pari passo nell'esistenza di Iturbide, come due facce della stessa medaglia. La morte è stata la prima a colpire con la morte prematura e traumatica della figlia più piccola , Claudia, a sei anni. Quel fatidico giorno, Claudia smise di essere una ragazza per diventare un "angelo", un nome dato ai bambini deceduti in Messico, poiché si ritiene che, essendo liberi dal peccato, si elevino immediatamente in cielo. Un altro angelo, molto meno terribile del precedente, avrebbe attraversato il suo cammino, anche all'improvviso, alcuni anni dopo, e lo fece nella figura di una donna del popolo Seri che, come apparizione, attraversò il suo cammino in mezzo al deserto di Sonora. Il primo angelo, sua figlia Claudia, gli fece cercare conforto per la sua perdita nella fotografia... Il secondo angelo, quello che si è materializzato attraverso la sua macchina fotografica, ha regalato a Iturbide un "dono" sotto forma di un'immagine iconica che è anche la preferita del fotografo messicano. Quindi parla di come ha scattato la foto e del significato che ha: La mia foto preferita è "Angel Woman", è una donna che cammina nel deserto con un registratore. Sai perché mi piace? Perché non ho mai capito di averlo fatto fino a quando non ho visto i contatti. L'editore che era con me mi disse: "E questa foto ... perché non la includiamo?" Non mi ricordavo di averla scattata. È una foto che sento che il deserto mi abbia dato. Ho scattato la foto nel deserto di Sonora in Messico nel 1979. Stavo lavorando a un progetto sul popolo Seri per l'archivio etnografico del National Indigenous Institute. Ero a Punta Chueca, vicino al confine con l'Arizona, ed ero lì da un mese e mezzo. A quel tempo, la comunità indigena era di soli 500 individui e, essendo così pochi, dovette avere il loro consenso per farli ritratti. All'inizio era molto difficile, ma non passò molto tempo prima che ci conoscessimo bene. I Seris sono antichi nomadi. Per me, questa fotografia rappresenta la transizione tra il loro stile di vita tradizionale e i cambiamenti che il capitalismo ha introdotto in essa. Ad esempio, hanno già costruito le loro case con mattoni anziché rami. Mi piaceva che fossero autonomi e non perdessero le loro tradizioni anche dopo aver adottato ciò di cui avevano bisogno dalla cultura americana. Credevano che il denaro promuovesse la disuguaglianza e l'individualismo e non volevano diventare una società divisa. Il giorno in cui ho scattato questa foto, sono andato con un gruppo in una grotta dove c'erano dipinti indigeni. Ho fatto una sola foto della donna: la chiamo "Angel Woman", perché sembra che stia sorvolando il deserto. Portava con sé un registratore, che è qualcosa che i Seris ottengono dagli americani in cambio di cestini e sculture, e così possono ascoltare musica messicana . Quando sono tornato da Punta Chueca, ho rivelato le mie bobine ed esaminato i fogli di contatto, ma non ho notato questa foto fino a quando il mio editore non me l'ha chiesto . Non è qualcosa che di solito mi capita, dato che so sempre cosa ho fotografato. Ecco perché è la mia foto preferita, perché è un regalo a sorpresa nel deserto.
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stillucestore · 2 years ago
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Nata come un regalo personale di Ettore Sottsass al fondatore di Stilnovo, Bruno Gatta, che se ne innamorò a tal punto che volle metterla subito in produzione, mantenendo inalterata la filosofia iniziale del progetto: curvatura a mano dei tubi e della lamiera. Valigia è una piccola architettura senza confini, pensata per essere portata ovunque. La combinazione rosso-nero, era molto apprezzata da Sottsass, tanto che si ritrova in altri progetti. Tra i tanti, la super iconica macchina da scrivere Valentine per Olivetti. Una lampada nomade, ironica e informale che può essere trasportata ovunque dove più hai bisogno, perfetta per accompagnarti nel tuo studio e lavoro 🤓 Tutti gli studenti di scuole, università e tirocinanti hanno diritto a un super sconto sulle lampade da tavolo 🤩 Vai su Stilluce Store e ricevi subito il tuo extra sconto. La Casa comincia dalla Luce. #StilluceStore #Stilnovo #BTS22 #EttoreSottsass (presso Stilluce Store) https://www.instagram.com/p/CiuT-s8IbOQ/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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lasko2017 · 3 years ago
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Un padre, finita la festa di laurea della propria figlia, le disse: “Ti sei laureata con il massimo dei voti! Ecco il tuo regalo. Un’auto che ho acquistato molti anni fa! Ha diversi anni, ma prima che te la dia, portala nel parcheggio delle auto usate in centro e dì loro che voglio venderla, poi fammi sapere quanto ti offrono.” La figlia andò al parcheggio delle auto usate, tornò da suo padre e disse: “Mi hanno offerto mille euro (1.000,00 €) perché sembra molto logora!” Il padre, prontamente, le disse: “Portala al banco dei pegni.” La figlia andò al banco dei pegni, tornò da suo padre e gli disse: “Il banco dei pegni mi ha offerto cento euro (100,00 €), dato che è una macchina molto vecchia!” Il padre chiese a sua figlia di andare in un club automobilistico e mostrare loro l’auto. La figlia portò la macchina al club, tornò da suo padre e gli disse: “Alcune persone nel club hanno offerto centomila euro (100.000,00 €) per questa auto, dato che è una Lamborghini..un’auto iconica e ricercata da molti!” Il padre, allora, disse a sua figlia: “Volevo che tu sapessi che il posto giusto ti valorizza nel modo giusto. Se non sei valutata, non essere arrabbiata, significa che sei nel posto sbagliato. Chi conosce il tuo valore ti apprezza. Non stare mai in un posto dove nessuno vede il tuo valore!” https://www.instagram.com/p/CdNWcbrIvrmcyiK91QanC9lPwxVLMV6VU3J_6k0/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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orsopetomane · 3 years ago
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È pieno di film super-interessanti in uscita, tipo Titane o Pink Skies Ahead (e Last Night in Soho, dove lo mettiamo?), ma - nel mare di opere magne che si affollano una dietro l’altra in questo periodo - fa piacere incappare in un lavoro peculiare come Willy’s Wonderland.
Posto che io ADORO gli animatronic, quel che me l’ha fatto amare è il personaggio interpretato da Nic Cage: un ex-soldato con evidenti turbe psichiche che, catapultato in un inferno a base di pupazzi indemoniati e musichette lisergiche, continua a perseguire stoicamente un solo obiettivo... pulire a dovere l’edificio in cui l’hanno rinchiuso. E santo cielo, le scene in cui pulisce sono tra le più rilassanti e pacifiche che si siano viste in un horror - non noiose, attenzione, rilassanti; c’è un ritmo, una propositività nel suo metodico strofinare, che rimanda a una ricerca mirata della serenità interiore; una specie di “metti la cera togli la cera” vietato ai minori di 14 anni.
A mo’ di intervallo tra un massacro e l’altro, lo vediamo consumare ettolitri di una misteriosa bibita dall’etichetta rosa e giocare a flipper (a questo proposito, iconica la scena in cui supera l’high score ingroppandosi la macchina in piena libidine erotica).
Un piccolo grande film dal canovaccio abbastanza classico, svolto con l’aiuto di un paio d’intuizioni davvero piacevoli.
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primavoltacondeandre · 7 years ago
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Cinzia Marongiu - 1966
Un bicchiere di vino. Era questa la missione strampalata che mi ero data in quello che sarebbe diventato il mio primo, rocambolesco, incontro con Fabrizio De André.
Non un'intervista di persona, che tanto a quell'ipotesi aveva detto e ripetuto un sonoro "no" attraverso il suo "mastino", l'addetta stampa che lo proteggeva da tutto e da tutti permettendogli di vivere lontano da seccature mediatiche nel suo eremo in Sardegna o nella casa a Milano. Perché non era dato sapere nemmeno dove lui si trovasse in quel periodo. Un bicchiere di vino, da bere insieme scambiandosi qualche parola. Tutto qui. Io ero una redattrice di Tv Sorrisi e Canzoni e mi ero messa in testa di intervistarlo sul suo disco pubblicato da poco, (era l'ottobre del 1996) "Anime salve". Dalla mia avevo la potenza del settimanale più venduto in Italia e soprattutto la presenza come condirettore di quella che era stata la sua prima addetta stampa, oltre che un'amica, Rosanna Mani. Ma De André non ne voleva sapere. Il mandato era "non fa interviste". Aveva acconsentito a un ristretto incontro stampa alla presentazione del disco e stop. Dopo diverse insistenze e una trattativa estenuante aveva ceduto all'intervista ma alla sua maniera: io gli avrei dovuto inviare le domande per fax e lui mi avrebbe mandato le risposte. Acconsentii a malincuore: come può un poeta arrendersi a un mezzo freddo e distaccato come il fax? Glielo scrissi pure, promettendo e assicurando ogni controllo da parte sua. Non ci fu niente da fare: prendere o lasciare. Naturalmente presi. Ma subito dopo andai nella stanza del mio direttore di allora esponendo il mio piano: chiesi che mi facessero partire per Olbia e da lì andare con una macchina presa a noleggio a L'Agnata, il suo agriturismo vicino a Tempio dove era possibile anche cenare. L'idea era quella di prenotare (sotto falso nome per non rischiare di essere riconosciuta come la giornalista insistente) una cena per due e di sperare che De André fosse lì. A quel punto mi sarei palesata chiedendogli solo la possibilità di bere un bicchiere di vino insieme. Giusto per guardarlo negli occhi. Giusto per poterlo conoscere e quindi descrivere nel mio articolo. Come buona parte degli italiani ero innamorata di quella figura iconica, di quella voce "evocativa", di quell'aura di solitudine cercata e perseguita con determinazione, con ostinazione. Poi me ne sarei tornata buona buona a Milano e avrei aspettato che il fax vomitasse le risposte. Il piano aveva parecchi punti deboli: poteva anche essere un colossale buco nell'acqua. Poteva essere che io arrivassi a L'Agnata per scoprire che lui si trovava a Milano. Ma saperlo non era dato. Il mio direttore Pierluigi Ronchetti era perplesso: "E se non c'è?"; "E se c'è e si indispettisce?"; "E se ci chiude per sempre la porta?". A Rosanna invece l'idea piacque molto: "Se lo conosco bene piacerà anche a lui. D'altra parte non stai violando gli accordi visto che l'intervista la faremo, come lui desidera, per iscritto. Vai solo per il bicchiere di vino". Nel giro di un giorno organizzai il mio viaggio al buio: chiamai L'Agnata e prenotai una cena per due. Non ricordo il nome che utilizzai ma non era il mio. Poi l'aereo per Olbia, la macchina a noleggio e un piccolo hotel a Tempio. Poco prima dell'ora di cena telefonai per dire che la persona che sarebbe dovuta venire con me non stava bene ma che io sarei andata lo stesso lì a cena. Mentre guidavo verso la sua azienda agricola ricordo il buio assoluto delle strade. Ricordo la paura di sbagliare percorso, quella di arrivare tardi e soprattutto quella di non trovarlo. Appena arrivai mi accolse Agostino il fattore e mi fece entrare in una grande cucina dalla quale si accedeva alla sala. Mentre passavo lo vidi. Maglione blu, ciuffo sugli occhi. Feci finta di niente e tirai dritto. Non volevo metterlo in imbarazzo. Visto che ero sola avevano deciso di farmi stare nel tavolo con altre due coppie. E così trascorsi una lunghissima serata a parlare di tutto pur di non stare zitta. Le due coppie erano d'età parecchio più grande della mia ma non era un problema. Mangiai gli antipasti, il primo, il secondo. Ci passò ben più di un bicchiere di vino, tanto per stemperare la tensione che mi stringeva lo stomaco. Mi vergognavo tantissimo. Continuavo a mentire ai miei commensali: nessuno sapeva che ero una giornalista. Arrivò anche il dolce e il caffè. E la sala cominciò pian piano a svuotarsi. A un certo punto, oltre la mezzanotte, anche le mie due coppie-scudo decisero di andar via. Io invece dissi che mi sarei trattenuta ancora un po', non senza cogliere i loro sguardi curiosi . O forse perplessi. Finché in quella grande sala rimasi da sola. Io e basta. Fu a quel punto che scrissi un biglietto a mano. Scrissi che ero la giornalista che non voleva arrendersi al fax. E che ero arrivata apposta da Milano per incontrarlo e per bere un bicchiere di vino con lui. Sapevo che lui avrebbe capito subito. Diedi il biglietto ad Agostino. E aspettai. Non so quanto. A me sembrarono minuti eterni. A un certo punto dalla porta entrò De André: "Dov'è la giornalista che detesta il fax?" disse a voce alta guardandosi in giro, anche se intorno non c'era nessun altro oltre me. Lo ripeté più volte, io gli sorridevo. Si sedette al mio tavolo. Era molto incuriosito ma anche diffidente, come solo noi sardi sappiamo essere. All'inizio il nostro più che un dialogo fu un match. Non riusciva a capire cosa volessi da lui. Ma iniziammo a parlare. Trascorsero i minuti e poi le ore. Davanti a me avevo una bottiglia di filu 'e ferru, la grappa sarda, della quale mi servii più volte. Lui fumava come un turco. Io pure. La svolta fu quando gli chiesi di parlarmi della "sarditudine": Fabrizio era una delle persone più colte che abbia conosciuto nella mia vita. Un affabulatore straordinario. Cominciò a raccontarmi dei canti a tenores e del significato simbolico delle varie figure che li compongono. Ogni tanto li cantava pure. Parlammo di un sacco di cose ma ero troppo emozionata e alticcia per ricordarmele. Ciò che mi è rimasto impresso in maniera indelebile invece è la sensazione di paradiso a due passi. E quella preghiera silenziosa che sentivo dentro di me sussurrare: "Ti prego, fa che continui ancora". Arrivarono le quattro del mattino e io e Fabrizio avevamo già preso accordi. Fu lui a dettarli: "Facciamo così, visto che sei qui l'intervista possiamo farla di persona ma per iscritto così siamo contenti tutti e due. Ora tu vai in albergo e io a letto. Domani notte mi metto a scrivere le risposte perché io lavoro solo di notte. E poi dopodomani nel primo pomeriggio torni qui e l'intervista la buttiamo giù insieme". Mi avviai alla macchina e guidai piano fino a Tempio. Stracotta e beata. Quella notte dormii quasi niente. Dopo un paio d'ore ero già in viaggio verso la mia Cagliari dove trascorsi un giorno e una notte. Pronta a ripartire per l'Agnata il giorno prefissato. Tornai che erano più o  meno le due del pomeriggio. De André si era svegliato da poco e beveva un brodo caldo di capra. Andammo in una stanza. Forse il suo studio. Lui aveva con sé i fogli scritti a mano con le risposte. Ci sedemmo a tavolino e iniziammo a lavorare. L'intervista fu veramente un lavoro a due. Era preciso e attento, come me. Spostavamo domande di qua e di là, tagliavamo risposte. Io trascrivevo tutto a mano perché lui di darmi i suoi fogli non ne voleva sapere. Credo sia stato uno dei più bei pomeriggi della mia vita. Ogni domanda era l'occasione per approfondire un tema. Parlammo di letteratura e di agricoltura, del successo e della solitudine. A un certo punto uscimmo fuori e mi fece vedere la tenuta. Il laghetto, gli alberi, l'orto: il suo mondo, il suo orgoglio. Lì la sua cameriera Tonina ci scattò una foto che conservo ancora. Lui mi disse: "Non guardiamo in macchina ma verso l'orizzonte". E la foto uscì così: con me che scrutavo un punto indefinito del paesaggio e lui che guardava me. Ci salutammo. Dovevo prendere l'aereo per Milano e arrivare per tempo a Olbia. Guidai come in trance: al posto delle marce l'incredulità, al posto del volante la felicità più assoluta. Poi scrissi l'intervista. Ricordo che per buttare giù l'attacco ci misi tantissimo: mi censuravo continuamente. Mi proibivo qualsiasi emozione. Ero una cronista e punto. Quando l'intervista uscì, seppi che a Fabrizio era piaciuta tantissimo. Il bicchiere di vino, invece, rimase per sempre una promessa. Rinnovata a ogni incontro successivo.
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wheelstelling · 4 years ago
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Aston Martin DB5, nata per essere una star
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L’Aston Martin più iconica della Casa al servizio di Sua Maestà. Veloce e lucente, sportiva in ogni suo particolare.             Quando si dice Aston Martin, la prima immagine che ci balza nella mente è la figura dell’agente segreto 007, James Bond. Così il modello di maggior successo della gloriosa Casa britannica deve la sua fama a una spia, sempre fedele a Sua Maestà.             Il fatto più curioso, però, è che la DB5 di 007 in realtà era una DB4. Si trattava infatti di una DB4 Vintage, che con qualche accorgimento veniva utilizzata dalla Casa in occasione dei saloni automobilistici del 1963, anno in cui fu presentata appunto la versione DB5 o, come qualcuno ancora la chiamava, DB4 sesta serie.             La presentazione ufficiale a James Bond della nuova macchina, e anche al pubblico cinematografico, avviene nel bunker della Sezione Speciale sotto la sede londinese del MI 5, nel film Goldfinger del 1964 diretto da Gary Hamilton.             Bond chiede dov’è la sua vecchia Bentley, e “Q”, il capo della Sezione, gli risponde che è ormai superata per un agente segreto.             Le modifiche, degne di un agente segreto, furono fatte in Inghilterra negli stabilimenti della Aston Martin, tra cui le più importanti: vetri anti proiettili, targhe intercambiabili, valide per tutti i Paesi, ricetrasmettitore, mitragliatrici, rostri ruote sporgenti, espulsione sedile passeggero e tanto altro. Read the full article
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