Tumgik
#ma poi cantata sotto la pioggia>>>>
sara-smind · 9 months
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🌩🟩
Un pezzo di 🤍
Blanco, San Siro, 20 Luglio 2023
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redandshypeach-blog · 6 years
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Hai forse presente...
Hai presente il momento quando, sulle montagne russe, stai per imboccare la discesa ripida? quel vuoto di stomaco che ti fa sentire stranamente libero e spaventato nello stesso momento?
Oppure quando sei ad un concerto e il tuo cantante preferito sta per entrare a cantare e tu lo vedi davanti ai tuoi occhi e ti sembra così irreale essere lì in quel momento.
Hai presente il primo bagno al mare d'estate? quando l'acqua è ancora ghiacciata Ma tu vuoi entrare lo stesso e chissene frega della polmonite, è il mare.
Hai presente il tramonto sull'acqua? il riflesso della luce rossa nelle onde.
E il mare di notte? la brezza che ti smuove i capelli e ti fa venire i brividi.
L'attimo dopo che hai finito un esame? il sospiro che tiri quando esci dall'aula?
Il momento in cui stanno per annunciare i voti e tu sei in ansia perché "questa volta non avevo studiato"?
Hai presente il profumo di un fiore?
Le stelle cadenti?
Quando ridi a crepapelle che non riesci più a smettere, tenti, ma alla fine pensi sempre alla cosa che ti ha fatto ridere e non smetti più?
Hai presente quando l'aereo sta per decollare e stacca le ruote da terra? quando sei in volo e ti senti il guardiano Del mondo.
Hai presente quando la sabbia scotta, ma tu corri e resisti perché stai correndo verso il mare?
Oppure la sensazione bellissima quando finisci di rileggere per la sesta volta il tuo libro preferito?
E la scena più strappalacrime del tuo film preferito?
Hai presente una persona quando danza sotto la pioggia fregandosene del giudizio degli altri e del freddo?
E correre sotto la grandine mano per mano con la persona a cui tieni di più?
Hai presente la tua canzone preferita, quando di mattina la ascolti e ti mette carica per la giornata?
Una melodia suonata Al pianoforte?
Una canzone cantata davanti ad un falò con la chitarra e con i tuoi amici?
Hai presente la felicità di un bambino quando i genitori gli comprano il gelato?
La sensazione di trovarti nel posto giusto al momento giusto?
E la poeticità della pioggia vista dal finestrino della macchina quando stai ascoltando canzoni tristi con le cuffiette? ti senti in un videoclip.
Hai presente la luna piena e il cielo pieno di stelle?
Oppure anche la luce fioca di una candela in una stanza buia?
Hai presente quando il bagnino ti da il via per scendere dallo scivolo più impossibile dell'acquapark?quell'ansia mischiata a gioia e paura.
E la vista mozzafiato da sopra new york di notte?
Hai presente il primo sorso d'acqua ghiacciata dopo una corsa sotto il sole cocente?
E l'ultima campanella prima delle vacanze estive?
E poi hai presente il colpo di fulmine?
Sai, quello che io ho avuto con te.
Forse è stato un po' come tutto ciò che ho scritto, o forse è nulla in confronto, questo non lo so.
So solo che è tutto un disastro magnifico, un disastro che peró non sa nemmeno il mio nome...
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sassibelli · 4 years
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L'attesa delle cose che verranno
Maria Chiara Ingrassia
Il prosecco nel bicchiere, un sorso, il tagliere, la pentola sul fuoco. Dal giradischi, parte una samba triste, come ogni samba allegra che pare una preghiera, una poesia cantata. «Amico», dice, «la vita è l'arte dell'incontro». E a me piace cucinare per gli amici, nell’attesa degli incontri, nuovi scambi, mentre la samba delle benedizioni riempie la stanza e tu mi tiri a te per un passo di danza. Mi distrai con una giravolta, le mani sui fianchi, sollevi il coperchio e assaggi. - Dai, cosi mi sfianchi! Il ragù. La zucca in agrodolce. La macedonia in frigo. - Metti la tovaglia buona, quella di lino che si macchierà di vino, lo so già. Di vino rosso, la macchia sulla tovaglia di lino, cardenal morado sul tavolo sagrado. - Prendi i piatti blu, il servizio da sei ma gliene aggiungi due simili color Portogallo. - Questi, no? Te la ricordi la signora di Afurada che ce li regalò? - Quanto era buono quel pesce, la riva del Douro, il cielo azzurrissimo. - Il citofono. (Taci, mi fai con la mano. ) - Apri tu? I baci, gli abbracci, la casa straripa di voci. C'è odore di cibo, di buono, qualcosa cuoce nel forno, ma questo è solo il contorno? I doni dal Salento, le sedie strette, il calice scheggiato, la pasta scotta, la scarpetta è d'obbligo nei piatti spaiati color azulejos. E ci scambiamo la terra e le parole. La caponata, com'è buona la caponata, le melanzane a cubetti rigorosamente fritte, i mi-lin-cia-ni, il sedano, l'aceto, aspetta che me la scrivo, le olive, lo sfottò gratuito, i dialetti a confronto, il soffritto di cipolla, gli alterchi di coppia, gli acciacchi, le risate scomposte che quasi manca il respiro, i brindisi per brindare, motivati dal nulla. Ricordare per raccontare. Raccontare per raccontare. Gesticolare. Il mare del sud e le vite passate disegnate nell'aria con le mani, fino a poterle toccare. E come un campo da guerra dopo la battaglia, la tovaglia, quella buona, sul tavolo. Il tappo di sughero, le briciole di pane, la marmellata della madre sul formaggio stagionato, il tovagliolo accartocciato, como sangre la macchia sul lino, i bicchieri vuoti, ché si è tanto brindato, le mani che ancora parlano, le forchette sporche, come le labbra, di cioccolato. Il cioccolato della torta che non dovevi, ma era buonissima. - Ed io faccio il bis, se ne può avere un'altra fetta? - Certo! Mica avrete fretta? - Questo amaro è fatto in casa. La bottiglia di vetro, l'etichetta scritta a penna, la data sul retro: tutte scuse per restare a conversare. Andiamo a fumare alla finestra? Mentre la sera entra con il suo odore di ginestra e vuole bere ancora, tanto domani non c'è scuola. Ecco il rumore della pioggia, sicché nessuno sloggia. - Chi vuole il fragolino per un altro bicchierino? - Ma quanto sei cretino? L'aria satura di fumo, battute risapute e commenti salaci o, a tratti, sagaci. E poi discorsi impegnati appena sfiorati. Il precariato, il caporalato, la Siria, i curdi, il mar Mediterraneo che, certo, per noi non è un estraneo. Siamo alticci, ma non fantocci fascisti. È bello stare con gli amici. Offrire e spartire un disco di Vinícius de Moraes e la voce di Toquinho che dice che non c'è bellezza senza tristezza, perché è necessaria la malinconia all'allegria. - Sono pieno zeppo, dice uno dei commensali, scappando via in un batter d'ali, tra l'ebbrezza e la stanchezza. Gli avanzi della cena spartiti in borsa e via di corsa, ora che il cielo si è placato. Ed ecco la pila di piatti da lavare che adesso però può aspettare. Domani, stasera no, andiamo a letto. Sempre il solito difetto di voler procrastinare. Ma non mi voglio lamentare, poiché non mi piace sparecchiare. C'è poesia nel tavolo in disordine: l'alone di rossetto sui calici vuoti, i rimasugli nei piatti portoghesi, la macchia di vino che pare un livido viola sulla tovaglia buona, l'accendino dimenticato, le molliche di pane sciapo toscano. Tracce d'assenze che sono presenze di ore finite, vissute, lasciate, futuri mai iniziati. Piccole nostalgie felici, di attese di cose che verranno, come note di samba. Il disco smette di girare, la finestra è aperta e noi ancora all'erta. Parliamo della cena. -Ne valeva proprio la pena. -Non piove più spegni la luce. Ascoltiamo il silenzio di parole appena usate, abusate. Mi gira la testa, ora che è finita la festa e alcuni amici sono andati via in bici, come fosse una sera di maggio. È autunno, invece, qui, sotto le coperte, supini sui cuscini. Di là in cucina, ciò che resta. L'amaro con l'etichetta scritta a penna, l'istantanea su carta Kodak, il sughero, la brocca pugliese, el cardenal. Frammenti di tempo. Le cose.
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pangeanews · 4 years
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“E stanotte di nuovo nelle chiese innumerevoli cadaveri innocenti”. In memoria del Genocidio armeno: il canto spezzato dei poeti
Chi crede che il poeta sia nulla sbaglia di diversi gradi e svariate latitudini. Proprio quel ‘nulla’ garantisce al poeta di essere tutto: addirittura, il canto di un luogo, di una alberatura, di una civiltà. Così, in ogni lato della Storia, si assiste alla triste replica della medesima passione: il potere, per giustificare se stesso, assassina il poeta – per un poeta che muore, ce ne saranno altri, fasulli burattini, riflessi demoniaci, che lo negano, leccando i piedi al potente. Se è vero, come ha scritto Roman Jakobson, che quella sovietica fu “una generazione che ha dissipato i suoi poeti”, che a Berlino i libri venivano passati al rogo e a Roma gli scrittori erano spediti in esilio, ciò che accadde in Turchia 105 anni fa origina l’irragionevole. I Giovani Turchi, con cristallina spietatezza, cercarono di estirpare una nazione, la sua identità, i suoi cantori. Per fortuna, la grande letteratura armena, pur ammazzata, è sopravvissuta, con dote di incanti e ombre. Nel 2017 le Edizioni Ares hanno raccolto come “Benedici questa croce di spighe…” una “Antologia di scrittori armeni vittime del Genocidio”, per la cura della Congregazione Armena Mechitarista e un invito alla lettura di Antonia Arslan. Da quella antologia, in memoria, ritagliamo parte dell’introduzione della Arslan e alcuni testi esemplari.
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Come una folgore improvvisa che taglia in due un paesaggio, come un terremoto inaspettato che apre voragini e scuote ogni cosa costruita dall’uomo, così siamo abituati a immaginare l’inizio del genocidio degli armeni, quella notte del 24 aprile 1915, quando – su decisione del governo dei Giovani Turchi – furono arrestati uno dopo l’altro nella capitale Costantinopoli i principali esponenti della comunità armena nell’impero ottomano. Fra loro anche molti scrittori, giornalisti e poeti, perché la parola poetica in Oriente è importante: è amata, cantata, ripetuta, riconosciuta come la voce profonda del popolo. Una retata ben organizzata e letale. Nessuno spiegò loro niente. Furono contati accuratamente, fu verificata la loro identità, e dopo qualche ora furono fatti salire su un treno e avviati verso l’esilio. Questo gli venne detto, e così li tennero quieti; ma il programma reale era di dividerli, mandandoli verso diverse destinazioni: e poi di ucciderli un poco alla volta, preferibilmente con imboscate sulle strade poco sicure dell’interno dell’Anatolia – come in effetti avvenne. Pochissimi i sopravvissuti; ma erano uomini di penna, e scrissero, e raccontarono, anche in nome dei loro compagni che non avrebbero più potuto parlare. Così è avvenuto che le ombre degli scrittori assassinati sono riemerse un poco alla volta: sono diventati personaggi reali, protagonisti del racconto infinito di quella tragedia incombente che venne realizzata giorno dopo giorno, con l’astuzia di tenere i prigionieri all’oscuro del loro destino, fino all’ultimo momento dicendo e non dicendo, alternando minacce e apparente bonomia e rispetto, ingannandoli con raffinata doppiezza.
Daniel Varujan, il grande poeta che apre la raccolta, fu barbaramente ucciso insieme ad alcuni compagni di sventura il 26 agosto 1915. Nel momento dell’arresto, non aveva nessun sospetto del destino che l’aspettava; ma aveva dovuto affrontare la deportazione senza preavviso verso una destinazione sconosciuta, prima caricato su un treno, poi su carri per strade impraticabili, per arrivare infine nella minuscola cittadina rurale di Chankiri. Là credette di essere relativamente al sicuro: in esilio, ma vivo, e con la possibilità di ricevere lettere e sostegno da parenti e amici rimasti nella capitale. Ma era solo la quiete minacciosa prima della tempesta. Come in un infernale gioco di scacchi le vite degli esiliati vennero prese un po’ alla volta, capricciosamente, secondo gli ordini che venivano da Costantinopoli, dall’onnipotente ufficio del ministro degli Interni Talaat, presso il quale i loro supplichevoli e disperati telegrammi si accumulavano suscitando – è lecito crederlo – una perversa soddisfazione. Ma Varujan, raccontano le testimonianze dei pochi superstiti, si distingueva perché continuava a lavorare, a scrivere incessantemente…
Fra i primi uccisi, oltre a Varujan, furono i poeti Siamantò e Rupen Sevag. Erano quasi coetanei: Siamantò, dalla vena lirica fiammeggiante e nostalgica, imbevuto di un romantico amor di patria; Sevag, laureato in medicina, oltre a molte poesie autore di una serie di toccanti racconti, aveva sposato una ragazza tedesca che tentò in tutti i modi di convincerlo a restare a Losanna. Eppure anche lui ritornò in patria, come Varujan, come il mechitarista padre Garabed der Sahaghian e tanti altri giovani intellettuali, attirati dalla speranza che la situazione sarebbe cambiata, fiduciosi nella nuova democrazia turca. La particolare importanza della deportazione e dell’annientamento dell’élite armena della capitale risiede proprio nel fatto che essi furono conseguenza di un abilissimo inganno, di cui oggi sono state rivelate le circostanze e i segreti accordi che lo precedettero. Ma loro erano giovani, idealisti, ingenui e forse un po’ troppo sicuri di sé e della forza luminosa del progresso… Eppure a me sembra quasi più importante ascoltarli, leggere le loro parole, i loro pensieri, che conoscere le loro storie, che infine purtroppo si somigliano tutte. Sono storie di illusioni e di tradimenti subiti, di un amore fervido e altruistico per la propria cultura e per il proprio popolo, ma anche della pietà per gli oppressi e della generosa sensibilità verso la liberazione dei miseri.
Antonia Arslan
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Notte sull’aia
Dolce notte estiva. La testa abbandonata sull’aratro l’anima sacra del contadino riposa sull’aia. Nuota il grande Silenzio tra le stelle divenute un mare. L’infinito con diecimila occhi ammiccanti mi chiama.
Cantano di lontano i grilli. Nelle acque del lago questa notte si celebrano le nozze segrete delle naiadi. La brezza agitando il salice sulla sponda del ruscello risveglia dei canti su accordi sconosciuti.
Nel profumo del serpillo, disteso in cima a un covone io lascio che ogni raggio tocchi il mio cuore, e m’inebrio del vino della grande botte dell’Infinito dove un passo sconosciuto schiaccia le stelle cadenti.
È squisito per il mio spirito tuffarsi nell’onda luminosa di azzurro, naufragare – se è necessario – nei fuochi celesti; conoscere nuove stelle, l’antica patria perduta, da dove la mia anima caduta piange ancora la nostalgia del cielo.
È dolce per me sollevarmi sulle ali del silenzio, ascoltare soltanto il respiro imperturbabile dello Spazio, finché i miei occhi si chiudano in un sonno magico, e sotto le mie palpebre rimanga l’Infinito con le sue stelle.
Così, così si addormenta tutta la gente del villaggio; il pastore sul suo carro, sotto la trapunta che stilla luce, la sposa in cima a un covone, scoperto dallo zefiro il seno dove la Via Lattea svuota il suo latte brocca dopo brocca.
E così, avendo dormito un giorno sotto lo sfavillìo del cielo, i miei genitori contadini mi concepirono con tenerezza, mi concepirono fissando lassù i loro occhi buoni sulla più grande Stella, sulla Fiamma più splendente.
Daniel Varujan
Da Il canto del pane (trad. Antonia Arslan e Chiara Haiganush Megighian)
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Sogno di tortura
Sera di primavera e di massacri, la mia anima è ancora uno zampillo di vendetta proteso furiosamente verso l’alto, e le foglie, simili ad anime disperate, cadono sopra l’acqua chiara delle vasche e su noi tutti, e dagli abissi voci di appestati, e verso gli abissi in affannosa ricerca di aiuto grida di morenti, vite già morenti. E stanotte di nuovo nelle chiese innumerevoli cadaveri innocenti, sopra il mio tetto una scrosciante pioggia di ferro, sotto il mio cranio una bufera d’incendi, e sopra l’acque che scorrono appaiono martiri crocifissi… E con la sera di pioggia e di supplizio un incalzante terrore di massacro di città in città… nella mia anima uno spavento infernale di uragano… una bara vuota sotto le mie misere dita, e dall’alto di infiniti marmorei scaloni – oh venite in soccorso! – corpi decapitati marciano su di me… Ma voi, anime fraterne della tortura e delle sere, prima dell’irruzione della tempesta e dei barbari stasera tenacemente e virilmente scegliete la vostra via…
Siamantò
Da Fiaccole di agonia e di speranza (trad. p. Mesrop Gianascian)
L'articolo “E stanotte di nuovo nelle chiese innumerevoli cadaveri innocenti”. In memoria del Genocidio armeno: il canto spezzato dei poeti proviene da Pangea.
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