Tumgik
#ma dovrei rileggere alcune cose prima e non ho molto tempo
tendreestlanuit · 27 days
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Da quando è scoppiata la polemica su Dante penso alla descrizione (gore) delle interiora di Maometto nel canto XXVIII dell'inferno almeno una volta al giorno
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lapellebrucia · 6 years
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Era da un po’ che non mi succedeva, che non mi veniva voglia di scriverti. Ma considerando che non ti farò mai leggere queste mie parole, forse sarebbe meglio dire, che è da un po’ che non scrivo di te. Non che abbia smesso di pensarti, è impossibile. Ma forse è solo questione di essere impegnati. Forse è che adesso, per la prima volta da settimane ho deciso di prendermi una serata per me. E di conseguenza sei apparso tu. Dovrei, un giorno, mettermi a rileggere tutti i documenti, le pagine di world in cui parlo di te, raggruppare tutto in una cartella, e tenerla lì. E aspettare. Magari un giorno leggerai. Un giorno sarà giusto dirti tutto. O forse ti archivierò con tutti gli altri documenti che ho nel computer, e verrai un po’ dimenticato. Dovrei essere arrabbiata con te, questa volta davvero. Dovrei davvero non parlarti più. Ed è quello che voglio farti credere, voglio farti credere di essere arrabbiata. Ma in fondo non lo sono, non lo sono mai. E avrei mille motivi per esserlo. E uno dei tanti è che spesso mi fai sentire un gioco, io che ho sempre odiato giocare. E quindi sì, al momento io non ti parlo. Concedimi questo silenzio, finchè dura. Finchè non capisci. Finchè non provi a capirmi. Ci sono momenti in cui mi fai credere di conoscermi davvero. E altre volte, invece mi domando chi pensi che io sia. Ma forse stiamo sbagliando entrambi. Forse sono la prima a non sapere chi ho davanti. Ah, poi volevo chiederti scusa, non sono mai sincera con te. Continuo ad essere una contraddizione, quindi forse è per questo che non sai chi io sia. Perché non so mostrarmi. Ma non so come mostrarmi. Mi sembra sempre troppo. Troppo indecisa. Troppo decisa. Troppo incerta. Con te sembra sempre troppo, eppure alla fine non è mai abbastanza. Perché tu punti al troppo. Ma alla fine se ti fermi a pensare, beh abbiamo lasciato tante cose da parte, troppe questioni irrisolte. Tu non mi hai ancora parlato di lei, e anche se so che esiste, anche se tu sai che io so, non hai mai avuto il coraggio di dirmelo e io non ho mai avuto il coraggio di chiedertelo. Dovrei fermarti e dirti come stanno le cose. Di quanto mi faccia arrabbiare quando fai il coglione, facendomi diventare quello che vuoi, immaginandomi nelle vesti di qualcuno che non sono, che non sarò e che non voglio essere. Mi modelli per soddisfare i tuoi desideri e non puoi immaginare come mi faccia stare male questa cosa. Mi fa molto più male sapere che non mi conosci, che mi vorresti diversa, di quando so che non mi rispondi perché sei con lei. Perché lei non posso cambiarla. Non ti ho mai chiesto di essere diverso eppure te me lo chiedi continuamente. E non posso lasciare che il tuo desiderio nei miei confronti mi cambi. Non posso mettere davanti te a me. Non ancora. Non adesso. Quindi sì, adesso faccio la parte dell’arrabbiata. Ma no, non sono arrabbiata. Sono solo triste. Non sono neanche delusa, perché non ti posso dare colpe, non posso puntare il dito. Quando ti ho detto Sì sapevo a cosa andavo incontro. Ma sì, vorrei che le cose cambiassero. O in un modo o nell’altro. Sai a me le mezze misure non piacciono, o tutto o niente. E al momento io non ho coraggio di chiederti tutto, non avrebbe senso e come al solito sarebbe il momento sbagliato. Ma non sono sicura che avremo mai un momento giusto. Poi c’è il niente. E mi sembra molto più realizzabile. Ah, non ti aspettare che io prenda in mano ancora un volta la situazione dicendoti “Addio”, l’ho già fatto e non sono pronta. Ma sappi anche che non farò un altro passo se non sarai tu a chiedermelo, perché alcune cose non si sanno spiegare. E io al momento non posso spiegartele. Non conosco abbastanza parole per farti capire e tu non sei ancora pronto per sentire le poche che so pronunciare. Quindi il niente al momento si farà da solo. Diventerà niente. E andrà bene. Che poi il nostro niente non fa tanta paura, perché come tutti i fogli che diventano bianchi si può sempre tornare a scriverci sopra. E io non lo chiudo il nostro libro. Sai qual è il problema del mio carattere, del fatto che io non riesca mai ad essere davvero arrabbiata con te? Beh, adesso ti chiederei di venire qui, come niente fosse. Ma come ho detto io non so spiegare, e adesso servono le parole. Servono perché non parliamo da troppo tempo. Sarebbe davvero giusto parlare. Sarebbe arrivato il momento. Ma come sempre questo non è il momento giusto.
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7 Gennaio 2020
Non sono piú quella di un tempo e l’ho capito quando l’altro giorno, aprendo la porta e dicendo un semplice “ciao”, mi hanno chiesto se fossi triste. Non sono piú quella di un tempo perché a quella domanda magari avrei iniziato a raccontare cos’era che non andasse in me, invece ho respirato, ho guardato da un’altra parte e ho risposto “no, é tutto ok”. Non sono piú quella di un tempo perché non me la sono neanche presa dopo che la cosa é finita lí, senza ulteriori domande, perché non ho piú voglia di spiegare cosa c’é che non va in me, cosa mi porto dentro ogni volta. Qualcuno potrebbe pensare che i miei siano dei problemi banali, che nella vita ci sono cose molto piú importanti, ed é vero. É vero, che io non dovrei lamentarmi di nulla, perché in realtá non mi manca niente. Il fatto é che spesso ci sentiamo in questa situazione fatta di dubbi continui, fatta di domande, di pensieri che viaggiano a velocitá estreme; fatta di momenti in cui ci sei solo tu nel tuo letto, pronta a spaccare il mondo, a distruggere qualsiasi cosa avessi davanti per quanta rabbia hai dentro, a volerti strappare il cuore dal petto perché fa troppo male. Ci sei tu, e nel silenzio piú assoluto i tuoi pensieri fanno troppo casino. Ma ci sei solo tu, e gli altri non se ne accorgono.. nemmeno se urli. Stai lí che fissi il soffitto per ore, e non importa se se ti sei svegliato presto, se é stata una giornata stressante o se semplicemente non hai fatto niente tutto il giorno, perché ti ritrovi sempre lí a fissare quel soffitto, a girarti da una parte all’altra nella speranza che una posizione migliore possa facilitare il sonno. E non importa se ti addormenti presto o tardi, in ogni caso, ad un certo punto della notte, ti svegli sempre e non hai piú sonno. Ormai non ricordi neanche piú l’ultima volta che hai fatto una dormita continua. E allora cosa fare? Niente, ormai quello che fai é lasciar scorrere le giornate in attesa di un giorno migliore, in attesa di un giorno in cui ti sveglierai e ti accorgerai di aver dormito per 8 ore consecutive, di ricominciare ad apprezzare quello che hai davanti. Nel frattempo rimango qui, in bilico tra quello che sono stata e chi voglio essere. Nel frattempo cerco di capire cosa ho sbagliato, perché non merito anche io di essere felice davvero, di poter dire “finalmente sto bene”. Mi domando perché io non posso avere tutto questo, perché nonostante tutto, ancora non riesco ad eliminare i lati negativi del mio carattere che mi portano a fare sempre gli stessi errori, a rimuginare sempre sulle cose che mi fanno male. Mi chiedo perché io non possa semplicemente essere una persona migliore, una persona che quando la vedi dici “mi basterebbe solo un pizzico di quello che é”, e invece no, da sempre sto in continua lotta con me stessa. 
Non sono piú quella di un tempo perché da quando mi é crollato il mondo addosso, i pezzi che sono andati in frantumi non si sono mai rincollati del tutto, sono rimasti solo attaccati con della colla momentanea, che si rimuove ad ogni oscillazione del vento. Sono rimasti lí, ma non hanno mai vissuto davvero. 
Da quando ho capito di aver sprecato tante occasioni, tante opportunitá, non vedo piú le cose nello stesso modo, cerco di analizzare il tutto, ma finisco sempre col farmi male. Dovrei smetterla di piangermi addosso eppure ancora faccio fatica a capire la mia vita, non riesco ad accettare ancora bene alcune cose della mia vita, mentre ce ne sono altre che non ho mai accettato perché non mi hanno mai fatto sentire veramente nel posto giusto. 
Una cosa che ho capito da diverso tempo ormai, é che io voglio qualcosa che sia solo mio, voglio la mia pace interiore ma anche la pace intorno a me, vorrei creare qualcosa che fosse solo mio, che mi permettesse di sentirmi a casa perché questo non é il mio posto. Non lo é mai stato, e l’ho capito quando sono partita e mi sono sentita padrona di uno spazio che fosse solo mio. L’ho capito quando tornavo a casa e dovevo occuparmi anche delle cose piú banali. É stata dura in parte, ma é stato qualcosa che mi faceva sentire in pace con la me critica di sempre, perché per la prima volta ce la stavo facendo da sola. Mi prendevo cura delle mie cose. 
Spero un giorno di poter realizzare i miei sogni, tra cui quello di aver un posto tutto mio dove potermi sentire a casa. E spero un giorno, di avere qualcuno a cui poter far sentire di essere nel proprio posto, di essere a casa. Se mai dovessi avere dei figli, spero che si sentano sempre a casa.
Tempo fa mi é capitato di rileggere vecchie cose e di sorridere all’idea che certe cose non sono mai cambiate in me. Ho sempre avuto questo sogno, ma prima ci pensavo come una cosa molto lontana da me perché mi sentivo ancora di dover realizzare molte cose nella mia vita. Da quando ho messo a punto molti tasselli nella mia vita, so che prima o poi questo accadrá, perché é una necessitá che ho ormai da diverso tempo. La cosa che temo di piú forse, é dover riadattare la mia vita all’idea di dover fare questo passo da sola. Ho sempre pensato che ci sarebbe stato qualcuno a condividere questa cosa, ho sempre fantasticato sulle cose che mi piacevano e lottato per quelle che invece non avrei voluto. Ho avuto paura quando tempo fa, pensavo che qualcuno mi avrebbe chiesto di fare quel passo. Ho riso quando invece ho scoperto che erano solo le mie ansie solite. 
Sai, é difficile pensare che non accadrá niente di tutto quello che avevo pensato da tempo a questa parte. É difficile accettare che non ci sará nessun viaggio, nessun progetto, nessuna casa, nessuna famiglia, magari anche un cane, nessun futuro con te. 
É difficile perché é vero che lo sai, lo senti quando hai di fronte la persona giusta, “la tua persona”, e cominci a fantasticare sul futuro ma non puoi ammetterlo perché vorrebbe dire ammettere all’altro ma soprattutto a se stessi di legarsi per la vita ad una persona. 
Ti é mai capitato non solo di dire, ma di pensare tu sei la mia persona? Io sí, e penso che non sia un discorso tanto per, penso che per quanto uno possa innamorarsi piú volte nella sua vita, certe cose non le dici a chiunque, certe cose le dici solo quando senti che la persona che hai di fronte é l’altra parte di te, l’incastro perfetto. E non é vero che con il tempo tutto passa, che il tempo guarisce, imparerai a guardare oltre forse, ma dentro di te sai che quella persona sará sempre il tuo incastro perfetto, e che da quel momento in poi, nessun altro potrá mai intrecciarsi perfettamente con la tua anima, magari con il corpo anche sí, ma di mani e di corpi che vanno ovunque con chiunque ne é pieno il mondo, mentre di anime che vivono l’una nell’altra no. 
E allora posso essere d’accordo con quello che lessi una volta, ovvero che ci sará sempre un nuovo amore, magari crederai anche che sia quello giusto, ma ce ne sará sempre un altro che ci siamo fatti fuggire, a cui tu non riuscirai a non pensare, a cui rivolgerai anche solo un semplice pensiero, un semplice sorriso ogni giorno della tua vita. Perché per quanto si impari ad andare avanti, a convivere con il dolore, non si dimenticherá mai chi ha toccato le corde della tua anima e le ha fatte vibrare. 
Per me, per sempre.
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sportpeople · 7 years
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Cosa vuol dire per un tifoso romanista giocare in Europa?
Se ripercorressimo a ritroso la storia di questo club non vedremmo certo decine di partecipazioni sfavillanti alle competizioni continentali. Incapperemmo in seratacce, passivi pesanti e sconfitte che hanno segnato per sempre intere generazioni di tifosi (mi vengono in mente Liverpool e Slavia Praga, ad esempio).
C’è stata un’era – quando probabilmente il calcio era più competitivo ed avvincente – in cui solo il pensare di disputare una partita della vecchia Coppa Campioni equivaleva al compiere un sogno recondito. Proibito a dirla tutta. Gli anni 2000 hanno facilitato molto la realizzazione di questi sogni. Le riforme alle coppe, le prime quattro squadre in Champions e una globalizzazione che giocoforza ha reso persino piccole realtà di provincia habituèe dei grandi palcoscenici europei.
Sempre a dirla tutta (e in virtù di quanto scritto sopra), difficilmente la Roma è riuscita a solcare un percorso netto oltre i confini nazionali e a regalare ai propri tifosi serate belle e soddisfacenti come questa. Certo, restano pur sempre ristrette in una vittoria, è vero, ma al tifoso lasciano comunque quell’alone di orgoglio in grado di cancellare i celebri “centoventi giorni stronzi” cantati da una nota band di Pavia.
Ho pensato, dopo il fischio finale, che avessi ancora avuto i miei sedici spensierati anni non avrei dormito per rivedere cento volte le due perle di El Shaarawy e la sassata di Perotti e pensare al ricordo che gli attoniti tifosi ospiti avrebbero portato a casa dell’Olimpico. Ci ho pensato perché ho visto la reazione di tanti attorno a me: felici, contenti, soddisfatti…ma non tronfi. L’epilogo di 90′ contrassegnati da un buon ambiente, senza dubbio, al quale però manca sempre quel qualcosa in più per risultare “cattivo”, tignoso. Consapevole di poter influenzare il risultato col proprio baccano.
Certo, sempre ad onor del vero e senza risultare offensivo, se il 40% dello stadio in simili occasioni viene riempito da turisti e gitanti è anche difficile avere un catino ribollente. Mai come oggi ho rimpianto quelli che, in gergo curvaiolo, vengono chiamati “cesaroni” o, un tempo, “bruchi”. Tifosi magari un po’ rozzi e con poca attitudine all’evitare lo stereotipo del romano/romanista. Ma almeno tifosi. Che poi è alla base di tutto. Sicuramente sono molto più utili alla causa rispetto a uno dei tanti battaglioni di nippoteutonici che ormai spuntano fuori come funghi di tanto in tanto. E non solo per le partite di cartello. Bada bene: nulla contro i simpatici (sebbene un po’ computerizzati) giapponesi o contro i perennemente scosciati (e abbronzati) tedeschi. Il mio è un discorso generale.
So anche di risultare un po’ petulante. Uno può dire: “E quando lo stadio è mezzo vuoto non va bene, quando si riempie non va bene, quando tifa non va bene…quando va bene?”. Sarebbe una corretta osservazione. Che sovente mi faccio da solo. Ma poi mi rispondo che andrà bene quando a dominare l’ambiente e i 90 minuti sarà non solo un buon tifo, ma anche un buon ambiente complessivo, coscienzioso di rappresentare un’identità e una storia. Senza dare nulla per scontato. Perché – come ci ha insegnato la vicenda barriere – di scontato non c’è nulla e soltanto l’esistenza di un fronte comune, unito dalla stessa passione e dalla stessa fede, malgrado le differenze interne, può mantenere in vita e dar futuro al movimento ultras. Parliamo di quello romano, ma è un discorso che si può davvero ascrivere a tutto il resto d’Italia.
A fronte di questa corposa introduzione direi che se ci si vuol davvero far il sangue amaro bisogna porre l’accento sulle ormai ataviche file che caratterizzano lo stadio Olimpico in fase di afflusso. Avendone parlato decine di volte non dovrei forse più tornare sull’argomento, ma siccome la ritengo una delle cose più incivili e disumane che vengano perpetrate ai danni dei tifosi capitolini, penso che occorra sottolinearlo ogni volta. Evidentemente chi di tanto in tanto punisce ragazzi rei di aver coordinato il tifo da una balaustra (veri criminali insomma), deve provare un perverso piacere nel vedere quella moltitudine di gente innervosita e contrariata che di tanto in tanto si scaglia verbalmente contro gli steward. E se va male accusa un qualche malore. Complimenti per lo stadio a cinque stelle!
Anche se, come spesso accade in occasione di partite europee, la palma dei più fantasiosi la meritano i giornali. Annunci di “2.000 hooligans del Chelsea in arrivo” e altri titoloni strillati per dare il là al più becero dei terrorismo psicologici. Posto che duemila hooligans i Blues forse non li avevano neanche nel 1973, il tutto resta a dir poco patetico. Verrebbe voglia di esser un titolista in queste occasioni. Almeno saremmo autorizzati a scrivere le prime idiozie che vengono in mente. E probabilmente più è inetto il concetto e più l’autore verrà premiato.
I tagliandi staccati sono circa 55.000. Tra limitazioni di capienza e prezzi a dir poco fuori da ogni logica la risposta è dunque più che buona. Anche se i dati di queste sfide lasciano il tempo che trovano. Ahinoi (plurale per indicare l’intero movimento calcistico) i numeri che contano sono quelli delle competizioni nazionali. E da troppo tempo ormai evidenziano un allontanamento congenito e inesorabile. Tuttavia è indubbiamente bello vedere uno stadio con meno vuoti del solito.
Un po’ meno bello è il posticcio inno della Champions League seguito dalle migliaia di flash degli smartphone provenienti da ogni settore dell stadio. Ecco, se vogliamo fare una critica al tifo di questi anni (peraltro trita e ritrita, ma oggi sono in vena di rompere i cosiddetti) non possiamo non evidenziare come questi aggeggi abbiano spesso distolto i frequentatori delle curve dal loro ruolo primario. Gente che si deve fare il selfie mentre parte il coro, gente che deve fare il video alla punizione di Tizio o al rigore di Caio, gente che deve postare una foto mettendo il luogo per poter poi passare i restanti 87′ a commentare lo stato si Facebook. Insomma, non solo l’anti ultras, ma l’anti stadio!
E purtroppo capisco anche che pure per il gruppo più oltranzista e volenteroso è davvero difficile combattere tutto ciò. Perché chi sa scindere il normale utilizzo dalla virtualità dalla dipendenza più becera diventerà sempre più una minoranza nella nostra società.
Nella fattispecie la Curva Sud offre una discreta prova, fatta di alti e bassi. Meritano sicuramente menzione le tre esultanze ai gol: autentiche, veraci e passionali. Mentre per quanto riguarda il tifo direi molto bene i due/tre nuovi tormentoni che trascinano spesso pure i Distinti, mentre in troppe occasioni continua a mancare quel collante tra parte bassa e muretti che dovrebbe essere costituito dalla parte centrale di curva. Oltre a quel pizzico di incisività che renderebbe i cori molto più potenti e intensi. E qua, per trovare le ragioni, bisogna rileggere le critiche precedenti (peraltro già espresse in diversi articoli quest’anno).
Da segnalare, anche quest’oggi, l’ingresso al quarto d’ora dei Fedayn per protestare contro le recenti sanzioni piovute su diversi lanciacori della curva.
In linea generale si può sicuramente fare di più, perché c’è il potenziale, ci sono le persone e c’è un amore incondizionato che anche dopo due anni di esilio ha saputo rimanere intatto e ricominciare a germogliare senza alcun dubbio. Del resto dalla Sud ci si aspetta tanto perché può dare tanto. Quindi l’esser a volte al di sotto delle proprie capacità è un handicap migliorabile e sui sicuramente si dovrà lavorare. Ovviamente con calma e con i pochi strumenti a disposizione. Oltre che con un mondo esterno che rema costantemente contro quella che è non solo la logica ultras, ma proprio il voler fare aggregazione.
Ora mi si lasci fare una battuta: queste critiche finiscono – e diventano insignificanti – laddove arriva il tifo degli inglesi. È quello il momento in cui ti accorgo che anche quel poco che è rimasto in Italia finisce per diventare oro colato al loro confronto. Si esagera, ma neanche troppo (sic!).
Come accennato ad occupare il settore ospiti arrivano circa 2.000 supporter del Chelsea, evidenziando la solita validità numerica dei tifosi britannici. Peccato che quasi mai queste presenze vengano seguite da un tifo indimenticabile. Eppure, almeno rispetto allo spettrale clima di Stamford Bridge, almeno nella prima frazione di gioco i londinesi ci provano ad abbozzare qualche coro. L’impostazione è lontana anni luce dal nostro modo di intendere il tifo e francamente continuo a non comprendere il loro modo di andare allo stadio, però almeno per 45′ dicono la loro e fanno sicuramente più bella figura di tanti altri connazionali venuti a scaldare i seggiolini dell’Olimpico.
Tanti “scambi d’opinione” con i gruppi della Nord alta, stasera in ottima forma, e molto bello l’applauso “a prescindere” riservato alla squadra nel finale, malgrado la pesante sconfitta per 3-0.
A match concluso l’Olimpico si lascia ovviamente andare a sfottò e festeggiamenti, nonostante l’odiosa musica ormai in voga in tutti gli impianti, copra inesorabilmente la voce dei tifosi.
Quando lo stadio si vuota completamente i tifosi inglesi sono ancora al loro posto, in attesa che le autorità italiane li lascino defluire nella notte di Roma che nel frattempo si è fatta fredda e umida.
Testo Simone Meloni
Foto Cinzia Lmr
Roma-Chelsea, Champions League: la rabbia comune trasforma sogni in realtà Cosa vuol dire per un tifoso romanista giocare in Europa? Se ripercorressimo a ritroso la storia di questo club non vedremmo certo decine di partecipazioni sfavillanti alle competizioni continentali.
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ultimasaperlo · 7 years
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1/06/2017 Cazzo già è primo giugno. Mi sembra impossibile, sarà un miraggio. Con il ciclo va meglio di ieri, dovrei farmi uno shampoo. Ho pensato di venire all'aeroporto quando partirai, ma potrà farti piacere? Voglio solo che tu sia felice, se ci credi potremmo esserlo insieme. Man mano sto rileggendo tutte le nostre conversazioni, alcune discussioni erano proprio stupide. Ieri pensavo un po’ a dove potrei andare in viaggio, mi piace molto l'Irlanda. Tu che mi consigli? Ps. Non credo partito né a luglio né ad agosto, sarebbe un suicidio restare tutto questo tempo senza sentirci (perché le mie giornate sarebbe riempite dal altro), senza vederci, senza poter fare una videochat Skype. Perché continuo a rileggere le nostre conversazioni? Mi fa male però sto capendo molte cose. Ho letto di quando ti proposi una pausa, riporto le tue parole: [FOTO] Già, non sapevano stare separate…proprio come io con te. Ma cazzo ce la sto mettendo tutta pur di lasciarti i tuoi spazi, ho paura che non riusciremo mai a risolvere, crederci, volerci provare, cominciare qualcosa di nuovo con la Nadia un po’ cresciuta. Ho paura e tu non sei qui, mentre saresti l'unico a poter portarla via. Prima ascoltavo “Do I wanna know” degli Artic, mi rispecchia alla perfezione. Ed ho ascoltato la canzone che hai messo stanotte, SUMMER 41 Noots, è molto triste. Ho trovato una tua foto, quanto puoi essere bello? [FOTO]
Raccolta di lettere From Nadia to Liberato
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