#libertà individuali dell’individuo
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La mia intervista al Messaggero
D: Come ha accolto la notizia di oggi? R: Direi positivamente! Un po’ come il movimento filosofico nato in Francia nella prima metà dell’800 e riferito all’esaltazione del progresso scientifico. In particolare sotto Montecitorio mentre Marco Cappato ci intratteneva, durante la fase finale delle votazioni con il suo lessico più che mai radicale e sarcastico. D: Lei è stato uno dei primi nel suo…
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Le democrazie liberali sono la forma di organizzazione del potere più diffusa, un vero e proprio modello, nelle politiche degli stati nel Nord del mondo, e, a partire dalla decolonizzazione, anche nel Sud del mondo.
L’illuminismo è un movimento culturale del XVIII secolo che ha una grossa importanza, soprattutto per quant riguarda l’affermazione di principi fondamentali, che per noi oggi possono essere addirittura scontati o poco espliciti, ma che all’epoca non lo erano affatto, e che sono fondanti di tutte le costituzioni liberali odierne, come l’idea della libertà individuale. La libertà individuale non nasce in senso assoluto nel XVIII secolo: aveva già dei prodromi nella rivoluzione inglese di XVII secolo. Con l’Illuminismo tuttavia essa diventa un principio di riferimento non politico ma culturale. Ciò significa che parlare di libertà individuale significa parlare di una dimensione individuale, personale di libertà rispetto alla presa e alla determinazione delle opinioni delle persone da parte delle istituzioni tradizionali, in particolare quelle religiose.
Parlare di libertà individuale significa indirizzare una critica veemente nei confronti di queste istituzioni e delle credenze e superstizioni che esse veicolano.
Poi naturalmente dietro tutto ciò una strisciante vena politica c’è sempre: non si tratta infatti di attaccare le istituzioni come la Chiesa in quanto tali (ossia in quanto istituzioni culturali, dato che la Chiesa tra l’altro in questo periodo non lo era), ma di attaccare tutti quei poteri politici che si appoggiano alla Chiesa, o alle chiese, ma che rimangono strettamente politici. Gli esempi non mancano, numerosissimi sono i casi in cui il messaggio religioso della Chiesa cristiana fu usato come strumento di legittimazione politica: si pensi a tutti i regimi assolutistici che fecero discendere dalla volontà di Dio il potere del sovrano.
La riflessione sull’individuo aveva quindi dapprima un valore culturale, poi durante il XVIII secolo diviene una riflessione sempre più politica, fino ad arrivare alla Rivoluzione Francese, in cui la dimensione politica dell’Illuminismo emerse nel modo più forte. Ed è proprio per questo che la Rivoluzione Francese fu una rivoluzione: perché tradusse su un piano politico quelli che fino ad ora erano rimasti dei semplici ragionamenti di intellettuali nei loro circoli.
Nei loro circoli gli intellettuali illuministi discutevano di tutto, e questa fu la scintilla che scatenò l’incendio: discutere di tutto significa infatti poter mettere in discussione quello che è dato per scontato, al lontano dalla sorveglianza, dalla censura politica. Queste discussioni ovviamente erano possibili solo nelle classi elevate, degli aristocratici e dei borghesi altolocati. Ciò fa sì che fin dall’inizio questa idea fantomatica di “libertà” sia in un certo senso cariata. Essa era infatti relegata ad una minoranza, una minoranza benestante (borghese e aristocratica) ma anche una minoranza nella minoranza: il genere. La letteratura illuministica infatti è una letteratura di soli uomini. L’universalismo di cui si parla in questi circoli è ancora maschile, con ben poche aperture al mondo femminile.
Quando parlavamo di liberismo in economia, questo principio secondo il quale l’individuo deve avere capacità di imprenditore e deve poterla esplicitare fuori da qualsiasi sfera di controllo (neoliberismo = declinazione contemporaneo). Questo principio è sostanzialmente legato alla sfera economica; parla di libertà economica, esalta una sfera individuale. Il concetto di sfera individuale lo ritroviamo in economia nel liberismo, in filosofia nell’Illuminismo.
Quando oggi sentiamo parlare di spazio pubblico e spazio privato. Questa distinzione non si trova in natura, ma è un frutto di questa evoluzione culturale che inizia a delinearsi nel XVIII secolo. Quindi quello che si verifica è la separazione di una sfera privata che deve essere libera da intrusioni di ogni tipo da parte delle autorità costituite (la Chiesa infatti fino a quel momento esercita intrusioni nelle coscienze degli individui, le corporazioni dell’antico regime nelle attività economiche). La libertà dello stato quindi di intervenire nelle attività economiche, soprattutto attraverso la fiscalità, è considerata un’intrusione indebita nella libertà individuale; indebita soprattutto se non la si può negoziare come effettivamente in un regime non democratico avviene (pensiamo al momento in cui un sovrano di antico regime fa la guerra e riempie i sudditi di tasse, si va a prendere i figli e i maschi da tutte le famiglie… sono tutti atti intrusivi). Questa libertà individuale, con questa doppia dimensione culturale e economica, ha un riscontro nella proprietà privata.
La proprietà privata nel XVIII secolo diventa l’unico modo di essere proprietari. Prima invece esistevano altri modi di essere proprietari: c’erano delle proprietà collettive, i cosiddetti beni comuni. Essi sono beni collettivi, appunto, non individuali o familiari, ma che appartenevano a gruppi (magari a villaggi di campagnoli…). Il codice napoleonico, invece, nel 1801, riconosce come unico tipo di proprietà quella individuale, e evidenzia la sacralità della sfera privata dell’individuo.
Nasce con la Rivoluzione francese quindi l’idea di libertà individuale, e poi essa diventerà un principio irrinunciabile a cui tutti faranno riferimento dall’800 in poi. Da qui poi si passa alla democrazia liberale ossia all’idea che ogni tipo di governo debba rappresentare un corpo elettorale (così è detto in modo generale, poi si può vedere come questo corpo cambi nel tempo).
La summa si questo principio assoluto di libertà incarnato nella democrazia liberale è:
Libertà di pensare quel che si vuole;
Libertà di possedere;
Libertà di intraprendere;
Libertà di eleggere, quindi necessità di creare una agorà, un foro dove diversi candidati si fanno eleggere dalla cittadinanza come loro rappresentanti per occuparsi dei loro affari comuni.
Questo funzionamento formale, tuttavia, non fu fatto dall’oggi al domani in quattro e quattr’otto. Basti pensare a tal proposito che ancora negli anni della II Guerra Mondiale esistevano diversi imperi ancora simili a quelli di antico regime(quali l’impero Austroungarico, quelloOttomano). Però anche questi imperi videro una progressiva erosione alla fin fine delle forme tradizionali di legittimazione del potere politico; tant’è vero che si chiamavano monarchie costituzionali, poiché anche lì i monarchi avevano dovuto accettare di essere affiancati nel governo dello stato da organi collegiali quali Parlamenti democraticamente eletti.
Questo principio di elezione collegiale dei rappresentanti in Parlamento è talmente radicato nelle nostre menti, che quando gli Americani invadono l’Iraq e abbattono Saddam Ussein, nel giro di poche settimane organizzano elle libere elezioni democratiche. La democrazia dunque si esporta; è un valore universale, un principio universale, un Valore in sé. [Al limite la critica può essere mossa a partire da come effettivamente si arrivi alla democrazia; se dal basso con processi storici che hanno anche degli inconvenienti o calata dall’alto. E poi se essa possa avere degli incidenti di percorso, vedi la democrazia italiana]
Subito dopo la caduta del regime Sovietico e del Muro di Berlino si celebra finalmente l’avvento di un periodo in cui la democrazia liberale avrebbe trionfato dappertutto del mondo e si comincia ottimisticamente a parlare di democratizzazione dei regimi politici e di un chiaro cammino progressivo di tutta l’umanità verso la Democrazia liberale. Noi, nati dopo e con il senno del poi, sappiamo che quest’idea da qualche parte si è interrotta… ma non è di questo che si vuole discutere in questa sede.
Questi celebratori dell’avvento di una nuova era delle democrazie liberali per tutti, hanno ricevuto delle critiche nel momento stesso in cui scrivevano queste idee. Francis Fukuyama, che nel 1992 scrive La fine della storia e l'ultimo uomo, fu un ideologo dell’avvento di questa democrazia liberale. La critica che fu rivolta a lui come ad altri studiosi è che la democrazia da un punto di vista formale comprendeva al proprio interno dei gruppi esclusi dai diritti politici. Inoltre c’erano delle diseguaglianze economiche e sociali all’interno delle democrazie liberali che comportavano delle ingiustizie: compromettevano e tuttora compromettono ad alcune parti della popolazione l’accesso e l’uso degli strumenti della democrazia.
Questa domanda è fondata su una riflessione fondamentale che i politologi hanno sempre fatto da una cinquantina d’anni a questa parte: questa riflessione prevede la separazione in due macro-categorie il concetto di democrazia: - democrazie sostanziali - democrazie procedurali
Democrazie formali e procedurali sono un insieme di regole istituzioni, leggi, divisione del potere di uno Stato democratico. Quindi la sua parte formale, il suo modo di funzionare.Il concetto di divisione dei poteri è importante e non scontato, secondo cui ognuno è indipendente dall’altro, e potere amministrativo e politico devono essere scissi.
Democrazia sostanziale chi ha effettivamente accesso agli strumenti che i regimi democratici mettono a disposizione della popolazione, che non sono sempre gli stessi, come abbiamo detto l’altra volta, vedi ad esempio il Welfare State, che nell’800 nemmeno esisteva. (es. Quante persone hanno di fatto accesso al
Welfare State? Quante donne possono votare, magari in confronto diacronico tra varie epoche e vari luoghi? All’interno dello Stato o Nazione una parte della popolazione è sempre esclusa da questa democrazia. Quale? Perché? Cosa si può fare per risolvere questo problema?
Se si parla di un avvento dell’era della democrazia limitandosi a guardare l’aspetto procedurale e formale, si perde di vista allora la questione saliente dei politologi: quante persone sono incluse o escluse dalla partecipazione ad un regime democratico? Perché? In che misura?Resta il problema di come misurare questa inclusione.
I critici della glorificazione senza se e senza ma delle democrazie liberali si accaniscono tuttavia proprio su questo punto: c’è una differenza tra la democrazia procedurale e quella sostanziale. Tutta la storia delle democrazie degli Stati al Nord del mondo può essere riletta tenendo presente questa opposizione. Tenendo presente che tutta questa opposizione però è intrinseca alle democrazie. Vale a dire che tutta la storia degli ultimi secoli è fatta da una continua tensione, un continuo conflitto per fare in modo che dei gruppi esclusi dall’accesso alle istituzioni formali siano invece inclusi.
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La crisi della sinistra: un problema di “diritti”?
Il tema della “crisi della sinistra” ritorna costantemente nell’analisi politica, almeno da qualche decennio. Eccolo di nuovo dopo le elezioni in Germania, con i socialdemocratici che hanno ottenuto il peggior risultato di sempre.
In Europa la sinistra – nelle sue varie sfumature di colore più o meno rosso - è marginalizzata, assediata dalle forze cosiddette “populiste” oppure appiattita sulle posizioni di un conservatorismo ragionevole come è quello di Angela Merkel. Oppure insegue direttamente le parole d’ordine della destra (vedi l’approccio del nostro ministro degli interni Marco Minniti).
Priva di identità, la sinistra brancola nel buio. Qualcuno vuole tornare alle origini, a un Marx adattato alla globalizzazione. Qualcuno cerca il nuovo a tutti i costi, proponendo una “narrazione” (termine che spopola da Vendola a Renzi) alternativa o affabulatoria, comunque già superata da comici e attori prestati alla politica. Qualcuno infine vuole tagliare il nodo con una netta semplificazione: la sinistra non esiste più, servono diverse categorie interpretative. Non più sinistra contro destra, ma internazionalisti contro nativisti, cosmopoliti contro sovranisti, europeisti contro nazionalisti. Si cade così ancora di più nella confusione.
Altre ragioni della sconfitta risiedono certamente nell’elevato grado di conflittualità interna a qualsiasi formazione politica di sinistra. L’Italia è un esempio lampante: per far perdere gli ex compagni di partito si preferisce favorire la vittoria degli avversari “di destra”. Ciò avviene anche in altri Paesi, ma sarebbe puerile pensare che ovunque si perde solo perché non si è uniti. Ma uniti su cosa? Dentro il perimetro della sinistra i programmi, le priorità, l’elettorato di riferimento divergono nella sostanza. Si ripete – attraverso forme talora caricaturali – il dissidio storico tra rivoluzionari e riformisti.
Già, la storia. Forse per comprendere il presente occorre uno sguardo più lungo, capace di superare la cronaca. In questi ultimi vent’anni l’accelerazione del cambiamento sociale si è accentuata. Gli ideali della modernità non si sono esauriti, ma si sono avvitati su se stessi finendo in un vortice da cui non riescono ad uscire.
Dall’Illuminismo in poi, la direzione verso cui incamminarsi era chiara: conquistare maggiori diritti di libertà. Diritti dell’individuo nei confronti dello Stato; diritti sul lavoro; diritti di scegliere come vivere. Una volta tramontata qualsiasi prospettiva collettivista o comunista, la sinistra ha abbracciato l’individualismo in salsa americana, esportato ovunque dall’egemonia statunitense. Così la sinistra tradizionale europea combatteva per allargare i diritti scivolando sempre di più su posizioni neoliberiste, alla fine però ovviamente rappresentate meglio da partiti “di destra”. La sinistra ha imposto l’agenda dei diritti ed essi sono diventati patrimonio comune di tutti; ma oggi si è come esaurita. Una volta conquistati i diritti, è diventata afasica. Non sa più cosa dire.
Per chiarire tale fenomeno basta solo un esempio: una dei leader della Afd, il partito xenofobo e populista tedesco, Kate Weidel, omosessuale, è sposata con una cittadina svizzera di origine srilankese con la quale ha adottato due bambini. Questa famiglia “arcobaleno” è possibile soltanto grazie all’estensione dei cosiddetti “diritti civili” voluti essenzialmente da partiti di sinistra. Un vero cortocircuito.
Si propone allora di allargare i diritti, magari in tema bioetico o sanitario. Oppure dando diritti ai nuovi arrivati, ai migranti. Questo potrebbe distinguere la sinistra dalla destra. Ma anche in questo caso siamo di fronte a un cortocircuito. Come sottolineato da Gustavo Zagrebelsky, i diritti si sono trasformati in “stili di vita” a cui non vogliamo rinunciare. L’allargamento dei diritti agli stranieri presuppone una condivisione degli stessi e quindi, in un certo senso, rischia di mettere in discussione il nostro “stile di vita”. E un continente vecchio come l’Europa ha paura di questo. Diventa una guerra tra poveri: prima noi, poi loro. E quindi si cede alle sirene dei partiti che ci promettono difesa e sicurezza. Sono loro che difendono i nostri diritti, il nostro benessere minacciato.
Sarebbe illusorio infatti pensare ad una estensione illimitata dei diritti, perché essi finiscono per confliggere tra di loro. Nel mondo interconnesso il detto “la mia libertà finisce dove comincia la tua” è astratto e fuorviante. L’impianto ideale della sinistra deve per questo cambiare paradigma. Aveva ragione Tzvetan Todorov quando diceva che l’umanesimo europeo “si oppone all’individualismo, insistendo sulla natura totalmente sociale degli uomini”. Ma una società per esistere deve avere limiti e i cittadini devono avere doveri. La rivendicazione di diritti senza doveri – perché questa è la mentalità diffusa – cancella ogni solidarietà, ogni comunità. Per aprirsi all’altro infatti occorre rinunciare a qualcosa. Quello che non vogliamo fare.
L’individualismo dei “diritti” non genera soltanto persone integrate, globalizzate, aperte, innovative, tolleranti, ma individui impauriti, arrabbiati, risentiti, chiusi nel loro particolare. Cercano chi dà loro sicurezza (anche se apparente). La sinistra che si è basata sui diritti individuali ha fatto la storia, ma ora è destinata alla sconfitta. Si tratta di trovare una nuova impostazione culturale. Ci vorranno decenni. Un tempo impossibile per un politico interessato a vincere le elezioni. Per questo la sinistra farà molta fatica a rialzarsi.
Articolo pubblicato sul Trentino il 30 settembre 2017
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