#letteratura partenopea
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“ Si tolse tutto. Prima d’indossare biancheria pulita volle considerarsi. Era diventata più bianca, il seno lento, pendulo. Scoraggiata, sedette sull’orlo del letto: le grandi mammelle si poggiarono su una piega dell’addome. Nelle gambe risecchite la carne pallida dei polpacci dondolò, come staccata dall’osso. Vergognoso lasciarsi andare così. Ma perché avrebbe dovuto riguardarsi? Nutrirsi con raziocinio, rifiorire? Per chi? Uomini, amori, figli non ce ne sarebbero stati mai più. Né vanità, né illusioni. Forse ancora scrivere, leggere, studiare: di queste cose aveva provato nostalgia, e se n’era punita. Per esse ricominciare? A che pro? Fra un certo numero d’anni sarebbe giunta la morte. Forse suo fratello José, o Jéronimo, avrebbero continuato la stirpe dei Fonseca. Ma a lei cosa importava? Tutta la vicenda sua, e l’universo, finiti con lei. Cosa poteva rimanerne? I versi? Se proprio non “facevano schifo”, come disse Primicerio, erano nulla in paragone a quelli di Metastasio, Rolli, Parini. Di costoro, forse, qualcosa resterà. Fra cent’anni, duecento: nel 1983, meu Deus! Ma di me? Nada de nada. Il resto di niente. Ebbe voglia dolorosa di ripigliare libri, carta, penne. Forse per vergogna: si può star così a guardarsi vivere? A vegetare, senza coraggio, senza zelo? Senza devozione neppure per te stessa? Probabilmente anche in questo caso ha ragione il signor di Voltaire, quando sostiene che comunque dobbiamo coltivare il giardino. Un giorno, grazie al nostro lavoro, spunteranno fiori, frutti, i bambini mangeranno. Se nessuno s’occupa del giardino il mondo finisce. E con ciò? Mah. Forse, semplicemente, era la sfida della primavera. Si cambiò, indossò il solito vestito nero. Si spogliò di scatto, cercò l’abito di lanetta color pesca. Aprì il cassetto dei soldi, fece i conti: sì per il busto nuovo, anche altre piccole cose necessarie. Mise al collo un nastrino di velluto giallo, cercò uno scialletto, se ne uscì. “
Enzo Striano, Il resto di niente, Mondadori (collana Oscar Classici Moderni n° 199), 2011¹¹; pp. 153-154.
[1ª Edizione originale: Loffredo edizioni, Napoli, 1986]
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Napoli e le sue stelle: una maratona di emozioni celebrate da Cine34
Napoli e le sue stelle: una maratona di emozioni celebrate da Cine34. Domenica 4 giugno, dalle ore 15.00 a notte inoltrata, Cine34, la rete tematica diretta da Marco Costa, dedicherà serata alla città di Napoli e alle sue stelle. Questo evento speciale, che celebra la bellezza e l'unicità di Napoli, è una rassegna-omaggio ispirata a Massimo Troisi, che quest'anno avrebbe compiuto 70 anni. Troisi è una figura di raccordo tra la tradizione partenopea rappresentata da Totò e De Filippo, e la nuova generazione di comici, come Salemme, Buccirosso e Siani. La rassegna culmina nel 40º anniversario dell'uscita di "Scusate il ritardo" nelle sale cinematografiche. Napoli, una città che si distingue per la sua concentrazione unica di monumenti e siti archeologici, aree naturali, varietà etniche, lingue e dialetti, tradizioni, archivi e biblioteche, istituti di ricerca e alta formazione, conservatori, accademie e università, musei, arte e architettura, teatro e cinema, opera, musica e canzoni, letteratura, filosofia e scienza, cucina, sport e soprattutto stile di vita, sarà protagonista di sette film che ne raccontano la grandezza e l'essenza. La rassegna "La città dai mille colori" inizia alle ore 15.00 con il film "Pensavo fosse amore... invece era un calesse" diretto da Massimo Troisi, seguito da "Letto a tre piazze" di Steno, "Volesse il cielo" di Vincenzo Salemme e, in prima serata, "Scusate il ritardo" di Massimo Troisi. Successivamente, verrà proiettato il documentario "MaradoNapoli" di Alessio Maria Federici, seguito dal film "L'uomo in più" di Paolo Sorrentino. In conclusione, sarà presentato il docufilm "La partita nel fango" di Gaetano Simoni. Questa straordinaria rassegna cinematografica rappresenta un'opportunità per immergersi nell'anima di Napoli, esplorandone le diverse sfaccettature attraverso il cinema. Dalle commedie di Troisi che catturano l'essenza dell'amore e dell'ironia partenopea, alle opere di registi contemporanei come Sorrentino che esplorano temi profondi e universali, il pubblico sarà travolto da una varietà di emozioni e coinvolto in un viaggio indimenticabile nella cultura e nello spirito di Napoli. ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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"Specchio a tre ante" di Annella Prisco. Recensione di Lorenzo Spurio
“Specchio a tre ante” di Annella Prisco. Recensione di Lorenzo Spurio
Recensione di Lorenzo Spurio L’elemento fisico, e con esso la metafora, dello specchio risultano, se si volesse fare una disanima in termini cronologici, senz’altro uno dei temi, tanto da divenire topos, della letteratura di tutti i tempi e di ogni luogo. Si pensi, solo per accennare in maniera alquanto vaga, quanto la sua presenza sia importante nel mondo della favola e della tradizione…
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Le immagini di dolore, le polemiche, gli scontri intellettuali, la diplomazia, l’informazione e la disinformazione. Colonne di uomini armati, capolavori della letteratura tirati in ballo, equilibri geopolitici. Aerei, bombe a grappolo, crimini di guerra. Solidarietà, angoscia, rifugi improvvisati. Boati, pianti, canzoni di speranza. Corridoi umanitari, videoconferenza, manifestazioni. Parole sbagliate, poesie lette sottovoce, canzoni per dare un sorriso ai bimbi. Dopo 13 giorni di emozioni grandiose, in un verso e nell’altro, in uno dei momenti più particolari per la generazione nata e cresciuta con l’Europa Unita, gli ultras del Verona hanno appeso questo striscione a pochi passi dall’entrata dello stadio Bentegodi prima della partita con il Napoli. Scritto in grande, la coordinata GPS della città partenopea, che secondo questi che non so davvero come definirli, dovrebbe essere bombardata.
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Il Natale a forza
Venerdì sera me ne sono andata al complesso del Carcere Borbonico, in centro città, per partecipare all’inaugurazione dell’annuale rassegna natalizia organizzata dalla Soprintendenza del MIBACT ed i suoi partner.
(Ampio programma, lunghe aperture quotidiane, installazioni d’arte e cultura locale. Invito i nostri lettori a passarci, tanto si deve appena appena deviare di qualche metro dallo struscio per il Corso.)
Durante la presentazione - condotta da Maria Cristina Lenzi - si sono avvicendati due uomini d’intelletto della nostra terra: Giovanni Solimine (Direttore Dip. Lettere e Culture moderne a La Sapienza) e Toni Iermano (Docente di letteratura italiana all’Università di Cassino).
Entrambi hanno declinato il concetto di presepe, ciascuno a suo modo. Il Prof. Solimine - anche da appassionato presepista - ha ricordato quanto il presepe di tradizione napoletana sia una sorta di pot pourri scenograficamente anarchico, parossisticamente anacronistico, nonché affollato, finanche troppassai. Ciò nonostante, è diventato nel tempo un compendio di simboli: dalle rovine classiche cui si sovrappone la scena cristiana, alle figurine, ovverosia i personaggi delle statuine, le quali - si badi - nella tradizione presepistica partenopea si nomano tutti ‘pastori’, anche quando pastori non sono.
Il professore si è soffermato sulla figura di Benino, il pastore dormiente, che non vede la realtà, bensì la sogna. L’ho immaginata quale metafora quantistica (ma con anche un accenno di Matrix), e per questo va benissimo così.
Ha anche citato il culto delle pezzentelle, ovverosia delle anime petenti del Purgatorio, che avevano pure il loro spazio nella complessa scena.
Riflettendo a margine del piacevole ed erudito contributo offerto dallo studioso, ho concluso che, adesso, noi di questo scalognato Paese, siamo tutti ‘pastori’, nel senso di statuine, personaggi. Figure statiche (perché, sappiatelo, nel presepe napoletano non sono ammesse le animazioni, tranne il ruscelletto, come c’insegna Luca Cupiello) ed in attesa. In attesa di tempi migliori, che - ahimè - non verranno. (Meglio dirlo prima, a scanso di altre letali illusioni.) Molti di noi, inoltre, sono tanti Benino.
Siamo, vieppiù, anche noi anime pezzentelle, che chiediamo ristoro dalla lunga crisi. Taluni chiedono rivalsa per tutte le possibilità perse sia come individui, che come classe sociale, in una condizione politica che perdurando provocherà il tracollo sociale, culturale ed economico del Paese.
Siamo sull’orlo di una recessione, grazie ai giochetti di potere nella maggioranza, che sta cincischiando numeri e decimali, trattandoli come fossero arachidi, mentre sono i nostri soldi che si volatilizzano, soldi che servono per welfare e istruzione, da investire in una progettualità economico-culturale per una mission nazionale che nessuno dell’Esecutivo sa assegnare a questo Paese.
Siamo pastori anche nel senso di povera ed ignorante gente, che aspetta un’epifania, una stella cometa che ci porti via in un posto migliore. Probabilmente dove ora sono i ventottomila laureati italiani espatriati in questi ultimi dodici mesi (quanti ne espatriano in media ogni anno), altrimenti rischiavano la sottoccupazione, se non proprio la fame.
Poiché appartengo a quel venti per cento di sovra-istruiti rispetto alle mansioni lavorative svolte, sarebbe stato di sicuro più opportuno che anch’io avessi preso il coraggio a due mani e fossi espatriata per garantire un futuro a mio figlio, invece che diventare uno dei personaggi che affollano il questo triste presepe italiano (e per di più meridionale), in cui da rancorosi siamo diventati cattivi, socialmente invidiosi di soggetti che devono le loro fortune solo e soltanto ad una rete (amicale, famigliare, di casta, di prossimità). La meritocrazia è una gran parola, ma ha risvolti tragici e grotteschi, in Italia.
A forza. Questo Natale bussa a forza alla mia porta. Non ho voglia di festeggiare e le réclame dei panettoni coi loro jingle diventano fisse acustiche che mi perseguitano. Il contesto natalizio non è come negli spot: caldo, accogliente (non necessariamente sfavillante), spesso in boiserie o parquet, che fanno tanto tana calda. Ma lo sanno, quelli delle pubblicità, che c’è gente definita ‘povera energetica’? Che poi sono quelli - in maggioranza anziani pensionati - che non possono pagarsi il gas per riscaldamento.
Un’accolita di parvenu, coloro che ci amministrano, arrivati lì per una sorta di esperimento sociologico condotto da un’agenzia di comunicazione (ha scritto Giulio Cavalli, su Linkiesta), ora attaccatisi alla poltrona come cozze allo scoglio perché è bello e figo e redditizio fare i parlamentari, ecchissene se si sparano minchiate come a space invaders: la gente è talmente incazzata che si beve tutto, anche l’arrogante ignoranza al potere, che sta per sfociare nella censura, nella persecuzione, nella messa all’indice e nelle liste di proscrizione. Tutto diventa lecito per conservare il potere su cui hanno messo le mani, potere che comunque dà a loro visibilità, bei vestiti, parrucchieri, autisti, vita sociale e mondana, deferenza, comando, serenità economica sibi et suis. Tutta roba che ubriaca e crea dipendenza. Forte dipendenza.
No, non sono migliori di quelli di prima perché l’onestà di cui si vantano e dietro cui nascondono i loro marchiani errori, dovrebbe comprendere anche la sincerità di ammettere che no, non sono capaci, non conoscono neanche i fondamentali.
L’intervento del Prof. Iermano – ritornando alla nostra introduzione – ha accostato il panorama etno-socio-storico-economico dell’Irpinia del Viaggio elettorale di Francesco De Sanctis ad un presepe.
(Avrete intuito che ‘presepe’ identifica una rappresentazione antropologica a prescindere dal contesto originale: lo dimostrano i più variegati e contemporanei pastori degli artigiani di San Gregorio Armeno. Un presepe siffatto è solo la condanna delle figure astanti ed ignave, laddove la speranza è una statuina in fasce – la quale si prenderà le colpe del mondo - e l’intelligenza è rappresentata dalla curiosità dei Magi.)
Del suo intervento – che verrà riproposto giorno 22 dicembre sempre al Carcere Borbonico – voglio riportare, in sintesi, questa fondamentale affermazione: cultura e politica sono direttamente correlate. Quando si abbassa la tensione culturale, le classi politiche diventano mediocri o meschine.
Indubbiamente, non è un pensiero nuovo (si parva licet, Platone lo ripeté più e più volte), tuttavia in tempi di media generalisti e dilagare del trash, vale sempre la pena di ricordare che gli intellettuali, gli studiosi, i profondi ed eruditi pensatori hanno una funzione ineludibile nella società, ovverosia quella di fornire idee, punti di vista, prospettive, orizzonti, analisi di contesto. (Non sono tenuti a fornire soluzioni, sia ben chiaro.)
Far decidere al solo ventre del Paese attraverso ventriloqui non si sta dimostrando il cambiamento che tutti volevamo. Ci vuole testa, molto più testa che pancia.
Tuttavia, non rivolgendomi ai politici, chiedo agli Italiani di usare più intelligenza e se si avesse l’onestà di ammettere che non ne siamo adusi, già sarebbe un buon passo avanti.
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Qualche consiglio di lettura di ALBERTO SAIBENE:
Cari tutti,
qualche consiglio di lettura per restare a lungo al fresco.
Buona estate,
Alberto
ROMANZI ITALIANI
Vincenzo Latronico, Le perfezioni (Bompiani). Tom e Anna sono una
coppia di giovani italiani impiegati nelle nuove professioni
‘digitali’ che si trasferiscono a Berlino per vivere nel cuore del
presente. Sul calco de Le cose di Georges Perec, un romanzo breve
molto ben congegnato, specchio di una generazione che si perde nei
riflessi dei social e non distingue tra reale e artificiale.
Nadia Terranova, Trema la notte (Einaudi). Sullo sfondo del terremoto
di Messina, le vicende parallele del dodicenne Nicola e della giovane
Barbara, personaggi che la storia sottrae al loro destino. La forza
del destino è appunto il motore di un intenso romanzo storico “in
miniatura” di una delle nostre migliori scrittrici.
Matteo Melchiorre, Il Duca (Einaudi). L’ultimo erede di una famiglia
nobile sceglie di vivere nella casa di campagna sul limitare del bosco
dovendo affrontare le trappole della vita di una piccola comunità.
Dopo una serie di saggi molto promettenti, Melchiorre, storico di
professione, scrive un romanzo con una voce nuova e distinta che,
rinnovando un antico canovaccio, risulta un perfetto punto di fusione
tra natura e cultura.
I PIACENTINI
Goffredo Fofi, raggiunti gli 85 anni, è instancabile come sempre. Sono
nato scemo, morirò cretino (Minimun Fax), a cura di Emiliano Morreale,
raccoglie i suoi scritti su cinema, letteratura, politica e società (e
altro ancora) tra il 1956 al 2021, a cui si aggiunge Caro agli dèi
(E/O), una raccolta di profili di amici morti troppo presto.
Piergiorgio Bellocchio, Diario del Novecento (Il Saggiatore), a cura
di Gianni D’Amo. Da una posizione defilata l’intellettuale piacentino
vede tramontare le speranze del Novecento e, con estrema lucidità,
registra l’arrivo di un’epoca di plastica. Uno zibaldone destinato a
diventare un classico sull’identità italiana.
SORELLE
Wanda Rotelli Tarpino, Lo spettacolo dell’asta (Officina Libraria). Il
primo libro italiano che ripercorre, a livello internazionale, la
storia delle aste di opere d’arte dalla fine del Settecento al
presente, scritto da chi ha lavorato per oltre 35 anni in quel mondo.
Antonella Tarpino, Il libro della memoria (Il Saggiatore).
Un’indagine, attraverso esempi tratti dalla letteratura di tutti i
tempi, tra dimore, stanze e oggetti divenuti deposito della nostra
memoria. Un libro che completa le riflessioni della nostra massima
storica su questi temi.
NOTIZIE DA NAPOLI
Luca Rossomando, Le fragili alleanze.Militanti politici e classi
popolari a Napoli (1962-1976). Un rigoroso saggio storico su una
stagione di trasformazioni sociali della città partenopea, in buona
parte costruito su una raccolta di testimonianze tra chi partecipò
alle speranze di quegli anni. Un libro che restituisce il sapore di
un’epoca pubblicato da Napoli Monitor.
Giovanna Silva- Lucia Tozzi. Napoli. Contro il panorama (Nottetempo).
Mentre Lucia Tozzi ricostruisce la vicenda urbanistica cittadina dal
dopoguerra al presente, Giovanna Silva fotografa una Napoli fuori da
ogni cliché. Un’opera stimolante per riflettere sul futuro di una
città che andrebbe prima di tutta manutenuta.
VIAGGI IN EUROPA
Francesco M. Cataluccio, Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania
(Humboldtbooks). La repubblica baltica è un Paese piccolo ma con una
forte tradizione culturale, nonché dotato di una lingua propria.
Appena prima della guerra russo-ucraina un profondo conoscitore
dell’Europa orientale vi è ritornato compiendo un reportage narrativo
in luoghi che non frequentava dai tempi dell’URSS.
Karel Čapek, Viaggio al Nord (Iperborea). Appena prima della Seconda
guerra mondiale il grande scrittore ceco attraversa la Scandinavia per
un viaggio a Capo Nord osservando e disegnando quello che ha davanti a
sé. Un libretto delizioso di un fuoriclasse della letteratura
mondiale.
BIOGRAFIE
Peter-André Alt, Sigmund Freud. Il medico dell’inconscio (Hoepli). Una
nuova biografia di uno grandi pensatori che, insieme a Darwin e Marx,
hanno dato una forma al nostro tempo. L’autore, un critico letterario,
iscrive la parabola di un uomo che ha inventato una disciplina nella
cornice del proprio tempo.
Victoria De Grazia, Il fascista perfetto (Einaudi). La storica
americana ricostruisce in modo dettagliato e appassionante la parabola
esistenziale di Attilio Teruzzi, gerarca di seconda linea, offrendo
una sintomatologia perfetta dell’eterno fascismo italico.
E poi naturalmente ci sarebbe da leggere Stalingrado di Vasilji
Grossman (Adelphi). Speriamo di farlo prima che la guerra finisca.
Ancora buone vacanze
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Il Capri Palace è partner della quattordicesima edizione de Le Conversazioni, il festival di letteratura internazionale ideato da Antonio Monda e Davide Azzolini che avrà come tema 2019 “Pregiudizio”. La manifestazione, che ha preso il via a maggio a New York e che in Italia si svolge tra Roma, Napoli e Capri, sta ospitando sull’isola [...]→ https://ift.tt/2NsbMoI Capri Palace, partner della 14° edizione de "le conversazioni" Il Capri Palace è partner della quattordicesima edizione de Le Conversazioni, il festival di letteratura internazionale ideato da Antonio Monda e Davide Azzolini che avrà come tema 2019 “Pregiudizio”. La manifestazione, che ha preso il via a maggio a New York e che in Italia si svolge tra Roma, Napoli e Capri, sta ospitando sull’isola [...]→ l'evento ha preso il via a maggio a New York e che in Italia si svolge tra Roma, Napoli e Capri, sta ospitando sull’isola partenopea i grandi protagonisti
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Da Napoli a Parigi, da Parigi a Musicultura 2019: Roberto Michelangelo Giordi tra i finalisti del Festival
Napoletano d’origine e parigino d’adozione, Roberto Michelangelo Giordi si aggiudica un posto tra i 16 finalisti della XXX edizione del festival con Cronache globali degli anni zero.
Attingendo alla tradizione campana, il brano presentato è un contemporaneo recupero del canto a ffigliola vesuviano, melodia con cui i contadini raccontavano pettegolezzi paesani, ben miscelato con quelle che sono cronache sociali postmoderne contro cui il cantautore milita attivamente.
L’intervista rilasciata alla redazione di “Sciuscià”? Eccola.
La tua musica è un riuscito amalgama di lingue, di sonorità e di temi sempre differenti, a volte antitetici. Ci sono dei punti fissi nella tua produzione musicale o dei maestri che ti hanno formato nella scrittura nel corso degli anni?
Ad un certo punto dei miei studi ho capito che per essere innovativo dovevo necessariamente rifugiarmi nella musica e nella letteratura colte del passato, trovando le tendenze attuali sterili e spesso di cattivo gusto. Amo molto il classicismo romantico di Bellini e lo sperimentalismo di Wagner, il filone degli impressionisti francesi di fine ‘800 e inizi ‘900 (Debussy, Ravel, Satie, Fauré…), ma anche le belle canzoni della tradizione cantautorale italiana e francese, la canzone americana di matrice jazzista ed ovviamente la canzone popolare e d’autore napoletana. Io credo che senza cultura non si possa scrivere una bella canzone. Per quanto il soggetto trattato e l’approccio melodico possano sembrare semplici, dietro un esempio di melodia popolare riuscita c’è sempre sapienza, ce lo ha insegnato Verdi con il coro del “Nabucco”, tanto per citare un esempio di melodia popolare italiana di alto lignaggio. Tornando alle mie canzoni, credo che sia stato soprattutto il mio naturale approccio alle lingue e alle letterature straniere ad avermi aiutato a definire la mia identità. Amo leggere i poeti in lingua originale e credo che per carpire il valore intrinseco di un componimento sia d’uopo conoscere, almeno un po’, il codice attraverso il quale quel contenuto ha preso forma.
La trasformazione di quella che era l’antica musica partenopea che ci proponi, con il tuo attento lavoro di ricerca linguistica, svela un attaccamento alle origini campane decisivo anche sul piano musicale. A cosa è dovuto?
Non mi sono mai staccato dal mio vulcano e da Napoli benché abbia deciso di costruirmi una stanza a Parigi. È stato proprio questo mio allontanarmi a rendere più chiara l’immagine che ho del luogo natio. È forse nella memoria che ritroviamo l’essenza delle cose. È stato in questo mio viaggio fisico ed emozionale nella memoria che ho ritrovato la melodia del canto a ffigliola di Somma Vesuviana, una melodia che ascoltavo nelle feste di paese da bambino e che viene esplicitamente citata nel pezzo scelto dalla commissione di Musicultura. Nella tradizione di campagna questo canto serviva a sublimare i desideri sessuali dei contadini i quali, su un tempo vivace sostenuto da castagnette e tammorre, raccontavano i fatti di tutta la comunità, come quello celebre del curato che ha osato baciare una giovinetta o quello delle monache scappate dal convento per cercare un marito. Io mi sono divertito tantissimo nel trasformare queste cronache paesane nelle “cronache globali” di questi anni, “degli anni Zero”, su un testo satirico e di critica sociale contro le ambigue figure dalle quali siamo manovrati e governati.
Hai partecipato alle Audizioni live di Musicultura già nel 2013. In cosa si è rinnovata la tua musica, da allora? Quali rinnovamenti potremmo aspettarci per la tua carriera futura?
Nel 2013 mi sono presentato alle audizioni con un brano tratto dal mio secondo album. Fu un’esperienza bellissima. Da allora è cambiato molto, sono partito, ho sciacquato i panni nella Senna per poi risciacquarli nel golfo di Napoli. Per il futuro cosa mi aspetto? Il futuro è la possibilità di infiniti orizzonti, tutti probabili.
Torniamo al presente. Quest’anno, durante le Audizioni ti abbiamo visto, con il tuo gruppo, in una performance estremamente concentrata anche sull’aspetto più smaccatamente teatrale e performativo. Da cosa nasce questo genere di volontà espressiva?
Dal desiderio di raccontare le storie come si faceva un tempo. Credo che si ricominci a sentire il bisogno di ritornare un po’ alla forma del teatro-canzone. Dall’abuso dell’elettronica e soprattutto dalla frammentazione della parola non può nascere più niente di bello. Abbiamo demolito tutto, sarebbe arrivato il momento di cominciare una ricostruzione.
Nel brano selezionato tra le sedici canzoni finaliste di Musicultura, Cronache globali degli anni zero, è a dir poco esplicito l’intento di protesta politica e sociale. Quale credi sia l’efficacia resistenziale di un pezzo musicale, o dell’arte in genere, a livello di sensibilizzazione dal basso?
Credo che la canzone di oggi abbia ancora il potere di risvegliare le coscienze, ma in un mondo omologato raggiungere tale scopo è forse più difficile. Per sensibilizzare le masse bisogna ripartire dall’educazione. C’è un urgente bisogno di ridefinire gli spazi della cultura in ogni comunità, ripartire dalle differenze linguistiche, da intelligenti e pacifiche autonomie, dal rispetto dei valori etici ed estetici. Le mie “Cronache globali degli anni Zero” raccontano, in maniera anche piuttosto giocosa ma con intensità, le rivolte popolari contro i poteri forti dell’economia e della politica globali che da anni pretendono di dominare le masse e ridurre alla passività i cittadini trasformandoli in meri consumatori. Le rivoluzioni dal basso sono sempre possibili ma devono essere guidate da una visione culturale critica e consapevole e, perché no, proprio dagli artisti. Qualcuno ha detto che la bellezza salverà il mondo e, chissà, forse aveva ragione.
Loretta Paternesi Meloni
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“Non fossi in grado di poggiare la mia testa sulle ginocchia delle Fate…”: anche in UK scrivono lettere d’amore. Meglio quelle di Keats o quelle, rimbambite di sogni, di Stevenson?
Per san Valentino gli inglesi si mostrano al solito come ipocriti sognatori. Hanno preso a decorare le cassette delle lettere con motti di scrittori famosi innamorati. Si salvi chi può: Keats, Hardy, Burns (un tipo scozzese vissuto prima di Scott – aiuto). È tutto un gran carnaio, un macello dove nessuno si salva. Anche Keats, anche questo pio poeta col nome scritto sull’acqua aveva fatto a pezzi la povera Fanny alla quale appioppava le lettere: sì, è così che dovremmo rivedere la vicenda di Keats quando scriveva missive e poesie.
Primo Ottocento, amore drogato di romanticume, e Keats che da giovanotto scrive lettere agli amici dove spiega che deve prendere il mercurio (le solite cure per l’amore insicuro, e tutti a piangere “no, anche Keats, anche lui che era romantico, con le donnacce!”). Anche e soprattutto questo è un poeta, uno che lascia il segno e poi Fanny finisce sposata dopo la morte di Keats con un commerciante a va a vivere in Spagna, le foto la ritraggono a metà Ottocento nei gonnoni tristi delle signore fedeli, Keats era ormai tranquillo sottoterra al cimitero degli inglesi.
Si tirano fuori in continuazione, per culto malsano, altre lettere inedite di Keats e lui che aveva fatto la fame e voleva che la sua Fanny fosse qualcosa che lei non poteva diventare –Keats viene battuto all’asta come un montone: due mesi fa una sua lettera insignificante – diceva di salutargli il nipotino – è stata venduta per Xmila pounds a Londra. E Keats scrisse solo poesie, non gli servirono né per conquistare né per tenersi vicino Fanny che non le comprendeva. E noi? A pensare che i mailbox romantici salvino tutto? Via, le cassette rosse le ha inventate Anthony Trollope, romanziere noioso e intellettuale (piaceva al Manga, Stevenson lo sfotteva per la retorica da predicatore).
*
Perché non siamo pragmatici come gli inglesi, non siamo sufficientemente stronzi come loro? Abbiamo paura di tutto anche quando si tratta dei poeti. Ai ragazzi nessuno dice che Leopardi quando entrava in chiesa si segnava con l’acqua battesimale (memorie di Ranieri). Grande presa per il culo? Teatralità partenopea? Cos’altro? Forse ci manca quel gusto per il successo individuale e mondano dove invece nidificano i protestanti, per loro far soldi è una benedizione divina – nel Bel Paese la fortuna va scontata come se il denaro fosse sterco diabolico.
Bisognerebbe fare un manuale di tutte le muse sfruttate dai poeti, dalla Fanny di Keats fino a noi. Poi tornare indietro nel tempo, sguazzare nell’Ottocento e vedere che senza il sortilegio dissacrante la letteratura non è mai esistita. Intanto apriamo questo manuale in modo virtuale grazie a Pangea con l’esempio mirabolante. Lettera semi-dichiaratoria di Stevenson, 24 anni, a una signora (divorziata) di trentasei. Poi diventerà sua moglie e lei gli straccerà la prima versione del Dr Jekyll e Mr Hyde per farglielo riscrivere in modo più esitante, ammiccante e puritano, lo scarrozzerà nelle isole del Pacifico a curarsi la salute e insieme avranno pure il tempo per scrivere un romanzo utilissimo oggi, Il terrorista (The dynamiter).
Enjoy the letter, yours sincerely
Andrea Bianchi
*
28 Novembre, 1874, Edimburgo
A Mrs. Sitwell:
[…] Questo pomeriggio verso le sei c’era una luna piccola, arancione, persa nel grande mondo della sera azzurra. Qualche ramo senza foglie, sentieri interrotti nel giardino che fanno tris sulla sua superficie; e di sotto il bluastro e le luci soffuse di Leith, perse nella foschia azzurrognola. Ad est, il borgo, anche questo sottomesso allo stesso color blu, più accumulato, qui e lì una finestra accesa finché non riesce a imprimersi addosso a una chiazza di verde spento che rimane dietro il tramonto.
Non riesco a scriverti in inglese perché ho parlato in francese tutto il pomeriggio con alcuni conoscenti di questa nazionalità. Triste stato, quello in cui mi trovo, quando non posso ricordarmi dell’inglese e nemmeno conosco il francese! Peggio ancora quando si complica, al presente, con una penna che non vuole scrivere! Sapessi quanto inchiostro ho sparso e come devo manovrare, una manoeuvre da francese per rendere il tutto leggibile.
Te l’ho detto. Le Fate diventano donne solo quando vengono di moda; ed è la cosa più strana che io sappia di loro. Sono meravigliose come donne – più donne di tutte le altre – quei drappi che le avvolgono, che grandezza! Istinto del corpo sommato al sesso. Nemmeno un tratto mascolino. E, detto questo, non sono donne per noi; sono un’altra razza, immortale, separata; uno spera di fissarle da innamorato, con una sorta di umile adorazione, fisica – ma imputandosi a cercare l’anima di tutto l’amore – che uno lo ammetta davanti a se stesso, oppure no – è la speranza. In una parola la falena che desidera la stella di Shelley. O grandi stelle bianche di eterno marmo, forme femminili – colossi – non siete donne. Fossi Baudelaire. Da loro non cerchiamo amore, non vogliamo vedere i loro grandi occhi in difficoltà con le nostre semplici passioni, oppure quelle loro grandi forme impassibili, distorte da speranza o dolore o piacere; solo per ora, ancora una volta, solo essere a conoscenza che esistono, avere questa consapevolezza – sono nel regno di nuvole, magari i loro occhi scintillano costantemente, come stelle che stiano a guardarci, lontane da questo tumulto sulla terra.
Dovessero peggiorare le cose, non fossi in grado di poggiare la mia testa sulle ginocchia delle Fate – sono belle grosse – so cosa intendeva Baudelaire con quel suo géante — solo chinare la testa e lasciarla lì a dormire su quelle grosse ginocchia.
Ora so che c’è un’arte sottile e pericolosa, una sorta di egoismo fatto di abitudine. Una cosa più disordinata dello stesso disordine. Non ho mai smesso di essere generoso quando ero déréglé; ora che incomincio a seppellirmi nelle abitudini, vedo un pericolo davanti a me – uno potrebbe smettere di essere generoso e crescere duro, sordido in mezzo alle difficoltà. Comunque, grazie a Dio io voglio sempre la vita, e nulla di postumo, e per due buone emozioni sacrifico mille anni da affamato. Di più: so bene che non sarò mai uno scrittore, anche se la cosa mi tenta dolorosamente. La mia unica chance sono le mie storie.
Robert Louis Stevenson
L'articolo “Non fossi in grado di poggiare la mia testa sulle ginocchia delle Fate…”: anche in UK scrivono lettere d’amore. Meglio quelle di Keats o quelle, rimbambite di sogni, di Stevenson? proviene da Pangea.
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“ Il maestro Piantieri parlava a tutti delle capacità straordinarie di quel bambino. Fdricchiè sapeva non solo disegnare, colorare, leggere e scrivere, ma anche dire con precisione la sua opinione in fatto d'arte, mostrando un precocissimo spirito critico e un'altrettanto precoce competenza. Un giorno, raccontava mio padre, successe che Piantieri portò in classe un quadro a olio di un pittore di nome Colizzi che rappresentava, come diceva il titolo, Effetti di neve all'alba. Fu il primo quadro a olio che vide nel corso della sua lunga vita e lì per lì gli fece una buona impressione. Ma dopo un po', avendo osservato con estrema cura il quadro, ne individuò i mille difetti e passò a una critica puntuale di ogni dettaglio sbagliato, dimostrando al maestro la pochezza del pittore Colizzi. Tanto che Piantieri, esterrefatto, chiamò subito don Mimì e gli disse: «Questo bambino deve andare d'urgenza alla scuola d'arte». Don Mimì arrivò di malavoglia, era la malattia mortale di ogni gratificazione o sentimento di commossa letizia che investisse il figlio. Il maestro si prodigò molto, elencò al tornitore tutti i meriti del bambino, disse che era il migliore in aritmetica, che scriveva benissimo, che cantava in modo molto intonato, che aveva orecchio per la musica, che aveva disegnato persino un bellissimo ritratto dell'onorevole Mussolini. Niente, don Mimì se ne fottette, specialmente di quell'ultima cosa. Appena a casa disse: «'O maestro è 'nu strunz! Che magni poi con la scuola d'arte?». Anzi da quel momento cominciò a chiedere spesso, ad alta voce, a un pubblico costituito sostanzialmente da Filumena: «Fdrì è meglio di me?». Domanda alla quale si rispondeva da solo, prima che la moglie si intromettesse: «No, non è meglio di me. Quindi farà l'operaio. Che c'è di male a fare l'operaio?». Qui mio padre, seduto davanti al cavalletto a disegnare, così mi spiegava: «Se uno sa fare solo l'operaio, Mimì, non c'è niente di male. Ma se uno ha un altro destino, e si vede benissimo da tanti segnali, che cazzo significa "che c'è di male"?». Non significava niente. Era solo una formula utile a suo padre per mandarlo al più presto a lavorare e raggranellare attraverso il primogenito un altro po' di danaro da giocarsi alle carte o alle corse dei cani. A questo tendeva don Mimì e perciò non voleva vedere, non voleva sentire. Gli occhi li aveva perfetti, le orecchie pure, era un uomo molto intelligente. Se avesse voluto ammettere: «Cazzo, guarda che figlio sono riuscito a fare», avrebbe potuto. Invece si era intestardito - mormorava Federì con una sofferenza di vecchia data nella voce - a scavargli una fossa profonda per buttarcelo dentro, figura d'orco che anticipava tutti gli orchi della sua vita futura: dirigenti scurnacchiati delle ferrovie, neoricchi presuntuosi, pittori chiavechemmèrd che gli strappavano premi importanti alle mostre. “
Domenico Starnone, Via Gemito, Feltrinelli (collana Universale Economica n° 8858), 2017⁶; pp. 249-50.
[Prima Edizione originale: 2001]
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Canale 5, oggi in seconda serata lo Speciale Tg5 «Napoli è…»
Canale 5, oggi in seconda serata lo Speciale Tg5 «Napoli è…». Sabato 15 aprile, in seconda serata, su Canale 5, Speciale TG5 propone la puntata «Napoli è...». Il settimanale di Clemente Mimun, firmato da Susanna Galeazzi, a cura di Claudio Fico, dedica un ampio reportage a Napoli. Una città, secondo BBC Travel, «con troppa storia da gestire»: di fatto, un concentrato unico di monumenti e siti archeologici; aree naturali; etnie, lingue e dialetti; tradizioni e criminalità; archivi e biblioteche; ricerca e istituti per l'alta formazione; conservatorio, accademie e università; musei, arte e architettura; teatro e cinema; opera, musica e canzoni napoletane; letteratura, filosofia e scienza. E ancora, stile, cucina, sport. Oggi, la città partenopea vive un momento d'oro, legato a cultura, turismo, scudetto, che si contrappone a storie più opache, legate a malasanità e delinquenza. L'inviata, e altri giornalisti della testata di approfondimento del TG5, hanno incontrato alcune delle più rappresentative figure della società e della cultura napoletana. Tra questi, James Senese, grande jazzista che ha accompagnato in studio e in tour, con il suo sax, Pino Daniele; il pugile e campione olimpionico, Patrizio Oliva; lo scultore e pittore di culto, Lello Esposito; il proprietario della storica pizzeria Concettina ai Tre Santi, Ciro Oliva; la pluripremiata attrice Lina Sastri; l'attaccante del Napoli e nazionale della Nigeria, Victor Osimhen; il fondatore della Filmauro e presidente del Napoli Calcio, Aurelio De Laurentiis. Il lato oscuro della capitale campana viene documentato con la testimonianza del presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell'Università Federico II, Maria Triassi, alla quale si chiede conto del fenomeno delle aggressioni nei pronto soccorso e della carenza di personale negli ospedali. A Scampia, infine, il quartiere a nord di Napoli, noto nel mondo quale teatro della serie Gomorra e per l'edificio simbolo di degrado de Le Vele, non mancano storie di delinquenza, ma anche di recupero e rinascita, soprattutto dei più giovani.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Napoli apre le porte all'arte: Letteratura, Fotografia e caffè
Napoli apre le porte all'arte: Letteratura, Fotografia e caffè #arte #autori #caffè #cultura #culturali #domenica
E’ in programma, per il prossimo 18 Novembre, un evento che fonde l’arte visiva con la letteratura. A Spaccanapoli, nel cuore della capitale partenopea, si realizzerà la presentazione del romanzo Inno Selvaggio, accompagnata per tutto il tempo dalla mostra fotografica ‘I sette Peccati Capitali’ di Marzia Bertelli.
Le fotografie rispecchiano i sentimenti e i vizi presenti all’interno del libro…
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di Michele Di Iorio
Napoli, città intellettuale e internazionale, è sempre stata ricca di librai, stampatori, tipografi … Vogliamo qui raccontare la storia della casa editrice Morano, che dal 1847 continuò la sua attività fino al 1985.
La famiglia Morano era di nobili origini, feudataria dal 1239 di Morano Calabro.
Nel 1847,Vincenzo Morano, professore di Lettere, si trasferì a Napoli. Si mise in società con lo scrittore Bruto Fabricatore, allievo di Basilio Puoti, per la conduzione di una libreria al civico 14 di vicolo Quercia, traversa di via San Sebastiano, nei pressi di Santa Chiara.
In un primo tempo Morano vendeva libri di storia, antiquariato, archeologia, lettere e poesie, testi universitari di giurisprudenza, medicina,architettura, teologia. Alcuni di questi testi venivano stampati da tipografie napoletane. Tramite il Fabbricatore divenne amico di personalità della cultura partenopea come Luigi Settembrini, Francesco De Sanctis, Francesco Mastriani, Salvatore Battaglia, il canonico Giuseppe Vago, e altri celebri scrittori italiani.
Alla fine del 1849 fece venire a Napoli i due fratelli Domenico e Antonio, associandosi con i quali l’anno successivo fondò negli stessi locali la Morano editrice. Nel 1851 si unì come nuovo socio anche il fratello Francesco, medico oculista.
Dal 1858 al 1869vennero pubblicate le opere del Segneri, la Storia del Concilio di Trento di Sforza Pallavicini e le opere di Giambattista Vico, il Dizionario dei sinonimi di Niccolò Tommaseo.
Nel 1862 Antonio Morano pubblicò le opere di Vincenzo Gioberti in 36 volumi e tra il 1870 e il 1872 le opere di Francesco De Sanctis, tra cui la famosa Storia della letteratura italiana.
Nel corso della lunga attività la Morano editore diede alle stampe prestigiose opere di Settembrini, Imbriani, Spaventa, Fiorentino, Nisco , Bonghi, Acri, Verdinois , Amabile, La Cava, Cappelletti, La Manna, Piovani, Bonazzi, Kerbacher.
La Casa editrice, fu poi diretta dal figlio Alberto, che fu noto massone e amicp del professor Pasquale Del Pezzo, sindaco di Napoli dal 1914 al 1916, abitante in fitto in Palazzo Sansevero.
Alberto Morano, amico dei noti antifascisti Labriola e Lucci, nel 1933, sospetto sovversivo, fu costretto a chiudere la sede e si trasferì al piano ammezzato di destra di Palazzo Sansevero su invito dello stesso Del Pezzo, proprio nell’appartamento che fu di Raimondo De Sangro. L’appartamento fu donato dalla vedova dell’ultimo principe di Sansevero Michele, donna Elisa Croghan, all’ingegnere Bianchini, suo esecutore testamentario. Bianchini a sua volta lo vendette nel 1933 al signor Antonio Morano, libraio editore in Napoli, che ne fece la sede della sua casa editrice.
Pochi mesi dopo che il Morano vi si fu insediato, volendo risistemare la controsoffittatura danneggiata, scoprì che erano stati nascosti dalle precedenti affittuarie, pudiche suore, i meravigliosi affreschi delle Quattro Stagioni, opera di Francesco Celebrano, realizzati tra il 1766 e il 1768. L’editore eliminò la tela della controsoffittatura riportandoli interamente alla luce. La Soprintendenza dispose poi che la stupenda opera rimanesse sì a vista ma protetta da una lastra di vetro. Del ritrovamento degli affreschi fu data notizia sul quotidiano Il Mattino nel 1933.
Nel 1943 due bombe aeree colpirono un’ala del palazzo danneggiandola e distrussero la tipografia, il deposito e l’archivio della casa editrice Morano, insieme con alcuni libri della biblioteca privata di Raimondo de Sangro.
Alla sua morte gli succedette il figlio Antonio.
Nel1946 Antonio Morano riaprì la casa editrice Morano al Vomero, in via Manzoni, riprendendo la pubblicazione del dizionario greco italiano di Benedetto Bornazzi, terminandolo nel 1948 e con la collaborazione di Nino Cortese pubblicò l’opera omnia di Settembrini.
Dal 1965 l’attivita editoriale continuò con Alberto fino al 1985 con la pubblicazione in 10 volumi delle opere giuridiche di Piero Calamandrei, a cura di Mauro Cappellettl, e alcuni testi scolastici.
Ancora oggi l’antica attività della famiglia Morano continua con l’ultima generazione: i figli di Alberto, Sergio e Dario, tramandano l’antica tradizione.
Breve storia della #CasaEditriceMorano di #Napoli di Michele Di Iorio Napoli, città intellettuale e internazionale, è sempre stata ricca di librai, stampatori, tipografi ...
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Nonostante la scrittrice sia un po' "fascistella" questa raccolta di racconti su Napoli ed i napoletani non può essere persa per chi desidera avere un lucido e crudo spaccato della vita della città partenopea nei primissimi anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Tra queste pagine la letteratura si confonde e si mischia con la cronaca, l'unica capace di descrivere con assoluta freddezza la decadenza e gli spettri di una città martoriata dalle sue stesse ed innumerevoli potenzialità inespresse. 🌋🌆🌊🌻🍕 "Il mare non bagna Napoli" di Anna Maria Ortese
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Grande successo sta riscuotendo la mostra dello Spoleto art festival sull’astrattismo internazionale in svolgimneto presso la sede permanente di palazzetto Pianciani in via Walter Tobagi 12 fino al 30 giugno con apertura tutti gioni tranne il lunedì, mostra-percorso e pubblicazione che è stata curata direttamente dal presidente Prof Luca Filpponi: ” In questa mostra partecipano artisti che vengono da tutte le parti del mondo e mettono a fuoco quanto ancora oggi, l’astrattismo sia molto di tendenza e che gli artisti scelgono volentieri Spoleto come vetrina culturale”. Ecco gli artisti che partecipano alla mostra sull’astrattismo internazionale: Andrea Natale (Caserta It), Gabriella Sernesi ( San Felice in Circeo It) Sandro Trotti ( Roma It Direttore artistico dello Spoleto Art Festival),Katarzyna Jasiukiewicz ( Polonia), Silvio Craia ( Macerata IT), Alexander Jakhnagiev ( Bulgaria), Annamaria Ligotti ( Conegliano Veneto It), Lorenzo Guidi ( Roma It), Roberta Gulotta ( Roma It), Gerard berizi ( Francia), Giampaolo Berto ( Roma It), Ton Pret ( olanda autore del manifesto ufficiale Spoleto Art Festivla 2017), Josè Luis Lorenzo ( Cuba), Valerio Giuffrè ( Colleferro It), Menelao Sete ( Brasile), Tony Raggetti ( Perugia It), Giuliano Rossi (Viterbo It), Antonella Laganà ( Livorno It), Saul Costa ( Italia),Solveig Cogliani ( Roma It),William Medorì ( Macerata It), Barindelli ( Italia), Sozza ( Italia),Giuliano Ottaviani ( Bergamo It), Gaetano Ausiello ( Campania It), Paola Biadetti ( Roma It, direttore artistico Spoleto Meeting Art prossimamente a Spoleto dal 24 giugno al 16 luglio con oltre 30 artisti). Questa mostra sarà l’evento che tirerà la volata allo Spoleto Meeting Art Due mOndi, al Premio Spoleto art Festival dell’8 Luglio e soprattutto alla mostra personale antologica dell’artista Annamaria Ligotti dal 2 luglio pe tutto il mese di luglio a Palazzetto Pianciani. In contemporanea Spoleto Art festival fino a domenica sarà pegnato a Napoli con una grande kermesse di musica, arte e letteratura che sta spopolando nella città partenopea con la direzione artistica musicale del soprano internazionale Tania Di Giorgio ed ospiti del calibro del maestro Stelvio Cipriani e conclusione con un grande convegno sull’Europa a cura del presidentissimo prof Giuseppe Catapano , rettore dell’Auge con relatori che verranno da tutta europa.
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Atrattismo internazionale Grande successo sta riscuotendo la mostra dello Spoleto art festival sull'astrattismo internazionale in svolgimneto presso la sede permanente di palazzetto Pianciani in via Walter Tobagi 12 fino al 30 giugno con apertura tutti gioni tranne il lunedì, mostra-percorso e pubblicazione che è stata curata direttamente dal presidente Prof Luca Filpponi: " In questa mostra partecipano artisti che vengono da tutte le parti del mondo e mettono a fuoco quanto ancora oggi, l'astrattismo sia molto di tendenza e che gli artisti scelgono volentieri Spoleto come vetrina culturale".
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