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#legno secco
gregor-samsung · 2 years
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La fuga di Pulcinella
Pulcinella era la marionetta più irrequieta di tutto il vecchio teatrino. Aveva sempre da protestare, o perché all'ora della recita avrebbe preferito andare a spasso, o perché il burattinaio gli assegnava una parte buffa, mentre lui avrebbe preferito una parte drammatica. - Un giorno o l'altro, - egli confidava ad Arlecchino, - taglio la corda. E così fece, ma non fu di giorno. Una notte egli riuscì a impadronirsi di un paio di forbici dimenticate dal burattinaio, tagliò uno dopo l'altro i fili che gli legavano la testa, le mani e i piedi, e propose ad Arlecchino: - Vieni con me. Arlecchino non voleva saperne di separarsi da Colombina, ma Pulcinella non aveva intenzione di portarsi dietro anche quella smorfiosa, che in teatro gli aveva giocato centomila tiri. - Andrò da solo, - decise. Si gettò coraggiosamente a terra e via, gambe in spalla. «Che bellezza, - pensava correndo, - non sentirsi più tirare da tutte le parti da quei maledetti fili. Che bellezza mettere il piede proprio nel punto dove si vuole». Il mondo, per una marionetta solitaria, è grande e terribile, e abitato, specialmente di notte, da gatti feroci, pronti a scambiare qualsiasi cosa che fugge per un topo cui dare la caccia. Pulcinella riuscì a convincere i gatti che avevano a che fare con un vero artista, ma ad ogni buon conto si rifugiò in un giardino, si acquattò contro un muricciolo e si addormentò. Allo spuntare del sole si destò e aveva fame. Ma intorno a lui, a perdita d'occhio, non c'erano che garofani, tulipani, zinnie e ortensie. - Pazienza, - si disse Pulcinella e colto un garofano cominciò a mordicchiarne i petali con una certa diffidenza. Non era come mangiare una bistecca ai ferri o un filetto di pesce persico: i fiori hanno molto profumo e poco sapore. Ma a Pulcinella quello parve il sapore della libertà, e al secondo boccone era sicuro di non aver mai gustato cibo più delizioso. Decise di rimanere per sempre in quel giardino, e così fece. Dormiva al riparo di una grande magnolia le cui dure foglie non temevano pioggia né grandine e si nutriva di fiori: oggi un garofano, domani una rosa. Pulcinella sognava montagne di spaghetti e pianure di mozzarella, ma non si arrendeva. Era diventato secco secco, ma così profumato che qualche volta le api si posavano su di lui per suggere il nettare, e si allontanavano deluse solo dopo aver tentato invano di affondare il pungiglione nella sua testa di legno. Venne l'inverno, il giardino sfiorito aspettava la prima neve e la povera marionetta non aveva più nulla da mangiare. Non dite che avrebbe potuto riprendere il viaggio: le sue povere gambe di legno non lo avrebbero portato lontano. «Pazienza, - si disse Pulcinella, - morirò qui. Non è un brutto posto per morire. Inoltre, morirò libero: nessuno potrà più legare un filo alla mia testa, per farmi dire di sì o di no». La prima neve lo seppellì sotto una morbida coperta bianca. In primavera, proprio in quel punto, crebbe un garofano. Sottoterra, calmo e felice, Pulcinella pensava: «Ecco, sulla mia testa è cresciuto un fiore. C'è qualcuno più felice di me?» Ma non era morto, perché le marionette di legno non possono morire. È ancora là sotto e nessuna lo sa. Se sarete voi a trovarlo, non attaccategli un filo in testa: ai re e alle regine del teatrino quel filo non dà fastidio, ma lui non lo può proprio soffrire.
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Gianni Rodari, Favole al telefono, Einaudi (collana Gli struzzi n°14), 1973⁷; pp. 107-108. [Prima edizione: 1962]
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gaytamorfosi · 10 months
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Il divano su cui è cambiato tutto
🇮🇹 ("The sofa on which everything changed" Italian Version)
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Il divano nuovo era rigido, la stoffa era tesa come una corda di violino, era come sedersi su una panca di legno. A Riccardo non sembrava di essere una persona seduta su un divano, pensava di essere più simile a un giocattolo appoggiato lì, dove qualche bambino sbadato l'aveva appoggiato e dimenticato.
Una tazza di tè, i piedi sul tavolino, un po' di musica...
Riccardo ascoltava la radio avvolto nella sua felpa in pile bianchissima, morbida e profumata. Aveva provato a mettersi comodo su quel divano nuovo, stava provando a sentirsi a casa nell'appartamento in affitto partendo dalle cose più semplici a cui riusciva a pensare. Il modo in cui era arrivato su quel divano però era tutt'altro che semplice, da qualche settimana la vita di Riccardo era stata completamente rivoluzionata.
Il padre di Riccardo, un uomo burbero e molto religioso, aveva insistito perché il figlio iniziasse a lavorare nel piccolo ferramenta di famiglia a Saronno. Riccardo invece voleva andare all'università, non sapeva nemmeno cosa volesse studiare ma era certo di non voler passare la sua esistenza tra brugole, sifoni e catenacci. "So io cos'è meglio per te " ripeteva il padre con tono secco e autoritario; Riccardo le aveva provate tutte per convincerlo, ma con la gran testa dura che aveva, l'uomo restava inamovibile sulla sua decisione.
Una sera Riccardo decise di giocare l'ultima carta che aveva a disposizione e dopo aver fatto accomodare i genitori sul divano prese coraggio e annunciò: "Papà, Mamma, mi piacciono i ragazzi". Il padre rispose con una risata, seguita solo dal silenzio. Resosi conto che non si trattava di uno scherzo, un velo di incredulità passò davanti ai suoi occhi, per poi esplodere in una rabbia feroce. L'avrebbe strozzato, quel figlio ingrato, come si era permesso? Le mani dell'uomo sarebbero state già strette attorno al gracile collo del giovane, se non fosse intervenuta la madre, che di rado faceva valere le sue opinioni. Mezz'ora dopo Riccardo era fuori dalla porta di casa e camminava curvo sotto il peso di un grosso zaino, trascinando due valige più grandi di lui. Dentro c'era tutta la sua vita, buttata alla rinfusa. Paradossalmente Riccardo non si era mai sentito tanto leggero e seppur ferito nell'animo, sorrideva al pensiero che il giorno successivo sarebbe andato a vedere l'università statale di Milano. Riccardo passò la notte in bianco alla stazione di Saronno; prese il primo treno per Milano alle 5:44 e poi puntò dritto all'università.
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Giunto davanti al grosso edificio, dovette aspettare un’ora e mezza, perché il grosso portone veniva aperto alle 7:30. Nel piazzale quasi deserto i suoi occhi si posarono su un volantino arcobaleno appeso al muro: indicava gli appuntamenti del collettivo LGBTQ+ dell'università. Riccardo ci fece una foto con il cellulare pensando che forse tra i membri di quel gruppo qualcuno avrebbe potuto ospitarlo qualche giorno. Quando la guardia aprì le porte, Riccardo tentò di raggiungere il cortile interno, ma venne subito fermato: "dove va con tutte queste valige?" Chiese la guardia, “Servono per una lezione, sono qui preso perché devo montare tutto l'equipaggiamento. Mi han detto che siamo all'ultimo piano" mentì Riccardo. La guardia indicò con aria perplessa la strada per raggiungere un ascensore che portasse all'ultimo piano, e Riccardo ringraziò e si avviò con passo deciso, prima che la guardia potesse chiedere altro. Giunto nel bagno dell'ultimo piano, il povero ragazzo sfinito chiuse a chiave la porta si addormentò. 
mezzogiorno era passato da un pezzo quando Riccardo si svegliò e si diresse alla riunione del collettivo LGBTQ+. Ovunque andasse tutte quelle valige lo facevano sentire come un marziano appena sceso sul pianeta terra. Riccardo individuò l'aula della riunione senza problemi, era quella più chiassosa di tutte. L’allegro vociare dei presenti non si fermò quando il ragazzo entrò nell'aula, ma qualche occhiata malcelata volò rapidamente dal viso del ragazzo, al suo corpo, ai pesanti bagagli.
Come di consueto, prima di iniziare la riunione ogni ragazzo a turno si alzò in piedi ripetendo a voce alta il nome, la facoltà, da quanti anni studiava e da quanti frequentava il collettivo. Quando fu il suo turno, Riccardo si alzò e disse "Sono Riccardo, ho 19 anni, non sono uno studente e mi hanno appena cacciato da casa". Poiché i presenti lo fissavano con sgomento e non accennavano a prosegue con le presentazioni, Riccardo continuò il suo racconto ricapitolando ciò che gli era successo nelle ultime ore.
Quella sera Riccardo dormì sul divano di un gruppo di coinquilini membri del collettivo, il giorno successiva i ragazzi del collettivo avevano diffuso la storia di Riccardo a mezza comunità LGBTQ+ milanese. Per tre settimane Riccardo rimbalzò da un divano all'altro, rapidamente trovò un lavoro come maschera al Carcano, il celebre teatro Milanese; infine si trasferì più o meno definitivamente affittando una stanza in un appartamento in periferia. Ora divideva la casa con Simone, un trentenne dal fisico massiccio, senza capelli, poco virile nei modi, che lavorava come assistente e ricercatore in università. I due andavano d'accordo, ma i loro orari erano talmente diversi che si incrociavano di rado nell'appartamento.
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Quel giorno Simone doveva tenere una lezione in università, quindi Riccardo era solo in casa. Riccardo sedeva su quel divano rigido con la tazza in mano e mentre la bustina di tè colorava l'acqua, le dita del giovane rigiravano lo strano pacchetto di carta colorata dove la busta era conservata poco prima. "Ma Silvia dove le recupera ste cose?" pensò. Silvia era un'amica di Simone, una di quelle ragazze che si credono un po' streghe e collezionano cristalli e oggetti presunti magici; dove passava Silvia lasciava una scia di ninnoli e fesserie che lei credeva prodigiosi e Simone la lasciava fare, per farla contenta. La bustina aveva dei caratteri illeggibili sopra, ma per Riccardo era come se ci fosse scritto "Questo l'ha portato Silvia".
Il fumo si alzava silenziosamente dalla tazza di acqua calda, ed un aroma dolce si diffuse per la stanza. "...Vaniglia? ...Caramello? …Nocciola?" Si chiese Riccardo mentre inalava la fragranza intensa sprigionata dalla tazza. Era un profumo tanto corposo che sembrava penetrare nella pelle e scaldare il corpo come un bagno caldo. Ecco, forse per la prima volta dopo settimane Riccardo stava riuscendo a rilassarsi. "Se solo questo pile non prudesse tanto" pensò, ed iniziò a spogliarsi. Era un capo davvero strano, fino a qualche momento prima sembrava morbido e confortevole, ora invece pizzicava in modo insopportabile. 
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Stando a torso nudo sul divano Riccardo avvicinò la tazza alle labbra, soffiò, e poi ne bevve un piccolo sorso: era il the più buono che avesse mai bevuto, dolce ma non stucchevole, sembrava quasi il sapore di... Un bacio. Anche questo era un pensiero strano, Riccardo non aveva mai baciato le labbra di un uomo, eppure quello era il sapore a cui lo associava. Riccardo pazientò per far raffreddare un poco la bevanda, poi mandò giù alcuni sorsi. Il calore della bevanda si diffuse in ogni angolo del suo corpo, donando una profonda sensazione di benessere. Era una vita che Riccardo non si sentiva così bene, si sentiva vivo, aveva voglia di prendere e andare a fare una corsa fuori, di uscire e guardare il cielo, di iniziare un nuovo capitolo della sua vita…
"Devo chiedere a Silvia dove ha preso questa roba" pensò grattandosi la barba. 
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L'ennesimo avvenimento insolito: Riccardo non aveva mai avuto la barba, eppure ora c'era, fitta e nera, quasi come quella del suo coinquilino. Riccardo, in preda alla sensazione quasi orgasmica donata del tè colorato, non diede peso alla barba, né ai peli che iniziavano a crescere sul resto del suo corpo. La barba dava a Riccardo un'aria distinta, dimostrava qualche anno in più ma gli stava proprio bene. Con quei peli poi sembrava più muscoloso, ma era un’illusione o erano muscoli veri? Com'era possibile una cosa del genere? Ecco spiegato il desiderio di muoversi e correre, la sua nuova muscolatura era calda e pronta, come una moto da gara appena uscita dal concessionario. Ma correre per cosa? Correre da chi? Riccardo decise di rivestirsi e uscire, ma prima terminò il contenuto della sua tazza a grandi sorsi. 
Il desiderio di uscire svanì immediatamente e Riccardo rimase seduto esattamente come prima, Imbambolato e incredulo. Un senso di improvvisa rilassatezza permeava il suo corpo, che progressivamente iniziò a sprofondare nel divano. I cuscini si piegarono e deformarono, sotto il peso improvviso della massa di Riccardo, che cominciò ad aumentare in modo impressionante. Il corpicino pelle e ossa che Riccardo aveva fino a pochi minuti prima non era che un lontano ricordo, ricoperto com'era di muscoli, carne e pelo. 
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La trasformazione che stava avvenendo avrebbe lasciato sbigottito chiunque, un omino di nemmeno vent'anni ora ne dimostrava tranquillamente più di trenta, ed aveva moltiplicato le sue dimensioni come mai avrebbe potuto fare in vita sua, nemmeno se avesse iniziato vivere di abbuffate e sollevamento pesi. Riccardo era satollo, rilassato e felice, un po' come ci si sente dopo un pranzo di Natale.
Quando quella sensazione si dissipò, raggiunse uno specchio e si osservò compiaciuto: Era proprio un bell’uomo. Nonostante l'assurdità della situazione, Riccardo restava calmo, come se tutto ciò fosse perfettamente sotto controllo, come se fosse stato lui a voler essere un'altra persona. Più si guardava nello specchio e più realizzava che la sua corporatura sembrava la copia identica di quella di Simone. Chissà cos'avrebbero detto i vicini? Con quei due gorilla nell'appartamento di fianco (uno dei quali probabilmente s'era mangiato quel ragazzo magrolino che non si vede più). A proposito di Simone, come avrebbe potuto spiegargli che quella bustina l'aveva trasformato in un bestione del genere? Alla parola "bestione" a Riccardo passò per la testa l'idea di controllare una parte del corpo importantissima, a cui non aveva ancora pensato. Ancora prima di mette la mano, non poté fare a meno di percepire un certo movimento nelle sue mutande, ma un rumore improvviso interruppe il delicato momento: erano le chiavi di Simone nella toppa della porta. Il cuore di Riccardo iniziò a battere tanto forte che sembrava essere cresciuto anch’esso. Per la prima volta un senso di preoccupazione permeò quel corpo nuovo e massiccio, che si diresse goffamente davanti alla porta d'ingresso.
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La porta si spalancò rivelando una figura minuta ricoperta da una maglietta blu decisamente troppo grande. Un grazioso e accigliato ragazzetto biondo fissava Riccardo. "Simone?" Chiese Riccardo sbigottito.
Simone aveva bevuto lo stesso tè quella mattina, ma a lui era sembrato un tè normalissimo ed era andato a tenere la sua lezione. Durante il viaggio di ritorno in tram, aveva avvertito un capogiro improvviso e deciso di scendere, temendo che viaggiare sui mezzi peggiorasse la situazione. Mentre camminava verso casa aveva iniziato a rimpicciolire e ringiovanire, e mentre il suo corpo prendeva la forma di quello di Riccardo, sulla testa crescevano morbidi capelli biondi, la sua barba invece svaniva senza lasciare la minima traccia. Simone non poteva credere a ciò che stava succedendo, come poteva fermare questa cosa? Più il suo corpo si trasformava e più si accendeva in lui il desiderio di correre a casa, cosa che risultava abbastanza difficile con scarpe e vestiti decisamente troppo grandi, tanto da doverli necessariamente tenere su saldamente con le mani per non perderlo per strada. Il poveretto correva reggendo con due mani quei pantaloni enormi, sembrava quasi che stesse partecipando ad una corsa coi sacchi. Poiché i pantaloni cadevano da tutte le parti e non nascondevano nulla, erano ormai solo un intralcio e Simone decise di abbandonarli per strada. Correre in mutande gli permise di andare più veloce, dopotutto mancava solo l’ultimo pezzetto di strada.  
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Raggiunse la porta di casa ripetendo nella sua testa il discorso che voleva fare a Riccardo per spiegare cosa gli era successo, ma lo shock più grande doveva ancora arrivare.
Aprendo la porta Simone rimase esterrefatto, ma capì subito che quell'omone grande grosso a torso nudo con una visibile erezione nei pantaloni altri non era che Riccardo.
Non fu necessario dire una parola in più, i due sapevano esattamente cos'era successo all'altro, anche se non avevano idea del perché fosse successa una cosa simile. Poi sentirono più forte che mai quell'impulso a scattare, a correre, a raggiungere... L'altro. Era per quello che Riccardo voleva correre fuori, lo stesso motivo che spingeva Simone a correre a casa: Una forza magnetica li attirava l'uno all'altro. Simone deglutì, i suoi occhi si spostavano dal Viso di Riccardo al suo pacco gonfio, mentre i suoi piccoli piedi si muovevano portandolo verso l'omone. Mentre Simone camminava lasciò cadere anche le mutande, ormai fuori misura. Riccardo liberò Simone anche dalla la maglietta (che arrivava quasi alle ginocchia) e vide che anche Simone era molto eccitato. Mentre Simone tentava di ricambiare il favore e sbottonava la cintura del coinquilino, Riccardo non poté fare a meno di guardare il corpicino che aveva davanti, con la sua piccola erezione pulsante: "sei la cosa più carina che abbia mai visto" disse.
Simone arrossì e una volta sfilata la cintura dai pantaloni di Riccardo lo spinse verso la camera da letto e chiuse la porta d'ingresso.
Riccardo sollevò Simone e lo mise sul letto, pensò che fosse davvero carino ridotto così, poi senza esitare si tolse i pantaloni e le mutande.
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Simone non fece nemmeno in tempo a realizzare che il membro di Riccardo era persino più grande di quello che aveva lui prima di trasformarsi. Riccardo raggiunse il coinquilino trascinando le ginocchia sulle lenzuola e si abbassò per dargli un bacio: era un bacio dal sapore dolce, forse perché le labbra di Riccardo sapevano ancora di The. Simone non aveva mai ricevuto un bacio del genere, avrebbe voluto che il tempo si fermasse lì. La pelle calda di Riccardo a contatto con quella di Simone era la sensazione più bella che avessero mai provato.
Riccardo si spostò, fece sdraiare Simone a pancia in su e gli aprì gambe, per infilare la faccia barbuta sotto sue le palle: era un punto talmente sensibile che Simone ebbe paura di venir subito, solo per essere toccato lì dalle labbra di Riccardo, che invece iniziò a leccare il piccolo buco del ragazzo. Simone fremeva di piacere (da quando era così sensibile?) mentre si aggrappava alle lenzuola nella sua testa si faceva spazio il desiderio di afferrare con entrambe le mani la virilità gigantesca di quell'omone.
Quando Riccardo sollevò la testa, Simone si spostò e lasciò il posto a Riccardo, notando che nella fretta aveva dimenticato di togliere i calzini. Mentre l'omone stendeva la sua larga schiena sul letto, Simone gli sfilò a fatica i calzini grigi, ormai deformati perché coprivano dei piedi che avevano appena moltiplicato la loro misura. C'era un che di eccitante in questa azione, Simone pensò che era strano, non aveva mai avuto gusti simili, in genere i piedi lo lasciavano indifferente, ora invece non poteva lasciare cadere la gamba pesante di Riccardo. Avvicinò invece il piede alle labbra e baciò la pianta del grosso piede, per poi farlo scorrere sulla pelle del torso, sino al pube. Riccardo sorridendo divertito solleticava con le dita dei piedi l'erezione di Simone che ora più che mai sembrava sul punto di esplodere. Eccitatissimo, Simone abbassò la faccia sul pube villoso di Riccardo e lo baciò ripetutamente. Anche l'erezione di Riccardo pulsava, Simone l'afferrò con una mano, mentre l'altra reggeva con delicatezza le due grosse palle. Riccardo improvvisamente si sentì totalmente succube di quell'audace biondino, ora che il suo poderoso nuovo attrezzo era interamente nelle sue mani. Simone avvicinò la faccia al prezioso bottino e lo prese in bocca, mettendo in pratica tutta l'esperienza che aveva in questo genere di cose. Riccardo di fronte a quella sensazione del tutto nuova, fu più volte sul punto di venire, ma prima di farlo c'era almeno un'altra cosa che voleva provare.
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Simone si spostò e si mise a cavalcioni di Riccardo, come se fosse la risposta di un messaggio telepatico. Dopo aver lubrificato la zona a dovere ed avere messo il preservativo più grande che c’era nel cassetto di Simone, Riccardo infilò con delicatezza il suo membro nella sottile apertura di Simone, che in genere era versatile, ma ormai erano anni che non trovava un partner attivo che avesse rapporti con lui. Fu uno dei rapporti più intensi della sua vita, e pensò che qualsiasi cosa fosse successa era stata necessaria per portare li loro due, in quel momento, con quella forma, in quel letto. Vennero a pochi secondi di distanza l'uno dall'altro, poi si spostarono in bagno per pulirsi.
Con la mente un po' più lucida Riccardo chiese: "...e ora che si fa con questa faccenda?". Simone, seduto sul bidet, dava le spalle al coinquilino e senza alzare gli occhi rispose: "che vuoi che si faccia? Ora chiamo Silvia e le chiedo se questa cosa è temporanea o permanente, se serve staremo qualche tempo a casa aspettando che passi".
Il viso di Riccardo si rabbuiò, senza sapere perché non voleva che le cose tonassero come prima. "Se fosse solo una cosa provvisoria ti va di berci un'altra tazza di quel tè ogni tanto?" Chiese Riccardo con una timidezza che addosso ad un omone del genere faceva ancora più tenerezza. "Rifarlo? E se fosse permanente?" Replicò Simone con tono stupito e preoccupato. Riccardo si accovacciò dietro a Simone e gli diede un bacio sulla spalla, poi disse: "Se fosse permanente, ti andrebbe di uscire con me?"
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𝘓𝘦 𝘪𝘮𝘮𝘢𝘨𝘪𝘯𝘪 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘱𝘰𝘴𝘵 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘱𝘳𝘰𝘷𝘦𝘯𝘪𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘥𝘢𝘭 𝘸𝘦𝘣 𝘦 𝘢𝘭𝘵𝘦𝘳𝘢𝘵𝘦 𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪𝘦 𝘢𝘭𝘭'𝘪𝘯𝘵𝘦𝘭𝘭𝘪𝘨𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘢𝘳𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭𝘦. 𝘚𝘦 𝘴𝘦𝘪 𝘪𝘯𝘧𝘢𝘴𝘵𝘪𝘥𝘪𝘵𝘰 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘦𝘯𝘶𝘵𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘳𝘪𝘵𝘪𝘦𝘯𝘪 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘥𝘪 𝘵𝘶𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘦𝘵à, 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘵𝘵𝘢𝘮𝘪 𝘱𝘦𝘳 𝘳𝘪𝘮𝘶𝘰𝘷𝘦𝘳𝘭𝘰. 𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪𝘦.
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𝘛𝘩𝘦 𝘪𝘮𝘢𝘨𝘦𝘴 𝘪𝘯 𝘵𝘩𝘪𝘴 𝘱𝘰𝘴𝘵 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘧𝘳𝘰𝘮 𝘵𝘩𝘦 𝘸𝘦𝘣 𝘢𝘯𝘥 𝘢𝘳𝘦 𝘢𝘭𝘵𝘦𝘳𝘦𝘥 𝘵𝘩𝘢𝘯𝘬𝘴 𝘵𝘰 𝘢𝘳𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘭𝘭𝘪𝘨𝘦𝘯𝘤𝘦. 𝘐𝘧 𝘺𝘰𝘶 𝘢𝘳𝘦 𝘣𝘰𝘵𝘩𝘦𝘳𝘦𝘥 𝘣𝘺 𝘵𝘩𝘦 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘤𝘦 𝘰𝘧 𝘢𝘯𝘺 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘦𝘯𝘵 𝘵𝘩𝘢𝘵 𝘺𝘰𝘶 𝘣𝘦𝘭𝘪𝘦𝘷𝘦 𝘵𝘰 𝘣𝘦 𝘺𝘰𝘶𝘳 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘦𝘳𝘵𝘺, 𝘱𝘭𝘦𝘢𝘴𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘤𝘵 𝘮𝘦 𝘵𝘰 𝘳𝘦𝘮𝘰𝘷𝘦 𝘪𝘵. 𝘛𝘩𝘢𝘯𝘬 𝘺𝘰𝘶.
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mezzopieno-news · 2 years
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ARRIVA LA CARTA PRODOTTA SENZA ALBERI
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La carta pietra, anche nota come carta minerale, è un materiale innovativo composto per l’80% da carbonato di calcio e per il 20% da polietilene. Per la produzione di una tonnellata di carta tradizionale si utilizzano all’incirca 20 alberi e 35.000 litri di acqua mentre la carta pietra non contiene legno né cellulosa e viene prodotta a secco. Rispetto alla carta tradizionale è impermeabile, non ha grana risultando perciò liscia e morbida al tatto, assorbe il 30% in meno dell’inchiostro ed è lavabile e resistente agli strappi. Se lasciata agli elementi, si decompone in ambiente entro 12 mesi.
Il carbonato di calcio utilizzato nella produzione è ottenuto dalla macinazione di rifiuti del settore edile e delle cave quali marmi e piastrelle. La polvere di carbonato viene poi miscelata con polietilene ad alta densità (HDPE) per creare piccole sfere bianche che vengono compresse in fogli simili alla carta di cellulosa in un processo a secco che non prevede l’uso di acidi, candeggina o acqua. Presentata nelle fiere di settore prima a New York e successivamente in Spagna, la carta pietra si è lentamente diffusa e oggi è disponibile anche in Italia con applicazioni sia per le stampe commerciali che per la produzione di block notes e quaderni.
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Fonte: Stone Paper Italia
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rk-tmblr · 1 year
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Nessuno ti conosce come me -Geto Suguru
!TW! Character Death, Description of Anxiety and Violence.
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A quell’ora tarda la sala-caffè era silenziosa, privata delle chiacchiere scambiate fra colleghi e dal borbottio incessante della vecchia macchina per il caffè.
Tacendo ascoltava il ronzio costante dei neon accesi nell’ufficio accanto che di tanto in tanto veniva interrotto dal trillo cristallino della bottiglia di sakè contro le due tazzine di vetro scuro, un paio di sospiri e un tonfo secco sul legno appresso all’altro.
Erano rimasti per gli straordinari, indifferenti a dover fare le ore piccole, c’erano solo loro due seduti al tavolo rotondo che si trovava immediatamente a destra varcato l’ingresso della sala, non troppo lontano dalla credenza ad angolo dalla quale si erano procurati il liquore.
Una delle quattro pareti, quella a loro dinanzi, era intagliata da una larga finestra che dava unicamente vista verso la città buia: lontane e calde brillavano le vetrate degli altri palazzi, invece al posto della luna un alto lampione verde filtrava a bande all’interno della caserma. Riuscivano a vedere nella penombra della sala grazie a questo e alla luce che superava la soglia della stanza adiacente, dove avevano lavorato poco prima.
Avevano scambiato a malapena due parole, sostituito la loquacità di cortesia con shot di sakè. Questa volta era il suo turno di riempire i bicchieri e Geto lo lasciò fare perdendosi a fissare la luce che danzava oziosamente sulla superficie del liquore versato.
«Potremmo anche dirlo, no?» borbottò posando la bottiglia e circondando la propria tazzina con le dita della mano sinistra, sollevò lo sguardo ed incontrò quello incuriosito del corvino; «Sappiamo tutti che è stato 🀰🀰🀰 ad uccidere 🀰🀰» disse con ovvietà prima di mandare giù qualche sorso.
«Sono stato io ad ucciderlo» replicò infastidito dai suoi modi saccenti, l’orgoglio gli stampò un leggero ghigno sulle labbra alla reazione sconvolta del collega; «Non 🀰🀰🀰» ribadì per fugare ogni dubbio.
Geto assaporò quegli attimi come il più spietato dei predatori.
Sinistramente vi trovava qualcosa di affascinante in quelle iridi dilatate dalla paura, nel terrore che scatenava quell’animalesco istinto di sopravvivenza di cui gli uomini pavoneggiano stupidamente la dimenticanza.
Il battito cardiaco accelera, i muscoli si irrigidiscono, la sudorazione aumenta per avvisare con il proprio acre odore i simili nei paraggi… sfortunatamente per lui erano soli.
«Perchè?» domandò posando il bicchiere sul tavolo così da celare il tremore nervoso delle dita.
Il corvino sospirò scettico sull’importanza di una sua risposta; «Per tutta la merda che ci ha fatto passare» accontentò ugualmente l’esigenza umana di voler capire anche quando non ce n’è davvero alcun bisogno.
«Ora va meglio?» vanificò le promesse della vendetta e Geto non si interessò minimamente se le sue intenzioni fossero dettate dalla pura curiosità o se invece lo avrebbero portato a presentarsi come paladino della giustizia.
«No, ma mi sono divertito» ammise freddamente sorridendo, «Sono sempre stato consapevole che uccidendo 🀰🀰 le cose non sarebbero potute cambiare così come ero pienamente cosciente del mio desiderio di vederlo morto» spiegò scolando tutto d’un fiato il sakè rimanente; «Ho solo fatto ciò che potevo realizzare fra le due constatazioni, capisci?»
Rimase in silenzio incapace della qualunque, a fatica gli pareva pure di respirare: l’aria si era fatta pesante e stantia aleggiava, ricordando il tanfo di morte. Forse era l’impressione di vedere il sangue tingere di vermiglio le mani del corvino oppure…
Percepì lo stomaco cedergli, una sensazione di vuoto lo colpì bruscamente quando realizzò di aver lasciato la pistola all’interno del cassetto della scrivania in ufficio.
Simile ad una preda costretta all’angolo, immaginò se stesso correre fuori di lì, disperato lanciarsi sulla scrivania e maledire l’obbligo di sette caratteri come codice di sicurezza mentre impacciato dal panico armeggiava contro i tasti-
CODICE ERRATO
riprova più in fretta,
CODICE ERRATO
riprova, dai andiamo, forza, sbrigati!
CODICE ERR–
-la volata contro la nuca sudata.
Essere freddato alle spalle come il vile degli esseri.
«Perché me lo hai confessato?» forzò la lingua asciutta a staccarsi dal palato per pronunciare quelle parole, la gola secca gli complicò maggiormente la respirazione.
Geto inclinò appena il capo sulla sinistra e sorrise cortese.
Gli mostrò quello stesso sorriso che mostrava a tutti quotidianamente, quello così ampio da strizzare i suoi occhi scuri a mandorla affilandoli ancora di più... ma questa volta non allungò la mano verso la bottiglia per servire un altro shot di sakè.
«Potremmo anche dirlo, no?»
🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰
🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰🀰
Tre giri di chiave e poi abbassò la maniglia.
Fu sorpreso nel ritrovare l’albino seduto alla scrivania, indaffarato dalle verifiche di fine trimestre. Si spogliò del cappotto nero e lasciò le scarpe ordinate nel genkan, silenzioso indossò le ciabatte e camminò verso di lui.
La piccola abat-jour faceva brillare d’argento le sue lunghe ciglia, che sfioravano i vetri degli occhiali rettangolari, accarezzava dolcemente il suo profilo rendendo teneri i segni lasciati dalla stanchezza accumulata nell’arco della giornata.
Anche Geto era esausto e dalla stessa mattina in cui aveva lasciato casa, non aveva fatto altro che sperare di ritornarci il prima possibile.
«Satoru, che ci fai ancora in piedi?» gli baciò il capo, mentre con una mano gli coccolò amorevolmente la schiena. Sorrise nel sentirlo abbandonarsi al tocco, rilassare le spalle tese curve in avanti, abbandonare la penna fra le dita e sollevare il viso fino a sfiorargli il naso con il suo.
«Erano rimasti pochi compiti da correggere e volevo finirli per sbarazzarmene al più presto» mugolò assonnato, ma ricambiò la sincera piega sulle labbra.
«Mh, non dovresti sforzare così i tuoi bei occhietti» lo riprese giocosamente, suscitando una sua piccola risata.
Per Gojo n’era valsa la pena dato ch’era riuscito ad accoglierlo tornare dal lavoro. Lo lasciò sfilargli gli occhiali e avvolgerlo in un abbraccio per sollevarlo da quella sedia, che era oramai diventata scomoda sotto il suo sedere. Avvolse le lunghe gambe attorno al suo bacino e sentì cliccare l’interruttore dell’abat-jour ma vedeva già nero perché le palpebre si era chiuse da sole, non appena si era ritrovato avvolto dal suo calore.
Non ebbe alcun timore nel sapere che il corvino si stava muovendo nella totale oscurità dell’appartamento per raggiungere la camera da letto, si fidava del fatto che mai avrebbe permesso che toccasse suolo e poi adorava la sua forza: nonostante la differenza di altezza, Geto non faceva alcuna fatica a prenderlo in braccio e trasportarlo con sé e gli piaceva tanto quella premura che sapeva di quell’infanzia che avrebbe voluto avere ma che non aveva mai avuto… fra le sue braccia, appeso al torace dell’altro, come un koala su di un albero, si sentiva incredibilmente vulnerabile ma al sicuro, protetto e amato.
«Nooooo» piagnucolò rifiutandosi di lasciarlo andare, non appena la sua schiena toccò il materasso.
«Torno subito, dammi solo due minuti per cambiarmi, ‘Toru» gli baciò la guancia e delicatamente lo convinse a slegare gli arti di dosso.
«Sbrigati Suguru, vedi che conto eh!» lo minacciò mettendo il broncio.
Il sonno sfidò la piccola promessa, eppure il corvino riuscì ad affiancarlo prima che si addormentasse davvero e cancellò immediatamente la sua infantile smorfia con un’amorevole Buona notte sussurrato a fior di labbra.
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firewalker · 1 year
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Il parrucchiere del giardino
Dovete sapere che dove abito c'è un piccolo giardino condominiale, sarà grande circa 100 m², e ci cresce l'erba. L'anno scorso, io e il mio vicino (le due persone che si occupano del giardino siamo noi) abbiamo provato a piantare un alberello che lui aveva in un vaso, con scarsi risultati: nessuno dei due aveva voglia di annaffiare costantemente la povera pianta e, come previsto, è morta. È rimasto questo zeppo di legno verticale alto un metro, secco, a ricordare il nostro tentativo fallito, per più o meno un anno.
Qualche mese fa il vicino mi dice "dai, togliamo 'sto coso che è brutto". Ok, ci mettiamo lì, scaviamo, togliamo l'alberello, richiudiamo il buco che, ovviamente, ora è un buco coperto di terra senza erba.
Il mio vicino ha due cani, di cui uno è un Lupo Cecoslovacco, a cui piace scavare. La conseguenza è ovvia: quel buco viene costantemente riscavato e la terra è costantemente in giro, e questo succede praticamente ogni volta che il vicino si scorda di controllare il cane lasciato anche solo per pochi minuti in giardino.
A un certo punto lo incontro e mi fa: "certo che quel buco è proprio brutto". E io, con calma, rispondo: "sì, vero, ma come è cresciuta l'erba dalle altre parti, crescerà pure lì, sempre che Damon [il CLC] non scavi".
Giorni fa lo vedo che si occupa del giardino: è primavera e l'erba comincia a crescere, così col decespugliatore comincia a fare un po' di taglio. Mi chiede il rastrello, pensavo volesse pulire il giardino dall'erba tagliata, e glielo do.
Dopo un po' ci parlo e mi dice "quel buco è brutto, e Damon continua a scavarci dentro. Ora ci ho messo un po' di erba tagliata sopra, almeno così sembra tutto più omogeneo"
Signore e signori: abbiamo un giardino col riporto.
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veesunderthetree · 2 years
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ITA entry 6: Knock-knock. Knock-Knock. Il Dottor Bly smise di scrivere freneticamente sui fogli del suo diario. Knock-knock. Tenendo la sigaretta tra le labbra e sospirando, finì di tracciare le linee dell’ultima parola con la modesta stilografica. Fece una bella pancia ad una lettera, tirò l’ultima riga con un tratto secco e sfilò la sigaretta per spegnerla. “Bly!” Una voce carica di gelò penetrò oltre la porta chiusa alle sue spalle, come un vento invernale che si tratteneva a malapena. Il suo piano di lavoro era coperto di libri e pezzi di ingranaggi scartati; un portagioie dietro il posacenere strapieno nascondeva boccette di scorte mediche e chicchi di caffè tostato che adorava sgranocchiare nel tempo libero. Il biondo, giovane dottore dagli occhi blu si portò una mano alla tempia: sapeva chi era. Farla entrare o non farla entrare? La cortesia gli avrebbe imposto la prima, ma la voglia di immergersi nei propri scritti gli suggeriva il contrario. Per di più erano due poli opposti della termodinamica, un getto vulcanico che si scontrava con un ghiacciaio degno della nobiltà di Londra. Ogni volta che le apriva, finivano per litigare su mille argomenti diversi: certo, parlando, ma pur sempre litigando. Il bussare ritmico smise dietro di lui e finalmente il Dottore trovò la forza di alzarsi dalla sedia e dirigersi verso l’uscio. “Si, Vivienne. Arrivo.” Percorse la piccola stanza con una falcata. Prima di aprire ci ripensò e si sistemò a modo il colletto della camicia, abbottonandolo, ed il bordo del gilet marrone che portava. La dignità non era proprio il suo forte, ma si poteva sempre migliorare, si disse con rassegnazione. Socchiuse la porta. “Bly. Alla buon’ora!” “Scusa Vivienne. Stavo scrivendo.” “Mi dici che ti prende?” Due occhi verdi glaciali e imponenti lo penetrarono come un colpo di pistola al cranio. “Perchè la nobile Vivienne è arrabbiata, stavolta?” le chiese sospirando, lasciando l’uscio per dirigersi verso il tavolo a prendere un’altra sigaretta. Una coltre di fumo aleggiava nell’aria e ben presto vi si sarebbe aggiunto quello che usciva dalle orecchie della giovane. Alta, bella, slanciata, quasi irreale. “Ti sei davvero rifiutato di fare le analisi a quel povero ragazzo? Davvero?!” Le dita candide della giovane si strinserò in un pugno. “Ti avevo detto di fargliele! Sei o non sei un Dottore? Non puoi rifiutare le cure mediche ai membri della nostra Loggia.” “Ti ho già dato le mie spiegazioni” Bly scrollò semplicemente le spalle, prese lo zippo e accese l’ennesima cicca. Ci pensò un attimo, poi ne passò una anche alla ragazza - avendole già rollate. La bocca della giovane si storse per un attimo, ma le sue mani accettarono il regalo. Forse era l’unica cosa su cui andavano veramente d’accordo. “Bene, ripetimele, ti supplico” le rispose lei irrigidendo la schiena. La vide spostarsi sul bordo della porta e poggiarsi all’intercapedine in vecchio, affidabile legno. “Primo, ti ho già detto che quel ragazzo è un azzardo medico ambulante. Secondo, tu lavori coi morti ed io coi vivi.” “E questo ti solleverebbe dall’incarico?” Vivienne puntò il mento aguzzo contro il petto e si mise a braccia conserte, facendo scivolare la sigaretta tra le dita affusolate, mentre Bly si puntava con l’anca sul bordo del tavolino in una posizione tutt’altro che comoda. “Si, e non solo: ti ricordo che il giovane è divorato da una colonia di funghi. Se è ancora vivo non solo nessuna analisi che io possa fare è più accurata di queste parole, ma le spore degli esseri vegetali che lo abitano potrebbero perfino spandersi e contaminare tutto il resto dei presenti. Non ci tengo.” “Ed io non ci tengo a darti ragione, pur con tutte le tue dannate spiegazioni. Non sono nient’altro che scuse.” “Sai che non è vero.” “... e per di più, così facendo, lo metti in condizione di provare vergogna per quello che è. Cos’hai nella testa che non va?” “Ti sembra che qualcuno di noi sia normale?!” Stavolta Bly resse lo sguardo di Vivienne in un impeto d’ira rovente che impregnò la stanza, probabilmente anche la sua anima. Vinse il confronto per un attimo ma volontariamente abbassò lo sguardo, sopprimendo la rabbia con la cortesia. La ragazza lo sfidò duramente con gli occhi ma poi portò le braccia in grembo e sembrò addolcirsi leggermente. “Senti, lasciami parlare senza troppi giri di parole. So come ti senti. Te lo assicuro.” Vedeva le praterie verdi dietro le sue iridi, avrebbe giurato che irradiavano una pace immensa. “Pensi di essere un paria, ti senti solo e assoggettato al volere degli altri. Anch’io lo penso, alle volte. Ma davvero, davvero: loro non lo pensano. Non siamo gli unici a sentire il peso del mondo.” “Vivienne...” “Zitto” lo riprese lei, portandosi finalmente la sigaretta alle labbra. Mordicchiò il sottile filtro, mantenendo il silenzio per un secondo. “Questa loggia ha mille problemi e mille persone che non sanno dove hanno casa, famiglia. E’ un posto sicuro per chi non sente di appartenere nessun luogo del mondo. Vuoi allontanare l’ennesimo povero sulla porta; desideri davvero mandarlo allo sbando, da solo, nel mondo?” “Io...” “Probabilmente non ha altro posto se non questo.” “...” Bly si morse il labbro, sentendo l’ira scemare per far posto ad una profonda vergogna. Aspirò avidamente dalla sigaretta e si voltò per non far trasparire le proprie emozioni. “Hai ragione.” “Felice di averti convinto.” “Ma...” Il Dottore le passò con un breve lancio lo zippo, che lei prese agilmente. La ammonì con un dito. “...trovati pronta a farmi scorta di disinfettante. E tessuti. E guanti. E assicurati di sterilizzare tutto nell’infermeria. Non lo visiterò se non ben protetto, non voglio un’infestazione di funghi parassiti sui nostri membri.“ Lei sorrise, prima con arroganza, poi con dolcezza. Vivienne era formalmente il capo e a lei nulla si poteva ordinare, ma qualche volta... solo qualche volta, abbassava quello scudo posto tra lei ed il mondo, si abbassava dall’alto della gradinata che aveva messo a protezione, e lo ascoltava. “Sarà fatto... Dottore.” La giovane mora scivolò via dalla porta come un’ombra dal vestito verde scuro, portandosi dietro il suo zippo. In lontananza la sentì accenderlo: sospirò e chiuse la porta un po’ più sollevato, spegnendo la sigaretta consumata sulla pila tronfia di quelle già accumulate nel posacenere.
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bluestransfer · 2 years
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Le orecchiette
Fatte a mano, su piani di legno chiamati tavolieri spesso tramandati da generazione in generazione, impastate con acqua e farina, piegate con un colpo secco e condite con il sapore della tradizione. Sono le orecchiette, pasta fresca simbolo della Puglia e delle domeniche pugliesi, quando mamme e nonne ne preparano chili per il pranzo di famiglia, e ognuna di loro ha i suoi segreti, accorgimenti e regole.
Il loro nome deriva dalla somiglianza di questa pasta con delle piccole orecchie ma, in base al modo in cui si realizzano, possono assumere nomi diversi.
Il sapore e la preziosità di questa pasta speciale è indescrivibile: assaporate le orecchiette con il ragù di carne, il ragù di braciole (involtini di carne), o con le cime di rapa. Avrete assaggiato l’eccellenza e il gusto della Puglia più autentica.
#bluestransfer #blustransfertour #weareinsalento
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macabr00blog · 6 months
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otto
Una settimana di cibo avariato
carne, piselli, aglio che si rotola nella culla
e lavare la biancheria dall’altra parte della sponda, sei
dall’altra parte della sponda, le tue vecchie camicie
da cerimonia appese in macchina.
Mi sterilizzano le tue enormi mani
- sciame carnivoro
sono una preda che ha visto lampade spegnersi, non
ci saranno mai seni troppo bianchi,
non ci saranno mai segni troppo viola,
i colori del mio corpo che si allunga come una lacrima
ingrasso come una vacca,
ingrasso come un vitello,
sono una figlia che ha fame. Tutto per
una settimana di cibo avariato,
le tue unghie senza sonno -
apro la dispensa dei dolciumi, per quanto tempo?
Quanto tempo è passato?
Dodici anni lungo lo sterrato, giocavano a
nascondino con i sessi scoperti, derubavano
l’infanzia dalle pietre senza pelli,
ora io attraverso i loro boccheggianti spiriti,
ancora fisso sulla tavola come una carne pregiata.
Papà, sono passati dodici anni
sono ormai avariato.
La conchiglia serrata a gabbia, guardo le mie ossa che si spiegano
si piegano per cedere. Con o senza bicicletta,
rotazioni dei pedali della bilancia, su e giù come una danza
tra un vitello e un toro,
umile la mia danza, da figlio a padre.
E’ buio come una cantina silenziosa
nella notte hanno portato la ciotola dove raccogliere
i pezzi della bambina. I ringraziamenti di una madre
e di alcune telefonate di conforto, ora che sono
in un corpo che consola non ci sono più suoni.
La mia pelle si rimbocca le maniche -
ho gli avambracci scorticati dal terrore -
e la donna che mi ha partorito esita
ed esita
e sussulta
sua figlia è morta, suo figlio si è ammalato,
non sa più cosa chiedere alla vita, svuota
un secchio di caramelle lungo la via, spera in un regno
di formiche volanti che potrà chiamare figli.
Mia madre possiede il mio corpo purpureo -
rimane in un posto che
somiglia alla prossima dipartita, gli spazi tra i giorni che passano
e i giorni che passano sopra di me,
il cielo scuro e il dolore che avviene e si arresta.
Meglio una pelle suicida o uno spirito che ha fame?
Un paesaggio di uccelli gialli migratori,
aprire il cassetto delle meraviglie
-
quattro pastiglie bianche per assestare il corpo
venti mg sulle teorie del vetro tagliato,
lungo, singola magnolia sfiorita,
-
indomabile come un corpo che cade
e un dolore che si assesta.
Sono una bestia che desidera -
curvo nei tavoli di legno deformato,
parlo di architetture di rose dipinte, Gauguin e la sua scimmia
rossa, due tazze e una lattina dalla base che accoglie.
Il mio sangue è rosso come la gola di un macaco
languido come una vecchia storia di erotismi.
Mia madre mi accomuna alla simmetria di distanze,
ha un figlio adolescente
dopo la figlia morta,
mi riconduce al ghiaccio blu dell’ego, io le ripeto che il ghiaccio
non ha colore. La mia è solo assenza
mangiata a metà, io sto costruendo questo maschio
adolescente a base di bocca e ragione,
nel mio appartamento dipingo un erbario che sa
di una vecchia bugia. La mia prima di essere fame, prima di essere
uno stelo
spesso e scuro, è il naturale formarsi
di una bestia che desidera.
Mi si avvicinano gli occhi, mi si incurva
la mandibola sotto il lieve sonno dell’autunno, scivolo
come una sintesi lungo le lenzuola, vino bianco secco
o massive di scarabocchi
o quel sangue che mi ricorda da dove vengo.
Slaccio il primo bottone,
cenere scura, specchio, luna nuova,
disfaccio il suo secondo, terzo, quarto
ultimo pulsante, lui dice: sei una storia che continua
ad iniziare.
Il tempo che non ho, il tempo rimasto,
chiedere la strada di casa, indicazioni di frazioni appannate,
lenti scure degli occhi di mio padre, il nodo scorsoio nella
gola di mia madre. C’è la parola
che diamo a qualcun altro, lui la dà a me con fatica, mani
da sudorazioni lente, e c’è la parola che teniamo per noi stessi,
e a volte le due coincidono. Come cava, come inseguitore, come afflizione,
o come stupro, che è la nostra parola iniziatrice.
Un uccello ad un altro uccello e l’orecchio che esorta,
la sua camicia intorno alle mie spalle, ci sono voci che
ci svegliano al mattino, dice. E ci sono voci che ci tengono svegli
tutta la notte, dico. Il membro defunto
di quello che avrebbe potuto essere la luce, filtrata,
dalla finestra, perché la finestra poteva essere aperta,
avrebbero sentito le ingiunte, le lodi, ciascuno avrebbe assistito
al canto di un passero.
Ma il canto continua ad andarsene, la finestra era chiusa,
mi ha fatto un po’ male, poi è passato, -
la figlia è morta,
dico, la figlia è morta,
ho visto i suoi lembi nella ciotola,
ho separato gli indizi, i ponti, le ali,
dimenticato il sogno di volare, ora solo
cenere che tiene il sapore dei fumi amari
della legna.
I corpi hanno circondato i corpi fin dall’inizio,
il mio è un Dio che brucia nascosto da sempre,
ora la fiamma accende la libertà.
Quindi
bottone dopo bottone, fuoco che accende la schiavitù,
l’amore è una mano che ti tocca in un altro modo,
in un modo che tutti sapranno riconoscere.
Lo tatueremo sulle mani, dove e come, sapranno
come è facile renderci liberi, tempo dopo tempo, restituendoci
lo spazio del volo.
Papà, ho trovato un modo
per formare un petalo di fetori assemblati,
da bistecca a ombra radiosa,
indovinare i gusti dell’amore
carne, piselli e aglio che si rotola nella culla.
Non avrò mai figli, ma avrò un uccello
come un artista circense, un pensatore da appelli confusi e
Stop e Ancora. Nessun immortale, un viaggiatore con un
viaggiatore, amici che abbassano i rumori della notte,
e la sua lingua a metà come quella di una serpe
che parla di doppia provenienza, sentieri scoscesi tra alleati e nemici,
il sogno di un rifugio perché ora dormo con l’immagine
di un cielo
a misura di santuario,
e ho dipinto un erbario
di desideri, perché sono una bestia
e ogni angolo del giorno
si mescola all’odore del suo corpo.
Papà, smettila di tirare ad indovinare:
di tutte le ore ramificate, verdi e ridondanti, ne ho fatto
poltiglia. Ora
io schiocco la lingua e assaporo le sue costole,
conosco con gli occhi più di quanto il mio corpo sappia,
perché la finestra è aperta.
Mi stanno ascoltando tutti.
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nedsecondline · 8 months
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Le spade del Mar Morto | le pagine dei nostri libri
Gli archeologi hanno trovato quattro spade straordinariamente ben conservate, lasciate in una grotta nel deserto della Giudea tra il primo e il terzo secolo d.C., quando la regione era un rifugio per i ribelli ebrei che si opponevano al dominio romano. Il legno e il cuoio di solito si decompongono rapidamente, ma qui sono stati salvaguardati dall’ambiente secco e le spade sono complete di elsa e…
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cinquecolonnemagazine · 10 months
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Patrimonio immateriale Unesco, nuovo traguardo per l'Italia
Nuovo traguardo per l'Italia che ha visto il riconoscimento del canto lirico come patrimonio immateriale dell'Unesco. La proclamazione è avvenuta nel corso della 18esima sessione dell’Intergovernmental Committee for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage, tenutasi nel Botswana nei giorni scorsi. Nella stessa sessione la lista dei riconoscimenti ha coinvolto anche altri Paesi come Messico, Perù, Libano e Cuba. https://twitter.com/UNESCO/status/1732384854606495806?ref_src=twsrctfwtwcamptweetembedtwterm1732384854606495806twgr3ee734e4a310f375e4db8c9f2c07142a99cbc99btwcons1_&ref_url=httpswww.agi.itculturanews2023-12-06unesco-lirica-patrimonio-ceviche-bolero-24318972 Patrimonio immateriale Unesco: nuovo riconoscimento per l'Italia Il canto lirico italiano è diventato patrimonio immateriale dell'Unesco. Il procedimento per ottenere il riconoscimento Unesco era iniziato nel 2019 grazie ad Assolirica. Nell'aprile 2022, poi, l'allora ministro della Cultura, Dario Franceschini, e il sottosegretario Lucia Borgonzoni, avevano presentato la candidatura ufficiale, sostenuta, in seguito, dall'attuale ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. L'intero percorso, non bisogna dimenticarlo, è iniziato ben 12 anni fa, nel 2011, con la creazione dell'associazione "Cantori Professionisti d'Italia" per la difesa e la diffusione del valore della musica e del teatro dell'opera come eccellenza della cultura italiana. Il canto lirico in Italia è un modo di cantare fisiologicamente controllato che esalta la potenza della voce in spazi acustici come anfiteatri e chiese. È associato a specifiche espressioni facciali e gesti del corpo e prevede una combinazione di musica, dramma, recitazione e messa in scena... È un mezzo di libera espressione e di dialogo intergenerazionale e il suo valore culturale è riconosciuto a livello nazionale e internazionaleDalla nota Unesco Si allunga l'elenco dei patrimoni Unesco targati Italia Con il riconoscimento del canto lirico si allunga la lista, già corposa in verità, dei patrimoni immateriali che portano la firma del nostro Paese che conta: - L’Opera dei Pupi Siciliani - Il canto a tenore sardo - Il saper fare del liutario di Cremona - La dieta mediterranea - La festa delle Grandi Macchine a Spalla - La vite ad alberello di Pantelleria - La falconeria - L’arte del “pizzaiuolo” napoletano - L’arte dei muretti a secco - La Perdonanza Celestiniana - L’Alpinismo - La transumanza - L’arte delle perle di vetro - L’arte musicale dei suonatori di corno da caccia - Cerca e cavatura del tartufo Le altre new entry della lista La 18esima Commissione dell'Unesco, conclusasi il 7 dicembre scorso, ha riconosciuto tante altre realtà culturali nel mondo, tra piatti della tradizione, danze e mestieri. Tra i piatti prelibati riconosciuti ci sono il ceviche peruviano e il Man'ouchè libanese. Il primo è un piatto a base di pesce crudo marinato nel limone, il secondo è composto da pasta di pane condita con timo e farcita con formaggio o carne macinata. Riconosciuta anche un'arte transnazionale come la lavorazione a mano del vetro. La candidatura era stata presentata da Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria e Spagna. Altre arti legate a mestieri entrate nell'ambita lista sono la tessitura a motivi Naga tipica del Laos, la tessitura del perizoma della Costa d'Avorio, la costruzione di barche di legno della Martinica. Entrato per la prima volta nella lista anche l'Elechek, il tradizionale copricapo cilindrico indossato dalle donne in Kirghizistan. Le danze riconosciute sono state, infine, il bolero cubano e messicano e la danza Garba dello stato indiano del Gujarat. In copertina foto di TravelCoffeeBook da Pixabay Read the full article
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dettaglihomedecor · 11 months
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Arredare con il velluto, protagonista della nuova stagione invernale
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Il velluto, tessuto morbido e chic, è un evergreen che non passa mai di moda nell'home decor. Divani, poltrone, testiere, cuscini e tende, il velluto entra nelle case in tanti modi diversi ma sempre con grande stile. Da sempre utilizzato nell’arredamento di ambienti di lusso, il velluto è un tessuto ricavato da nobili fibre naturali e disponibile in una ricca scelta di colori e nuance diverse. Esistono velluti di lana, di seta e di cotone, quest’ultimo sicuramente è il più diffuso.
Consigli per arredare con il velluto
Arredare con il velluto, protagonista della nuova stagione autunno-inverno, è sinonimo di stile e ricercatezza ma poiché si tratta di un materiale che non passa certo inosservato, occorre la massima attenzione per non esagerare.
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divano in velluto senape Ideale per essere inserito in ambienti luminosi, il velluto può essere accostato a diversi materiali a seconda dell’effetto desiderato. Abbinato al legno o ai metalli opachi, si otterrà un effetto più sobrio, mentre se accostato al marmo e ai metalli lucidi il risultato sarà indubbiamente più lussuoso ed elegante.Con l’arrivo dell’autunno tutti abbiamo voglia di rinnovare i propri interni, cosa ne dite di aggiungere qualche elemento in velluto?Il velluto è infatti il tessuto perfetto per un restyling autunnale e per aggiungere un tocco glamour agli ambienti, sia nei colori vivaci che nelle tonalità pastello o neutre. Inoltre, nonostante la sua anima vintage, si tratta di un materiale versatile utile per impreziosire ogni ambiente, dal classico al contemporaneo.
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letto in velluto azzurro Le attuali proposte d’arredo in velluto spaziano dai divani ai letti, ma anche poltrone, pouff, sedie e tanti altri complementi come cuscini d’arredo, tende e persino carte da parati o raffinate boiserie per rivestire con classe le pareti di casa. Basteranno pochi elementi in velluto per donare alla stanza un’atmosfera calda e accogliente. Il velluto può essere usato per rivestire le sedie da abbinare al tavolo da pranzoSe volete inserire nel soggiorno un divano rivestito completamente in velluto scuro, il consiglio è di abbinarlo a complementi d'arredo dai colori chiari per non appesantire troppo l'ambiente.
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Pulizia del velluto
Il velluto è un materiale delicato, la cui manutenzione varia a seconda del filato, anche se oggi, grazie alle nuove tecnologie produttive, è diventato più performante di un tempo. Il velluto in seta richiede un lavaggio a secco, al fine di mantenere inalterate le sue caratteristiche di lucentezza e l’effetto cangiante. Per il velluto in lino o cotone basta tamponare con un panno imbevuto d’acqua e asciugare, oppure utilizzare una spazzola, anche contropelo. In ogni caso, prima di procedere con la pulizia del velluto, è opportuno leggere attentamente le istruzioni riportate sull’etichetta che accompagna il tessuto. immagini via Depositphotos Read the full article
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scontomio · 1 year
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e anche a questo Venerdì siamo arrivati. 8-9-7/9-7-8: vento sotto, lago sopra.
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28 大 過 Ta Ko / La Preponderanza del Grande
L'Immagine
Il lago passa oltre le cime degli alberi: L'immagine della preponderanza del grande. Cosi il nobile quando sta solo è spensierato, E quando deve rinunciare al mondo è intrepido.
Gli straordinari tempi della preponderanza del grande sono come una inondazione in cui il lago oltrepassa gli alberi. Ma degli stati simili passano. Nei singoli segni è dato il giusto atteggiamento in tali tempi eccezionali: l'immagine di Sunn è l'albero che sta saldo anche se è solitario, e la qualità di Tui è la serenità che rimane intrepida anche quando deve rinunciare al mondo.
due linee mutanti
Nove al secondo posto significa: Un albero di pioppo secco getta, un germoglio di radice. Un uomo anziano ottiene una moglie giovane. Tutto è propizio.
Il legno sta accanto all'acqua, da ciò l'immagine di un vecchio pioppo che getta un germoglio di radice. Questo è uno straordinario rivivere del processo di crescita. La medesima straordinaria situazione risulta quando un uomo anziano ottiene in moglie una giovane fanciulla adatta per lui. E nonostante la straordinarietà della situazione tutto va bene. Dal punto di vista politico il senso è che in tempi straordinari è propizio attenersi al basso, giacchè lì si trova la possibilità di un rinnovamento.
Nove al quarto posto significa: La trave maestra viene sostenuta. Salute.
Curando amichevoli relazioni con gli inferiori l'uomo responsabile riesce a padroneggiare la situazione. Ma se egli volesse abusare delle sue relazioni per ottenere potenza e successo per sè personalmente, invece di preoccuparsi soltanto di salvare l'intero, ciò sarebbe vergognoso.
esagramma finale
39 蹇 Kienn / L'Impedimento
L'Immagine
Sul monte sta l'acqua: L'immagine dell'impedimento. Così il nobile si volge verso la propria persona E coltiva il suo carattere.
Difficoltà ed impedimenti fanno ripiegare l'uomo su se stesso. Mentre però l'ignobile ricerca la colpa fuori, presso gli altri uomini, ed accusa il destino, il nobile cerca gli errori in se stesso ravvedendosi, e perciò l'impedimento esteriore diventa per lui uno stimolo per arricchirsi e coltivarsi interiormente.
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Mollai gli studi, ma rimasi a lavorare da Pop Sullivan per rimborsarlo e fu più o meno allora che mi accorsi che il tempo era passato troppo in fretta. Non avevo più acceso la radio in tutti quegli anni e ormai non ci riuscivo più. Decisi che lavorare per Pop non era così male, prima o poi avrei dovuto mettere mio padre in un ospizio e mi sarebbero serviti i soldi. Tornavo a casa sul mio maggiolino cantando Chicago, Chicago, that toddlin’ town... e lì mi accorsi che non ricordavo più le parole. [La mia salvezza] _______________ Dopo arriva la lunga attesa – non è né giorno né notte, ma giorno e notte s’accavallano finché tutto è tempo, attesa. Poi niente più ricordi, solo anni avanti e indietro sui tir – anni col rombo dei pistoni, a sferragliare per le strade, aspettando di estrarre un unico giorno. Per quell’unico giorno, lui sta tornando. [Legno secco]
Breece D'J Pancake, Trilobiti
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Astici alla Newbourg allo sherry
Astici alla Newbourg allo sherry
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Gli astici alla Newburgh sono un piatto pregiato a base di crostacei, salsa e brandy o sherry, che richiede un vino bianco strutturato o un vino rosso leggero con un buon equilibrio tra acidità e corpo.
Ingredienti per quattro persone
due astici di un chilo e mezzo circa complessivamente,
un etto di burro,
due tuorli,
tre decilitri e mezzo di panna liquida,
mezzo litro scarso di Sherry,
tre cucchiai di olio,
un pizzico di paprica,
sale,
pepe
Per la preparazione del fumetto di pesce
quattro etti di spine e ritagli di pesce,
un pezzetto di cipolla,
una manciatina di prezzemolo,
vino bianco secco,
sale,
pepe in grani.
Tempo necessario
circa due ore e mezzo.
Difficoltà: alta
Preparazione
Preparare prima il fumetto di pesce: mettere in una casseruola le spine pestate o tritate e i ritagli di pesce, unire la cipolla affettata e il prezzemolo, versare due decilitri circa di vino e tre decilitri d’acqua, salare, pepare e far prendere l’ebollizione. Cuocere per una mezz’ora, quindi filtrare il fumetto al passino fine (ne occorreranno circa tre decilitri e mezzo).
Intanto spazzolare gli astici per togliere ogni traccia di terra, sabbia o alghe e lavarli a lungo in acqua corrente.
Staccare con le mani la coda dal torace e tagliare, raso al corpo, le zampette e le chele; tagliare le code in tronchetti eliminando le estremità, spaccare le teste in due ed eliminare il sacchetto della sabbia. Conservare gli intestini (sostanza cremosa grigio verde).
Scaldare venti grammi di burro e l’olio in un tegame, mettervi i tronchetti di astice, condirli con sale, pepe e paprica e cuocerli per dodici minuti a calore vivo, rivoltandoli.
Eliminare buona parte del grasso di cottura, bagnare con lo Sherry, far ridurre di due terzi a fuoco vivo, aggiungere il fumetto di pesce e continuare la cottura, a calore dolce, per una ventina di minuti.
Sgocciolare i tronchetti di astice su un piatto, far ridurre il fondo di cottura a due decilitri circa, incorporarvi i tuorli battuti a parte con la panna e far bollire dolcemente, mescolando con un cucchiaio di legno.
Appena la salsa tende ad aderire al cucchiaio unire gli intestini degli astici impastati con il rimanente burro morbido, passare la salsa al setaccio di crine, mescolare rapidamente sul fuoco, versarla sui pezzi di crostaceo e portare subito in tavola, con un contorno di riso.
Abbinamento Vini
Ecco alcuni suggerimenti per l’abbinamento vino con gli astici alla Newburgh:
Chardonnay: questo vino bianco strutturato ha un sapore morbido e burroso che si abbina bene con la cremosità della salsa e la delicatezza degli astici.
Riesling: questo vino bianco aromatico ha un sapore fruttato e fresco che si abbina bene con la sapidità degli astici e la complessità della salsa.
Sauvignon Blanc: questo vino bianco fresco e leggero ha una buona acidità che si abbina bene con la salsa e la delicatezza degli astici.
Pinot Noir: questo vino rosso leggero ha una buona acidità e un sapore delicato che si abbina bene con la complessità della salsa e la delicata dolcezza degli astici.
Champagne: questo vino spumante ha un sapore secco e fresco che si abbina bene con la cremosità della salsa e la delicatezza degli astici.
Si possono accompagnare anche con un Bianco o Tocai del Collio o Vernaccia di San Gimignano o Corvo Bianco di Casteldaccia.
In generale, l’abbinamento vino e astici alla Newburgh si basa sull’equilibrio tra la delicatezza dei crostacei e la complessità della salsa. Scegliere un vino con un buon equilibrio tra acidità e corpo può aiutare a bilanciare i sapori e creare un abbinamento armonioso.
Le Cozze alla marinara con quale vino possiamo gustarle?
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mantruffles · 1 year
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Astici alla Newbourg allo sherry
Astici alla Newbourg allo sherry
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Gli astici alla Newburgh sono un piatto pregiato a base di crostacei, salsa e brandy o sherry, che richiede un vino bianco strutturato o un vino rosso leggero con un buon equilibrio tra acidità e corpo.
Ingredienti per quattro persone
due astici di un chilo e mezzo circa complessivamente,
un etto di burro,
due tuorli,
tre decilitri e mezzo di panna liquida,
mezzo litro scarso di Sherry,
tre cucchiai di olio,
un pizzico di paprica,
sale,
pepe
Per la preparazione del fumetto di pesce
quattro etti di spine e ritagli di pesce,
un pezzetto di cipolla,
una manciatina di prezzemolo,
vino bianco secco,
sale,
pepe in grani.
Tempo necessario
circa due ore e mezzo.
Difficoltà: alta
Preparazione
Preparare prima il fumetto di pesce: mettere in una casseruola le spine pestate o tritate e i ritagli di pesce, unire la cipolla affettata e il prezzemolo, versare due decilitri circa di vino e tre decilitri d’acqua, salare, pepare e far prendere l’ebollizione. Cuocere per una mezz’ora, quindi filtrare il fumetto al passino fine (ne occorreranno circa tre decilitri e mezzo).
Intanto spazzolare gli astici per togliere ogni traccia di terra, sabbia o alghe e lavarli a lungo in acqua corrente.
Staccare con le mani la coda dal torace e tagliare, raso al corpo, le zampette e le chele; tagliare le code in tronchetti eliminando le estremità, spaccare le teste in due ed eliminare il sacchetto della sabbia. Conservare gli intestini (sostanza cremosa grigio verde).
Scaldare venti grammi di burro e l’olio in un tegame, mettervi i tronchetti di astice, condirli con sale, pepe e paprica e cuocerli per dodici minuti a calore vivo, rivoltandoli.
Eliminare buona parte del grasso di cottura, bagnare con lo Sherry, far ridurre di due terzi a fuoco vivo, aggiungere il fumetto di pesce e continuare la cottura, a calore dolce, per una ventina di minuti.
Sgocciolare i tronchetti di astice su un piatto, far ridurre il fondo di cottura a due decilitri circa, incorporarvi i tuorli battuti a parte con la panna e far bollire dolcemente, mescolando con un cucchiaio di legno.
Appena la salsa tende ad aderire al cucchiaio unire gli intestini degli astici impastati con il rimanente burro morbido, passare la salsa al setaccio di crine, mescolare rapidamente sul fuoco, versarla sui pezzi di crostaceo e portare subito in tavola, con un contorno di riso.
Abbinamento Vini
Ecco alcuni suggerimenti per l’abbinamento vino con gli astici alla Newburgh:
Chardonnay: questo vino bianco strutturato ha un sapore morbido e burroso che si abbina bene con la cremosità della salsa e la delicatezza degli astici.
Riesling: questo vino bianco aromatico ha un sapore fruttato e fresco che si abbina bene con la sapidità degli astici e la complessità della salsa.
Sauvignon Blanc: questo vino bianco fresco e leggero ha una buona acidità che si abbina bene con la salsa e la delicatezza degli astici.
Pinot Noir: questo vino rosso leggero ha una buona acidità e un sapore delicato che si abbina bene con la complessità della salsa e la delicata dolcezza degli astici.
Champagne: questo vino spumante ha un sapore secco e fresco che si abbina bene con la cremosità della salsa e la delicatezza degli astici.
Si possono accompagnare anche con un Bianco o Tocai del Collio o Vernaccia di San Gimignano o Corvo Bianco di Casteldaccia.
In generale, l’abbinamento vino e astici alla Newburgh si basa sull’equilibrio tra la delicatezza dei crostacei e la complessità della salsa. Scegliere un vino con un buon equilibrio tra acidità e corpo può aiutare a bilanciare i sapori e creare un abbinamento armonioso.
Le Cozze alla marinara con quale vino possiamo gustarle?
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