#le radici della canzone popolare
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ANIMANTIGA
(oghje e dumane)
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Il destino, il destino pirata di cui canta Roberta Alloisio nel brano che apre e intitola questo Animantiga, davvero a volte si diverte a sparigliare le carte con ferocia.
Queste canzoni sono state fissate trentasei ore prima che Roberta, una delle grandi voci di donna del Mediterraneo, se ne andasse all'improvviso nel marzo del 2017. Lasciando un vuoto che assomiglia a una voragine, nella musica d’autore genovese che sa rivendicare, anche, le ragioni delle note tradizionali. Portare a termine questo progetto che mette in dialogo Genova e quell’Isola scontrosa e gentile assieme che da Genova si riesce a intravvedere, quando l’aria è limpida, la Corsica, è stata al contempo, per un pugno di persone coinvolte, una fatica, una gioia liberatrice, un’esperienza traumatica e entusiasmante assieme, come abbiamo raccolto dalle stesse parole dei protagonisti.
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#Roberta Alloisio#musica di Genova#musica#canzoni italiane#musica popolare#le radici della canzone popolare#Youtube
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Storia Di Musica #344 - The Pogues, Poguetry In Motion, 1986
Nel 1976 la rivista Sounds (che era una delle tre meravigliose riviste musicali inglesi, con il Melody Maker e il New Musical Express, e dalle cui ceneri nascerà Kerrang!) onora il cantante della band di oggi con un titolo, Face Of The Year, a quel viso grottesco, sdentato, che nascondeva un genio tanto bizzarro quanto straordinario. Shane MacGowan è un irlandese nato nel Kent, nel 1957, ed è un giovane punk scorbutico e ribelle quando fonda, a 19 anni nel 1976, la sua prima band: i Nipple Erectors, con due suoi amici, Shane Bradley e Adrian Thrills (che guarda caso farà più tardi il giornalista per il NME). Visto il nome (e questa sua verve creativa lo avrà anche per il gruppo che lo farà diventare un personaggio), lo abbreviano in Nips, il trio incide un paio di singolo e un disco, Only At The End Of The Beginning (1980) che non si ricorda nessuno. La band si scioglie, ma lui è deciso a continuare. Abbandona la ferocia del rock punk e si dedica ad una riscoperta del folk, del rockabilly, del country, a cui però non disdegna di arricchire caustici testi. Nel 1983 forma una nuova band, che all'inizio suona in piccoli pub o come buskers band nelle strade principali. Dopo un po' di fiducia, decidono di provarci professionalmente: MacGowan alla voce, Jem Finer al banjo e altri strumenti a corda, Spider Stacey al tin whistle, il flauto irlandese, Andrew Ranken alla batteria e James Fearnley, polistrumentista. Per mantenere quella verve di cui sopra, chiama il gruppo in gaelico irlandese, Pogue Ma Hone, e con questo nome pubblicano un singolo nel 1984, The Dark Streets Of London / The Band Played Waltzing Mathilda, lanciato su scala nazionale. Ma lo scandalo avviene quando si scopre che quel nome vuol dire "Baciami Il Culo", tanto che si vira meno maliziosamente su The Pogues. Si aggiunge la bassista Rocky "Cait" O'Riordan, e con questa formazione pubblicano il primo disco, Red Roses For Me (1984), che è una versione graffiante e velenosa della musica popolare irlandese e scozzese. La critica più ortodossa ne è sconvolta (famoso il commento di un critico "sembrano un branco di ubriachi di un pub irlandese lasciati liberi in studio") ma quel suono grezzo, ma che ha radici antichi, la voce impastata e le immagini sognanti di MacGowan iniziano ad avere successo. Se ne accorge Elvis Costello, che chiamato prima come produttore per un singolo, si accorge che la band da il meglio di sè senza nessuna "sovraproduzione" e si convince a produrre il primo, storico album dei Pogues: il titolo Rum Sodomy & The Lesh (del 1985, frase che è attribuita a Winston Churchill in ricordo della sua esperienza nella Marina) fu scelto da Andrew Ranken "come il riassunto della nostra vita come band". In copertina La Zattera della Medusa di Theodore Géricault, con il fotomontaggio dei volti dei nostri sulla zattera. Il disco è un successo, il gruppo diventa un caso mediatico e la loro fama di personaggi bizzarri ai cui concerti può succedere di tutto inizia a spandersi ovunque. Costello è ancora con loro in Studio per un nuovo disco, e iniziano a scrivere molte cose. In queste sessioni nasce l'Ep di oggi, che doveva essere l'embrione del disco futuro ma successivi disguidi e screzi tra band e produttore lasciarono questi brani (e un altro, in seguito leggendario) pubblicati come EP.
Poguetry In Motion è un Ep di 4 brani, quattro gioielli Pogues che racchiudono la loro anima gioiosa e decadente, tra melanconia e sprazzi di euforia. London Girl è un rockabilly frizzante, ma sono gli altri tre brani davvero notevoli: Body Of An American è diventata famosa ultimamente per la presenza, quasi fissa, nella serie Tv The Wire della canzone durante i funerali dei poliziotti. Tra l'altro è storica una interpretazione di questo brano durante un Saturday Night Live del 1990, giorno di San Patrizio: MacGowan, visibilmente alticcio, con una sigaretta tra le labbra ne canta una versione strascicata e assurda. Planxty Noel Hill è "dedicata" al cantante di folk irlandese Noel Hill, che fu uno dei più critici contro il loro "celtic folk rock", definendolo una sorta di aborto della musica tradizionale. Ma la canzone più famosa, e in seguito loro classico, è Rainy Night In Soho: deliziosa, dolente e ideal-tipo delle loro future ballate dolorose, fu pubblicata in due versioni, una con un intermezzo di oboe e l'altra di tromba, più famosa.
In quelle sessioni con Costello, si registrò anche un altro brano, il più famoso dei Pogues: Fairytale Of New York fu registrata con O'Riodan come seconda voce, ma fu riscritta e re-registrata molte volte fino alla versione definitiva con Kirsty MacColl che appare nel loro disco successivo, If I Should Fall From Grace With God, che li consacra al successo internazionale. Un personaggio e una band che hanno lasciato un piccolo ma profondo segno, come dimostra il collettivo affetto che la morte precoce di MacGowan, nel Novembre del 2023, ha suscitato in tutto il mondo della musica.
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E ti vengo a cercare
Anche solo per vederti o parlare
Perché ho bisogno della tua presenza
Per capire meglio la mia essenza
Questo sentimento popolare
Nasce da meccaniche divine
Un rapimento mistico e sensuale
Mi imprigiona a te
Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri
Non accontentarmi di piccole gioie quotidiane
Fare come un eremita
Che rinuncia a sé
E ti vengo a cercare
Con la scusa di doverti parlare
Perché mi piace ciò che pensi e che dici
Perché in te vedo le mie radici
Questo secolo oramai alla fine
Saturo di parassiti senza dignità
Mi spinge solo ad essere migliore
Con più volontà
Emanciparmi dall'incubo delle passioni
Cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male
Essere un'immagine divina
Di questa realtà
E ti vengo a cercare
Perché sto bene con te
Perché ho bisogno della tua presenza
Questa è chiaramente la canzone di Michela e Alberto. Ma attendo il parere dell'esperta in materia @akachankami
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La musica italiana degli anni '20: l'era del jazz e degli anni ruggenti
Gli anni '20, noti anche come "Anni Ruggenti" o "Années Folles", sono stati un periodo di grande cambiamento culturale e sociale in tutto il mondo. In Italia, questo decennio ha visto l'ascesa di nuovi stili musicali, una fervente vita notturna e una rinascita culturale dopo la Prima Guerra Mondiale. Ecco un'immersione nella musica italiana degli anni '20 e nel suo impatto sulla società dell'epoca. Musica italiana degli anni '20 tra Jazz e Danza Gli anni '20 hanno portato l'ascesa del jazz, un genere musicale che ha catturato l'immaginazione di molte persone in tutto il mondo, compresa l'Italia. Questo stile musicale, originario degli Stati Uniti, è diventato popolare in Italia grazie ai numerosi musicisti e bandleader che si sono esibiti nelle città italiane. Il jazz ha portato un nuovo ritmo e uno spirito di innovazione alla scena musicale italiana. Le danze scatenate come il charleston e il fox-trot sono diventate molto popolari tra i giovani italiani degli anni '20. Questi balli erano spesso accompagnati da orchestre jazz in locali notturni, club e feste private. La musica jazz ha offerto un'opportunità di espressione creativa e un'alternativa alle tradizionali forme musicali italiane. La Canzone Napoletana e il Ritorno alla Tradizione Nonostante l'influenza del jazz, la musica italiana degli anni '20 non ha completamente abbandonato le sue radici tradizionali. La canzone napoletana, ad esempio, ha continuato a essere amata e apprezzata. Artisti come Enrico Caruso e Tito Schipa hanno continuato a portare avanti la tradizione operistica e melodica italiana, guadagnando fama internazionale. Il Teatro Musicale e l'Operetta Gli anni '20 hanno anche visto una rinascita del teatro musicale e dell'operetta in Italia. Artisti di grande calibro hanno contribuito a rinnovare il genere dell'operetta italiana, portando spettacoli divertenti e musicali sui palcoscenici di tutto il paese. Questi spettacoli offrivano una fuga dalla realtà e la possibilità di godersi la bellezza della musica e del teatro. L'Impatto Sociale e Culturale La musica italiana degli anni '20 ha avuto un impatto significativo sulla società dell'epoca. La musica e la danza sono diventate parte integrante della vita notturna e della cultura giovanile. Gli artisti musicali, i ballerini e i musicisti sono diventati figure di spicco, simboli di un'epoca di cambiamento e innovazione. Foto di Bob McEvoy da Pixabay Read the full article
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Musica da bere 2023 a Santa Maria Maggiore
Torna dal 7 luglio, a Santa Maria Maggiore, Musica da Bere, una serie di originali concerti selezionati dal direttore artistico Roberto Bassa. La rassegna anche quest'anno sarà caratterizzata da una programmazione che alterna appuntamenti di musica classica con concerti di musica popolare, come uno spettacolo di teatro-canzone ispirato a Fabrizio De Andrè ed un concerto di opere sacre nella Chiesa di Buttogno. L'inaugurazione è per venerdì 7 luglio alle ore 21 nel Parco di Villa Antonia, con il concerto Intimità musicali del Duo Guelaguetza. Ylenia Piola e Fabrizio Spadea per un viaggio tra le sonorità jazz e latin, senza dimenticare le loro radici italiane. Il secondo appuntamento, alle 17.45 di sabato 22 luglio, sarà nella Sala della Musica del Teatro Comunale con il dialogo musicale Attorno alla Rapsodia in blue del duo pianistico formato da Angela Villa e Lilly Wunsch che, oltre a pagine tipiche del repertorio classico, vede la spettacolare versione originale della Blue Rhapsody di George Gershwin. Venerdì 28 luglio alle 21 il Parco di Villa Antonia ospiterà E vienimi a cercare – De André canta di Dio, di vita e di amore, lo spettacolo ispirato all’album La buona novella di Fabrizio de Andrè, in versione originale. I brani musicali, rivisitati, adattati ed interpretati da Sergio Salvi, si intercalano a riflessioni e monologhi inediti della voce narrante di Silvana Mossano. Musica da bere proseguirà venerdì 4 agosto alle 21 presso l’Oratorio di Crana con il celebre Quintetto a Plettro Giuseppe Anedda, una delle migliori formazioni a pizzico del panorama internazionale, con Emanuele Buzi e Norberto Gonçalves da Cruz al mandolino, Vladimiro Buzi alla mandola, Andrea Pace alla chitarra ed Emiliano Piccolini al contrabbasso. Il penultimo appuntamento è venerdì 11 agosto alle 21 nel Parco di Villa Antonia con The Piper's night, lo spettacolo dei Birkin tree – Fabio Rinaudo Trio, formato da Fabio Rinaudo alle cornamuse, Laura Torterolo, voce e chitarra, e da Luca Rapazzini al violino. Grazie a brevi racconti e a brani musicali legati alla tradizione nord italiana, francese e irlandese, l'appuntamento ha lo scopo di presentare la cornamusa raccontandone il percorso, lungo duemila anni, nella storia della musica. Musica da Bere 2023 termina sabato 12 agosto, alle 17.45 nella Chiesa di Buttogno, con un concerto che propone alcune opere sacre di Wolfgang Amadeus Mozart ed Antonio Vivaldi interpretate dal Colloredo Ensemble con, oltre al soprano Stefania Nevosi, al mezzosoprano Angela Verallo, al tenore Luciano Grassi e al basso Fulvio Peletti, i violini di Valentina Ghirardani e Gianrico Agresta, Dario Bevacqua alla viola, Teresa Majno al violoncello e Nicolò Gattoni all'organo. Read the full article
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Valerio Lysander - “Facile”
L’artista vincitore del Premio Apulia Voice 2022 torna con un nuovo singolo sui principali stores digitali e nelle radio
Valerio Lysander, il talentuoso artista vincitore del Premio Apulia Voice del 2022 e finalista di Musicultura 2022 torna nella discografia italiana con il un nuovo singolo dal titolo “Facile”, prodotto in collaborazione col sostegno del primo premio vinto e ricevuto dalla famosa kermesse giunta ormai alla sesta edizione. Fuori su tutti gli stores digitali e in promozione su tutte le radio.
Quando due anime affini si incontrano e connettono, nel gioco della vita fatto di obblighi e verità, gli obblighi diventano piaceri e le verità diventano il modo per guardare negli occhi dell’altro per accogliere ed essere accolti totalmente. Specialmente in tempi come questi, in cui la distanza, sociale ed emozionale, ci rende bisognosi di essere visti e tenuti stretti, e in cui le connessioni profonde e trasparenti sono oro, quelle che ti mettono il sorriso sul viso e nel cuore. Questo è quello di cui parla “Facile”, una canzone che racconta di un amore che ti entra dentro come un respiro, semplicemente, per restare. Un amore che parte da Roma cresce su un filo, in equilibrio precario, e abbraccia le distanze come opportunità di crescita, per arrivare a una felicità fatta di scelte e condivisioni.
Scritta, arrangiata e prodotta tra Roma, Londra e Venezia, la canzone contiene tutte le diverse anime di Valerio Lysander. Con la sofisticata melodia tipica del cantautorato inglese e americano, gli arrangiamenti orchestrali reminiscenti della musica classica, e i piccoli tocchi di musica elettronica che strizzano l’occhio alle produzioni oniriche dei Sigur Ros e Sufjan Stevens, la voce di Valerio parla in toni sinceri della dolcezza e la difficoltà di donarsi a un’altra persona, fatta di insicurezze ma anche di sorrisi caldi, e della voglia di stare insieme anche in circostanze più complicate.
L’artista
Con la musica da sempre nelle orecchie, la gola e la pelle, Valerio Lysander muove i suoi primi passi nella musica a Roma, ma ben presto decide di portare le sue canzoni chamber pop a orecchie internazionali, andando a vivere a Londra nel 2013. Nella capitale britannica affina la sua arte e pubblica lì il suo primo EP, con il quale comincerà a farsi ascoltare in Inghilterra e non solo. Da Londra pubblica altri due album, in cui sono chiare le influenze della musica pop e folk inglese e americana, ma anche della canzone popolare italiana e della musica classica, e parla del mondo e della psicologia umana in modo profondo, onesto e ottimista, ma anche con leggerezza e semplicità. Partendo da Londra, Valerio ha suonato in tutta Europa, con concerti a Parigi, Berlino, Edimburgo, Oslo, e altre importanti città europee, esibendosi anche sui palchi principali del Gay Pride di Londra, a Trafalgar Square di fronte a più di diecimila persone, e Manchester, sullo stesso palco di Mel C e Clean Bandit, e portando molte delle sue canzoni su radio nazionali, inclusa la BBC.
Con ascoltatori in tutto il mondo, Valerio ritorna in Italia nel 2021, dove è finalista di Musicultura 2022, Roma Music Festival 2021 e vincitore del premio Apulia Voice 2022, ma mantiene le sue radici londinesi, diventando finalista di Pride’s Got Talent nello stesso anno ed esibendosi di nuovo al Gay Pride di Londra. Tra il 2021 e il 2022 è anche vincitore del Premio Apulia Voice, semifinalista del Premio Lunezia e Music For Change e finalista del Roma Music Festival. Ora risiede a Milano, dove sta registrando il suo nuovo album, anticipato dal singolo “Sandali” canzone finalista di Musicultura.
Website: https://www.valeriolysander.com/
Spotify: https://open.spotify.com/artist/5pFepsdPq7GS7gpzm7l745
Facebook: http://www.facebook.com/ValerioLysander
Instagram: https://www.instagram.com/valeriolys/
YouTube: http://www.youtube.com/valeriolysander
Twitter: https://twitter.com/valeriolys
Soundcloud: http://soundcloud.com/valeriolysander
Press Kit:
https://drive.google.com/file/d/1_zTrq7VCriNaxZul2I4WoGSmO321GKup/view
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Spirit de Milan, gli appuntamenti della settimana
Spirit de Milan, gli appuntamenti della settimana In attesa di MILANO HAPPY JAZZ FEST, il primo festival in Italia dedicato alle origini del jazz previsto dal 15 al 18 settembre, SPIRIT DE MILAN (via Bovisasca, 59, Milano) propone anche questa settimana nuovi appuntamenti all’insegna della musica dal vivo, della buona cucina, del sano divertimento e, finalmente, del ballo! Milano Happy Jazz Fest – realizzato grazie al sostegno del Comune di Milano nell’ambito del palinsesto culturale cittadino “Milano è Viva nei Quartieri”, progetto che mette al centro le diverse zone della città e porta su tutto il territorio la cultura e lo spettacolo dal vivo, grazie ai fondi del Ministero della Cultura – vedrà più di 90 tra i migliori musicisti provenienti da ogni parte del mondo alternarsi sui palchi allestiti all’interno dello Spirit de Milan. Previsti anche concerti itineranti anche per le strade di Affori, Bovisa e Dergano. Per tutte le info sul programma dei quattro giorni VAI AL SITO oppure CLICCA QUI. Intanto, il locale meneghino dal gusto vintage quest’estate non si ferma e continua a proporre i suoi appuntamenti per gli amanti della musica dal vivo swing, jazz, blues… e non solo! Questi gli appuntamenti della settimana: Martedì 6 settembre ritorna con la sua formazione tradizionale “CA.BAR.ET BOH.VISA. MILANO 5.0 – Musica e cabaret fuori dagli schermi”. Protagonisti come sempre i Milano 5.0 Rafael Didoni, Folco Orselli, Germano Lanzoni, Walter Leonardi e Flavio Pirini, che allo Spirit de Milan hanno trovato casa e voglia di fare squadra mescolando risate e malinconie, nonsense e profondità. Il cabaret va in onda anche sullo SpiritoPhono tutti i martedì alle 19:30. Mercoledì 7 settembre il concerto di Mefisto Brass, street band che si inserisce nella scena milanese e che in breve tempo ha cominciato a farsi conoscere in tutta Italia grazie anche ad un’intensa attività di busking e performance di strada fino ad esibizioni presso locali, sale da concerto, e festival. Giovedì 8 settembre “Barbera & Champagne” con i Ciaparatt, giovane trio musicale che propone dal vivo un raffinato repertorio della canzone popolare milanese rivisitando in questo stile famose canzoni del genere, da Gaber a Jannacci, Cochi e Renato e Dario Fo. Venerdì 9 settembre serata “Bandiera Gialla” con i Re-Beat, band di giovani musicisti che ripercorrerà la beat generation, passando da Gianni Morandi a Caterina Caselli fino all’indimenticabile surf dei Beach Boys e alle colonne sonore di Pulp Fiction e Pretty Woman (ingresso a pagamento). A seguire Dj Set con Dj MasoKing. Sabato 10 settembre “Holy swing night” (con la direzione artistica di Mauro Porro) con i Magpie Swing Quintet, che ripropongono, con un gusto interpretativo sempre fedele al sapore originario, i brani swing degli anni ’30/’40 con l’intento di farne rivivere la bellezza, ricreando l’atmosfera di quegli anni: delicatezza, eleganza e un po’ di malizia ma anche ironia e allegria su ritmi travolgenti (ingresso a pagamento). A seguire Swing Dj Set con Swingin’ Simon. Domenica 11 settembre il concerto di G & The Doctor, artisti consolidati e stimati tra i professionisti della scena musicale italiana che, contro ogni tendenza, partendo dalle radici del blues, lasciano contaminare il proprio percorso con altre sonorità, talvolta anche più moderne, di matrice black tra jazz di inizio secolo, gospel, soul e funk degli anni 60 e 70. L’atmosfera vintage tipica dello Spirit De Milan è custodita nei suoi 1500 mq: lo Spirit de Milan non è solo musica dal vivo, risate e divertimento, ma anche buona cucina (tutto, ovviamente, nel rispetto delle norme di sicurezza)! Lo Spirit de Milan è aperto dal martedì alla domenica dalle 19:30 alle 01:00 (il venerdì e il sabato fino alle 02:30). Per cenare alla “Fabbrica de la Sgagnosa”, è fortemente consigliata la prenotazione utilizzando il form online. CLICCA QUI PER PRENOTARE Informazioni e prenotazioni: [email protected] Una volta arrivati nella zona ristorante bisognerà aspettare che La Mariuccia o L’Ambroes vengano ad accogliervi e ad accompagnarvi al tavolo prenotato. Il menù, ovviamente, comprende i piatti della tradizione milanese: cose semplici come quelle della nonna, cucinate con amore e con ingredienti selezionati. Spirit de Milan è anche un’associazione di promozione sociale; la tessera annuale non obbligatoria (valida fino al 31 dicembre) prevede un contributo di 15 euro e consente di avere riduzioni sulle serate a pagamento, oltre a dare la possibilità di partecipare ad eventi organizzati ad hoc per i soci e a sostenere le attività della web radio di Spirit, lo Spiritophono. Il progetto SPIRIT DE MILAN è un’idea di KLAXON srl, società nata nel 2000 come studio di progettazione che opera nel campo dell’exhibition design e ideatrice del festival SWING’N’MILAN. Tra i suoi obiettivi principali c’è quello di creare eventi tematici che coinvolgano i partecipanti a 360°.... Read the full article
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I have a feeling, we’re not in Kansas anymore - pt. 1.5
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Volevo scrivere della svolta culturale del discorso politico. Sarà per un altro post, perchè mi sono accorto di avere sfiorato un tema importante che merita più approfondimento.
Marginale alla perdita di fiducia nella classe politica, abbiamo la perdita di fiducia nella classe tecnica, aka “i professoroni”.
Si tratta sempre di un processo di identificazione e contrapposizione come quello tra “popolo” e “casta”, venato da anti-intellettualismo ed esaltazione dell’“ignoranza” come valore, o quantomeno non-disvalore.
Non si può negare che l’attuale contesto storico, sociale ed economico sia complesso, sfaccettato e difficile da navigare a vista e con strumenti rudimentali quali sono quelli offerti da un’istruzione elementare. Quello a cui assistiamo ora è un rifiuto dell’analisi elaborata e profonda in favore di slogan semplici e rudimentali. Qualsiasi discorso intellettuale è percepito come “non popolare” ed alieno al sentire comune. Non solo, ma gli “intellettuali” capaci di tale tipo di analisi non sono semplicemente ignorati ma attivamente contrastati nel discorso pubblico.
Negli anni ‘80 Asimov parlava del “culto dell’ignoranza” sottolineando come l’anti intellettualismo inquinasse il discorso politico e culturale, alimentando e alimentato dalla falsa credenza che la democrazia significasse “equivalenza tra la mia ignoranza e la tua conoscenza” (“the strain of anti-intellectualism has been a constant thread winding its way through our political and cultural life, nurtured by the false notion that democracy means that 'my ignorance is just as good as your knowledge”). Già in un articolo degli anni ‘50 sempre Asimov identifica il problema dell’anti intellettualismo imperante nella cultura pop dell’epoca (” glasses are not literally glasses. They are merely a symbol, a symbol of intelligence. The audience is taught two things: (a) Evidence of extensive education is a social hindrance and causes un- happiness; (b) Formal education is un- necessary, can be minimized at will, and the resulting limited intellectual development leads to happines”).
Per quanto riguarda l’Italia non penso il problema vada così indietro nel tempo - nonostante anche noi vantiamo esempi illustri di anti-intellettualismo pop: si veda p.es. la canzone del 1948 poi ripresa da Arbore “la classe degli asini”- ma ritengo che le radici dell’attuale situazione siano più recenti.
Penso piuttosto a tutti quei fenomeni mediatici virtuali volti all’esaltazione dell’”Ignoranza” come valore positivo e al recupero nostalgico di tutta una serie di fenomeni culturali dei decenni ‘80 e ‘90 ma anche primi 2000, ovvero l’epoca d’oro della tv spazzatura (pagine come chiamarsi bomber, nasce cresce ignora, sesso droga pastorizia etc ). Il vero italiano è ignorante, e se ne frega del discorso profondo. Non a caso altri autori hanno tracciato paralleli tra questo tipo di pagine facebook e l’alt-right americana
Nel panorama attuale la contrapposizione è quella che con termini inglesi identificherei con “street smart vs. book smart”, ovvero da un lato le persone che hanno studiato alla scuola della vita e all’università della strada - e di ciò spesso ne fanno un vanto - e dall’altra una percepita elite culturale composta da chiunque eviti di appiattire il livello dell’analisi di problemi complessi a soluzioni semplici. I professoroni, appunto.
Questo è il motivo per cui un Conte, un Savona, pur essendo tecnici e quindi elite culturale non vengono percepiti come tali: perchè vengono narrati e si narrano come parte della gente comune, e le loro analisi sostengono la narrativa di cui il “popolo” si nutre e il loro nemico è lo stesso nemico del “popolo”: I tecnocrati europeisti, Bruxelles, le aziende farmaceutiche che rendono i nostri bambini autistici e chi più ne ha, più ne metta.
Quello a cui assistiamo ora è un politicizzarsi dell’ignoranza da un lato (qualcuno ha detto antivaccinisti?) e il rifiuto di accettare l’autorità “scientifica” dall’altro. Si realizza ciò che Asimov chiamò “false notion of demoracy”. Sopratutto grazie ad internet, che amplifica l’illusione della conoscenza, al giorno d’oggi con un’eccezionale dimostrazione dell’effetto Dunning-Krueger ogni persona con un’opinione si sente titolata a dibattere ad armi pari contro chiunque e su qualunque argomento.
Non va inoltre escluso dall’analisi il ruolo del governo Monti, presentato appunto come governo “dei professori” col compito di traghettare l’italia fuori dalla crisi economica, governo che ha attuato come ogni governo scelte politiche ed improntate ad una precisa linea politica (di austerità) ma che sono state vendute e/o percepite come “scientifiche” e “tecniche”.
Questo è stato l’ultimo chiodo sulla bara del rispetto dell’uomo della strada, del “popolo”, per la classe tecnica. Si è stabilita l’associazione “scelta tecnica” = “scelta pilotata dall’UE” = “scelta contro il popolo”, e l’elite politica è diventata sempre più élite politico-tecnocratica-culturale. Il perfetto nemico del popolo, complice anche lo spostamento dell’asse politico destra-sinistra dal piano economico-sociale al piano culturale, come vedremo in un prossimo post.
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Orfeo in-canta ancora | Claudio Zonta S.I.
Raffaello Simeoni, di Rieti, cantante, polistrumentista, ricercatore infaticabile di musiche popolari nell’album Orfeo Incantastorie come lui stesso afferma mette in musica «un racconto popolare cromatico e ritmico, pagine musicali che formano uno sfondo sonoro dove mi libro in volo con un flauto giapponese, perdendomi tra i paesaggi e i tamburi del Maghreb».
Egli riprende il ruolo dei cantastorie, che tramandavano le radici e le tradizioni, dove storia e leggenda si incontravano, danzavano insieme e lasciavano all’ascoltatore un tesoro fatto di allegria e nostalgia. In «Antiche rotte» ascoltiamo il profumo del mattino, il vociare delle genti al mercato, le serenate in estate, le filastrocche numeriche cantate dai bambini che nascondono il saper vivere nella consapevolezza di dover attraversare gli inverni della vita. Questi inverni sono rappresentati dalle miserie umane, come nella canzone «La Cecilia», un canto presente in molte regioni d’Italia. Cecilia, per liberare Peppino, il marito incarcerato, si concede al ricatto del capitano; ma questo atto tuttavia non basterà a salvare la vita di Peppino. Cecilia, allora, preferirà la morte al disonore e all’affronto. Chitarre, flauti e strumenti antichi rimangono gli unici a sorreggere la vita di Cecilia fin dopo la morte. E la vita di Cecilia sembra librarsi nel brano «Aquilone», una ninna nanna, dolce e protettiva contro ogni male: «e se la luna non spuntasse la sera, / e se lu sole non sorgesse più a matina / e se le stelle non brillassero se lu mio cantu non bastasse…». Il canto è anche narrazione del contemporaneo, come in «Calexico», che è il confine tra California e Messico dove si nasconde chi cerca di raggiungere l’America del Nord. Cori etnici, ritmi sudamericani, cadenze popolari, strumenti delle infinite tradizioni si mescolano insieme per cantare aspetti che appartengono a tutti i popoli: «se canta, se vive, si chiama, si cerca, si prega, si brama, se rìde se piagne se ama se espera e si cambia la trama». Raffaello Simeoni, insieme a musicisti di grande sensibilità quali Cristiano Califano, Paolo Modugno, Giordano Ceccotti, solo per citarne alcuni, è capace di raccontare storie che hanno il sapore del mare e della terra, del cammino e del riposo, della gioia e del dolore.
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Storia Di Musica #83 - Led Zeppelin, Led Zeppelin II, 1969
Nel leggendario 1969, il mondo della musica vide librarsi in cielo un dirigibile rock. Che in poco meno di 10 mesi, dal gennaio all’ottobre del 1969 irruppe fragorosamente nei cieli della musica popolare. La storia di quel dirigibile è ormai leggendaria, dato che i Led Zeppelin in questi 50 anni passati sono diventati una delle più grandi, imitate, leggendarie (e discusse) band del rock. Dopo il clamoroso debutto con Led Zeppelin (registrato in 2 settimane e con 1700 sterline) la Atlantic cavalcò l’onda di quel successo con un tour forsennato, sia in Europa che negli Stati Uniti. Il successo crescente spinse la stessa etichetta a chiedere a Robert Plant, Jimmy Page, John Paul Jones e John Bonham (l’unica e formidabile line-up) di registrare un nuovo disco. Il tempo è poco ma la pressione è tanta. Page pesca dalla sua cantina del blues numerosi riff, li rielabora, li rende caldi e irresistibili, li veste di questa nuova armatura hard rock, che tanto fece rumore. L’idea, che accompagnerà tutta la parabola zeppeliana, fece storcere a molti il naso, e dopo il clamoroso successo fioccheranno denunce e cause per diritti. Sia come sia nelle pause del tour il gruppo registra materiale nuovo, in ben 10 studi di registrazione (da Londra a Los Angeles, passando per Memphis, New York e Vancouver). Se le premesse non sono incoraggianti, quando uscirà nell’ottobre del 1969 l’album è sensazionale: basta il riff leggendario e torrido di Whole Lotta Love (preso da Page in prestito da Willie Dixon, a cui dopo decenni verseranno delle royalties) a scaldare l’atmosfera, con il canto di Plant, inarrivabile, a simulare l’orgasmo rock più famoso della storia (tra l’altro, nella versione del disco Plant canta un Love da record di ben 7 secondi). Poi una ballad stupenda come What Is And What Should Never Be, per passare al blues mellifluo di The Lemon Song (altra allusione, lemon in slang è l’organo sessuale maschile), che anche in questo caso è un “prestito” dalla storica Killin’ Floor di Howlin’ Wolf, tanto che persino la Atlantic nella prima ristampa mise tra i crediti della canzone Chester Burnett, vero nome di Howlin’ Wolf, credendola una cover (anche in questo caso, nel 1972 i Led Zeppelin versano un bel po’ di quattrini ai detentori dei diritti di Howlin’ Wolf e la storia finì lì). La quarta traccia è l’ennesima perla del disco: scritta per la prima volta dal solo Plant nel testo, Thank You è una ballata rock suadente e pastorale (che anticiperà i toni e le idee del successivo III) ed è dedicata a Maureen, sua moglie. Ma i ritmi ed i toni subito riacquistano giri: Heartbreaker è un altro di quei brani che hanno scolpito la fama del gruppo, un rock blues fenomenale, dal magico riff di Page, che divenne prova di bravura e infinita fonte di rimandi e richiami (Eddie Van Halen inventò il tapping proprio perchè non riusciva a suonare questo brano...). Living Loving (She’s Just A Woman) è un altro brano veloce e spettacolare, forse il più pop del disco, che apre alla triade finale, altrettanto mitica: Ramble On è il prototipo della ballata Led Zeppelin (che avrà epigoni iconici, tipo Stairway To Heaven, solo per dirne una), dai toni tolkeniani e magici, davvero meravigliosa, che lascia poi il posto al potente ed unico drumming di Bonham nella sua Moby Dick, un assolo di batteria che durate i live arriverà spesso ai venti minuti. Il viaggio alle radici dell’hard rock finisce con Bring It On Home, ennesimo saccheggio a Willie Dixon, ma che ha il sapore del ritorno al blues dopo un viaggio stellare che apre di fatto la stagione dell’hard rock. Tutti i membri della band diventeranno idoli e quelli da imitare, soprattutto Page, ma era il tutto che funzionava alla grande: la voce potente e unica di Plant, il ricamo sonoro di John Paul Jones (che diventerà anche un grande produttore per altri artisti) e il brutale drumming di “Bonzo” Bonham. Un’ultima curiosità sulla copertina: David Juniper prese una foto che ritraeva un altro asso dell’aviazione tedesca ai tempi dello Zeppelin, cioè la Divisione Jagdstaffel 11 della Luftstreitkräfte durante la prima guerra mondiale, la famosa squadriglia volante capitanata dal celebre Barone Rosso. Sostituì i volti dei militari con quelli dei nostri, da un manifesto di un concerto, aggiunse quello dell’attrice Glynis John, in onore a Glyn Johns (tecnico del suono), Peter Grant, il produttore del disco e una misteriosa bionda che molti ritengono Mary Woronov, che faceva parte della Factory di Warhol. C’è anche un uomo di colore, Blind Willie Nelson, altro gigante e divinità del blues, a rimarcare quell’amore viscerale e redditizio (mi permetto di dire) verso la musica del Delta, che nello loro mani rinacque e divenne famosa in tutto il mondo.
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Numa fa il bis: il cantautore di Sant’Oreste di nuovo tra i finalisti di Musicultura
Era stato tra i protagonisti della scorsa edizione del Festival della Canzone Popolare e d’Autore e, si sa, repetita iuvant: anche quest’anno è tra i 16 finalisti di Musicultura con RadioNuma, pezzo con “un testo tagliente e metricamente scolpito – recita la nota della giuria del concorso -, un groove in levare contagioso, una voce che dà senso e prospettiva a ciò che racconta”, che ben rispecchia tutta la grinta e l’energia di un cantautore giovane, talentuoso ed ironico.
Stiamo parlando di Numa, al secolo Lorenzo Pompili, classe 1996, che abbiamo provato a conoscere meglio con questa intervista.
Vieni da Sant’Oreste, un piccolo Comune in provincia di Roma. La vita di paese spesso regala consigli ed insegnamenti che la frenesia della realtà urbana non può offrire. Quanto ha inciso il luogo in cui sei nato sul tuo modo di scrivere e fare musica? Quanto sono importanti le (tue) radici?
Sono partito dal bar, dove ognuno aveva un suo soprannome; camminavo tra i vicoli, tra una vecchia che urlava e un pallone che rompeva una finestra. Potrei annoiarmi a morte in un centro commerciale, ma ancora mi emoziono nel sentire l’odore del sugo e della vigna bagnata. ��Lo dico in versi? “Vi lascio allo stupore per le nuove scoperte, a me lasciate il vino, l’arte e le carte”.
Su Instragram ricorri spesso all’hashtag #INDIE. Cosa significa per te essere indie e in che modo ti consideri indipendente?
L’ Indie per me è l’evoluzione del porno amatoriale. È un movimento musicale che parte dalla cameretta dell’artista ed è quindi molto libero ed astratto.È la ricerca dello strano, muove fuori dall’ordinario. Una forma nuova di cantautorato, con una poesia schietta, più “urbana”, se vogliamo, di quella del passato. Per parlare della mia indipendenza, però, dovrei racchiuderla in uno schema di concetti, ma poi non sarebbe più tale.
Se dovessi spiegare la tua musica in maniera semplice e diretta a chi non la conosce ancora, che parole useresti?
Non lo so. Forse gli direi che non so essere semplice e diretto, però gli farei ascoltare una canzone.
Hai già partecipato al Festival della Canzone Popolare e d’Autore lo scorso anno, arrivando anche in quell’occasione tra i 16 finalisti: cosa ti ha spinto a ritentare?
A Macerata e Recanati si mangia molto bene e il vino è buono.Inoltre, credo che questo sia il festival più giusto per esprimere al meglio le mia vena artistica e la mia vera personalità.
RadioNuma, invece, è il brano che ha conquistato la commissione di Musicultura quest’anno. Ti aspettavi una scelta simile?
È un pezzo un po’ a sé rispetto al resto delle mie canzoni, ma è il primo brano scritto da quando ho questo nome d’arte, il mio punto d’inizio. Non potevo chiedere di meglio.
Silvia Collesi
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Premio Andrea Parodi: il 14 e 15 maggio le finali
Il Premio Andrea Parodi non demorde. Nonostante le difficoltà dovute alla pandemia, la Fondazione Andrea Parodi è riuscita infatti a organizzare per il 14 e 15 maggio le finali della 13a edizione, inizialmente previste per lo scorso autunno ma poi rinviate a causa dell’emergenza sanitaria. La manifestazione, che si avvale della direzione artistica di Elena Ledda, sarà ospitata dal Teatro Si' e Boi di Selargius (Cagliari) ed avrà inizio alle ore 18 in entrambe le giornate. Sarà possibile seguirla in streaming sulle pagine Facebook della Fondazione Andrea Parodi, di EjaTv e di SardegnaEventi24, sabato 15 anche su quelle di Rai Radio1 e Rai Radio Tutta Italiana, media-partner dell’evento. I finalisti, come già annunciato, saranno: Alessio Arena (Campania/Catalogna); Ars Nova Napoli (Campania); Eleonora Bordonaro (Sicilia); Elena D`Ascenzo (Abruzzo); Kalascima (Salento); Maria Mazzotta (Salento); Danilo Ruggero (Sicilia); Stefania Secci Rosa (Sardegna/Portogallo); Still Life (Catalogna). Non potranno purtroppo essere presenti Abramo Laye Senè & Gaalgui World Music Band. Il Premio è l’unico contest europeo di world music, nato per omaggiare un grande artista come Andrea Parodi, importante esponente della musica etnica italiana e internazionale scomparso 15 anni fa. Condurranno questa edizione Ottavio Nieddu e Gianmaurizio Foderaro, mentre sabato 15 si esibirà in veste di ospite Pierpaolo Vacca, organettista dallo stile molto personale, che mescola le radici sarde con l’elettronica e la contemporaneità. Nella stessa serata verrà tramesso il videoclip, prodotto della Fondazione Parodi, del brano “Rahil” di Fanfara Station, band vincitrice del Premio nel 2019. I finalisti si esibiranno davanti a una Giuria tecnica (composta da addetti ai lavori, autori, musicisti, poeti, scrittori e cantautori), che decreterà il vincitore assoluto, e a una Giuria critica (giornalisti e critici musicali), che assegnerà appunto il premio della critica. Entrambe le giurie, come negli scorsi anni, saranno composte da autorevoli esponenti del settore, alcuni dei quali seguiranno le esibizioni da remoto. La giuria tecnica vedrà presenti in teatro: Gianfranco Cabiddu (regista), Gigi Camedda (musicista), Lia Careddu (attrice), Gaetano d’Aponte (Premio Bianca d’Aponte, partner), Andrea Del Favero (Folkest, partner), Elena Ledda (direttrice artistica, musicista), Silvano Lobina (musicista), Annamaria Loddo (operatrice culturale), Marco Lutzu (etnomusicologo), Ignazio Macchiarella (Università di Cagliari), Gino Marielli (musicista), Michele Palmas (S’Ardmusic, partner), Andrea Marco Ricci (NUOVOIMAIE), Simonetta Soro (musicista, attrice), Nicola Spiga (operatore culturale), Jacopo Tomatis (Premio Città di Loano, partner), Gisella Vacca (musicista, attrice). E in remoto: Gigi Di Luca (Ethnos Festival, partner), Pippo Rinaldi Kaballà (musicista), Nicola Meloni (operatore culturale), Andrea Ruggeri (musicista), Stefano Starace (Mo’l’estate, partner), Dario Zigiotto (operatore culturale). Per la giuria critica saranno in sala: Claudio Agostoni (Radio Popolare, partner), Simone Cavagnino (Unica Radio, partner), Flavia Corda (Tgr Sardegna), Valerio Corzani (Rai Radio3), Tore Cubeddu (Eja Tv, partner), Ciro De Rosa (Songlines /Globofonie), Max De Tomassi (Rai Radio 1), Elisabetta Malantrucco (Rai Radio Techete), Luigi Mameli (Radiolina), Duccio Pasqua (Rai Radio1), Timisoara Pinto (Gr1), Francesco Pintore (L’Unione Sarda), Cristiano Sanna (Tiscali), Giacomo Serreli (Giornalista Musicale), Mario Tasca (Sardegna 1 Tv), John Vignola (Rai Radio1). Seguiranno a distanza: Gabriele Antonucci (Panorama), Angela Calvini (Avvenire), Franz Coriasco (Rai Italia), Enrico de Angelis (Storico della canzone), Salvatore Esposito (Blogfoolk), Felice Liperi (Repubblica), Marco Mangiarotti (Qn - Il Giorno), Andrea Massidda (La Nuova Sardegna), Maria Grazia Maxia (Federazione degli autori, partner), Tonino Merolli (Funweek), Claudio Scaccianoce (Linkiesta), Paolo Talanca (Fatto Quotidiano), Giuseppe Vota (Rai). Uno specifico premio verrà assegnato da una giuria internazionale, in remoto, composta da: Sergio Albertoni (Rsi Radio Svizzera Italiana), Andrew Cronshaw (Froots Magazine, Rough Guide To World Music, Regno Unito), Petr Doruzka (Czech Radio, Rep. Ceca), Edyta Łubińska (Università di Varsavia, Istituto di Etnologia e Antropologia culturale), Juan Antonio Vazquez (Mundofonias, Spagna), Piotr Pucylo (Globaltica Festival, Polonia). Per il vincitore assoluto sono previsti diversi bonus, fra cui una serie di concerti e di partecipazioni alle prossime edizioni di alcuni festival partner del Parodi, dall'“European Jazz Expo” in Sardegna a Folkest in Friuli, fino allo stesso Premio Parodi. Oltre a questo, avrà diritto a una borsa di studio di 2.500 euro. Al vincitore del premio della critica andrà invece la realizzazione professionale del videoclip del brano in concorso, a spese della Fondazione Andrea Parodi. Inoltre, uno tra i finalisti verrà invitato ad esibirsi durante la prossima edizione di un altro festival partner, Mare e Miniere. È intanto già disponibile il bando di concorso per la 14a edizione del Premio, le cui finali sono in programma a Cagliari dal 14 al 16 ottobre. Il bando è reperibile su www.fondazioneandreaparodi.it ed è aperto ad artisti di tutto il mondo. L’iscrizione è gratuita, mentre la la scadenza è prevista per il 31 maggio 2021. Le domande di iscrizione dovranno essere inviate tramite il format presente su www.fondazioneandreaparodi.it (per informazioni: [email protected] ). Il Premio Andrea Parodi è realizzato dall'omonima Fondazione grazie a: Regione autonoma della Sardegna (fondatore), Fondazione di Sardegna, NUOVOIMAIE, con il patrocinio gratuito del Comune di Selargius (CA). Partner della manifestazione sono: European Jazz Expo, Folkest, Premio Bianca d'Aponte, Premio Loano per la Musica Tradizionale Italiana, Mare e Miniere, Ethnos Festival, Mo'l'estate Spirit Festival, Mare aperto, Associazione Culturale S’Ardmusic, Fondazione Barùmini – Sistema cultura, Labimus (Laboratorio Interdisciplinare sulla musica dell’Università degli studi di Cagliari, Dipartimento di Lettere, Lingue e Beni culturali), SIAE - Società Italiana degli Autori ed Editori; Federazione degli Autori, U.N.A. (Unione nazionale autori), Consorzio Cagliari Centro Storico, Boxofficesardegna, Peugeot Mario Seruis Automobili. Media partner sono Rai Radio 1, Rai Radio Tutta Italiana, Rai Sardegna, Radio Popolare, Unica Radio, Sardegna 1 TV, Ejatv, Sardegnaeventi24.it, Il giornale della musica, Blogfoolk, Folk Bulletin, Mundofonías (Spagna), Petr Dorůžka (Rep. Ceca), Concertzender Nederland (Olanda). È possibile sostenere la Fondazione Andrea Parodi attraverso la destinazione del 5x1000 e attraverso contribuzioni in denaro. Sul sito della Fondazione si possono trovare tutte le informazioni. Read the full article
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[INTERVISTA] Il producer KPOP nascosto. Il producer Pdogg che ha guidato il successo dei BTS e la vittoria ai BBMA.
“I BTS hanno iniziato normalmente. Non sono “passati al livello più alto” con la loro prima canzone in quanto sono partiti da una piccola compagnia e non da una delle grandi. Hanno immortalato la loro crescita nella “school trilogy” e nella “youth trilogy"”, disegnando una costante curva di crescita. Cosa non usuale nell’industria musicale coreana. A differenza degli altri a cui i social media vengono gestiti dalle compagnie, i BTS interagiscono personalmente con i loro fan con messaggi legati alla loro musica e questo presto è diventato un sentiero che ha aiutato il mondo a conoscere i BTS. Iniziando come “dirtspoon” arrivando a vincere il premio “Top Social Artist” ai Billboard. Sembra che abbiano fatto un altro viaggio in confronto agli altri per raggiungere il sentiero fiorito.
Naturalmente il processo di creazione della musica per questo gruppo è stato diverso dagli altri gruppi idol. La storia inizia quando il CEO Bang Sihyuk ha assunto Pdogg (Gang Hyowon, 34) attraverso un sito internet cafe. È arrivato a Seoul nel 2007 da Gyeongnam, Gimhae e si è focalizzato su musicisti come 8eight, Lim Junghee, 2AM e altri; ma la sua “storia” inizia quando il rapper Sleepy trova Rap Monster e lo porta alla compagnia. L’incontro tra un produttore nato in Changwon che crede che le radici della musica siano nate a LA e il talentuoso trainee che era già famoso sulla scena underground ha naturalmente portato come risultato l’hip hop. La loro frontiera musicale ha poi continuato ad espandersi quando in futuro si sono aggiunti più membri come Suga e J-Hope.
Abbiamo incontrato Pdogg nell’ufficio della Bighit Entertainment a Nonhyungdong, Seoul e ci ha detto “l’identità musicale dei BTS era già completa quando li ho incontrati per la prima volta. Mi sono specializzato in educazione musicale all’università quindi ho fatto delle lezioni di comprensione della teoria ma invece di insegnare come un professore, ho cercato di interagire e lavorare insieme con loro.” Che tipo di preparazione hanno ricevuto da lui i BTS, un gruppo in cui tutti i membri partecipano alla creazione delle loro canzoni? Pdogg ha lavorato come produttore in tutte le loro canzoni, partendo da “No More Dream” fino ad arrivare alle tracce più recenti come “Blood Sweat & Tears” e “Spring Day”.
-DOMANDA- come si svolgevano le tue lezioni?
Spesso guardiamo film o ascoltiamo canzoni insieme. Guardando il film “8 mile” che contiene le rap battle nei club hip hop di Detroit, abbiamo parlato di come quei testi vengono creati e della moda e del modo di vivere hip hop. Abbiamo trovato e ascoltato le tracce campione usate nei film e ho dato loro dei compiti collegati a questo.
-DOMANDA- che tipo di compiti erano?
Come sai i BTS sono un gruppo con una definita crescita narrativa. Per esprimere questo con la musica abbiamo discusso molto. Dipende dalla canzone ma spesso iniziamo lavorando ai beat per trovare il giusto tema per il testo. Non possiamo continuare se il beat non funziona quindi ognuno di noi scrive il proprio beat, poi li ascoltiamo insieme e facciamo delle modifiche.
-DOMANDA- come dividi i ruoli?
Membri come Rap Monster e Suga sono bravi in ogni ruolo. Anche J-Hope e Jungkook sanno come fare un beat e gli altri membri lavorano alla scrittura dei testi. Principalmente io lavoro alla creazione della canzone e ho il ruolo di completare il testo e la melodia scritte dai membri. Più del 90% dei testi sono scritti dai membri stessi.
[Il produttore Pdogg era dispiaciuto del fatto di non aver potuto partecipare ai BBMA con i BTS a causa dei preparativi per il BTS FESTA ma ha rivelato che lavorerà ancora più duramente per fare buona musica senza farsi trasportare dall’eccitazione. Anche se comunque è davvero orgoglioso dei ragazzi. I BTS ogni anno il 13 giugno per celebrare il loro anniversario di debutto rilasciano contenuti a sorpresa come musica, foto, video.]
-DOMANDA- qual è la differenza tra il lavorare insieme e il lavorare da solo?
Quando uno lavora da solo riesce ad esprimere tutte le emozioni e metterle nella canzone ma è facile cadere nel manierismo. Invece lavorando insieme continui a scoprire cose che non ti aspettavi di trovare. Scegliamo le migliori idee proposte da ragazzi di talento, in questo modo possiamo avere in mano le migliori idee. Come per “Spring Day”, la melodia e il testo scritti da Rap Monster in solo due giorni erano fantastici. Ero un po’ deluso dall’estrema semplicità ma aggiungendo la parte (della traccia) che abbiamo ricevuto da un produttore straniero, la canzone ha acquisito più vita e le emozioni che trasmette si sono duplicate.
-DOMANDA- come produttore quale pensi sia uno dei segreti che sta dietro il successo dei BTS?
Penso che molto importante sia il fatto che parlano delle loro storie personali. Non scrivono storie di cui non conoscono nulla. Il testo di “No More Dream” potrebbe sembrare immaturo ma erano le emozioni che provavano a quell’età. “Move” di HYYH pt.1 è una canzone che hanno scritto dopo essersi trasferiti dal dormitorio dove hanno vissuto per tre anni. Anche il ricevere una buona influenza tra loro è un vantaggio. Come per Jin, lui è un cantante e non era tra i membri che scrivevano canzoni ma ha terminato il suo singolo nonostante tutti gli impegni. Molti di noi mollano quando vengono rifiutati per 20 volte ma lui non ha lasciato la presa fino alla fine e questo mi ha commosso.
-DOMANDA- ci sono stati momenti critici?
Ogni momento è stato critico. Eravamo preoccupati del modo in cui avremmo dovuto affrontare i cambi musicali e della crescita narrativa quando ci siamo spostati dalla “School trilogy” alla serie “Youth”. Fortunatamente “I NEED U” è andata bene e ci ha dato uno slancio ma avevamo molti pensieri sul non riuscire a stare dietro alle scadenze. Molti hanno provato a fermarci anche con “Blood Sweat & Tears”. Il moombathon trap stava lentamente diventando popolare in tutto il mondo ma molti dicevano che le canzoni con base reggae non avrebbero funzionato molto in Corea e altri hanno puntualizzato che questo stile era troppo diverso dalla musica hip hop che facevano i BTS. Nonostante questo sentivamo che era qualcosa che dovevamo fare e siamo stati fortunati a ricevere buoni risultati.
Pdogg, che si è innamorato dell’hip hop dopo essersi specializzato in educazione musicale, ha detto “c’è una parte nelle arti pure che non puoi scavalcare con il duro lavoro anche se hai l’80% di talento. Diversamente dalla musica cantata per cui hai bisogno di una conoscenza di fondo quando ascolti le canzoni, il fascino dell’hip hop è che chiunque può facilmente creare un legame con esso. Ho una specie di vantaggio quando scrivo le melodie perché posso avere un approccio più classico usando il counter line, ecc. ma Bang Sihyuk PD-nim ha detto che ho uno strano trot-style in me. Presumo sia perché non sono nato e cresciuto a Seoul?” (ride)
Il gruppo elettronico The Chainsmokers, anche loro hanno partecipato ai BBMAs, hanno invitato i BTS alle loro prove e hanno avuto un incontro a sorpresa. Hanno postato su Twitter una foto scattata insieme e hanno espresso il loro affetto. Quale potrebbe essere la prossima tappa dei BTS? Pdogg ha accennato che è molto preso da Kendrick Lamar e Drake ultimamente. “Penso che preferiscano delle canzoni rilassanti che calmano la mente visto che sono stanchi della musica attuale. Anche il Vintage è facile da ascoltare. Recentemente ho comprato uno strumento vintage come il Roland JUNO 60 e sono innamorato del feeling grezzo ma allo stesso tempo caldo dell’analogico quindi penso che il sound cambierà in futuro.””
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©CiHope) | Trans ©Peachisoda
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Michele Fenati - Domani
Il nuovo brano estratto dall’album “Dall’altra parte del mare”
Amore e tempo sono spesso uniti e, altrettanto spesso, in competizione fra loro. L’eterna rincorsa del tempo, delle lancette, delle stagioni «un mese, un anno, la nebbia e il vento», che si intrecciano con una relazione alla fine della sua corsa.
Questo è “Domani”, singolo estratto dall’album “Dall’altra parte del mare” in cui il cantautore romagnolo ha raccontato la parte “inedita” e più intima di sé e del suo rapporto con la musica, attingendo a sonorità classiche, mescolate con sapienza al pop d’autore.
Dicono di “Dall’altra parte del mare”
«“Dall’altra parte del mare”, mette in gioco dodici brani: intensi, superlativi, affascinanti e inimitabili. “Dall’altra parte del mare”, offre un ventaglio di genere incommensurabile: pop, jazz, acustica, elettronico, classico e sfumature di soul e folk. Il disco di Fenati è monumentale anche per il suo canto grintoso, nostalgico e magnetico.» The Music Way Magazine
«Un disco di cantautorato semplice e diretto, a tratti pop a tratti classico con molto sentimento e sentimenti. Dall’altra parte del mare è il tentativo di raccontarsi in maniera intima parlando d’amore, insicurezze, dipendenze, voglia di ricominciare.» Il blog dell’alligatore
«Incontro di due linguaggi questo, antichi nelle radici e apparentemente lontani nella forma ma che qui diviene altro ancora in un disco sostanzialmente di pop d’autore e dagli arrangiamenti puliti e di grande mestiere a firma di Fabrizio Tarroni». Raro più
«Il suo ultimo disco è un lavoro fatto principalmente di pane e cuore, parole che s’intrecciano ed entrano dentro e un pizzico di gioia che non guasta mai.» MusicLetter
Credits Musica: Michele Fenati
Parole: Erika Berti
Etichetta: I dischi di Beatrice
Distribuzione: Believe
Michele Fenati è un artista italiano, conosciuto al grande pubblico per aver tradotto in chiave classica, brani popolari di grande successo, creando una veste originale, attuale e sempre in bilico tra musica colta e musica popolare. La sua alta professionalità e la capacità di gestire il palco tra canzone, poesia e teatro, lo ha portato in questi anni a solcare tantissimi palchi di grandi, medie e piccole città di tutta Europa.
Vienna, Linz, Augsburg, Praga, Klagenfurt, Breslavia… sono solo alcune delle città europee che hanno visto sempre il tutto esaurito. Centinaia di città e piccoli e medi comuni italiani, in piazze e teatri, hanno accolto il concerto di Michele Fenati in questi anni, sempre con formazione voce e chitarra, pianoforte e clavietta, violino e violoncello. Una carriera descritta in numerosi articoli su quotidiani locali e nazionali e partecipazioni importanti come la diretta su Radio24 - Il sole 24 ore, con quattro brani in diretta nazionale, prima del tour europeo, la partecipazione a “L’Italia in diretta” su Rai 2 oppure a “Buongiorno Regione” su Rai 3.
Nel 2014 riceve la lettera del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, prima del tour europeo. Il suo percorso inizia a 9 anni sul palco del Cantagiro Romagnolo presentato da Maria Giovanna Elmi, la reginetta della TV, proseguito al Conservatorio, dove ha studiato violoncello con il Maestro Lauro Malusi e chitarra e canto con l’insegnante Lina Montanari. In questi anni Fenati ha prodotto cinque album (Girotondo, Sicuro son sicuro, Acustico Live, Battisti in Classics e Live in Europe), una importante collaborazione con l’Associazione Bubulina per la raccolta fondi per i bambini malati di leucemia, fino al concerto “Michele Fenati & Friends” nel 2018, al Teatro Rossini di Lugo di Romagna (Ra). Ha collaborato con Andrea Mingardi nella conduzione della trasmissione “Cuore Rossoblu”, tutte le domeniche in diretta su Radio Bruno dallo stadio Dallara, fino allo spettacolo/concerto, nel 2020, a Villa Cacciaguerra Ortolani di Voltana (Ra) per la presentazione del libro di Andrea “Professione Cantante”. Nel 2020 Il concerto di Michele Fenati a Ladispoli (Roma) vede l’autorevole presenza di S.E l’ambasciatrice della Repubblica di Armenia Tsovinar Hambardzumyan, che ne introduce la performance, con una suggestiva presentazione.
Nello stesso anno scrive il brano “E la gente si chiuse in casa” con promozione sui social per raccogliere fondi per l’ospedale Covid di Lugo di Romagna (Ra)
Nel 2021 prende il via il tour estivo in Italia con oltre 40 concerti
, mentre due brani, di vecchie produzioni discografiche entrano nelle classifiche di vendita di Itunes
in Olanda e negli Stati Uniti
. Contemporaneamente iniziano le registrazioni per il nuovo album in uscita nel 2022
. Il 19 novembre 2021 esce il primo singolo con video del nuovo album, “Il mio nome è Aurelio”, dedicato al Maestro Secondo Casadei e al suo capolavoro “Romagna mia”. Il brano raggiunge la 34° posizione nella classifica di gradimento delle radio private italiane.
Il 20 maggio 2022 esce il secondo singolo che anticipa l’album, “Mille Volte Buona Notte”, trasmesso da tantissime radio private e che in brevissimo tempo supera i 50.000 streaming su Spotify, seguito dopo un mese dal video. Anche il 2022 è un anno pieno di concerti live per Michele Fenati sempre in formazione acustica (voce, chitarra, pianoforte, violino e violoncello).
A ottobre 2022 pubblica l’album “Dall’altra parte del mare”.
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Guareschi & Zavattini sono dei giganti, ma non li studiamo a scuola; Giuseppe Verdi ha composto una autobiografia incredibile; Vittorio Bottego è stato il nostro Conrad. Guido Conti scrive il romanzo di Parma e rifà i connotati al “canone”
La città d’oro, Parma la letteratura 1200-2020, edito da Libreria Ticinum Editore è un romanzo ambizioso, è una raccolta di saggi, un libro autobiografico, un tentativo, attraverso 780 pagine e 250 immagini, di definire che cosa è il genius loci di un territorio, e fotografa anche l’immagine di una città che quest’anno, e per il 2021, sarà capitale della cultura italiana. Un libro che rompe gli steccati rispetto ai generi, che propone un modello narrativo di sentieri che escono dalle secche ripetitive e obsolete di certi schemi di lettura del passato.
La città d’oro racconta la letteratura in un modo diverso, al di là della saggistica accademica, al di là delle storiografie e delle antologie scolastiche: dopo anni di studio l’idea di letteratura che mi sono costruito è completamente diversa da quella che mi restituiscono i manuali di storia della letteratura. Ho sempre pensato che per fare lo scrittore e soprattutto il ricercatore non ci fosse bisogno di essere inquadrato in qualche istituzione, e questo mi ha regalato una libertà di pensiero e di movimento che ha portato i suoi frutti nei libri dedicati a Cesare Zavattini, (l’ultimo è Cesare Zavattini a Milano, 1929-1939, Letteratura, Rotocalchi, radio, fotografia, editoria, cinema pittura, edito da Libreria Ticinum editore, 2019) alla biografia di Giovannino Guareschi per Rizzoli, Guareschi biografia di uno scrittore, 2008, ai tanti saggi sparsi dedicati all’umorismo e alla tradizione del giornalismo satirico che ripensano il passaggio tra Otto e Novecento. Guareschi, per esempio, porta nel Novecento la tradizione della favola moraleggiante, attingendo al racconto ciclico di origine religiosa (le forme aperte della raccolta dei miracoli e dei fioretti di san Francesco, per esempio), con quello epico della novellistica popolare italiana (da Boccaccio al Piovano Arlotto), con un effetto dirompente nella cultura nichilista della morte di Dio (lui fa parlare il Cristo), e di questo non si parla mai nelle antologie scolastiche dove Guareschi non è nemmeno citato. Guareschi pone il problema delle tradizioni e dei tempi lunghi della letteratura, per cui un periodo non si può leggere solo con le categorie di pensiero del proprio tempo. Il Novecento �� molto più ricco e frastagliato di come ce l’hanno sempre raccontato e ha radici che affondano in un passato remoto. Le avanguardie non hanno tagliato completamente le radici.
*
La città d’oro si compone di 54 capitoli dedicati a ritratti di scrittori e a opere diverse: ho riscritto biografie, ho commentato poesie e pezzi in prosa, per esempio di Francesco Petrarca che a Parma vive più di dieci anni, mettendo le basi per il passaggio dal Medioevo al Rinascimento: qui vive la peste del 1348 e scrive i primi sonetti in morte di Laura e la canzone politica Italia mia. Ho riscoperto la modernità di un poeta come Carlo Innocenzo Frugoni, declassato da decenni come poeta di corte, le cui poesie satiriche sono ancora oggi giudicate da studiosi come “sconvenienti”, “disdicevoli” e “inopportune” dimostrando in questo modo di non aver capito assolutamente niente delle contraddizioni e della modernità di questo religioso che aveva dato i voti solenni senza alcuna vocazione. Ribattezzato arcadico, Comante Eginetico, aveva come amico il poeta veneziano Giorgio Baffo col quale si scambiava sonetti licenziosi, e scriveva ai medici di calli, di emorroidi, di nasi lunghi e lettere d’amore alle giovani fanciulle di cui s’innamorava continuamente anche da vecchio. Scrivere versi era liberazione e sfogo, divertimento e lamento, prigione e fatica, specialmente per quelle centinaia di poesie d’occasione scritte per incensare il duca e famiglia. L’approccio storiografico spesso è miope e asettico rispetto all’anima di uno scrittore.
A Parma si ritrovano le origini della favola de La bella e la bestia, con la storia tragica e comica di questo signore tutto peloso che si ritroverà a vivere con una donna bellissima e la famiglia insieme a leoni e leopardi in quello che oggi a Parma è il Giardino Pubblico.
Ho riscritto la vita di Gianbattista Bodoni che nella sua stamperia ducale riceverà la visita di Napoleone I, di principi e papi. La sua Oratio Dominica (Il Padre Nostro) 1806, scritto in oltre 120 lingue diverse, ha più font del computer su cui state leggendo. Bodoni ha inventato i font e con il manuale tipografico ha rivoluzionato la grafica moderna.
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Ho ripensato a Giuseppe Verdi, che è stato, prima di tutto, un grande lettore, autore della più incredibile autobiografia dell’Ottocento scritta, quasi quotidianamente, attraverso le lettere: non ne troverete una nelle antologie scolastiche. E così per Arturo Toscanini. Sono grandi scrittori anche se non hanno mai scritto romanzi o racconti. La letteratura è tanto altro rispetto ai generi e alle loro gerarchie che ci vogliono inculcare nella testa.
Franco Maria Ricci chiama Jorge Luis Borges a Fontanellato. Per la “Biblioteca di Babele” lo scrittore argentino scrive le introduzioni dei libri della collana, tra critica e autobiografia, e dall’incontro nascerà quello che oggi è diventato il labirinto di bambù, un sogno settecentesco che potete visitare tra collezioni d’arte nella Masone di Fontanellato. I visionari sono i veri realisti.
Ho scritto di Cesare Zavattini che diventerà negli anni trenta “Il padrone di Milano”, che trasformerà l’editoria e i giornali, lavorando per Rizzoli, Bompiani e Mondadori. Un protagonista dell’avanguardia che negli anni della guerra si trasferirà a Roma per scrivere di cinema con tutte le sue utopie, diventando un modello e un punto di riferimento per il cinema mondiale. Parliamo tanto di me (1931), I poveri sono matti, (1937), Io sono il diavolo (1941) sono tre capolavori da considerare allo stesso livello di Svevo e Pirandello, e la cui opera rimette in discussione tutta l’idea di umorismo novecentesco che non è quella del saggio di Pirandello come ha voluto imporre la scuola. Zavattini scrive Totò il buono (1943) che diventerà Miracolo a Milano con la regia di Vittorio De Sica, (1950): questo film avrà un affetto dirompente su García Márquez che vedrà il film a Parigi e gli offrirà, come racconta lui stesso nella biografia autorizzata, Vita di García Márquez, di Gerald Martin, Mondadori 2011, i fondamenti del realismo magico sudamericano. Nelle storie della letteratura italiana, a tutti i livelli, se Zavattini viene citato, lo troverete in qualche nota o ridotto a sceneggiatore di cinema, a dimostrazione di come, non solo il Novecento, sia da riscrivere e ripensare completamente. Purtroppo gli studenti di oggi, e i futuri insegnanti di domani, si formano su questi manuali che sono vecchi e arrugginiti, con conseguenze disastrose.
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Ho parlato di caffè letterari, come il caffè Marchesi, al centro di eventi straordinari: nel 1911 il gruppo di Marinetti, Palazzeschi, Carrà e altri si ritroverà qui per la prima volta fuori dai teatri, con il movimento futurista a fronteggiare folle che vogliono fare a cazzotti. Il futurismo a Parma scende in piazza. Qualche anno dopo, un grande scrittore francese, Valery Larbaud, sempre al caffè Marchesi scriverà uno dei suoi racconti più belli davanti ad uno dei suoi famosi specchi. La Parma di Stendhal, tra reinvenzione e immaginazione romanzesca, ne ha creato il mito a livello mondiale: come scrive Pietro Bianchi, a Parma lo scrittore francese ridisegna una “geografia dello spirito”.
Ho scritto di epistolari come quello tra Attilio Bertolucci e Vittorio Sereni, uno dei più belli e importanti del Novecento, che s’incontrano giovanissimi in piazza Garibaldi. Ho letto libri che giacevano nelle biblioteche da decenni mai presi in prestito e ho trovato libri mirabili come Taccuino 1962-1962 di Pietro Bianchi, uno dei maestri di critica del cinema italiano (cugino di Guareschi, e allievo di Zavattini), che racconta il passaggio e la crisi di una cultura che viaggia verso il boom economico: una meravigliosa riscoperta.
Ho recuperato scrittori come Vittorio Bottego, il Conrad parmigiano che entra nel cuore dell’Africa nera mai esplorata prima: il suo diario, tra cannibali, diserzioni, fame e malaria, diventerà il mito di grandi giornalisti come Bruno Rossi e Bernardo Valli. Il confine tra giornalismo e letteratura è continuamente sfumato in autori come Egisto Corradi, capace di descrizioni straordinarie in libri come Africa a cronometro (1952).
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Ho scritto dell’editore Guanda e del suo rapporto con Antonio Delfini, la nascita con Attilio Bertolucci della collana La fenice, che farà conoscere la poesia mondiale in Italia. Purtroppo si studia la letteratura a compartimenti stagni, come se gli scrittori venissero uno dopo l’altro, bollati o incasellati sotto categorie generiche che impediscono una corretta lettura, secondo una idea di tempo lineare ormai obsoleta, e che ritrovo spesso alla base di certe letture di giovani critici “sgomitanti” (volevo scrivere “militanti”). La storia è intreccio, e compresenza di tempi e di temi, con influenze e modelli che superano e vanno al di là del proprio tempo. La Cronica di Salimbene, la più bella in lingua latina, per me è un modello romanzesco, molto più importante di tanti romanzi di autori americani di oggi: sa intrecciare l’autobiografia, la grande storia, la cronaca, la visionarietà e l’immaginario come pochi, e per me resta un modello di narrazione moderna.
La città d’oro è un libro che mi ha posto alcune problematiche fondamentali: che cosa è una tradizione letteraria? Come attraversa i secoli? Come si legge uno scrittore? Da dove partire? Come si descrive una città? Come artisti e scrittori guardano una città? La cultura evolve o non piuttosto sta? Il tempo lineare in letteratura è solo uno specchio deformante? E’ un’illusione? L’arte ha forse un movimento che assomiglia piuttosto alla risacca?
Dickens viene a Parma, la racconta e non capisce nulla di quello che vede, ma la sua critica illumina il mio scrivere, perché quando vede i fantasmi sbucare dal teatro Farnese in decadenza, tra legni e muffe, invita ad un nuovo rapporto con il passato e i grandi maestri. La città d’oro pone allora il problema di cosa voglia dire leggere, come bisogna leggere, dove partire, come fare critica, come affrontare voci diverse in uno stesso territorio. Dopo Il grande fiume Po, che uscirà da Giunti a settembre in una nuova edizione arricchita e aggiornata, La città d’oro è la seconda tappa del mio viaggio, alla ricerca di geografie letterarie che possono aiutare a muoversi in un paesaggio tanto problematico e frastagliato come quello di oggi. Allora la lista degli autori che ho raccolto in questo libro è lunga, da Vittorio Sereni ad Attilio Bertolucci, da Pier Paolo Pasolini a Luigi Malerba, (insieme a Zavattini) maestro del “manierismo emiliano padano” di Cavazzoni e dei suoi nipotini. Alberto Bevilacqua, autore di alcuni importantissimi romanzi del secondo Novecento e di opere poetiche che segnano l’inizio di questo secolo. E poi Pier Luigi Bacchini, la cui straordinaria poesia oggi conta molti epigoni. Alla fine La città di Parma è forse solo una scusa, un materiale da cui attingere per raccontare tanto altro.
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Questo, dunque, è un viaggio letterario che disegna una geografia letteraria verso il cuore e l’immaginario non solo di una città ma anche di un territorio, e getta uno sguardo molto particolare sul Novecento. Parma è una capitale della letteratura che ha saputo dialogare con l’Europa e il mondo, diventando talvolta centro propulsore di poetiche e di idee, anche nel cinema e nella fotografia. La poesia, la narrativa, ma anche il teatro, la pietra scolpita, i dipinti dei nostri maggiori artisti che hanno fatto la storia dell’arte, sono i protagonisti del nostro presente. Tutte queste forme d’arte narrano storie. Il senso del nostro vivere quotidiano ce lo giochiamo nel rapporto con le storie di questi nostri «contemporanei del futuro». Così Giuseppe Pontiggia parlava dei classici, racchiudendo in un ossimoro tutta la complessità e la bellezza del leggere e del fare esperienza con voci, libri e opere d’arte che arrivano da un altro tempo. Gli scrittori che leggiamo, le pietre su cui camminiamo tra le architetture, lo sguardo di Madame de Stäel o di Goya sotto la cupola del Correggio in Duomo, rappresentano l’esperienza del nostro vivere qui, oggi. Un quotidiano non banale, dove la città diventa teatro di un vivere in cui ci ritroviamo protagonisti e spettatori insieme.
Per questo La città d’oro è un romanzo, è un libro di saggi, è un libro di biografie, è un libro di critica, di fotografie, di riletture e di racconti… ovvero tutte queste cose insieme, in un’idea di opera mondo, se vogliamo, che getta uno sguardo dalla provincia verso l’Europa e nuovi confini narrativi che sono lì, verso un tempo futuro sempre vicino, desiderabile, mete immaginate e impossibili da raggiungere come nel paradosso di Achille e la tartaruga di Zenone.
Guido Conti
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;widows: 2;-webkit-text-stroke-width: 0px; text-decoration-style: initial;text-decoration-color: initial;word-spacing: 0px”>Allieva del chitarrista Armando Corsi e dell’insegnante di canto Anna Sini, nel 2003 si aggiudica il Premio Lunezia e vince il Festival di Castrocaro e, consolidata una proficua collaborazione con il musicista e produttore Beppe Quirici, vince nel 2004 il “Premio Recanati” e la borsa di studio I.M.A.I.E. per la migliore interpretazione con un brano da lei composto, fino alla realizzazione del suo primo lavoro discografico Giua, in veste di cantautrice.
La sua evoluzione artistica muove da una formazione che ha radici nella musica mediterranea, è contaminata dalla tradizione popolare internazionale e dalla “canzone d’autore”.
Nel 2007 vince il concorso Sanremolab e partecipa così al Festival di Sanremodell’anno successivo con la canzone Tanto non vengo, che si qualifica per la serata finale.
Il 2009 la coglie in un momento artistico particolarmente fiorente: tra la scrittura di testi per le prossime produzioni di importanti nomi della musica italiana; la realizzazione del nuovo progetto “live” denominato “Dominante Rosso” e i consensi ottenuti per l’interpretazione delle canzoni di Fabrizio De André con la partecipazione ad alcuni eventi, tra i tanti organizzati con la collaborazione dell’omonima Fondazione, in occasione del decimo anniversario della scomparsa del cantautore genovese.
In occasione del Festival dei Due Mondi di Spoleto (edizione 2009), Giua si propone come compositrice, autrice e interprete delle musiche originali della commedia Un piccolo gioco senza conseguenze, in scena dal 27 giugno all’11 luglio 2009 ad opera di “The Kitchen Company” con la regia di Eleonora D’Urso.
Da segnalare inoltre la partecipazione, con la compagnia del Teatro della Tosse di Genova, allo spettacolo “Spettacolo Cosmico” (2010) ai Parchi di Nervi (GE).
L’artista brasiliana Adriana Calcanhotto nel corso del tour italiano ha interpretato in italiano il suo brano “Petali e mirto”.
L’inizio del 2011 ha visto l’esposizione della sua mostra personale “Giua e… la versatilità come parametro del fare arte”, presso Ellequadro Documenti a Palazzo Ducale di Genova (GE).
A dicembre 2011 è uscito in anteprima su iTunes il primo singolo di TrE, “Totem e Tabù”. L’album, in collaborazione con Armando Corsi, è uscito sempre su iTunes e le piattaforme musicali oltre che nei negozi di dischi il 23 gennaio 2012. TrE ha avuto collaborazioni importanti quali il violoncellista brasiliano Jaques Morelenbaum, Fausto Mesolella degli Avion Travel, Riccardo Tesi, etc.
Dal mese di giugno 2012, oltre alla promozione dell’album “TrE“, Giua è impegnata con il nuovo spettacolo “L’arte (h)a peso: per ridare peso all’arte”, assieme ad Armando Corsi e allo scrittore Pier Mario Giovannone.
Nel 2016 esce il suo terzo album “e improvvisamente”.
Si dedica anche al teatro con lo spettacolo “Quello Che Non Ho” con Neri Marcoré.
Nel mese di marzo 2019 esce il suo nuovo album “Piovesse Sempre Così”, lanciato dal singolo “Feng Shui” in duetto con Carla Signoris.
Davide Bressanin
Ufficio stampa
Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse ONLUS
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Sabato 4 maggio – GIUA – PIOVESSE SEMPRE COSI’ TOUR ;widows: 2;-webkit-text-stroke-width: 0px; text-decoration-style: initial;text-decoration-color: initial;word-spacing: 0px">Allieva del chitarrista Armando Corsi e dell'insegnante di canto Anna Sini, nel 2003 si aggiudica il
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