#lago bianco
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Lago Bianco, Bernina, Svizzera, 24 Giugno 2024
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🐈🧡
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audry - Vampiric Premonitions
Quando una proposta musicale è ridotta al solo ruolo di sottofondo e quando è solo il critico che non ha gli strumenti per analizzarla?
Parte di una scena in piena espansione tra i meandri di RateYourMusic e Bandcamp, vi parlo di una musica che mette in crisi i parametri critici e pone questioni sul futuro per l’analisi di queste che, almeno per adesso, percepisco più come digressioni che atti artistici compiuti. autopubblicato/glitch noiseCanada2024 BANDCAMP: https://audry777.bandcamp.com/album/vampiric-premonitions
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Airone bianco maggiore, lago di Bolsena
Copyright andrea-arcangel ©
Instagram:arkangeli_andrea follow me please
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Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera
come le estreme foglie
dei pioppi, che s’accendono di sole
in cima ai tronchi fasciati
di nebbia –
Vorrei condurti con le mie parole
per un deserto viale, segnato
d’esili ombre –
fino a una valle d’erboso silenzio,
al lago –
ove tinnisce per un fiato d’aria
il canneto
e le libellule si trastullano
con l’acqua non profonda –
Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera,
che la mia poesia ti fosse un ponte,
sottile e saldo,
bianco –
sulle oscure voragini
della terra.
Antonia Pozzi
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Italy (2) by Alessio Ricci
Via Flickr:
(1) Riflessi del massiccio, Lago d'Arpy. (2) Monte Bianco.
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Stamattina, camminando sulla passeggiata a lago ho trovato questo piccolo cuoricino bianco, solo e caplestato.
L'ho raccolto e tenuto tra le mani, gli ho regalato i miei colori, gli ho dato nuova vita...
... e lo porterò sempre con me
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perché non ti piace l’estate?
Perché l’estate è per gli adolescenti, e se la meritano, per me è solo stress, caldo, afa, donne completamente nude, uomini completamente a petto nudo, con l’ascella che sa da cassonetto dell’umido, dove andiamo? Andiamo al mare? Non tira aria, i granchi galleggiano a pancia in su, i paguri ormai sono talmente sfiniti da queste acque piene di calcare che si fanno prendere senza che tu li cerca, da piccoli te li sudavi altroché, il sole? Ma a chi piace prendere sole? Difatti sono bianco-latte, belll come il sole eh, però, già da piccolo odiavo stare lì al sole.
Se avessi l’opportunità economica, l’unica settimana di ferie che ho, la sfrutterei per andare in montagna, lontano dalla caciara, quell’atmosfera che ti dona spensieratezza, quella temperata giusta, che non supera i 26-27 gradi e...con arietta tattica!
Quindi tutti al lago questa estate?
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Lago Bianco, Bernina, Svizzera, 24 Giugno 2024
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🐱💙
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Il grande capo di Washington ci manda a dire che vuole comprare la nostra terra. Il grande capo ci manda anche espressioni di amicizia e di buona volontà. Ciò è gentile da parte sua, poiché sappiamo che egli non ha bisogno della nostra amicizia in contraccambio. Ma noi consideriamo questa offerta perché sappiamo che se non venderemo, l'uomo bianco potrebbe venire con i fucile a prendere la nostra terra. Quello che dice capo indiano Seattle, il grande capo di Washington può considerarlo sicuro, come i nostri fratelli bianchi possono considerare sicuro il ritorno delle stagioni. Le mie parole sono come le stelle e non tramontano. Ma come potete comprare o vendere il cielo, il calore della terra? Questa idea è strana per noi. Noi non siamo proprietari della freschezza dell'aria o dello scintillio dell'acqua: come potete comprarli da noi? Ogni parte di questa terra è sacra al mio popolo. Ogni ago scintillante di pino, ogni spiaggia sabbiosa, ogni goccia di rugiada nei boschi scuri, ogni insetto ronzante è sacro nella memoria e nella esperienza del mio popolo. La linfa che circola negli alberi porta le memorie dell'uomo rosso. I morti dell'uomo bianco dimenticando il paese della loro nascita quando vanno a camminare tra le stelle. Noi siamo parte della terra ed essa è parte di noi. I fiori profumati sono nostri fratelli. Il cervo, il cavallo e l'aquila sono nostri fratelli. Le creste rocciose, le essenze dei prati, il calore del corpo dei cavalli e l'uomo, tutti appartengono alla stessa famiglia. Perciò quando il grande capo che sta a Washington ci manda a dire che vuole comprare la nostra terra, ci chiede molto. Egli ci manda a dire che ci riserverà un posto dove potremmo vivere comodamente per conto nostro. Egli sarà nostro padre e noi saremo i figli. Quindi noi consideriamola vostra offerta di acquisto. Ma non sarà facile, perché questa terra per noi è sacra. L'acqua che scorre nei torrenti e nei fiumi non è soltanto acqua ma è il sangue dei nostri antenati. Se noi vi vendiamo la terra, voi dovete ricordare che essa è sacra e dovete insegnare ai vostri figli che essa è sacra e che ogni tremolante riflesso nell'acqua limpida del lago parla di eventi e di ricordi, nella vita del mio popolo. Il mormorio dell'acqua è la voce del padre, di mio padre. I fiumi sono i nostri fratelli ed essi saziano la nostra sete. I fiumi portano le nostre canoe e nutrono i nostri figli. Se vi vendiamo la terra, voi dovete ricordare e insegnare ai vostri figli che i fiumi sono nostri fratelli e anche i vostri, perciò dovete usare la gentilezza che usereste con un fratello. L'uomo rosso si è sempre ritirato davanti all'avanzata dell'uomo bianco, come la rugiada sulle montagne si ritira con il sole del mattino. Ma le ceneri dei nostri padri sono sacre. Le loro tombe sono terreno sacro e così queste colline e questi alberi. Questa porzione di terra è consacrata, per noi. Noi sappiamo che l'uomo bianco no capisce i nostri pensieri. Un porzione di terra è la stessa per lui come un'altra, perché egli è uno straniero che viene nella notte e prende dalla terra qualunque cosa gli serva. La terra non è suo fratello, ma suo nemico e quando l'ha conquistata, egli si sposta lascia le tombe dei suoi padre i diritti dei suo figli vengono dimenticati. Egli tratta sua madre, la terra e suo fratello, il cielo, come cose che possono essere comprate, sfruttate e vendute, come fossero pecore o perline colorate. Il suo appetito divorerà la terra e lascerà dietro solo un deserto. Non so, i nostri pensieri sono differenti dai vostri pensieri. La vista delle vostre città ferisce gli occhi dell'uomo rosso. Ma forse questo avviene perché l'uomo rosso è selvaggio e non capisce. Non c'è alcun posto lieto nelle città dell'uomo bianco. Alcun posto in cui sentire lo stormire di foglie in primavera e il ronzio delle ali degli insetti. Ma forse io sono un selvaggio e non capisco. Il rumore delle città sembra quasi che ferisca le orecchie. E che cos'è mai li la vita, se un uomo non può ascoltare il rumore del succiacapre o delle rane attorno ad uno stagno di notte ? Ma io sono un uomo rosso e non capisco. L'indiano preferisce il dolce sapore del vento che soffia sulla superficie del lago o l'odore del vento stesso, pulito dalla pioggia o dagli aghi di pino. L'aria è preziosa per l'uomo rosso poiché tutte le cose partecipano allo stesso respiro. L'uomo bianco sembra non accorgersi dell' aria che respira e come un uomo da molti giorni in agonia, egli è insensibile alla puzza. Ma se noi vi vendiamo la nostra terra, voi dovete ricordare che, per noi, l'aria ha lo stesso spirito che essa sostiene. Il vento che ha dato ai nostri padri il primo respiro, riceve anche il loro ultimo respiro. E il vento deve dare ai nostri figli lo spirito della vita. E se vi vendiamo la nostra terra, voi dovete tenerla da parte come sacra, come un posto dove anche l'uomo bianco possa andare a gustare il vento addolcito dei prati. Perciò noi considereremo l'offerta di comprare la nostra terra, ma se decideremo di accettarla, io porrò una condizione: l'uomo bianco deve trattare gli animali di questa terra come suoi fratelli. Io sono un selvaggio e non capisco altri pensieri. Ho visto centinaia di bisonti marcire nelle praterie, lasciati lì dall'uomo bianco dal treno che passava. Io sono un selvaggio e non riesco a capire come un uomo bianco preferisca un cavallo di ferro sbuffante che un bisonte che noi uccidiamo solo per sopravvivere. Che cos'è l'uomo senza gli animali? Se non ce ne fossero più gli indiani morirebbero di solitudine. Perché qualunque cosa capiti agli animali in seguito capiterà agli uomini. Tutte le cose sono collegate. Voi dovete insegnare ai vostri figli che la terra sotto i loro piedi è la cenere dei nostri antenati. Affinché rispettino la terra, dite ai vostri figli che la terra è ricca delle vite del nostro popolo. Insegnate ai vostri figli quello che noi abbiamo insegnato ai nostri: LA TERRA E' NOSTRA MADRE. Qualunque cosa capiti alla terra, capita anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano in terra, sputano a se stessi. Questo noi sappiamo: la terra non appartiene all'uomo ma è l'uomo che appartiene alla terra.Questo noi sappiamo.Tutte le cose sono collegate, come il sangue che unisce la famiglia..Qualunque cosa capiti alla terra, capita anche ai figli della terra.Non è stato l'uomo a tessere la tela della vita, egli è soltanto un filo. Qualunque cosa egli faccia alla tela, lo fa a se stesso. Ma noi consideriamo la vostra offerta di andare nella riserva da voi stabilita per il mio popolo. Noi vivremmo per conto nostro e in pace.Importa poco dove spenderemo la fine dei nostri giorni. I nostri figli anno visto i loro padri umiliati nella sconfitta. I nostri guerrieri hanno provato la vergogna. E dopo la sconfitta, essi passano i giorni nell'ozio e contaminano il loro corpo con cibi, dolci e bevande forti. Poco importa dove passeremo il resto dei nostri giorni: essi non saranno molti. Ancora poche ore, ancora pochi inverni, e nessuno dei figli delle grandi tribù, che una volta vivevano sulla terra e che percorrevano in piccole bande i boschi, rimarrà a piangere le tombe di un popolo, una volta potente e pieno di speranze come il vostro. Ma perché dovrei piangere la morte del mio popolo? Le tribù sono fatte di uomini e nient'altro. Gli uomini vanno e vengono come le onde del mare. Anche l'uomo bianco, il cui dio cammina e parla con lui da amico ad amico, non può sfuggire al destino comune Può darsi che siamo fratelli dopo tutto. Vedremo. Noi sappiamo una cosa che l'uomo bianco forse un giorno scoprirà: il nostro dio è lo stesso dio. Può darsi che voi ora pensiate di possederlo, come desiderate possedere la nostra terra. Ma voi non potete possederlo. Egli è dio dell'uomo e la sua compassione è uguale sia per l'uomo rosso che per l'uomo bianco. Questa terra è preziosa anche per lui. E far male alla terra è come far male al suo creatore. Anche l'uomo bianco passerà, forse prima di altre tribù. Continuate a contaminare il vostro letto e tra qualche notte soffocherete nei vostri rifiuti.
(Lettera del capo Sethl al presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce 1855)
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chissà che fine hai fatto tu? i tuoi capelli fini come oro bianco e quel sorriso bello che io ci andavo pazzo amore mio. eri il mio amore e ora non lo sei più. che in questi gg leggeri, prendevamo il vento e lo portavamo al lago a vedere le onde e le creste delle montagne e io sentivo il tuo odore pulito di donna senza mestieri fatto di misteri. e l’acqua del lago ci spruzzava i capelli frucichi l ‘odore di ammorbidente al seno, che i tuoi vestiti avevano sempre leggeri i tuoi pensieri e il cuore di diamante. d’oro? no duro, inscalfibile chissa che fine fanno i sogni, quando non sogni più. vanno in paradiso?
dove ora ci sei tu? filastrocca in blu
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『Akira: Grande. Ho preso appunti su tutti i maghi nel Manuale del Saggio, vedi. Su cosa non volete fare, e cosa non vi piace... Affinché tutti vivano una transizione più facile dopo che tornerò nel mio mondo.
Mithra: Tornerai in un altro mondo?
Akira: Sì... Probabilmente, un giorno.
Mithra: ... Capisco...
Mithra tace. Il suo silenzio mi ricorda come appariva quando poco prima stava fissando Oz. È uno sguardo malinconico, perplesso.
Mithra: Vai avanti... Fammi le tue domande.
Akira: Ah... Sì. Allora puoi per favore dirmi la tua età, e da dove vieni?
Mithra: Sono nato vicino il Lago della Morte al Nord. Sono nato in un lontano passato, ma sono più giovane di Oz e Figaro...
Akira: Che tipo di posto è il Lago della Morte?
Mithra: È un lago freddo ed inutilmente vasto. C'era un villaggio nelle vicinanze... Da allora è stato distrutto, ma lì ero un traghettatore.
Akira: Un traghettatore...?
Mithra: Ah, non è più un lavoro al giorno d'oggi? O forse era unico della regione... Si tratta di trasportare i morti ai loro cimiteri in barca. Era un lavoro che veniva guardato con disprezzo, ma in realtà mi piaceva abbastanza. Il lago, la barca, i morti, la neve — erano tutti così tranquilli...
Akira: Essere un traghettatore è un lavoro per maghi?
Mithra: No... non credo. Allora, né gli abitanti del villaggio né io ci rendevamo conto che fossi un mago. Apparentemente era un lavoro di base, essere un traghettatore. Gli abitanti del villaggio mi hanno insegnato questo modo formale di parlare. Anche se all'epoca non mi rendevo conto che fosse proprio così formale. Perché ho fatto quel lavoro...? Probabilmente era perché non avevo famiglia. Ma tutto ciò che ricordo è il paesaggio bianco puro.
Sono sorpresa dal passato di Mithra. Immagino Mithra che trasporta i morti su una barca attraverso un lago innevato e ghiacciato. I suoi capelli devono essere stati l'unico colore rosso ardente in un mondo silenzioso all'estremità del Paese del Nord.
‧͙⁺˚・༓☾ ☽༓・˚⁺‧͙
Mithra: Mi sono reso conto di essere un mago solo dopo aver incontrato la strega Chiretta.
Mithra mormora, coprendosi gli occhi con il palmo della mano.
Mithra: All'inizio non avevo idea di cosa stesse dicendo. Diceva che non capivo perché ero incolto e non sapevo molte parole... Ma Chiretta scendeva ogni volta per chiacchierare, ed è così che ho imparato sulla magia e il paese. E poi... Ci siamo conosciuti per molto tempo dopo quello.
Akira: Capisco... Che tipo di persona era Miss Chiretta?
Mithra: Lei era come un fiore.
I miei occhi si spalancano alla sua espressione poetica. Mithra continua con nonchalance.
Mithra: Anche se a volte era pure come una bestia selvaggia. ... Come dovrei metterla? Lei portava la stessa sensazione di distrazione che viene quando arriva la primavera. Era rumorosa, come il cinguettio degli uccelli... Spesso mi dava cibo e vestiti, e toccava il mio viso, e stringeva le sue braccia intorno alle mie.
Akira: ... Eravate due amanti?
Mithra: Hm... Non eravamo così. E Chiretta ha finito per sposare un umano, dopotutto. I gemelli hanno detto che era come mia madre, ma neanche quello sembra giusto. Era più come la mia maestra, la mia compagna, e la mia sorellina. Si arrabbiava facilmente, e piangeva tutto il tempo... Non smetteva di parlare, ed era fastidiosa, ma se non vedevo il suo viso per un po', pensavo a lei e mi chiedevo cosa stesse facendo. Ecco perché quando penso a lei ora, ricordo anche che è morta, e... sembra strano.
Akira: Sembra strano?
Mithra: Sembra strano. Anche là prima — ho avuto l'occasione perfetta per uccidere Oz, ma ho perso la mia opportunità. Perché ho pensato, ho detto addio a Chiretta appena una decina di anni fa; forse è troppo presto per dire addio anche a quest'uomo...
Guardo Mithra. Non posso dire che tipo di espressione stia facendo perché sta coprendo il suo viso con la mano. Le sue labbra aperte sembrano cercare le parole "Sono solo."』
Da "Il profumo persistente dell'affetto", capitoli 5, 6.
#mahoutsukai no yakusoku#promise of wizard#mahoyaku#mhyk#mhyk mithra#mhyktl#mhyk chiretta#mhyk tiletta#mhyk akira
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Syrah quel che Syrah
Cortona è nota per un codice musicale del Duecento conosciuto come Laudario di Cortona Ms. 91 e conservato all'Accademia Etrusca. È un laudario, cioè un libro che contiene delle laude, canzoni a tema sacro con testo in volgare e di uso non liturgico. Il repertorio laudistico del Duecento ci è arrivato principalmente grazie a due codici: il Magliabechiano Banco Rari 18 di Firenze, che ha delle bellissime miniature ma è pieno di errori di notazione, e il Laudario di Cortona. Mi trovo con Raffaele in un'auto a noleggio sulla Modena-Brennero quando chiamo la bibliotecaria dell'Accademia Etrusca per vedere il codice: mi dice che non è visionabile, cioè, non oggi, forse se arrivassimo prima dell'una, d'altronde ogni giorno qualcuno chiede di vederlo, poi c'è il figlio da prendere a scuola, magari scrivendo per e-mail, o presentandoci come piccolo gruppo... comunque sarebbe meglio rimandare. Dopo quindici minuti di conversazione circolare riaggancio il telefono. Stiamo andando in Toscana per un convegno sul Syrah coordinato da Raffaele, a cui mi ha chiesto di accompagnarlo non so bene perché. La scusa del Laudario era stata buona fino all'uscita dell’autostrada di Affi, poi anche quella era crollata e di lì in poi mi sarebbero aspettati soltanto tre giorni di chilometri di corsa, vino biodinamico e cene a base di chianina (oltre a essere vegetariano, Chiani è il cognome di mia mamma e solo l'idea di mangiare una così bella mucca, che per di più porta il nome di mia madre, mi provoca orribili dolori enterici).
Cortona si trova su una collina affacciata sulla Val di Chiana, più o meno ad equa distanza tra Siena, Arezzo e Perugia. È un classico borgo medievale da "Borgo più bello d'Italia" (ogni borgo italiano è "il più bello d'Italia"). Una rocca sulla cima, qualche chiesa, dei cipressi, un grazioso cimitero e tutte quelle cose inequivocabilmente italiane: l'alimentari, l'enoteca, il bar (da leggersi i' barre, con raddoppiamento sintattico). Turismo, a marzo, poco, e comunque tutto anglofono e interessato solo a due cose: Cortona DOP (principalmente Syrah e Merlot, e in minor parte Sangiovese) e tagliata di chianina. La campagna sotto alla città e la strada regionale che porta in Umbria sono misurate dalle insegne delle centinaia di cantine e dai cartelli con gli orari delle degustazioni. Da Trento a Cortona si impiegano circa quattro ore e così, svincolati anche da quell'unica incombenza presso la Biblioteca Etrusca, a circa metà strada usciamo a Castiglione dei Pepoli, sull'Appennino Bolognese, in cerca di un piatto di fettuccine.
Il lago Brasimone è un bacino artificiale costruito nel 1911. Dal lago attinge acqua una delle uniche due centrali nucleari attive in Italia. Leggendo dal sito ufficiale dell'ENEA: "Il Centro del Brasimone è uno dei maggiori centri di ricerca a livello nazionale e internazionale dedicato allo studio e allo sviluppo delle tecnologie nei settori della fissione di quarta generazione e fusione nucleare a confinamento magnetico. Rilevanti sono le competenze disponibili sulla tecnologia dei metalli liquidi, sui materiali innovativi per applicazioni in ambienti severi, sulla prototipazione di sistemi e componenti per applicazioni ai sistemi energetici anche nucleari." Attraversando in auto la diga, verso la trattoria, Raffaele mi racconta che il referendum sul nucleare del 1987 bloccò la produzione di energia nucleare ma non la ricerca. La centrale nucleare del Brasimone (anche se non è una vera centrale) ricorda vagamente Chernobyl: il camino bianco e rosso, la cupola di cemento del reattore e i boschi tutto attorno, non ci sono invece i classici camini di raffreddamento, dandole un'aria più domestica. Accanto al lago c'è una trattoria sgarrupata per gli operai della centrale. Come in tutte le bettole per operai e camionisti, si mangia divinamente ma non leggero, segno premonitore dell'imminente cena.
L'albergo a Cortona è un quattro stelle e per aperitivo ci offrono cantucci e Vin Santo. Le quattro sciure che ci lavorano sono fin troppo disponibili e ci ammorbano parlandoci dei biscotti. Una volta arrivati in albergo io e il Raffa facciamo una corsa di acclimatamento attorno al paese che mi apre una voragine in pancia, rendendomi sempre più insofferente per quella cena. Restiamo per un po' nella hall dell'albergo ad aspettare Giorgia, una delle relatrici del convegno. Ho l'impressione di essere lì da delle mezzore quando finalmente Giorgia scende dalla camera.
La cena è alla Marelli, una cascina in mattoni rossi di proprietà della famiglia Marelli della famosa Magneti Marelli, e per metà affidata a Stefano Amerighi Vignaiolo in Cortona (da leggersi tutto insieme, di fila, senza virgola), amico e cliente di Raffaele e organizzatore del convegno. Mi aspetto una cena formale in cui mantenere un contegno istituzionale ma si tratta di tutt'altro. La tavola non è apparecchiata e anzi la stanza è alta e semivuota. Ci sono un grande caminetto al centro, un divano, due poltrone, una grande credenza piena di bottiglie vuote di Syrah francese e nient'altro. Siamo in dodici a cena ma arriviamo presto e ci sono ancora solo tre vignaioli francesi già piuttosto avanti col vino e coi trigliceridi, un broker di borsa collezionista di bottiglie d'annata e Francesco, un dipendente di Stefano. Come me, neanche Giorgia conosce nessuno e mi sento meno solo, inoltre lei è un'ingegnere: di vino ne sa più di me ma è comunque fuori contesto. Così ci mettiamo in fondo alla tavola, separati dagli altri commensali da Raffaele, che emana sapienza anche per noi. Il broker stappa una magnum di Champagne e così inizia una serata destinata a durare ore e inframmezzata da un'innumerabile sequela di portate e bottiglie di vino (in realtà, per scopi puramente antropologici, le ho contate: undici, di cui una magnum). L’ospite arriva solo al terzo bicchiere di Champagne: Stefano è sulla cinquantina, capelli e barba brizzolati e occhiali da vista Celine con montatura nera. Neri anche il maglione, i pantaloni e le scarpe. Sulla credenza ci sono dischi di Paolo Conte e qualche cd generico di musica classica, di quelli che si trovavano una volta in edicola e che contenevano qualche grande classico come Tchaikovsky e Beethoven, più qualche russo un po' più ricercato ma meno sofisticato, che ne so, Mussorgsky. Stefano è un melomane, ha scoperto l’opera da adolescente col Così Fan Tutte e poi da Mozart è arrivato a Verdi. Da giovane frequentava il Regio di Parma, che dice fosse il suo teatro preferito (mah), apprezzava anche l’orchestra del Maggio mentre non trovava nulla di eccezionale nella Scala (ancora: mah). Era talmente appassionato d’opera che chiese a sua moglie di sposarlo durante una Boheme, che però raccontandolo attribuisce erroneamente a Verdi. Io mi irrigidisco ma evito di farlo notare, i lapsus capitano a tutti e io non voglio fare quello che alza il ditino per correggere il padrone di casa, così annuisco e continuo ad ascoltarlo. Insieme a lui arrivano anche altri tre vignaioli biodinamici siciliani. Il più anziano, un distinto signore sulla settantina (che avrei scoperto essere l'unico altro vegetariano nella stanza) e i suoi due collaboratori, non molto raffinati in realtà. Alla terza bottiglia di bianco sono iniziati i rossi e, insieme ad essi, un simpatico giochetto in cui gli ospiti dovevano indovinare il vino. Raffale sembrava particolarmente bravo a questo gioco e per un po' ho avuto l'impressione che i due siciliani non facessero che ripetere quello che diceva lui. Anche il broker sapeva il fatto suo e la cosa aveva iniziato a prendere una piega deliziosa. In queste cene, mi ha spiegato Raffaele, ognuno porta qualche bottiglia e il cibo diventa più che altro un modo per continuare a bere. Dividendo una bottiglia in tanti, nessuno riesce a bere più di un paio di dita di ogni bottiglia, per cui il tasso alcolemico, una volta raggiunta una certa soglia, non si alza ulteriormente ma resta più che altro stazionario per tutta la durata della cena, facendo più che altro i suoi peggiori effetti il giorno dopo.
Quando chiedo a Raffaele se in quell'ambiente ci siano problemi di alcolismo, lui mi risponde che "da un punto di vista patologico, probabilmente no, o almeno non diffusamente, ma in una forma latente sì. Tra cene, presentazioni e fiere, i vignaioli bevono tutti i giorni. Inoltre, durante le cene come questa, si è diffusa sempre di più l'abitudine di aprire la bottiglia tanto per aprirla, spesso finendola in fretta per passare a quella dopo, o buttandone via metà, nella sputacchiera, passata di mano in mano con la scusa di gettare i fondi, e per far spazio alla bottiglia appena aperta. Così non ci si prende il tempo per lasciar evolvere il vino e per vedere come cambia nel corso della sera. È un atteggiamento bulimico e anche poco rispettoso nei confronti di una bottiglia che un povero vignaiolo ha impiegato un anno per produrre. Ogni volta che qualcuno prova a parlare di alcolismo in questo ambiente il gelo tronca ogni possibile discorso, e d'altronde nessuno è interessato a farlo, perché vorrebbe dire mettere in discussione l'intera economia del settore: quando dieci anni fa crollò definitivamente l'idea del vino come alimento centrale per la dieta mediterranea e si capì finalmente che berlo fa male, la comunicazione dell'industria vitivinicola si spostò sul suo valore culturale. Cosa di per sé anche vera, se non che la cultura del vino non sta nella bottiglia ma nel territorio; mentre l'esperienza enologica si ferma sempre alla degustazione e non si spinge mai alla vera scoperta del territorio e della sua storia, soprattutto in Italia." Insomma, quello che dovrebbe essere il pretesto diventa lo scopo.
Durante la cena apriamo una bottiglia di Cornas del 2006, l'ultima annata del vignaiolo che l’ha prodotta, un tale Robert Michel, prima che andasse in pensione. Raffaele mostrandomi la bottiglia mi fa notare che la parola più grande sull'etichetta non è il nome del vignaiolo, che invece è scritto piccolo in un angolo, né dell'uva, Syrah, anche questa scritta in piccolo, ma il nome del vitigno, cioè il posto in cui è stato fatto. Ed è scritto al centro, a caratteri cubitali: Cornas. In Francia il brand non è il nome di fantasia dato al vino dal vignaiolo, ma il nome del posto. Questo fa sì che le denominazioni siano molto più piccole e controllate che in Italia, e che attorno a queste denominazioni si costruisca un'identità più profonda. Lungo il Rodano francese, ad esempio, si trova questo paese, Cornas, dove si coltiva solo Syrah. Il cliente finale sa in partenza che non sta comprando tanto una cantina, ma un territorio, e una storia. Dopo il Cornas, aprono una bottiglia di Pinot Nero del 1959 (puoi avere il palato di una pecora come il sottoscritto, ma l'idea di bere un intruglio fermo in una cantina da 65 anni esalterebbe chiunque). Beviamo qualche altra bottiglia di Syrah di Stefano e in fine un Marsala perpetuo prodotto secondo il metodo tradizionale di produzione del Marsala, prima che gli inglesi lo trasformassero in una specie di liquore aggiungendoci alcol e zucchero per farlo arrivare sano in patria, e che viene prodotto con un sistema che ricorda quello del lievito madre.
Sopravvissuti alla cena, verso le 2 rientriamo in albergo per cercare di dormire prima del giorno successivo. Come accade le rare volte che bevo, il sabato mi alzo prima della sveglia. Devo rendermi presentabile per il convegno, a cui Raffaele mi ha incaricato di registrare gli accrediti per giustificare la mia presenza in albergo. Il convegno si tiene in una bella sala del Museo Etrusco di Cortona in cui sono conservate cose random: sarcofagi egizi, spade rinascimentali, accrocchi di porcellana settecenteschi di rara inutilità, collezioni numismatiche, mappamondi e altre cose. Una volta assolto il mio unico dovere, ritorno in albergo e mi cambio, metto le scarpe da corsa e imbocco la provinciale che porta al Lago Trasimeno.
Micky mi ha programmato un weekend di carico con un lungo lento il sabato e una gara la domenica (vero motivo della trasferta) che farò con Raffaele a Reggio Emilia. Si chiama Mimosa Cross ma non si tratta di un vero cross, è più che altro una 10 chilometri su asfalto, seguita da una salita sterrata sui colli di 500 metri di dislivello e da un'ultima discesa in picchiata stile Passatore. 23 chilometri scarsi e 500 metri di dislivello. Tornando da Cortona, il pomeriggio del sabato, passiamo per Firenze ad accompagnare un’oratrice del convegno, e per uno sperduto paesino sui colli bolognesi per accompagnare Giorgia, che sospettiamo ancora in hangover dalla sera prima. Infine: Reggio nell'Emilia. A cena io e Raffaele riusciamo comunque a bere una birra.
La mattina dopo diluvia, a Reggio fa freddo e tira vento. Albinea, da cui parte la gara, è invasa di persone e dimostra l'indomito podismo di queste lande. Dopo aver tergiversato per qualche quarto d'ora in macchina, per cercare di digerire una brioches troppo dolce, decidiamo finalmente di scaldarci. Poi partiamo: primo chilometro 3'41'', secondo chilometro 3'40''. Passo al quinto chilometro 40 secondi più lento del mio personale sulla distanza, ma non sto malaccio. Poi la strada gira e inizia a salire. La pendenza è impercettibile alla vista ma il passo crolla di 30'' al chilometro. Sono isolato e quelli davanti a me prendono qualche metro, sono attorno alla quindicesima posizione. Inizio a cercare scuse: sono alla fine di una settimana di carico, ho il lungo del giorno prima sulle gambe e il Cornas del 2006 sullo stomaco, poi inizia la salita. Quando inizia lo sterrato cambio gesto e inizio a rosicchiare metri a quelli davanti: via uno, via un altro, come saltano gli altarini, bastardi. In salita un tale dietro di me inizia a urlare grida di dolore, la prima volta fa ridere ma poi inizia a diventare fastidioso, così lo stacco per non sentirlo più. Il maledetto in discesa mi riprende e rinizio a raccontarmi scuse. Valuto seriamente di fermarmi al ristoro per aspettare Raffaele e penso ad altre cose ridicole a cui generalmente mi aggrappo quando mi trovo in una zona di effort in cui non sono abituato a stare. Ragiono sul fatto che è la prima volta che faccio una gara sull'ora e mezza: le campestri sono simili come tipo di sforzo ma sono molto più corte. Nel frattempo i chilometri passano e finalmente inizio a vedere il paese. Sull'ultimo strappo riprendo un tipo e lo stacco sul rettilineo finale. Traguardo, fine, casa.
Quando racconto al Micky che un paio di persone mi hanno superato in discesa mi dice che dobbiamo diminuire il volume e aumentare la forza: mi dimostro poco interessato alla cosa. Cerco di spiegargli che la priorità non sempre è migliorare e che non a tutti i problemi bisogna cercare delle soluzioni, e che preferisco divertirmi e godermi il processo senza chiedere di più alla corsa. Roby allora mi ha chiesto a cosa serva un allenatore: a migliorare, certo, ma non significa che questa sia la priorità. Non sono disposto a togliere tempo alla cosa che mi piace fare di più, e cioè correre, per fare degli esercizi orribili solo per non farmi superare da due stronzi in discesa o per correre in un'ora in meno la 100 miglia "X". Cerco di fare del mio meglio ma senza bruciare il percorso. Ho sentito spesso amici fare frasi del tipo "quest'anno voglio dare tutto quello che riesco a dare". No, non me ne potrebbe fregare di meno; preferisco arrivare tra 20 anni ancora con la voglia di correre e con qualcosa da scoprire. Non vincerò mai una 100 miglia e non sarò mai un campione, e questo è uno dei più grandi regali che il destino potesse farmi. Non devo impegnarmi a vincere niente perché semplicemente non posso farlo, così posso godermi il processo senza riempirmi la testa di aspettative e di puttanate, senza fare un wannabe e senza dover attendere le aspettative di nessuno. Posso semplicemente dare quello che ho voglia di dare nel momento in cui voglio darlo. Al 13 marzo 2024, nel TRC, sono quello che ha corso più chilometri di tutti, e forse sono l'unico che non ha ancora deciso che gara fare quest'anno. Perché non ha importanza, l'unica cosa che conta è uscire a correre, per il resto, Syrah quel che Syrah.
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