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#la cupola delle stelle
unevaguedeprintemps · 9 months
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La Cupola Delle Stelle ⭐️
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Gabriele Serra
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ma-pi-ma · 8 months
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La donna amata regge lo scettro, il suo potere
è massimo. La donna amata è colei che indica la notte
e dal cui seno sorge l'alba. La donna amata
è colei che traccia la curva dell'orizzonte e la linea della rotta delle stelle.
Non c'è solitudine senza che la donna amata appaia
nel suo acume. La donna amata è il modello indaco della cupola
E l'elemento verde antagonista. La donna amata è
il passato nel presente nel futuro
nel senza tempo. La donna amata è la nave sommersa.
è il tempo sommerso, è la montagna immersa nei licheni.
È il mare, è il mare, è il mare, la donna amata
e la sua assenza. Lontano, nelle placide profondità della notte
non c'è altro che il seno della donna amata
che illumina la cecità degli uomini. Alta, calma e terribile
questa è colei che chiamo con il nome di donna amata.
Nascita. Nascita della donna amata
è la donna amata. La donna amata è la donna amata è la donna amata
è la donna amata. Chi semina il vento? - la donna amata!
Chi raccoglie la tempesta? - la donna amata!
Chi determina i meridiani? - la donna amata!
Chi è la misteriosa portatrice di se stessa? La donna amata.
Rientranza, stella, petardo
Nient'altro che la donna amata necessariamente amata
Quando! E altro non c’è perché lei è
il pilastro e il mortaio, la fede e il simbolo, impliciti
nella creazione. Quindi sia lei! A lei il canto e l'offerta
la gioia e il privilegio, la coppa alzata e il sangue del poeta
che corre per le strade e illumina le perplessità.
Eh, la donna amata! Possa essere l'inizio e la fine di tutte le cose.
Potere generale, completo, assoluto alla donna amata!
Vinicius de Moraes, da Nuove poesie II, 1959
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filorunsultra · 6 months
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Syrah quel che Syrah
Cortona è nota per un codice musicale del Duecento conosciuto come Laudario di Cortona Ms. 91 e conservato all'Accademia Etrusca. È un laudario, cioè un libro che contiene delle laude, canzoni a tema sacro con testo in volgare e di uso non liturgico. Il repertorio laudistico del Duecento ci è arrivato principalmente grazie a due codici: il Magliabechiano Banco Rari 18 di Firenze, che ha delle bellissime miniature ma è pieno di errori di notazione, e il Laudario di Cortona. Mi trovo con Raffaele in un'auto a noleggio sulla Modena-Brennero quando chiamo la bibliotecaria dell'Accademia Etrusca per vedere il codice: mi dice che non è visionabile, cioè, non oggi, forse se arrivassimo prima dell'una, d'altronde ogni giorno qualcuno chiede di vederlo, poi c'è il figlio da prendere a scuola, magari scrivendo per e-mail, o presentandoci come piccolo gruppo... comunque sarebbe meglio rimandare. Dopo quindici minuti di conversazione circolare riaggancio il telefono. Stiamo andando in Toscana per un convegno sul Syrah coordinato da Raffaele, a cui mi ha chiesto di accompagnarlo non so bene perché. La scusa del Laudario era stata buona fino all'uscita dell’autostrada di Affi, poi anche quella era crollata e di lì in poi mi sarebbero aspettati soltanto tre giorni di chilometri di corsa, vino biodinamico e cene a base di chianina (oltre a essere vegetariano, Chiani è il cognome di mia mamma e solo l'idea di mangiare una così bella mucca, che per di più porta il nome di mia madre, mi provoca orribili dolori enterici).
Cortona si trova su una collina affacciata sulla Val di Chiana, più o meno ad equa distanza tra Siena, Arezzo e Perugia. È un classico borgo medievale da "Borgo più bello d'Italia" (ogni borgo italiano è "il più bello d'Italia"). Una rocca sulla cima, qualche chiesa, dei cipressi, un grazioso cimitero e tutte quelle cose inequivocabilmente italiane: l'alimentari, l'enoteca, il bar (da leggersi i' barre, con raddoppiamento sintattico). Turismo, a marzo, poco, e comunque tutto anglofono e interessato solo a due cose: Cortona DOP (principalmente Syrah e Merlot, e in minor parte Sangiovese) e tagliata di chianina. La campagna sotto alla città e la strada regionale che porta in Umbria sono misurate dalle insegne delle centinaia di cantine e dai cartelli con gli orari delle degustazioni. Da Trento a Cortona si impiegano circa quattro ore e così, svincolati anche da quell'unica incombenza presso la Biblioteca Etrusca, a circa metà strada usciamo a Castiglione dei Pepoli, sull'Appennino Bolognese, in cerca di un piatto di fettuccine.
Il lago Brasimone è un bacino artificiale costruito nel 1911. Dal lago attinge acqua una delle uniche due centrali nucleari attive in Italia. Leggendo dal sito ufficiale dell'ENEA: "Il Centro del Brasimone è uno dei maggiori centri di ricerca a livello nazionale e internazionale dedicato allo studio e allo sviluppo delle tecnologie nei settori della fissione di quarta generazione e fusione nucleare a confinamento magnetico. Rilevanti sono le competenze disponibili sulla tecnologia dei metalli liquidi, sui materiali innovativi per applicazioni in ambienti severi, sulla prototipazione di sistemi e componenti per applicazioni ai sistemi energetici anche nucleari." Attraversando in auto la diga, verso la trattoria, Raffaele mi racconta che il referendum sul nucleare del 1987 bloccò la produzione di energia nucleare ma non la ricerca. La centrale nucleare del Brasimone (anche se non è una vera centrale) ricorda vagamente Chernobyl: il camino bianco e rosso, la cupola di cemento del reattore e i boschi tutto attorno, non ci sono invece i classici camini di raffreddamento, dandole un'aria più domestica. Accanto al lago c'è una trattoria sgarrupata per gli operai della centrale. Come in tutte le bettole per operai e camionisti, si mangia divinamente ma non leggero, segno premonitore dell'imminente cena.
L'albergo a Cortona è un quattro stelle e per aperitivo ci offrono cantucci e Vin Santo. Le quattro sciure che ci lavorano sono fin troppo disponibili e ci ammorbano parlandoci dei biscotti. Una volta arrivati in albergo io e il Raffa facciamo una corsa di acclimatamento attorno al paese che mi apre una voragine in pancia, rendendomi sempre più insofferente per quella cena. Restiamo per un po' nella hall dell'albergo ad aspettare Giorgia, una delle relatrici del convegno. Ho l'impressione di essere lì da delle mezzore quando finalmente Giorgia scende dalla camera.
La cena è alla Marelli, una cascina in mattoni rossi di proprietà della famiglia Marelli della famosa Magneti Marelli, e per metà affidata a Stefano Amerighi Vignaiolo in Cortona (da leggersi tutto insieme, di fila, senza virgola), amico e cliente di Raffaele e organizzatore del convegno. Mi aspetto una cena formale in cui mantenere un contegno istituzionale ma si tratta di tutt'altro. La tavola non è apparecchiata e anzi la stanza è alta e semivuota. Ci sono un grande caminetto al centro, un divano, due poltrone, una grande credenza piena di bottiglie vuote di Syrah francese e nient'altro. Siamo in dodici a cena ma arriviamo presto e ci sono ancora solo tre vignaioli francesi già piuttosto avanti col vino e coi trigliceridi, un broker di borsa collezionista di bottiglie d'annata e Francesco, un dipendente di Stefano. Come me, neanche Giorgia conosce nessuno e mi sento meno solo, inoltre lei è un'ingegnere: di vino ne sa più di me ma è comunque fuori contesto. Così ci mettiamo in fondo alla tavola, separati dagli altri commensali da Raffaele, che emana sapienza anche per noi. Il broker stappa una magnum di Champagne e così inizia una serata destinata a durare ore e inframmezzata da un'innumerabile sequela di portate e bottiglie di vino (in realtà, per scopi puramente antropologici, le ho contate: undici, di cui una magnum). L’ospite arriva solo al terzo bicchiere di Champagne: Stefano è sulla cinquantina, capelli e barba brizzolati e occhiali da vista Celine con montatura nera. Neri anche il maglione, i pantaloni e le scarpe. Sulla credenza ci sono dischi di Paolo Conte e qualche cd generico di musica classica, di quelli che si trovavano una volta in edicola e che contenevano qualche grande classico come Tchaikovsky e Beethoven, più qualche russo un po' più ricercato ma meno sofisticato, che ne so, Mussorgsky. Stefano è un melomane, ha scoperto l’opera da adolescente col Così Fan Tutte e poi da Mozart è arrivato a Verdi. Da giovane frequentava il Regio di Parma, che dice fosse il suo teatro preferito (mah), apprezzava anche l’orchestra del Maggio mentre non trovava nulla di eccezionale nella Scala (ancora: mah). Era talmente appassionato d’opera che chiese a sua moglie di sposarlo durante una Boheme, che però raccontandolo attribuisce erroneamente a Verdi. Io mi irrigidisco ma evito di farlo notare, i lapsus capitano a tutti e io non voglio fare quello che alza il ditino per correggere il padrone di casa, così annuisco e continuo ad ascoltarlo. Insieme a lui arrivano anche altri tre vignaioli biodinamici siciliani. Il più anziano, un distinto signore sulla settantina (che avrei scoperto essere l'unico altro vegetariano nella stanza) e i suoi due collaboratori, non molto raffinati in realtà. Alla terza bottiglia di bianco sono iniziati i rossi e, insieme ad essi, un simpatico giochetto in cui gli ospiti dovevano indovinare il vino. Raffale sembrava particolarmente bravo a questo gioco e per un po' ho avuto l'impressione che i due siciliani non facessero che ripetere quello che diceva lui. Anche il broker sapeva il fatto suo e la cosa aveva iniziato a prendere una piega deliziosa. In queste cene, mi ha spiegato Raffaele, ognuno porta qualche bottiglia e il cibo diventa più che altro un modo per continuare a bere. Dividendo una bottiglia in tanti, nessuno riesce a bere più di un paio di dita di ogni bottiglia, per cui il tasso alcolemico, una volta raggiunta una certa soglia, non si alza ulteriormente ma resta più che altro stazionario per tutta la durata della cena, facendo più che altro i suoi peggiori effetti il giorno dopo.
Quando chiedo a Raffaele se in quell'ambiente ci siano problemi di alcolismo, lui mi risponde che "da un punto di vista patologico, probabilmente no, o almeno non diffusamente, ma in una forma latente sì. Tra cene, presentazioni e fiere, i vignaioli bevono tutti i giorni. Inoltre, durante le cene come questa, si è diffusa sempre di più l'abitudine di aprire la bottiglia tanto per aprirla, spesso finendola in fretta per passare a quella dopo, o buttandone via metà, nella sputacchiera, passata di mano in mano con la scusa di gettare i fondi, e per far spazio alla bottiglia appena aperta. Così non ci si prende il tempo per lasciar evolvere il vino e per vedere come cambia nel corso della sera. È un atteggiamento bulimico e anche poco rispettoso nei confronti di una bottiglia che un povero vignaiolo ha impiegato un anno per produrre. Ogni volta che qualcuno prova a parlare di alcolismo in questo ambiente il gelo tronca ogni possibile discorso, e d'altronde nessuno è interessato a farlo, perché vorrebbe dire mettere in discussione l'intera economia del settore: quando dieci anni fa crollò definitivamente l'idea del vino come alimento centrale per la dieta mediterranea e si capì finalmente che berlo fa male, la comunicazione dell'industria vitivinicola si spostò sul suo valore culturale. Cosa di per sé anche vera, se non che la cultura del vino non sta nella bottiglia ma nel territorio; mentre l'esperienza enologica si ferma sempre alla degustazione e non si spinge mai alla vera scoperta del territorio e della sua storia, soprattutto in Italia." Insomma, quello che dovrebbe essere il pretesto diventa lo scopo.
Durante la cena apriamo una bottiglia di Cornas del 2006, l'ultima annata del vignaiolo che l’ha prodotta, un tale Robert Michel, prima che andasse in pensione. Raffaele mostrandomi la bottiglia mi fa notare che la parola più grande sull'etichetta non è il nome del vignaiolo, che invece è scritto piccolo in un angolo, né dell'uva, Syrah, anche questa scritta in piccolo, ma il nome del vitigno, cioè il posto in cui è stato fatto. Ed è scritto al centro, a caratteri cubitali: Cornas. In Francia il brand non è il nome di fantasia dato al vino dal vignaiolo, ma il nome del posto. Questo fa sì che le denominazioni siano molto più piccole e controllate che in Italia, e che attorno a queste denominazioni si costruisca un'identità più profonda. Lungo il Rodano francese, ad esempio, si trova questo paese, Cornas, dove si coltiva solo Syrah. Il cliente finale sa in partenza che non sta comprando tanto una cantina, ma un territorio, e una storia. Dopo il Cornas, aprono una bottiglia di Pinot Nero del 1959 (puoi avere il palato di una pecora come il sottoscritto, ma l'idea di bere un intruglio fermo in una cantina da 65 anni esalterebbe chiunque). Beviamo qualche altra bottiglia di Syrah di Stefano e in fine un Marsala perpetuo prodotto secondo il metodo tradizionale di produzione del Marsala, prima che gli inglesi lo trasformassero in una specie di liquore aggiungendoci alcol e zucchero per farlo arrivare sano in patria, e che viene prodotto con un sistema che ricorda quello del lievito madre.
Sopravvissuti alla cena, verso le 2 rientriamo in albergo per cercare di dormire prima del giorno successivo. Come accade le rare volte che bevo, il sabato mi alzo prima della sveglia. Devo rendermi presentabile per il convegno, a cui Raffaele mi ha incaricato di registrare gli accrediti per giustificare la mia presenza in albergo. Il convegno si tiene in una bella sala del Museo Etrusco di Cortona in cui sono conservate cose random: sarcofagi egizi, spade rinascimentali, accrocchi di porcellana settecenteschi di rara inutilità, collezioni numismatiche, mappamondi e altre cose. Una volta assolto il mio unico dovere, ritorno in albergo e mi cambio, metto le scarpe da corsa e imbocco la provinciale che porta al Lago Trasimeno.
Micky mi ha programmato un weekend di carico con un lungo lento il sabato e una gara la domenica (vero motivo della trasferta) che farò con Raffaele a Reggio Emilia. Si chiama Mimosa Cross ma non si tratta di un vero cross, è più che altro una 10 chilometri su asfalto, seguita da una salita sterrata sui colli di 500 metri di dislivello e da un'ultima discesa in picchiata stile Passatore. 23 chilometri scarsi e 500 metri di dislivello. Tornando da Cortona, il pomeriggio del sabato, passiamo per Firenze ad accompagnare un’oratrice del convegno, e per uno sperduto paesino sui colli bolognesi per accompagnare Giorgia, che sospettiamo ancora in hangover dalla sera prima. Infine: Reggio nell'Emilia. A cena io e Raffaele riusciamo comunque a bere una birra.
La mattina dopo diluvia, a Reggio fa freddo e tira vento. Albinea, da cui parte la gara, è invasa di persone e dimostra l'indomito podismo di queste lande. Dopo aver tergiversato per qualche quarto d'ora in macchina, per cercare di digerire una brioches troppo dolce, decidiamo finalmente di scaldarci. Poi partiamo: primo chilometro 3'41'', secondo chilometro 3'40''. Passo al quinto chilometro 40 secondi più lento del mio personale sulla distanza, ma non sto malaccio. Poi la strada gira e inizia a salire. La pendenza è impercettibile alla vista ma il passo crolla di 30'' al chilometro. Sono isolato e quelli davanti a me prendono qualche metro, sono attorno alla quindicesima posizione. Inizio a cercare scuse: sono alla fine di una settimana di carico, ho il lungo del giorno prima sulle gambe e il Cornas del 2006 sullo stomaco, poi inizia la salita. Quando inizia lo sterrato cambio gesto e inizio a rosicchiare metri a quelli davanti: via uno, via un altro, come saltano gli altarini, bastardi. In salita un tale dietro di me inizia a urlare grida di dolore, la prima volta fa ridere ma poi inizia a diventare fastidioso, così lo stacco per non sentirlo più. Il maledetto in discesa mi riprende e rinizio a raccontarmi scuse. Valuto seriamente di fermarmi al ristoro per aspettare Raffaele e penso ad altre cose ridicole a cui generalmente mi aggrappo quando mi trovo in una zona di effort in cui non sono abituato a stare. Ragiono sul fatto che è la prima volta che faccio una gara sull'ora e mezza: le campestri sono simili come tipo di sforzo ma sono molto più corte. Nel frattempo i chilometri passano e finalmente inizio a vedere il paese. Sull'ultimo strappo riprendo un tipo e lo stacco sul rettilineo finale. Traguardo, fine, casa.
Quando racconto al Micky che un paio di persone mi hanno superato in discesa mi dice che dobbiamo diminuire il volume e aumentare la forza: mi dimostro poco interessato alla cosa. Cerco di spiegargli che la priorità non sempre è migliorare e che non a tutti i problemi bisogna cercare delle soluzioni, e che preferisco divertirmi e godermi il processo senza chiedere di più alla corsa. Roby allora mi ha chiesto a cosa serva un allenatore: a migliorare, certo, ma non significa che questa sia la priorità. Non sono disposto a togliere tempo alla cosa che mi piace fare di più, e cioè correre, per fare degli esercizi orribili solo per non farmi superare da due stronzi in discesa o per correre in un'ora in meno la 100 miglia "X". Cerco di fare del mio meglio ma senza bruciare il percorso. Ho sentito spesso amici fare frasi del tipo "quest'anno voglio dare tutto quello che riesco a dare". No, non me ne potrebbe fregare di meno; preferisco arrivare tra 20 anni ancora con la voglia di correre e con qualcosa da scoprire. Non vincerò mai una 100 miglia e non sarò mai un campione, e questo è uno dei più grandi regali che il destino potesse farmi. Non devo impegnarmi a vincere niente perché semplicemente non posso farlo, così posso godermi il processo senza riempirmi la testa di aspettative e di puttanate, senza fare un wannabe e senza dover attendere le aspettative di nessuno. Posso semplicemente dare quello che ho voglia di dare nel momento in cui voglio darlo. Al 13 marzo 2024, nel TRC, sono quello che ha corso più chilometri di tutti, e forse sono l'unico che non ha ancora deciso che gara fare quest'anno. Perché non ha importanza, l'unica cosa che conta è uscire a correre, per il resto, Syrah quel che Syrah.
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO QUARTO - di Gianpiero Menniti
DOGMI
La fede cristiana vive di paradossi. Grandiosi paradossi. Dio si fa uomo e pur compiendo il sacrificio da "uomo vero" - «Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis» (Giovanni 1,14) - non scioglie la sua Assolutezza. Così, Maria, madre vergine, partorisce il "Figlio", del quale intuisce la sofferenza cui è destinato. Paradossi. Come lo è la fede nell'assunzione di Maria in Paradiso, corpo, come è accaduto per il corpo di Gesù, risorto. Dogmi di fede. Ma fede e ragione non sono in conflitto nell'esperienza concettuale dell'Occidente cristiano: sono fiori intrecciati sul terreno della conoscenza. Poiché la conoscenza è quanto s'imponga al cristiano insoddisfatto di ogni "superstizione" (super-stare, stare al di sopra) e che voglia indagare una fede che pur mai sarà, nel corso della vita, perfetta conoscenza del divino, come già insegnava Tommaso d'Aquino. La ricerca del fine ultimo è sempre ricerca "metafisica". Qui, il punto d'incontro: anelito che fonda lo spirito filosofico e teologico dell'Europa e del nostro essere tutti espressione e testimonianza antropologica dell'evento cristiano. Evento che possiede nel suo più profondo significato, il segno dell'Amore capace di vincere anche l'onnipotenza, l'assolutezza, la trascendenza, la separazione dal sacro. Tutta la "Commedia" dantesca ha il suo centro in questo concetto. Ed è in questo solco che occorre considerare anche l'assunzione della Vergine, corpo offerto all'Amore, corpo che in nome dell'amore non si dissolve, corpo che giunge a vedere «L'amor che move il sole e l'altre stelle» (Dante Alighieri, Commedia, Paradiso, XXXIII, v. 145). Dogmi dell'Amore.
- Antonio Allegri detto il "Correggio" (1489-1534): "Assunzione delle Vergine", 1524-1530, particolare, Cupola del Duomo di Parma - In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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Uno sciame di missili come stelle cadenti nel cielo di Gerusalemme. Khamenei rivendica: “La città sarà musulmana”
GERUSALEMME — Sulla cupola più sacra, la pioggia di ferro è apparsa con la forma delle stelle cadenti. Luci prima silenziose e brillanti, rapide ad attraversare il cielo, ferro iraniano inseguito da ferro israeliano. Poi luci che d’un tratto sono esplose, una dopo l’altra e tutte fuori sincrono, perché il boato arrivava con un ritardo di sette-otto secondi: il tempo per l’onda d’urto di toccare…
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lamilanomagazine · 9 months
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Lecco, su Rai 1 “La Stella di Natale” ad "A Sua immagine"
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Lecco, su Rai 1 “La Stella di Natale” ad "A Sua immagine"  Il Planetario inaugura il nuovo anno con una passerella su Rai Uno e un ricco programma. Sabato 6 ad “A Sua immagine” verrà infatti trasmesso il servizio girato da Mariantonietta Fiordalisi lo scorso 29 dicembre sul format del Planetario civico di Lecco “La Stella di Natale”, che riprenderà domenica 7 gennaio alle ore 16. Riprendono con gennaio anche le conferenze del venerdì: il 12 Cecilia Corti accompagnerà il pubblico alla scoperta del cielo invernale attraverso racconti e miti. Imperdibile la proposta di venerdì 19 con il ritorno attesissimo di uno dei più accreditati cacciatori di bufale a livello internazionale, Paolo Attivissimo. Parlerà degli inganni di cui è spesso preda la nostra mente quando ricostruisce ed evoca fatti, con particolare riferimento agli avvistamenti Ufo e alle dichiarazioni sulle pseudoscienze: esperimenti pratici mostrano infatti quanto siano ingannevoli le percezioni umani (vista, udito, tatto, comprensione dei numeri e delle grandezze fisiche) e permettono di conoscere meglio la nostra mente e diventare osservatori più precisi, imparziali e razionali. Venerdì 26 Davide Donato, ricercatore lecchese e in passato direttore scientifico del Planetario, racconterà la sua esperienza personale alla Nasa, mentre i sabati dei bambini avranno due appuntamenti: il 6 gennaio, giorno della Befana, con la proiezione Stelle, incenso e mirra, alle 15 e alle 16.30 dedicata ai Re Magi e alle festività. E il 27, alle stesse ore, con Gruby il maialino spaziale. Domenica 21 lo spettacolo in cupola sarà intitolato “Vibrazioni e respiri dell'universo”: un'occasione unica durante la quale al cielo stellato farà da cornice la suggestione delle campane tibetane, in collaborazione con Sara Ravagnan e Odaka Yoga Lecco. Domenica 14 e domenica 28, alle ore 16, ci sarà la tradizionale proiezione in cupola sul cielo del mese, mentre lunedì 29 inizierà il corso base in sette serate (più una di osservazione) per chi vuole avvicinarsi al mondo dell’astronomia. A condurlo sarà Loris Lazzati. Per tutte queste iniziative è necessario prenotarsi dal sito, dove è possibile trovare anche ulteriori informazioni, nonché i costi.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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personal-reporter · 1 year
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Come stelle in terra nel Duomo di Siena
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Dal 27 giugno al 31 luglio e dal 18 agosto al 18 ottobre, la Cattedrale di Siena scoprirà il suo magnifico pavimento a commesso marmoreo, frutto di cinquecento anni di espressione artistica, un viaggio simbolico alla ricerca dei più alti valori dello spirito umano, nell’evento Come stelle in terra. Il prezioso tappeto di marmi senese è unico, non solo per la tecnica utilizzata, ma per il messaggio delle figurazioni, un invito alla sapienza, a partire dalle navate con i protagonisti del mondo antico, scarmigliate sibille e filosofi, fino ai soggetti biblici sotto la cupola, nel presbiterio e nel transetto; un viaggio simbolico alla ricerca dei più alti valori dello spirito umano. Questo è il risultato di un complesso programma iconografico realizzato attraverso i secoli, a partire dal Trecento fino all’Ottocento, oltre cinquanta in tutto, i cui cartoni preparatori furono disegnati da artisti senesi, fra cui il Sassetta, Domenico di Bartolo, Matteo di Giovanni, Domenico Beccafumi, oltre che dal pittore umbro Pinturicchio, autore del riquadro con il Monte della Sapienza. Il percorso si apre con l’iscrizione, davanti al portale centrale, per entrare nel Virginis templum, la casa di Maria, testimonianza del legame che i cittadini senesi hanno da secoli con la loro patrona, nota come Sena vetus civitas Virginis. La Madonna si definisce come Sedes Sapientiae, sede di Sapienza e la scritta è seguita dalla tarsia con l’Ermete Trismegisto, il sapiente egiziano, il primo grande teologo dell’antichità. Seguono filosofi come Socrate e Cratete nella tarsia del Pinturicchio, Epitteto, Aristotele, Seneca ed Euripide che corredano la Ruota della Fortuna, l’itinerario biblico in cui Domenico Beccafumi, rispetto agli artisti delle precedenti generazioni, rinnova la tecnica del commesso marmoreo, come nel fregio con Mosè, dove fa scaturire l’acqua dalla roccia che si inserisce tra i due pilastri che sorreggono la cupola, verso il presbiterio. In occasione della scopertura i visitatori avranno l’opportunità di viaggiare intorno al coro e all’abside dove si conservano le tarsie lignee di Fra Giovanni da Verona, eseguite con una tecnica simile, con legni di diversi colori, raffiguranti vedute urbane, paesaggi e nature morte, armadi che mostrano gli scaffali interni con oggetti liturgici resi con abilità prospettica. L’itinerario completo permette, oltre alla visita del Pavimento in Cattedrale, quella al Museo dell’Opera in cui si potranno ammirare, nella Sala delle Statue, i mosaici con i simboli delle città alleate di Siena e le tarsie originali di Antonio Federighi con le Sette età dell’Uomo. Nella Sala dei Cartoni è visibile la celebre pianta del Pavimento del Duomo delineata da Giovanni Paciarelli nel 1884, che permette di vedere tutte le tarsie e del percorso che, dall’ingresso, conduce fino all’altar maggiore, oltre all’accesso alla Cripta, sotto il Pavimento del Duomo e al Battistero. Prenotando la visita al pavimento della Cattedrale è possibile avere l’audioguida gratuita del complesso del Duomo oppure richiedere una visita guidata e, con il QR Code presente su tutto il materiale informativo,  sarà possibile assicurarsi l’accesso alla Cattedrale, evitando le code in biglietteria, presentandosi direttamente agli accessi dei musei. In occasione della scopertura straordinaria del 2023 verrà edito da Sillabe il nuovo catalogo ufficiale del pavimento del Duomo di Siena,  Un libro di marmo. Read the full article
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vorticimagazine · 2 years
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Il GAL Hassin
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Il GAL Hassin
Vortici.it torna a parlare di Astronomia. Non tutti lo sanno, ma il cielo delle Madonie costituisce un vera e propria ricchezza ambientale, il motivo vi stupirà sicuramente.
L'osservatorio astronomico Isnello, noto come "Gal Hassin", Centro Internazionale per le Scienze Astronomiche, situato a soli 20 km dalla cittadina di Cefalù, è una struttura preziosa.
Si tratta di uno strumento per osservare e vivere il territorio in modo diverso dal solito. Le Madonie sono uno dei siti migliori per ammirare le stelle. Il cielo che si può ammirare da questo luogo va considerato una risorsa ambientale a tutti gli effetti. Per questo motivo, il Parco Astronomico Gal Hassin di Isnello rappresenta un’esperienza unica e un’occasione per vivere il territorio siciliano in modo davvero inusuale. Non dimentichiamo che questo complesso montuoso rappresenta un’oasi naturalistica e paesaggistica ed è dopo l’Etna, il più alto dell'isola. La storia del Gal Hassin: La storia di Gal Hassin, il Centro Internazionale per le Scienze Astronomiche di Isnello, inizia poco dopo la metà del secolo scorso. L’astronomia italiana pensò di dotarsi di un Telescopio Nazionale della classe di 3 metri di diametro e avviò la ricerca di una località italiana per costruire l’Osservatorio Nazionale. La scelta cadde sulla Sicilia: la sua latitudine, infatti, consente una migliore visione del cielo australe e, inoltre, essendo in mezzo al Mediterraneo, le perturbazioni, che si spostano prevalentemente da nordovest a sudest, scorrono velocemente con un moto laminare. Ci si orientò dunque verso le Madonie. Nella seconda metà degli anni Novanta il CIPE e la Regione Siciliana finanziarono uno studio di fattibilità per realizzare una struttura dedicata alla divulgazione dell’Astronomia, da realizzare sulle Madonie. Non vennero però reperiti i fondi necessari e il progetto fu messo in stand-by. Fu poi ripreso dal sindaco di Isnello Giuseppe Mogavero e subì un cambio radicale. Si pensò di suddividere il centro in due aree: una didattico - divulgativa e una esclusivamente scientifica. Venne fatta una proposta al CIPE, che accettò. Non mancarono le traversie dal punto di vista burocratico, ma alla fine si riuscì a realizzare ciò che vediamo oggi. Nel corso dell’ultimo decennio, Isnello ha visto fiorire un grande interesse per l’Astronomia. La qualità del progetto ha sollecitato le attenzioni della comunità scientifica astronomica Nazionale e Internazionale. Hanno espresso formalmente il loro interesse a riguardo: l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), l’Action Team on Near-Earth Objects (ONU), il Near-Earth Object Program Office (JPL-NASA), l’Istituto di Astronomia e Astrofisica della Eberhard Karls-Universitat di Tübingen (Germania) e il Dipartimento di Matematica, Gruppo di Meccanica Spaziale dell’Università di Pisa. Il centro d’importanza mondiale ha alle spalle un investimento di 13 milioni di euro. Dotato di apparecchiature all’avanguardia(con telescopi capaci di individuare gli asteroidi potenzialmente pericolosi per la Terra e di scovare i cosiddetti detriti spaziali), il centro è diventato uno dei più importanti Osservatori Europei oltre ad essere un polo didattico divulgativo aperto al pubblico e alle scuole. Dotato di un planetario digitale con una cupola di 10 metri di diametro, di una terrazza osservativa con copertura mobile e di due laboratori (uno astronomico all’aperto e uno solare), prevede anche spazi espositivi, aule didattiche e una struttura ricettiva da 60 posti, a tutto vantaggio delle scolaresche. Nello specifico, si tratta di un ampio complesso che comprende: • una stazione osservativa con telescopio riflettore a grande campo, che ha reso questo luogo la stazione osservativa più alta d’Italia a 1865 metri sul livello del mare; • una stazione operativa per il controllo remoto del telescopio con laboratori ottici ed elettronici che si occupano delle attività di ricerca astronomica; • una struttura destinata alla divulgazione e alla didattica presso il comune di Isnello, in Contrada Fontana Miri. Il Polo didattico - divulgativo: Il Polo, nei pressi di Isnello in Contrada Fontana Miri, è costituito da: • un planetario digitale con cupola di 10 m di diametro; • una terrazza osservativa a copertura mobile con 12 strumenti di osservazione; • una struttura museale e aule didattiche; • un radiotelescopio; • un laboratorio solare e un set di spettroscopia; • un laboratorio astronomico all’aperto con diversi orologi solari(es. meridiana equatoriale, rosa dei venti), parabole acustiche e un mappamondo monumentale. Certamente si tratta di un’esperienza unica e imperdibile da vivere all’interno del Parco delle Madonie, per conciliare la ricerca scientifica alla moderna divulgazione delle scienze astronomiche e godere della vista delle stelle a cielo aperto, immersi nella natura incontaminata del luogo. Infine un’ultima curiosità GAL sta per Galassia mentre Hassin è l’antico nome che gli arabi, ai tempi della loro dominazione, dettero a Isnello: significa torrente freddo. Immagine di copertina: - Osservatorio Astronomico GAL Hassin (Siciliante) Read the full article
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Castellamare nacque sul Colle del Telegrafo sul quale successivamente venne edificato un castello appunto Castell a Mare.
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Di qui passò Vittorio Emanuele II per raggiungere Garibaldi.
Pochi anni dopo lo stesso Re Vittorio Emanuele II inaugurò la nuova Tratta ferroviaria della linea adriatica.
Grazie al treno iniziò ad arrivare gente che pian piano popola la città.
Nasce Castellamare Marina costruita come una città giardino (particolarità: case basse)
Il Fondatore di Castellamare fu Leopoldo Muzii.
Al 1807 risale la separazione di Pescara da Castellamare.
Solo successivamente venne realizzata a Pescara la stazione ferroviaria Porta Nuova che comunque restava secondaria rispetto a quella di Castellamare.
Molto rinomato ed importante fu il Treno chiamato "La Valigia delle Indie" su cui viaggiarono personaggi di grande calibro come Gandhi e Churchill ed è anche il treno preso da Phileas Fogg per realizzare il famoso viaggio del mondo in 80 giorni.
Nel 1953 Castellamare venne bombardata.
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Castellamare era una città commerciale tant'è che vanne edificata una villa in stile liberty ma con locali adibiti al commercio, inoltre Piazza Sacro Cuore nasce proprio come piazza del mercato, dove appunto ogni giorno c'era il mercato.
Venne edificato il Banco di Napoli.
L'unica Chiesa era la Cappella dei Gentilizi di Muzi, poi venne costruita la Chiesa del Sacro Cuore senza il campanile perché essendo troppo alto avrebbe rovinato l'idea della città giardino.
Il Bar Cafè Ideale era il ritrovo dei giovani, detti i vitelloni.
C'era il cinema Excelsior costruito con una cupola che si apriva per poter vedere il film sotto le stelle, un altro aspetto particolarmente importante legato a questo cinema che oggi non c'è più, è che qui venne utilizzato uno dei primi cinematografi acquistati dagli stessi Fratelli Lumière.
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Sorse la necessità dopo i bombardamenti di ripartire con il Gran Premio denominato Coppa Acerbo (attuale Formula 1) e tra le automobili più importanti spiccava l'Alfa Romeo.
I grandi automobilisti alloggiavano in Grandi Hotel come Palace Riviera oggi Hotel Esplanade, attualmente abbandonato.
Gli amici a Pescara si davano appuntamento all'Elefante opera del 1969 di Vicentino Michetti realizzato in calcestruzzo.
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Via della Marina collegava Castellamare a Borgo Marino, al lato opposto invece c'era e c'è ancor oggi Viale dei Pini, nome dato per via dei Pini che costeggiano la strada.
Pescara era considerata la Perla d'Abruzzo anche per via del fattore estetico e della presenza di tanta vegetazione tra cui moltissimi Platani Orientali.
Nasce nel 1947 Piazza della Rinascita, attuale Piazza Salotto, chiamata così perché rinchiusa dai palazzi tra i quali Palazzo Arlecchino e Palazzo Muzii con le sue gigantesche colonne costruito a scopo commerciale.
Piazza Salotto per molto tempo presentava anche una scultura denominata "Grande Calice di Vino" il cui progetto venne realizzato da un importante architetto giapponese, Toyoo Itō, esponente dell'architettura cosiddetta invisibile. Ma per risparmiare l'incarico di realizzare l'opera venne affidato ad una ditta di Pomezia che la realizzò diversamente rispetto al progetto giapponese rovinandola sia sotto l'aspetto del risultato estetico che sotto l'aspetto della stessa solidità della scultura.
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Da un lato c'era un circolo di tennis costruito in stile liberty, dall'altro lato c'era il Padiglione Marino, che era una struttura pubblica di ritrovo della borghesia europea, dove oggi si trova la Nave di Cascella c'era il Monumento ai caduti e affianco dove ora c'è (ahimè) un McDonald c'era il primo stabilimento elioterapico di Pescara, poi il Gabbiano primo stabilimento balneare come lo si intende oggi, infatti prima sulla spiaggia non c'era nulla, tutto era incentrato su delle palafitte ed un ponticciolo in legno e affianco vi era lo spazio per le cabine, mentre al centro c'era una struttura circolare che fungeva da attuale bar dello stabilimento.
Tra gli stabilimenti balneari storici ancora esistenti abbiamo la Sirenetta, Venere, Miramare e Saturno della leggendaria Grazia la Marinara.
Nel 1966 un bagnino di nome Eliberto comprò uno stabilimento e introduce delle novità che ancora oggi ritroviamo:
- lascia nella notte gli ombrelloni sulla spiaggia
- introduce una terrazza allo stabilimento che rimane aperto anche la sera
- introduce le sedie di plastica che si possono portare in mezzo al mare
- introduce le palme.
Viene ridisegnata quindi la riviera pescarese.
Nemici storici degli stabilimenti erano i cosiddetti fagottari, cioé gente che veniva dalle campagne senza spendere nulla.
Teofilo Pomponi comprò il Padiglione Marino facendone un teatro importantissimo che successivamente fungerà anche da cinema in cui venne proiettato il primo film sonoro .
Al Teatro Pomponi si esibirono attori molto celebri come Totò e Peppino e Macario.
Ora (ahimè) di questo storico edificio non troviamo più nulla, è stato abbattuto e trasformato in un parcheggio.
La Chiesa in stile contemporaneo contiene le ultime sculture di Cascella tra le quali all'esterno la Croce simboleggiante l' abbraccio di Dio. Attorno alla Chiesa c'era l'acqua per rappresentare il distacco dal mondo come un isola in mezzo al mare. Al suo interno il soffitto è in legno e rievoca le assi in legno del ponte di una nave viste dalla stiva. La luce, oltre a penetrare dalle vetrate colorate, cade dall'alto, come sull'altare.
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Ecco la scultura realizzata da Pietro Cascella: la Nave di Cascella.
Questa scultura-fontana simboleggia Pescara come una città di approdi, infatti la nave a remi arriva da lontano dal mare e la pietra viene lavorata come a rappresentare la nave che smuove l'acqua. Questa nave trasporta i simboli di tutte le arti e di tutte le scienze e scarica tutti questi simboli di conoscenza verso la città sottoforma di acqua.
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C'era un sentiero a pochi passi dal mare che era un tratturo dove si incontravano e facevano scambi pastori e pescatori.
Percorrendo questo sentiero incontriamo Villa Selecchi al cui fianco è stato realizzato il Parco Florida. All'interno del parco si praticava tennis, vi era un' area concerti importante ed il sabato si ballava.
Si conclude questo viale con la Chiesa di S.Antonio nel quartiere dei ferrovieri e quindi di case popolari.
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Svoltando l'angolo e proseguendo la camminata si raggiunge il Parco Sabucchi dove in origine c'era la Villa Coppa, poi Villa Sabucchi e oggi solo il parco con qualche rudere.
La villa era in stile romantico e presenza tipica di questa architettura era la torre che però, a differenza delle case liberty, era staccata dalla struttura della villa.
Sono rimaste le scuderie e la casa dello stalliere, oggi adibite a pizzeria, e in fondo al parco alcuni ruderi del corpo centrale della villa in cui soggiornò anche Vittorio Emanuele II.
Scendendo la scalinata della villa si percorreva un unico viale di pini che portava fino al mare.
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Percorrendo il viale Bovio si raggiunge quello che in origine era il palazzo del Municipio spostata qui da Leopoldo Muzii, oggi adibito a conservatorio. Qui si facevano le feste importanti.
Di proprietà dello stesso sindaco Muzii vi erano la fabbrica di liquirizia e quella di mattoni.
D'Annunzio nella novella "la battaglia dei ponti" racconta lo scontro tra l'allora sindaco di Pescara e quello di Castellamare.
Tra le altre ville nella foto abbiamo Villa Urania, altro nome di Venere dea dell'amore puro, da dove iniziava la città giardino di Castellamare, poi Villa De Landerset oggi in stato di abbandono, Villa Muzii e la già nominata Villa Selecchi.
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ma-pi-ma · 4 years
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Qui nel fondo del Brasile profondo, una magnolia. Si alzavano come boa neri le radici, i tronchi degli alberi erano inspiegabili colonne con spine. Intorno le coppe dei manghi erano città ampie, con balconi, abitati da uccelli e stelle. Cadevano Tra le foglie cenerine, antiche chiome, fiori terribili con bocche voraci. Intorno cresceva il silenzioso terrore di animali, di denti che mordevano: patria disperata di sangue e ombra verde! Una magnolia pura, rotonda come un circolo di neve, crebbe verso la mia finestra e mi riconcilio con la bellezza. Tra le sue lisce foglie - ocra e verde – chiusa, era perfetta come un uovo celeste, aperta era la pietra della luna, afrodita fragrante, pianeta di platino. I suoi grandi petali mi ricordarono le lenzuola della prima luna innamorata, e il suo pistillo eretto era torre nuziale delle api. Oh bianchezza fra tutte le bianchezze, magnolia immacolata, amore splendente, odore di neve bianca con limoni, segreta segretaria dell’aurora, cupola dei cigni, apparizione raggiante! Come cantarti senza toccare la tua pelle purissima, amarti solamente al piede della tua bellezza, e portarti addormentata nell’albero della mia anima, splendente, aperta, abbagliante. sopra la selva oscura dei sogni! Pablo Neruda, Ode alla magnolia
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tuchiamamicomevuoi · 4 years
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La luna di pomeriggio nessuno la guarda, ed è quello il momento in cui avrebbe più bisogno del nostro interessamento, dato che la sua esistenza è ancora in forse. E' un'ombra biancastra che affiora dall’azzurro del cielo, carico di luce solare; chi ci assicura che ce la farà anche stavolta a prendere forma e lucentezza? E' così fragile e pallida e sottile; solo da una parte comincia ad acquistare un contorno netto come un arco di falce, e il resto è ancora tutto imbevuto di celeste. E' come un’ostia trasparente, o una pastiglia mezzo dissolta; solo che qui il cerchio bianco non si sta disfacendo ma condensando, aggregandosi a spese delle macchie e ombre grigiazzurre che non si capisce se appartengano alla geografia lunare o siano sbavature del cielo che ancora intridono il satellite poroso come una spugna.
In questa fase il cielo è ancora qualcosa di molto compatto e concreto e non si può essere sicuri se è dalla sua superficie tesa e ininterrotta che si sta staccando quella forma rotonda e biancheggiante, d’una consistenza ancora più solida delle nuvole, o se al contrario si tratta d’una corrosione del tessuto del fondo, una smagliatura della cupola, una breccia che s’apre sul nulla retrostante. L’incertezza é accentuata dall'irregolarità della figura che da una parte sta acquistando rilievo (dove più le arrivano i raggi del sole declinante), dall’altra indugia in una specie di penombra. E siccome il confine tra le due zone non è netto, l’effetto che ne risulta non è quello d’un solido visto in prospettiva ma piuttosto d’una di quelle figurine delle lune sui calendari, in cui un profilo bianco si stacca entro un cerchietto scuro. Su questo non ci sarebbe proprio nulla da eccepire, se si trattasse d’una luna al primo quarto e non d’una luna piena o quasi. Tale essa infatti sta rivelandosi, man mano che il suo contrasto col cielo si fa più forte e la sua circonferenza si va disegnando più netta, con appena qualche ammaccatura sul bordo di levante.
Bisogna dire che l’azzurro del cielo ha virato successivamente verso il pervinca, verso il viola (i raggi del sole sono diventati rossi), poi verso il cenerognolo e il bigio, e ogni volta il biancore della luna ha ricevuto una spinta a venir fuori più deciso, e al suo interno la parte più luminosa ha guadagnato estensione fino a coprire tutto il disco. E' come se le fasi che la luna attraversa in un mese fossero ripercorse all’interno di questa luna piena o luna gobba, nelle ore tra il suo sorgere e il suo tramontare, con la differenza che la forma rotonda resta più o meno tutta in vista.In mezzo al cerchio le macchie ci sono sempre, anzi i loro chiaroscuri si fanno più contrastati per rapporto alla luminosità del resto, ma ora non c'è dubbio che è la luna che se li porta addosso come lividi o ecchimosi, e non si può più crederli trasparenze del fondale celeste, strappi nel manto d’un fantasma di luna senza corpo. Piuttosto, ciò che ancora resta incerto è se questo guadagnare in evidenza e (diciamolo) splendore sia dovuto al lento arretrare del cielo che più s’allontana più sprofonda nell'oscurità, o se invece è la luna che sta venendo avanti raccogliendo la luce prima dispersa intorno e privandone il cielo e concentrandola tutta nella tonda bocca del suo imbuto. E soprattutto questi mutamenti non devono far dimenticare che nel frattempo il satellite è andato spostandosi nel cielo procedendo verso ponente e verso l’alto.
La luna è il più mutevole dei corpi dell’universo visibile, e il più regolare nelle sue complicate abitudini: non manca mai agli appuntamenti e puoi sempre aspettarla al varco, ma se la lasci in un posto la ritrovi sempre altrove, e se ricordi la sua faccia voltata in un certo modo, ecco che ha già cambiato posa, poco o molto. Comunque, a seguirla passo passo, non t'accorgi che impercettibilmente ti sta sfuggendo. Solo le nuvole intervengono a creare 1’illusione d’una corsa e d’una metamorfosi rapide, o meglio, a dare una vistosa evidenza a ciò che altrimenti sfuggirebbe allo sguardo.
Corre la nuvola, da grigia si fa lattiginosa e lucida, il cielo dietro è diventato nero, è notte, le stelle si sono accese, la luna è un grande specchio abbagliante che vola. Chi riconoscerebbe in lei quella di qualche ora fa? Ora è un lago di lucentezza che sprizza raggi tutt'intorno e trabocca nel buio un alone di freddo argento e inonda di luce bianca le strade dei nottambuli. Non c'è dubbio che quella che ora comincia è una splendida notte di plenilunio d’inverno. A questo punto, assicuratosi che la luna non ha più bisogno di lui, il signor Palomar torna a casa.
(Italo Calvino, da "Palomar": Luna di pomeriggio)
nell'ansia del momento ho trovato un bel brano. mi piace.
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO QUARTO - di Gianpiero Menniti 
DOGMI
La fede cristiana vive di paradossi. Grandiosi paradossi. Dio si fa uomo e pur compiendo il sacrificio da "uomo vero" - «Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis» (Giovanni 1,14) - non scioglie la sua Assolutezza. Così, Maria, madre vergine, partorisce il "Figlio", del quale intuisce la sofferenza cui è destinato. Paradossi. Come lo è la fede nell'assunzione di Maria in Paradiso, corpo, come è accaduto per il corpo di Gesù, risorto. Dogmi di fede. Ma fede e ragione non sono in conflitto nell'esperienza concettuale dell'Occidente cristiano: sono fiori intrecciati sul terreno della conoscenza. Poiché la conoscenza è quanto s'imponga al cristiano insoddisfatto di ogni "superstizione" (super-stare, stare al di sopra) e che voglia indagare una fede che pur mai sarà, nel corso della vita, perfetta conoscenza del divino, come già insegnava Tommaso d'Aquino. La ricerca del fine ultimo è sempre ricerca "metafisica". Qui, il punto d'incontro: anelito che fonda lo spirito filosofico e teologico dell'Europa e del nostro essere tutti espressione e testimonianza antropologica dell'evento cristiano. Evento che possiede nel suo più profondo significato, il segno dell'Amore capace di vincere anche l'onnipotenza, l'assolutezza, la trascendenza, la separazione dal sacro. Tutta la "Commedia" dantesca ha il suo centro in questo concetto. Ed è in questo solco che occorre considerare anche l'assunzione della Vergine, corpo offerto all'Amore, corpo che in nome dell'amore non si dissolve, corpo che giunge a vedere «L'amor che move il sole e l'altre stelle» (Dante Alighieri, Commedia, Paradiso, XXXIII, v. 145). Dogmi dell'Amore.
Antonio Allegri detto il "Correggio" (1489-1534): "Assunzione delle Vergine", 1524-1530, particolare, Cupola del Duomo di Parma
In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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Tirolo: experience room e tante novità per gli sciatori
Your Dome Tirol – Nel 2001 è stato inaugurato il planetario di Schwaz in Tirolo in un edificio di nuova costruzione. Da oltre 20 anni, i visitatori possono godere di vari spettacoli sul tema delle stelle e dello spazio. Ora, con la conversione in Your Dome Tirol, una visione è diventata realtà: con la trasformazione in una cupola avventura con una cupola convertibile a 360 gradi, i visitatori…
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lamilanomagazine · 11 months
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Lecco: presentate le attività spaziali del gruppo astrofili Deep Space per il mese di novembre.
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Lecco: presentate le attività spaziali del gruppo astrofili Deep Space per il mese di novembre. Il Planetario civico di Lecco propone, anche per il mese di novembre, un ricco e variegato calendario di appuntamenti, che spaziano tra buchi bianchi, miti e misteri sull'esistenza dell'universo. L'iniziativa speciale di questo mese è il corso "Osservare e fotografare il cielo", rivolto a chiunque voglia avvicinarsi all'astronomia pratica e gestito da Natale Bugada. Le lezioni si terranno dal 9 al 30 novembre, per quattro giovedì, alle 21. Le prime due serate saranno dedicate all'uso dei telescopi, le altre due alla fotografia astronomica. L'iscrizione può essere effettuata sia per l'intero corso e sia per una delle due parti. Il costo è di 30 euro per due serate e di 50 euro per quattro. Come di consueto, tutte le conferenze del venerdì inizieranno alle 21. Si inizierà domani, venerdì 3 novembre, con Cecilia Corti con una proiezione in cupola sulle stelle e i miti del cielo autunnale. La stagione è dominata dalle costellazioni dedicate alla leggenda di Perseo e Andromeda, ma la serata permetterà agli utenti di viaggiare anche attraverso racconti originari da tutto il mondo, con alcuni approfondimenti sugli astri più rilevanti e le regioni del cielo più remote. Il 10 novembre l'astronomo Stefano Corvino racconterà l'origine dei buchi bianchi, imbuti gravitazionali che funzionano in maniera contraria ai buchi neri. Il tema è in auge dalla pubblicazione del best seller "Buchi bianchi" di Carlo Rovelli. Venerdì 17 si esulerà dal campo astronomico con Pietro Vassena, creatore di invenzioni per l'esplorazione delle profondità marine e lacustri. A condurre la serata sarà il giornalista Stefano Bolotta, autore del documentario che ha riscoperto la figura di Vassena. Infine, il 24 novembre il docente dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca e astronomo dell'osservatorio Brera-Merate Gabriele Ghisellini parlerà del Big Bang e cercherà di rispondere al motivo della nascita dell'universo. Sabato 18 novembre si potrà osservare il cielo con i telescopi del gruppo dal piazzale di partenza della funivia dei Piani d'Erna. In questo caso, oltre al biglietto normale, sarà disponibile anche l'agevolazione del biglietto family. Torna il "Sabato dei bambini" il 4 novembre con il Piccolo Principe, mentre il 18 novembre ci sarà Gruby il maialino spaziale. Entrambi avranno la consueta doppia proiezione alle 15 e alle 16:30 e sono consigliati ai bambini d'età dai 4 ai 7 anni. Il biglietto, in questo caso, è ridotto per tutti. Ogni domenica alle 16 si terranno le proiezioni in cupola sul cielo del mese, con l'eccezione di domenica 12 nella quale la proiezione è fissata alle 10, per evitare la sovrapposizione con la partita casalinga del Lecco. Gli eventi prevedono l'ingresso al costo ridotto di 4 euro o intero di 6 euro. Per maggiori informazioni e iscrizioni è possibile visitare il sito deepspace.it.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Un po’ di poesia
Non solo un mondo come quello di oggi, prosaico e materialista, richiede a gran voce la necessità di elevare lo spirito con i versi, ma il numero stesso dei prestiti di libri di poesia, decisamente alto, ci incoraggia a scrivere su questo argomento. Naturalmente ci limiteremo a poche strofe e pochi autori, soprattutto contemporanei, per lasciare parlare i versi, molto più incisivi e attraenti.
D’accordo con Giovanni Pascoli, “Il ricordo è poesia, e la poesia non è se non ricordo”; su questo tema citerei le terzine finali del sonetto (tratto dalla raccolta Dalla cripta, 2019) di uno dei più amati poeti dei nostri tempi, il milanese Michele Mari:
Passati invece siamo di diritto, passanti un giorno e trapassati poi senza tensione, senza più tragitto;
frammenti di memoria, noi e voi, precipiti nel nulla a capofitto perché il passato è tutto, e siamo suoi.
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Veramente da consigliare questo libro, apice del percorso non solo poetico (ricordiamo il fortunato romanzo del 2016 Io venia pien d’angoscia a rimirarti) dell’autore, che scrive sonetti in omaggio a Dante, Petrarca, Foscolo, per rivisitarli e farli rivivere in chiave moderna e autobiografica, carmi erotici “secondo il modello comico-realistico, scherzi, poesie d’occasione e persino un poema incentrato su un giocatore del Milan degli anni Ottanta (Mark Hateley)”. Ma il vezzo di richiamare altri poeti (l’arte ispira arte, lo sappiamo bene) alimentava anche la bellissima raccolta del 2007 Cento poesie d’amore a Ladyhawke, in cui l’autore segue, con spietata e accanita precisione tutti i passi di una travagliata storia d’amore, dai promettenti inizi, alla triste conclusione, in un percorso di forte passione:
Verrà la morte e avrà i miei occhi ma dentro ci troverà i tuoi
Ispirato a “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Cesare Pavese.
Tu non ricordi ma in un tempo così lontano che non sembra stato ci siamo dondolati su un’altalena sola
Che non finisse mai quel dondolio fu l’unica preghiera in senso stretto che in tutta la mia vita io abbia levato al cielo
Come un serial killer faccio pagare alle altre donne la colpa di non essere te
Sei venuta a vedere per la prima volta l’università dove insegno e dove ho studiato il giorno stesso in cui mi hai detto addio
Non altrimenti l’assassino fruga nel portafoglio della vittima per saperle un nome che ne renda più domestico il fantasma
Di Erich Fried (Vienna 1921-Londra 1988) vi proponiamo una poesia dalla raccolta È quel che è. Poesie d’amore di paura di collera:
È assurdo dice la ragione È quel che è dice l’amore
È infelicità dice il calcolo Non è altro che dolore dice la paura È vano dice il giudizio È quel che è dice l’amore
È ridicolo dice l’orgoglio È avventato dice la prudenza È impossibile dice l’esperienza È quel che è dice l’amore
E cos’è la poesia se non estrema capacità di sintesi, distillato espressivo di profondi contenuti (“M’illumino d’immenso” di Ungaretti), manifestazione di sentimenti universali al punto che pare scritta proprio per noi, sembra saper esternare con parole sublimi i nostri più intimi pensieri. Infatti: “La poesia è l’intera storia del cuore umano su una capocchia di spillo” (William Faulkner); “La poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere” (Italo Calvino).
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Questo tema ci offre lo spunto per introdurre una delle più grandi e amate poetesse italiane, la milanese Alda Merini, di cui proprio quest’anno ricorre il decennale dalla scomparsa:
Le più belle poesie si scrivono sopra le pietre coi ginocchi piagati e le menti aguzzate dal mistero. Le più belle poesie si scrivono davanti a un altare vuoto, accerchiati da argenti della divina follia.
E ancora:
I poeti lavorano di notte quando il tempo non urge su di loro, quando tace il rumore della folla e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio come falchi notturni od usignoli dal dolcissimo canto e temono di offendere iddio ma i poeti nel loro silenzio fanno ben più rumore di una dorata cupola di stelle.
Per conoscere le molte iniziative che il Comune di Milano le ha dedicato, rinviamo a questo sito.
Sono così io. Certe volte spiaggia sperduta e solitaria. Altre volte mare in tempesta e strillante. Certe volte isola deserta e silenziosa. Altre volte oceano che abbraccia il mondo.
Ecco i versi scherzosi di Toti Scialoja, buoni per ogni occasione, ricchi di giochi di parole e onomatopee.
Contro il bullismo:
Se lo squalo va alla scuola c’è un maestro che si sgola.
Contro la caccia:
In gergo, ma a garbo, mi disse lo smergo: «Mi immergo? Ergo sum! Riemergo? Pum! Pum!»
Manzoniano:
C’è un ramo che sporge sul lago di Como, sospeso a quel ramo un ragno si specchia nel lago ma l’onda morente di un remo increspa, col ragno, nel lago quel ramo del lago di Como.
Metalinguistico:
Vidi l’ape e là per là seppi dirle: «Oh, vera perla!» Mi rispose: «Come fa questa iperbole a saperla?»
Talmente bella è questa poesia di Raffaele La Capria che Mondadori la propone sul risguardo di copertina dei libri della collana Libellule:
Libellula, chi ti diè questo nome? Chi scelse la successione musicale delle labiali, li-bel-lu-la, come note uscite dai tasti di un pianoforte? Due grandi e colorate ali trasparenti, tremule e trepide, quelle sei tu. E tanto alata sei che quando sorvoli le acque stagnanti e l’erbe dei prati di te solo le ali si vedono, velate veline di seta lucente. A volte ti fermi nell’aria, tu, senza peso e imponderabile, leggera aligera. Se lieve sulla pista di ghiaccio io vedo una fanciulla che forma aeree figure danzanti, e sicura volteggia, salta, si leva e atterra, è a te che penso, a te paragono la sua leggerezza. “Come una libellula” vuol dire una controllata eleganza in una liberata energia. E controllata eleganza e liberata energia, come la tua, cerca nelle sue frasi lo scrittore mentre vola la sua fantasia e a volte si ferma – come fai tu – e a volte arretra – come fai tu –, sospeso anche lui e oscillante, accampato a mezz’aria. Libellula, bella libellula, dai a lui le tue ali.
Da Animali in versi di Franco Marcoaldi, ecco questa poesia sugli animali domestici, tema a lui molto caro:
Se aveste mai dormito con un gatto o un cane adagiato sopra al grembo, ora sapreste che la metamorfosi è possibile, che uomo e gatto e cane sono entità volatili e cangianti: nel sonno condiviso scompaiono le stinte gerarchie tra cavalieri e fanti.
Da Marciapiede con vista di Filippo Strumia:
Non posso dire adesso senza averne nostalgia.
Forse il poeta si riferisce a un eccesso di intellettualismo o a una mancanza di spontaneità che gli impedisce di godere a pieno il momento, con inconsapevolezza, e di abbandonarsi completamente ad esso.
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Concludiamo con una lirica civile (non poteva essere diversamente nel caso di Bertolt Brecht) che dovrebbe affratellare, perché, come dice Pablo Neruda, “La poesia è un atto di pace”:
Mi fai spuntare le lacrime, fratello, vedo che la tua vita non è allegra. Ecco una mela: io ne possiedo tre, perciò una la regalo a te. Non ci vedo niente di eccezionale: e l’uno e l’altro possiamo vivere. Solo i semi, promettimelo, avido non inghiottirli, sputali invece a terra prima che mi allontani. E se poi cresce un melo dentro il mio campicello vieni a prenderti i frutti: è il tuo albero quello.
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la capitale (pt.2)
Il tumulto si spense immediatamente e tutti cercarono di aiutarsi l’un l’altro. Poi i garbugli furono sgarbugliati, il Gran Mogol, sporchissimo, si ripulì e la testa del Brahmano venne rimessa a posto. E quindi riprese l’allegro clamore.
“Mio buon signor Drosselmeier, cos’è questa storia del pasticciere?”, domandò Marie.
“Mia cara signorina Stahlbaum”, rispose lo Schiaccianoci, “Pasticciere è il nome che diamo a un potere sconosciuto ma terrificante che secondo noi può fare qualsiasi cosa a un essere umano. È la minaccia che pende su questa nazione piccola e allegra. E questa piccola nazione ne ha talmente tanta paura che basta pronunciarne il nome per placare i tumulti peggiori, come ha appena dimostrato il sindaco. Allora ognuno smette di pensare alle cose materiali, come spintoni nei fianchi e botte in testa. Invece si ritrae in se stesso e dice: ‘Che cos’è l’uomo? E cosa può esserne di lui?’”
Marie non poté trattenere un’esclamazione di ammirazione, anzi, di estremo stupore. Improvvisamente si ritrovò davanti a un castello rosa tutto luccicante con aeree torrette rosa. Ma qua e là sulle mura erano sparsi odorosi bouquet di violette, narcisi, tulipani e garofani. E i loro colori scuri, intensi erano semplicemente abbacinanti quando facevano risaltare la tinta rosea contro lo sfondo bianco. L’ampia cupola della costruzione centrale e i tetti a piramide delle torrette, erano cosparsi da migliaia di scintillanti stelle d’oro e d’argento. “Siamo davanti al Castello di Marzapane”, disse lo Schiaccianoci.
Marie era totalmente assorta dalla visone di quel palazzo incantevole, ma non le sfuggì che mancava del tutto il tetto di una delle grosse torri. Alcuni omini, appollaiati su un’impalcatura fatta di bastoncini di cannella, sembravano intenti a restaurare il tetto. Prima che lei riuscisse a chiedere qualcosa allo Schiaccianoci, lui disse:
“Non molto tempo fa questo bel castello venne minacciato di distruzione, se non addirittura di totale devastazione. Arrivò il Gigante Dentidolci e morsicò quel tetto, e stava già per mangiare la cupola. Però gli abitanti di Feliciburgo gli portarono un intero distretto cittadino, più una notevole porzione del Bosco di Marmellate, come tributo. Lui li mangiò e andò via.”
Nello stesso istante si sentì una musica dolcissima e piacevole, i cancelli del castello si aprirono e uscirono dodici paggi che portavano tra le manine dodici steli di trifoglio come lanterne. I paggi avevano una perla come testa, il corpo fatto di rubini e smeraldi e camminavano su piedini bellissimi fatti di oro lavorato. Erano seguiti da quattro dame grandi quasi quanto la Clara di Marie, ma così elegantemente lustre e splendide che Marie non poté non riconoscerle all’istante come principesse nate. Una di questa abbracciò teneramente lo Schiaccianoci ed esclamò, con gioia malinconica:
“Oh, mio principe! Mio caro principe! Fratello mio!”
Lo Schiaccianoci ne fu profondamente commosso. Si asciugò le copiose lacrime dagli occhi, prese la mano di Marie e disse con magniloquenza:
“Questa è la signorina Stahlbaum, la figlia di uno stimatissimo ufficiale medico, colei che mi ha salvato la vita. Se lei non avesse lanciato la scarpa al momento giusto, se non mi avesse portato la spada di un colonnello in pensione, io a quest’ora sarei nella tomba, divorato da quel maledetto Re dei Topi. Oh, la signorina Stahlbaum! È forse da meno di Pirlipat in bellezza, gentilezza e virtù, anche se lei è una principessa nata? Io dico di no!”
E tutte le dame gridarono “No!”, corsero ad abbracciare Marie e dissero: “Oh, salvatrice del nostro principesco fratello, meravigliosa signorina Stahlbaum!”
Poi le dame scortarono Marie e lo Schiaccianoci all’interno del castello, un ambiente vasto le cui mura erano fatte di cristalli scintillanti. Ma le cose che a Marie piacquero di più furono le graziose seggioline, i tavoli, le credenze e i secrétaire sparsi dappertutto. Erano fatti di legno di cedro e verzino ed erano tutti cosparsi di fiori dorati. Le principesse invitarono Marie e lo Schiaccianoci a sedersi e poi loro avrebbero preparato da mangiare. Tirarono fuori un sacco di pentolini e scodelle fatti di finissima porcellana giapponese; e poi coltelli, cucchiai, forchette, griglie, casseruole e altri attrezzi da cucina tutti fatti d’oro e d’argento. Poi portarono deliziosi frutti e dolci, come Marie non li aveva mai visti, e delicatamente spremettero i frutti con le loro manine bianche, pestarono le spezie e grattugiarono le mandorle zuccherate. In breve, sapevano cavarsela in cucina. Ed era chiaro che le principesse stavano preparando un pranzo delizioso.
Mentre comprendeva chiaramente che sapevano bene quel che facevano, Marie in segreto desiderava partecipare attivamente al lavoro delle principesse. Come se le avesse letto nella mente, la più bella tra le sorelle dello Schiaccianoci mise in mano a Marie un piccolo mortaio d’oro e le disse: “Dolcissima amica, cara salvatrice di mio fratello, mi pesti lo zucchero candito?”
Marie pestò così allegramente che il pestello suonò con la grazia e il fascino di un bel motivetto.
Lo Schiaccianoci cominciò a raccontare la sua storia, in verità dilungandosi e divagando. Raccontò della spaventosa battaglia tra il suo esercito e quello del Re dei Topi, della sua sconfitta causata dalla codardia delle sue truppe. Lo Schiaccianoci disse anche che quel repellente Re dei Topi voleva mangiarlo, e che perciò Marie aveva sacrificato alcuni dei suoi sudditi.
Durante il racconto Marie si sentì come se le sue parole e lo stesso battere del pestello si allontanassero, si facessero sempre più confusi. Ben presto Marie vide come dei veli argentei che sorgevano come leggeri sbuffi di vapore nei quali si muovevano le principesse, i paggi e lo Schiaccianoci. Sentì un canto, un ronzio, un sibilo in lontananza. E poi si sentì sollevare, come spinta dalle onde, sempre più in alto. Sempre più in alto.
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