#italianissima
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Quel garofano rosso infilato nell’occhiello
Nel maggio del 1945, quando nel mondo intero, nelle strade e nelle piazze di tutte le città liberate, si festeggiava la fine della guerra e si esultava per la Liberazione, ho vissuto i momenti più tragici e dolorosi della mia adolescenza. Avevo 14 anni.
Una cappa di terrore e di angoscia era calata sulla mia italianissima città e sulla sua italianissima gente. Ho visto colonne di finanzieri, carabinieri, soldati di tutte le armi, uomini e donne, transitare laceri, sporchi, affamati e assetati, avviati verso chissà quale destino. Erano scortati da soldataglia rozza e ignorante, con la stella rossa sul berretto e armata fino ai denti che sbraitava urlando in una lingua che non conoscevo, ma sapevo essere slava. Erano le avanguardie dell’esercito di Tito che, a marce forzate, avevano raggiunto Fiume combattendo. Tito aveva spinto le sue truppe a occupare il più presto possibile quanto più territorio italiano possibile, in quanto le sue mire espansionistiche ipotizzavano il confine tra l’Italia e la sua Jugoslavia, sull’Isonzo. Voleva Trieste, Udine, Gorizia e tutta quella parte di Venezia Giulia che lui definiva impropriamente “Slavia veneta”.
Ho saputo di “giudici popolari” semi-analfabeti che decidevano, a guerra finita, della vita e della morte di persone il cui unico delitto, molto spesso, era solo quello d’essere italiani. Condannati da tribunali del popolo costituiti in fretta e furia e composti da gente qualsiasi, purché di provata fede comunista.
I primi giorni dopo l’occupazione della mia città (il 2 maggio del 1945) con le liste di proscrizione già preparate, iniziava il calvario degli italiani. Arresti, deportazioni, infoibamenti. Anche nella mia famiglia si piange uno scomparso, prelevato la mattina del 4 maggio da casa e di cui non si è saputo più nulla. Probabilmente, come tanti altri infelici, avrà vissuto gli ultimi istanti della sua vita soffocato dall’angoscia sull’orlo di una foiba.
La guerra era finita, ma vivevamo ancora nella ristrettezza e nel terrore: parlare, lamentarsi era pericoloso, criticare il regime poteva costare la vita o la deportazione. Essere italiano era una colpa e molti, anche da me conosciuti, amici di mio padre, vicini di casa, ex questurini, impiegati pubblici, professionisti, insegnanti, vigili urbani, dipendenti comunali ecc., erano considerati èlite e quindi fascisti e nemici del popolo.
Il 1.mo maggio del 1948 mio padre decise di scendere al bar sotto casa, per trascorrere qualche momento di svago. Fu avvicinato da un individuo, palesemente ubriaco e conosciuto da tutti come uno sbandato, che gli infilò un garofano rosso nell’occhiello. Mio padre (che non volle mai iscriversi al partito fascista) non gradì il gesto di quell’individuo che fino a pochi giorni prima aveva scondinzolato dietro ai tedeschi, raccattando i loro avanzi e facendo il buffone, qual’era. Si tolse, quasi di nascosto il garofano e lo appoggiò sul tavolo. Questo gesto gli costò una denuncia e un mese di lavori forzati (denominati “lavoro rieducativo”) che scontò nel carcere cittadino, segando legna da ardere in coppia con un altro detenuto, muniti di un segaccio da boscaiolo di grandi dimensioni per dieci ore al giorno. Seppe dopo, da un vicino di casa, ufficiale della milizia popolare in quanto studente di scuola superiore, che il tribunale lo aveva accusato di “scarsa simpatia per il partito”. Se l’accusa fosse stata “nemico del popolo” avrebbe corso il rischio di finire in una foiba.
A settembre riaprirono le scuole. Avevo finito in modo fortunoso la terza d’avviamento commerciale e non potevo continuare la scuola in lingua croata. L’autorità cittadina escogitò, per noi italiani, una forma insolita: al mattino a scuola, al pomeriggio in fabbrica a lavorare. Fui mandato al Siluruficio Witheead, (vanto della mia città e del mio paese) al reparto meccanici, aggiustaggio, revisione motori, fonderia e torneria. Alla fine dell’anno 1947/48, non ebbi documento ufficiale. Solo un libro il cui retro di copertina riportava una semplice dichiarazione di frequenza.
Nevio Milinovich, esule da Fiume
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Alberto Mascioni
Letterina alla Pallavolista più amata dagli Italiani.
Gentilissima Paola Egonu,
mio malgrado, ho seguito la vicenda della Querela da Lei presentata alla Procura della Repubblica di Lucca nei confronti del Generale Roberto Vannacci.
Querela della quale la Procura stessa ha chiesto l’archiviazione e alla quale Ella si è poi opposta.
Ora, nell’attesa della decisone del GIP, pur non conoscendo il contenuto della Sua Querela, nè tantomeno avendo letto il libro del Vannacci, da ciò che si apprende dai media , Lei avrebbe querelato l’alto ufficiale per aver scritto nel suo libro che : « I tratti somatici della Egonu non rappresentano l’italianità”.
Mi perdoni ma fatico a capire cosa ci sia di diffamatorio in tale frase. Vannacci non contesta il fatto che Lei sia italianissima e abbia pieno titolo a rappresentare il nostro paese nelle manifestazioni sportive internazionali.
Il Generale scrive semplicemente una banalità e cioè che, nell’immaginario collettivo, cioè nella percezione che la maggioranza delle persone ha, a seguito di secoli di storia, lei non ha i tratti somatici tipici dell’italianità.
La stessa cosa si potrebbe dire della star sportiva del momento, di Jannik Sinner, uno che oltre al cognome non “propriamente italico” , ha i tratti somatici del fratello gemello della mitologica ragazzina svedese Pippi Calzelunghe e “parla italiano” come il Dottor Kranz , altro personaggio immaginario magistralmente interpretato dal nostro compianto connazionale, Paolo Villaggio.
Eppure anche Sinner è italianissimo come Lei e come Lei è un eccellenza del nostro paese per meriti sportivi.
Però il punto è un altro.
Pur semplificando e ammettendo la Sua tesi e cioè che il Vannacci Le abbia detto che lei non è italiana, perché di pelle scura , cioè dando per appurato che il Vannacci le avesse voluto dare “dell’africana”, della nigeriana, dove si espliciterebbe, di grazia, tale diffamazione? Mi dica?
Mi spiego. Siccome non lo capivo, mi sono andato a rileggere come il nostro Codice Penale descrive il reato di Diffamazione . Nel merito l’articolo ad esso relativo , cioè il 595, testualmente recita: «Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro».
Quindi mi faccia capire signora Egonu, Ella si sente diffamata perché il Vannacci in sostanza, le ha dato della nigeriana?
Cioè per Lei essere nigeriani (e cito il nostro Codice Penale) sarebbe un’offesa alla sua reputazione?
E poi il razzista sarebbe Vannacci?
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Si, potete bestemmiare liberamente:
Ora pensate se non fosse stata una bianchissima e italianissima imprenditrice che fine avrebbe fatto. Spoiler: non i domiciliari.
PENSA SE AVESSE VOLUTO UCCIDERE!
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Italianissima
#I’m completely in love with this photo#so soft#so beautiful#so perfect#❤️❤️❤️#stefania spampinato#leco moura
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#timothée chalamet#taylor russell#mark rylance#michael stuhlbarg#chloe sevigny#luca guadagnino#bones and all#rolling stone italia
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MI SONO APPENA MESSA AD URLARE E PIANGERE RIVEDENDO IL CAVALIERE USCURO IL RITORNO PERCHÉ ALLA FINE CIOÈ ERA ROBIN CAPITO GLI HA LASCIATO LA BATCAVERNA E POI STAVA AL BARETTO A FIRENZE CON ANNE HATHAWAY CON UNA CAMICIA ROSA ANTICO ITALIANISSIMA IL CESSO IL CAPELLO PERFETTO DIO SANTO CAZZO VAI BATMAN PORCODIO VAI CON LA FOTTUTA BATMOBILW VAI
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Questo è un migrante di successo. Solanum tuberosum. La patata.
È arrivata ai primi del Seicento dal Sudamerica, il suo nome comune viene dal quechua, la lingua degli Inca. Insieme al suo compagno di viaggio, il pomodoro, ha rivoluzionato l’alimentazione in Europa e in Italia, salvando dalla carestia milioni di persone.
Entrambi, patata e pomodoro, ci hanno messo più di un secolo per entrare nell’uso comune. All’inizio sembravano stranezze esotiche, cose mai viste e mai mangiate, forse pericolose, forse velenose. Nessuno le voleva mangiare.
Molte fonti sostengono che fu Federico il Grande, re di Prussia, a metà del Settecento, a sdoganare definitivamente la patata. Con un espediente geniale. Cominciò a coltivare patate nell’orto reale e mise guardie armate a proteggerle, così tutti cominciarono a pensare che le patate fossero preziose, un cibo da re. Di notte andavano a rubarle e impararono a mangiarle e a piantarle.
Gli agrumi invece sono arrivati dall’Asia. I romani conoscevano il cedro, il limone e l’arancio amaro, che è quello più antico. La coltivazione dell’arancio moderno, simbolo della Sicilia, viene introdotta in Europa dai portoghesi solo nel Millecinquecento. Il mandarino arriva in Italia solo nell’Ottocento.
Nei giorni scorsi ci sono state polemiche molto accese sulla cucina tradizionale italiana, sulla sua identità. Tradizione e Identità sono temi molto cari a questo governo. Come si addice a un governo nazionalista, intende battersi per l’italianità del cibo, della lingua, dei costumi, contrapposta a quelli che un progetto di legge di Fratelli d’Italia per la difesa della lingua chiama “forestierismi”. Forestiero è un termine che non sentivo da un bel pezzo. Significa: gente o roba che viene da fuori.
Eppure la patata, che fu forestiera per eccellenza, ormai è italianissima. E lo è perché l’identità e la tradizione, che sono cose importanti, mutano. Si evolvono. Si adattano. Si arricchiscono attraverso l’esperienza, la contaminazione, il cambiamento.
L’idea che l’identità, della cucina italiana come dell’Italia intera, sia qualcosa di definitivo, di cristallizzato, qualcosa che può addirittura essere stabilita per legge, non è neanche sbagliata. È insensata. È come voler mettere in un museo qualcosa di vivo. È come cercare di imbalsamare qualcosa che si muove.
Marcello Veneziani, un intellettuale di destra come ce ne sono pochi, purtroppo, dice che “la tradizione non è culto del passato, ma senso della continuità e gioia delle cose durevoli”. La definizione è bellissima. A patto che la si esponga, la gioia delle cose durevoli, al sole e al vento, la si faccia respirare, e non la si lasci ammuffire in fondo a un cassetto.
La cucina italiana, intesa come insieme di ricette, ingredienti, cultura del convivio, è una delle meraviglie del nostro Paese. Dobbiamo difenderla. Ma non la si difende trasformandola in un pezzo da museo. La si difende prima di tutto avendo cura - e questo è compito della politica - che i contadini non siano sfruttati, o derubati dalla grande distribuzione. Poi facendo attenzione a cosa mettiamo nel piatto, alla qualità degli ingredienti, alla quantità di chimica e di farmaci che rischiamo di ingoiare se non stiamo in guardia.
Io mi sento italianissimo anche quando mangio il sushi, con il quale non bevo il saké giapponese, ma Vermentino sardo, o Ribolla del Friuli. Contaminazione, appunto. La farina di insetti, criminalizzata dal governo come accadde, quattro secoli fa, alla patata, in sé non mi fa nessuna paura, è un cibo naturale quanto i gamberetti. Proteine disponibili in natura. Mi fa molta più paura avere paura dei forestieri, delle persone e delle cose che arrivano da fuori. È una paura sterile, gretta, poco vitale. Blocca lo stomaco, blocca l’appetito. Se Federico il Grande si presenta alle prossime elezioni, con la patata nel simbolo, io voto per lui.
Michele Serra
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Per chi abita in… Via delle Lame
Un tempo, prima che la Repubblica Fiorentina facesse eseguire i lavori di arginatura e le opere difensive lungo la riva del fiume, l’Arno dilagava nella campagna, si divideva formando due rami, tra i quali restava una lingua di terra, una specie di piccola isola, che prese il nome di Bisarno, che ha il significato di doppio Arno (bis-Arno). Nel terreno paludoso, l’acqua che ristagna forma pozze che sotto il sole appaiono lucenti come lame d’acciaio, ed ecco l’origine del nome Via delle Lame, che attraversa tutto il piano del Bisarno. La strada ha una storia antica, lungo il suo corso vi sono delle ville ed un Borgo esistenti fin dal Quattrocento. Diverse illustri famiglie fiorentine avevano case e terreni in questa zona, ad esempio i Cavalcanti, i Barducci, i Bardi, gli Alberti.
In Via delle Lame, all’angolo col Viuzzo che porta lo stesso nome, delle Lame, si trova una villa, che ho scoperto di recente, in quel poco tempo che il maltempo ha concesso ad una passeggiata. Sulla facciata si trova una targa, che riporta il nome “Villa Barberina”, ma in passato si chiamava l’Arnino o Villa Arnina. Mi ci è cascato l’occhio perché, sull’alto muro di cinta, si trovano a decorazione tre statue in terracotta, ed un busto.
In origine sembra si chiamasse “Il Limbo”, forse in contrasto con alcune zone limitrofe, conosciute come Inferno e Paradiso. La costruzione è di inizio Quattrocento, ed apparteneva ai Del Cappa, che avevano case in Firenze nella via che prendeva il nome dall’Albergo del Guanto; in seguito passò ai Nasi, quando nel 1491 Lionarda, vedova di Ser Niccolò del Cappa decise di vendere a Battista di Giovanni Nasi, famiglia che nella pianura di Ripoli aveva importanti possedimenti. Giusto per la cronaca, alla famiglia Nasi appartenne Bartolomea, una delle amanti di Lorenzo il Magnifico, che per lei aveva una discreta passione, nonostante non si trattasse di una donna particolarmente avvenente. Ne parleremo più diffusamente in un altro momento.
Successivamente, la proprietà della Villa passò ai Pergolini, dopo la confisca dei beni operata su un discendente della famiglia Nasi, poi ai Gherardini e, ad inizio Settecento, agli Altoviti che la ricevettero in pagamento di crediti vantati nei confronti dei Gherardini. A metà dell’Ottocento fu acquistata dallo svizzero Enrico Stupan, il titolare del Caffè Elvetico, in Mercato Vecchio, nel quale artisti di ogni genere amavano ritrovarsi: “...orefici, cesellatori, gioiellieri, gettatori di metalli, lavoratori di brillanti, scultori, modellatori, pittori sbozzatori, tutti tipi schiettamente fiorentini, tutta gente allegra, spensierata, italianissima, pronta di lingua e, capitando il bisogno, anche di mano.
Da questo caffè uscivano per il solito quei motti arguti, quegli epigrammi a due tagli e quelle satire corte e affilate, come rasoi, che passando di bocca in bocca, facevano il giro di tutte le case, di tutti i crocchi o di tutte le brigate, senza che nessuno arrivasse mai a poterne indicare con precisione il nome dell’autore: lampi spontanei e collettivi dell’antico spirito fiorentino.” (Carlo Collodi, Occhi e nasi). Il cortile della villa è rinascimentale, una volta con un portico a tre arcate, su un solo lato, che oggi risulta murato. L’alto muro su cui si trovano le statue in terracotta, delimita un giardino pensile, che mi sarebbe proprio piaciuto riuscire a vedere, ma… era troppo in alto! Bisogna accontentarsi di una veduta satellitare, anche se certo non rende l’idea… Purtroppo, l’addensarsi di nere nuvole promettenti un’altra bomba d’acqua, mi ha impedito di continuare la mia passeggiata, per ora… ma non può piovere sempre!
Gabriella Bazzani Madonna delle Cerimonie Read the full article
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https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/03/la-rabbia-fa-invecchaire-male-michelle.html Michelle Hunziker ha spiegato qual è la sua chiave per invecchiare bene. La conduttrice 47enne, mamma di tre figlie e da un anno circa anche nonna, è conosciuta per il suo aspetto da eterna ragazza. Per lei il tempo sembra essersi fermato. Così durante un’intervista con il settimanale ‘Chi’ le è stato chiesto quale sia il suo segreto per mantenere un aspetto così giovane. Michelle, nata in Svizzera ma ormai italianissima e milanesissima da decenni, ha spiegato che la gratitudine è un aspetto fondamentale per il benessere mentale e fisico. “Penso che la chiave per invecchiare bene sia la gratitudine. Se, alla sera, quando vai a letto, riesci a vedere qualcosa di bello intorno a te e sei grato, spazzi via la rabbia, la paura, quei sentimenti che fanno invecchiare”, ha fatto sapere. “La rabbia fa invecchiare male, la cattiveria fa invecchiare male”, ha sottolineato. Michelle in passato non riusciva facilmente a esprimere le sue emozioni con gli altri. Oggi questo aspetto sta cambiando. “È un lavoro che sto facendo su me stessa. Chi mi sta vicino mi chiama ‘iron woman’ perché sono sempre in tensione, ho paura che succeda qualcosa alle persone che amo. Mi creo uno scudo d’acciaio che protegge tutti e non voglio essere un peso con le mie emozioni”, ha detto. “Quando sei mamma i bambini vanno rassicurati e non appesantiti. Anche se, alla fine, non so mai cosa fare per accudire anche me stessa. Faccio analisi con una persona brava che ha l’approccio giusto e mi ha dato delle chiavi stupende. Adesso condivido di più con le persone che mi sono vicine”, ha concluso.
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Letterina alla Pallavolista più amata dagli Italiani.
Gentilissima Paola Egonu,
mio malgrado, ho seguito la vicenda della Querela da Lei presentata alla Procura della Repubblica di Lucca nei confronti del Generale Roberto Vannacci.
Querela della quale la Procura stessa ha chiesto l’archiviazione e alla quale Ella si è poi opposta.
Ora, nell’attesa della decisone del GIP, pur non conoscendo il contenuto della Sua Querela, nè tantomeno avendo letto il libro del Vannacci, da ciò che si apprende dai media , Lei avrebbe querelato l’alto ufficiale per aver scritto nel suo libro che : « I tratti somatici della Egonu non rappresentano l’italianità”.
Mi perdoni ma fatico a capire cosa ci sia di diffamatorio in tale frase. Vannacci non contesta il fatto che Lei sia italianissima e abbia pieno titolo a rappresentare il nostro paese nelle manifestazioni sportive internazionali.
Il Generale scrive semplicemente una banalità e cioè che, nell’immaginario collettivo, cioè nella percezione che la maggioranza delle persone ha, a seguito di secoli di storia, lei non ha i tratti somatici tipici dell’italianità.
La stessa cosa si potrebbe dire della star sportiva del momento, di Jannik Sinner, uno che oltre al cognome non “propriamente italico” , ha i tratti somatici del fratello gemello della mitologica ragazzina svedese Pippi Calzelunghe e “parla italiano” come il Dottor Kranz , altro personaggio immaginario magistralmente interpretato dal nostro compianto connazionale, Paolo Villaggio.
Eppure anche Sinner è italianissimo come Lei e come Lei è un eccellenza del nostro paese per meriti sportivi.
Però il punto è un altro.
Pur semplificando e ammettendo la Sua tesi e cioè che il Vannacci Le abbia detto che lei non è italiana, perché di pelle scura , cioè dando per appurato che il Vannacci le avesse voluto dare “dell’africana”, della nigeriana, dove si espliciterebbe, di grazia, tale diffamazione? Mi dica?
Mi spiego. Siccome non lo capivo, mi sono andato a rileggere come il nostro Codice Penale descrive il reato di Diffamazione . Nel merito l’articolo ad esso relativo , cioè il 595, testualmente recita: «Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro».
Quindi mi faccia capire signora Egonu, Ella si sente diffamata perché il Vannacci in sostanza, le ha dato della nigeriana?
Cioè per Lei essere nigeriani (e cito il nostro Codice Penale) sarebbe un’offesa alla sua reputazione?
E poi il razzista sarebbe Vannacci?
Alberto Mascioni.
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PILLOLE DI GOSSIP: FEMMINISMO, ABILISMO, VERO PIETISMO
La strada delle buone intenzioni è spesso lastricata di delusioni, fraintendimenti, ambiguità che inficiano, e non poco, anche gli intenti più nobili. Accade così di incappare in quelli che io definisco veri e propri scivoloni: il tentativo di dare una giustificazione etica ad azioni che di etico, secondo me, hanno ben poco.
Prendiamo, ad esempio, #Elodie: da sempre in prima fila per i diritti della comunità #lgbtq e per la libertà della donna, ha pensato di utilizzare il proprio corpo a mò di "manifesto libero di intenti". Tradotto: mostrarsi come mamma l'ha fatta serve alla ex cantante di #Amici per rilanciare preponderante il tema scottante della parità dei sessi e del diritto delle donne di poter scegliere cosa fare della propria vita.
Ok... Ma il messaggio, esattamente, dove sta? La nobiltà di intenti sta sulla pelle nuda della bella Elodie? Peraltro, non è la prima a denudarsi per mostrare la forza del sesso debole: evitare i vestiti per fini "superiori" è divenuta prassi ormai consolidata e, diciamocelo, persino fastidiosa.
Ma quando pensiamo che non c'è fine al peggio, siamo costretti a ricrederci. La nuova "funzione sociale" di #MissItalia ha del ridicolo, per non dire del lesivo della dignità di persone diversamente abili o vittime di incidenti. Accade così che #PatriziaMirigliani, dopo anni in cui la kermesse di bellezza ha visto gettate su di sé polemiche per aver fatto vincere #AnnalisaMinetti (ipovedente) o Denny Mendez (non esattamente italianissima, almeno per i tempi), decide di inaugurare la tradizione del patetismo travestito da buonismo con la fascia, RIGOROSAMENTE FUORI CONCORSO, di.... #misscoraggio.
Si, avete letto bene: partecipare a Miss Italia richiede, per una giovane autistica, disabile o vittima di crimini violenti, una buona dose di "cazzimma" ma, badate bene, non il diritto di concorrere alla vittoria, facendo invece parte di una corsia preferenziale ma, rigorosamente, ghettizzata.
Complimenti per l'esempio di mini "apartheid" travestito da inclusione: per quello si, che ci vuole coraggio.
#pilloledigossip #musica #spettacolo #tv #pubblicista #copywriter #matryoshka #polemica
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Intervista a Felicia Kinsley, scrittrice, regina del romance all’italiana
La scrittrice di sentimenti più amata dalle lettrici è italianissima, a dispetto del “nom de plume”source
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Denny - “Quando balli”
La italianissima band Denny è pronta per farvi viaggiare con la loro musica godetevi il viaggio
Inizia l’estate: mare, sole e voglia di divertirsi. La notte che diventa giorno e scatena gli animi danzanti di chi è pronto a ballare tutta la notte notte. E poi c’è lei, che quando balla si ferma il locale! Fari soffusi e occhi puntati sulla ragazza più bella del locale, che incanta tutti! “Quando balli” è l’esplosione di gioia e divertimento, è l’estate che inizia e i pensieri negativi si disperdono nell’aria, lasciando il posto all’amore, le speranze e ai sogni, che pervadono agli animi di tutti noi! Questo è il nuovo singolo della band barese DENNY music che con il loro sound riconoscibile entra di diritto nell’estate 2023, provate a non ballare!
Cantautore Italiano e BAND " DENNY inizia il suo percorso nel 2014 scrivendo i suo primi pezzi, sperimentando nuovi generi musicali e nuove influenze Soul, pop, r&b , funky.
Etichetta: Orangle Srl - www.oranglerecords.com
Instagram: https://www.instagram.com/dennymusicofficial__/
l’altoparlante - comunicazione musicale
www.laltoparlante.it
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Il discorso della nostra italianissima Alice Rohrwacher in caso di vittoria agli Oscar
Il discorso della nostra italianissima Alice Rohrwacher in caso di vittoria agli Oscar. Alice Rohrwacher un mezzo discorso ce l'ha già in mente, ma non ha ancora scritto niente. Se domenica sera dovesse stringere tra le mani l'Oscar per il suo cortometraggio Le Pupille, ha ben chiaro come cominciare. "Ci hanno fatto sapere che in caso di vittoria non possiamo parlare per più di 30-40 secondi. C'è giusto il tempo per i ringraziamenti. Però almeno so da chi iniziare. A quello sì, ci ho pensato", ammette la regista che si lascia a dolci confidenze con la stampa: “Domenica sarà con me mio padre”. Il cortometraggio della Rohrwacher racconta di diciassette orfanelle costrette alla totale obbedienza in un collegio di suore, che davanti a una zuppa inglese non riescono a reprimere il desiderio e la fame. Sono bambine “cattive" perché non offrono la torta a Gesù come aveva incitato l'inflessibile madre superiora (Alba Rohrwacher). Alice Rohrwacher afferma: "La loro ribellione si nutre di coerenza, di perseveranza verso ciò che si desidera. Poi lo condividono. In questo senso, sì, mi sento una di loro". Speriamo che durante la notte del 12 marzo, Los Angeles, possa tingersi del tricolore. La regista non è l’unica italiana in corsa per l’Oscar. Ad aggiudicarsi la statuetta potrebbe essere un altro italianissimo, Aldo Signoretti, in gara per la categoria “trucco e acconciatura” per il film Elvis.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Dai, gli basta incrociare i flussi.
Fanno trapelare che il fratello del consuocero di Meloni, che fa il sottosegretario al ministero dei panini si incula le pecore e contemporaneamente Povia dice che i ricchioni vanno messi in una riserva aspettando che si estinguano.
La stampa di "sinistra" si butta a pesce sul fratello del consuocero di Meloni, un esponente dell'ala progressista del PD indignato fa notare che non ci sono gli stanziamenti per la riserva e Renzi coglie l'occasione per dire che il vero riformista è lui e apre un patto di scopo con Vannacci per trasferire i ricchioni in Albania.
Nel frattempo, con il favore delle tenebre, l'età pensionabile viene spostata a 72 anni con il diritto di andare in pensione a 70 solo per chi avrà fatto uno stage non retribuito di 1 anno al Billionaire.
Le azioni di Visibilia si impennano. Santanchè viene premiata con il daikon di lattice come miglior imprenditrice del globo terraqueo e vince anche Miss italianissima.
Con il risparmio sulle pensioni viene eretto un busto di 20 metri di LVI davanti a Palazzo Madama.
Sallusti e Porro si lamentano degli attacchi della sinistra che vuole imporre la sharia. Non si sapeva la capra fosse minorenne anche se risultava fosse la nipote di Mubeeeerak.
Arriva un rapporto della commissione europea che sottolinea l'eccesso di controllo del governo sulla mafia. Pare che Dell'Utri abbia imparato la danza del ventre e Giovanni Motisi ne sia rimasto ipnotizzato.
Sarà interessante vedere come il pagliaccio delle infrastrutture spiegherà ai suoi elettori che non solo su Quota 41 per tutti stava scherzando ma che il suo governo fascista peggiorerà anche la Legge Fornero.
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