#ironia ma non troppo
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falcemartello · 7 days ago
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Jus scholae sì ma solo se a scuola non si impara niente se no diventa discriminazione...
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dottssapatrizia · 1 year ago
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A vent'anni pensi di poter cambiare il mondo, a 35 cerchi di cambiare il mondo intorno a te, a 50 capisci che è meglio cambiare l'arredamento di casa tua…
Ps: io ho appena comprato il divano nuovo.
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daddyb00m · 1 year ago
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Inviti a matrimoni e comunioni dovrebbero essere considerati minacce di morte.
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mccek · 1 year ago
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Molti dei Millennial sono cresciuti sotto l’effetto di strategie fallimentari di educazione famigliare.
Per esempio, è sempre stato detto loro che erano speciali, che potevano avere tutto quello che volevano dalla vita solo perché lo volevano.
Quindi qualcuno ha avuto un posto nella squadra dei pulcini non perché fosse un talento, ma solo perché i genitori hanno insistito con l’allenatore.
Oppure sono entrati in classi avanzate non perché se lo meritassero ma perché i genitori si erano lamentati con la scuola, per non parlare di coloro che hanno passato gli esami non perché se lo meritassero ma perché gli insegnanti erano stanchi di avere rogne dai genitori.
Ad alcuni hanno dato medaglie di partecipazione per essere arrivati ultimi, una bella medaglia affinché nessuno si dispiaccia.
La scienza comportamentale non ha dubbi: è una svalutazione della medaglia e dei riconoscimenti di chi lavora duramente per ottenere un buon risultato, inoltre fa sentire anche in imbarazzo chi arriva ultimo perché, se ha un minimo di dignità, sa che non se l’è davvero meritata quella medaglia.
Così queste persone sono cresciute con l’illusione che, anche senza sforzarsi troppo, è possibile farcela in qualunque settore.
Allora finiscono l’università, magari a pieni voti e pretendono immediatamente che un tappeto rosso si srotoli sotto i loro piedi, invece sono gettati nel mondo reale e in un istante scoprono che non sono per niente speciali voto o non voto, che i genitori non gli possono fare avere un buon posto di lavoro e figuriamoci una promozione, che se arrivi ultimo non ti danno niente, anzi rischi il licenziamento e, guarda un po’, non ottieni qualcosa solo perché semplicemente lo vuoi.
Non voglio fare ironia, credetemi, né tanto meno sorridere, la faccenda è davvero delicata poiché quando questa persona prende coscienza reale dalla situazione in cui si trova è un momento cruciale perché in un attimo, nell’istante preciso in cui concepisce la verità, l’idea che ha di se stessa va letteralmente in frantumi.
È questo anche il momento in cui si attacca alla sua fonte primaria di dopamina: i social network.
Ciò ci porta ad un altro problema : la tecnologia.
I Millennial sono cresciuti in un mondo fatto di Tik Tok, di Instagram ed altri social, dove siamo bravi a mettere filtri alle cose.
In cui siamo un po’ tutti fuoriclasse a mostrare alla gente che la nostra vita è magnifica: tutti in viaggio ad Ibiza, tutti al ristorante stellato, tutti felici e pimpanti anche se invece siamo tristi e depressi.
Ho letto un’interessante ricerca scientifica, che in sintesi dice che ogni qual volta che riceviamo una notifica sullo smartphone, un messaggio o quant’altro, nel nostro cervello viene rilasciata una bella scarica di dopamina (una sostanza che dà piacere).
Ecco perché quando riceviamo un messaggio è una bella sensazione oppure se da qualche ora non si illumina il cellulare, alcuna notifica, né un messaggio, iniziamo a vedere se per caso non è accaduto qualcosa di catastrofico.
Allo stesso modo andiamo tutti in stress se sentiamo il suono di una notifica e passano più di tre minuti senza che riusciamo a vedere di cosa si tratta.
È successo a tutti, ti senti un po’ giù, un po’ solo, e allora mandi messaggi a gente che forse nemmeno sapevi di avere in rubrica.
Perché è una bella sensazione quando ti rispondono, vero?
È per questo che amiamo così tanto i like, i fan, i follower.
Ho conosciuto un ragazzo che aveva sui 15 anni che mi spiegava quanto tra loro si discriminassero le persone in base ai follower su Instagram!
Così se il tuo Instagram cresce poco vai nel panico e ti chiedi: “Cosa è successo, ho fatto qualcosa di sbagliato?
Non piaccio più?”
Pensa che trauma per questi ragazzi quando qualcuno gli toglie l’amicizia o smette di seguirli!
La verità, e questa cosa riguarda tutti noi, è che quando arriva un messaggio/notifica riceviamo una bella botta di dopamina.
Ecco perché, come dicono le statistiche, ognuno di noi consulta più di 200 volte al giorno il proprio cellulare.
La dopamina è la stessa identica sostanza che ci fa stare bene e crea dipendenza quando si fuma, quando si beve o quando si scommette.
Il paradosso è che abbiamo veri limiti di età per fumare, per scommettere e per bere alcolici, ma niente limiti di età per i cellulari che regaliamo a ragazzini di pochi anni di età (già a 7 o 8 anni se non a meno).
È come aprire lo scaffale dei liquori e dire ai nostri figli adolescenti: “Ehi, se ti senti giù per questo tuo essere adolescente, fatti un bel sorso di vodka!
In sostanza, se ci pensate, è proprio questo che succede: un’intera generazione che ha accesso, durante un periodo di alto stress come l’adolescenza, ad un intorpidimento che crea dipendenza da sostanze chimiche attraverso i cellulari.
I cellulari, da cosa utile, diventano facilmente, con i social network, una vera e propria dipendenza, così forte che non riguarda solo i Millennials ma ormai tutti noi.
Quando si è molto giovani l’unica approvazione che serve è quella dei genitori, ma durante l’adolescenza passiamo ad aver bisogno dell’approvazione dei nostri pari.
Molto frustrante per i nostri genitori, molto importante per noi, perché ci permette di acculturarci fuori dal circolo famigliare e in un contesto più ampio.
È un periodo molto stressante e ansioso e dovremmo imparare a fidarci dei nostri amici.
È proprio in questo delicato periodo che alcuni scoprono l’alcol o il fumo o peggio le droghe, e sono queste botte di dopamina che li aiutano ad affrontare lo stress e l’ansia dell’adolescenza.
Purtroppo questo crea un condizionamento nel loro cervello e per il resto della loro vita quando saranno sottoposti a stress, non si rivolgeranno ad una persona, ma alla bottiglia, alla sigaretta o peggio, alle droghe.
Ciò che sta succedendo è che lasciando ai ragazzi, anche più piccoli, accesso incontrollato a smartphone e social network, spacciatori tecnologici di dopamina, il loro cervello rimane condizionato, ed invecchiando troppi di essi non sanno come creare relazioni profonde e significative.
In diverse interviste questi ragazzi hanno apertamente dichiarato che molte delle loro amicizie sono solo superficiali, ammettendo di non fidarsi abbastanza dei loro amici.
Ci si divertono, ma sanno che i loro amici spariranno se arriva qualcosa di meglio.
Per questo non ci sono vere e proprie relazioni profonde poiché queste persone non allenano le capacità necessarie, e ancora peggio, non hanno i meccanismi di difesa dallo stress.
Questo è il problema più grave perché quando nelle loro vite sono sottoposti a stress non si rivolgono a delle persone ma ad un dispositivo.
Ora, attenzione, non voglio minimamente demonizzare né gli smartphone né tantomeno i social network, che ritengo essere una grande opportunità, ma queste cose vanno bilanciate.
D’altro canto un bicchiere di vino non fa male a nessuno, troppo alcol invece sì.
Anche scommettere è divertente, ma scommettere troppo è pericoloso.
Allo stesso modo non c’è niente di male nei social media e nei cellulari, il problema è sempre nello squilibrio.
Cosa vuol dire squilibrio?
Ecco un esempio: se sei a cena con i tuoi amici e stai inviando messaggi a qualcuno, stai controllando le notifiche Instagram, hai un problema, questo è un palese sintomo di una dipendenza, e come tutte le dipendenze col tempo può farti male peggiorare la tua vita.
Il problema è che lotti contro l’impazienza di sapere se là fuori è successo qualcosa e questa cosa ci porta inevitabilmente ad un altro problema.
Siamo cresciuti in un mondo di gratificazioni istantanee.
Vuoi comprare qualcosa?
Vai su Amazon e il giorno dopo arriva.
Vuoi vedere un film?
Ti logghi e lo guardi, non devi aspettare la sera o un giorno preciso.
Tutto ciò che vuoi lo puoi avere subito, ma di certo non puoi avere subito cose come le gratificazioni sul lavoro o la stabilità di una relazione, per queste non c’è una bella App, anche se alcune delle più gettonate te lo fanno pensare!
Sono invece processi lenti, a volte oscuri ed incasinati.
Anche io ho spesso a che fare con questi coetanei idealisti, volenterosi ed intelligenti, magari da poco laureati, sono al lavoro, mi avvicino e chiedo:
“Come va?”
e loro: “Credo che mi licenzierò!”
ed io: “E perché mai?”
e loro: “Non sto lasciando un segno…”
ed io: “Ma sei qui da soli otto mesi!”
È come se fossero ai piedi di una montagna, concentrati così tanto sulla cima da non vedere la montagna stessa!
Quello che questa generazione deve imparare è la pazienza, che le cose che sono davvero importanti come l’amore, la gratificazione sul lavoro, la felicità, le relazioni, la sicurezza in se stessi, per tutte queste cose ci vuole tempo, il percorso completo è arduo e lungo.
Qualche volta devi imparare a chiedere aiuto per poi imparare quelle abilità fondamentali affinché tu possa farcela, altrimenti inevitabilmente cadrai dalla montagna.
Per questo sempre più ragazzi lasciano la scuola o la abbandonano per depressione, oppure, come vedo spesso accadere, si accontenteranno di una mediocre sufficienza.
Come va il tuo lavoro? Abbastanza bene…
Come va con la ragazza? Abbastanza bene.
Ad aggravare tutto questo ci si mette anche l’ambiente, di cui tutti noi ne facciamo parte.
Prendiamo questo gruppo di giovani ragazzi i cui genitori, la tecnologia e l’impazienza li hanno illusi che la vita fosse banalmente semplice e di conseguenza gliel’hanno resa inutilmente difficile!
Prendiamoli e mettiamoli in un ambiente di lavoro nel quale si dà più importanza ai numeri che alle persone, alle performance invece che alle relazioni interpersonali.
Ambienti aziendali che non aiutano questi ragazzi a sviluppare e migliorare la fiducia in se stessi e la capacità di cooperazione, che non li aiuta a superare le sfide.
Un ambiente che non li aiuta neanche a superare il bisogno di gratificazione immediata poiché, spesso, sono proprio i datori di lavoro a volere risultati immediati da chi ha appena iniziato.
Nessuno insegna loro la gioia per la soddisfazione che ottieni quando lavori duramente e non per un mese o due, ma per un lungo periodo di tempo per raggiungere il tuo obiettivo.
Questi ragazzi hanno avuto sfortuna ad avere genitori troppo accondiscendenti, la sfortuna di non capire che c’è il tempo della semina e poi quello del raccolto.
Ragazzi che sono cresciuti con l’aberrazione delle gratificazioni immediate, e quando vanno all’università e si laureano continuano a pensare che tutto gli sia loro dovuto solo perché si sono laureati a pieni voti.
Cosicché quando entrano nel mondo del lavoro dopo poco dobbiamo raccoglierne i cocci.
In tutta questa storia, sono convinto che tutti abbiamo una colpa, ma che soprattutto tutti noi possiamo fare qualcosa di più impegnandoci a capire come aiutare queste persone a costruire oggi la loro sicurezza e le loro abilità sociali, la cui mancanza rende la vita di questi giovani inutilmente infelice e inutilmente complicata.
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diceriadelluntore · 24 days ago
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Bilanci
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Equilibrio: dal latino aequilibrium, comp. di aequus «uguale» e libra «bilancia». Tra i vari significati, in usi fig., proporzione fra le parti, esatta distribuzione dei varî componenti di un insieme (Vocabolario Treccani, voce Equilibrio).
Se c'è un augurio che mi va di condividere in questo posto fatto di amici ed amiche, alcune diventate davvero carissime e "fisiche", di altri conoscenti, di persone sconosciute dietro blog diventati intimi, è quello di trovare più equilibrio.
Se sui piatti della bilancia sono posti pesi uguali, c'è equilibrio in quanto la somma delle forze lascia la bilancia in uno stato di quiete. Pertanto, che si riesca a padroneggiare il caos che ci circonda, dosando la giusta risposta alle forze avverse. Vorrebbe dire essere più padroni di sé stessi.
Perchè siamo circondati da eccessi: di dolore, di sperpero, a volte persino di sberleffo e di ironia. Troppo caldo per troppo tempo, troppa acqua in poco. Troppa violenza quando servirebbe ragione, troppa ragione quando servirebbe l'incoscienza del sentimento. Troppo formalismo, troppa pratica. Troppa impazienza, troppo risentimento.
Non è un augurio alla terzietà (anch'essa a volte uno stesso estremismo), perchè siamo sempre chiamati ad essere di parte quando serve, è un augurio all'abbandono della logica estremista, alla polarizzazione selvaggia, come se tutte le scelte della vita siano equiparabili ad un interruttore "acceso\spento". Io non voglio esserlo.
Auguro ancora tanti errori che fanno imparare, momenti di tristezza da ricordare quando si è felici, pensieri assurdi che ci fanno dubitare della nostra salute mentale (se ne esiste una definitiva).
Auguro che vi vogliate bene, perchè non solo è una delle poche cose che contano, ma perchè, come diceva una grande scrittrice, può anche finire che "conosci te stesso e ti prenderai in antipatia" (Amelie Nothomb).
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dinonfissatoaffetto · 8 months ago
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"Bruna cara,
sono precisamente le sette secondo l’ora italiana, ma a San Paolo devono essere le sei e trenta appena. Devi dormire ancora, e Ti ha disturbato il sonno il mio pensare a Te così mattutino? Se il mio pensare a Te dovesse disturbarTi, non avresti un minuto di pace.
Sento sempre la Tua voce, quella Tua di quella mattina al telefono, mentre stavo per partire. E cerco con gli occhi il Tuo viso, e a volte non riescono a rivederlo com’è, e allora mi stringo con le due mani il viso, e l’accarezzo, e nel mio viso mi rinasce il Tuo nelle mie mani, la più cara cosa, la sola che amo su tutte, l’anima della mia anima, sei l’anima della mia anima, l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia, la vera, l’unica vera.
Sono qui al mio scrittoio, in una cabina grande come una piazza. Era per due persone, ma pensano che sono un personaggio tale da meritare d’occupare da solo due letti. Tutto invece, credo, per ricordarmi piuttosto che alla mia età ho il dovere d’essere solo, e anche per rinfacciarmi, forse, con la necessaria ironia, questo mio assurdo atto di scriverTi.
Come hai fatto a entrare così a fondo nella mia vita? Sei d’una sicurezza in quello che fai incredibile, e sei venuta con quella poesia. A dirti la verità, quando sei andata via e l’ho letta, m’è parsa inutile. C’era un’enfasi, c’era un metro in disuso, non so cosa c’era che mi urtava. L’ho ripresa poi a leggere, e vi ho scoperto una grazia, un’onestà, il modo raro d’indovinare il peso, la qualità, la novità, qui e là dei vocaboli, e mi ha toccato, d’improvviso mi ha toccato il sentimento, il dono vero che offre solo la buona poesia, quel dono che illuminava l’ingenuità di quelle strofe un po’ antiquate, che illumina tutto quello che fai. […]
Non sono che un piccolo poeta di questo secolo, nel quale anche i maggiori non possono essere che piccoli poeti; ma anche oggi, nel trambusto, nell’inferno d’oggi, – anche oggi la poesia ha bisogno di essere una persona che si scopre tra la gente – che infonde tanta carità, tanta fede, tanta speranza […]
Io sono ormai troppo vecchio, oltre misura vecchio, quasi un antenato, e non occorre che io sia ancora felice, e non mi pare che sia successo un giorno ch’io fossi felice. Ma l’augurio che Tu abbia lunghi anni felici si avvererà. Nessuno ha mai desiderato con più violenza, con più disperazione che sia felice una persona, e non è mai accaduto, se il desiderio era fortissimo, che non fosse esaudito."
- Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco, 15 settembre 1966
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gregor-samsung · 6 months ago
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“ È bene ricordare che i vecchi politici italiani avevano un certo senso dell'umorismo. L’aveva Giulio Andreotti, capace, lui sì, di sottile ironia. E per venire a una figura più recente, penso a Marco (Giacinto) Pannella, che sapeva, tra l’altro, usare bene il linguaggio per prospettare soluzioni nuove e inaspettate. La sua era un’ironia d’assalto, senza dubbio, ma assai stimolante. E fra i leader politici non italiani penso a Gerry Adams. Quando l’ho incontrato alcune volte nei pub di Belfast si dimostrava una persona piacevolissima che faceva ridere con le sue battute quelli con cui chiacchierava con grande socievolezza. L’ironia, qualche volta almeno, ha bisogno di questa amabilità. I politici italiani oggi più noti non ne sembrano provvisti. Il problema è che non sono ironici, e non sono nemmeno divertenti. Ma ce n’erano di divertenti? Forse sì. Gramsci? Secondo me, era uno che aveva un notevole senso dell'ironia. E se Gramsci non l’aveva, ce l’aveva Gobetti. E Lenin era un tipo ironico? Penso di sì. Era capace di un’ironia impregnata di sarcasmo, e quindi era una forma di ironia violenta e aggressiva; però, Lenin l’aveva. Stalin direi meno. Malgrado la battuta che fece all'autore de Il maestro e Margherita, Michail A. Bulgakov: «Ma avvocato, com’è che Lei non mi telefona mai?». Dunque, persino Stalin qualche battuta ironica la faceva… Io credo che un analogo atteggiamento si ritrovi anche in vari altri dirigenti dei paesi detti «a socialismo reale». Curioso modo di esprimersi, peraltro. Gli altri paesi socialisti, o meglio socialdemocratici, sono invece a socialismo irreale? Gli unici che forse posso pensare che fossero ironici in modo sofisticato sono alcuni politici della Cina popolare. Per esempio, Zhou Enlai, quando gli chiesero un parere sulla rivoluzione culturale promossa dall'amato presidente Mao Zedong, dichiarò: «Siete troppo frettolosi. Volete un giudizio su qualcosa che sta accadendo adesso? Be’, con molta fatica stiamo capendo ora quello che è successo durante la Rivoluzione francese». Una battuta di notevole classe. “
Giulio Giorello, La danza della parola. L'ironia come arma civile, Mondadori (collana Orizzonti), 2019¹. [Libro elettronico]  
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angelap3 · 11 months ago
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"Poi la porta si spalancò. Ed entrò quella donna. Tutto quello che posso dirvi è che ci sono miliardi di donne, sulla terra, giusto? Certune sono passabili. La maggior parte sono abbastanza belline, ma ogni tanto la natura fa uno scherzo, mette insieme una donna speciale, incredibile. Cioè, guardi e non ci puoi credere. Tutto è un movimento ondulatorio perfetto, come l'argento vivo, come un serpente, vedi una caviglia, un gomito, un seno, un ginocchio, e tutto si fonde in un insieme gigantesco, provocante, con magnifici occhi sorridenti, bocca leggermente piegata in giù, labbra atteggiate in modo che sembrano scoppiare in una risata alla tua sensazione di impotenza. E sanno vestirsi, e i loro lunghi capelli incendiano l'aria. Troppo di tutto, accidenti".
(Charles Bukowski, da "Pulp", romanzo postumo, 1994)
Lontano dalle atmosfere tenebrose delle ordinarie follie, "Pulp", ultimo libro di Bukowski, è il testamento spirituale di uno scrittore che non ha mai esitato a immergersi nel degrado della società contemporanea. È un libro incredibile che, pur lasciando invariato e riconoscibile il suo stile, si discosta per molti aspetti dalla sua produzione ordinaria, a partire dal genere che è quello pulp. Tornando all' autore, il 9 marzo 1994 ci lasciava Charles Bukowski, e probabilmente alle celebrazioni di questa ricorrenza avrà guardato con sarcasmo, soprattutto quelle corredate da luoghi comuni sul suo conto. Di essere uno dei grandi scrittori americani del Novecento, lo sapeva e non fingeva di negarlo. Anche perché scrivere era ciò che, oltre al bere e all'amore per le donne, lo definiva e lo salvava. Scrittore puro, senza sforzo né costruzione: ogni notte a ticchettare sui tasti della macchina da scrivere insieme a una bottiglia e alle sue sigarette. Bukowski è stato se stesso e ha raccontato il suo mondo, con quello che è stato definito "Realismo sporco", quel realismo senza abbellimenti e senza pudore, come sentiva di voler fare. A qualcuno non piace, come se davvero i suoi scritti si limitassero a parolacce e a racconti di abbuffate di sesso e alcol, compiacendosi della propria gratuita sgradevolezza. La produzione di Bukowski è, invece, costante e grandiosa alternanza di dramma e ironia. Storie di dolore, sconfitta e rassegnazione, che portano il lettore a toccare il fondo insieme ai personaggi e poi lo fanno scoppiare in una sonora risata poche pagine dopo.
(Fonte web)
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alsosprachvelociraptor · 7 days ago
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Ragazzi di Vita. Descrizione fisica dei personaggi
Le descrizioni dei personaggi in sto dannato libro ci sono, solo che bisogna trovarle. E se non avete voglia di rileggervi quattro volte tutto il libro per trovarle, come invece faccio io e mi ci diverto pure, ecco qua.
(Il numero della pagina è dalla versione cartacea del libro Ragazzi di vita di Garzanti, sedicesima ristampa del maggio 2022)
RICCETTO
“il venticello [...] gli scapigliava i riccetti in ciuffo sulla fronte e appiccicati intorno agli orecchi, e gli faceva sbattere la camicetta tirata fuori dai calzoni.” (2. Il Riccetto, p.61)
“...vi si distese quanto era lungo, con le gambe larghe e la testa tutta ricciolini appoggiata sulla spalliera. “Così si mise ad inspirare beatamente quei due centimetri di nazionale che teneva tra le dita” (3.Nottata a Villa Borghese, p.71)
“…se ne veniva già dal ponte in fondo al sentiero, eretto, col petto gonfio dentro la canottiera bianca, facendo la camminata.” (6. Il bagno sull'Aniene, p.166)
“…s’alzò in piedi e un passo dopo l’altro, muovendosi pigramente sulle spalle, passò davanti ai tre maschietti di Ponte Mammolo che lo stavano ad aspettare, e facendo un cenno da burlo con la testa disse: “Namo.” [...] Il Riccetto camminava in avanti, in canottiera, grassoccio, e tutto lucido per il bagno, facendo sempre la camminata malandrina. Era allegro, e cantava con gli occhi pieni d’ironia e le mutandine bagnate penzoloni in mano.” (6. Il bagno sull'Aniene, p.171)
“…tutto tranquillo e ben disposto, si tolse il pettinino dalla tasca di dietro dei calzoni, lo bagnò sotto la fontanella e cominciò a pettinarsi, bello come Cleopatra. (6. Il bagno sull'Aniene, p.163)
“Da quando era stato a Porta Portese era ingrassato e non c’aveva più il pallino di fare sempre il dritto. (7. Dentro Roma, p.209)
“…il Riccetto che veniva avanti, evidentemente pieno di buon umore, tutto acchittato e camminando con attenzione per non sporcarsi di polvere gli scarpini bianchi a buchi: in mano teneva gli slippi nuovi ben ripiegati, la camicetta azzurra gli sventolava sopra le chiappe. (8. La Comare Secca, p242)
“..l’allegria che gli aveva rischiarato la faccia già allegra sotto i ricci tosati” (8. La Comare Secca, p.244)
AGNOLO
“Agnolo il roscetto…” (1. Il Ferrobedò, p.20)
“Era un roscetto, tutto lentigginoso, con due cespuglietti rossi al posto degli occhi, e coi capelli ben pettinati con la scrima da una parte.” (7. Dentro Roma, p.211)
CACIOTTA
“quer roscio llà…” (p.105)
“...che in quei tre annetti s’era ingrassato,” (6. Il bagno sull'Aniene, p.160)
“...col suo solito buon umore.” (6. Il bagno sull'Aniene, p.177)
ALDUCCIO
“Uno era un giovinottello bruno e snello, bello anche conciato a quel modo, con gli occhi neri come il carbone e le guance belle rotonde di una tintarella tra l’ulivo e il rosa” (3.Nottata a Villa Borghese, p.71)
“Il bel viso d’Alduccio ebbe un’espressione allegra.” (4. Ragazzi di vita, p.111)
“Se ne stava lì, con una mano sprofondata in saccoccia, che pareva il figlio dello sceriffo, con le grosse labbra ombreggiate dalla peluria nera, e gli occhi lucidi e cupi come due cozze strillanti di limone.” (5. Le notti calde, p.124)
“...fece per scavalcarlo [il cancello] ma nella fretta scivolò con un piede sul ferro bagnato, e rimase infilato con una coscia s’una sbarra a punta come una lancia, che gli si conficcò tutta dentro.” (5. Le notti calde, p.153)
“S’ha da vede un fijo che tiè quasi vent’anni e mo va sordato..” (7. Dentro Roma, p.187)
“Alduccio era ormai pronto, coi calzoni a tubbo e la maglietta a righine col collo aperto e le falde fuori dai calzoni. Ancora si doveva pettinare.. Andò davanti allo specchio in cucina e, col pettine bagnato al rubinetto, cominciò ad aggiustarsi i capelli, stando con le gambe larghe, perchè lo specchio era troppo basso per lui.” (7. Dentro Roma, p.190)
“...con la sua bella faccia sformata da un ghigno di ironia rassegnata.” (7. Dentro Roma, p.193)
“...con quelle chiome alla ghigo che parevano Sansone e Assalonne…" (7. Dentro Roma, p.200)
“...che camminava sempre come se gli dolessero le fette.” (7. Dentro Roma, p.203)
“...gli occhi rappresi da uno sguardo assonnato e astuto” (7. Dentro Roma, p.204)
BEGALONE
“...un mezzo roscio con la faccia bolsa piena di cigolini” (3.Nottata a Villa Borghese, p.71)
“...col suo testone di saraceno scolorito…” (3.Nottata a Villa Borghese, p.72)
“Era impossibile dare un’idea della differenza che c’era tra il Piattoletta e il Begalone. Con quell’occhi storti che c’aveva, lenticchioso e roscio, il Begalone si poteva senza meno considerare lì il più dritto di tutta la cricca” (6. Il bagno sull'Aniene, p.168)
“Pure il Begalone s’era cambiato; s’era messo intorno al collo un fazzoletto annodato alla malandrina, e s’era pettinato i capelli color stoppa lisci lisci, come una crosta, con la scrima da una parte e lunghi sul collo.”  (7. Dentro Roma, p.191)
“Pure il Begalone stava a digiuno. E sotto i capelli gialli la sua faccia era gialla d’un bel giallo che dava sul verde su cui risaltavano bene i cigolini rossicci. Era così debole che nemmeno la febbre riusciva a dargli un po’ di colorito: e sì che ce ne aveva almeno sei sette linee, come tutte le sere, da quando era stato rilasciato dal Forlanini; era tubercoloso da due o tre anni, e ormai non c’era più niente da fare gli restava sì e no ancora un anno di vita… (7. Dentro Roma, p.191)
“...ghignando cogli occhi strabici e la bocca gonfia. (“Ai cerchi”)
“...con quelle chiome alla ghigo che parevano Sansone e Assalonne…" (7. Dentro Roma, p.200)
“ «Guarda che fusto che so’», fece il Begalone gonfiando il petto.
«Hu, sei lo sciassì de na macchina», fece l’altro.” (7. Dentro Roma, p.201)
“...asciugandosi come un disperato la faccia, coi capelli che gliela ricoprivano duri come spinaci e più lunghi di quelli della Maddalena.” (7. Dentro Roma, p.201)
“...con una luce minacciosa nella sua faccia da maomettano” (8. La Comare Secca, p.233)
“Tirò su la sua carcassa da terra, si legò bene il pezzo di spago che, girandogli intorno alla testa come una specie di nastro sfilacciato, gli teneva a posto lo strato di capelli gialli e sbiaditi che gli piovevano lunghi alla malandrina fino ai primi ossicini delle vertebre” (8. La Comare Secca, p.240)
“...l’acqua gli arrivò ai caporelli che spuntavano rossi come due pezzetti di ceralacca sul costolame.” (8. La Comare Secca, p.240)
AMERIGO
“Uno di Pietralata, nero di faccia e di chima come una serpe, un cristone che gli altri gli arrivavano tutti sotto le ascelle” (3.Nottata a Villa Borghese, p.91)
“Teneva il bavero della giacca rialzato, la faccia era verde sotto i ricci impiastricciati di polvere, e i grossi occhi marroni che fissavano invetriti.” (4. Ragazzi di vita, p. 92)
Camminava mettendo un piede davanti all’altro con una faccia così cattiva che in qualsiasi parte del corpo uno lo toccava, pareva che dovesse farsi male. Strascicava i passi, come un bocchissiere un po’ groncio e invece, in quella camminata cascante, si vedeva ch’era pronto e svelto peggio d’una bestia. (4. Ragazzi di vita, p.93)
“Amerigo li guardò venire in avanti, coi suoi occhi malati [...] “guardò gli altri due col suo sguardo di cadavere.” (4. Ragazzi di vita, p.97)
“La sua voce era sempre più spenta, in contrasto col suo corpo che lì, sullo stipite della porta, pareva quello enorme dei maiali appesi quanto son lunghi a un uncino davanti alle macellerie. Pure gli occhi gli s’erano fatti piccoli e appannati come quelli dei maiali appesi; e nella smorfia della sua bella faccia si vedeva che la pazienza stava per finire.” (4. Ragazzi di vita, p.100)
“La schiena era rimasta nuda, larga come un lastrone d’acciaio, coi riflessi azzurrini, sotto la luna. Segni non se ne vedevano per niente, su quel carname liscio e abbronzato.” (4. Ragazzi di vita, p.100-101)
“...il volto che era stato da morto anche quand’era vivo.” (4. Ragazzi di vita, p.113)
LENZETTA
“...un altro riccio, piccolo, con la faccetta gonfia da delinquente e due occhi di porcellana” (3. Nottata a Villa Borghese, p.82)
“Era uno con le labbra carnose e screpolate, e una faccetta da delinquente, sotto la nuca piccola piena di ricci come un cavolo.” (4. Ragazzi di vita, p.105)
“...tutto acchittato, coi calzoni di velluto e con l’americana rossa e nera che, secondo lui, spaccava il culo a tutta la Maranella.” (5. Le notti calde, p.118)
“...con tutto che pareva ancora un pischelletto era già entrato in diciott’anni - grattandosi la capoccia tutta riccia, fece: «Mo qua so’ cazzi mia!» [...] e per rispetto del fratello fu rispettato pure lui, carinello com’era.” (5. Le notti calde, p.120)
“...sempre più astuto e con la faccia rossiccia.” (5. Le notti calde, p.125)
“ «De Marzi Arfredo» disse il Lenzetta, [...] con la faccia rossastra e liquefatta che aveva nei momenti d’emozione” (5. Le notti calde, p.141)
GENESIO
“...il più grande allumava in silenzio…” (6. Il bagno sull'Aniene, p.162)
“Genesio aveva levato dalla saccoccia dei calzoncini una mezza sigaretta e se la stava a fumare guardando la caciara. (6. Il bagno sull'Aniene, p.165)
“Genesio, con la pelle di liquerizia e gli occhi di carbone, in disparte, sornione” (6. Il bagno sull'Aniene, p.171)
“«Qua, Fido» fece Genesio, ma senza un’ombra di sorriso” (8. La Comare Secca, p.230)
“Genesio, ch’era buono di cuore e sempre combattuto, povero ragazzino, dalle emozioni e dagli affetti, nascondeva tutto dentro di sé, e parlava meno che poteva per non scoprirsi.” (8. La Comare Secca, p. 230)
“Genesio gli lanciò una delle sue occhiate inespressive” (8. La Comare Secca, p.232)
“...restò, snello e un po’ secchetto, con le scapole che un po’ gli sporgevano, quasi del tutto ignudo; non del tutto, perchè mica era uno spudorato come quelli di Tiburtino dell’età sua. s’era tenuto le mutandine a sacco, che lo coprivano tutto, davanti e di dietro.” (8. La Comare Secca, p.234)
“Fumando si pettinò con molta attenzione, chiedendo a Mariuccio se la scrima era dritta o storta, e poi facendosi una specie di onda sulla fronte, nera, lucida, e senza un capello fuori posto. (8. La Comare Secca, p.234)
“Sputò la cicca in acqua, col suo sguardo serio e dritto che luccicava un po’ umido.” (8. La Comare Secca, p.235)
“...la sua solita voce sorda e inespressiva” (8. La Comare Secca, p.235)
“...gli occhi che gli ardevano sotto il ciuffetto nero. (8. La Comare Secca, p.246)
BORGO ANTICO
“Borgo Antico, non l’aveva filato per niente, e come se non l’avesse sentito, si era rannicchiato contro la terra sporca della riva, col viso accigliato voltato giù verso l’acqua.” (6. Il bagno sull'Aniene, p.166)
“Borgo Antico però non si voltò nemmeno, fermo della sua posizione, con la faccia di cioccolata, lucida e nera.” (6. Il bagno sull'Aniene, p.166)
“Borgo Antico alzò le spalle magre e nere e affilò ancora di più contro il petto la sua faccia d’uccello. [...] «E che devo da cantà?» disse Borgo Antico con voce rotta. [...] si mise a sedere stringendo contro il torace i ginocchi, e cominciò a cantare in napoletano, tirando fuori una voce dieci volte più grossa di lui, tutto pieno di passione che pareva uno di trent’anni. (6. Il bagno sull'Aniene, p.167)
MARIUCCIO
«An vedi!» gridò Mariuccio col suo vocino d’uccelletto” (6. Il bagno sull'Aniene, p.172)
“Mariuccio ch’era ancora così piccoletto che nemmeno aveva cominciato ad andare a scuola” (8. La Comare Secca, p.229)
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tiaspettoaltrove · 10 months ago
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Sentitevi libere di diffidare delle altre donne.
Le donne migliori che conosco, sono alquanto scettiche nei confronti delle altre donne. Critiche, diffidenti, disinteressate a cercare un vero contatto. Le conoscono bene, e sanno quello che ci si può aspettare. Il loro non è un odio, non avrebbe senso, e da persone intelligenti le squalificherebbe. Ogni essere umano è a se stante, sempre, e pertanto generalizzazioni assolute non se ne possono mai fare. Questa è una regola aurea. No, loro semplicemente sanno chi hanno di fronte (a parte eccezioni, appunto). Paradossalmente, una persona superficiale dall’esterno potrebbe dire che sono più misogine di me. Con la differenza, però, che io misogino non lo sono. Sono solo estremamente critico, sia nei confronti delle donne, che degli uomini (soprattutto per quanto mi riguarda personalmente). Quello che voglio dire, è che le donne che disprezzano le altre donne le comprendo benissimo. A patto che non sia per invidia, perché la questione lì cambia radicalmente. No, dico solo che secondo me è normale, quasi auspicabile in una parabola ideale, che le donne abbiano delle forti rimostranze nei riguardi delle altre posseditrici della vagina. Sto facendo un discorso molto concettuale, ideologico se vogliamo. Quando trovo un tallone d’Achille del mondo femminile, parlo con queste donne e trovo un riscontro. È quasi un conforto, se vogliamo. So che con loro posso confrontarmi senza peli sulla lingua, dicendo quello che penso. E solo se avrò ragione, allora ci sarà un compiacimento. Ma non è necessario, non è scontato. Ci si confronta e basta, in serenità. Però lo ammetto, che una ragazza che si esprime in modo duro (e non necessariamente volgare) nei confronti di un’altra, mi smuove qualcosa dentro. Nel senso che mi fa sentire meno sbagliato, mi fa capire che non sono matto, ma solamente attento alle dinamiche umane. Anzi, il paradosso è che spesso sono più io a delineare pregi e caratteristiche positive, piuttosto che loro. Sono io a cercare il buono che loro non sempre vedono. Perché dobbiamo dirlo, dai: mica è tutto brutto e terribile, assolutamente. Ci sono difetti, ma anche qualità nascoste. Bisogna solo farle venire fuori, quando le si possiedono. Io penso che il problema vero del mondo femminile, sia un timore nell’andare fino in fondo. Per ipocrisia, per immaturità, per finzione. Non tutto è deprecabile, assolutamente. Ma serve più verità. Serve più testa, e meno corpo. Serve una profondità di pensiero che, ahimé, troppo raramente riscontro. E logicamente (senza ironia), la colpa è ovviamente di noi uomini. Che troppo spesso rincorriamo in maniera infantile e animalesca ideali di donna sbagliati, che vengono quindi esaltati anziché soffocati dall’oblio. Siamo noi la causa di tutti i problemi che riguardano le donne, perché tutto è partito e a tutt’oggi parte ancora da noi. Un giorno, auspico, ci sarà un risveglio collettivo. E si riprenderà in mano il destino delle sorti del mondo. In modo assolutamente serio, maturo, lungimirante. Verso cose più grandi.
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levireonhato · 2 months ago
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Sì poteva solo / lontanamente / immaginare quanto lo sguardo palesemente curioso del corvino potesse arrecare fastidio o imbarazzo al medesimo interlocutore per quanto indagatore e severo potesse essere; era uno sguardo attento alla continua ricerca dei più piccoli ed insignificanti dettagli che gli altri non riuscivano a notare. Eppure non aveva intenzione di cessare quel suo studio tanto attento quanto rigoroso, non se immaginava ch'egli aveva senza dubbio qualcosa che nascondeva nella parte più recondita della sua essenza; qualcosa a cui / probabilmente / nessuno aveva libero accesso. D'altronde chi non aveva almeno un segreto riguardante la propria anima?
Dimitri parlava, mentre Levi ascoltava silenziosamente il strano placido concerto dei suoi pensieri. Le sue parole avevano catturato la sua attenzione, ma era sempre molto sospettoso. Era abituato a scavare sempre molto prima di convincersi, o farsi un'idea.
«Mh» fece un mezzo e finto sorriso, quasi come se lo stesse prendendo in giro, guardandolo poi con una profonda serietà. Sembrava che lo stesse trafiggendo con i suoi occhi taglienti e grigi. Aveva tutta l'aria di chi stesse per architettare un modo per ucciderlo e scegliere un luogo dimenticato da dio in cui scavargli una fossa. No, niente di tutto questo entrava nella mente del Reonhato. Ed ecco che il corvino decise finalmente di rivolgergli parola.
«”Vecchio / amico / di famiglia”, eh… perché no? Potrebbe rivelarsi assai piacevole» chiaramente nel tono da lui usato traspariva una forma blanda di ironia, scavando nei ricordi di Dimitri, ma quello che aveva trovato era solo morte, sangue, disprezzo, odio. Tutte emozioni negative.
«Quanto un attacco di diarrea suppongo.» Com’era sempre così raffinato nell'esporre le sue figure retoriche. Stavolta l'ironia aveva abbandonato il tono di voce. Forse inconsciamente voleva spaventarlo, ma a quanto sembrava non ci stava riuscendo per niente, almeno con Dimitri. Era davvero un tipo strano Levi. Rimaneva piuttosto indecifrabile come persona, lo era sempre stato sin da piccolo. Giravano voci su di lui e chiunque non abbia mai avuto il / piacere / di conoscere Levi Reonhato, si immaginerebbe un uomo molto brutto e molto sgradevole. Ma a pelle si poteva essere abbastanza certi che fosse uno di cui ci si potesse fidare sul serio. Uomo complesso ma allo stesso tempo anche molto onesto e diretto.
«Non racconto mai la mia vita a nessuno. E' mia e basta, non voglio essere / compatito /, piuttosto preferisco essere disprezzato.»
Levi non è un tipo di cui si fida facilmente, col tempo aveva perso molta fiducia, specialmente nell’umanità. Né avrebbe accettato l’aiuto di nessuno, anche quando non sarebbe stato in grado di cavarsela da solo. Questo lato lo aveva sicuramente preso da sua madre Laia: preferirebbe morire piuttosto che fare affidamento sugli altri.
«/ Ma / potrei fare qualche eccezione, oggi, con te. Ho sempre pensato che l’unica cosa che ci accomuna – purtroppo – è che siamo attratti dall'oscurità come le falene dalla luce» concluse il corvino, concedendogli stranamente una piccola opportunità. Il corvino era uno che non andava tanto per il sottile e nei propri occhi baluginava l'efferatezza, con cui ogni tanto amava duettare. E mentre lo scrutava, capì che Dimitri non aveva cattive intenzioni almeno per adesso, sebbene quegli occhi e quel perfido sorriso gli suggerisse il contrario.
«Ci terrei a precisare però che sono molto bravo a smascherare le bugie, quindi non provare ad ingannarmi, Dimitri.»
Lo freddò il giovane Reonhato, senza perderlo di vista neanche per un secondo. Sarà un pezzo di ghiaccio, ma anche il ghiaccio può bruciare. Brucia la pelle se ci rimani a contatto troppo a lungo e il suo ghiaccio non era da meno. Le scottature da ghiaccio fanno male, come quelle da fiamma. Ecco com'era il suo ghiaccio. Uno sguardo che ti penetrava dentro, in ogni cellula, in ogni anfratto. Aveva una freddezza che ti rimaneva addosso per sempre.
«Qui vicino ci deve essere un piccolo locale niente male. Potremmo andare lì» suggerì infine il corvino, decidendo finalmente di seguire il rosso, mantenendo sempre e comunque una certa distanza di / sicurezza /. Nella vita non si sai mai, eh Levi.
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artemisx78 · 1 year ago
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Ho preso il controllo..
Vivo in questa vita falsa e piena di delusioni...
Ho perso il controllo...
Vivo in questo mondo di falsità e di bugie..
Ho perso il controllo..
Vivo in questo mondo dove la sincerità e' solo una utopia...
Ho perso il controllo...
Sto iniziando a pensare che la vita sia solo una bugia..
Ho perso il controllo anche per quello che pensavo fosser vero..
Il gioco e la passione..
Ho perso il controllo...
Ma e' possibile che le sensazioni siano false anche quelle....
Questo mondo..sta facendo di tutto per spegnere i miei sogni..
Ho perso il controllo...
Ed ora ci sei solo tu cuore mio che come la tua sincerità nonostante tutto rimani come la speranza accesa e mi fai lottare...
Spogliandomi di questa rabbia...
Lotta e vivi con me questa passione...
fammi vivere ogni battito...
dell' attimo del nostro coraggio...
fammi vivere sfiorando la pelle ...
Fammi assaporare quel suo profumo...tu ne senti o vivi il suo sapore..immagini la dolcezza di ogni brivido di quelle labbra...ad ogni suo bacio...come nessun altro sa fare...
qul rapimento che ci unisce..tu che eri nella mia mente..ti che giochi incessantemente con me ..e con quell' ironia mi continui a sfidare...per essere sempre più forte...ma non HAI capito...che ognuno si noi ha un limite...si chiama STANCHEZZA E RISPETTO... io voglio presenza...
Ma tu riesci sempre a farmi abbassare ogni mia difesa... perché il mio cuore si arrende ancora troppo facilmente davanti a te...
Ma chi sei...
Allora fammi perdere il controllo si.....
ma solo con il fuoco che brucia tra i nostri corpi...
Perché la vita e' una ...
Ma poi sparisci...
perché sei l immenso vuoto per me...
E il mio cuore ha bisogno di battere non di sofferenza...
Dolcezza e passione 🌹
@artemisx78
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persa-tra-i-miei-pensieri · 10 months ago
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Ortona
Una città “dalle sere dolci e profumate come quelle d’Oriente”
(Gabriele D’Annunzio)
Questa città ha una storia tutta da scoprire, dove leggende tramandate nel tempo si mescolano alla vita di tutti i giorni e sanguinose battaglie e saccheggi distrussero tanto davvero troppo tra le vie di questa cittadina.
In passato la città era completamente circondata da una cinta muraria trecentesca e al suo interno era suddivisa tra Terra Vecchia, ovvero la zona dove abitavano i pescatori e i marinai e dove si svolse la terribile Battaglia del dicembre 1943, e Terra Nuova, una zona costituita per lo più da orti e campi. Parlando di Terra Vecchia bisogna considerare un aspetto molto singolare che i pescatori avessero lì le loro casette colorate tra quelle viuzze strette nella parte alta della città e non sulla costa vicino al porto e che per raggiungere le loro imbarcazioni percorressero degli scalini che collegano ancora oggi queste due zone; inoltre bisogna dire che il porto un tempo non era situato dove lo troviamo oggi ma si trovava più vicino al Castello Aragonese quindi sotto la cosiddetta Pizzuta.
Proprio dietro al faro dell'attuale porto, dove si trova anche una statua di San Tommaso che accoglie i marinai, c'è una piccola spiaggetta di pietre nominata la spiaggetta della Ritorna perché con l'avvicinarsi del maltempo le mogli dei pescatori (ed anche secondo un'altra leggenda una principessa) urlavano e pregavano «ritorna» ai loro amati.
Percorrendo le viuzze di Terra Vecchia possiamo notare un arco in pietra tufacea, il materiale di cui sono costutuite le scogliere, una casa lasciata così com'era di cui si può scorgere il colore originale attorno alla finestra e una casa che venne distrutta dalle bombe che si trova (ironia della sorte) nella piazzetta dedicata alla convivialità nominata dell'Allegria.
Per quanto riguarda il commercio bisogna dire che Ortona aveva un commercio comune con Venezia di stoccafisso e baccalà, che un tempo era il pesce dei poveri e dei contadini.
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Terra Vecchia ha termine dove è situato Palazzo Farnese, costruito nel 1584 venne comprato dalla Madama (Margherita d'Austria) insieme a tutto il feudo di Ortona e le vennero affidati anche i restanti feudi abruzzesi che amministrò con grande maestria.
Tra i personaggi illustri di Ortona che possiamo nominare ci sono due membri del Cenacolo Michettiano: Basilio Cascella (seppur nato a Pescara) e il compositore Francesco Paolo Tosti.
Pertanto a fine 800 Ortona vive di riflesso del Cenacolo Michettiano e vengono costruite case in stile liberty.
Proprio a Ortona è stato composto il nostro "inno" abruzzese per la gioventù "Vola Vola Vola " a cui a Porta Caldari è dedicata una fontana.
Vulesse fa' r'venì pe' n'ora sole
Lu tempe belle de la cuntentezze
Quande pazzijavame a vola vola
E te cupria de vasce e di carezze
E, e vola, vola, vola, vola, vola E vola lu pavone Si tiè lu core bbone Mo' fammece arrepruvà
...
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Percorrendo la passeggiata orientale che costeggia la costa e qualche viuzza raggiungiamo affacciato sul mare il Castello Aragonese che esternamente si presenta intatto ma all'interno possiamo notare essere rimaste in piedi solo alcune mura e torrette. La sua storia è un continuo trasformarsi: da alcuni resti romani venne costruita poi una fortezza che in seguito venne utilizzata per scopi militari, per poi venire acquistata facendola diventare un palazzo signorile con all'interno un meraviglioso giardino all'inglese.
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È arrivato il momento di fare una visita al museo dedicato alla Battaglia di Ortona tra civili e soldati canadesi contro le truppe tedesche, ma intanto possiamo già rinvenire delle tracce di questo sanguinoso scontro in un vicolo della città dove possiamo ancora leggere una scritta che indicava il coprifuoco: "il coprifuoco per tutte le truppe alleate è alle 21:00" e affianco possiamo notare dei fori nel muro causati dalle schegge delle granate esplose e dai proiettili.
Il Museo della Battaglia conserva oggetti e foto che testimoniano i giorni del violento scontro urbano del dicembre 1943, ciò che caratterizza questa guerra è essere stata principalmente una guerra di "propaganda" e poco utile invece a fini strategici, anche se comunque molto sanguinosa essendosi svolta casa per casa.
I civili vennero fatti sfollare dalle truppe tedesche ma non tutti fuggirono decidendo di nascondersi nelle cantine delle loro case ma perdendo così la vita.
Ortona ha ottenuto la medaglia d'oro al valore civile perché durante il conflitto ci si è aiutati l'un l'altro civili e soldati canadesi.
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I tedeschi tra le altre cose distrussero anche la torre dell'orologio, una delle due torri della Cattedrale di San Tommaso, per evitare fosse un punto di avvistamento.
Ma perché proprio a Ortona?! Semplice, perché è qui che il Re Vittorio Emanuele III di Savoia fuggì durante la seconda guerra mondiale imbarcandosi appunto al porto di Ortona verso Brindisi; ed è qui che si trovava la Linea Gustav.
Tra gli oggetti presenti nel museo possiamo soffermarci su tre in particolare:
I papaveri ricamati sulle vesti dei soldati canadesi e delle crocerossine, che indicavano la loro morte in battaglia essendo i papaveri rossi come il sangue;
Varie radioline e giradischi militari con cassa perché anche i soldati avevano bisogno di qualche momento di svago;
Una foto particolarissima, una foto di un banchetto di natale realizzato durante la guerra per i soldati circondato da firme, firme dei soldati sopravvissuti sia canadesi che tedeschi come inno alla pace, a testimoniare che fare la guerra non conviene.
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Ora è sufficiente uscire dal museo e svoltare verso la costa per raggiungere la Cappella del Crocifisso Miracoloso. Un tempo chiamato monastero di Sant'Anna questo luogo è testimone di antiche storie di fede, mare, corsari saraceni e leggende anche culinarie.
Era il luogo di fede in cui vivevano e pregavano del monache di clausura. Si narra che un giorno mentre pregavano l'affresco del crocifisso iniziò a gettare sangue dal costato, questo venne considerato un miracolo ma anche simbolo di presagio di un'imminente tragedia. Il sangue miracoloso venne raccolto in due ampolline, di cui una si trova a Venezia e l'altra è rimasta in questa Cappella ad Ortona rinchiusa in una teca (che viene messa in mostra il secondo venerdì del mese).
Il presagio era reale infatti dalla costa arrivarono le vele dell'ammiraglio della flotta ottomanna Piyale Paşa che iniziarono a distruggere tutto. Gli abitanti di Ortona fuggirono nelle campagne ma le monache di clausura non poterono abbandonare il monastero e restarono a pregare, le loro preghiere forse le salvarono perché Ortona viene nuovamente distrutta ma i nemici non riuscirono nemmeno ad avvicinarsi al monastero e alle suore di clausura perché una fitta nebbia ricoprì questo luogo come a renderlo invisibile e inesistente.
A questo luogo e alle monache di clausura sono legate anche altre due leggende di cui una è solamente la visione della realtà in chiave magica e fantasy poiché le monache di notte per lavare i panni si recavano alla fonte vicina facendosi luce nel buio e da allora quella fonte venne chiamata la fonte delle fate. Mentre l'altra è legata alla nascita del dolce tipico di Ortona: le nevole (da non confondere con le neole o ferratelle abruzzesi), dolce che appunto secondo questa leggenda è stato creato dalle monache di clausura che un giorno avendo finito le ostie presero gli ingredienti che avevano e unendoli e cuocendoli con il ferro per le ostie diedero vita alle nevole, la cui ricetta prevede solamente mosto cotto, arancio autoctono dal sapore dolceamaro e olio d'oliva (alcuni pasticceri del posto aggiungono anche della cannella).
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La Cattedrale di San Tommaso, un tempo Cattedrale di Santa Maria Vergine, custodisce le reliquie dell’apostolo San Tommaso e la sua pietra tombale dove viene ritratto l'apostolo e che presenta due fori uno per inserirvi un bastoncino di incenso e l'altro per inserirci degli oggetti che successivamente venivano recuperati intrisi dell'energia sacra per poter ottenere cure miracolose, infatti sia la pietra tombale che le reliquie stesse dell'apostolo sono importanti non per il loro aspetto fisico materiale ma per l'energia fortissima dell'anima che emana il corpo del santo apostolo, un'anima che è stata così vicina a Cristo nei suoi giorni in Palestina.
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Spero questo riassunto vi abbia fatti viaggiare insieme a me alla scoperta di questa città abruzzese e ringrazio per la visita guidata i Compagni d'Avventura e Ortona Welcome
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canesenzafissadimora · 1 year ago
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"Lloyd, la vita è un pendolo che oscilla tra ansia e delusione"
"Tutto questo ottimismo di prima mattina mi sorprende, sir"
"Ironia o no... cosa dovrei pensare in questo periodo nero?"
"Che a ragionar troppo di pendoli ed orologi, si finisce per guardare il tempo anziché viverlo, sir"
"Quel che sto vivendo non è un granché, Lloyd"
"Motivo per cui bisogna usare il tempo per cambiarlo, sir"
"Il pendolo però rimarrà sempre quello"
"Ma sarà lei a non oscillare più, sir"
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pettirosso1959 · 4 months ago
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TOUCH ME...
Le sfioro il cuIone e, nonostante la montagna di anni che mi porto sulle spalle, la cosa non passa inosservata ai piani bassi.
Abbiamo passato una vita insieme. La verità è che mi auguro di poterle toccare il sedere anche nel corso della prossima.
Lei sorride compiaciuta, malgrado questo mio gesto da teenager in calore sia di cattivo gusto, soprattutto in pubblico.
I nostri figli sono diventati genitori, e i loro figli - i nostri nipoti - sono già alle prese con i primi amori, corrisposti e non, come da copione.
Non sento più come una volta. Sessant'anni fa il rumore prodotto dalle onde contro gli scogli era la mia sveglia mattutina. Oggi, se voglio fare due chiacchiere con gli amici, devo infilarmi uno stupido aggeggio nell'orecchio, una specie di alveare impiantato nel cervello.
Con lei è diverso.
Ci parliamo con gli occhi, noi due.
Basta uno sguardo ed è già tutto chiaro, poche parole, solo quando è necessario. Praticamente mai.
Dopo cinquant'anni di matrimonio, almeno un milione di sacchi di immondizia gettati nei cassonetti e altrettanti rimproveri per non aver fatto ciò che dovevo, o per averlo fatto in modo sbagliato, siamo ancora qui, nel pub di un paesino di provincia a bere birra, mentre il sabato pomeriggio sfuma lentamente nella sera.
Parlano di qualche mese.
Tre, forse addirittura sei. Probabilmente quattro. So che non dovrei prendermela troppo, in fondo ho vissuto a sufficienza.
Ci sono migliaia di bambini che muoiono ogni giorno, proprio ora, in questo preciso istante. Se potessi regalare a ciascuno di loro un po' dei miei anni passati, beh, me ne andrei via più tranquillo.
Ma non è così che funziona.
Perché non esiste alcun contratto dove sta scritto che la vita è una questione di numeri. Non esiste alcun contratto, in verità.
Lei non lo sa ancora. Non ho il coraggio di dirglielo.
Come si reagisce alla notizia che il tizio con cui dormi da più di mezzo secolo, tra qualche mese sarà solo un cuscino vuoto? Non lo so.
Ho paura. Non solo per me, anzi, soprattutto per lei.
La verità è che non siamo fatti per morire.
Lo so che sembra un ragionamento infantile, ma vi posso assicurare che le cose stanno proprio così.
Ogni giorno vivi la vita ai cento all'ora con una voglia matta di alzare il piede dall'acceleratore. Poi, senza alcun preavviso, si accende la spia rossa e sei costretto a fermarti per fare rifornimento. Quando sali di nuovo in macchina e giri la chiave, però, non accade nulla. Il motore non ruggisce più. È morto.
Ma com'è possibile? ti chiedi. Stavo viaggiando alla velocità della luce fino a un attimo fa. Avevo dei progetti, degli assi nella manica da giocare al momento giusto, e ora mi ritrovo con le mutande calate all'altezza delle ginocchia in attesa di essere punito per chissà quale colpa.
Credetemi: anche a ottant'anni si fanno progetti. E uno di quelli più ricorrenti, ironia della sorte, è quello di non morire.
Comico, no?
«Ci facciamo un altro giro?» mi fa lei.
La osservo e sorrido. È bellissima. Con il vestito a pois e gli occhiali in tinta.
«Perché no!» esclamo. «In fondo...» Lascio la frase a metà e lei aggrotta le sopracciglia.
Forse ha capito.
Forse no.
Forse... chissà.
Faccio segno al barista di portarne altre due.
Lui annuisce.
- Hai ancora un gran bel cuIo - le dico aggiustandomi il berretto.
Lei sorride.
Una carezza sulla guancia.
Chiudo gli occhi e mi preparo al prossimo giro.
Di Birra.
Di Vita.
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Ogni giorno pubblico sulla pagina un racconto breve ispirato da un'immagine. Unisciti a noi!
(Illustrazioni by Pete McKee)
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chez-mimich · 1 year ago
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UNA QUESTIONE CULTURALE
Quando, sotto l’onda emotiva provocata da uno spaventoso fatto di cronaca (come nel caso recente del giovane uomo che ha ucciso la compagna), ci sentiamo in dovere di esprimere tutta la nostra indignazione e la nostra rabbia, spesso, cercando di non essere impulsivi e alla disperata ricerca di una causa per fatti che non riusciamo razionalmente a spiegarci, diciamo che “è una questione culturale” e ci affanniamo subito a dire che dovremmo cambiare mentalità, e cultura appunto. Solo che le “questioni culturali” non si cambiano da un giorno all’altro e nemmeno da una generazione all’altra: per cambiare abitudini e forme mentali ci vogliono dei secoli. Se in Italia, e anche altrove, la donna è stata fatta ed è, talvolta ancora, oggetto di sentimenti di possesso, questo atteggiamento non data qualche decina d’anni, ma millenni. È ora evidente che non si possa decidere a tavolino che “l’approccio culturale” vada cambiato e, tantomeno, che questo possa accadere in una decina d’anni o nel corso di un ciclo di studi. Vale però la pena anche di ricordare che non tutti hanno avuto verso le donne lo stesso “approccio culturale”. Io mi ricordo ancora quando, l’otto marzo di circa quarant’anni fa, sfilavano i cortei delle femministe e metà della cittadinanza le guardava con compatimento, pensando di loro tutto il male possibile e mettendo persino in dubbio la loro “moralità”. Mi ricordo bene quanta velenosa ironia sugli zoccoli e sulle gonne a fiori, così come mi ricordo bene i saluti romani dei “camerati” che hanno sempre considerato la donna un puro oggetto di piacere, una macchina per fare figli e, nella migliore delle ipotesi, una domestica a tempo pieno che lavora gratuitamente. Altrettanto ricordo bene i democristiani che si indignavano e ancora si indignano, contro la legge sull’interruzione della gravidanza. Oggi quelli che facevano il saluto romano si sono dati una (salutare) calmata, almeno esteriore, ma maschilisti e “machisti” erano e tali restano (nonostante le indignazioni di facciata). Ricordo anche molto bene la destra italiana, insofferente al massimo grado, per gli slogan come “il femminismo non è separatismo, ma lotta per il comunismo” urlato delle ali più estreme del Movimento. Ricordo con tristezza quali epiteti riservava la destra italiana a personaggi come Franca Rame, Lidia Menapace, Rossana Rossanda o, per non andare troppo lontano nel tempo, ricordo come le organizzazioni di destra appellavano la Presidente della Camera, On. Laura Boldrini. Sì è una questione culturale, ma non dimentichiamoci, figlia di quale cultura, tanto per non fare di tutte le erbe un fascio. Anzi un Fascio. Se qualcuno poi, volesse approfondire l’argomento in senso “culturale”, mi permetterei di consigliare la lettura di un librettino di qualche annetto fa (1884) dal titolo “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”: lo ha scritto tale Friedrich Engels. Visto che si tratta di una “questione culturale” qualche riferimento culturale va pur fatto…
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