#io vado a sciare
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mineestellepolari · 10 months ago
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Seguo da un po' il tuo blog e mi stavo chiedendo una cosa, vedo dai tuoi post che spesso sei in giro, quando sulla neve, quando con gli amici, ora hai preso il biglietto per il concerto a Roma.. la mia domanda è: cosa fai nella vita per avere tutto questo tempo a disposizione? Perché io che studio e basta davvero non ne ho, neanche la metà della metà che sembri avere tu...
Ho un contratto a tempo indeterminato in un’enoteca, faccio un part time di 12 ore settimanali, mi manca qualche esame per prendere la laurea in chimica e tecnologie farmaceutiche e quest’anno prenderò un secondo diploma e forse anche un secondo lavoro.
Vado a Firenze perchè ho una casa lì da gestire.
Vado a sciare perchè ho intenzione di prendere il brevetto per diventare maestra di sci.
E si, ogni tanto faccio anche qualcosa per svagarmi tipo un concerto.
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apeir0nn · 1 year ago
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Ieri in palestra il tipo l'ho guardato una sola volta e mi ha sgamato, meno male che non gli stavo guardando il pacco sennò mamma mia che figuraccia. BUT, ha sorriso a una mia battuta ! Io e my friend Giulia abbiamo decretato che alla prossima storia dovrò rispondergli, peccato però che mette storie di quando va in montagna (non vado in montagna a sciare) o degli Oasis (ok bravi ma non so intavolare un discorso sugli Oasis) o di frasi random ma molto cuccioline (non saprei cosa rispondere) o degli eventi che organizza (non vado agli eventi). Sarà molto difficile quindi.
Ah, dimenticavo: ho 16 anni, mica 32!
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corallorosso · 4 years ago
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Ciao a tutti, mi chiamo SARS-CoV-2, ma come già fate da tempo, potete chiamarmi Covid-19. Credo che non ci sia bisogno di altre presentazioni. Ci conosciamo già. Quindi vado dritto al punto. Ormai è quasi un anno che stiamo insieme. Solo qui in Italia ho ucciso quasi 60mila di voi. E ne vado fiero. Però, prima che arrivi quel maledetto vaccino, vorrei tagliare il traguardo dei 100.000 lutti. Voglio fare cifra tonda. Così, perché le cifre tonde sono carine. In fondo dai, anche per voi quelli ormai sono solo numeri. Vi ricordate quando a inizio marzo ne avevo uccisi solo poche centinaia e voi accettaste senza troppi problemi che quel bastardo di Conte vi chiudesse in casa? Era per voi talmente così insopportabile la vista di quei numeri, di quelle tragedie, che accettaste quel sacrificio e che avreste impalato chiunque vi avesse parlato di cenoni e vacanze. E posso dirvi la verità? Ho avuto seriamente paura di sparire. Me la sono vista davvero brutta. Poi, fortunatamente, invece di andare dietro a quei guastafeste del governo, avete iniziato a dare retta a quegli altri che parlavano di virus morto, di discoteche da aprire, di mascherine da non indossare, di saluti col gomito da non fare perché “sono la fine della civiltà umana”, di libertà da riacquistare. E poi tutti dietro perfino a quegli amici meravigliosi che sono negazionisti e complottisti (vi amo!). E mi sono ripreso. Madonna se mi sono ripreso. Non so come avrei fatto senza di loro. Avete visto quanti ne ho ammazzati questo autunno? Decine di migliaia. All’inizio mi sono detto “Covid non esagerare, Covid anche meno” perché temevo che voi andaste di nuovo dietro al governo. Ma poi ho visto che davanti alle prime chiusure e con l'appoggio delle opposizioni vi siete ribellati e mi sono detto: “Ok, è fatta, diamoci dentro”. Ed �� cominciata anche questa strage. I miei nemici, dal governo, ai virologi, ai medici, agli infermieri, che erano diventati i vostri eroi a marzo, ora li vedete praticamente come i vostri nemici. Dei morti non vi frega più nulla, degli ospedali che collassano, della gente che resta senza cure. Tutte rotture di palle. Ora addirittura i vostri politici occupano il Parlamento gridando “Libertà Libertà” perché il governo vuole salvarvi da me, vuole evitare quei contatti che per me sono vitali e per voi mortali. Dicono che il governo vi ruba il Natale. E credetemi: non avrei saputo trovare slogan migliore per fottervi tutti. E' vero cazzo. Il governo è cattivo, vuole rubarvi il Natale. Non date retta al governo. Aiutate me. Andate a salutare la zia nell’altro Comune, fate cenoni allargati, ammucchiatevi in Chiesa e cazzo andate a sciare comunque. Non permettete al governo di impedirmi di fare cifra tonda. Ribellatevi. Posso ancora ammazzare tanti di voi. Ma se rispetterete le distanze e tutte quelle regole lì del cazzo io non ce la farò. Fate come fa l’opposizione. Gridate anche voi Libertà! Sì. Chiedete Libertà. Fate fare alle persone che amate un bel Natale. Io farò in modo che sia anche il loro ultimo Natale. Potreste sacrificarvi questa volta e godervi il resto della vita. Ma cos'è una vita davanti a 4 ore a mangiare in compagnia? Eh? Dai, datemi una mano. Anzi. Datevi la mano. E non date retta a quei guastafeste. Loro vogliono solo rubarvi il Natale. Emilio Mola
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paoloxl · 6 years ago
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È metà mattina di sabato 24 novembre quando avvistiamo per la prima volta i “Gilets Jaunes” all’inizio del viadotto che s’inerpica verso Chamonix fino al Tunnel del Monte Bianco. Gilet nello zaino, siamo voluti andare a vedere cosa avevano da dire e da dirci i partecipanti a questo movimento che sta sconquassando gli equilibri istituzionali francesi mettendo definitivamente fine all’idea che lo scollamento tra le élite europee e popolazione possa essere riassorbita dall’ipotesi Macron. Ne è uscito questo piccolo reportage in cui abbiamo provato a sintetizzare una dozzina d’interviste fatte al blocco, le nostre sensazioni e qualche considerazione sul movimento.
“Per me il gilet giallo vuol dire che per una volta si guarda a chi sta in basso”: cronaca di un sabato di blocco al traforo del Monte Bianco
La mobilitazione dei gilets jaunes nasce dalla petizione on-line lanciata da una giovane donna, Priscilla Ludosky, abitante di Savigny-le-Temple, nella seconda cintura parigina, nella quale chiede un abbassamento del prezzo del carburante. Al centro della protesta c’è il generale aumento del pieno e l’equiparazione del prezzo del diesel a quello della benzina, recentemente approvato dal governo francese che dice così di voler favorire la transizione energetica oltre i combustili fossili. A partire dalla petizione di questa venditrice in proprio di prodotti cosmetici di origini martinicane sono nati centinaia di gruppi Facebook contro l’aumento del prezzo del carburante e l’impatto importante che sta avendo sull’economia di molte famiglie precarie. Grazie ai gruppi social sono stati organizzati migliaia di blocchi stradali per chiedere il ritiro dell’aumento del carburante, protestare contro il carovita e chiedere le dimissioni del presidente Macron. Distribuiti capillarmente, i gruppi social e poi i blocchi si sono soprattutto concentrati nelle zone peri-urbane, disegnando una geografia della crisi nella quale i focolai sono rappresentati dai territori scarsamente connessi dal trasporto pubblico, dove l’uso della macchina è quasi indispensabile e il diesel ha rappresentato fino a oggi un investimento per provare a non buttare un salario sempre più magro nelle spese di trasporto.
11:35
Passato il traforo, scendendo in direzione della Francia notiamo un traffico particolarmente calmo dall’altro lato della corsia. Forse non c’è nessun blocco? Difficile reperire informazioni, molti gruppi Facebook sono stati cancellati dopo le proteste di sabato scorso quando quasi trecentomila persone hanno inscenato oltre duemila blocchi paralizzando completamente la Francia. Arrivando a Passy, paesino di diecimila abitanti alle pendici del Bianco, scorgiamo però prima una lunga fila di camion, poi il blocco. Dall’alto il colpo d’occhio è impressionante. Qualche automobile avanza a singhiozzo verso il tunnel mentre decine di tir sono incolonnati per chilometri. Altrettanti sono fermi nell’area di sosta adiacente dove, dopo aver fatto inversione, ci parcheggiamo. Infiliamo i nostri gilet e iniziamo a camminare sull’autostrada accanto alle auto ferme fino al primo manifestante che incontriamo nella giornata, una signora sulla sessantina, capelli iper-ossigenati e labbra rosse fuoco che ci apostrofa immediatamente chiedendo di attendere il suo segnale per spostare dei coni segnaletici e far passare un autobus intrappolato tra i camion.
° Il primo punto di blocco °
° "Il popolo unito non sarà mai vinto" °
Qui la scelta è di lasciar passare, al rallentatore, le persone mentre le merci devono stare ferme. Questo però lo scopriremo dopo. Immediatamente, invece, intuiamo la funziona primaria del gilet. Permette subito di riconoscere i nostri. Prima di essere un simbolo sembra un segno di complicità in una pratica, il blocco, in cui veniamo immediatamente arruolati. Questo si dipana con una sua gradualità per diverse centinaia di metri, dopo la signora c’è chi volantina, altri che si intrattengono con gli automobilisti incolonnati fino a che non si arriva al punto di arresto vero e proprio, là dove la piccola strada provinciale di Passy s’infrange sulla base del viadotto degli Egratz, parte dell’autostrada che sale fino al Monte Bianco. C’è una tenda con cibo e caffè, la testa della colonna dei camion fermi e una piccola gimcana fatta con i coni dove passano le macchine che pagano pedaggio con un colpo di clacson di solidarietà, richiesto a gran voce ad ogni automobilista che passa tra le ali di folla e accolto ogni volta con urla e applausi.
° La tenda ristoro. Cibo e bevande sono stati donati in solidarietà da alcuni supermercati del posto °
° Il blocco all'inizio degli viadotto degli Egratz °
Grazie al blocco ci accorgiamo immediatamente di una contraddizione, latente in questa valle alpina, che si condensa proprio nel punto di blocco dei gilet, in quello scontro tra la direttrice veloce che unisce la Francia all’Italia con le sue merci e la strada provinciale di Passy con i suoi abitanti. Una regione al contempo depressa e ricchissima che ha anche il primato di essere la valle più inquinata di tutta la Francia come ci segnala la presenza della zona industriale accanto al viadotto. Il punto di blocco è come una miniatura delle profonde ristrutturazioni capitalistiche che hanno investito questo territorio tra gli anni 70 e 90, la deindustrializzazione ha ridotto l’effettivo della fabbrica chimica di Pechney, che si trova ai piedi del viadotto, dai 1'000 ai 200 operai e quella che era una roccaforte operaia è stata smantellata pietra per pietra. La sorte di questo stabilimento avrà accompagnato tutte le evoluzioni produttive dell’Alta Savoia. Prima vi si produceva del clorato di potassio, poi esplosivi durante la prima guerra mondiale (la “cheddite”, dal nome del sobborgo di Ched, nella parte nord di Passy), poi alluminio e infine, oggi, grafite. La città-fabbrica negli anni si è frantumata in mille pezzi e nuovi operai si sono disseminati nel territorio intorno a Chamonix, città faro degli sport invernali dove si può lavorare ma non si può vivere o sciare. In questo contesto la benzina è la condizione per accedere al lavoro ma, a differenza dell’epoca in cui il paternalismo padronale offriva agli operai la legna per scaldarsi in inverno, questa voce di spesa oggi è tutta a carico dei lavoratori.
° Un cartello in omaggio a Chantal Mazet, la donna morta durante la prima azione di blocco dei gilet gialli il 17 novembre °
“Siamo qui contro l'aumento di carburante, questa è la frase facile, bisogna andare scavare più a fondo. Hanno tagliato l'educazione, abbiamo sempre meno risorse per i nostri figli, non ce la facciamo più, siamo obbligati a vivere a credito, ogni fine del mese, anche privandosi di tante cose, lo scoperto sul conto è obbligato. Grattano il fondo del barile ma non capiamo neanche perché, prendono e non si capisce cosa ci torna indietro. Qui non c'è neanche più il neurologo all'ospedale, dobbiamo fare 100 chilometri per vedere degli specialisti. Io sono qui per la salute, per l’educazione, per il futuro dei miei figli” ci dice Valérie, madre separata, auricolare all’orecchio, due bambini, lavoratrice nel settore alberghiero. Fa la spola tra il presidio e l’inizio del blocco da dove le telefona il cugino dicendole che la polizia è nervosa e vuole far riprendere la circolazione. “C'è anche gente per cui il blocco rappresenta l'attività del weekend, non c'è niente da fare, qui è tutto ultra-caro, una giornata di sci sono 200 euro, quando sei del posto come fai?”. Poco lontano, appoggiato sul guard-rail, incontriamo Georges che ci racconta del violento sgombero che c’è stato sabato scorso, quando i CRS hanno deciso di liberare l’autostrada con manganelli e gas che sono arrivati su bambini e anziani. Anche lui di anni sul groppone ne ha qualcuno, è pensionato e non è la sua prima mobilitazione. Veniamo così a scoprire che qui i camion sono già stati bloccati negli anni scorsi, seppur parzialmente, durante le manifestazioni contro l’inquinamento che sta asfissiando la regione. Paradossalmente, la sola eredità della passata gloria industriale di Passy è la contaminazione delle falde lasciata dalla fabbrica Pechiney in un secolo di attività. Per anni i rifiuti, tra cui il pericolosissimo perclorato di ammonio, erano semplicemente gettati in una discarica presso il fiume Arve, inquinando le nappe freatiche fino a Ginevra. Accanto alla fabbrica e alla discarica, un inceneritore di rifiuti da cui si leva in continuazione uno spesso filo di fumo, visibile direttamente dal punto di blocco dei gilet.
° Una manifestazione contro l'inquinamento a Passy nel 2016 °
“Io alle manifestazioni in genere non ci vado perché ci sono partiti politici. Qui quello che mi piace è che parla il popolo, non ci inquadra nessuno, esprimiamo la nostra collera. Non ci sono sindacati, non ci sono leader. Quindi non c’è nessuno a cui si può lasciare qualche briciola per spegnere il movimento. C'è la questione delle tasse, della benzina ma poi qui in valle c'è soprattutto la questione dell'inquinamento”. A parlare è Bernard, sulla quarantina, lavora come metalmeccanico col salario minimo. Ha la figlia quattordicenne accanto, ci dice che ci teneva a portarla oggi al blocco per “mostrarle la realtà, non è tutto bello né facile”. Quando gli chiediamo di Macron ci dice che per lui rappresenta solo un ricco che non sa come si vive nel mondo, anzi non rappresenta nulla: “io non l’ho mai votato”. Evidentemente su di lui gli appelli a salvare la Repubblica da Marine Le Pen votando per Macron al secondo turno non hanno avuto effetto. Sulle critiche fatte ai gilet di non rispettare l’ambiente ha le idee chiare. “Lo Stato ha fatto delle analisi e dice che l'aria va bene. Ci sono collettivi che si sono organizzati per fare analisi indipendenti che dicono il contrario. Raccogliamo i funghi e ci sono i metalli pesanti dentro. È una catastrofe. E lo Stato non lo vuole riconoscere. Anzi ci dice che siamo noi gli inquinatori, chi inquina è sempre il popolo, non i camion e le fabbriche. Quelle cose lì non vanno toccate. Lo stato se ne frega dell’inquinamento, vuole i soldi. Fanno un’ecologia punitiva. L’ecologia di oggi significa colpire le persone”.
Ci sono due valli che vivono letteralmente una sopra all’altra. Sulle vette le ricche stazioni sciistiche con i loro altrettanto ricchi sciatori che vengono in gran parte dalla Svizzera, dal Regno Unito e dalla Germania, facendo salire i prezzi nei negozi e il costo degli affitti. Per quelli che sono in alto l’aria è sempre pulita. Quando il sole riscalda l’atmosfera in altitudine, però, le polveri sottili vengono bloccate giù lasciando quelli in basso a respirare veleno e fare i conti con un salario eroso dal carovita.
° "Politici in prigione" °
13:45
Al punto di fermo iniziano ad arrivare sugli smartphone le immagini dell’assalto dei gilet gialli agli Champs Elysées e gli animi si infiammano: “a Parigi è buono, è quello che serve, un bel 68!” (non sarà il solo riferimento al Maggio francese che ci faranno i nostri interlocutori durante le nostre chiacchierate). A urlare è un operaio di 32 anni della fabbrica Pecheney, Daniel, padre separato con due figli, dice che non riesce più a vivere. “Ho bisogno della macchina per spostarmi, qui non siamo a Parigi in cui sono i trasporti pubblici” ci dice. È andato soltanto a un altro corteo prima del blocco, contro Jean-Marie Le Pen. Più che la tasse per lui è la questione del governo. “Non ce ne torniamo certo a casa se ci sono 20 centesimi di meno sulla pompa di benzina, è Macron, deve cadere è uno nato avec une cuillère d’argent dans la bouche [con un cucchiaio d’argento in bocca, ricchissimo]” dice tra l’approvazione degli amici. Sono arrabbiati perché “c’è un infiltrato… un padrone che vuole mettersi in mostra”. Sembra che il proprietario di alcuni grandi magazzini di abiti si è messo a mediare con la polizia perché il blocco fosse solo parziale, col passaggio di 8 tir ogni 15 minuti.
Ci dice che tutte è nato su Facebook “come le primavere arabe proprio per questo provano a censurare” ed è incazzato per come si sono comportati i CRS sabato scorso. Gli usi tradizionali di internet vengono ribaltati durante la mobilitazione. Il primo appuntamento per il blocco è circolato in un locale gruppo whatsapp di compravendita di oggetti usati, utilizzato quindi in maggioranza da persone con un budget familiare limitato. Dal blocco del viadotto sono anche stati diffusi tantissimi facebooklive, filmati con lo smartphone con l’obiettivo assicurarsi da sé che le informazioni necessarie alla lotta circolino, senza mediazione. Non c’è bisogno di chiamare i giornali locali, la questione non si pone nemmeno quando il video dello sgombero della settimana scorsa è stato visualizzato più di un milione di volte. Non va sottovalutato l’impatto delle competenze acquisite con questo uso popolare di internet in cui si condividono codici, un particolare uso dell’audiovisivo e luoghi virtuali di incontro. È su questa ossatura che si costruisce l’organizzazione della lotta dei gilets jaunes che sembra funzionare come un coordinamento invisibile di pratiche, discorsi ed obiettivi. Al punto che non siamo riusciti a incontrare una sola persona che fosse andato anche solo a vedere gli altri blocchi che ci sono ad appena qualche decina di chilometri dal viadotto.
° Daniel con un selfiestick trasmette le immagini del blocco sulla sua pagina facebook °
Quando chiediamo a Daniel chi partecipa al presidio ci dice che “c’è un po’ di tutto, siamo tutti gente che lavora o che cerca lavoro”. Una cosa ci salta subito all’occhio. Nelle parole di questo ragazzo e in quello di altri manifestanti c’è la visione della questione fiscale, dell’aumento della benzina ma non solo, come facente direttamente parte del salario. Un costo della riproduzione scaricato sulla “gente che lavora o che cerca lavoro” e che bisogna cercare di diminuire (“io sai ne ho fatte di cazzate, due bambine, due divorzi, devo pagare gli alimenti”). Il mondo si divide in quelli che ce la fanno a pagare e quelli che non ce la fanno. Quando chiediamo a lui e all’amico che ha accanto perché non fanno sciopero ci rispondono all’unisono “perché non possiamo”. Il blocco invece è direttamente raggiungibile. Chi ha più disponibilità di tempo si alterna in settimana (c’è chi si è messo in malattia, sicuramente opzione meno pericolosa dello sciopero di questi tempi) e nel weekend il picchetto autostradale si anima di centinaia di persone. Dalla fabbrica chimica sono circa in cinquanta ad alternarsi al picchetto. Un gilet o una tuta blu? Molti hanno impressi i loghi dell’azienda in cui lavorano. Ci sono un paio di car rent, alcuni giubotti col logo del tunnel del monte bianco, altri di parcheggi sotterranei. E poi in tanti che decorano i propri gilet personalizzandoli con slogan e altre frasi.
° Sul gilet "mi batto per i miei futuri figli, la futura pensione dei miei nonni" °
° Sul gilet: " Macron vecchio diventarai chi ti curerà??"
Passano pochi minuti e la situazione precipita. Un uomo di una cinquantina d’anni prende parola: “non serve a nulla quello che facciamo. All’Eliseo si staranno facendo una grassa risata. Io dico: NON PASSA PIU NESSUN CAMION”. Con un altro si prendono a braccetto e si mettono davanti al camion che aspettava di partire, seguiti da qualche decina di compagni. Un cono della segnaletica funge da megafono per lanciare la Marsigliese e lo slogan più in voga « Macron si t'es pas con, présente, présente, ta démission » [Macron se non sei scemo presenta le dimissioni].
° Il megafono dei gilet jaunes °
I gendarmi, sempre presenti ai lati e in mezzo ai manifestanti cominciano a mettere pressione sulle prime linee, provano a convincere di far passare almeno otto camion. C’è incertezza, alcuni si tolgono, stanno quasi per cedere quando una donna sulla trentina (scopriremo dopo essere Debora, lavora in un negozio di vestiti) grida in faccia al commissario “non è natale che vi dobbiamo fare regali: I CAMION RESTANO QUI!”. In testa alla lunga coda c’è un camionista con targa bulgara che prova ad avanzare azionando il clacson ed esasperando gli animi. Un giovane camionista che partecipa al blocco punta il dito contro il dumping salariale e dice che è anche perché nella zona è pieno di camionisti dell’Est che i salari sono così bassi. La polizia tenta allora di liberare la via spintonando i manifestanti, alcuni giovani, tra cui quelli con cui abbiamo parlato prima, nel frattempo hanno tirato fuori maschere da sci e fazzoletti imbevuti di limone, memori di quanto successo la settimana prima. Alle prime spinte delle forze dell’ordine la gente reagisce, i gendarmi non manganellano e finiscono schiacciati tra i camion e la folla. Un po’ storditi, si ritirano pochi minuti dopo tra gli applausi dei gilet e lo slogan “les gendarmes avec nous!”. L’attitudine verso la polizia è ambivalente, con i gendarmi del posto è di discussione franca, con i CRS venuti da fuori, invece, di ostilità. Tutti sono un assai combattuti tra il denunciare l’ingiustizia subita e il voler vedere la polizia “dalla parte del popolo”. 
° I gendarmi si scherano per provare a liberare la via °
Abbordiamo Debora, la commessa avvelenata contro la polizia: “si vede che la Francia è diventata una dittatura quando vediamo i CRS che lanciano i lacrimogeni sui gilet jaunes”. Non ha mai fatto una manifestazione in vita sua ma è determinata a restare fino a quando servirà. “Mi batto per i miei due figli, è come un ammortizzatore, prendi scossoni, prendi scossoni e alla fine il meccanismo si rompe”. Nel frattempo alcuni gilet stanno smontando il guard-rail che separa l’autostrada dalla strada provinciale di Passy per facilitare la costruzione di una grossa barricata fatta di pallet. Il legno viene accatastato un po’ da tutti mentre vengono messi sulla strada anche i bidoni con il fuoco per scaldarsi, prima lasciati sulla provinciale.
16:04
Il traffico merci verso l’Italia è completamente bloccato da diverse ore quando un giovane con gli abiti da lavoro sotto il gilet ci dice che hanno deciso di “bloccare qui perché qui è un punto strategico, ogni camion sono 300 euro di pedaggio che facciamo perdere allo Stato”. Colpire il nemico al portafogli è un discorso che si rincorre di bocca in bocca (“tanto conta solo quello”). Ci raccontano di un centro di riscossione che è stato bloccato poco lontano da qui per tutta la settimana appena trascorsa, mentre numerosi autovelox sono stati sabotati per ridurre i ricavi fatti con le multe (ne vedremo alcuni risalendo verso il tunnel).
° L'accesso al tunnel è ormai completamente bloccato °
Di giovanissimi ne vediamo piuttosto pochi, da segnalare solo un paio di scene memorabili, una di un’adolescente a volto coperto che rincorre la madre che stava andando a casa per chiederle di venirla a prendere più tardi e una di tre amici che si fanno selfie con gilet jaune spongebob. Un liceale ci dice che di gente della sua scuola ne vede abbastanza poca mentre ci sono molto più studenti dagli istituti tecnici e professionali “ma c’è una mia professoressa, mi ha aiutato a mettere il maalox nel fazzoletto se gasavano”. Un altro liceale che incrociamo è uno studente appartenente a Lutte Ouvrière, un partito trotskysta (“sono l’unico militante della zona”). Ci dice che il primo giorno è arrivato in uomo sandwich con i giornali del partito con tanto di falce e martello ma è stato costretto dagli altri gilet a levarli. Ora è qui a sostenere il movimento perché “è da qui che passa l’emancipazione della classe operaia”. Dice che per ora si sente solo la Marsigliese ma che spera presto che al blocco si canti anche l’Internazionale.
° Gilet jaune spongebob, sul cartello "basta evasione fiscale, dei soldi per la scuola" °
Il rifiuto di ogni appartenenza politica e sindacale, la voglia di non aver capi è un elemento costante in tutti discorsi. È come se a partire dal tempo sospeso del blocco cominciasse un anno zero “non ci sono partiti è il popolo che si esprime” ci dice Aur��lie, una professoressa col casco da sci in testa che ci rivela a mezza voce essere simpatizzante della France insoumise, il partito di Melenchon: “ma qui non l’ho mai detto, serve sensibilità per essere in questo contesto, i militanti devono stare al proprio posto”. Le chiediamo se vede un qualche tipo di continuità o di filiazione con le mobilitazioni contro la Loi travail e ci dice che la gente in piazza è completamente diversa. Ci parla delle discussioni negli ambienti dell’associazionismo locale (lei fa parte di una ONG ecologista) che non vogliono unirsi al movimento. Ha anche litigato coi suoi colleghi a scuola, solo uno partecipa al blocco. “Non capiscono assolutamente perché siamo qui. Per loro è una protesta disprezzabile perché dicono che la gente è qui solo per pensare al proprio portafogli. Sono persone che si sentono al di sopra di tutto questo. Ho l’impressione che ci sia veramente un grossa frattura tra l’élite pensante e la gente che è qui, non si capiscono, non si parlano” conclude.
18:23
A Debora chiediamo cosa rappresenta per loro il gilet giallo. Nelle sue parole la visibilità che permette questo accessorio ormai obbligatorio in ogni automobile diventa visibilità politica che marca una differenza. Ci risponde dicendo “ci riconosciamo, almeno ci vediamo tra di noi”. È stata la sola a sottolineare l’importanza del passaparola e del fatto che tanti di quelli che vede nei blocchi li conosce “nella vera vita” anche se, aggiunge, “qui è diverso”. Accanto a lei c’è Sara, lavoratrice nel settore delle pulizia: “per me il gilet giallo vuol dire che per una volta si guarda a chi sta in basso”.
Sul tetto di un capannone vicino sono saliti alcuni gilet che sparano musica dance a tutto volume. Si fa sera e i visi cominciano a rilassarsi. Si sparge la voce che la polizia non ha abbastanza plotoni per eseguire uno sgombero di forza. Nel frattempo ci dicono che il padrone del negozio di vestiti è stato cacciato (“forse è qui da qualche parte, ma non può più parlare”). Ci si prepara a passare una notte sulle barricate, mentre alcuni giovani cominciano a coprirsi il volto altri corrono sul viadotto, finalmente liberato dai camion. Prima di ripartire prendiamo un caffè alla stazione di servizio, la radio annuncia in francese e in inglese che tutti i collegamenti merci tra Francia e Italia sono sospesi fino a nuovo ordine e raccomanda ai camionisti di fermarsi sulla prima area di sosta disponibile. Mentre mettiamo in moto dal presidio parte Narcotic dei Liquido: “So you face it with a smile, There is no need to cry…”.
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la-bionda · 3 years ago
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La noia
Rieccomi qua. Oggi giornata vuota, ma se non altro vuota anche di rotture di palle. Relax o day off come scrivono nelle stories quelli che la sanno lunga.
In realtà anche un po’ rottura di palle, forse perché speravo di andare a trovare i miei cugini, ma loro sono scesi al mare. Io non ci sono andata perché oggi tirava un vento bastardo giù, però sinceramente buttare ste giornate ar cesso mi spiace. Non che voglia fare chissà che cosa, chiariamo, però anche non uscire mai è pesante. Ma dove vado? Qui non c’è veramente un cazzo e se esco mi deprimo; per andare al cinema ci vuole la ffp2 e sinceramente di tenerla inchiodata alla faccia per due ore senza manco poter bere, non ho voglia; di andare a mangiare fuori non ho voglia, cerco stimoli non cibo...
Oggi, sul gruppo degli amici, A. ha postato delle foto e dei video dalla montagna. Ha 2 gemelli, ma due mesi fa si è preso il GS, oggi è andato a sciare con un amico e via così. Non toglie nulla a loro e se la gode anche da solo, senza tante pare. Lo invidio e lo ammiro molto, da sempre. Mi manca tanto come amico perché con lui intorno è sempre una festa. Non l’ho mai visto preso male, mai. Non si è mai abbattuto di fronte a niente, si è reinventato più volte, ha cambiato luoghi, lavori, ha sfruttato fantasia, estro e sì, anche un po’ di faccia tosta, ma dagli torto.
Mi manca un amico come lui perché non ha paura di buttarsi, è curioso, vuole conoscere, provare. Mi manca un amico come lui intorno perché una giornata libera è un dono e non va mai sprecata. Lui prende e va oppure ti improvvisa un giro o una serata tutti insieme radunando gli amici, senza tante pare e senza star lì a pianificare tutto.
Mi manca averlo vicino per la sua ironia, il suo umorismo, il suo entusiasmo. Mi manca tanto come amico, davvero. Però sono contenta di sapere che è riuscito a ritagliarsi uno spazio suo lassù. Sono sicura che il paesino e i boschi gli mancano da morire, però si è fatto altri amici e prova a fare cose che lo fanno stare bene.
Quando mi lamento o sono scontenta penso a lui per la sua capacità straordinaria di buttarsi e di provare a cambiare le cose - poi i casini che ha fatto li so bene, ma adesso parlo di atteggiamento e carattere.
Quindi adesso cara mia datti una svegliata e piantala di lamentarti. Sono le 17.34 e ho fumato l’ultima ieri sera alle 21. Che faccio? Mi lascio andare e ne fumo una o tengo duro?
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telobuco · 7 years ago
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il polline è la neve della primavera, tranne che la neve è bella e ci puoi sciare mentre il polline ti entra nel naso a tradimento e ti fa starnutire quindi insomma, non proprio uguale ma ok. Sono andata a vedere un appartamento prima e non mi è piaciuto: era della grandezza giusta, nella zona giusta, ma non mi è piaciuto. Poi stasera vado a cena con mia sorella in un posto che ci piace accanto a casa, non vedo l’ora perchè ho già davvero molta fame e questo posto è molto bello e fuori c’è una luce che ti fa venire voglia di fare le cose e possibilmente ubriacarti. Vorrei uscire con Gregorio ma è impegnato in una cena alla quale non sono invitata perchè è con i suoi amici ed è giusto che ognuno faccia le cose con i propri amici. Che è molto vero ma io ci volevo andare. Ieri sera è venuto a casa mia ma sono rimasta insoddisfatta come se non ci fossimo visti. Nonostante mi abbia detto che ha finito il pezzo che parla di noi, che ha pensato al mio culo tutto il fine settimana, che ha già una posizione preferita quando dormiamo insieme e mi abbia abbracciata tutta la notte, sono insoddisfatta. Che cosa è che voglio? L’amore? Più attenzioni di così? Per qualche motivo mi sembra sempre di fare fatica.
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diluv-io · 4 years ago
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Giorno 310: 27/12/2020, Domenica
Sono passati dieci mesi dalla data dell’ultima traccia scritta di questa sorta di diario pandemico precocemente interrotto. Avrei voluto scrivere qualcosa in altre occasioni e ricordo nitidamente di avere cercato di farlo, dopo un mese dal 21 Febbraio, o dopo due, o dopo sei. In tutte queste occasioni non ho avuto la forza o la voglia di confrontarmi né con quello che stava accadendo né con me stesso né con i pensieri che stavano attraversando la mia mente, sballottati da una parte all’altra come una barchetta di carta tra le onde burrascose delle infinite informazioni che scrosciavano su di me. Forse, come ogni volta, ho pensato che quello che avrei potuto scrivere non sarebbe stato nulla di rilevante e ho lasciato che altri lo facessero per me, oppure che la mia mente metabolizzasse quelle idee masticate e il tempo me le facesse dimenticare. Il tempo è passato, dieci mesi appunto, ma le sensazioni rimangono le medesime e l’unico motivo che mi porta a scrivere ora è che ora ho avuto per la prima volta l’occasione di rileggere le poche righe di questo diario e di rivivere le mille sensazioni di quei giorni che sembrano distanti ere geologiche nel tempo.
Il tempo, sì, perché di sicuro qualcosa è cambiato nel misurarlo o nel percepirlo, in me e in tante persone che conosco. Penso fosse Settembre quando ho sentito per la prima volta qualcuno utilizzare l’espressione “l’anno scorso” per riferirsi al periodo da Febbraio a Maggio, quello che all’inizio non aveva un nome o ne aveva tanti diversi, poi è diventato “il lockdown”, poi ancora “il primo lockdown”, con la solita metafora bellica, proprio come la Grande Guerra, conquistatasi il suo primato di orrore solo per essere stata superata dall’orrore una seconda volta. Molto probabilmente chi mi parlava di fatti de “l’anno scorso” era ben conscio di quanto quel periodo, in realtà, fosse lontano solo pochi mesi, ma la quantità di situazioni e sensazioni era probabilmente troppo grande per essere infilata in quello spazio così ristretto. Per quanto personalmente non abbia mai usato quell’espressione, anche oggi il calcolo del tempo mi risulta complicato, perché alcune settimane sembrano durare mesi, altre volano e guardando indietro sembrano passati a volte anni, a volte pochi secondi. Lo spazio, invece, si è decisamente ristretto alle quattro mura di una camera, che sia la mia stanza di Milano ormai abbandonata e consegnata al ricordo, o la mia vecchia camera a casa dei miei genitori dove sono ora.
Uno dei momenti che ricordo più chiaramente e che continua a tornarmi alla mente risale al 23 Febbraio. Sono in fila alla cassa nello stretto Carrefour di Viale Abruzzi e cerco invano di coprirmi la bocca con lo scaldacollo che ho rubato a mio padre e che di solito utilizzo solo per andare a sciare. So che questo gesto è inutile ma è la prima volta che mi si presenta quella strana sensazione di pericolo che ora pervade tanti entrando in un luogo aperto al pubblico. Non ho la mascherina perché non sono riuscito a procurarmene una, perché nessuna farmacia si aspettava che centinaia di persone entrassero di colpo per procurarsi delle mascherine e io non ho fatto in tempo ad essere tra loro, così come la maggior parte di coloro che sono in fila insieme a me, a parte un paio di asiatici. È domenica sera, come oggi, e nel supermercato ci sono le tipiche persone che possono ritrovarsi a fare la spesa la domenica sera: giovani professionisti, mamme di corsa, ragazzi universitari come me. C’è qualcosa di strano, però, c’è più gente, ci sono le mascherine, alcuni scaffali sono vuoti e qualcuno non ce la fa a tenersi tutto dentro e vuole esprimere ad alta voce quello che pensa sulla situazione, come succede a volte a Milano, ad esempio sul tram quando c’è qualche problema sulla linea o un ritardo e per un attimo gli estranei con cui stai condividendo il tragitto in silenzio da decine di minuti improvvisamente cominciano a parlare tra di loro e parlare con te, fino a quando tutto finisce e ognuno torna al proprio silenzio. Nel supermercato il problema c’è, qualcuno lo esprime al telefono e parla di “psicosi collettiva”, di gente pazza che ha fatto le scorte, altri invece parlano da soli ma ad alta voce, per sentire i propri pensieri e farli sentire agli altri, per farsi vedere, per fingere, e ricordo benissimo la ragazza che guarda la fila e guarda i pochi con la mascherina e guarda gli occhi spaventati e sorride ironicamente, cercando complicità, cercando qualcuno che come lei pensi che sono diventati tutti scemi, che le confermi che la domenica sera non c’è mai una fila così e che fino a due giorni fa chi cazzo se lo sognava di entrare nel Carrefour di Viale Abruzzi con una maschera in faccia…
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Sembra ieri ma sono passati dieci mesi e ora anche al Carrefour di Viale Abruzzi non si può entrare senza una maschera in faccia. Io non ci vado più, perché in questi mesi mi sono laureato e mi sono iscritto di nuovo all’università, ho cercato un lavoro e l’ho trovato, ma sia l’università che il lavoro si fanno dal proprio computer, non si va più né a lezione né in ufficio e io sono tornato dai miei per risparmiare e per non restare chiuso in quella stanza ma stare chiuso in questa camera e a Milano non so quando tornerò, non so quando rivedrò la mia fidanzata, non so quando potrò abbracciare davvero i miei nonni, non so quando potrò vedere in faccia i miei colleghi e rivedere i miei amici, non so dove andrò perché sono dieci mesi che tutto vive nell’incertezza e nel dubbio, nella frustrazione e nell’impotenza e io vorrei solo sapere cosa fare domani.
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im-a-fullmoon · 7 years ago
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All'incontro del gruppo delle medie, più di sei anni fa, l'educatrice aveva preparato un “gioco” per tutti noi. Si trattava di completare per venti volte la frase “io sono…” e per quanto sembrasse una cosa semplice, ricordo che tutti avevano fatto fatica ad arrivare almeno a sette frasi.
A pensarci, in questo momento, dopo anni, è molto più semplice arrivare a 20 frasi.
quindi ci ritento.
io sono così: sul marciapiede sto sul bordo e metto un piede davanti all'altro e sto in equilibrio. spesso mi reggo alla persona che cammina di fianco a me e se sono da sola cerco di non cadere. è un movimento così istintivo che solo chi mi conosce ha già visto fare;
mi piacciono le case con il parquet;
vado matta per le bolle di sapone;
adoro andare all'ikea e immaginare; sorrido come una bambina quando vedo gli animali e vorrei portarli tutti a casa come se fossero tutti animali domestici: la mucca da portare a spasso con la campana al collo che continua a suonare, la paperella che nuota nello stagno da mettere nella vasca, la renna da cavalcare, la foca anche lei nella vasca, la scimmietta, l'elefante a cui dare le noci, la capretta a cui dare il latte, il pappagallo da tenere sulla spalla e da addestrare;
quando lavo i piatti canticchio, anzi in molte situazioni canticchio, anche quando mi asciugo i capelli;
mi piace il pizzo ma non quello troppo pesante;
quando faccio la doccia metto la musica ad alto volume e il mio vicino mi odia per questo; in pizzeria, sempre in qualunque caso preferisco la pizza margherita; non mi piace il piccante o le troppe spezie; in gelateria, stracciatella e crema sono i gusti fissi;
spesso sono quella che passa inosservata; preferisco il ghiacciolo all'amarena; ho teorie salde e sicure come il pane da offrire a tutti gli animali esistenti al mondo, perché tutti mangiano il pane, ne sono certa; ho momenti di felicità improvvisi e di idee strane a cui pochi danno corda;
non mi piacciono le attrazioni come Gardaland o Mirabilandia; ho l'immaginazione che parte a mille e sogno un mondo diverso, situazioni diverse e ipotetiche;
a volte dormo troppo;
non riesco ad indossare a lungo gli occhiali da sole;
odio la sensazione della crema appiccicosa sulla pelle;
mi piace cucinare le crepes o i pancake; rido e mi piacciono i sorrisi, quelli veri, quelli contagiosi; faccio stupidaggini, quelle che fanno ridere tutti;
mi piace la pioggia e odio gli ombrelli; amo chi mi fa ridere, chi mi sorprende, chi capisce il mio mondo; amo saltare nelle pozzanghere, dopo la pioggia interminabile; adoro volare in bici anche durante il freddo inverno o durante l'autunno tra le foglie che cadono; amo la montagna e le camminate, quelle faticose e interminabili che alla fine finiscono con un panorma da perdere il fiato; mi piace sentirmi a casa, in posti diversi che non sono una casa materiale; amo il freddo, le coperte calde e la cioccolata con la panna;
adoro le stelle cadenti, i desideri, le promesse;
sono dipendente da thè alla vaniglia, biscotti dell'esselunga, caramelle e lamponi; adoro l'inverno, le luci natalizie che illuminano la città, l'odore delle caldarroste che passa per le vie fredde di ogni città; ammiro i treni, che vanno avanti e indietro e portano amori lontani, viaggi, sogni, mancanze; ho paura del buio ma allo stesso tempo è qualcosa di rassicurante; ho paura del rumore improvviso dei tuoni ma mi meraviglia vedere una luce gialla che illumina il cielo notturno; mi perdo nei testi delle canzoni, nei loro significati, nella loro melodia; passo ore a cantare, perché mi fa sentire bene; amo i girasoli e i fiori di ciliegio; preferisco le opere dell'800; ho scoperto da meno di un anno che mi piace il sushi; non so cucinare, ho paura di bruciarmi con l'olio bollente e nonostante la consapevolezza delle mie capacità, ci rimango ancora male quando brucio quello che sto cucinando; se la mattina non ho il succo, non la considero una buona mattina; spesso mi sento poco femminile, ho costantemente i nodi ai capelli e mi trucco poco o per niente; non amo i gioielli costosi o le borse di marca ma le cose particolari; spesso dó importanza a cose stupide; spesso uso il passato nel modo sbagliato; inizialmente sono timida ma quando capisco che posso essere me stessa, so essere un esplosione; dormo con due cuscini e le coperte, sempre, in qualunque stagione; spesso ho voglia di lasagne; la voglia di mangiare dipende dal mio umore e se non mi trovo a mio agio non mangio; ho cicatrici ovunque e ognuno ha storie improbabili; mi considero un disastro e quando provo a sembrare una persona seria sono poco credibile;
mi piace la musica ad alto volume in macchina e cantare a squarciagola in compagnia;
non mi piace litigare, perché in casa ho sempre visto la gente, scappare;
preferisco la birra piuttosto che un drink; mi piace andare a pattinare sul ghiaccio e vorrei imparare a sciare; amo la neve e le ciaspolate; preferisco lo smalto nero; di inverno bevo il latte caldo con il miele; non guardo gli horror e preferisco le commedie, i film romantici, i cartoni; dormo con la maglietta lunga e le mutande; non mi piacciono le mie smagliature; mi riempirei di tatuaggi, piccoli,non giganti; spesso basta davvero poco per rendermi felice;
conosco i miei difetti e ammetto i miei errori; sono disordinata e ordinata allo stesso tempo;
amo la compagnia dei miei amici, quelli con cui posso essere me stessa senza il problema di essere troppo o poco; a volte ho tante ambizioni ma poi faccio fatica a credere in me stessa; posso essere testarda;
di inverno in montagna mi brucio sempre il naso;
ogni anno passo il mio compleanno alla fiera dell'artigianato;
ho una memoria abbastanza salda;
ho la lacrima facile ma sto imparando ad essere forte;
quando ero piccola odiavo perdere quando giocavo a carte con i miei fratelli;
mi piacciono le fotografie e i video imbarazzanti;
avevo una capretta di nome nuvola a cui davo il latte;
adoro i prodotti di lush;
non mi piacciono le mancanze e gli addii;
d'inverno mi piace sentirmi al caldo indossando una sciarpa;
sono coraggiosa solo in certi casi;
dovrei imparare ad essere indifferente in alcuni casi e stronza in altri;
amo e odio le canzoni della domenica del papà;
scelgo la montagna piuttosto che il mare anche se esso mi ricorda il mio paese;
faccio fatica ad esprimere quel che penso a voce e preferisco scrivere perché a voce direi la metà delle cose;
se viaggio devo avere sempre con me, almeno, un libro, l'album da disegno o la macchina fotografica;
preferisco comporre un puzzle e incorniciarlo o disegnare qualcosa da attaccare al muro, piuttosto che comprare un quadro;
vorrei viaggiare ma non da sola;
preferisco il cappuccino piuttosto che il caffè oppure il ginseng;
vorrei essere più alta e avere più tette ma so che non è possibile e che quindi mi vado bene così;
preferisco i capelli lunghi perché con i capelli corti sembro più piccola;
quando si tratta di mettere da parte l'orgoglio ci metto poco;
posso sembrare ingegnua, posso sembrare una bambina;
spesso faccio di testa mia quando molte persone mi dicono che sbaglio;
adoro le cose stravaganti e le particolarità delle persone;
a volte d'estate dormo nella vasca;
odio il mio pesce rosso ma ci sono affezionata;
sono un po' stitica;
quando torno a casa da sola durante un orario notturno, controllo sempre se qualcuno mi segue e spesso mi metto a correre per tornare subito a casa;
mi piace chi vede le cose in un modo diverso, in un modo singolare e particolare;
odio con tutta me stessa le zanzare;
sono introversa ma so essere amichevole;
se devo scegliere preferisco il vino bianco piuttosto di quello rosso e la birra scura piuttosto che quella chiara;
durante la notte se mio fratello russa gli tiro addosso i cuscini finché non smette;
sono semplice e complicata allo stesso tempo;
piango se mi fanno arrabbiare;
di ogni edificio conto fino al quarto piano;
mi piacciono le lucine dell'albero di natale;
tra tutti i generi musicali non ascolto il rap e soprattutto quello italiano;
in casa non indosso quasi mai le ciabatte ma sono sempre perennemente in calze;
ho sempre desiderato avere i vinili e un giradischi;
mi sento più semplice dopo aver pianto;
mi piacciono le candele profumate;
sono troppo riflessiva e per questo molte cose le tengo per me;
quando sono triste mi sento al sicuro sul mio letto;
se piango per tristezza devo sempre stringere un cuscino;
quando ero piccola dormivo con il pupazzo di Prezzemolo e di un tricheco;
mi piace la vista dall'ottavo piano perché quando c'è bel tempo posso vedere le montagne;
adoro gli abbracci, quasi più dei baci;
ho il terrore di cadere dalle scale, infatti non le faccio quasi mai correndo e mi devo sempre reggere al corrimano;
osservo molto e mi innamoro dei dettagli;
cerco la luna e la stella...
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next5ph · 6 years ago
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Hey ragazzi siete pronti per l’inverno? Io settimana prossima vado a sciare!!! 😂😂😂😂 . . . . . . . #next5ph #naturelovers #nature_next5ph #nature_brilliance #montagneitaliane #snowboard #dovèlestate #estate #fafreddo #umorismo #buongiorno #italian_trips #snowmountain #valledaosta #iglombardia #igitalia #mountains #mountain_world (presso Lathuile, Rhone-Alpes, France) https://www.instagram.com/p/BxrklQeCKxE/?igshid=12j4c5iajiu48
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fokewulf · 8 years ago
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Un' anno senza...
Ho impiegato qualche giorno a mettere giù questo post. Sopratutto perché era tutto nelle mia testa in un flusso continuo di idee, di discorsi, botta e risposta. Per dirla tutta avrei dovuto metterlo online due giorni fa il 17 marzo.... ma nonostante mi mettessi davanti alla tastiera le dita non si muovevano e io rimanevo lì a fissare la foto di mio papà Umberto che un’anno fa è venuto a mancare dopo una lotta strenua con la sua malattia.
A volte vorrei avere un’app che potesse scaricare i miei pensieri mentre guido. Si perché è mentre guido, quando vado o torno dal lavoro, che solo in moto, la mia mente macina un sacco di idee. Sapete l’idea di scrivere qualche riga su questo “anniversario” mi è frullata in mente dopo che sentivo colleghi e clienti parlare della festa del papà del 19 marzo. Sorridi e ascolti i racconti dei papà che li diverte vedere i loro cuccioli tentare goffamente di nascondere la letterina o il regalo fatto con l’aiuto della mamma. Poi ricordi... poi mentre rientri a casa e nel tuo mondo all’interno del casco, mentre la moto ronza monotona nel lungo spostamento, ti sale il magone e non riesci a frenare le lacrime.
Alzi la visiera e speri che l’aria spinga via le lacrime e il magone. Speri che il vento a 100 all’ora ti faccia respirare... apri la bocca e l’ossigeno arriva e se ne arriva! Perché in questo modo la mente anestetizzata dal quotidiano vivere si mette in moto e và più veloce della tua moto.
I pensieri vanno a mia sorella Elena che nonostante mettesse alla corde papà con i suoi continui battibecchi gli voleva un bene dell’anima. Lui che gli ha insegnato a camminare, ad andare in bici, a sciare, a giocare a tennis... credo che papà sia fiero della donna forte e sicura (qualche volta fa ancora i capricci) che è diventata.
Chiudi la visiera, il rombo della mia Kawasaki è più ovattato ora che  quel guazzabuglio di pensieri mi porta a mia mamma che è rimasta accanto a Umberto praticamente sempre... sino all’ultimo respiro. "Finche morte non ci separi” e ti rendi conto che quelle parole che pronunci nel giorno del tuo matrimonio sono così terribilmente reali. E pensi che quello è il vero Amore. Quello che nonostante sei con lui/lei da 40 anni ancora lo guardi come il primo giorno che ti sono venute la farfalle allo stomaco e lo chiami “Amore..."
Freno. Davanti a me il traffico si fa più intenso. Rallento. E penso a mia moglie, Rosanna. Penso ai nostri 12 anni di matrimonio, mi torna alla memoria una frase di papà quando la vide in uno dei primi incontri semi-ufficiali in oratorio: “Le picülina ed è propri belã” e lo ridisse il giorno del nostro matrimonio. Rosanna ha sempre avuto un posto d’onore nel cuore di papà; anche nei giorni della malattia, la sua voce squillante gli riusciva a strappare un sorriso.
Arrivo in fondo a un vialone, lo conosco a memoria, lo conosco talmente a memoria da sapere dove c’è il più piccolo buco, avvallamento. Scalo rapidamente le marce e la Kawa si lascia guidare in uno dei rari curva-controcurva del percorso verso casa. Sinistra, destra e accelero tento di arrivare prima che il semaforo diventi rosso... niente, forse qualche cavallo in più. Un paio di pacche sul serbatoio “Tranquilla va bene così” (si ogni tanto parlo con la mia moto); metto in folle e fisso il serbatoio.
Penso che a 47 anni dovrei essere un’uomo “fatto” (come dicevano i nonni), che dovrei essere in grado di affrontare ogni genere di prova che la vita mi pone davanti, però... però oggi avrei bisogno di quel silenzio uomo che era papà, non perché mi desse la soluzione e qualche frase d’effetto tipo coach life; ma per quella pacca o quella stretta al collo che voleva farsi abbraccio. E poi finiva con un “... ci facciamo una birra?”
Sono quasi arrivato a casa. I soliti gesti, quelli di tutti i giorni. Cancello box, spingi la moto, cavalletto. La moto è spenta, tolgo il casco e rimango a fissarla mentre ascolto il ticchettio del metallo del motore mentre si raffredda. E sorrido!
Sorrido! Si sorrido perché penso che quest’anno è la prima festa del papà per mia nipote Giada e il suo papà Raffaele. Perché vedeste come gli si illuminano gli occhi quando vede quella strufolina che è la sua adorata Giada.
Sorrido perché anche per Samuele e il papà Davide è la loro prima volta. Perché me li vedo mentre Dadonzi esulta per l’ennesimo gol della sua Juve e il piccolo Samuele se la ride spassosamente (che ancora non sappiamo se perché sia buffo o altro...)
Entro in casa, giubbotto casco zaino. Mi siedo davanti al Macbook. Fisso la tastiera.
Un’anno senza di te, papà. Mi manchi... e ammetterlo ci vuole tanto. Cosa manca... Ah! Si! Auguri papà, buona festa della papà!
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givemeanorigami · 5 years ago
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Facciamo cambio? Io vado a stare al mare e tu in montagna!
C'è la neve? Si può sciare o è solo montagna con la neve? D'estate fa fresco?
Possiamo ragionare sul fare cambio, comunque.
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paukzen · 5 years ago
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La transdolomitica
Premessa
Prima esperienza di bikepacking per lungo tragitto (già provato per we o 3 giorni ed è eccezionale) e valuto come prima cosa l’attraversamento delle Alpi da Trieste a Nizza (e prendo pure il libro). Pensandoci un po’ su però, anche per le notti da passare in svizzera decido che è un po’ troppo impegnativo e complicato per la prima esperienza e cambio sulla, da me denominata, Transolomitica, ricalcando il percorso della Transdolomitic way. Curiosamente quando riguardo il percorso dopo un mese ne trovo un altro. Forse ho preso quello del 2018 o 2017, vai a sapere.
Il bagaglio
Parto con la mia Canyon Endurace attrezzata in questo modo:
1) Sul tubo orizzontale del telaio il Node con dentro: chiavi di casa (le essenziali), spazzolino da denti e dentifricio, powerbank e cavi vari, passaporto e “portafoglio”. Peso: 0,5 kg
2) Sottotelaio: Cartina (praticamente mai usata), intimo, maglia mavik antivento, gambali e bracciali, minipompa, frontale, telo antigelo. Peso 0,9 kg
3) Sottosella (16 litri): un ricambio di tutto per la bici (calze, sottocasco, ciclisti, maglietta), kway (mai usato), fantasmini, scarpe ultraleggere che si rivelano perfette, pantaloncini per la sera, t-shirt, maglietta leggerissima decatlhon (usata pochissimo), due paia di mutande (una persa subito), maglia pesante (usata poco) e giacca gore semipesante, e-reader (lettura: Il confine di Don Winslow). All’occorrenza ci stavano anche barrette e gel. Peso: 3,8 kg
Addosso ho naturalmente un completo di ciclismo e un anti-vento nella tasca posteriore della maglietta.
A corredo menziono anche: luce anteriore e posteriore + borraccia 0,75 litri + borraccia con attrezzi e camera d’aria di ricambio + pezzo di copertone.
Devo dire che mai avrei potuto fare un bagaglio migliore di questo. Le cose pesanti pesanti le ho usate pochissimo però direi necessarie se si fa un viaggio in montagna.
Ed ecco la mia compagna di viaggio 
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Il viaggio
In totale fatti 1.490 km e 29500 m d+ e  27 salite/passi (ok, fatto male i conti, seppure un po’ imbrogliando, volevo farne 28 come il Raid dei Pirenei dell’anno scorso) che naturalmente diventano nei racconti 1500 km e 30000 m d+ 
1 tappa: Trento - Val Cembra - Passo Lavazé (1/27) - Obereggen (2/27) - Vipiteno (165 km e 3.000 m d+)
Parto bene, facendo la Val Cembra in una strada quasi parallela alla statale ed è molto bella. 
Il passo Lavazè lo affronto con entusiasmo sia perchè è il primo sia perchè è un posto a cui sono molto affezionato andandoci quasi ogni anno a sciare. 
Alla fine della discesa però a sorpresa la strada per Bolzano è chiusa così mi tocca farmi la salita fino a Obereggen, breve ma molto intensa. Cominciamo bene...
Comunque sono in forma e il pranzo lo faccio già dopo i due passi. Da quì è tutta ciclabile fino al Brennero ma comunque decido di fermarmi a Vipiteno per fare una notte di più in Italia.
Noto che sulla ciclabile c’è un sacco di gente in bici (molti con quelle elettriche) cosa che poi non ritroverò sul resto della strada. Comunque bene.
2 tappa: Vipiteno - Passo Brennero (3/27) - Innsbruck - Passo Kuhtai (4/28) - Pillerhohe (5/27) - Fliess (147 km e 3.146 m d+)
La salita fino al Brennero la conoscevo anche se non sono riuscito a prendere la ciclabile del Val d’Aveto (penso). Cioè l’avevo fatta una volta in discesa e non mi sembrava quella, boh. 
Dal Brennero la strada è brutta brutta (statale con macchine che viaggiano velocemente,ecc... Comunque sono in discesa e quindi il fastidio è limitato) e si scende fino quasi a Innsbruck dove c’è la deviazione per il Kuhtai che si rivela una montagnona (2.017 m) e neanche facile perchè molto irregolare. Però bellissima anche perchè non c’è nessuno. In cima fa freddo e scendo subito. 
Dopo la discesa mi perdo in un bosco (ma avevo tracciato la strada con Strava cavoli!!!!) e così mi tocca scarpinare con bici in spalla per passare il fiume di fondo valle. Dopo c’è subito il Pillerhohe, anch’esso tosto: 7 km all’8,2%, comunque lo faccio bene e oltretutto non c’è un cane, tipo così
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La valle è abbastanza solitaria e in discesa mi fermo a Fliess, un piccolo paese dove trovo però un albergo che mi fa pagare pochissimo. Bene.
3 tappa: Fliess - Passo Resia (6/27) - Glorenza - Passo Stelvio (7/27) - Bormio (130 km e 2.867 m d+)
Oh, il passo Resia è incredibile. Mi riferisco soprattutto all’immenso lago in cima... Comunque prima di arrivare in Italia c’è una città bellissima in Austria che si chiama Nauders. Da passarci mille vacanze invernali (se ci fossero anche le piste da fondo naturalemente).
La salita è fattibilissima in scioltezza, alla fine si riduce a 9 tornanti (morbidi) e poi è in pratica un lunghissimo altopiano, tutto in ciclabile.
Il pensiero di tutto il giorno va però al successivo Passo dello Stelvio che ho già affrontato più volte ma dalla parte facile. Stavolta mi tocca il lato “nobile” da Prato allo Stelvio. 
Si inizia con una pendenza abbordabilissima finchè non incontri il cartello “48 tornanti” e allora pensi “ok”. Però poi i tornanti dopo sono dopo 2 km ciascuno e allora ti inizi a preoccupare... E infatti, se la matematica non è un opinione, gli ultimi 10 km sono tutti sopra l’8% ma più vicino ai 9. 
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Insomma una tortura che affronto inizialmente con la più bella ciclista che abbia mai incontrato e che ha pure lei una Canyon Endurance.
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Dopo lo Stelvio nella mia idea iniziale c’era quella di fare pure il Gavia ma c’è una pioggerella, fa freddo e arrivo a Bormio alle 18,00. Insomma, spendo un sacco di soldi per dormire (l’unica volta del viaggio) e decido saggiamente di rimandare il Gavia al giorno dopo.
  4 tappa: Bormio - Passo Gavia (8/27) - Val Camonica – Esine (105 km e 1504 m d+)
E quindi il Gavia, che molti mi dicono essere la loro salita preferita, lo affronto dalla parte facile e cioè da Santa Caterina. I paesaggi e la vista sono fantastici e così si arriva in cima. Su però fa freddissimo e anche oggi inizia a piovere, così arrivo a Ponte di Legno e mi rifugio in un bar attendendo la fine della pioggia, che arriva.
Mi faccio tutta la Val Camonica (strada brutta e trafficata) e arrivo a Esine. Mi tocca però qui redarguire quel ciclista che mi si è messo dietro per 15 km e poi appena mi distraggo un attimo, scatta senza mettersi davanti. Mah, vai a capire. Poi alla fine per principio naturalmente lo vado a riprendere, scambiamo due parole e si rivela anche simpatico. Ma non si fa così!
A Esine trovo la Casa di Carla pagando pochissimo e trovando una bella ospitalità (in paese c’è pure una pizzeria buonissima) e così mi ripropongo di tornarci abbinando Passo Presolana + Passo Vivione, Passo Crocedomini o una così così. In bkpk, ovvio.
5 tappa: Esine - Passo Crocedomini (9/27) - Passo San Rocco/Capovalle  (10/27) - Moniga del Garda (126,44 km e 2.547 m d+)
All’inizio del Crocedomini c’è un cartello che dice CHIUSO, ma figuratevi se mi faccio fermare da una cosa così... Poi quando mancano 5 km c’è un cartello che dice “passo chiuso anche per ciclisti” e mi comincio a preoccupare ma ormai sono lì e così continuo confidando di trovare un modo per passare. E infatti la fortuna aiuta gli audaci e stanno finendo proprio in quel momento di mettere un parapetto, così riesco a transitare, alè!
La salita è bella bella (l’avevo già fatta) e in cima c’è un rifugio ospitale, talmente ospitale che gli lascio la mia maglietta che intanto mi ero cambiato. Azz... Mi toccherà comprarne una nuova un paio di giorni dopo.
Di seguito ci sono Capovalle e la Val Vestino che conosco bene. Uno dei posti più belli in bici del lago di Garda, anche se il lago della Val Vestino è abbastanza inquietante. 
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Da lì vado a riposarmi un paio di giorni a Moniga del Garda da mia sorella, perchè sono stanco, sì.
6 tappa: Moniga del Garda - attraversamento Garda con traghetto da Toscolano Maderno a Torri del Benaco - San Zeno in Montagna (11/27) - monte Baldo (12/27) - Rovereto (117 km e 2.502 m d+)
Riposatissimo mi godo anche l’attraversamento del lago con il traghetto e, sbagliando strada faccio una salita in più fino a San Zeno in Montagna, che per fortuna è molto bella. Dopo però ridiscendo un sacco e affronto il Monte Baldo quasi da quota lago. 
Avevo visto che la pendenza media era del 6% e così sono tranquillo ma azz..., ci sono tratti al 20%!!!! Insomma, mi ammazza.
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Però la salita è top!!!
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7 tappa:     Rovereto - Calliano - Passo Sommo (13/27) - Passo Vezzena (14/27) - Asiago - Valle Stagna - Bassano del Grappa (108 km e 1.975 m d+)
Passo Sommo e Passo Vezzena bruttini e trafficati ma mi portano ad Asiago e da quì a Gallio dove mangio ospite della mia amica Cristina.
Mangio, mangio (e bevo) e dopo arrivo a Bassano del Grappa (dove dormo per 23 euro in una singola nell’Ostello comunale) scendendo dalla Val Stagna. Valle strettissima che prenderà il sole 2 ore in tutto l’anno e che dev’essere bellissima da fare in salita. Pure in discesa non è male però. Macchine, persone, animali e  cose incontrate zero di zero.
8 tappa: Bassano del Grappa - Monte Grappa (15/27) - Passo San Boldo (16/27) - Belluno (113 km e 2.736 d+) 
Il Monte Grappa è famoso per avere 10 salite. Io ne faccio una sostanzialmente a caso (cioè la strada che mi ha caricato Strava) e che si rivela essere la stessa che avevo già fatto anni fa al Monte Grappa bike day. 
In cima c’è il Sacrario e anche una trincea che si può visitare e ogni volta pensi come caxxo facevano quelli a stare su per anni, al freddo, vestiti come erano vestiti, e combattere e andare a morire a migliaia.
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In discesa incontro degli sventurati che hanno scelta un’altra strada per salire e, cavoli, quella sì che è tosta.
Ad ogni modo devo arrivare a Belluno così scendo da quella parte in una strada assurda che mi ripropongo di non fare mai più e me lo registro nella mente: strada dissestata, gallerie, mucche, mucche dentro le gallerie...
Il passo San Boldo  è bello e pure stranissimo. Negli ultimi km ci sono 4-5 tornanti dentro gallerie e pure i semafori (quindi inutile guardare i tempi:)) visto che questi sono strettissimi. Ci è passato pure il giro d’Italia quest’anno.
La prospettiva dal basso merita una foto.
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Alla fine arrivo a Belluno, da me rispettata perchè vince ogni anno come città dove si vive meglio. Io faccio solo un giro in centro ma va bene così.
9 tappa: Belluno - Longarone - Vajont - Passo S. Osvaldo (17/28) - Forcella Pala Barzana (18/27) - Passo Rest (19/27) - Passo Mauria (20/27) - Lozzo di Cadore (164 km e 3.296 m d+)
Da me votata a mio insindacabile giudizio come tappa più bella di tutto il giro.
Parte un po’ male perchè la statalona da Belluno a Longarone è trafficatissima. Qualcuno mi ha detto che c’era una strada alternativa ma giuro di no, Ho ricontrollato dopo. 
All’inizio della prima salita c’è la diga del Vajont e così non puoi non metterti a ripensare alla disgrazia avvenuta x anni fa. Ci sono targhe, memoriali, turisti, ecc... E in effetti la sua vista fa impressione. 
Da lì in poi, ufficialmente dopo Erto, e una specie di avanzata in posti sempre più sperduti e infine dimenticati da dio, fino a Passo Rest. 
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La strada c’è, all’inizio pure bella larga con due corsie ben definite ma poi si arriva in valli dove non incontro una macchina in tutto il giorno. Nel mezzo pranzo in una specie di supermercato/bar dove pago un panino al formaggio di baita e una coca-cola 3,30 euro. Pazzesco.
Salita al Passo Mauria bruttina, ed arrivo ad Ampezzo prima e a Lozzo di Cadore poi, dove non c’è molto a parte un B&B fantastico dove pago 30 euro.
Insomma, giornata perfetta. Ci scappa pure una birra ovviamente.
10 tappa: Lozzo di Cadore - Cortina - Passo Cimabanche (21/27) - Dobbiaco (71 km e 892 m d+)
Ok, questa tappa cazzeggio un po’. Pioviggina, fa freddo, e voglio arrivare a Dobbiaco e stare fermo un giorno.
Passo da Cortina e come sempre c’è traffico e code e gente vestita da supermontagna con roba ultratecnica e costosissima che la usa per fare lo struscio in centro. Vai a sapere.
Ad ogni modo NON si vedono le Tre Cime di Lavaredo (sarebbero dietro le nuvole), il modellino davanti sì.
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Pure il Passo Cimabanche lo metto ma in effetti da Cortina sono 14 km al 2%... Ho fatto cavalcavia decisamente più impegnativi. Con gli sci da fondo lo faccio ogni anno ed è decisamente più impegnativo.
11 tappa: Dobbiaco - Passo Furcia (22/27) - Corvara - Passo Gardena (23/27) - Ortisei - Passo Pinei (24/27) - Prato Isarco - Passo Nigra (25/27) - Carezza (151 km e 3.587 m d+)
Dopo un giorno di riposo passato fondamentalmente a leggere Winslow parto presto e motivatissimo,
Passo Furcia fantastico e nonostante una rampa dei box al 15% e gli ultimi 2 km (8,9% e 7,5%) lo faccio benissimo. 
Il Gardena lo affronto sotto una pioggerella ma non è molto impegnativo.10 km al 6,2%, solo alcuni tratti un po’ più duri al 10%. Peccato che ci siano nuvole basse che nascondono un po’ la vista di quelle fantastiche dolomiti che mi attorniano. In cima fa freddo anche perchè siamo sopra i 2000.
Il passo Pinei in realtà non me lo ricordo quindi va bene così, mentre il passo Nigra lo affronto, volendo evitare la statale (e una brutta galleria), da una strada secondaria che ha pendenze al 24%!!! E ho detto tutto, sigh.
Questa è la prova.
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Sono però in formissima e andrei pure avanti se non fosse che si mette a piovere di brutto e mi tocca fermarmi in un posto a caso all’inizio della discesa che si chiama Carezza ed è famoso per un lago omonimo da cui passo il giorno dopo. Carino, eh, ma vabbè è un laghetto e c’è gente che ci viene apposta, boh.
12 tappa: Carezza -  Obereggen (26/27) - Passo Lavazè (27/27) - Val Cembra - Trento (95 km e 1.505 km)
Ormai è finita. Inizio la giornata con una lunga discesa e poi guarda un po’, rifaccio l’Obereggen ma dall’altra parte e pure stavolta è una mazzata: 7 km al 10% di media! 
E non è neppure finita visto che subito dopo (ancora) c’è il Passo di Lavazè che però da questa parte è più abbordabile che non da Cavalese.
Pranzo in anticipo a Cavalese, così per darmi un tono, e scendo a Trento ancora una volta per la Val Cembra e ancora una volta evitando la statale. Ma curiosamente (e per fortuna, giusto per cambiare) non è la stessa non-statale dell’andata e così mi godo la valle da un’altra prospettiva.
Arrivo a Trento con ampio margine per prendere il treno e tornare a Milano in serata ma da anni voglio vedere il MUSE e così mi fermo la notte.
Sul MUSE dico innanzi tutto bravi che mi hanno tenuto la bici (viaggio senza catena o lucchetto o altro) nel loro magazzino e poi che, nonostante meriti senz’altro una visita, forse è un po’ troppo targettizzato su bambini/adolescenti. E anche che l’ha progettato Renzo Piano, tiè.
Il MUSE
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sangha-scaramuccia · 6 years ago
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Sesshin - novembre 2018
Riporto il brano estratto dal notiziario n. 185  del luglio 2014, utilizzato dal maestro Taino per il teisho.
Paolo Shōju
Registrare tutto? Forse qualcosa di quanto s'argomenta durante il tè mondo andrebbe registrata per una più ampia diffusione. Certo, a riproporla ricordando quanto s'è detto si perde la spontaneità, ma scrivendola e rileggendola si può essere più precisi e rispondere in modo più accurato. La domanda su cui voglio ritornare m'è stata fatta a proposito di quanto ho scritto a pag. 10 nel notiziario di marzo sulla casa di Scaramuccia: “..ma siamo tutti individualisti, forse io più di tutti...”. Purtroppo, come spesso mi tocca far rilevare, sia nella stanza di sanzen che per la lettura dei notiziari, pochi leggono con attenzione, perché nella pagina seguente del notiziario già si sarebbe potuto avere un chiarimento su quel siamo tutti individualisti. Infatti alla domanda sui motivi per cui si continua a camminare, arrampicare, sciare, meditare insieme nella scuola, rispondo che insieme, magari per brevi periodi, certe attività si fanno meglio e danno più gusto. Intanto va stabilito che individualista non va confuso con egoista, e di seguito affermo che recitiamo tutti i giorni il voto di impegnarci per l'accettazione e la solidarietà. Infine, come ho sostenuto durante il mondo, la mia è una constatazione che è servita a ripetere quanto scritto a pag. 27 del IV volume dei Mercoledì, nel capitolo la solitarietà. La nostra scuola è così strana o speciale perché, a differenza di tutte le altre, permette sia la solitarietà che la comunitarietà, in quanto il maestro che l'ha fondata e v'insegna è individualista più di tutti. Che vuol dire allora essere individualista, tenendo conto di un altro scritto, il koan Pensare a sé o pensare agli altri n. 16 del Zenshin roku? Durante il mondo ho provato a enumerare quanto rende questo luogo e questo maestro un esempio sia del koan 16 che dell'adempimento degli 8 Voti, con l'accettazione e la solidarietà. Non credo esista altro luogo nel mondo in cui un maestro che accoglie 30/40 praticanti a ogni sesshin, in cui almeno duecento persone chiedono di leggere il notiziario che scrive ogni due mesi, rimanga nello zendo da solo tutte le sere e le mattine degli altri giorni del mese, tranne alcune eccezioni nei giorni prima della sesshin. Se io non faccio e non ricevo nemmeno una telefonata al giorno, di media, e forse sono uno degli unici possessori di cellulare che non ha l'abbonamento per parlare quanto si vuole, pur avendo due figli, due nipoti, cinque fratelli, una sorta di solitarietà è indubbia. Eppure io godo della frequentazione dei figli e dei nipoti, così come dei discepoli e degli allievi di montagna. Quanto vado ripetendo da quarantanni, magari l'avevo capito pure prima di conoscere Rinzai, è che ci si deve immergere in ciò che si fa e godersi quel momento, come viene ripetuto nei monasteri zen: “yaru toki ni, yaru!” ovvero quando c'è da fare, si fa. È indubbio che tanti amano cazzeggiare al telefono oppure su feisbuq, e non mi permetto in alcun modo di giudicarli, però chi è così drogato è arduo che capisca uno che al telefono e su feisbuq non ci sta mai, legge i giornali di carta pedalando e si gode i sutra che recita da solo al mattino, a differenza dei maestri che sono accuditi e venerati dai discepoli. Si può capire un maestro così? Certo, se uno si sforza ci potrebbe riuscire e magari arrivare a comprendere che quando uso il termine individualista non lo faccio per snobbare gli altri, ma perché so stare da solo e con tutti, come la poesia di questo anno in Sardegna. Il problema, che la maggior parte degli esseri umani non sa risolvere, è lo stesso che descrive così bene Thomas Bernhard in molti dei suoi libri: “...quando stavo con gli altri volevo stare da solo, e quando stavo solo volevo stare con gli altri...”, e per questo andatevi a leggere un altro koan, il numero 4 del Bukkosan il bambino indeciso.
La casa di Scaramuccia si realizzerà il momento in cui ognuno saprà mettere la propria solitarietà per costruire la comunitarietà. Perché fino a questo momento si è ancora delle monadi che arrivano a Scaramuccia per la sesshin, pagano la quota, si godono i momenti di silenzio e consapevolezza e si portano a casa la soluzione di qualche koan fino alla sesshin successiva. Va bene, se il maestro è così asciutto è normale che lo siano pure i discepoli. I miei continui richiami per un uso maggiore del sito non li faccio più dopo che sono sempre andati a vuoto. Va bene, la comunicazione orizzontale non funziona e perché dovrebbe se il maestro del sito è uno che telefonava alla madre novantenne due volte al mese? Magari funziona per i Soka Gakkai, i testimoni di Geova, i cristiani delle parrocchie...
Rimane solo d'accettare questo luogo e il maestro per quello che è, se ci va bene. Solo sapendo come siamo fatti potremo affrontare la costruzione della casa del futuro nel modo appropriato.
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girlfromtube · 6 years ago
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PHOTOS: http://girlfromtube.tumblr.com/post/178885153723 EPISODIO 8 Dong Nguyen: Ti odio da morire. Pazza strega americana. Kimberly Cougar Schmidt: Anch'io ti odio. Dong Nguyen: Hai tutti i motivi per odiarmi, ma tu mi hai protetto. Sei una splendida persona. Dong Nguyen: Avevi ragione fin dall'inizio, non dobbiamo aspettare per vivere la vita! Kimberly Cougar Schmidt: Ma potresti perdere tutto. Dong Nguyen: Senza di te, l'ho già perso. Dong Nguyen: Mi sento Kevin in "Mamma ho perso l'aereo"! Kimberly Cougar Schmidt: E io sono il vecchio con la pala! Rick: Ti spiace se stacco un po' prima? Titus Andromedon: Si, mi dispiace. Ti pagano per stare qui o sbaglio? Kimberly Cougar Schmidt: Ricordi la fine della prima stagione quando Dawson e Joey si baciano? Era così perfetto! Purvis: Pff! Perfetto. Alla fine non si mette con Dawson. Kimberly Cougar Schmidt: Cosa??? Ma è il suo ruscello! Dong Nguyen: Sì, Joey e Pacey ci danno dentro quando vanno a sciare alla fine della quarta stagione. Purvis: Non farmi parlare di sesso. E' strano ed è schifoso e troppo vicino a dove facciamo popo' e pipì perciò io non lo farò mai. Immagino che ognuno abbia i suoi problemi, ma basta che trovi la persona giusta. Sai, come Pacey e Joey. Tutta quell'altra roba non conta. Titus Andromedon: Mi licenzio! Vado a casa a festeggiare il falso Natale con le persone che falsamente amo! Dong Nguyen: Non hai rovinato la mia vita, sei la cosa migliore che mi sia mai capitata.
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christianpanico-blog · 8 years ago
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Mi sento sempre un pesce fuor d'acqua, in più che nuota contro corrente! Quando tutti vanno in montagna a sciare io vado al mare, di conseguenza quando gli altri vanno al mare mi piace assaporare la bella aria ed il fresco delle nostre belle montagne. Non credo di aver mai visto paesaggi più belli di quelli che ho ammirato qua. Sentieri che sembrano usciti da una favola e ti aspetti da un momento all'altro di vedere la casetta si cioccolato o zompettare il binconiglio tra i cespugli. • • • • • #montagna #dolomiti #alpi #dolomites #altoadige #trentino #paesaggio #escursione #sudtirol #montagne #trentinoaltoadige #ig_trentinoaltoadige #alps #natura #trekking #panorama #mountain #mountainlife #mountaineering #mountainview #scenery #climbing #peak #instanature #montaña #landscape_lovers #nature_seekers #senderismo #montanhismo #sentiero (presso Brunico, Bz)
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