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Recensione del libro Con l'arte e con l'inganno di Valeria Corciolani. Recensione di Alessandria today
Edna Silvera: una critica d’arte fuori dagli schemi tra delitti, sarcasmo e paesaggi liguri
Edna Silvera: una critica d’arte fuori dagli schemi tra delitti, sarcasmo e paesaggi liguri Sinossi del libro Con l’arte e con l’inganno è il primo volume della serie dedicata a Edna Silvera, la brillante critica d’arte, storica e restauratrice che si improvvisa detective per caso. Scritto da Valeria Corciolani, questo romanzo coniuga un giallo avvincente con il fascino del mondo dell’arte,…
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Modena, 279 mila euro per riqualificare Parco Pertini
Modena, 279 mila euro per riqualificare Parco Pertini "Ri-vivere in sicurezza il Parco S. Pertini" è l'obiettivo del progetto di riqualificazione integrata dell'area a ridosso del centro cittadino di Modena, predisposto dall'Amministrazione comunale e cofinanziato dalla Regione Emilia-Romagna. Il progetto prevede un intervento complessivo di prevenzione e riqualificazione del parco attraverso la riprogettazione degli spazi individuando nuove funzioni, il potenziamento dell'illuminazione pubblica e della videosorveglianza cittadina. Saranno inoltre, attuate misure di accompagnamento sociale che coinvolgano soggetti del terzo settore, associazioni culturali e artistiche, esercenti pubblici dell'area per sperimentare nuove collaborazioni volte a favorire l'animazione, il presidio informale e quindi la vivibilità della zona migliorandone la frequentazione. L'intervento costerà complessivamente 278.900 euro e il contributo della Regione sarà pari a 170 mila euro, erogato nei termini e nei modi dell'accordo di programma siglato da Amministrazione comunale e Regione in attuazione degli obiettivi previsti dalla legge 24 del 2003 per la promozione di un sistema integrato di sicurezza. Parco Pertini, dedicato nel 2000 all'ex Presidente della Repubblica, costituisce una zona, estesa da largo Garibaldi a vicolo del Parco e via Contri, del più ampio parco delle Mura soggetto a un decreto di tutela che riguarda il parco nella sua interezza, denominato anche Parco delle Rimembranze. L'area, che in passato era un punto di ritrovo molto frequentato soprattutto in estate, è inoltre caratterizzata dalla presenza di alberature di pregio di rango comunale e da un vincolo archeologico. La realizzazione degli effettivi interventi sarà quindi sottoposta al parere della Soprintendenza dei Beni Culturali. Gli interventi strutturali previsti, tutti finalizzati a migliorare la sicurezza e la vivibilità del parco, individuano tre zone: una prima area tra via Contri, viale Fabrizi e il camminamento interno del parco, una seconda costituita dall'area giochi e la terza più vasta porzione del parco che va fino al Teatro Storchi. La prima, di 1.800 mq, comprende a sua volta i circa 700 mq in concessione al Lido Park, dove il privato ha iniziato i lavori per la realizzazione del nuovo chiosco e l'Amministrazione comunale ha di recente demolito una vecchia struttura mal frequentata, e un'area di circa 1250 mq attualmente ricoperta in buona parte da asfalto che si intende eliminare. Il progetto prevede, infatti, la desigillatura della superficie per restituire al luogo la naturale permeabilità e il ripristino della superficie a prato; l'eliminazione della tettoia che versa in stato di degrado; l'installazione di nuovi arredi; indagini di stabilità delle alberature e interventi di manutenzione oltre che propedeutici all'installazione di telecamere; l'implementazione dell'illuminazione pubblica e del verde attraverso la sistemazione a prato nell'ottica di creare un futuro spazio teatro verde destinato a luogo di ritrovo e a performance artistiche. Per l'area giochi di circa 1.350 mq, è già in corso a cura del Settore Lavori pubblici un intervento di riqualificazione specifico, finanziato con risorse comunali, per rendere l'area più accessibile, inclusiva e aperta alla città attraverso nuovi percorsi e la posa di nuovi arredi ludici, affinché diventi uno spazio di gioco ma anche un luogo dedicato all'Outdoor education, l'apprendimento all'aperto. Con il nuovo progetto "Ri-vivere in sicurezza il Parco S. Pertini", elaborato insieme all'ufficio Legalità e sicurezze, si intende installare nell'area anche corpi illuminanti e telecamere collegate al sistema di videosorveglianza cittadina. Infine, nella terza e più ampia zona individuata, gli oltre 8mila metri di parco che si estendono sino al Teatro Storchi caratterizzati dalla presenza di numerosi esemplari arborei, si ritiene necessario intervenire con opere funzionali al potenziamento di illuminazione e videosorveglianza, con il rifacimento di camminamenti e viabilità interna, l'installazione di arredo urbano, oltre che indagini e manutenzione delle alberature. L'intervento dovrà essere realizzato entro l'anno con possibilità di prorogare i lavori per ulteriori otto mesi.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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William Goldman: uno sceneggiatore da Oscar, uno scrittore da (ri)leggere
Tutti probabilmente hanno visto Il maratoneta, capolavoro di John Schlesinger del 1976, con uno scontro ‘ad alta recitazione’ fra due mostri sacri: Laurence Olivier e Dustin Hoffman. Ma forse non tutti hanno letto il romanzo omonimo da cui è stato tratto il film, opera dell’ebreo newyorkese William Goldman. Difficile, come sempre, paragonare due forme artistiche così diverse come cinema e letteratura, ma in questo caso la medesima paternità è garanzia del massimo risultato. Nel libro c’è praticamente tutto: azione, stralci di storia contemporanea, caccia a criminali nazisti fuggiti in America del Sud per scampare ai processi, un feroce attacco al maccartismo, trame gialle e di spionaggio, pericolosi legami amorosi… Al protagonista, lo strambo Babe che ricorda un po’ il giovane Holden, mentre è intento a coltivare le sue due grandi passioni (la storia americana e la maratona: davvero esaltante la descrizione dell’impresa dell’etiope Abebe Bikila che a piedi scalzi trionfò alle Olimpiadi di Roma del 1960) capita di innamorarsi, di scoprire oscuri segreti familiari, di essere torturato da un dentista che non usa anestesia (è un ricordo autobiografico!) e di rischiare la pelle, in un susseguirsi a perdifiato di imprevedibili colpi di scena. La vicenda è raccontata con stile e linguaggio multiformi, che variano a seconda dei personaggi. La narrazione è vorticosa, avvincente, ironica e (vivaddio) politicamente scorretta. Ma cos’è l’umorismo? Goldman ne dà una definizione che sicuramente sarebbe piaciuta a Pirandello: “L’umorismo è l’inattesa giustapposizione dell’incongruenza”. Interessantissima l’introduzione, dell’autore stesso, sulla genesi del romanzo, della sceneggiatura e delle riprese, che potete leggere nell’edizione Marcos Y Marcos.
Qualche parola su questo scrittore, uno dei più importanti sceneggiatori di Hollywood: nato a Highland Park (Chicago) nel 1931, pare che i genitori non riuscissero a tenerlo lontano dalle sale cinematografiche. Ha collezionato due Oscar: alla miglior sceneggiatura originale per Butch Cassidy con la strepitosa coppia, allora ancora inedita, Paul Newman-Robert Redford, “western insolito, accattivante e profondamente malinconico”, sulle note della colonna sonora di Burt Bacarach, e alla miglior sceneggiatura non originale per Tutti gli uomini del Presidente, con Dustin Hoffman e Robert Redford, storia di Carl Bernstein e Bob Woodword, i due giornalisti del «Washington Post» che svelarono lo scandalo Watergate, causando le dimissioni dell’allora Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon.
La sua prima sceneggiatura, era il 1963, fu per Soldato sotto la pioggia (anche in questo caso interpretato da una coppia di autentici fuoriclasse: Steve McQueen e Jackie Gleason) “fu anche il primo dei numerosi adattamenti realizzati per il cinema dai suoi romanzi”.
Dopo una collaborazione con Michel Piccoli, 50.000 sterline per tradire (Masquerade, 1965), il successo è decretato dal bellissimo Detective’s Story (Harper, 1966) con Paul Newman e Lauren Bacall, tratto da Bersaglio mobile di Ross Macdonald.
Non si maltrattano così le signore (1968), con Lee Remick, George Segal e Rod Steiger, da un suo romanzo, racconta la storia di un serial killer che, ossessionato dalla figura materna, uccide donne di mezza età; il titolo si riferisce ad una frase pronunciata dalla madre del detective incaricato delle indagini; La pietra che scotta (1972) con Redford; Magic (1978), un horror-psicologico con Anthony Hopkins, ancora da un suo libro.
Il resto è storia: da Papillon (1973), con il gigantesco duo Hoffman-McQueen, dal romanzo autobiografico di Henri Charrière, a Il temerario (1975), con Redford, a Quell’ultimo ponte (1977) di Richard Attenborough con un cast stellare, a Misery non deve morire (1990) da Stephen King, a L’ultimo appello (1996) con Gene Hackman, da John Grisham.
“Lavorò molto e sempre con risultati altissimi, spesso arrivando solo per rimettere a posto le cose o senza ricevere la firma sul film”; una delle sue caratteristiche fu anche la grande versatilità, che gli permise di spaziare da un genere all’altro.
Ma ecco gli altri libri (ahimè non molti) dell’autore. Io sono Raymond (1957): “Illinois, fine anni ’50. Raymond Euripides Trevitt ha otto anni, è carino, ha un temperamento irrequieto e vuole trovare la sua identità, il suo posto nel mondo. Il passaggio dall’età dell’innocenza all’adolescenza lo cambierà profondamente, ponendolo di fronte a domande universali la cui sola risposta può arrivare dall’esperienza diretta. Come accadde all’Holden Caulfìeld di Salinger, Ray capirà attraverso le vittorie e i fallimenti, le amicizie e gli amori, i tradimenti e gli abbandoni, che l’unico modo per conoscere se stessi è accettare le esperienze che la vita ci pone innanzi. Un toccante e luminoso racconto su che cosa significhi affrontare un rito di passaggio, inevitabile e necessario”.
Il silenzio dei gondolieri, pubblicato con lo pseudonimo di S. Morgenstein, “è una vera perla nascosta riscoperta grazie al traduttore, Dimitri Galli Rohl. Si narra che Goldman abbia avuto una folgorazione durante la sua prima visita a Venezia, e sia corso in albergo a scrivere questa storia che si era visto nella testa già completamente formata”. La recensione: “Un tempo, a Venezia, tutti i gondolieri cantavano, ed erano i più meravigliosi cantanti del mondo. Ma sono in pochi, ormai, a ricordare quei tempi gloriosi. Nessuno si spiegava perché all’improvviso tutti i gondolieri avessero smesso di cantare. Un bel giorno Goldman sbarcò a Venezia, ebbe un’illuminazione e andò sino in fondo al mistero. Scoprì così la nobile e triste storia di Luigi, il gondoliere con il sorriso da tontolone. La sua impareggiabile maestria, le sue disavventure e il suo riscatto finale. Ecco dunque tutte le verità mai raccontate su Giovanni il Bastardo, Laura Lorenzini, Enrico Caruso, il Piccoletto, Porcello VII, Sorrento il Grande, la regina di Corsica e naturalmente su Luigi, l’unico e il solo. Lui, che ha conquistato Venezia con un atto di coraggio maestoso, resterà per sempre anche nei nostri cuori, con il suo sorriso, il suo sogno e il suo canto”.
La principessa sposa, da cui nel 1987 è stato tratto il film fantasy La storia fantastica, diretto da Rob Reiner, con la colonna sonora di Mark Knopfler, interpreti Peter Falk, Robin Wright e Billy Crystal; l’ormai introvabile Calore (1985), un thriller-noir ambientato a Las Vegas e Fratelli (1986), il seguito de Il maratoneta, libro veramente imperdibile che consigliamo per queste agognate, meritatissime vacanze!
#william goldman#steve mcqueen#dustin hoffman#laurence olivier#robert redford#richard attenborough#john schlesinger#paul newman
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ISIDE, ANATOMIA DELLE EMOZIONI
L’album d’esordio degli Iside, Anatomia Cristallo, è un distillato del XXI secolo. Un lavoro ambizioso e maniacale. Un dialogo introspettivo con l’animo umano.
Un cristallo è un solido i cui atomi sono ordinati nello spazio con regolare periodicità determinando forme poliedriche. Si dice cristallina una cosa limpida, chiara, trasparente. Ogni volto di un cristallo infatti può essere visto attraverso. Il cristallo modellato dagli Iside però ha un’ulteriore peculiarità. Nelle sue facce ci si può specchiare; ci si può riconoscere o riscoprire.
L’anatomia di un cristallo non si allontana da quella di un essere umano. Stavolta però sul tavolo dell’autopsia non troviamo un corpo fisico, già analizzato in abbondanza dalle cosiddette scienze dure, ma un corpo etereo: quello delle emozioni.
Le scienze che più indagano le emozioni, oltre a quelle cognitive, sono quelle artistiche, che per antonomasia utilizzano un approccio lontano dalla scomposizione in minime parti. Le emozioni affiorano se poste in relazione, nei momenti di contatto e cooperazione, esattamente quello che è avvenuto quando i quattro ragazzi classe ’96 si sono isolati sulle montagne bergamasche durante il lockdown. Anatomia Cristallo è uno studio dei sentimenti più irruenti e incontrollabili. Così complicati che per essere studiati, dovevano prima prendere forma attraverso il loro racconto.
Per comprendere meglio un lavoro tanto complesso è utile affidarsi al lavoro di Paul Ekman, psicologo e luminare nell’ambito delle emozioni. A partire dagli anni ’50 si dedicò allo studio delle espressioni facciali per dimostrare come queste fossero direttamente connesse con gli studi sulla personalità. La psicologia sociale mostrò un crescente interesse per le sue ricerche in ottica evolutiva, mentre Ekman cominciava a focalizzarsi sempre di più sullo studio delle emozioni. In seguito a numerose indagini svolte sulle comunità più disparate (tra le quali anche tribù non civilizzate) riuscì a dimostrare l’esistenza di un catalogo di emozioni universali comuni a tutte le culture. La cosiddetta teoria neuroculturale di Ekman riprende gli studi di Darwin che considerava le espressioni corporee come manifestazioni di emozioni generate da pattern neurobiologici ereditari.
Nel suo studio lo psicologo inocula 6 emozioni primarie:
1. Rabbia 2. Paura 3. Tristezza 4. Felicità 5. Sorpresa 6. Disgusto
Successivamente Ekman e il PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) hanno individuato altre 21 emozioni secondarie, risultanti di analisi più approfondite sulle prime 6 emozioni (lista completa al link: https://www.wired.it/scienza/lab/2017/09/13/nuove-emozioni-umane/).
Ascoltando per la prima volta Anatomia Cristallo si viene risucchiati in un vortice di sensazioni che tolgono il fiato. Nessuna conoscenza, appresa o innata, riesce a spiegare quello che si sta ascoltando. La parola da sola non basta: sono le emozioni a farci da guida. L’anatomia degli Iside è un dilemma decodificabile solo attraverso l’emotività, per questo gli studi di Ekman offrono una chiave di lettura provvidenziale.
Le produzioni sono fondamentali nella costruzione del senso emotivo. I suoni vengono scelti, scomposti e rimescolati in un cocktail dall’equilibrio perfetto. Chitarre classiche, synth vintage e percussioni digitali annullano i confini dei generi in favore di un unico flusso di coscienza. La musica è filtrata dallo schermo intangibile della personalità: ora ovattata perché proviene dal profondo, ora ritagliata e incollata come in un collage per mettere ordine e dare senso all’impronunciabile. Viene data nuova connotazione alle pause: dove non ci si aspetta che la base possa interrompersi, ecco che questa si spegne improvvisamente, mentre la voce prosegue la sua recitazione. L’effetto che si crea è straniante, ma lascia l’ascoltatore in trepida attesa che si ripeta. Come un uno space vertigo: sai che prima o poi cadrai verso il basso. Aspetti. E aspetti. E quando arriva, diventi brivido.
“Nel nostro processo di lavoro, non abbiamo mai cercato uno standard, una formula che fosse sempre giusta. Abbiamo sempre posto in prima posizione la migliore possibilità in quello specifico brano, senza necessariamente cadere nella struttura strofa-ritornello. Le canzoni sono piuttosto flussi di coscienza pieni di contrapposizioni che si susseguono in modo naturale dal momento in cui si cerca di auto analizzarsi. La struttura si costruiva di conseguenza, segue il momento, le scene che si disegnano. Non è necessariamente una scelta giusta, sicuramente rischiosa, ma è sincera. La sincerità nell’arte è la cosa fondamentale, rispecchia il contesto, il campo d’azione in cui agisce, funziona all’interno del proprio spazio, nella propria cornice.” (Iside a DLSO)
Per quanto riguarda i testi, la semantica è raffinata. Le citazioni ricercate e colte. Le immagini evocative tipiche della nostra epoca. L’organizzazione tuttavia è ermetica: i concetti a volte restano inconclusi, ora vittima della bassa soglia dell’attenzione generazionale, ora della lacerante incursione di un pensiero sbagliato. Ogni brano inoltre possiede una “v” seguita da un numero. Un escamotage con cui la band fa sapere quanto ogni brano sia frutto di numerose revisioni e aggiustamenti. Il numero corrisponde alla versione del pezzo che è stata scelta per essere inserita nell’album.
“Le parole scelte vanno spesso in contrapposizione, smentiscono il concetto detto prima, lo modificano e spostano il punto del discorso su quello successivo: un continuo rincorrere quello che ci sarà dopo, dimenticando cosa c’è stato prima, perché ormai è passato, è inutile, il presente è condizionato da altri pensieri validi solamente ora. Ora siamo delicati e dolci, ora invece gridiamo in faccia tutti problemi della nostra esistenza.” (Iside a DLSO)
Ogni emozione che proviamo è un cristallo puro e bellissimo, al contempo inafferrabile e incomprensibile. Anatomia Cristallo è tutto questo.
Partendo dalle pulsioni euforiche, Che Mutande Hai v9 è l’adorazione. Un’ossessione al limite dello stalking, la brama di sapere tutto della persona che vive oltre quella finestra. La peculiare ritualità di un voyeur sfocia nell’innamoramento, una delle emozioni più dominanti. Quest’ultima si ritrova anche in Incantesimi v96, atipica poesia d’amore che il cantante dedica alla propria ragazza, oltre che in Margherita v11, secondo singolo estratto dall’album.
Mostrami tutti i tuoi pericoli Sei una margherita in mezzo al prato Posso pungerti? Dimmi di sì Quando mi sfori, ho le vertigini Con un bacio mi hai avvelenato Penso solo a te, non è orribile (Margherita v11)
L’adorazione di Crisi v8 invece agisce retrospettivamente provocando imbarazzo. È la totale remissione all’altro. L’assenza di autocontrollo ci rende spesso vittime di una fremente eccitazione. Non c’è più ragione, siamo anestetizzati, vittime di una realtà kafkiana che ci avvolge ogni volta che si incrocia quello sguardo.
Imbarazzo presente anche in Faccio Schifo v4, mutilazione dell’autostima. Un susseguirsi di eventi e pensieri negativi che conducono all’autodistruzione. Nel bridge finale l’imbarazzo sfuma e diventa soggezione, furia interiore che solo il dolore empatico può placare.
Oddio che imbarazzo, non ci posso credere Ho fatto un disastro, ti prego non mi uccidere Mi sono distratto mentre ti guardavo ridere (Faccio Schifo v4)
Asimmetrico v10 vede la negazione dell’imbarazzo in favore di una calma cristallina. In un testo malinconico la voce si posa delicata sulle note di chitarra, medicando le ferite dei pezzi precedenti. È un pit-stop, una pausa di riflessione necessaria. Qui non siamo vittime degli eventi, ma guardiamo distaccati quello che ci circonda. Cinismo e apatia si sfiorano. Di fronte allo specchio, quando cogliamo i dettagli più scomodi del nostro viso, la calma diventa l’unica forza per non abbatterci.
Un’emozione centrale nella dialettica degli Iside è il desiderio sessuale, già da tempo in repertorio in brani come Nessuno. In Anatomia Cristallo la horniness permea in più canzoni: da Margherita v11 ad Alieni v9, fino a Pastiglia v7, primo singolo estratto dall’album. Alieni v9, uno dei pochi pezzi in cui si riconosce la gioia, è pregno di immagini erotiche dalle quali si riconoscono i momenti che scandiscono il rapporto sessuale: la saliva sul collo, “ballare l’hula-hoop” e addormentarsi con la testa appoggiata ai seni. È l’attrazione magnetica fra due corpi. Le percussioni concitate invece rendono l’erotismo di Pastiglia v7 ancor più limpido. Il sentimento accessorio è sicuramente l’estasi scatenata dall’unione di due corpi:
Leccami di nottе le ferite dеl cuore Senza pudore, passa per osmosi l'odore […] Riempimi di botte, saltami sull'addome Finché non piove, mi sentirai urlare il tuo nome (Pastiglia v7)
A guidare il concept dell’album è però la sfera disforica delle emozioni. In Miopia v3 si scontrano disgusto e nostalgia: la repulsione per una persona si mischia al fascino di ricordi amorosi. Ne consegue un’inibizione esistenziale: siamo naufraghi in un mare in tempesta.
Un disgusto di carattere più misantropico risiede in Gonna v5, pezzo più criptico dell’album. Una canzone ispirata dall’arte di Basquiat, dalla quale emerge una profonda confusione che fonde paura, ansia, e ammirazione. Il risultato è l’autodistruzione. La produzione scandisce due mood: uno tranquillo e leggero a cui risponde uno rabbioso e ansiogeno. Introdurre il disco con questo brano è un azzardo. Il primo ascolto è straniante; non dà una chiara direzione all’ascoltatore, al contrario lo disarma. Solo al termine dell’album si riconosce il suo valore. L’invito è quello di spogliarsi da ogni struttura. A fare da guida è l’anima, piccola lanterna nella pancia di una balena.
Io Ho Paura v0 e Pazzia v1 sono la paura. La prima, la celebrazione del timore. Stare da soli, l’insonnia, il buio. La paranoia provoca il raptus di follia che stravolge il finale. Pazzia v1 invece esige di essere urlata: VAFFANCULO ANGOSCE. A colloquio con i propri demoni, spicca l’ansia che toglie il sonno. L’unica soluzione è la condivisione: in due si è più forti.
Tremo forte, mi sveglio sempre la notte Pieno di, pieno di botte Vaffanculo angosce (Pazzia v1)
Infarto v666 (unica versione ironica assieme a Incantesimi v96) è il terreno della rabbia che esplode in urla liberatorie. È una giornata iniziata male che prosegue in peggio. Non c’è la forza di sopportare, tantomeno di reagire. Ci si schiera contro il mondo senza sentire ragioni.
L’ultima nota di merito va a Breakout v10, unico featuring del disco assieme a Sethu. Si celebra la tristezza che abbraccia tutto il disco. È la depressione giovanile, l’istinto suicida che si annida nella testa, ma che non riusciamo ad ammettere.
Break out, cazzo, mi ammazzo tra un'ora Chiuso dentro al bagno il mio cervello si detona Mi chiedi: "Come stai?", "male" non lo dirò mai Male non lo dirò mai, ehi (Breakout v10)
I timbri vocali di Dario e Sethu si mettono a confronto creando un effetto ossimorico: la voce degli Iside, più dolce e sognante, sintetizza in una quartina l’assilo esistenziale della gioventù odierna:
Solitari invidiamo agli alveari di essere così speciali E sempre innamorati delle loro api Noi umani divеntiamo criminali e bipolari Forse perché abbiamo ricеvuto troppi pochi baci (Breakout v10)
Sethu è un prigioniero che risponde a una vita di soprusi. Sputa le ansie nell’unica maniera che conosce: gridandoti in faccia.
Qualcosa è andato storto, bitch, non ho sonno E non ho più paura di una Glock contro il collo Mi dice: "Fatti vivo" e sono morto da una vita (Breakout v10)
Anima Cristallo è il viaggio di un gruppo di ragazzi coraggiosi abbastanza da guardarsi dentro e non aver paura di cadere. Il cristallo multiforme degli Iside offre prospettive con cui identificarsi o smentirsi. Certo è che un disco tanto elaborato rappresenta bene l’immaginario giovanile, con tutte le contraddizioni e le incongruenze del caso. La pressione di essere qualcuno e l’ansia di non essere abbastanza.
Gli Iside sono Dario Pasqualini, Daniele Capoferri, Giorgio Pesenti e Dario Riboli. Bravi ragazzi, laureati, sensibili, ironici: artisti. Anima Cristallo è il loro album d’esordio fuori su tutti i digital stores per SonyMusic. Prenditi un istante per guardarti allo specchio.
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La chiesa di S. Giovanni Battista a Presicce
di Andrea Erroi
La chiesa di S. Giovanni Battista di Presicce, nota ai più come “Carmine”, è indissolubilmente legata ai padri carmelitani, presenti sino alla soppressione del 1809.
Nel 1559 Martino Alfarano lasciava eredi testamentari di tutti i suoi beni i carmelitani di Lecce, con l’obbligo di fondare in Presicce un convento del loro ordine e di intitolarlo a S. Giovanni Battista. La scelta del santo indicato dal benefattore potrebbe derivare dalle origini acquaricesi dell’Alfarano: S. Giovanni Battista, infatti è stato il protettore di Acquarica del Capo sino al ‘600 per poi essere sostituito da S. Carlo Borromeo.
Ampliato e rimaneggiato più volte nei secoli, il complesso originale doveva apparire assai diverso da quel che vediamo oggi. Dai documenti, dall’iscrizione del portale e dall’epigrafe settecentesca sulla controfacciata, si apprende che l’edificio fu riedificato nel 1695 per poi essere rimaneggiato nel 1790.
La chiesa si sviluppa con uno schema longitudinale ed è scandita da tre campate, una delle quali più stretta e più alta, che sovrasta l’area del coro. Nelle campate dell’aula liturgica si aprono quattro cappelle con altari in stucco, coeve agli stucchi settecenteschi.
La decorazione del 1790, voluta da fra’ Policarpo Torselli, padre priore del convento, probabilmente mosso dall’entusiasmo della recente riedificazione della parrocchiale (1781), ha interessato l’intero edificio: sia gli intradossi delle volte, sia le partiture architettoniche, sia le quattro cappelle laterali sono caratterizzate da una decorazione a stucco policromo, di gusto rococò che già guarda alle novità neoclassiche, caratterizzato dalle tinte pastello delle campiture sulle quali si stagliano gli stucchi bianchissimi.
Durante i restauri del 2015 si è appreso che l’edizione decorativa settecentesca si sovrappone su di un ciclo pittorico del ‘600 (del quale sono visibili alcune porzioni) che interessava l’intero edificio ecclesiastico. Della chiesa seicentesca rimane il superbo altare maggiore in pietra leccese. Con il recente restauro l’esuberante modellato e le dodici statue di angeli, santi e profeti che lo costituiscono hanno recuperato l’originale policromia barocca. Quando nel Settecento si rinnovarono le decorazioni dell’edificio, l’altare venne integrato agli stucchi con la realizzazione di un nuovo tabernacolo, con mensa e paliotto in stucco dipinto a finto marmo, secondo il gusto del tempo.
particolare con le pitture a monocromo
particolare dell’altare maggiore con angelo musicante
Per la complessità dell’edificio che, come accennato, è caratterizzato dalla successione di epoche e stili che si stratificano gli uni agli altri e le differenze materiche costitutive dei manufatti (sculture lapidee, litoidi, perni metallici originali, inserti lignei, ceramiche, dipinti murali, ecc.) le operazioni di restauro sono state precedute da uno studio stratigrafico e analisi di laboratorio, necessari a comprendere la storia degli apparati decorativi.
Alle indagini preliminari hanno seguito le operazioni di conservazione e restauro, condotte su tutte le superfici murarie interne che si presentavano ricoperte da svilenti tinteggiature contemporanee, da numerose scialbature di calce e ridipinture manutentive che nel tempo si erano sovrapposte sulle pareti, sugli stucchi e sull’altare maggiore.
Nel 1711 mons. Tommaso De Rossi, in visita nella chiesa, visita l’altare e lo definisce “bene ornatum et ex lapide liciensis confectum”. Esso si sviluppa nel presbiterio dividendo l’aula ecclesiastica dal coro. Come annota il presule, è realizzato in pietra leccese ed è caratterizzato da un complesso programma iconografico che mostra un modellato ricercato con putti, cherubini ed esuberanti decorazioni barocche, con uccelli e decorazioni fitomorfe. Quattro colonne tortili reggono la trabeazione, sulla quale appare una gloria di angeli musicanti e le sante carmelitane Teresa d’Avila e Maddalena de’ Pazzi. Nel registro inferiore e sulle paraste sono collocate le statue dei santi carmelitani Angelo martire e Alberto, mentre tra i profeti Elia ed Eliseo, al centro dell’altare, vi è la statua del Battista. Inoltre, l’altare accoglie in un’edicola, dalla cornice quadrilobata, un dipinto su tela raffigurante la Madonna del Carmine.
particolare dell’altare maggiore con statua di Santa Teresa
Sulle due porte che immettono nel coro, sormontati dai profeti vi sono due clipei, chiusi da un vetro, retti da angeli, un tempo adibiti ad accogliere reliquie: infatti, durante la citata visita pastorale del De Rossi, egli, non trovando documentazione certa circa l’autenticità delle reliquie, le fece rimuovere dai frati.
paliotto dell’altare maggiore
L’altare è un prezioso manufatto lapideo, testimonianza delle tecniche artistiche e della sensibilità cromatica del XVII sec. La ricca policromia, emersa dopo un lungo e delicato intervento di restauro, ci racconta che il barocco leccese, caratterizzato per la tenera pietra, quasi sempre accompagnava alla scultura il gusto per il colore.
#Andrea Erroi#chiese del Salento#Martino Alfarano#Policarpo Torselli#Presicce#Paesi di Terra d’Otranto#Spigolature Salentine
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Le pratiche artistiche [sono] profetiche in tempi non sospetti e capaci di trovare una nuova strumentazione emotiva e culturale contro le crisi, per uno sviluppo sinceramente sostenibile alimentato dalla cultura e dall’esercizio di indagini condotte attraverso la poesia da sempre rivelatrice, il segno, il simbolo e il disegno, la formalizzazione di mondi invisibili che fanno emergere le risposte ai sogni e ai bisogni reali delle persone.
Art Thinking
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SAN BENEDETTO – Grande interesse per il primo appuntamento del 2020 organizzato dal Rotary Club di San Benedetto del Tronto e che è stato incentrato su storia e cultura del territorio. Protagonista Giovanni Venturi, past presidente 2017/18 del Rotary Ancona Conero e appassionato d’arte che ha presentato alle tante persone che hanno raggiunto il ristorante Cucina al Porto di San Benedetto per l’occasione, il suo volume “Croci dipinte delle Marche – capolavori d’arte e di spiritualità, dal XIII al XVII secolo“.
Venturi, che ha presentato l’opera insieme monsignor Vincenzo Catani e alla presidente del Rotary Club di San Benedetto del Tronto Maria Rita Bartolomei, è infatti l’ideatore e il coordinatore di un progetto editoriale rivolto alla conoscenza, alla catalogazione, alla promozione e alla valorizzazione di un notevole patrimonio artistico della Regione Marche e dei territori limitrofi, costituito appunto dalle Croci dipinte su tavola.
Tanta l’attenzione suscitata dal volume che la stessa presidente del Rotary ha definito “una accurata disamina di un patrimonio storico e artistico prezioso e spesso sconosciuto”, Il volume d’arte ampiamente illustrato focalizza ed illustra per la prima volta queste opere straordinarie, uniche per dimensioni e fattura, che hanno segnato la storia artistica, culturale e religiosa, dal ‘200 ad inizio ‘600 a seguito della diffusione del francescanesimo, dell’attuale Regione Marche e territori confinanti.
Si tratta di opere che sono pervenute a noi in un numero considerevole (circa 50), rimaste confinate per la maggior parte a decoro di chiese, conventi di piccoli centri ed in alcuni musei, ma quasi mai assurte agli onori di una mostra tematica o di studi a larga diffusione. Il tutto con la “benedizione” di monsignor Vincenzo Catani, sacerdote che ha dedicato la propria vita alla cultura e alla tutela e valorizzazione del patrimonio artistico territoriale, autore di un appassionato intervento di carattere storico religioso.
Il libro di Venturi rappresenta quindi uno studio finalizzato sia alla conoscenza diretta e d’insieme di queste testimonianze storico-artistiche del territorio marchigiano e del loro rapporto con le esperienze analoghe di altre regioni limitrofe (Romagna, Umbria, Toscana), sia all’aggiornamento di questo patrimonio alla luce delle ultime indagini e ricerche, sia alla valorizzazione di eccellenze dell’arte italiana dei primi secoli del 2° millennio rimaste finora nell’ombra. Indicando anche i luoghi che le ospitano (attraverso l’uso di QR-code per smartphone) propone, di fatto, anche veri itinerari artistici e culturali.
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PAZZANO Al via la mostra fotografica per scoprire volti, scorci e paesaggi della vallata dello Stilaro
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PAZZANO Al via la mostra fotografica per scoprire volti, scorci e paesaggi della vallata dello Stilaro
PAZZANO Al via la mostra fotografica per scoprire volti, scorci e paesaggi della vallata dello Stilaro
R. & P.
PAZZANO – Una mostra fotografica per scoprire “Volti, scorci e paesaggi della Vallata dello Stilaro” in esposizione presso il Museo minerario di Pazzano dal 28 luglio al 4 agosto 2019. L’esposizione patrocinata dal Comune di Pazzano, promossa dalle associazioni Telemontestella, Ricomincio da Me, Pro Loco, Orchestra “Città di Pazzano” e dalla Parrocchia S. Maria Assunta, rappresenta l’anima di un gruppo di 19 fotoamatori uniti da una grande passione per la fotografia e per il territorio. Scopo della mostra fotografica è quello di trasmettere gli stati d’animo di un momento che attraverso la fotocamera esprimono situazioni ed emozioni di una visione puramente intimista e di ciò che alimenta la passione di tutto il team fotografico, ed è questo l’elemento fondamentale per trasmettere realmente l’idea di un paesaggio attraverso l’occhio di questi “sognatori del paesaggio”. La mostra, curata da Romilda Vasile, si divide in due sezioni: la prima e principale sezione della mostra, è dedicata alla fotografia contemporanea e presenta una selezione di oltre centoventi opere che scrutano, osservano, definiscono aspetti inediti del paesaggio cogliendone tratti che, a volte, sfuggono all’occhio umano e che ora, attraverso la fotografia delineano, in tutta la loro bellezza, colori, prospettive e visuali proprie del nostro territorio. Le oltre centotrenta opere in mostra a Pazzano raccontano per questo le meraviglie, la suggestione della Vallata dello Stilaro, attraverso le colline innevate, il fascino dei fiori, le verdi distese dei prati e delle colline, gli imponenti luoghi di culto millenari, le architetture povere dei borghi storici consunti dal tempo e dall’incuria, i poetici e malinconici siti dell’ archeologia industriale, le tradizioni, le suggestive rocce di calcare e i loro anfratti segreti. Le differenti modalità stilistiche con le quali i fotografi si sono accostati al tema della fotografia permette quindi solo di poter ammirare parte del territorio, ma soprattutto la varietà delle personali indagini artistiche, ciascuna delle quali verte su differenti prospettive di visione e analisi. Ogni artista indaga il paesaggio, urbano o naturale, attraverso un personale filtro d’analisi. Si tratta di puro documentarismo, non retorico, raccontato con intensa narratività visiva. La seconda sezione della mostra, a cura di Francesco Montepaaone, è un allestimento emozionale di foto d’epoca: una finestra sul passato fatta di ricordi sbiaditi, di storie vissute, di racconti per immagini. Personaggi, luoghi e aspetti di piccole comunità che attraverso la fotografia hanno lasciato un segno del loro passaggio e hanno scritto pagine di vita, gioia, passione, identità. Foto che riavvolgono la pellicola della memoria e che dal passato ci riportano al presente, al vissuto contemporaneo, per comprendere il passato , realizzare il presente, sognare il futuro.
R. & P. PAZZANO – Una mostra fotografica per scoprire “Volti, scorci e paesaggi della Vallata dello Stilaro” in esposizione presso il Museo minerario di Pazzano dal 28 luglio al 4 agosto 2019. L’esposizione patrocinata dal Comune di Pazzano, promossa dalle associazioni Telemontestella, Ricomincio da Me, Pro Loco, Orchestra “Città di Pazzano” e dalla Parrocchia
Gianluca Albanese
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Luce e consistenza visiva: nuove sperimentazioni di Francesco Barasciutti
di Angelo Maggi
--- “Sembra veramente che la fonte di luce sia ancora un richiamo alle origini delle cose. Anche se non illumina più il circolo familiare, anche dispersa e moltiplicata, è ancora il segno di una intimità privilegiata, attribuisce un valore particolare alle cose, crea ombre, inventa presenze”.
Jean Baudrillard, Le système des objects, 1968.
Spazialità minima è un progetto inedito del fotografo veneziano Francesco Barasciutti dedicato ai temi della rappresentazione di luce e ombre per la creazione dello spazio. Egli da trent’anni lavora a Venezia come noto ritrattista e fotografo di aziende vetrarie veneziane. Le sue immagini a colori dei vetri di Carlo Scarpa ed Ettore Sottsass per Skira e le fotografie in bianco e nero dei lavori di Ritsue Mishima lo hanno reso noto nel mondo. In questa nuova sperimentazione, Barasciutti abbandona il linguaggio classico della documentazione visiva per addentrarsi nella lettura d'interazione tra carta, fotografia, colore e luce, rendendo omaggio alle qualità intrinseche della materia fotografica e reintroducendo l'imprevedibilità della composizione attraverso materiali semplici verso quella che potremmo definire una nuova idea di spazialità.
Composizione n.1, Venezia 2 ottobre 2012 ©Francesco Barasciutti
Nell’era dell’iconismo digitale le immagini di Barasciutti hanno la peculiarità di essere uniche e rappresentano una sorta d’indizio su una delle mille possibili interpretazioni che il fruitore della fotografia può ottenere facendo appello ai suoi pensieri e alla sua immaginazione. Fotografare degli anelli di carta colorati, o semplicemente inquadrare delle strisce di carta piegate in un determinato modo, può sembrare un’operazione futile. Come nelle “sculture da viaggio” (1959) di Bruno Munari questi piccoli “origami” inondati e imbevuti di luce si trasformano e creano effetti sempre diversi secondo il tempo dell’esecuzione dell’immagine cristallizzandone l’essenza. La fotografia ha il ruolo decisivo nel rendere tangibile quel preciso istante che il fotografo genera portando le ombre ad amalgamarsi e creare il gioco sapiente tra superfici e nuovi piani della rappresentazione.
Le immagini astratte di Barasciutti rievocano le parole di Man Ray quando dichiara: “Ho bisogno di sperimentare, in un modo o nell’altro. La fotografia me ne offre il mezzo, un mezzo più semplice e più rapido della pittura”[1]. La sperimentazione diventa l’incontro dell’oggetto, dell’apparecchio fotografico, della luce e delle sorprendenti scoperte visive del fotografo. Al di là della forte resistenza al luogo comune della rappresentazione, si delinea un progetto estetico creativo contemporaneo che ricorre a un repertorio di fonti iconografiche delle avanguardie artistiche. La luce manipolata è certamente riconducibile al “rinnovamento” in materia di creazione ottica di Làszlo Moholy-Nagy, di Alvin Langdon Coburn e di Luigi Veronesi, ma in questo nuovo progetto di Barasciutti la capacità d’astrazione delle impronte luminose supera una nuova soglia della non oggettività della fotografia.
Composizione n.11, Venezia 12 novembre 2012 © Francesco Barasciutti
Egli è un acuto sperimentatore della percezione dello spazio attraverso un raro ritmo fotografico che matura nel tempo attraverso proiezioni d’ombra concepiti per trasparenza, dissolvenza e sovrimpressione. Il nuovo linguaggio visivo di Barasciutti è una ricerca in divenire che traduce corpi sottili in forme multiple ed evanescenti generate dalla scia luminosa. Le carte colorate si dematerializzano e ritornano ad esistere nella trascrizione visibile delle ombre. In queste astrazioni cromatiche fatte di fusione di forme e sfondo, lo sguardo non può non essere coinvolto in un’esplorazione dinamica. A volte l’autenticità delle forme geometriche diventa impercettibile, soprattutto quanto sottili lamine di luce tagliano l’ombra generando una sospensione spaziale come in vere anamorfosi.
Guardando le indagini visive di Barasciutti tornano alla mente i Light filtering del 1935 eseguiti da Moholy Nagy con il procedimento fotografico Dufaycolor. Con questa particolare sperimentazione il noto artista e insegnante presso il Bauhaus, durante il suo soggiorno in Inghilterra prima di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti, sonda le proprietà cromatiche di leggerezza, trasparenza e duttilità della carta, del perspex e del plexiglass[2]. Queste proiezioni luminose con effetto spaziale sono incroci di volumi reali e virtuali che animano lo spazio spingendo l’artista a confrontarsi con i limiti della fotocamera.
Composizione n.1, Venezia 29 dicembre 2015 © Francesco Barasciutti
Lo stesso fervore di ricerca sulla luce come sostanza generatrice della visione attraverso la fotografia, è parte integrante di una recente rilettura dell’opera di Nancy Holt (1938-2014), una site-specific artist molto apprezzata per i suoi lavori di Land-Art. Nel 2012, presso la galleria londinese Haunch of Venison, si è tenuta una mostra dedicata solo ed esclusivamente ai suoi Photoworks[3]. Nell’affascinante installazione Sun Tunnels, elaborata per il deserto americano dello Utah negli anni Settanta, l’artista genera non solo una proiezione spaziale ma anche una proiezione temporale e ne fa - con la fotografia - il segno stesso della sospensione,
della pausa, del fermoimmagine. Queste straordinarie immagini in bianco e nero, il ritratto dell’interazione tra luce e ombra che accarezza la rigida superficie di quattro grandi tubi in calcestruzzo, evocano il gioco cangiante luminoso creato dai manufatti di Barasciutti.
In fotografia le ombre corrispondono alle parti del soggetto che non hanno ricevuto alcuna illuminazione dalla fonte di luce e di conseguenza non ne hanno potuto riflettere nell’obiettivo. Secondo Jean-Christophe Bailly: “L’ombra è letteralmente il fantasma vivente e vibrante dell’oggetto e in quanto tale installa il campo di apparizione che sarà proprio quello del fotografico: fotografare ombre è in qualche modo mostrare la matita della natura al lavoro, è ritrarre, attraverso l’immagine di un’immagine, un’origine del fotografico”[4].
Una volta affinata e sensibilizzata la percezione degli spazi creati, Barasciutti realizza immagini coerenti con l’etimologia della parola fotografia: “scrittura di luce”. Le ombre, le tonalità di colore sulle superfici, gli effetti di luce così attentamente studiati, perfino la stessa sorgente luminosa diventano gli elementi principali delle sue composizioni nelle quali le sagome geometriche sono secondarie e il tema è soltanto la luce. Questo “fragile segno di esistenza” che è la fotografia, non è semplice rappresentazione mimetica bensì “agisce direttamente e silenziosamente come ciò che sa o può echeggiare l’«intimo» delle cose”[5]. Spazialità minima di Francesco Barasciutti con i suoi tracciati visivi, con i suoi mutismi metafisici e con le sue filtrate cromie, incarna alla perfezione questa intimità.
[1] Citato in Man Ray/Photo Poche - Fotonote, ed. it. Contrasto, Paris 2005, p.3.
[2] Una descrizione accurata dell’indagine sperimentale appare in Jaennine Fiedler e Hattula Moholy-Nagy (a cura di) Làszlo Moholy-Nagy Color in Transparency. Photographic Experiments in Color 1934-1946, Stedl, Bauhaus Archiv, Berlino 2006, pp.46,47.
[3] Si veda il volume di Ben Tufnell e Douglas Fogle, Nancy Holt: Photoworks, Haunch of Venison, Londra 2012.
[4] Jean-Christophe Bailly, L’instant et son ombre, Éditions du Seuil, Paris 2008; trad. it. L’istante e la sua ombra, Bruno Mondadori, Milano 2010, p.109. Si veda anche E. De Conciliis (a cura di), Jean Baudrillard o la dissimulazione del reale, Mimesis, 2009. Dello stesso autore sugli stessi temi si rimanda a Jean Baudrillard, Ombre et photo, in Jean Baudrillard, «Cahier de L’Herne» N. 84, a cura di François L’Yvonnet, Paris 2004, pp. 231-232.
[5] Ibidem, p.138.
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Questa presentazione e la riproduzione di alcune opere sono state riprese dall'interessante volume fotografico Spazialità Minima��[ed. Toletta, Venezia 2017] e ringraziamo i rispettivi autori Prof. Angelo Maggi e Francesco Barasciutti che ce ne hanno permesso la pubblicazione.
#Francesco Barasciutti#Angelo Maggi#Jean Baudrillard#Carlo Scarpa#Ettore Sottsass#Ritsue Mishima#Bruno Munari#Man Ray#Làszlo Moholy-Nagy#Alvin Langdon Coburn#Luigi Veronesi#Dufaycolor#Bauhaus#Nancy Holt#Land-Art#Hauch of Venison#Jean-Christophe Bailly#Jeannine Fiedler#Hattula Moholy-Nagy#Ben Tufnell#Douglas Fogle#Eleonora De Conciliis#Francois L'Yvonnet.
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San Prospero: restituita l'acquasantiera del Seicento alla Chiesa di Staggia dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale
San Prospero: restituita l'acquasantiera del Seicento alla Chiesa di Staggia dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Bologna. Il 24 novembre 2023, alle ore 11.00, presso la Chiesa del “Santissimo Nome di Maria” di Staggia di San Prospero, l’acquasantiera a fusto in marmo rosso di Verona è stata riconsegnata dal Comandante del Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) di Bologna, Tenente Colonnello Giuseppe De Gori, al Parroco della parrocchia “S. Prospero Vescovo” di San Prospero sulla Secchia, Don Aldo Pellicani. La cerimonia si è svolta alla presenza del Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola, Mons. Giuliano Gazzetti del Sindaco di San Prospero, Sauro Borghi e del Comandante Provinciale dei Carabinieri di Modena, Col. Antonio Caterino. L’acquasantiera a fusto in marmo rosso di Verona, alta 119 cm e di diametro 70, realizzata da anonimo scultore veronese nella seconda metà del XVII secolo, scolpita a tutto tondo liscio con base a sezione triangolare scantonata con volute angolari, trafugata da ignoti malfattori tra il 14 e il 15 ottobre 2019, veniva recuperata dal Nucleo TPC di Bologna nel mese di giugno del 2022. L’accurata attività di indagine è stata sviluppata dai Carabinieri TPC dopo essere venuti a conoscenza, nel corso di autonome indagini sui canali di commercializzazione illecita di beni culturali e della consueta attività di controllo delle piattaforme digitali, della vendita di un’antica acquasantiera proveniente dal furto consumato all’interno della chiesa di Staggia alla fine del 2019. Difatti, l’immagine dell’acquasantiera asportata era stata inserita all’epoca del furto nella “Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti” gestita dal Comando TPC, e, proprio dai preliminari accertamenti condotti, i Carabinieri potevano rilevare che la foto del bene culturale posto in vendita sul mercato antiquariale nella provincia di Cuneo corrispondeva a quella trafugata tra il 14 e 15 ottobre 2019 dall’interno della Chiesa del “Santissimo Nome di Maria” di Staggia di San Prospero (MO). Contestualmente all’attività investigativa in corso, il Nucleo TPC di Bologna aveva ricevuto un’analoga segnalazione da parte della Stazione Carabinieri di San Prospero, dopo che un cittadino del luogo, frequentatore e attento conoscitore dei beni d’arte presenti nella Chiesa di Staggia, aveva riferito ai militari dell’Arma territoriale di aver rilevato sul WEB proprio la presenza dello stesso bene ecclesiastico su cui forniva ulteriori particolari utili per il suo riconoscimento, quale la presenza di un’armatura in ferro battuto realizzata alla fine degli anni ‘60 da un parrocchiano del posto e collocata, per una maggiore stabilità dell’opera, tra la vasca e la colonnetta di sostegno. Per l’esito positivo della vicenda sono inoltre risultate importanti le ricerche storico-artistiche condotte dall’Arcidiocesi di Modena-Nonantola, che attraverso la consultazione degli archivi ecclesiastici, poteva confermare la registrazione dell’acquasantiera nell’inventario storico della citata Arcidiocesi (nello specifico di quelli appartenenti alla Chiesa del Santissimo Nome di Maria), risalente all’anno 1972 così come la sua catalogazione avvenuta da parte dei funzionari dell’allora Soprintendenza per i beni artistici e storici di Modena e Reggio Emilia nel 1997. L’acquasantiera rubata all’interno della Chiesa di Staggia è ben visibile attraverso una foto che ritrae l’interno del suindicato luogo di culto dopo il sisma del mese di maggio del 2012, a seguito del quale la stessa rimase gravemente danneggiata e resa inagibile. A conclusione delle indagini condotte dai Carabinieri dell’Arte, coordinate e dirette dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cuneo, il Giudice per le Indagini Preliminari dello stesso Tribunale, in virtù della rivendica avanzata dal citato Ente Ecclesiastico, disponeva la restituzione dell’antica acquasantiera alla Chiesa di Staggia, consentendo così all’Arcidiocesi di Modena-Nonantola il ritorno del reperto proprio in occasione della Festa del Patrono e di poterlo restituire, a distanza di un anno dall’avvenuta ricostruzione e riapertura della Chiesa, alla comunità parrocchiale e quindi all’intera collettività.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Tempo di legalità: mafia e letteratura
Si è appena concluso il progetto “Dopo le mafie”, nato per valorizzare e gestire in modo partecipato i beni comuni confiscati alla criminalità, ideato dall'Associazione Circola – Cultura, Diritti, Idee in movimento e sostenuto dal nostro Sistema bibliotecario, il quale ha organizzato anche, in molte biblioteche, una serie di proposte e iniziative sul tema della legalità e dei beni comuni. Eventi che si sono svolti fra marzo e maggio, e che proseguiranno in settembre.
Vogliamo inserirci in questo percorso suggerendovi la lettura di alcuni romanzi, a cominciare da Il Giorno della civetta, il primo in Italia ad affrontare l’argomento in modo assolutamente esplicito.
Il binomio mafia e letteratura ha avuto una fortunata evoluzione nel panorama letterario italiano. Partorito, analizzato e studiato da scrittori e personalità artistiche non solo della regione siciliana, ma anche da eminenti scrittori e intellettuali del centro nord, quali Calvino e Pasolini. Ecco quindi anche I vecchi e i giovani di Pirandello ed il canonico Lupi del Mastro don Gesualdo di Verga. Ma pure Il Gattopardo, di Tomasi di Lampedusa, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti di Calvino, ripreso in Romanzi e racconti, e i Vicerè, di Federico de Roberto.
Fra le opere più recenti vi suggeriamo invece Il pianeta azzurro, di Malerba. In queste pagine si snodano, nella forma di un giallo paradossale, le trame occulte della P2 e le ramificazioni di un potere perverso e mafioso che si estende nei sotterranei della politica italiana. Al centro della narrazione la storia di un attentato con precisi riferimenti alla realtà storica del Novecento, dalla quale emerge un personaggio politico di primo piano che il lettore non tarderà a riconoscere. In Malacarne, di Calaciura, il palcoscenico è quello dei tradimenti e dei regolamenti di conti mafiosi, delle esecuzioni, delle stragi. Sembra di riconoscere profili noti, le cronache dure dell'attualità. Vi suggeriamo poi il bellissimo Ciò che inferno non è di Alessandro D'avenia sulla storia di don Pino Puglisi, assassinato perché, educandoli, sottraeva alla mafia i ragazzi del quartiere Brancaccio a Palermo.
Fra i numerosi autori che si sono cimentati con questa tematica ricordiamo anche Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino ed il celeberrimo Roberto Saviano con i suoi Gomorra e La paranza dei bambini Ma anche Gianrico Carofiglio che, in L'estate fredda, ci porta all'estate del 1992, in una Bari costretta a fare i conti con una guerra di mafia in una situazione sempre più tesa.
Non possiamo poi dimenticare il mitico commissario Montalbano, di Andrea Camilleri, anche se questi si inserisce nel nostro percorso in modo atipico: nelle opere di Camilleri, infatti, il mafioso non è mai al centro delle indagini. Ciò per espressa volontà del suo ideatore, che ha dichiarato apertamente di non voler contribuire al consolidamento del mito della mafia. «Vuoi o non vuoi, il romanzo finisce col nobilitare anche i personaggi più indegni», ha scritto o fatto scrivere più volte Camilleri.
Nei suoi romanzi – ne citiamo tre solo per brevità: Un mese con Montalbano, Una voce di notte, La voce del violino - dunque, la mafia, impersonata dai Sinagra e dai Cuffaro, finisce per restare sullo sfondo senza invadere la scena, che resta appannaggio di una realtà popolata da uomini e donne portatori di tutto il bello e il brutto che ci circonda: piccoli miserabili, esplosioni di grande generosità e amore, rapporti familiari commoventi e a volte malati.
Vogliamo salutarvi con il pensiero di Giovanni Falcone, e con due opere dedicate alla sua vita: Per questo mi chiamo Giovanni, di Luigi Garlando - un testo che, seppur in forma romanzesca, permette a bambini e ragazzi di conoscerne l'impegno e la lotta – e Giovanni Falcone, dell'editore BeccoGiallo, che persegue la divulgazione e la conoscenza di tematiche di forte interesse sociale e storico con una bella collana a fumetti.
Il problema della mafia, sosteneva Falcone – autore del primo manuale per capire la mafia: Cose di Cosa Nostra - sarebbe risolvibile se non fosse aggravato e amplificato dalla mafiosità, cioè da quella cultura, o sottocultura come si preferisce, che diffonde e afferma un modo di pensare e di vivere capace di giustificare tutto e persino di accettare il capovolgimento delle logiche e delle regole del vivere civile.
Ma può davvero qualcuno di noi, italiani di qualsiasi regione, dire che questa mafiosità appartiene solo al suolo di Sicilia?
#PERCORSIDILETTURA#mafia#giovannifalcone#Andrea Camilleri#Montalbano#legalità#gianrico carofiglio#roberto saviano
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Lucky Charm di Liu Yuan alla Biennale di Genova 2023
Lucky Charm di Liu Yuan alla Biennale di Genova 2023. Si è conclusa la quinta Biennale di Genova, che ha confermato l’attenzione crescente della città verso l’arte contemporanea e l’importanza di un evento che ha raggiunto fama internazionale. Ecco alcuni numeri della mostra: 200 artisti partecipanti; 20 paesi rappresentati; più di 70 location cittadine; 20mila visitatori; 400mila interazioni sui canali social; 200mila visualizzazioni dei video e dei link. Un'edizione che ha registrato numeri record. Tra le opere ha ricevuto apprezzamenti di pubblico e critica Lucky charm di Liu Yuan, artista proposta da MA-EC. Liu Yuan lavora attualmente a Pechino, ha frequentato “The University of Reading” e la “Thames Valley University” nel Regno Unito. Ha lavorato come editrice dal 2009 al 2010 per “Deloitte” a Shanghai e dal 2011 lavora per la “Xinhua News Agency” a Pechino. Yuan ha iniziato a dipingere nel 2017 e ama realizzare dipinti creativi e originali. Ha frequentato nel 2021 il corso di un anno in “Academy of Arts and Design” specializzato in "Chinese culture and art innovation research" di Mr. Huangyouwei presso la “Tsinghua University”. Nel 2021 ha partecipato ad alcune mostre d’arte contemporanea internazionali, ed è nel dicembre dello stesso anno che è nata la sua prima serie: “Lucky charm”. Tra queste esposizioni abbiamo la sua partecipazione alla virtual exhibition “Schrodinger's Cat” presso la MA-EC Gallery (28 Maggio al 20 Luglio). Tramite ITSLIQUID GROUP ha esposto diverse volte nello stesso anno: a Barcellona, a Venezia e a Londra. Sempre nel 2021 è stata selezionata per “WATERCOLOR ING” presso “HUAYOUWEI STUDIO” a Pechino. Nel 2022 ha partecipato alla mostra “Journey” a Venezia, collettiva ospitata dalla galleria “Artespaziotempo” e alla “Lugano WopArt Fair” allo stand di MA-EC Gallery. Nel 2023 ha presentato un suo lavoro al Salon des artistes indépendants “Art Capital” a Parigi. La Biennale di Genova ha quest’anno il contributo della Città Metropolitana di Genova e il patrocinio di Regione Liguria, Comune e Camera di Commercio di Genova che hanno sempre sostenuto la manifestazione per la sua idea progettuale - che sottolinea il tentativo della città di porsi come centro di sperimentazione - ma anche per la capillarità di un evento che contribuisce a rendere viva e attrattiva tutta Genova. La Biennale, proposta da SATURA, vuole essere anche un’occasione di confronto fra diverse esperienze individuali e i risultati di differenti indagini artistiche, mantenendo fisso l’obiettivo di garantire una proposta artistica ricca e di qualità, attraverso un approccio culturale attivo e attento alle molteplici spinte creative contemporanee.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Arte contemporanea cinese alla Biennale di Genova 2023
Arte contemporanea cinese alla Biennale di Genova 2023. Dopo lo straordinario successo dell'edizione targata 2021, dall’8 al 22 luglio la Biennale di Genova organizzata da SATURA - centro per la promozione e diffusione delle arti, torna nella città ligure. La Biennale si snoda in diverse e prestigiose sedi espositive cittadine, più di 70, e vanta la presenza di oltre 250 artisti provenienti da 18 nazioni, numero dovuto anche all'apertura alle tante forme espressive tra cui sono state selezionate le opere. MA-EC, in collaborazione con Hearty Souls Beijing Culture Creative Industry Development Co. Ltd e con Beijing Timepiece lifestyle Brand Management Co., LTd, quest’anno presenta 21 artisti cinesi che propongono video, sculture, digital art, fotografie, dipinti a olio su tela e su tavola, acrilici, ink painting, disegni e acquerelli su carta. Gli artisti sono: Bumubutai, Qiyun Chen, Shixun Chen, Yihan Chen, Yizhu Gong, Jianyong Guo, Boyang Hu, Jiali Mai, Roywang, RuRui, Shang, Chun Sun, Mingjun Sun, Yandi Wang, Yuchen Wang, Xin Xin, Jianwei Yao, Liu Yuan, Guoshuai Zhang, Zuhang Zhang, Hong Zheng. La Biennale di Genova avrà quest’anno il contributo della Città Metropolitana di Genova e il patrocinio di Regione Liguria, Comune e Camera di Commercio di Genova che hanno sempre sostenuto la manifestazione per la sua idea progettuale - che sottolinea il tentativo della città di porsi come centro di sperimentazione - ma anche per la capillarità di un evento che contribuisce a rendere viva e attrattiva tutta Genova. La Biennale, proposta da SATURA, vuole essere anche un’occasione di confronto fra diverse esperienze individuali e i risultati di differenti indagini artistiche, mantenendo fisso l’obiettivo di garantire una proposta artistica ricca e di qualità, attraverso un approccio culturale attivo e attento alle molteplici spinte creative contemporanee. Genova, 8-22 luglio 2023 Per informazioni: [email protected]... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Roywang alla Biennale di Genova 2023
Roywang alla Biennale di Genova 2023. Roywang partecipa alla Biennale di Genova, giunta alla sua V edizione. Dopo lo straordinario successo dell'edizione targata 2021, dall’8 al 22 luglio la Biennale di Genova organizzata da SATURA - centro per la promozione e diffusione delle arti, torna nella città ligure. Tra gli artisti, merita attenzione Roywang, proposto da MA-EC Gallery, che presenta un video di Light Painting. Detentore del Guinness World Record per il più grande light painting, consulente e rappresentante cinese di LPWA (Light Painting World Alliance), rappresentante di IAA China, ha al suo attivo numerose mostre a Oviedo, Parigi, Hong Kong, Pechino, Casablanca, New Delhi, e ha vinto prestigiosi premi, tra cui nel 2022 il First Prize of Intangible Cultural Heritage IP Design Competition Area of the 6th. Mentougou Cultural and Creative Competition, Gold Prize of H.C. Andersen Art Awards, Artistic Contribution Award of Luxembourg International Art Award, e nel 2021 il Guinness World Records World's Largest Light Painting Pattern 2021.586 sqm, "Light Tianzhu", 118th Rotating Mayor of Wanda Town, Danzhai, Guizhou. Il Light painting di Roywang è caratterizzato dallo stile della mitologia cinese. Usa la luce come pennello, la notte come tenda e utilizza il vuoto. La serie di animali mitologici si ispira all'antica letteratura cinese "Shan Hai Jing". Attraverso la tecnica del light painting, l’artista disegna antichi animali in stile realistico che si integrano con le scene di strade urbane in spazi architettonici contemporanei. Unendo le città di oggi con la cultura tradizionale lontana, esprime il romanticismo cinese. La Biennale si snoda in diverse e prestigiose sedi espositive cittadine, quest’anno più di 70, e vanta la presenza di oltre 250 artisti provenienti da 18 nazioni, numero dovuto anche all'apertura alle tante forme espressive tra cui sono state selezionate le opere. La Biennale di Genova avrà quest’anno il contributo della Città Metropolitana di Genova e il patrocinio di Regione Liguria, Comune e Camera di Commercio di Genova che hanno sempre sostenuto la manifestazione per la sua idea progettuale - che sottolinea il tentativo della città di porsi come centro di sperimentazione - ma anche per la capillarità di un evento che contribuisce a rendere viva e attrattiva tutta Genova. La Biennale, proposta da SATURA, vuole essere anche un’occasione di confronto fra diverse esperienze individuali e i risultati di differenti indagini artistiche, mantenendo fisso l’obiettivo di garantire una proposta artistica ricca e di qualità, attraverso un approccio culturale attivo e attento alle molteplici spinte creative contemporanee.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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La Spezia: Tutto pronto per l’inaugurazione della nuova mostra al Museo A. Lia
La Spezia: Tutto pronto per l’inaugurazione della nuova mostra al Museo A. Lia. Oggi, venerdì 16 giugno alle ore 17.30 sarà inaugurata la mostra Pieter Brueghel il Giovane. La Crocifissione di Castelnuovo Magra. Restauro e confronti al Museo Civico Amedeo Lia a cura di Rossana Vitiello, con la collaborazione di Andrea Marmori, Valentina Tonini e Martina Avogadro. La mostra nasce con la finalità di mostrare al pubblico le opere significative dell’arte fiamminga, ma sarà l’occasione per presentare l’importante dipinto di Pieter Brueghel il Giovane dopo lo studio e il lavoro di restauro sul dipinto della Crocifissione realizzati presso il laboratorio della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova e della provincia della Spezia, in collaborazione con l’Università di Genova per quanto riguarda le indagini diagnostiche sull’opera. In particolare verranno rese note le vicende storico artistiche del dipinto e le problematiche relative alla tutela, la storia travagliata delle vicende conservative dell’opera, del furto e del ritrovamento della tavola negli anni Settanta del Novecento e del recente tentativo di furto sventato grazie all’intervento dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Genova. Il Sindaco della Spezia Pierluigi Peracchini dichiara: “La Crocifissione di Peter Brueghel il Giovane è un dipinto di inestimabile valore, un capolavoro dell’arte fiamminga e non solo. Siamo contenti di poterla presentare in occasione di questa mostra, che espone opere della stessa scuola. Il suo restauro è un evento significativo e per la nostra città è un onore poter avere in esposizione l’opera dopo il tentativo di furto di marzo 2019 e mostrare al pubblico come è stato restaurato. Significativo è proprio ricordare la vicenda del tentato furto del dipinto presso la chiesa di Castelnuovo Magra che è stato sventato grazie alla collaborazione e intelligenza dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Genova, di Don Alessandro Chiantaretto, della Diocesi, che ringrazio particolarmente. Con l’occasione ringrazio la famiglia Lia per il rinnovo della convenzione, che ora permette il rilancio del museo con importanti mostre, la prima delle quali è proprio questa di Pieter Brueghel il Giovane, che inauguriamo venerdì 16 giugno e che sarà ricca di sorprese”. La mostra è promossa dal Comune della Spezia con il patrocinio di Regione Liguria, la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Genova e la Provincia della Spezia, il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale ed è stata realizzata con il contributo di Fondazione Carispezia per l’intervento di restauro nell’ambito del Bando Aperto 2021 a favore della Parrocchia Santa Maria Maddalena in Castelnuovo Magra e il sostegno di Coop Liguria.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Un caso emblematico: la statua di Santa Marina a Muro Leccese
Il contesto storico-artistico ed un suo auspicabile restauro
di Santo Venerdì Patella
Avevo scritto della statua di Santa Marina già nel 1998[1], dove reclamavo il fatto che la stessa opera fosse stata nuovamente, per l’ennesima volta, ridipinta e manomessa, come in effetti si usava fare all’epoca e molto più di quanto avviene ancor oggi.
In effetti visionando alcune vecchie fotografie, come quella di sopra, si nota che questo simulacro nel secolo scorso ha mutato varie volte policromia, in parte la forma delle vesti, la posizione delle braccia ed il drago.
Nell’ultimo “rifacimento”, avvenuto nel 1993, come riporta la foto in basso, furono eliminate alcune parti del panneggio, l’attributo iconografico della palma ed il drago.
Fui informato, spero giustamente, che tutto ciò che venne tolto era realizzato in cartapesta e che ricopriva una statua più antica in legno, molto malmessa. Viene quindi naturale immaginare che le parti appena menzionate furono verosimilmente aggiunte nei rifacimenti precedenti e pertanto poi eliminate, cercando, in maniera molto empirica, da un lato di ridare la forma originaria a questa statua ma al contempo magari reinventandone di nuove.
Quest’opera è conservata nella medievale chiesa di Santa Marina a Muro Leccese ove il culto della stessa è rintracciabile già nella Santa Visita della Diocesi di Otranto del 1768, in cui è rammentata una imago S. Marinae. Questa statua viene poi esplicitamente nominata in un’altra nota datata 1874[2]. Esaminando anche altre Sante Visite non ho riscontrato ulteriori menzioni della stessa, ma possiamo valutare delle ipotesi in merito al periodo in cui essa venne realizzata. Consultando il catalogo “Il Barocco a Lecce e nel Salento”, mi accorsi che vi erano delle somiglianze tra la Santa Chiara[3] [foto 3], conservata nella omonima chiesa leccese, qui di seguito riportata
e la statua di Santa Marina, in special modo dopo l’ultimo rifacimento sopra descritto: simile la staticità della posa, simile il modo discreto di panneggiare le vesti, simili i tratti dei visi. Tutte queste somiglianze le associai qualche anno dopo anche alla statua di Santa Domenica di Scorrano, di seguito ripresa.
Queste mie supposizioni furono suffragate in special modo dagli ottimi studi contenuti nel testo “Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e Spagna”, in cui si descrivono le attinenze decorative e stilistiche della statua di Santa Chiara e Santa Domenica prima menzionate[4]. Il periodo di realizzazione a cui vengono inscritte queste statue può essere collocato in un arco temporale che inizia verso fine del sec. XVI e prosegue lungo i primi decenni del XVII, epoca in cui dovremmo verosimilmente inserire anche la realizzazione della nostra Santa Marina, se ciò fosse verificabile dopo adeguati interventi restaurativi.
Decorativamente parlando le “sorelle artistiche” di Santa Marina: le Sante Chiara e Domenica, ci appaiono, nei decori degli abiti, riccamente ornate con estofadura, particolare tecnica decorativa già presente nell’arte gotica per abbellire immagini sacre su legno policromato, che fu utilizzata largamente in Spagna durante il periodo barocco e fu importata anche nel vice regno con capitale Napoli. Pertanto se la statua in questione dovesse essere restaurata con criteri opportuni, oltre a recuperare in massima parte le forme originarie, potrebbe rivelare anch’essa una decorazione importante ad estofado, che la renderebbe ancor più rilevante dal punto di vista artistico. Senza appropriate indagini rimaniamo però nel campo delle ipotesi.
Se tutto questo fosse riscontrabile la nostra Santa Marina rientrerebbe pienamente in quella temperie artistica ch’è a cavallo del sec. XVI e XVII, e che si riferisce alle pratiche devozionali e cultuali tipiche della Controriforma.
La statua in questione si presenta a tutt’altezza con un panneggio vagamente classicheggiante ed in posizione ieratica, con occhi vitrei e sarebbe ascrivibile ad uno scultore napoletano, che pur operando nei primi decenni del ‘600, conserva ancora una cultura figurativa tardocinquecentesca[5].
Per fare dei paragoni stilistici, e senza andare lontano e ricercare opere famose, possiamo menzionare la tela d’altare conservata nella chiesa dell’Immacolata di Muro Leccese in cui è effigiata la Titolare [foto 5], la figura della Madonna ripropone in massima parte la posa delle statue prima rammentate, a riprova dell’attardamento stilistico, non ancora barocco, della Muro dell’epoca.
Questa tela è databile al terzo decennio del ‘600.
Contestualizzando ancor più il periodo storico-artistico della Muro secentesca possiamo fare dei riferimenti ad altre sculture; mi riferisco al busto-reliquiario di Santa Giusta[6], conservato anch’esso nella chiesa Confraternale dell’Immacolata, attribuibile allo scultore Giovan Battista Gallone (lo si metta in confronto con il busto reliquiario di una delle undicimila vergini della chiesa del Gesù Nuovo a Napoli).
Questa statua, conservata in una nicchia datata 1646, è decorata non a caso ad estofado ed ha anch’essa una provenienza napoletana.
Nello stesso luogo di culto vi è un altro stipo dedicato a San Largo ma in questo caso non è più conservato il relativo busto-reliquiario dell’omonimo santo. Purtroppo mancano all’appello altri due busti-reliquiario: San Giovino e San Agapito, un tempo conservati della chiesa del S.mo Crocefisso, di cui resta traccia in due infelici foto d’epoca.
San Giovino
San Agapito
Nella Santa Visita della Diocesi di Otranto del 1755 ritroviamo questa importante notizia che li riguarda e che riporto fedelmente: “Nelli pilastri dell’arco, sotto di cui sta situato d.o altare maggiore vi sono due basette, una da una parte e l’altra dall’altra: in quella della parte destra vi è situata una statuetta a mezzo busto con stragalio […], è colorita, e nel petto v’è una reliquia colla […] di S. Agapito, e nella sinistra altra simile statuetta colla reliquia di S. Giovino.”.
Speriamo che in un futuro queste opere si possano recuperare.
Per ribadire alla fine di queste note quanto un restauro appropriato possa restituire l’idea originaria che l’artista-creatore aveva delle sue opere, porto ad esempio quello da poco effettuato sull’altare maggiore della già menzionata chiesa del S.mo Crocefisso dove, le statue lapidee dei dolenti: la Madonna Addolorata e San Giovanni, realizzate da P. Buffelli entro il 1660, hanno rivelato una ricca decorazione ad estofado, mentre prima risultavano ridipinte ed appiattite con banali tinte monocrome, aumentandone non poco il valore artistico delle stesse.
altare maggiore della chiesa del S.mo Crocefisso
statue lapidee dei dolenti: la Madonna Addolorata e San Giovanni, realizzate da Placido Buffelli
Note
[1] S. V. Patella, La cultura della cartapesta, in “Liber Ars”, 3, aprile 1998, p. 21.
[2] V. Boccadamo, Terra d’Otranto nel Cinquecento, Galatina 1990, p. 76.
[3] R. Casciaro, Il Barocco a Lecce e nel Salento, Pomezia-Roma 1995, pp. 163-164.
[4] P. L. de Castris, B. Minerva, Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e Spagna, Roma 2007, p. 24, p. 180.
[5] L. Gaeta, Intagliatori incisori scultori e società nella Napoli dei viceré, Congedo 2015, p. 5.
[6] S. V. Patella, La città di Muro Leccese dalle origini al ventesimo secolo. Antichità, architettura, arte, fonti e documenti, Editrice Terra, Lecce 2012, p. 113.
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