#in ogni caso soffro
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VOI QUESTE COSE DI PRIMA MATTINA NON DOVETE FARMELE VEDERE
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ogni tanto mi capita di leggere vecchie mie cose, conversazioni, pensieri buttati a caso su qualche quadernino. vivo nella perenne insoddisfazione di non essermi mai sentito "normale" pur non avendo un concetto di normalità fra le dita. mi piacciono molto alcuni dei blog che seguo e scrivono, forse non ho dedicato il tempo che avrei voluto alla lettura. è sempre un "non ho", "avrei dovuto" ma in fondo è la mia vita. nelle foto da piccolo raramente sorrido "perché non so sorridere mà", nelle letterine e nei disegni mi gettavo già merda chiedendo scusa per il semplice fatto di essere stato messo al mondo. ho un caratteraccio: amo la solitudine e i miei spazi, soffro per questo e quando sto in compagnia mi capita di sentirmi vivo e pieno di un'energia che però tende a sciogliersi fin troppo presto. mi piacerebbe consumarmi come una sigaretta al vento, dimenticata tra le dita.
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In realtá non è così difficile come si crede.
Io ero e sono un ragazzo abbastanza riservato ed introverso, però mi è bastato uscire un giorno per incontrare persone nuove ed è successo completamente a caso.
Nessuno vive solo e muore solo e non succederà nemmeno a te, anche perché mi sembri una ragazza molto simpatica
ripeto, ogni caso è a parte, quello che ha funzionato per te non vuol dire che funzioni anche per me
è dal 2019 che tento di espandere le mie conoscenze e le ho provate tutte….social, palestra, lavoro, serate….
essendo di natura una persona molto estroversa ci soffro parecchio, ma ci sono cose che sono al di fuori del mio controllo e situazioni che non posso forzare
purtroppo le cose stanno così
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Come al solito questo paese mi ruba il tempo, la vita, le parole e la voglia di scrivere. Forse perché non c'è niente da dire eppure come 5 anni fa da una parte avrei così tanto da dire da poter diventare un fiume in piena, ma, appunto, non ho il tempo di ordinare nessuno dei centomila pensieri e metterli per iscritto.
Oggi sono andata a lavorare, in sede. Con divisa fatta da giacca, camicia a maniche lunghe, pantaloni e tacchi da 5cm. Quindi sveglia alle 6:30 perché Tokyo è lontana e solo così puoi arrivare in orario (che non è alle 9, ma alle 8:45 perché essere in orario qui vuol dire essere in ritardo). Il lavoro consisteva in un training su come creare una rete LAN. In cosa è consistito? Hanno dato delle slide con dei comandi scritti e mezze istruzioni, ci hanno dato i PC, i router, gli switch e hanno detto: fate. Io uno switch so a malapena cos'è e qual è la sua funzione (solo perché mi sono messa a vedere qualche video prima di partire, sennò non saprei nemmeno quello). Fortuna che c'erano due ragazzini giapponesi volenterosi e insieme ci siamo messi e siamo riusciti a fare qualcosa, sennò fossi stata sola non avrei saputo nemmeno da dove cominciare. Gli altri due cinesi, entrati in azienda 2 anni fa, erano più ignoranti di me. Molto poco chiaro che cazzo si faccia in questa azienda e come funzioni il sistema.
Martedì si è concluso il "training" di 8 giorni che è consistito per l'80% in "filosofia aziendale", questionari giornalieri e settimanali su cosa si è imparato (spoiler: un cazzo), lavori di gruppo inutili, spiegazioni su come fare carriera aziendale (tramite un sistema di punteggi assurdo e complicato) e giusto qualche volta ci hanno parlato delle piattaforme che si utilizzano per "timbrare" o per richiedere i rimborsi ecc (uniche cose utili). Il resto dei giorni? Meeting alle 9 per check di: 1. Che non stai dormendo 2. Che sei vestito correttamente e che sei "sistemato" 3. Per sapere se fisicamente stai bene o sei malato. Il resto della giornata: rispondi alle email degli uffici, fai qualche meeting e studia per prendere le certificazioni - che non ti pagheremo noi e che non dovrai fare durante l'orario di lavoro. Perché mica le sto prendendo per lavorare, le prendo per sport personale giustamente. Va bene.
In tutto questo pagheranno il primo stipendio 25 Agosto e non avremo la possibilità di chiedere nessun permesso per 6 mesi. Fortunatamente ci hanno recentemente pagato il supporto per il trasloco perché sennò stavamo freschi.
Benedico un po' il cielo per aver conosciuto questo indiano che è mio collega e che vive nel mio stesso dormitorio. L'India a quante parte è il Sud Italia del Sud-est asiatico, per molti aspetti (non c'è niente di stupefacente in fondo). Malediciamo questo paese, questa azienda e noi stessi per essere venuti tutti i giorni. Qui è tutto così caro che non ci facciamo capaci di come la gente riesca a vivere. Si pensa sia il paese del pesce e del riso e invece il pesce è quasi inacquistabile da quanto costa (filetti di soli 200gr intorno a 4/5€), il riso che dovrebbe essere come la nostra pasta e invece 5kg costano 15€ (5€/kg). Non è un caso infatti che il tasso di povertà stia salendo alle stelle: gli stipendi sono gli stessi da 25 anni. Questi di che cazzo dovrebbero vivere?
Personalmente, non so mai che cazzo mangiare e vivo di tofu e pesce -che compro solo perché mi piace e perché sono anni che evito la carne nella mia quotidianità. Ma qui è quasi impossibile evitarla, dato che la carne rossa è persino nei contorni di verdure (che non so mai come cazzo cucinare e ogni volta che trovo una ricetta di verdure taaac carne di manzo dentro machecaaaazz - viva il paese del sushi come sempre insomma).
Soffro perché mi manca già la palestra e non è passato nemmeno un mese. Ma con la situazione economica di adesso non mi sembra il momento adatto per ricominciare. Oltretutto non ho ancora una routine e non ho ancora capito come cazzo funziona in questa azienda. Avere un quantitativo proteico adeguato è stato difficile perché le mie fonti proteiche preferite (ovvero yogurt greco e albumi) qui sono inesistenti o insostenibili economicamente nelle quantità che mi servono (tipo yogurt greco a 20€/kg). Mi manca fare le mie colazioni specie le mie omelette e i miei pancakes di albumi.
Ho pensato a quanto sia difficile andare a vivere in un altro paese. Sembra di diventare bambini viziati perché le cose minuscole, quotidiane, che davi per scontato, diventano voragini. E per me la voragine è legata soprattutto al cibo. Persino sui biscotti: noi abbiamo pacchi minimo da 350gr, oltre a una varietà da fare invidia a un biscottificio. Qui i biscotti oltre ad essere di pochissimi tipi (quasi solo cookies/biscotti al burro) hanno pacchi sono da massimo 150gr e finemente impacchettati singolarmente creando bustoni enormi ma leggeri come una nuvola perché sono 80% plastica. I loro dolci sono bombe a mano di carboidrati: mangi 2 daifuku o 2 dorayaki e hai mangiato la stessa quantità di carboidrati di un piatto di pasta da 100/120gr. Ti viene da pensare: se mi mangio la pasta almeno mi sazio, con ste cacatine piccoline mi faccio salire solo la fame. Per le verdure o piatti già pronti idem, vedi i valori nutrizionali e hanno una quantità di zucchero all'interno che manco una fetta di torta.
Banalità... eppure no. Ci vuole tanto spirito di adattamento, tanta pazienza e tanto coraggio ad andare via dal proprio paese. Andare al Nord è letteralmente NIENTE in confronto (sebbene la sofferenza ci sia sempre).
L'unica cosa che potrebbe migliorare di gran lunga la situazione è avere così tanti soldi da permettermi tutto quello che voglio. Ma a volte nemmeno quello basta.
#ovviamente parlo di cibo#my life in tokyo#pensieri notturni#Giappone#real Japan#situazione attuale#palestra#alimentazione#pensieri#expat#lavoro#non sono cose che ho scoperto adesso#sono cose che sto RACCONTANDO solo adesso
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Era un bel posto
Soffro della “sindrome da barista”, come funziona? Semplice, entro in un bar e chiedo un caffè, “macchiato?” risponde di rimando la barista, e lì ho la mia prima crisi , “sì”, “caldo o freddo?”, e allora mi vuoi morto maledetta? Quindi, io non frequentatore di bar, io introverso, io che ho sempre la testa tra le nuvole e non sono troppo presente nella quotidianità degli umani affanni,io ho bisogno di un bar amico, che mi conosca, un luogo dove la barista mi prepara un caffè senza mettermi il cucchiaino, perché il caffè lo prendo amaro perché che voglia di sbattermi tra lo zucchero di canna e normale non ne ho, che poi nello scegliere tra gli zuccheri si entra argomenti filosoficamente urtanti , si vanno a cozzare sensibilità ancestrali e io non ho proprio voglia di sbattermici, mica vorremo urtare qualche strana armonia dell’universo che l’effetto farfalla è sempre dietro l’angolo? No! non lo vorrei, io non ho proprio sbatti, io voglio solamente un caffè.
Avevo trovato il posto, un piccolo bar con il suo dehor, carino e pulito, ordinato, la barista era gentile, lei sorrideva ed io sorridevo di rimando, era cortese ed io ero cortese, un “buongiorno” si susseguiva ad un altro “buongiorno”, un “buonasera” ad un “buonasera”, tutto carino e cortese, bevevo il mio caffè e pagavo, salutavo con un “arrivederci” rispondevano con un “arrivederci”, un bel posto, consueto e rassicurante, fino, fino al maledetto giorno.
Ero lì, mi stavo mangiando un gelato, sì, sì ogni tanto anche io commetto qualche follia, una botta di vita alla mia ordinarietà, uno stecco al caramello salato.
La barista smonta dal turno e si dirige verso la sua auto, ovviamente saluto gentilmente e lei risponde di rimando, attraversa le strisce pedonali e mentre è a meta percorso un tizio a caso, un capo cantiere del cazzo deve farle sapere quanto è bello il suo culo, la risposta è immediata ed istantanea corredata da un dito alzato, il capo cantiere del cazzo si gira verso i suoi commensali con il ghigno di chi crede di aver dimostrato chi sa quale capacità, ghigno che si spegne istantaneamente appena incontra gli occhi dei suoi commensali, evidentemente i suoi giovani sottoposti non tollerano un comportamento simile.
Ricapitolando, lei ha risposto a tono e lui è stato messo al suo posto, quindi è tutto risolto? No, questa è stata solamente la prima crepa.
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soffro di un'unica grave malattia, ossia dell'idea che il passato sia stato in ogni caso sempre migliore. di quello che è, di quello che è stato, di quello che sarà
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La Rivoluzione Terrestre
Così si definisce il moto terrestre attorno al Sole. Dura trecentosessantacinque giorni. Un anno. Ma tu pensa.
Percorrere quei centoquarantanove milioni di chilometri, per ogni essere vivente, corrisponde al proprio compleanno ovvero un anno di vita in più. Si incomincia da quando si vede la luce per la prima volta.
Io sono nato alle dieci di sera, la luce era artificiale, forse e per questo che mi infastidisce la luce diretta del Sole.
Naah, soffro di fotofobia.
Era un ventuno aprile come oggi e ne ho fatti un po' di giri attorno al Sole.
A ogni giro attorno al Sole mi sono ritrovato con esperienze acquisite, insegnamenti appresi, errori fatti, azioni buone elargite e nuove persone entrate nella mia vita. Ma anche alcune che se ne sono uscite, per svariati motivi: un cuore che cessa di battere, un cuore che smette di palpitare per il sottoscritto, un cuore che si riempie di rabbia o invidia (questo sostantivo l'ho aggiunto per darmi un tono, anche se qualche volta è accaduto davvero. Ma non ho mai capito che invidia io potessi suscitare) oppure un cuore che non era un cuore ma un sasso senza battito.
Ma del resto ogni viaggio, perché quello attorno alla stella del sistema solare è un viaggio, è fatto di luoghi, emozioni e persone diverse che si susseguono.
Aspettavo il mio compleanno con impazienza da bimbo, per i regali e i dolci. Per i brindisi e i festeggiamenti con gli amici da ragazzo. Per gli abbracci e le attenzioni di chi amavo da adulto.
Ma questo viaggio chiamato vita spesso ti trasforma, nel mio caso sono arrivato ad aspettare il mio compleanno come data per tirare le somme. Con aspettative sempre modificate e ridimensionate (brutte bestie le pessime compagnie), fino ad arrivare al punto di non avere più aspettative ma "aspettame" ovvero di aspettare me.
Non mi aspetto più regali dalle persone ma dalla sorte.
Per te cara vida loca o per te nefasta malasorte, comunque, rimango a vostra disperazione.
Auguri un 'azzo.
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Però ti piace stare a mezze maniche senza avere freddo ai piedi e la punta del naso ghiacciata
Se intendi dire che mi piace il caldo no, non mi piace, soffro di pressione bassa e mancanza di ferro, ogni estate è un patimento.
(Ma in ogni caso mi lamento anche d’inverno)
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Confini
Studiando i vari disturbi di personalità più volte è emerso come le persone che soffrono di determinati disturbi non riescano a stabilire un confine tra sé e l’altro. La propria identità è così sfumata ed instabile che ci si confonde sempre con l’altro, si ricerca una figura di riferimento sulla base della quale tentare di dare una definizione di sé. Ora, io non soffro di alcun disturbo di questo tipo, mi è solo stato detto che ho un tratto evitante di personalità, ma fortunatamente non è mai diventato una vera e propria patologia. In ogni caso, mi rivedo in molto di ciò che ho studiato. Anche io spessissimo sento questa mancanza di confine tra me e l’altro, chiunque egli sia. Mi sento sprofondare, affogare nell’altro, nella sua personalità, nei suoi interessi, nel suo modo di pensare, anche se sono decisamente lontani da me. Eppure non riesco a mantenere la mia individualità, il mio senso del sé, la mia stabilità. Ed è perché non ho una stabilità, la mia persona è costituita da piccoli tasselli che non si tengono insieme, che barcollano ad ogni minimo movimento e si staccano. E sono così pochi quei tasselli, si disperdono nel vuoto della mia interiorità, fluttuano in un’enorme inconsistenza. Ed è così che non riesco a creare un vero legame con gli altri, perché non sono del tutto consapevole di chi sono, tendo a fondermi con l’altro, quasi ad implorarlo di accettarmi per come sono e non darmi l’ennesimo rifiuto. Mi sento costantemente rifiutata. Non so se è perché ho conosciuto poche persone e tutte simili tra loro, perché ho sempre vissuto in questa regione retrograda, perché sono immersa negli stessi discorsi e interessi vuoti. Fatto sta che mi sento di abitare un corpo morto, un corpo che si muove ma che dentro è spento. Un corpo che non trova interessi che lo spingano a muoversi, che vorrebbe fermarsi e non fare più niente. Che passa le ore della giornata a cercare di capire perché viene rifiutato, perché non viene apprezzato, perché viene tenuto a distanza. E vorrei trovarla questa identità, questa interezza, vorrei capire come sono davvero e cosa desidero realmente, lo vorrei davvero perché mi accorgo che mi sono accomodata troppo a ciò che all’esterno viene percepito come giusto, e il risultato è che non ho niente. Ho solo dei frammenti di me su cui provo a ricostruire il tutto.
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Nel magazzino del Factory c'è un buco nel muro, in alto sopra la porta del bagno dei dipendenti, che è stato aperto l'anno scorso per far passare la canna fumaria della nuova cappa.
In estate da questo squarcio nel muro entra la canicola estiva, blatte, mosche e una quantità immonda di zanzare.
In inverno entra solo il gelo.
Sono seduta esattamente sotto questo buco nel muro, con la divisa a maniche corte, la pelle d'oca sulle braccia e un'ustione nuova di zecca sul polso. Mentre tutta Bari è in famiglia a mangiare panzerotti per festeggiare la vigilia dell'Immacolata, io penso al mio incontro di ieri con la Copywriter Capo.
Ci siamo incontrate in un locale hipster, una caffetteria con cucina a vista e cassette di frutta biologica in mezzo al corridoio. Tavoli a penisola, sedie colorate, menù con il QR e cappuccini a €3,50. Un sacco di ragazze in maglioncini di Lana Merino di Uniqlo davanti a computer Mac, intente a scrivere con le loro penne Muji su agende Moleskine.
Mi ha allungato in una busta rossa, quadrata e sigillata con la colla, la paga di novembre, dicembre e gennaio. Diceva di non voler parlare di lavoro, ma alla fine siamo finite sempre a parlare di quello. Doveva comprare uno shampoo secco e, dopo aver pagato il mio lussuoso Golden Milk, mi ha chiesto di accompagnarla da Sephora.
Ha comprato due prodotti Olaplex per capelli, cadauno circa trenta euro. Quando ci siamo dirette in cassa ha commentato gli espositori di minisize e cofanetti lì vicino. Ce n'era uno di Benefit e io ho decantato la qualità di questo marchio.
"Allora ti faccio un regalo di Natale" ha detto mentre lo prendeva dall'espositore e lo passava alla cassiera. Io ho implorato di non farlo ma lei aveva già avvicinato la carta al POS.
Per qualche minuto ha tentato di trascinarmi a guardare l'accensione dell'albero di Natale cittadino, ma mi sono rifiutata perentoria perché i miei livelli di socialità erano scesi sotto le scarpe e la mattina non avevo preso lo Zoloft.
Il cofanetto conteneva tre minisize Benefit: un mascara, un primer e un gel per sopracciglia. Adesso tutti e tre sono nel mio portatrucchi, mentre il cofanetto giace sepolto in uno dei cassetti della libreria.
E' stato un gesto carino, l'hanno detto i miei colleghi del Factory e anche il mio ragazzo. Eppure io provo profondo imbarazzo davanti a questi tentativi di amicizia.
Le ho già detto che soffro di OCD, non so se sia il caso di farle anche presente che sono un'inguaribile asociale e detesto ogni forma di contatto umano.
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forse non é il caso di iper analizzare cose dato che siamo state tre ore a chiacchierare in giro con il cane prima e quindi la situazione é okay, ma soffro cosí tanto la competizione con il gruppo di a. che a volte mi sento esplodere. sono un gruppo di persone con dei pensieri illogici, non so neanche come elaborare meglio di cosí e invece a. é buona e premurosa e si accorge sempre se c’é qualcosa che non va, mi legge nel pensiero a volte e non ha un cazzo da spartire con loro giuro, eppure non le molla mai un attimo e ogni tanto ho paura che lei le preferisca (e questo direbbe molto della persona che sono io, a questo punto) anche se quando parliamo é lucida e si rende conto di quanto dalla loro bocca esca solo merda su chiunque (compresa me, ma lei non mi riferisce mai e boh, chissà se mi difende con loro? io lo farei, sicuro, credo che lei non lo faccia però)
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c'è ancora e ci sarà sempre questo desiderio ma era meglio quando era l'unico nella mia lista tanto soffro in ogni caso e sinceramente preferisco farlo solo per D
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Io soffro di ADHD, dimmi tutto
-S.
per caso sai dirmi come sono i test ? Sono pesanti? Sono simili a quelli su la dislessia? Sì scusa per le domande ma davvero non so nulla, e io devo far i test quindi vorrei informarmi prima per non stancarmi. Perché quelli dei DSA mi uccidevano ogni volta che li facevo quindi ho un leggero trauma su quei cosi hahah
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'semplicemente smettila di seguirmi' scusami eh, però.
vai su youtube e ti trovi uno stronzo dire cose maschiliste, denigratorie nei confronti delle donne. qualcuno gli scrive: oh ma stronzo! e lui: smettila di seguirmi se non ti piace quel ceh faccio ;)
certo la statura dei due discorsi è diversa ma la base è la stessa. non è che la persona con dca nel leggere che lodi il saltare pasti (o altre cose che ogni tanto scrivi) pensa: ok adesso le tolgo il follow, devo tenere alla mia salute mentale! probabilmente è una persona fragile, o al limite un ragazzo che approva la cultura dell'anoressia (e infatti a mettere like in quel post mi pare siano solo ragazzi, o sbaglio? ^^). io il follow in linea teorica potrei anche toglierlo, di dca non ne soffro, il torto non lo fai a me.
ecco di dca non ne soffri, quindi in pratica non ne sai nulla e non sai come ragiona una persona che ne soffre. mi fa piacere che guardi i like, io non li guardo e non mi interessa.
non sai che alle persone che REALMENTE soffrono di dca non cambia un emerito cazzo leggere di una che salta i pasti o vedere foto di persone magre. le wannabe anoressiche possono pensare e fare quello che vogliono, ma credimi: non diventi anoressica perché lo vuoi
mi sorprende comunque che non ti diano altrettanto fastidio i post dove parlo dei miei istinti suicidi. quelli non sono abbastanza glamour? per caso non sto incitando al suicidio?
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Se soffri di DCA perché colpevolizzi gli altri?
Soffrivo, non soffro
Non sto colpevolizzando gli altri. Se leggi bene, ho scritto che cambierei l'aver dato ascolto ad una persona. Non ho detto che lei è la causa dei miei DCA
In ogni caso, molti DCA sono causati perché si vuole raggiungere uno standard di perfezione ideato dalla società, quindi "gli altri" non sono innocenti
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Oggi sono entrata dalla psicologa con il petto che mi scoppiava. Per alcuni secondi ho creduto veramente che sarei crollata, che avrei ceduto e non sarei più riuscita a trattenermi dal piangere come una bambina. Invece ce l’ho fatta. La voce ogni tanto tremava (che errore da principiante) ma ce l’ho fatta. Vorrei dire che mi stupisce la mia forza, in realtà negli anni mi sono allenata a non mostrare la mia sofferenza. Credo di esserne gelosa, in un certo senso. Sono sempre stata il sergente più severo di tutti con me stessa e, allo stesso tempo, il soldato più fedele. Mai una lacrima versata, mai una preoccupazione data a nessuno. “Cosa ti spaventa di più di lasciare andare Davide?” La risposta è ridicola: il dolore che potrebbero provare gli altri nel vedermi soffrire, nel sapere che anche io soffro e ho sofferto - molto più di quanto pensino. Ecco cosa mi spaventa. Quello che potrebbero pensare, il dolore che potrebbero provare, il disagio che potrei causare. Mi faccio tenerezza da sola. La mia vita è stata, e qui mi obbligo a usare il passato, una continua preoccupazione nei confronti degli altri. Io non so nemmeno come sto davvero, non so chiedermelo e in ogni caso non saprei rispondere. Davide mi tirava i capelli, Davide voleva schiantarsi con l’auto in piazza a Cantù, Davide mi scriveva che ero una schifosa puttana. Poi piangeva, stava male, e l’unica mia preoccupazione era che stesse bene. Forse sono io quella pazza, sono io che l’ho portato a tutto quello. La prima volta che successe una cosa del genere, chiamai la psicologa chiedendole di vederci il prima possibile. Le dissi “devo lasciarlo. Ma lui come farà senza me? Chi lo amerà? Non posso abbandonarlo”. Di lasciare Davide mi spaventa che sarebbe un dolore così grande che poi, io, tutta quella sofferenza non riuscirei più a tenermela dentro. Nico oggi mi ha chiesto dove vanno a finire le emozioni che ci teniamo dentro. Ecco: non vanno da nessuna parte, ad un certo punto escono, traboccano, investono tutto e tutti. Lasciando Davide uscirebbe tutta la sofferenza che ho provato in questi 24 anni di vita intensa, incredibilmente dura, incredibilmente bella, piena di sangue. E chi ha creduto che non esistesse, a quel punto, inevitabilmente, sarebbe costretto a vederla. E io è proprio lì, forse, che non voglio arrivare, perché mi aspetto botte e urla, o peggio disagio, imbarazzo, indifferenza, invece delle carezze per cui ho sempre dovuto piangere e pregare.
“Ti prego, non voglio morire. Dove vai? Abbracciami. Scusa, scusami. Scusami. Riuscirò a essere migliore. Ti amo”
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