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Manteniamo le distanze, ma analizziamo la pittura di genere
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In questo secondo giorno di drastica chiusura a casa non posso fare a meno di pensare al’aspetto che più di ogni altro manca nel nostro quotidiano. Eh già, lo spirito di convivialità manca proprio a tutti!! io per primo vorrei tanto uscire, prendere un caffè, bere una birra insieme agli amici, fumare una sigaretta in compagnia e, soprattutto, litigare con qualcuno. Si, le tecnologie ci aiutano parecchio, ma una videocall su Whatsapp non è la stessa cosa... Come fai a prendere in giro un amico senza potergli dare una pacca sulla spalla e successivamente abbracciarlo?? Che strazio! Si, stiamo in casa, ci relazioniamo solo con la famiglia, ma ad un certo punto hai bisogno di svagare, di chiuderti nel tuo mondo o semplicemente di avere qualcuno al tuo fianco a cui puoi raccontare di tutto e di più senza bisogno di dover spiegare qualsiasi cosa, moderando anche le parole che utilizzi.
Bene! dopo questa premessa assolutamente polemica, come il mio solito, ho quindi riflettuto su quello che è l’aspetto della convivialità trasposta nella pittura del secolo d’oro italiano e, siccome mi piace vincere facile, ho deciso di analizzare qui con voi una delle opere d’arte che ho avuto sotto gli occhi da Ottobre 2019 a Marzo 2020, per l’esattezza fino a venerdì pomeriggio, quando con effetto del Decreto Legge la Fondazione Sassi è stata costretta a chiudere.
Molti di voi sapranno già che in occasione del festival La Terra del Pane, evento in coproduzione con la Fondazione Matera-Basilicata 2019, la Fondazione Sassi è riuscita a portare nella Capitale Europea della Cultura una mostra-evento. Si, un vero e proprio evento, perché per la prima volta nella storia di Italia, quattordici opere delle Gallerie degli Uffizi si sono spostate dal circuito fiorentino per approdare un una realtà diversa da quella del museo sopracitato. Tema portante della mostra è stato il pane, declinato in pittura sacra, pittura di genere, e nature morte. 
Nello specifico tra il 1545 e il 1563, per la durata di ben 18 anni, in Italia ebbe luogo il Concilio di Trento, sotto il pontificato di cinque papi (Paolo III, Giulio III, Marcello II, Paolo IV, Pio IV). A carattere prettamente ecclesiastico, questo doveva sancire una serie di norme-guida, al fine di risollevare l’immagine della chiesa dopo la controriforma e le dottrine luterane e calviniste. Ovviamente la chiesa, aveva bisogno di ogni mezzo possibile per risollevare la sua immagine e gli effetti del concilio ecumenico si fecero sentire anche sul versante artistico. Sebbene vennero emanati solo principi guida, l’arte del XVI e del XVII secolo ne risentì fortemente; di fatto gli artisti si trovarono a poter dipingere solo soggetti a carattere sacro, con una centralità assoluta della scena sacra, al fine di rendere il messaggio alla portata di tutti. 
Quindi, se in Italia abbiamo, in questo periodo, una sorta di imposizione dei soggetti sacri, nelle Fiandre e in Olanda la situazione è diversa; di fatto sono molto più numerose le scene di genere, ovvero i momenti di vita quotidiana (ad esempio fiere, faccende domestiche, feste, momenti di convivialità in interno o esterno). 
Facendo riferimento alla mostra “Il pane e i Sassi”, la sala B era per intero dedicata ad essi e, al sui interno, era presenta il dipinto dal titolo “La colazione (o il piccolo violinista)”, databile tra il 1646 e il 1679 circa, di Jan Steen. 
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Jan Steen nacque a Leida, in una famiglia cattolica benestante, figlio di un birraio che gestiva la locanda L'alabarda rossa da molte generazioni. Come il suo più noto contemporaneo Rembrandt, Steen frequentò la scuola latina di Leida. Ricevette la sua educazione artistica da Nicolaes Knüpfer, pittore tedesco noto per i suoi quadri a sfondo storico o narrativo ambientati a Utrecht. Le influenze di Nicolaes si ritrovano nell'uso della composizione e del colore. Un'altra fonte di ispirazione fu Adriaen van Ostade, pittore di scene rurali, vissuto ad Haarlem, anche se non è noto se vi sia stata qualche frequentazione tra i due.
Nel 1648 Jan Steen fu tra i fondatori della Sint-Lucasgilde ("Gilda di San Luca") di Leida, ma, poco dopo, divenne assistente del rinomato paesaggista Jan van Goyen e si trasferì in casa sua a L'Aia. Il 3 ottobre 1649 sposò Margriet, figlia di van Goyen, dalla quale ebbe otto figli. Steen lavorò con il suocero fino al 1654, quando si trasferì a Delft, dove avviò la fabbrica di birra De Roscam ("Al pettine") senza molto successo. Visse poi a Warmond del 1656 al 1660 e ad Haarlem dal 1660 al 1670, periodo in cui fu molto produttivo.
Nel 1670, a seguito della morte del padre e di quella della moglie, avvenuta un anno prima, Steen tornò a Leida, dove aveva ereditato la casa paterna, in cui visse fino alla morte. Qui ebbe nel 1672 la licenza per aprire una taverna e nell'aprile del 1673 si sposò di nuovo, con Maria van Egmont, che gli diede un altro figlio. Nel 1674 divenne presidente della Sint-Lucasgilde.
Morì a Leida nel 1679 e fu sepolto nella tomba di famiglia nella Pieterskerk.
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Jan Steen era pittore tra i più cari alla corte di Cosimo I de Medici, nonché pittore grazie al quale Cosimo stesso si sposterà più e più volte in Olanda per commissionare dipinti. Steen è considerato uno dei più grandi pittori di genere dell'Olanda del tempo, grazie soprattutto alla sua doppia professione; oltre ad essere pittore, una volta rientrato a Leida, decide di intraprendere l'attività di birraio; grazie a questa nuova attività, Steen diventerà uno dei maggiori conoscitori della vita quotidiana dei soggetti da lui ritratti; per di più abolirà la sua firma e inserirà in tutte le sue composizioni il bicchiere di birra che, simbolicamente, diventerà la sua stessa firma. L'opera infatti è un sunto di tutto questo. Una donna alto borghese in primissimo piano ci volta le spalle, mostrandoci un lussuoso vestito e i capelli raccolti in uno chignon. Non sappiamo se ha qualcosa tra le mani, se sta mangiando o cosa effettivamente stia facendo, notiamo solo che la sua attenzione è rivolta al musico che sta suonando il violino. Alla destra della donna un uomo, probabilmente suo marito, è seduto in una posizione di totale relax; poggia la gamba su una panca e regge tra le mani una pipa che è appena stata spenta (nel posacenere si nota ancora il tabacco che sta bruciando. Sul viso dell'uomo sembra vi sia una smorfia, in realtà, probabilmente, sta cantando la canzone che il musico è intento a suonare. Un terzo uomo si unisce alla scena con il viso felice ed il sorriso di chi si è finalmente unito ad una allegra compagnia compagnia di amici. L'uomo è seguito da una donna, probabilmente un'inserviente che lo aiuta a mettersi a proprio agio; gli sta sfilando il mantello. La scena si svolge in esterno, in un tipico vigneto dell'Olanda; dal vigneto si scorge una classica casa con il tetto in legno a punta, tipica abitazione della zona. 
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Il rimando per la composizione di quest'opera è al maestro di Steen, ovvero Pieter Bruegel il Vecchio. Di fatto se si analizza l'opera di Bruegel presente al Museo Nazionale di Capodimonte, “La parabola dei ciechi”, si nota che gli uomini sono abbigliati esattamente come gli uomini della scena di Steen, così come il violino che suona il ragazzo è un chiaro rimando alla ghironda presente in basso a destra nella tela di Bruegel. Altro dettaglio in comune tra le due tele è la presenza della casa in lontananza; da una attenta analisi capiamo che, come per la tela di Bruegel, anche la tela di Steen è ambientata nel piccolo villaggio di Sint Anna Pede.
Senza nulla togliere alle altre, ma questa è l’opera che maggiormente è piaciuta, si vede che non è opera proveniente dall’Italia ahah 
Valerio Hank Vitale
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