#il sergente nella neve
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"Vi era un bel sole: tutto era chiaro e trasparente, solo nel cuore degli uomini era buio"
Mario Rigoni Stern - Il sergente nella neve
#il sergente nella neve#mario rigoni stern#grazie tumblr per non trovare mai i post già postati perché il search fa sempre cilecca
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Ci sono persone che la pace la costruiscono con gesti concreti che hanno la forza e la limpidezza della semplicità e dell’onestà.
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thanks @folightening for the tag!
Last song I listened to: restless by neja
Currently watching: the last of us (the hbo max show) but i'm taking a break from it
Currently reading: almost finished reading of love and other demons by gabriel garcía márquez and i recently started re-reading il sergente nella neve by mario rigoni stern
Current obsession: S P A M A N O
not tagging anyone but feel free to rb this if you wanna do it too
9 people you want to know better xoxo
Tagged by: @girlwithakiwi , thank you!!
Last song i listened to: Carpenter Brut - Looking for Tracy Tzu
Currently watching: Bob's Burgers for the 1,000,000th time
Currently reading: nothing rn, I have some books on my wishlist but I haven't gotten around to them yet!
Current obsession: I'm suddenly all about synthwave again lately?? Polar also has a strawberry watermelon seltzer out right now that is A+++
No pressure tag: @kvietka, @radioactivehydronerd, @crumpled--notes, @mexashepot, @k3llyb3an, @aphladydane, @pandabaozi, @tempestuousserenity, @whimsicalmeerkat
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“ Un giorno mi accorsi che era arrivata la primavera. Si camminava da tanti giorni; era il nostro destino camminare. E mi accorsi che la neve sgelava, che nei paesi attraverso i quali si passava c’erano delle pozzanghere. Il sole scaldava e sentii cantare una calandra. Una calandrella che cantava primavera. Desiderai l’erba verde, sdraiarmi sull’erba verde e sentire il vento tra i rami degli abeti. E l’acqua tra i sassi. Si era in attesa del treno che ci doveva portare in Italia; eravamo nella Russia Bianca nei dintorni di Gomel. La nostra compagnia, pochi ormai, era in un villaggio vicino alla foresta. Per arrivarci dovemmo camminare parecchie ore attraverso i campi che sgelavano. Quel luogo era famoso per i partigiani; nemmeno i tedeschi si fidavano ad andarci. Mandarono noi. Lo starosta del villaggio ci disse che doveva metterci uno o due per famiglia per non gravare sulla popolazione. L’isba dove mi accettarono era spaziosa e pulita, e abitata da una famiglia di gente giovane e semplice. Mi preparai in un angolo sotto la finestra la cuccia per dormire. Passai sdraiato su un po’ di paglia tutto il tempo che rimasi in quella capanna; sempre lí, sdraiato per ore e ore a guardare il soffitto. Nel pomeriggio c’erano nell’isba solo una ragazza e un neonato. La ragazza si sedeva vicino alla culla. La culla era appesa al soffitto con delle funi e dondolava come una barca ogni volta che il bambino si muoveva. La ragazza si sedeva lí vicino, e per tutto il pomeriggio filava la canapa con il mulinello a pedale. Io guardavo il soffitto e il rumore del mulinello riempiva il mio essere come il rumore di una cascata gigantesca. Qualche volta la osservavo e il sole di marzo, che entrava tra le tendine, faceva sembrare oro la canapa e la ruota mandava mille bagliori. Ogni tanto il bambino piangeva e allora la ragazza spingeva dolcemente la culla e cantava. Io ascoltavo e non dicevo mai una parola. Qualche pomeriggio venivano le sue amiche delle case vicine. Portavano il loro mulinello e filavano con lei. Parlavano tra loro dolcemente e sottovoce, come se avessero timore di disturbarmi. Parlavano armoniosamente tra loro e le ruote dei mulinelli rendevano piú dolci le voci. Questa è stata la medicina. Cantavano anche. Erano le loro vecchie canzoni di sempre: Stienka Rasin, Natalka Poltawka e i loro antichi motivi di balli. Guardavo per ore e ore il soffitto e ascoltavo. Alla sera mi chiamavano per mangiare con loro. Mangiavamo tutti nel medesimo recipiente con religiosità e raccoglimento. Ritornava la madre; ritornava il padre; ritornava il ragazzo. Solo alla sera ritornavano il padre e il ragazzo; si fermavano poco, ogni tanto guardavano dalla finestra e poi uscivano insieme sino alla sera dopo. Una sera che non vennero la ragazza pianse. Vennero al mattino… Il bambino dormiva nella culla di legno, che dondolava leggermente sospesa al soffitto; il sole entrava dalla finestra e rendeva la canapa come oro; la ruota del mulinello mandava mille bagliori; il suo rumore sembrava quello di una cascata; e la voce della ragazza era piana e dolce in mezzo a quel rumore. “
Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve. Ricordi della ritirata di Russia - Ritorno sul Don, Einaudi (collana ET Scrittori, n° 24), 2006²¹; p. 153-155.
[ Edizioni originali: Einaudi, 1953 e 1973 ]
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Siamo ghiaccio dentro e fuori, eppure siamo ancora vivi.
Il sergente nella neve, Mario Rigoni Stern
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Il Sergente nella Neve - Mario Rigoni Stern
Ed erano vuote le tane, vuote, vuote di tutto e io ero come le tane. Ero solo sulla trincea e guardavo nella notte buia. Non pensavo a nulla. #MarioRigoniStern #IlSergentenellaNeve
Mi si avvicinò l’alpino dalla barba secca e rada. – Non vieni? – disse. – Vai -. Ero solo. Dalla trincea sentivo i passi degli alpini che si allontanavano. Erano vuote le tane. Sulla che una volta aera il tetto di un’isba giacevano calze sporche, pacchetti vuoti di sigarette, cucchiai, lettere gualcite: sui pali di sostegno erano inchiodate cartoline con fiori, fidanzati, paesi di montagna e…
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Il sergente nella neve - Mario Rigoni Stern https://ift.tt/4lH62y1
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“Vi era un bel sole: tutto era chiaro e trasparente, solo nel cuore degli uomini era buio”
Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve
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"Questo è stato il 26 gennaio 1943. I miei piú cari amici mi hanno lasciato in quel giorno. Di Rino, rimasto ferito durante il primo attacco, non sono riuscito a sapere nulla di preciso. Sua madre è viva solo per aspettarlo. La vedo tutti i giorni quando passo davanti alla sua porta. I suoi occhi si sono consumati. Ogni volta che mi vede, quasi piange per salutarmi e io non ho il coraggio di parlarle. Anche Raul mi ha lasciato quel giorno. Raul, il primo amico della vita militare. Era su un carro armato e nel saltar giú per andare ancora avanti, verso baita ancora un poco, prese una raffica e morí sulla neve. Raul, che alla sera prima di dormire cantava sempre: «Buona notte mio amore». E che una volta, al corso sciatori, mi fece quasi piangere leggendomi Il lamento della Madonna di Jacopone da Todi. E anche Giuanin è morto. Ecco Giuanin, ci sei arrivato a baita. Ci arriveremo tutti. Giuanin è morto portandomi le munizioni per la pesante quando ero giú al paese e sparavo. È morto sulla neve anche lui che nel ricovero stava sempre nella nicchia vicino alla stufa e aveva sempre freddo. Anche il cappellano del battaglione è morto: «Buon Natale, ragazzi, e pace». È morto per andar a prendere un ferito mentre sparavano. «State sereni e scrivete a casa». «Buon Natale, cappellano». E anche il capitano è morto. Il contrabbandiere di Valstagna. Aveva il petto passato da parte a parte. I conducenti, quella sera, lo misero su una slitta e lo portarono fuori della sacca. Morí all’ospedale di Carkof. Sono andato a casa sua, quando ritornai in primavera. Ho camminato attraverso i boschi e le valli: «Pronto? Qui Valstagna, parla Beppo. Come va paese?» E la sua casa era vecchia e rustica e pulita come la tana del tenente Cenci. E i soldati del mio plotone e del mio caposaldo, quanti ne sono morti quel giorno? Dobbiamo restare sempre uniti, ragazzi, anche ora. Il tenente Moscioni si ebbe bucata una spalla e poi in Italia la ferita non poteva chiudersi.
Ora è guarito della ferita ma non delle altre cose. Oh no, non si può guarire. E anche il generale Martinat è morto quel giorno. Lo ricordo quando in Albania lo accompagnavo per le nostre linee. Io camminavo in fretta davanti a lui perché conoscevo la strada e mi guardavo indietro per vedere se mi seguiva. «Cammina, cammina pure in fretta caporale, ho le gambe buone io». E anche il colonnello Calbo che era cosí bravo con i suoi artiglieri della diciannove e della venti. E anche il sergente Minelli era ferito lí nella neve: – El me s’cet, – diceva e piangeva, – el me s’cet –. Giuanin, troppo pochi siamo arrivati a baita, dopo tutto. Nemmeno Moreschi è ritornato. «Possibile una capra di sette quintali? Porca la mula sempre Macedonia». E neanche Pintossi, il vecchio cacciatore, è arrivato a baita a cacciare i cotorni. E sarà morto pure il suo vecchio cane, ora. E tanti e tanti altri dormono nei campi di grano e di papaveri e tra le erbe fiorite della steppa assieme ai vecchi delle leggende di Gogol e di Gorky. E quei pochi che siamo rimasti dove siamo ora?"
da Il sergente nella neve, di Mario Rigoni Stern.
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“Il Sergente nella Neve...”
Mario Rigoni Stern,che ci ha raccontato le storie degli Alpini nella Tragica Ritirata di Russia e la Battaglia di Nikolajewka...
26 gennaio 1943
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8: A book that should be made into a movie?
28: Is there a movie that you think is better than its book?
E io ti faccio parlare di film ops 😬💕
Parliamo un po’ di film allora!
8. "Il sergente nella neve", di Mario Rigoni Stern. Se fatto bene, sarebbe un film spettacolare
28.Forse uno solo, “Il libro della giungla”. Il cartone è abbastanza diverso dal libro di Kipling, ma è probabilmente il mio classico Disney preferito e quindi lo preferisco al libro :)
Grazieeee 🖤
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IL RISTORANTE DI ALICE Questa canzone si chiama Il Ristorante di Alice, è su Alice, e sul ristorante, ma “Alice’s Restaurant” non è il nome del ristorante, è solo il nome della canzone ed è per questo che ho chiamato la canzone Il Ristorante di Alice. Puoi avere quel che ti pare al ristorante di Alice, puoi avere quel che ti pare al ristorante di Alice, vacci a piedi e entraci, è giusto là dietro, appena un chilometro dalla ferrovia, puoi avere quel che ti pare al ristorante di Alice Ora, tutto è nato due feste del Ringraziamento fa, è stato due anni fa nel giorno del Ringraziamento, quando io ed il mio amico siamo andati a fare una visitina a Alice al ristorante, ma Alice non vive nel ristorante, vive nella chiesa vicina al ristorante, nel campanile, con suo marito Ray e il cane Fasha. E siccome vivono in quella maniera, nel campanile, hanno un sacco di spazio giù al piano di sotto dove prima ci stavano i banchi da chiesa. E siccome hanno tutto quello spazio e vedendo come hanno portato via tutti i banchi da chiesa, hanno deciso che non dovevano portare fuori la loro spazzatura per un bel po’ di tempo. Siamo saliti là sopra, abbiamo trovato tutta la spazzatura che c’era dentro e abbiamo deciso che sarebbe stato un gesto da amici portare la spazzatura alla discarica cittadina. Così abbiamo preso una mezza tonnellata di spazzatura, l’abbiamo infilata dietro un furgone Volkswagen rosso, abbiamo preso pale, rastrelli e arnesi di distruzione e abbiamo fatto rotta verso la discarica comunale. Beh, siamo arrivati là e c’era un grosso segnale e una catena tutta attorno alla discarica, che diceva “Chiuso il giorno del Ringraziamento”. Non avevamo mai sentito prima di una discarica chiusa il giorno del Ringraziamento, e con le lacrime agli occhi siamo andati via nel tramonto, cercando un altro posto dove buttare la spazzatura. Non ne abbiamo trovato nessuno, finché non siamo arrivati in una stradina laterale, e sul lato della stradina laterale c’era un altro burrone di una decina di metri, e in fondo al burrone c’era un altro mucchio di spazzatura. Abbiamo deciso che un grosso mucchio è meglio di due piccoli mucchi, e piuttosto di portare su quell’altro abbiamo deciso di buttare giù il nostro. Questo è quel che abbiamo fatto, siamo tornati alla chiesa, abbiamo fatto un pranzo di Ringraziamento assolutamente imbattibile, siamo andati a dormire e non ci siamo risvegliati che la mattina dopo, quando abbiamo ricevuto una telefonata dall’agente Obie. Ha detto, “Ragazzo, abbiamo trovato il tuo nome su una busta in fondo a mezza tonnellata di spazzatura, e volevamo giusto sapere se ne sai qualcosa.” Io gli ho risposto: “Sì, signor agente Obie, non posso mentire, ho messo io la busta sotto quella spazzatura.” Dopo aver parlato con Obie per circa tre quarti d’ora al telefono, siamo finalmente arrivati al nocciolo della questione, e lui ha detto che dovevamo scendere laggiù e raccogliere la spazzatura, e che dovevamo anche andare a parlare con lui al commissariato. E così siamo montati sul furgone Volkswagen con le pale, i rastrelli e gli arnesi di distruzione e abbiamo fatto rotta verso il commissariato di polizia. Ora, amici, c’erano solo due cose che Obie avrebbe potuto fare al commissariato, la prima era che avrebbe potuto darci una medaglia per essere stati tanto onesti e coraggiosi al telefono, cosa che non era molto probabile e che non ci aspettavamo, e l’altra era che avrebbe potuto sgridarci e dirci non farci più vedere a portare ancora in giro spazzatura per tutto il circondario, che era quel che ci aspettavamo; ma quando andammo al commissario c’era un’altra possibilità che non avevamo nemmeno preso in considerazione, e insomma fummo tutti e due arrestati. Ammanettati. E io dissi: “Obie, non penso di poter raccattare la spazzatura con queste manette addosso.” E lui: “Zitto, ragazzo. Siediti dietro sulla macchina di pattuglia.” Ed è quel che facemmo, ci mettemmo a sedere dietro sulla macchina di pattuglia e ci recammo sulla (inizio citazione) Scena del delitto (fine citazione). Voglio raccontarvi della città di Stockbridge, Massachusetts, dove tutto questo accadde, avevano tre segnali di stop, due agenti e una macchina della polizia, ma quando ci recammo sulla Scena del Delitto c’erano cinque agenti e tre macchine della polizia, dato che si trattava del peggior crimine degli ultimi cinquant’anni, e tutti volevano andare sul giornale. E stavano pure usando ogni sorta di roba da sbirri che era stata non so quanto a ciondolare inutilizzata al commissariato. Rilevavano le tracce di pneumatici col gesso, le impronte digitali, le tracce coi cani segugi, e presero pure ventisette fotografie a 8/10 colori su carta patinata con cerchetti e freccette, e una dicitura sul retro di ciascuna che spiegava come ognuna di esse avrebbe potuto essere utilizzata come prova contro di noi. Presero fotografie all’arrivo, alla partenza, del settore nord-ovest, del settore sud-ovest, per non parlare della fotografia aerea. Dopo tutto quel patire, tornammo in prigione.Obie disse che che ci avrebbe messo in cella. Disse: “Ragazzo, ti metto in cella, dammi il portafoglio e la cintura.” E io dissi: “Obie, posso anche capire che tu voglia il mio portafoglio, così non avrò soldi da spendere in cella, ma per che cazzo la vuoi, la mia cintura?” E lui disse: “Ragazzo, non vogliamo che tu ti impicchi.” Io dissi: “Obie, pensi che io mi impicchi per sparpagliamento di spazzatura?” Obie disse che voleva essere sicuro, e, amici, lo voleva sul serio perché tirò via pure la ciambella del cesso in modo che io non potessi sbattermela in testa e affogarci, e portò via anche la carta igienica perché non potessi piegare le sbarre, srotolare fuori, insomma srotolare la carta igienica fuori dalla finestra, far scivolare fuori il rotolo e evadere. Obie voleva essere sicuro, e fu quattro o cinque ore più tardi che Alice (vi ricordate di Alice? E’ una canzone su Alice), insomma Alice arrivò e con qualche paroletta un po’ incazzata a Obie ci tirò fuori di galera su cauzione, e tornammo alla chiesa facendoci un altro pranzo di Ringraziamento assolutamente imbattibile, e non ci alzammo fino alla mattina dopo, quando dovevamo tutti quanti andare in tribunale. Entrammo, ci mettemmo a sedere, Obie entrò con le ventisette fotografie a 8/10 colori su carta patinata con i cerchietti e le freccette, ognuna con una dicitura sul retro, e si mise a sedere. Un tizio entrò e disse: “Tutti in piedi.” Tutti ci alzammo in piedi, e Obie si alzò con le ventisette fotografie a 8/10 colori su carta patinata, e il giudice entrò, si mise a sedere con una guardia, si mise a sedere e noi ci mettemmo a sedere. Obie guardò il guardiano. Poi guardò le ventisette fotografie a 8/10 colori su carta patinata con cerchietti e freccette ognuna con una dicitura sul retro, e scoppiò a piangere perché Obie si rese conto che si trattava di un tipico caso di mala giustizia americana, e che non ci poteva fare nulla, e che il giudice non avrebbe guardato le ventisette fotografie a 8/10 colori su carta patinata con i cerchietti e le freccette, ognuna con una dicitura sul retro che spiegava che ciascuna avrebbe potuto essere utilizzata come prova contro di noi. Insomma ci fu appioppata una multa di 50 dollari, e dovemmo ritirare su la spazzatura sotto la neve, ma non è questo che ero venuto a raccontarvi. Ero venuto a parlare della visita di leva. C’era un palazzo giù a New York, si chiama Whitehall Street, dove entri, dove qualcosa ti viene iniettato e poi vieni ispezionato rilevato infettato scartato e selezionato abile-arruolato. Ci andai un giorno per fare la mia visita attitudinale, ed entrai, mi misi a sedere, la sera prima mi ero divertito un mondo e mi ero inciuccato e così mi sentivo al meglio, ed avevo un aspetto al meglio, quando entrai là quella mattina. Perché volevo somigliare a un tipico ragazzo americano di New York, gente, accidenti se lo volevo, volevo sentirmi come un tipico –insomma volevo essere un tipico ragazzo americano di New York, e entrai, mi misi a sedere e fui rivoltato in tutti i modi e tutte le salse, e ogni tipo di cose brutte, meschine e orribili del genere. Entrai, mi misi a sedere, e mi dettero un pezzo di carta che diceva: “Ragazzo, vai dallo psichiatra, stanza 604.” Andai su, e dissi: “Strizzacervelli, voglio uccidere. Cioè, insomma, voglio uccidere. Voglio vedere, voglio vedere sangue, sangue rappreso, visceri e vene da prendere a morsi. Voglio mangiare cadaveri carbonizzati. Voglio dire uccidere, Uccidere, UCCIDERE, UCCIDERE.” E cominciai a saltellare su e giù berciando “UCCIDERE! UCCIDERE!”, e lui cominciò a saltellare su e giù insieme a me berciando “UCCIDERE! UCCIDERE!”. Poi arrivò il sergente, mi appuntò una medaglia, mi rimandò giù nella hall e disse: “Sei quello che fa per noi, ragazzo.” La cosa non mi fece sentire troppo bene. Scesi giù nella hall beccandomi ancora più iniezioni ispezioni rilevazioni scartazioni e ogni sorta di cose che mi stavano facendo in quel posto di merda là, e ci restai due ore, tre ore, quattro ore, ci rimasi a lungo beccandomi ogni sorta di cose brutte stronze bastarde e insomma ci stavo proprio passando un brutto quarto d’ora là, e loro stavano ispezionando e iniezionando ogni mia parte, non lasciavano intatta neanche una parte. Scesi ancora, e quando alla fine arrivai a vedere l’ultima persona, entrai, entrai e mi misi a sedere dopo aver dovuto passare tutta quella roba, entrai e dissi: “Cosa vuoi?”. Lui disse, “Ragazzo, abbiamo solo una domanda da farti. Sei mai stato arrestato?” E io provvidi a raccontargli la storia della Strage al Ristorante di Alice, con tutta l’orchestrazione e partitura armonica in cinque parti e cose del genere e tutto il fenome… -e lui mi stoppò là e mi disse: “Ragazzo, sei mai stato processato?” E io provvidi a raccontargli la storia delle ventisette fotografie a 8/10 colori con i cerchietti e le freccette, ognuna con una dicitura sul retro, e lui mi stoppò là e mi disse: “Ragazzo, voglio che tu ti metta a sedere su quella panca che dice Gruppo W…ORA, ragazzo!!” E insomma io andai a quella panca, a quella panca là, dove c’erano quelli del Gruppo W, dove ti mettono se non hai i requisiti morali necessari per entrare nell’esercito dopo aver commesso un certo crimine, e c’era ogni sorta di gente brutta stronza e bastarda su quella panca. Stupratori di mamme. Accoltellatori di papà. Stupratori di papà! Stupratori di papà che se ne stavano là a sedere su quella panca, accanto a me! Ed erano dei tipi brutti stronzi bastardi orribili e criminali, quelli che stavano là a sedere accanto a me. E il più brutto, più stronzo e più bastardo, lo stupratore di papà più merdoso di tutti, mi si stava avvicinando e era brutto stronzo bastardo orribile e ogni sorta di cose di quel genere, e era seduto accanto a me e diceva: “Ragazzo, cazzo hai fatto?” Io dissi: “Non ho fatto nulla, ho dovuto pagare 50 dollari e raccattare la spazzatura.” Lui disse: “Per cosa ti hanno arrestato, ragazzo?” E io dissi: “Per sparpagliamento di spazzatura:” E tutti allora si scostarono da me sulla panca, e mi fecero degli sguardi torvi e ogni sorta di cose brutte e stronze finché non dissi: “E ho creato un fastidio”. Allora tutti tornarono, mi strinsero le mani, e ci divertimmo un sacco sulla panca, parlando di crimini, di accoltellamenti della mamma, di stupro del papà, e sulla panca parlammo di ogni tipo di quelle cose alla moda. E tutto andava bene, fumavamo sigarette e ogni sorta di roba, finché non entrò il Sergente con dei fogli in mano, li tirò su e disse: “Ragazzi, questo-pezzo-di-carta-ha-47-parole-37-frasi-58-parole-vogliamo-sapere-dettagli-sulla-tempistica- del-crimine-e-ogni-altra-sorta-di-cose-che-potete-dire-attinenti-al-crimine-Voglio-sapere- motivodellarresto-nomedellagente-e-ogni-altra-sorta-di-cose-che-potete-dire”, e parlò per tre quarti d’ora e nessuno capì una parola di quello che diceva, ma ci divertimmo a riempire i formulari e a giocherellare con le matite su quella panca, e io compilai tutta la Strage con partitura armonica in quattro parti, e ce la scrissi proprio com’era, e tutto era a posto e posai la matita, ripiegai il pezzo di carta e là dall’altro lato, nel mezzo dell’altro lato, completamente da una parte sull’altro lato, fra parentesi, in lettere maiuscole, lessi la seguente dicitura: (“RAGAZZO, TI SEI RAVVEDUTO?”) Andai dal Sergente e dissi: “Sergente, certo che ci hai davvero un bel fegato a chiedermi se mi sono ravveduto, dico io, dico io, insomma, sono qui a sedere sullapanca, voglio dire sto qui a sedere sulla panca del Gruppo W perché vuoi sapere se ho i requisiti morali necessari per entrare nell’esercito, bruciare donne, bambini, case e villaggi dopo che sono stato uno sparpagliaspazzatura.” Lui mi guardò e disse: “Ragazzo, non ci piacciono i tipi come e ora mandiamo le tue impronte digitali a Washington.” Amici, da qualche parte a Washington, racchiusa in qualche fascicoletto, c’è un’analisi in bianco e nero delle mie impronte digitali. E il solo motivo per cui vi sto cantando questa canzone, adesso, è perché magari conoscete qualcuno che si trova in una situazione del genere, oppure perché siete in una situazione del genere, e se siete in una situazione del genere c’è solo una cosa che potete fare, entrare e dire: “Strizzacervelli, puoi avere quel che ti pare al Ristorante di Alice.” Poi uscire. Sapete, se uno, magari solo uno fa così, possono pensare che è davvero fuori di testa e non lo prendono. E se lo fanno due persone, magari solo due persone ma assieme, in armonia, possono pensare che sono due finocchi e non prenderanno nessuno dei due. E provate a immaginare se lo fanno tre persone, tre persone che entrano, cantano una riga del Ristorante di Alice e escono. Penseranno che si tratta di un’organizzazione. E ve le immaginate, ve le immaginate cinquanta persone al giorno, dicevo cinquanta persone al giorno che entrano, cantano una riga del Ristorante di Alice e scono? Amici, penseranno che sia un movimento. Ed è quello che è, Il Movimento Antistrage “Ristorante di Alice”, e tutto quello che dovete fare per entrarvi è cantarlo la prossima volta accompagnandovi con la chitarra. Con sentimento. Così aspetteremo che venga sulla chitarra, qui, e lo canteremo quando verrà. Eccolo. Puoi avere quel che ti pare al Ristorante di Alice Puoi avere quel che ti pare al Ristorante di Alice vacci a piedi e entraci, è giusto là dietro, appena un chilometro dalla ferrovia, puoi avere quel che ti pare al ristorante di Alice E’ stato orribile. Se vuoi farla finita con la guerra e cose del genere, devi cantare a alta voce. Sono stato a cantare questa canzone per venticinque minuti. La potrei cantare per altri venticinque minuti. Non ne sono fiero…o stanco. E così aspetteremo che venga fuori un’altra volta, e stavolta con partitura armonica in quattro parti e sentimento. Stiamo giusto aspettando che venga fuori, è quello che facciamo. Tutto OK ora. Puoi avere quel che ti pare al Ristorante di Alice tranne Alice Puoi avere quel che ti pare al Ristorante di Alice vacci a piedi e entraci, è giusto là dietro, appena un chilometro dalla ferrovia, puoi avere quel che ti pare al ristorante di Alice Da da da da da da da dum Al Ristorante di Alice.
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"Questi i risultati della pace e della libertà: lavorare e costruire per il bene degli uomini, di tutti gli uomini; non uccidere, distruggere e conquistare con la forza delle armi, ma vivere con il lavoro per la fratellanza e l'aiuto reciproco." (Mario Rigoni Stern, il sergente nella neve) Cannibali e Re . . #mariorigonistern #cannibaliere https://www.instagram.com/p/CJacZ7CAyF3/?igshid=196ioqqxpozy6
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Le uniche cose vive, animalmente vive, che erano rimaste nel villaggio, erano i gatti. Non più oche, cani, galline, vacche, ma solo gatti. Gatti grossi e scontrosi che vagavano fra le macerie delle case a caccia di topi. I topi non facevano parte del villaggio ma facevano parte della Russia, della terra, della steppa: erano dappertutto. C'erano topi nel caposaldo del tenente Sarpi scavato nel gesso. Quando si dormiva venivano sotto le coperte al caldo con noi. I topi! Per Natale volevo mangiarmi un gatto e farmi con la pelle un berretto. Avevo teso anche una trappola, ma erano furbi e non si lasciavano prendere. Avrei potuto ammazzarne qualcuno con un colpo di moschetto, ma ci penso soltanto adesso ed è tardi. Si vede proprio che ero intestardito di volerlo prendere con la trappola, e così non ho mangiato polenta e gatto e non mi sono fatto il berretto con il pelo.
Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve. Ricordi della ritirata di Russia - Ritorno sul Don, Einaudi (collana ET Scrittori, n° 24), 2006²¹; p. 10.
[ Edizioni originali: Einaudi, 1953 e 1973 ]
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