#il ritorno della bestia
Explore tagged Tumblr posts
Text
I GIAPPONESI, MEDIAMENTE, STANNO MALE MA LA SANNO LUNGA (cit.)
Ieri, oltre ad aver sistemato il problema al motore del mio fuoristrada appiccicando dello scotch davanti alla spia del guasto (si chiama Metodo Vorace Bestia Bugblatta di Traal), un tamblero ungherese mi ha suggerito di fare un upgrade e coprire i gemiti del motore ascoltando la musica a tutto volume (il mio motore emetteva gemiti? Non lo so... avevo la musica a tutto volume!)
Fatto sta che in un impeto di autolesionismo estremo, su youtube scelgo un collage della durata di 60 minuti - il tempo del viaggio di ritorno a casa senza fare i tornanti in derapata, sia mai che i gemiti del motore coprissero la musica - dicevo, un collage di tutte le sigle dei cartoni animati anni '70-'80, quindi Cristina D'Avena esclusa.
Ora, può darsi che i miei gusti musicali siano pessimi (lo sono) e che io abbia la sindrome di Munchausen a Stoccolma (mi avveleno da solo con cose che mi hanno reso psicodipendente da bambino) però è stato un viaggio davvero molto... istruttivo (che fatica non aver messo la D) perché mi sono reso conto che oggi i bambini non possono avere ciò di cui è stato fatto dono a chi guardava i cartoni animati sulle tv regionali.
Il trauma psicofisico di una violenza televisiva gratuita e improvvisa senza la minima censura o il minimo controllo della società.
E non sto parlando di Goku che frugava nelle mutande di Bulma chiedendosi cosa fosse quella cosa ma robe tipo Ninja Kamui, Kyashan o Judo Boy che AMMAZZAVANO DI BRUTTO LA GENTE CON TANTO DI TORTURA E SCHIZZI DI SANGUE.
Voglio dire, l'Uomo Tigre crepava di mazzate i suoi avversari ma non modello Goku Super Sayan AAAAAAAAHHHHHH!!!!... una roba più tipo il poliziotto preso a rasoiate in Pulp Fiction
E cosa dire di Bem il Mostro Umano?
Cioè, non lo so... 'umano' perché lui dava solo bastonate, mentre i cattivi cavavano occhi, evisceravano pance e torturavano bambini. Letteralmente.
Ho in mente questa scena in cui Ninja Kamui sta meditando su un albero (?!) e a poca distanza da lui un brigante cattura una donna e le taglia la gola con un coltello... uno schizzo di sangue della vittima imbratta il volto del protagonista ma il narratore afferma subito che lo stato di meditazione del ninja era così profondo che lui non poteva accorgersene.
Avevo 9 anni.
In genere, però, anche nelle serie più kid-friendly c'era questo sottile filo di sado-masochismo per cui ok che il/la protagonista trionfava ma per riuscirci dovevano SOFFRIRE VISTOSAMENTE, preferibilmente assistendo alla morte atroce di parenti o amici di infanzia e subendo torture da Guantanamo (spesso autoinflitte, per quella storia di Nietzsche temo un po' sfuggita di mano al mangaka).
Comunque - e qua so di citare un cosa praticamente irraggiungibile conoscitivamente dalla maggior parte di voi - la cosa che ancora adesso mi mette più angoscia è il ricordo di Madame Butterfly che durante gli allenamenti fa espodere con furia le palline da tennis contro al muro.
Poi sono arrivati il MOIGE e il CODACONS, quindi ora i bambini vivono in uno stato di dissociazione mentale dovuto ai buchi di trama per i tagli censori e alle cugine assolutamente non lesbiche di Sailor Moon.
50 notes
·
View notes
Text
Se le parole arriveranno per altre canzoni
Post lungo su Marco Masini. Sono fan di Maso da quando ho memoria, ma so di far parte di una minoranza, quindi continuo dopo il salto
C'è Sanremo. Ho questo post in canna da mesi, ma ho voluto aspettare il festival perché ho pensato (sperato) che avrebbe partecipato, o magari avrebbe approfittato del festival per far uscire un nuovo album. Il fatto è che è in ritardo, e non lo è solo ora, è in ritardo da quando è tornato, dal 2005.
"Breve" ripasso per chi si fosse perso la storia di Masini.
Esordisce come cantante professionista e solista vincendo un Sanremo Giovani nel 1990 con Disperato, arrivando secondo l'anno successivo con Perché lo fai. Negli anni '90 ha fatto uscire dei pezzi incredibili, che tutt'ora porta ai concerti perché sono i pezzi a cui i suoi fans sono più affezionati. Personalmente, credo di aver ascoltato talmente tante volte l'album Il cielo della vergine (quello con Bella stronza e Principessa, per capirci... cacchio, due delle sue più belle canzoni in un solo album!) tanto da consumare il nastro.
Poi, come per Mia Martini, si diffuse la voce che Marco Masini portava sfiga. E fu la fine.
(Me ne andrò nel rumore dei fischi Sarò io a liberarvi di me Di quel pazzo che grida nei dischi Il bisogno d'amore che c'è)
Nel 2001 uscì l'album Uscita di sicurezza. L'album contiene una canzone, a mio parere nemmeno tanto bella o memorabile (Il gusto di esistere), che però dice così
Ma ho sotterrato il presente distante e mi son ritrovato nuovo Come una pianta che nasce da un seme o una bestia da un uovo Ed ho pagato il biglietto di vivere in una maniera diversa Come l'omino che corre all'uscita di sicurezza Perché il gusto di esistere da quando son nato Il gusto di esistere non mi è ancora passato!
Ci stava salutando. Stava salutando noi fans perché quella era l'ultima canzone dell'album, ed era, in quel momento, il suo ultimo album. Pochi mesi dopo l'uscita del disco, ha annunciato il ritiro.
L'ho ritrovato anni dopo, in un concerto organizzato in concomitanza a un raduno di Alleanza Nazionale (già), nell'estate 2003, in provincia di Roma. Era la sua prima apparizione pubblica dopo Uscita di Sicurezza. L'ho trovato dimagrito, anzi, in condizioni pessime. Credo non pesasse più di 55 kg circa, forse arrivava a 60. Però fece il concerto, e tenne botta per due ore. Mesi dopo annunciò il ritorno e la partecipazione a Sanremo, e quell'anno vinse! Durante quel periodo uscirono un po' di singoli, tra cui L'uomo volante che vinse al festival, per poi pubblicarli prima in una raccolta chiamata ...Il mio cammino, poi una raccolta chiamata Masini dopo Sanremo, per includere anche quella traccia.
Due anni dopo l'addio già tornava. Allora pensai che si era accorto che voleva continuare, ed ero strafelice. Partecipò ancora a Sanremo e uscì un album tra quelli che amo di più: Il giardino delle api. Solo canzoni inedite. Siamo al 2005.
Poi raccolte, raccolte, rifacimenti... dopo il 2005 uscirono album di inediti nel 2009, nel 2011 e nel 2017. E basta. Ha partecipato a spettacoli, ha cantato canzoni di altri, ha registrato dei live, ha inciso dischi con sue vecchie canzoni riarrangiate... ma niente di nuovo. Dal 2011 al 2017 sono 6 anni, dal 2017 a oggi sono 7 anni. Negli ultimi 19 anni, finora, ha pubblicato quattro albumi di canzoni nuove
E poi ripenso a una canzone del 2011: Marco come me, nell'album Niente d'importante. È una canzone autobiografica (ogni tanto ne fa), che fa da risposta - o almeno io la leggo come una risposta - a una canzone molto più vecchia: 10 anni del 2000. Entrambe le canzoni chiudono i rispettivi album e nei vecchi concerti (prima del 2010, diciamo, che poi non li ho più visti) 10 anni era la canzone di chiusura. Dice:
Io canterò di città in città, Cercando sempre i tuoi occhi E ti sorriderò. Io volerò sopra questa realtà E non saremo mai vecchi E non ti perderò. Ma, oltre questo miracolo, Io sto aspettando la vita come te, In questo eterno spettacolo Che faccio per amore, amore, Amore, amore, amore, amore sì! Sì! Fra i tuoi sogni e i miei sbagli Sono passati così Questi nostri dieci anni interminabili
Chiudeva i concerti parlando con noi al pubblico, dedicandoci un pensiero, augurandosi di trovarci e sorriderci ancora. Poi arriva il 2011, Marco come me:
E poi non resta tempo per raccontare di me I riflettori ormai si sono spenti, e il pubblico non c'è E l'eco delle voci e degli applausi sfuma Un po' di autografi, e qualcuno sa dove si cena Ho raccontato storie, confezionato bugie Verissime e sincere le ho rubate oppure sono mie. Hai visto quanta gente, ho visto sì ma forse Erano qui per uno che si chiama Marco come me, E veste come me e ride come me, Si prende la ribalta ed il calore come se La vita vera poi non riguardasse lui E me la lascia lì buttata fuori dal teatro E neanche sale con me in macchina. E non gli fa paura il tempo che è passato E non s'incazza se gli dicono non sei cresciuto Non si è mai domandato cosa farà domani Se le parole arriveranno per altre canzoni. Invece io ci penso quando rimango solo In camere d'albergo presto che perdiamo il volo. Ed in quest'altra città lo incontrerò stasera C'è il manifesto di uno che si chiama Marco come me E parla come me, si muove come me Guarda una ragazza ed un ragazzo come se Quella felicità mentre cantano con lui Bastasse a riscaldare un camerino freddo Quando mano nella mano vanno via. La macchina è già pronta, ci salgo e metto in moto Ed inseguo ancora uno che si chiama Marco come me.
Ecco, io questo post lo scrivo per quei versi in neretto, cantati nel 2011, ma evidentemente non tanto lontani. Questo testo l'ho voluto mettere tutto perché tagliarlo non aveva senso. È un appello, sta dicendo qualcosa di spiacevole e lo sta dicendo - di nuovo - a noi fans. Ci sta dicendo, già nel 2011, che è una vita che gli pesa e l'affetto del pubblico forse non è più sufficiente.
L'album del 2017 è stato interessante, ma non memorabile. Sono usciti singoli nuovi, pubblicati in raccolte con canzoni vecchie, ma un album di 7-12 canzoni tutte nuove lo stiamo ancora aspettando.
Questo post non è una lamentela, più che altro è uno sfogo. Quindi - chissà che Marco non passi di qui - lo finisco con un saluto: il tuo pubblico ti aspetta, ma grazie comunque di tutto fino a ora e in bocca al lupo.
Il 18 settembre 2024 Marco Masini compirà 60 anni... magari il prossimo album uscirà in quella occasione
10 notes
·
View notes
Text
Chi avrebbe mai detto che saresti stata l'unica fra tante, chi l'avrebbe mai detto che saremo arrivati a specchiarci in due volti invisibili storpiati da forze esterne a ciò che possediamo, non si razionalizza in termini terreni, fuori controllo trovo i miei sentimenti al richiamo della tua voce, fuori controllo il mio amor proprio, fuori controllo ogni paura che perdo accarezzando le tue ferite, proprio lì, in quel momento esatto ti vorrei immortalare appoggiando i miei sogni felici sul cuscino sapendo che al risveglio sarai ancora al mio fianco, a dirmi che ce la faremo, chi l'avrebbe mai detto che avrei potuto sentire il mio cuore battere sul serio senza fingere per la prima volta? mi domando spesso chi potesse essere il pazzo a volere le nostre anime disperse unite ad un solo viaggio di evoluzione, sofferto condannato alla resa, appoggiato ad una speranza campata in aria perché sei consapevole del grosso errore che fai rimanendo in attesa del suo ritorno, non puoi, egoisticamente parlando torturarti fino al punto che lei capisca...devi trovare l'essere amando entrambe le parti tu e lei in un modo unico. Perdonami se non riesco ad amarmi, non sono mai stata brava a farlo e lo sai perché essendo la mia rivoluzione oscura che nego di avere dentro, sai che non mi amo abbastanza e ferendomi me lo mostri ogni giorno...e di questo te ne sono grata, non avrei mai potuto capire l'origine senza l'immagine.
Sai quant'è difficile, eccome se lo sai...fa male anche a te, inutile fingere, ricordati che riesco a sentirti inevitabilmente anche senza il bisogno di mandarti un messaggio, ed è per questo che ti chiedo di non respingermi, ti chiedo di lottare insieme, di ascoltare i bisogni dell'altro, dirsi le cose per come stanno, ti chiedo di guardarmi dentro guardando te, io so chi sei, potrai ingannare chiunque attorno ma non me, mentimi, mettimi alla prova ma...io mi fido di te e se posso farlo io puoi farlo anche tu, ancora una volta, un'ultima volta, ti prego amore mio puoi farlo? Non l'avrei mai detto che saresti diventata per me l'eccezione che manda all'inferno la regola, eri tu allora, sei tu adesso e sarai tu per tutta la mia esistenza, stringimi anche stanotte ti prego, non lasciarmi almeno lì dentro, portami con te ovunque tu voglia andare, ti prendo per mano e andremo dove la felicità arriverà ad abbondare sui tuoi occhi e te lo giuro non ci sarà mai più tempo o spazio a separarci, non importano i treni che prenderemo le stazioni da visitare, i posti già visti e i volti familiari, tu ed io siamo storia che rimane.❤
E per ciò che vale nel mio cuore voglio che ci rimani. Tu...una stupida bambina capricciosa che si crede una 'donna matura' e ti manda in bestia questo suo aspetto, ci rifletti, lo noti e ti appartiene ma non ti ci soffermi senti una sensazione come se le è stato imposto...da un passato orrendo, è dovuta crescere troppo in fretta e sorridi perché non puoi odiare la bambina che vive dentro di te. Quella bambina che lei vuole rinnegare a tutti i costi. Ma io non te lo permetterò. Perché questa piccolina qui ha bisogno di tanto amore e io voglio darglielo. voglio renderla felice, voglio stare con lei non con un'altra, voglio crescermela io e regalarle stitch ad ogni anno che compirà😍 non voglio trascurarla, voglio darle affetto, un abbraccio sincero, quello che si sarebbe aspettata dagli altri...perché se lo merita. Quindi fai quello che ti pare stupida lunatica ma io continuerò ad amarti...🦋
Non potrai fare niente per cambiare ciò che voglio. ❤ Ciò che siamo più che altro...🔥🧸
@occhicastanitristi-blog @delusa-da-tutti @cuoregelidoo-blog
2 notes
·
View notes
Text
Il fantasma di Ponte alla Carraia
Ponte alla Carraia aveva uno spirito tutto suo: corna lunate, vello ricciuto, zoccoli biforcuti. Un ariete o, più semplicemente, un montone di quelli che i pastori mettono a capo del gregge. A quei tempi, nel costruire un ponte, era buona usanza sacrificare un montone e sotterrarlo sotto un pilone per augurare stabilità alle arcate. Nei pressi del ponte viveva un certo Marrocchio. Un così strano nome, rendeva l'uomo più misterioso. Marrocchio aveva il brutto difetto di bestemmiare quando era a corto di denaro e, a giudicare da quanto spesso questo accadeva, doveva guadagnare poco o essere molto avaro. Neanche in punto di morte perse questa sua cattiva abitudine; tuttavia, prima di morire, Marrocchio si era premurato di mettere al sicuro il suo denaro, come se ritenesse di poter tornare dall'aldilà a riprenderselo. Una pietra sull'arco del ponte gli sembrò un nascondiglio sicuro. Notte tempo, si mise a scalzare la pietra, forse già sconnessa, guardandosi bene intorno per assicurarsi che nessuno lo vedesse. Nello spazio scavato adagiò il suo tesoro e lo ricoprì con la stessa pietra, facendo in modo che non si notasse che era stata spostata. Il ponte alla Carraia, sempre molto transitato, venne in aiuto e provvide a livellarla perfettamente.
Si diceva che Marrocchio avesse venduto l'anima al diavolo, con l'aggravante delle tante bestemmie che uscivano da quella bocca; dopo la sua morte cominciarono a girare storie sul suo fantomatico tesoro scomparso, e la gente sosteneva che non avrebbe trovato pace finché quel denaro occultato non fosse stato ritrovato e speso. Ed è a questo punto della storia che intervenne lo spirito del ponte: uno spirito buono, che si curava della pace dell'anima di Marrocchio, nonostante i suoi spropositi: un piccolo ariete dalle corna lunate che contendeva la sua anima al diavolo. Ogni notte, cominciò ad apparire sul ponte, caracollando innanzi ai rari passanti. Se qualcuno lo avvicinava, d'un balzo spariva in una lingua di fuoco. Se i renaioli cercavano di afferrarlo, dal suo vello uscivano scintille. Molti erano spaventati a morte da questa presenza. Lui, noncurante, ricompariva, rovesciava le barche sul greto, rompeva i remi, scompigliava le reti dei pescatori, si dilettava in ogni sorta di dispetti. Quel piccolo ariete cominciò ad apparire anche di giorno, tanto da diventare una presenza abituale. Col maltempo e col freddo la gente se ne stava in casa e nessuno fece più caso a questo animale. L'Arno, dopo la Carraia, correva libero tra le canne e le alberete e la bestia avrebbe potuto essere scappata da qualche ovile, dove avrebbe fatto ritorno la sera, come è abitudine delle bestie.
In un giorno d'inverno e di bufera, quando chi attraversava il ponte era intento a reggersi le vesti e il berretto contro il vento che mulinava, un giovane riuscì a studiare, inosservato, le mosse del montone. Si accorse che appariva e spariva sempre sulla stessa pietra, e questo lo portò a pensare che il tesoro di Marrocchio fosse nascosto proprio là sotto. Sapeva che la mezzanotte era l'ora più adatta alle apparizioni e a quell'ora tornò. Puntuale l'uomo e puntuale il montone, allo scoccar dei dodici tocchi. Il giovane, con un certo timore, si appressò all'animale, augurando pace a quello spirito; gli disse anche che, qualora fosse a conoscenza del mistero di un tesoro, gli avrebbe offerto il suo aiuto per liberarlo dall'inquietudine che il dover tenere il segreto gli procurava.Per tutta risposta, il montone si mise a tamburellare gli zoccoli sempre sulla stessa pietra e al giovane non fu difficile mantenere la promessa, ricompensata dalla scoperta di un bel gruzzolo d'oro. L'anima di Marrocchio trovò pace, strappata al diavolo dal buon ariete, e nessuna apparizione turbò più il ponte e i passanti. La Carraia era il ponte dei carri che andavano e venivano in città dalla campagna. Un greto renoso, un prato sulle rive e subito campi, alberi, aria libera. Da una parte all'altra, era sosta obbligata dei barrocciai che si fermavano a crocchio lungo le spallette, passavano, rallentavano, sostavano sul carro rosso di minio. Lo zoccolare dei cavalli dall'allegra sonagliera cullava quel viaggio traballante sulle grandi ruote dal mozzo nero. Il sacco di fieno lasciava cadere ogni tanto qualche pagliuzza, indice di buon augurio. Ogni tanto, su quel carro, i barrocciai si sdraiavano come in un letto. Il cavallo conosceva la strada del ritorno e cullava quel riposo nel monotono alternare dei suoi zoccoli stanchi. Figure d'altri tempi, quasi leggendarie, come il piccolo ariete del ponte e lo spirito di Marrocchio, dal nome unico. Anche la Carraia, senza più i suoi carri, ha ormai un nome anacronistico.
Gabriella Bazzani Madonna delle Cerimonie Pubblicità Per soggiorni a Firenze negli appartamenti San Giuseppe 12 contattare: For stays in Florence in the San Giuseppe 12 apartments contact: Antonino Sutera +393497099832 [email protected] Cin IT048017C2WVJQ6CBW Read the full article
0 notes
Text
Paolo Berizzi, Il ritorno della bestia. Come questo governo ha risvegliato il peggio dell'Italia, Rizzoli, 2024
vai alla recensione di Repubblica: https://www.repubblica.it/cultura/2024/04/23/news/paolo_berizzi_racconta_onda_nera_pop_che_riscrive_la_nostra_storia-422713773
View On WordPress
0 notes
Text
Wolverine 29 (433)
• Inizia un nuovo, deflagrante capitolo della vita di Wolverine! • Da qualche tempo, tra la Bestia e Logan non corre più buon sangue… • …ma ora la situazione sta per precipitare! • Il ritorno del Mercante!
View On WordPress
0 notes
Text
Mamma, chi bussa alla porta?
Amore, non tutte le cose si possono spiegare.
John Talbot era un marinaio inglese, arruolato nella Compagnia britannica delle Indie orientali. Durante il suo ultimo viaggio nella regione sud asiatica, tra il 1703 e il 1706, fu di base a Puri, nell’attuale stato federato di Orissa, nella zona orientale del Paese. Nel tempo libero, che coincideva solitamente con il fine settimana, John e i suoi compagni si dedicavano all’esplorazione e alla caccia, fortemente motivati dal Colonnello Saint-Thomas, comandante della spedizione. Un giorno, esattamente sul finire dell’estate del 1706, decisero di avventurarsi circa ottanta chilometri a nord di Puri, in direzione della foresta di Chandaka, già esplorata in parte l’estate precedente. Colpiti da un improvviso temporale, il gruppo di dieci uomini si disperse nella fitta vegetazione. John Talbot cercò riparo in una grotta infrattata nella boscaglia. Entrandovi, si rese conto che non si trattava di una semplice spaccatura nella roccia, ma che quella grotta, in realtà, era collegata a tante altre, attraverso un’intricata rete di passaggi sotterranei. Decise di passare lì la notte. Accese un fuoco e si sedette all’asciutto, ma, presto, si rese conto di non essere solo. Fu attaccato da una creatura dalle fattezze umane, ma dalla forza di dieci bestie. Un essere pallido come la luna, con lunghi canini, artigli affilati, bava alla bocca e peli diradati qua e là su tutto il corpo. Fu morso ad una gamba, ma riuscì a mettere in fuga la creatura grazie al fuoco. Scappò via e vagò tutta la notte sotto la pioggia, in preda al dolore. Il mattino seguente, passata la bufera, fu recuperato da alcuni dei suoi compagni e riportato a Puri. Nessuno credette al suo racconto e nessuno si chiese mai come fece a guarire in quattro giorni da quella lacerazione così profonda. Nei mesi successivi, John iniziò a provare un forte malessere, anche se la sua forza e la sua resistenza aumentarono a dismisura. Una notte di luna piena, in pieno solstizio d’inverno, pochi giorni prima della partenza per il ritorno a casa, in Inghilterra, John Talbot assunse le sembianze della Bestia e trucidò tre giovani sfortunati che avevano deciso di rincasare tardi. Impaurito, si rivolse a uno sciamano: “Porti il sigillo della Bestia, John Talbot. È inciso lì, sulla tua gamba.” Gettò della polvere sul fuoco e continuò: “Solo le persone che ami potranno salvarti. Gli spiriti mi dicono che fra cinque mesi sarà luna piena anche nella tua terra. Tu uscirai di casa per non far del male a chi ami e chiederai loro di non aprire la porta, mentre sarai fuori di notte. Busserai tre volte e per tre volte loro non dovranno aprirti. Poco prima del sorgere del sole, busserai di nuovo e allora, quando varcherai l’uscio, sarai salvo dalla maledizione.” Quattro mesi dopo, John rientrò in Inghilterra e un mese dopo, poche ore prima del calare del sole, prese da parte sua moglie Angela e le disse quanto accaduto mesi prima e quanto profetizzato dallo sciamano. “Tu sei matto, John - disse -. Credi davvero a queste cose?” Lui: “So cosa ho visto, so cosa mi è capitato e so cosa ho fatto. Amore, non tutte le cose si possono spiegare. Se non vuoi farlo per me, fallo per la piccola Lily.” Lei lo rassicurò con un velo di superficialità, pensando ancora che stesse scherzando. Lui uscì. Passata la mezzanotte, John Talbot bussò due volte, in due momenti diversi. Angela non aprì, ma, stanca dalle fatiche della giornata, dopo la seconda volta crollò in un sonno profondo. Quando John si presentò di nuovo alla porta, bussando con insistenza, Angela aveva ormai perso la cognizione del tempo. La svegliò Lily, chiedendole: “Mamma, chi bussa alla porta?” Lei: “È quel matto di tuo padre” - disse sorridendo. Girò la chiave e la Bestia balzò dentro trucidando lei e la piccola. Il mattino seguente, John si rese conto di ciò che aveva fatto. Raccolse i due corpi e li avvolse in due lenzuola bianche. Diede fuoco al tappeto in sala da pranzo, incendiando casa, andò in camera da letto e si sparò un colpo in testa. Non tutte le cose si possono spiegare.
1 note
·
View note
Text
I POVERI MUOIONO PRIMA
I comunisti e i problemi di oggi
Eliminare la nocività ambientale [pt.2]
I ritmi di lavoro. - Questo aspetto si è aggravato più di ogni altro negli anni recenti, quando si è avuto un aumento della produzione realizzato con gli stessi macchinari, con un numero inferiore di operai, con i cronometristi che misurano ogni movimento e rubano ogni momento di pausa. Un operaio di 27 anni della FIAT Mirafiori ha raccontato: << Quando dopo otto ore di lavoro ritorno a casa, mi piacerebbe leggere, star dietro alle cose che succedono, aggiornarmi su quanto avviene per non vivere da bestia: ma ora non ce la faccio più. Ho la testa svuotata, continua a ballarmi davanti agli occhi il contatore della pressa, e ho solo una gran voglia di dormire e di riposarmi per essere domani in grado di ritornare sulla linea >>. Operai con la testa vuota, con i nervi a pezzi, ritmi biologici che vengono stravolti dal ritmo della produzione, funzioni dell'organismo che vengono prima alterate, poi gravemente compromesse: questi fatti sono la regola nelle fabbriche italiane. Quando non bastano i cronometristi si ricorre ai calcolatori elettronici, per abolire ogni pausa ed ogni tempo di riposo, per eliminare ogni flessibilità dei ritmi biologici. Quando non bastano i calcolatori, e si vuole forzare ulteriormente, si ricorre persino ai farmaci, al doping come per i ciclisti: nella fabbrica di Rhodiatoce di Pallanza ed alla Zoppas di Conegliano, medici compiacenti ai voleri padronali somministravano agli operai esausti pillole antifatica, sostanze stimolanti per bruciare le residue energie dell'organismo. La donna lavoratrice sente prima e più dell'uomo l'usura del lavoro in fabbrica perché vi giunge già stanca. Per l'operaia delle grandi città si ha un triplo lavoro: alle 8 ore nell'azienda sono da aggiungere altre 3-4 ore di attività domestica, ed 1-2 ore di trasporto. Queste tre fatiche non si sommano soltanto: si moltiplicano fra di loro. Mentre nel passato la fatica muscolare trovava un limite nella spossatezza dell'organismo, ora la fatica nervosa non ha più freni: questa fatica, per l'operaia, nasce nella fabbrica, prosegue nel messo di trasporto, e si conclude nelle faccende di casa. Non vi è neppure il riposo che deriva dal cambiare fatica: anche l'attività casalinga, nella nostra società (nella quale << il progresso consiste nel possedere tante macchine per faticare di meno, che occorre faticare tutta la vita per pagarle >>) diviene sempre più una funzione organizzativa, responsabile e logorante, per le carenze della scuola, degli asili, dei trasporti, per le basse retribuzioni, per le preoccupazioni del fitto e delle rate. La donna, conquistando il diritto la lavoro, perde cosi il diritto al riposo.
I salari. - I bassi salari esistenti in Italia, come la disoccupazione che batte alle porte delle fabbriche, sono motivi che spingono (se non esiste una pressione della società che costringa a rispettare la salute degli operai) ad accettare lavori nocivi, cottimi logoranti, orari eccessivi, od a ricercare un secondo lavoro. Insieme all'insufficiente ammontare delle retribuzioni, i lavoratori richiamano l'attenzione sul danno causato dal modo come sono congegnate due componenti del salario: il cottimo e le indennità di lavoro nocivo. Sul cottimo, un operaio del Cantiere navale Ansaldo di Genova ha detto: << Un elemento nocivo alla salute è il cottimo, che imprime a ciascuno di noi una situazione di orgasmo tale, che non ci consente di produrre serenamente. Abbiamo il rischio della salute prima, e del poco guadagno dopo, perché col cottimo non abbiamo mai l'idea precisa di quanto realizzeremo alla quindicina. Bisogna quindi eliminare i cottimi e ridurre l'orario di lavoro. Questi sono i due fattori fondamentali che vanno collegati per ridurre la nocività >>. Le indennità di lavoro nocivo sono ancora assai diffuse, anche perché si è nutrita a lungo l'idea che fosse possibile compensare in moneta una malattia, o si è coltivata l'illusione che far pagare un salario più elevato per le condizioni di nocività ambientale potesse costituire, verso i padroni, un incentivo alla prevenzione, mentre ciò rappresenta, al contrario, un alibi per poter mantenere le condizioni di lavoro logoranti. Ecco come funzionano le indennità di lavoro nocivo alla Ceramica di Sestri: << Noi abbiamo ottenuto - racconta un operaio - una quota per i lavoratori che lavorano in ambienti polverosi, cioè una cifra orario di 7 lire che poi è stata portata a 12 lire. Questa viene sommata annualmente e fa una certa cifra che viene adoperata per mandare in vacanza quegli operai che sono colpiti da silicosi, ma questi spesso rinunciano, e prendono invece i soldi, che sono 7.000 lira all'anno. Secondo me, sbagliano a non usufruire di quei dieci giorni di aria buona, se non riusciranno a guarire staranno meglio >>. Viene da domandarsi: staranno davvero meglio questi operai, respirando aria pura per 10 giorni e silice (una polvere che rende i polmoni come di sasso) per 355 giorni dell'anno? Oppure è preferibile rinunciare alle vacanze, e prendere come indennità di lavoro nocivo 7.000 lire per ogni anno di lavoro in ambiente pieno di silice, che accorcia la vita di almeno due anni? Il dilemma è chiaramente assurdo: per uscirne, non vi è altra strada che lottare per eliminare la polvere, la nocività, dell'ambiente di lavoro; e per ottenere, contemporaneamente, salari che non costringano a barattare la propria esistenza per poche migliaia di lire.
Testo di Giovanni Berlinguer, 1968
-A cura della Sezione stampa e propaganda del PCI
1 note
·
View note
Text
Massimo Chierici
Altri Kibbutz
Come ho scritto più sotto voglio evitare, per ora poi se sono meno malmostoso vediamo, di entrare nel merito stretto di quanto sta avvenendo in Israele e dintorni.
Ma c'è una narrazione, che qui arriva centellinata, sui riflessi più personali di questa situazione nella vita degli israeliani e molto circoscritta agli israeliani VIP e forse sarebbe il caso di parlarne.
Non per fare parallelismi, che nessuno osi insinuarlo perché lo blocco immediatamente, ma credo che ci sia un dannato bisogno di completezza di informazione.
Oggi su la Repubblica c'è una breve intervista a Raz Degan che tutti conoscete.
Nei pochi passaggi, racconta di una parente scomparsa di 22 anni che era al rave e di suo padre 80enne che non se ne vuole andare dal kibbutz nonostante sia stato evacuato assieme alla 30ina di centri abitativi della zona.
E già, Raz Degan è un "figlio del kibbutz" (che è l'appellativo che viene dato a chiunque sia nato e cresciuto in un kibbutz anche se poi se ne è andato), non lo sapevo.
Ho scoperto che è cresciuto a Sde Nehemia, sui confini del 1947, un kibbutz fondato da transfughi da Ungheria, Cecoslovacchia e Olanda e costruito su delle terre comprate ai residenti arabi nella valle di Hula dove sono stato.
Un kibbutz che è rimasto "vecchia scuola" fino a 20 anni fa e dove c'è sempre stata una relazione costruttiva con gli arabo-palestinesi (in primis estendendo anche a loro la profilassi anti-malarica fino a che non bonificarono la valle rendendola coltivabile) e che ha dato i natali a Rafael Reiss, un ebreo ungherese ma cresciuto in Slovacchia, che da Israele si fece paracadutare in Europa e morì, catturato e fucilato, a capo di un gruppo di partigiani ebrei in Bucovina.
La storia di chi da Israele andò con un coraggio inaudito a combattere in Europa contro la bestia nazifascista resta sempre poco raccontata.
Comunque sia, più passa il tempo, più nella ricostruzione degli eventi, migliaia di cittadini israeliani vengono raggiunti da notizie terribili di ogni genere e tipo.
Non ve ne parlerò non solo perché molti che me li hanno estesi sono nella mia lista amici ma in più perché penso sinceramente che il lutto, la preoccupazione e il dolore, anche in questa situazione, restino un fatto privato.
Ma vi assicuro che ormai sono a decine che, direttamente o indirettamente, mi arrivano e, sempre dalla mia comoda sedia al sicuro e per quel pochissimo che posso, ascolto e tento di assorbire quel dolore.
Aldilà della mia metà di sangue ebraico inespressa, con parenti inghiottiti dalla Shoah che neanche mio padre conobbe e non essendo un ebreo-israeliano non ho memorie dirette, non ho quella loro consuetudine al dolore che li rende terribilmente espliciti nelle parole e nei sentimenti... e mi sento così orribilmente piccolo e inadeguato nonostante sia un bove molto esperenziato per i nostri standard di 58 anni.
Ma, in varia misura, gli voglio veramente bene e non svicolo.
Un tema che emerge sempre di più, al netto del papà di Raz Degan, è il tema degli anziani dei kibbutz sradicati in maniera così immediata.
Negli ultimi anni c'è stato un ritorno molto consistente di "figli dei kibbutz" perché c'è un welfare molto migliore che nel resto di Israele, al punto tale che in certi kibbutz hanno aperto delle strutture di assistenza dedicate.
Molti di loro o sono ivrit (cioè nati in Israele) oppure sono arrivati con i genitori o da soli nel dopoguerra sia dall'Europa o dai Paesi arabi, cacciati dopo la guerra del '48.
Sono una generazione di Compagni (la maiuscola non è casuale) martoriata: hanno costruito Israele da zero, sono passati attraverso guerre, attentati e conseguenti perdite e traumi.
Ma non sono anziani come i nostri.
Da un lato è vero che sono stanchi e si ritrovano a temere per la loro casa e i propri affetti ad un'età in cui chiunque dovrebbe stare tranquillo e al sicuro.
Dall'altro però non sono vecchietti rintronati, parlo di anziani che hanno una tempra che un trentenne qui (e anche lì) se la sogna e hanno evacuato "obtorto collo" sulla spinta di figli, nipoti ed esercito ma che nonostante l'età sarebbero rimasti anche, e soprattutto, per difendere quanto fatto, e spesso ricostruito, in mezzo secolo e oltre di vita.
Speriamo bene, non meritano tutto ciò.
1 note
·
View note
Text
Bologna: Tornano gli appuntamenti estivi nel Chiostro del Teatro Arena del Sole
Bologna: Tornano gli appuntamenti estivi nel Chiostro del Teatro Arena del Sole. Il Chiostro del Teatro Arena del Sole di Bologna torna anche quest’anno ad animarsi con InChiostro, la rassegna di spettacoli e appuntamenti estivi a cura di ERT / Teatro Nazionale, dal 20 giugno al 6 luglio ogni martedì, mercoledì e giovedì alle ore 21.30. Il progetto è parte di Bologna Estate 2023, il cartellone di attività promosso e coordinato dal Comune di Bologna e dalla Città metropolitana di Bologna - Territorio Turistico Bologna-Modena. La programmazione si snoda lungo 3 settimane per un totale di 9 serate e vede l’intreccio di spettacoli teatrali e musicali, con alcune performance della rassegna di danza Carne, il focus di drammaturgia fisica di ERT curato della coreografa Michela Lucenti, seguite ogni sera da un incontro a cura del giornalista e critico di danza Carmelo Zapparrata. Tra gli appuntamenti, alcuni lavori che propongono uno sguardo al femminile come Voci di donne, il reportage sonoro del collettivo di giornalisti freelance FADA realizzato insieme alla compagnia LeNotti; Molto dolore per nulla dell’attrice e autrice Luisa Borini; la performance Fioritura ideata dalla coreografa Elisa Spina insieme alle danzatrici Valeria Alvarado Mejia e Olimpia Fortuni. Sempre nell’ambito di Carne, vanno in scena Metamorphosis del performer e coreografo Carlo Massari / C&C Company, Paesaggio d’interni del collettivo Balletto Civile e The idea of you di Francesco Collavino. Altri spettacoli vedono protagonisti di due diverse serate la compagnia Kepler-452 con Nicola Borghesi in Gli altri. Indagine sui nuovissimi mostri; e l’attore Alberto Astorri con un omaggio al poeta e slavista Angelo Maria Ripellino, Sinfonietta alcolica, spettacolo che sarà aperto da un prologo curato dal ricercatore e critico teatrale Sergio Lo Gatto. Infine, spazio anche alla musica con il progetto Ada Flocco 4tet, dedicato all’esecuzione di alcuni brani della tradizione jazz. La prima settimana si apre martedì 20 giugno con il reportage sonoro Voci di donne del collettivo di giornalisti freelance FADA e della compagnia LeNotti, un percorso in voce e musica che racconta l’Iraq attraverso le storie e le vite di donne che lottano e hanno lottato per i propri diritti e per amore. C’è Amina che riporta com’è vivere in quella terra a quindici anni dall’invasione americana; Amena invece narra la storia del suo amore che non fece mai più ritorno; Rajaa condivide l’esperienza nel suo studio nella clinica Shahrazad e del Forum delle Giornaliste Irachene; e poi ancora Latiza, Demetria e Robyn, drag queen di Beirut. Tutte narrano il conflitto iracheno e gli anni seguenti, privando il racconto di ogni gerarchia del dolore e categoria etnica o religiosa. Sono dottoresse, avvocate, attiviste, madri; sono sunnite, sciite, cristiane, curde: a unirle un dolore capace di trasformarsi in coraggiosi e importanti gesti di resistenza. La programmazione prosegue mercoledì 21 giugno con Metamorphosis. Atti di metamorfosi contemporanea del coreografo e danzatore Carlo Massari di C&C Company. La performance è l’incipit di un percorso di ricerca triennale site-specific attorno al concetto di trasformazione e indaga le alterazioni fisiche e spirituali dell’essere nel sottile confine che separa l’uomo dalla bestia, il corpo dalla mente. Partendo dall’idea di uomo come animale pensante e dotato di una coscienza individuale, questo viene denudato e messo in relazione con i suoi istinti, le paure che rendono impotenti, i suoi lati più bestiali, la pura verità del corpo. Il lavoro prende avvio dall’istante in cui tutto diviene il contrario di tutto, il momento in cui non ci si riconosce più, ma d’improvviso si sentono le vene attraversate da nuova linfa, un nuovo io a cui abbandonarsi senza troppo giudizio. Al termine dello spettacolo è in programma un incontro con Carlo Massari a cura di Carmelo Zapparrata, giornalista e critico di danza. E infine giovedì 22 giugno va in scena Molto dolore per nulla dell’attrice e autrice Luisa Borini, un racconto intimo e ironico, tra la profondità del monologo e la leggerezza della stand-up, dedicato al tema della dipendenza affettiva. Si narra degli amori troppo amati di una donna e del suo dolore attraversato, da perdonarsi e ringraziare, perché è anche merito suo se ora guarda a ciò che è stato con un sorriso divertito e tenero. «Molto dolore per nulla è la cronaca di una fatica, - scrive l’autrice - quella che si fa per crescere, per smarcarsi dai modelli di riferimento e per imparare a rispettarsi per come si è. È uno sguardo sulla pazienza che si impara ad avere quando cambiamo di continuo senza mai riconoscerci, quando il nostro corpo si trasforma e rimangono i segni delle smagliature a ricordarci quante volte abbiamo vomitato per l’angoscia di una telefonata che non sarebbe mai arrivata, ad essere fieri di quelle cicatrici e a non aver paura di mostrarle». La seconda settimana prosegue con Paesaggi d’interni di Balletto Civile in scena martedì 27 giugno; mentre mercoledì 28 è la volta di Sinfonietta alcolica di Alberto Astorri, preceduto da un prologo su Angelo Maria Ripellino a cura di Sergio Lo Gatto, ricercatore e critico teatrale; e infine giovedì 29 The idea of you di Francesco Collavino... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
Text
...The War of the Beasts
In una notte che sembrava così tranquilla, limpida e serena tra la sabbia della Turchia, dove siamo andati in vacanza io e te, ci siamo affrontati e azzannati come due bestie. Tu uno scaltro, violento lupo nero, cresciuto nella strada e avvezzo alla regola della giungla umana del " il più forte mangia il più debole per necessità ". Uno sfuggente, paziente e agile leopardo io, cresciuto invece nel lussureggiante mondo dei privilegiati, uno che caccia per sport e non solo spinto dalla fame. L'efferata violenza tipicamente umana di chi non ha nulla da perdere il tuo maggiore vantaggio. E il mio ? Potrei indicare l'animale prigioniero dietro la porta con a guardia l'insensibile e per nulla umano Houston, il mio cervello but ..naaah. Ho rinunciato ( già quella notte ) a fare appello a qualsivoglia vantaggio possedevo. Tu volevi punirmi e io sapevo perfettamente di meritarmelo, ti dissi massì fai pure io non ti fermerò comunque. Al nostro ritorno io e te avremmo dovuto proseguire ciò che avevamo iniziato lì ,da soli, come giusto che fosse. Il problema fu invece... che tu eri l'unico nella tua famiglia, io nella mia avevo un intero branco di creature letali quanto esotiche che con i solitari incauti, ai margini della società come te non avevano alcuna pazienza. Nessuna clemenza. Ho incassato ogni colpo che veniva da te con lo stoicismo autoconsapevole dei colpevoli. Poi lui l'ha scoperto e lo ha detto a loro. Loro, insieme, hanno deciso che non interessava cosa avevi da dire, andavi sbranato e fermato. Non aveva alcuna importanza neppure cosa avevo io da dire a tua difesa. Il nostro accordo di combatterci senza intromissioni esterne è saltato in aria quando venne a farti visita il "leone" di casa mia. Chi eri tu, miserabile straccione pezzente da osare arrivare a tanto con il suo figlio primogenito ? A semi cerchio con il leone c'erano anche gli squali incravattati e profumatamente pagati per mandare in rovina te, tuo padre, tua madre, incaricati di trasformare [con tutti i mezzi a loro disposizione] in pezzi minuscoli ogni tua prospettiva per il futuro. Tu volevi farmi male ( e avevi ragione ) ma loro potevano farti molto più male di quanto male tu potevi fare a me... e io sopportare per mia scelta. Dietro il leone e gli squali, arrivò anche lui..la grossa ombra nera che per trenta anni sapevi benissimo che ha sempre seguito da lontano ogni mio passo, dalla nascita. Tu eri l'unico a sapere di me e di lui. La pantera nera. Autentica, concreta e temibile bestia nella villa. Lui ha reso cenere ciò che restava di te.. dopo la condanna, il risarcimento e la pena, osservandoti in un silenzio che terrorizzava tutto il mio branco. Non ho potuto fermarlo, non ho potuto impedire la tua partenza, nessuno ha potuto farlo o avrebbe voluto anche solo provarci e intralciarlo
<< Raccogli la tua spazzatura e vattene il più lontano possibile da lui senza mai voltarti indietro. Se non lo farai it's very simple what i do. Quello che puoi aspettarti per certo da me. Ti lascio morto a terra, clear enough ? >>
0 notes
Text
Mino Minardi - Il singolo “La passione”
Tutta l’eleganza e la dolcezza del cantautore toccando il tema delicato delle malattie mentali
Prima hit dell’anno per Jacopo “Mino” Minardi. È uscita, infatti sui maggiori distributori di musica digitale, “La passione”, un brano cantautorale e sentimentale, strofico, con uno stile vintage e simile al cantautorato classico. Il tema del brano è assai delicato: parla delle malattie mentali, vinte o comunque accantonate dall’amore, verso un’arte o qualsiasi altra “cosa” in grado di portare serenità, equilibrio e sobrietà. Il titolo ha un significato diverso da ciò con cui si intende il termine passione al giorno d’oggi: passione la riversiamo di solito su un hobby. No, la passione deve essere uno stato di dolore che porta, scorgendo una volta la luce, a un’estasi emotiva e vitale. Mino scrive il pezzo a vent’anni, frequentando lettere a Parma: è il testo con cui capisce che può e deve comporre canzoni, di conseguenza è il suo “primo”. Forse, dice l’artista, lo scrive un po’ per caso, fra uno scritto e l’altro di Petrarca, ed ascoltando “Giudizi Universali” di Samuele Bersani, finendo quindi in musica con l’aiuto di Peretto Alessandro e anche nelle vostre orecchie.
Jacopo “Mino” Minardi nasce a Montecchio il 21/2/1995, ma da sempre vive a Barco di Bibbiano, dove ha coltivato fin dalla prima infanzia il suo amore per la musica. Spinto dal papà a cimentarsi con la chitarra da quando era ragazzino, Mino non ha mai smesso di inseguire il suo sogno e a soli vent’anni scrive il primo di tanti testi che però rimangono nel cassetto. Nell’estate del 2019 decide di uscire dal suo guscio esibendosi davanti al pubblico con il singolo “Estate”: è il trampolino di lancio per Mino che poi spopola in radio con “Profumo di caffè”, hit latineggiante del 2020 nata dalla notizia della dolce attesa di un figlio dalla sua amata moglie Elena. Nello stesso periodo prende vita il primo EP composto da quattro canzoni. Nel giorno del ventiseiesimo compleanno di Mino, esce “La bella e la bestia”, singolo portato a Sanremo New Talent, che parla di come bisogna assolutamente amarsi e accettarsi nonostante le diversità. I tempi sono ormai maturi per l’uscita del primo album arrangiato dall’amico Alessandro “Perez” Peretto dei “Mai noi no” e prodotto dall’amico Andrea Fontanesi del Vox Recording Studio: otto brani che spaziano fra amore, fede e politica, un riflesso delle emozioni più profonde che Mino esprime con il suo stile cantautorale. Il legame professionale con Peretto cresce sempre di più e Mino, a ridosso dell’estate 2022, regala un gioiello ai suoi fan: “Tu”, un pezzo con una melodia accattivante e un testo emotivamente coinvolgente. L’anno si conclude con il singolo “Tutto è più semplice” che vede la collaborazione di Cristiano Turato e Maurizio Vercon alle chitarre, i quali arrangiano il singolo: un dolce ricordo della nonna che profuma di speranza.
Il 2023 si apre con un ritorno alle origini per Mino: il 24 marzo esce “La passione” primo brano scritto dal cantautore di Barco, arrangiato dall’immancabile Alessandro Peretto, prodotto da Vox Recording e che uscirà con “Boot music group”, distribuito da ingrooves. Un singolo cantautorale e altresì sentimentale, che tratta di un argomento che è ancora tabù: le malattie mentali.
YouTube: https://youtube.com/@minominardi3184
Spotify:https://open.spotify.com/artist/28Eugi2JQHNWIxqul81r7v?si=hzIGNPa9T1K7J5Gt5KqrPQ&utm_source=copy-link
Facebook: https://www.facebook.com/minominardiofficial
Instagram: https://www.instagram.com/mino_minardi/
1 note
·
View note
Text
Innessa resta dopo il sesso. Vasha non ha dubbi che lo faccia perché ha capito quanto preferisca quei momenti al piacere vero e proprio; dopotutto, una donna di quarantacinque anni ha già superato la fase della follia cieca in preda alla passione e necessita, segretamente, che qualcuno smussi la propria corazza. 𝐿𝑒𝑖 le è stesa accanto, nuda e ancora accaldata, i capelli sciolti le vestono il profilo del corpo. Quando le accarezza la pancia con le dita, Vasha rimpiange che, per incontrarla, si limi le unghie. Il rimpianto muore nell’istante in cui Innessa si trascina tra le sue cosce e torna a sfiorarla, su e giù, imprimendosi nella carne ancora fradicia dall’orgasmo imbrattato della sua stessa saliva.
“L’offerta per venire a Mosca è ancora valida.”
Hanno scopato talmente tanto da aver sbloccato l’abitudine di conversare, tra un’oscenità e l’altra. Una ciocca corvina di Innessa le dondola contro lo zigomo. Si tiene col gomito puntellato nel materasso e l’altra mano si impegna per farla sospirare, eppure oggi sembra avere gli occhi vispi che suggeriscono buonumore.
Infatti, le propina una risposta che la fa sorridere. “Ti ho già detto di no. Fanculo alla Madrepatria.”
“Ho un regalo per te, pensavo ti avrebbe convinta a raggiungermi questo inverno.”
Il respiro caldo di Innessa le coccola la mandibola, è di nuovo eccitata. “Mh?” Le morde la pelle del collo e le falangi strisciano pigramente tra le pieghe del suo piacere, senza lasciarsi mai risucchiare dal desiderio. Vasha si nega la tentazione di bloccarle il polso.
“Ho trovato tuo padre. Il tuo vero padre.”
Il dito affusolato di Innessa la viola dolcemente. “Ah, sì?”
Vasha inclina il mento per guardarla perdersi col muso tra i propri seni e sa che non smetterà mai di ringraziare Byunghun per rinvigorire ogni suo viaggio a Seoul col regalo meraviglioso ch’è sua moglie.
“Ti piacerebbe conoscerlo, Innessa?”
Il naso le struscia sullo sterno nello scuotimento lento del collo. “No, angelo.” Vasha ama come le braccia toniche di Innessa si flettano sotto lo sforzo muscolare di addentrarsi in lei con la voracità di una bestia affamata fin dal primo risveglio. Sta già allargando le cosce per la quarta volta in due ore.
“Non sei curiosa nemmeno di sapere che tipo sia?”
“Lo vorrei tenere in vita solo per torturarlo fino ad annoiarmi delle sue patetiche suppliche addolorate, ma di certo non ho intenzione di sapere quanto cazzo ami, che ne so, il giardinaggio.”
Vasha ingoia un sospiro: Innessa le sta infilando la lingua nell’ombelico, prima di morderle la carne tenera che lo circonda. “Quello che dici è sexy da morire. Ti sfido a trovare la parte negativa.”
“Io, con gli esseri umani, mi comporto come mi comporto con le bestie: un solo colpo e sono fuori dai giochi, ma non c’è punto di ritorno se inizi a trattare gli uomini da uomini. Ho ancora tempo per perdere l’ultima forma di altruismo che mi rimane.”
ㅤ ㅤㅤ ㅤ
ㅤ ㅤㅤ ㅤ
ㅤ ㅤ
ㅤ ㅤ
“Penso di essere sociopatica,” le dice un giorno.
“No, sei solo stupida.”
Non lo è, ma si comporta come tale. Come quando stanno sull’autobus e Innessa inizia a infossarsi il lecca lecca talmente a fondo nella guancia da farlo venire duro ad un vecchio davanti a loro, per esempio. Nel ripensarci, quindici minuti dopo, 𝐕𝐚𝐫𝐯𝐚𝐫𝐚 è così arrabbiata che le tira le trecce lunghissime. La fa sbilanciare dall’altalena e quasi si rompe il collo, Innessa, e quasi lo rompe a lei in segno di vendetta. “Ma che hai in testa, idiota?”
“Non capisco perché devi sempre fare così.”
“Così come?”
“Scopare con tutti. Sempre. Sei ossessionata.”
Innessa si sistema e, finalmente, la fissa. Succede poche volte, ma quando accade, Varvara si sente al centro di un occhio di bue gigante che proviene dall’alto, un faro luminosissimo che la schiaccia tra le travi di un parquet immaginario. Anche se sua sorella non ha niente, al di sotto delle ciglia, se non due piccole iridi svuotate.
“Se non dico di no, non possono stuprarmi.”
Il cielo è plumbeo, pare quasi voglia caderle addosso e diventare tutt’uno con l’erba incolta del parco. A proposito, le sta solleticano da dieci minuti i polpacci, dà fastidio. Varvara fatica a spostare lo sguardo da quello di Innessa sedicenne. Si presuppone che certe cose si dicano puntando gli occhi altrove, ma 𝐿𝑒𝑖 la osserva come se le volesse far vomitare a forza una reazione dalla gola. Anche Varvara ha paura della verità. Non è sempre stata l’eccezionale sorella maggiore che vuole far credere agli altri. A quattordici anni, qualcosa la fa talmente arrabbiare che l’unico modo per non farsi rompere una costola, per Innessa, è stato quello di contrattaccare e scappare in bagno con un’intera ciocca dei suoi capelli in mano, il naso colante di sangue e almeno dieci perché incagliati tra i denti. Probabilmente non le verrà mai perdonato il fatto che quel pomeriggio non abbia indagato.
ㅤ ㅤㅤ ㅤ
ㅤ ㅤㅤ ㅤ
ㅤ ㅤ
ㅤ ㅤ
Cuba l’ha privata del segno dell’abbronzatura: dai pantaloncini inesistenti non spuntano più quelle due striscioline sottili che le abbracciano i fianchi, lasciando solo che emergano le ossa pelviche oltre la pelle sottile del ventre. Sua zia è sdraiata sul divano, la testa sul bracciolo e i piedi che gli tapinano le cosce ogniqualvolta le sue mani allentano la pressione dei palmi. La sta massaggiando da mezzora, ormai. 𝐿𝑒𝑖 è in silenzio, guarda il soffitto, qualche volta sussurra robaccia in russo. 𝐒𝐞𝐨𝐣𝐢𝐧 oggi ha l’ossessione per le ossa dei polsi, vorrebbe spezzarglieli.
“Non avrò mai un figlio, per questo motivo Byunghun non mi inserirà mai nel testamento come unica erede di tutte le sue ricchezze.” Innessa non gli sta propriamente parlando, piuttosto sta pensando ad alta voce, conscia della fedeltà che nutre nei suoi confronti. Le alliscia il collo del piede, una Winston incastrata tra i denti; 𝐿𝑒𝑖 sta fumando un sigaro. Souvenir, l’ha chiamato. “Come tutte le cose che amo troppo, penso sia arrivato il momento di disfarmene.”
Le dita di Seojin si bloccano sulla sua pelle; Innessa lo schiaffeggia con la pianta del piede e lui torna a macinarle la carne, silenzioso come un sacerdote. “Come vorresti farlo?”
“Non lo so. So solo che dovrò sposare quello schifoso di tuo padre, lui è così stupido che mi inserirebbe nel testamento intestandomi tutto. Ed ecco che a me va la fortuna dei Jung, togliendo quello che spetta a te. L’unico problema è che vorrà scoparmi, chissà se ci riuscirebbe. Dopotutto, suo figlio non è che abbia segnato il traguardo” Lui esercita troppa pressione e 𝐿𝑒𝑖 gli schiaffeggia nuovamente la guancia. Non sa se lo raccapriccia più l’idea di immaginare Innessa e suo padre assieme o la tendenza a denigrare gli uomini che intercorre in tutte le sue frasi del cazzo. Lo irrita. “Mi disferei anche di lui.”
Seojin tace. La guarda da sotto la frangia corvina, Innessa sta ricambiando con un sopracciglio inarcato. Certo, è ovvio che 𝐿𝑒𝑖 conosca la domanda che sta per rifilarle: “E io?”
“Se sposo tuo padre potrò adottarti, bambino mio. Diventerei la tua mammina sexy e si chiuderebbe il cerchio.”
Passa forse un minuto, un minuto e mezzo, un’eternità, prima che lui le risponda. “Quando lo faresti?”
Ma Innessa ride, gli molla un altro calcio sulla guancia e si riempie la bocca da puttana col fumo del sigaro. “Chissà. Era solo un’idea.” Lo poggia in bilico sul bracciolo per sollevarsi e riempirsi il bicchierino del Brandy, che giace a terra. Lo manda giù tutto d’un sorso, la lunga treccia si infila tra le scapole e le dondola contro le chiappe semi-scoperte. Seojin ancora non ha superato la fase in cui vorrebbe spremerci il naso come fanno i cani. Sua zia si lascia cadere nuovamente con la schiena sul divano e gli strofina il retro del collo con un polpaccio, attirando la sua attenzione sul lieve avvallamento che congiunge quelle cosce spalancate. Riesce a distinguere la forma della sua fica demoniaca nonostante la presenza della stoffa. Le vorrebbe tappare la bocca con una mano e farla stare finalmente zitta mentre conquista ciò ch’è suo di diritto. “Dopo i trent’anni. Eliminati quei due, angelo, finalmente potrai avermi. Tutta per te.”
Seojin non ha intenzione di aspettare i trent’anni di Innessa.
ㅤ ㅤㅤ ㅤ
ㅤ ㅤ
ㅤ ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ
ㅤ ㅤㅤ ㅤ
ㅤ ㅤ
ㅤ ㅤ
Le sue giornate si costruiscono sempre sulla stessa semplicità. Si sveglia, prepara due uova al tegamino, fuma una sigaretta e si consuma la bocca con almeno cinque sbadigli filati. I primi giorni, l’impresa titanica è stata quella di tornare, o meglio, di diventare abile ai fornelli dopo anni ad essere rimpinzata dalla cucina egregia degli chef personali. Quindi, pranzo o cena che siano, 𝗜𝗻𝗻𝗲𝘀𝘀𝗮 butta nell’acqua pesce e verdure e va avanti di zuppa o carne alla griglia. Lava i piatti nel ruscello che si nasconde tra gli alberi, sapone biologico alla mano che sgrassa solo unito all’olio di gomito, e se il freddo non le punge troppo la pelle si spoglia e si butta nell’acqua. Restare puliti è la vera sfida. Quando può, monta a cavallo della sua Jeep e scende fino a Geiranger, altrimenti deve ingegnarsi con la doccetta da campeggio o i flussi gelidi che offre la Norvegia. D’altronde Innessa ripudia la convenzione dei vestiti e ogni occasione è buona per liberarsene; una maglia buttata a terra, gli slip che pendono dagli aghi della tenda come fossero bandiere colonialiste, un calzino qui e un calzino lì. Dal punto in cui si è stabilita non vede la città: ci sono solo lei e qualche impronta rosea lontanissima che le ricorda di premersi l’Imperiale Montecarlo contro il fianco.
Dormire in tenda è strano. Lo è fino alla fine della sua permanenza nel Geirangerfjord. Le pareti sono inesistenti e percepisci la natura pulsarti addosso come se volesse spremerti nei suoi grossi polmoni bestiali. Innessa non chiude occhio se non nelle ore diurne, almeno per i primi due giorni. L’adrenalina che le morde il ventre la fa sentire viva. Qualcosa scricchiola all’esterno e le dita scattano sul grilletto. Il terzo giorno si addormenta. Il quarto, invece, si infila una mano tra le cosce e si crogiola nell’amplesso più bello che abbia mai avuto con se stessa. Masturbarsi nel bel mezzo del nulla è qualcosa che tutti dovrebbero fare una volta nella vita.
Si è stanziata a ridosso di uno strapiombo. L’erba si fa scivolosa di rugiada e fa slittare i piedi ogniqualvolta che Innessa venga spinta dalla curiosità a raggiungere il confine del suo isolotto. La roccia precipita nell’acqua. Basterebbe lasciarsi cadere e il primo impatto si avrebbe con una delle ossa che emergono dallo scheletro della montagna, prima di frantumarsi sulla superficie del mare. Lanciarsi è stato il primo desiderio di morte che ha avuto. È facile, veloce, probabilmente indolore se hai la fortuna di non restare paralizzato in uno stato comatoso del cazzo.
Preferisce addormentarsi in quella porzione di mondo, a ridosso del dirupo. Dapprima lo fa di giorno, per recuperare le ore in cui non ha dormito nella notte. Qualche volta in slip, qualche volta nuda, raramente con più di una maglietta addosso. Pancia rivolta verso il terreno, il sangue dell’erba spalmato su una guancia, sulle ginocchia, sui punti di contatto tra lei e la pelle verde della natura. La seconda volta si sveglia e ha un piede che galleggia nell’aria. Si spaventa così tanto che lo fa una terza volta, ma alla quarta non ha già più paura.
L’unico vero talento di Innessa è sapersi togliere dalle palle nel momento più opportuno. Sceglie l’intercapedine perfetta tra un istante e l’altro ed è lì che scompare in un mare di rose, come il più stupido dei trucchi di magia. Possono spingerle addosso qualsiasi altro pregio, ma in realtà è solo questo. Innessa non è nulla di più. Si sente minuscola e meravigliosa e impettita e incodardita come chiunque davanti gli immensi obbrobri di Madre Natura.
Al quinto giorno sta ballando attorno al fuoco, quando decide di attaccarsi alla bocca invitante del Brandy. Si sente uno schifo. Le prende così male che ripensa a quella volta in cui si è procurata un aborto. Ah, è passato solo un mese. Povero Seojin, pensa. Nato e cresciuto in una famiglia tanto rispettabile, solo per diventare una pedina sulla scacchiera della Signora Nessuno.
La notte fa freddo per davvero, cazzo. Innessa batte i denti. Morire di ipotermia è una delle poche eventualità a non galvanizzarla. Inizia a pizzicarsi la pelle con le unghie e la mattina dopo si ritrova piena di graffi: racconterà di essere stata aggredita nella notte da qualche animale. Un uomo, forse. La differenza tanto sta nella dignità, no? Uno ce l’ha, l’altro no.
Un pomeriggio si imbatte in un fotografo naturalistico. Entrambi si beccano un grande spavento. Finiscono per sorseggiare birra attorno al fuoco, gli offre di dormire nella sua Jeep mentre lei resta in tenda. Innessa parla di Byunghun, di quello che le disse la prima volta che s’incontrarono, qualcosa sul preferire le donne povere perché sanno essere anche molto cattive. Il cielo appare vicinissimo, Innessa nutre il presagio che, da un momento all’altro, la risucchierà nella sua voragine di astri. Sono dieci, quindici giorni che non tocca un uomo. Il tipo, un norvegese dalla zazzera biondissima, le allunga una mano sulla coscia. “Non mi va.” “Okay.” “Oh, è stato facile.” “Un no basta e avanza.” “Eppure sembra che i miei no non vengano mai rispettati. Forse sono poco convincente. Forse non mi piace essere rispettata.” Non si ricorderà mai il suo nome.
Il 29 Agosto vuole morire più degli altri giorni. Il cielo è grigio. Guarda verso il basso, è completamente nuda, le braccia dietro alla schiena e il fucile schiaffato ad un paio di metri di distanza. I capelli le pendono da tutte le parti, chissà se si animerebbero per salvarla durante la caduta. Ci sono momenti in cui Innessa o sente troppo o non sente niente. È una montagna russa del cazzo e lei non ci sta seduta, no, ma rimane incastrata con la caviglia durante il tentativo di lanciarsi giù e quindi si fa strattonare di qui e di lì, tenuta solo per un’estremità del corpo. Oggi è uno di quei momenti in cui non prova nulla ed è l’unica cosa che la terrorizza da tutta la vita. Madre Natura le respira addosso, le bacia il collo e la spinge per i fianchi. La sta reclamando. Concimami, dice. Fertilizzami, incalza. Innessa vorrebbe risponderle che l’avvelenerebbe, ma Madre Natura insiste, perché lei è l’unica a non vederla come erbaccia da estirpare. Si sente più vuota di quello che segue lo strapiombo. Fa danzare un piede nell’atmosfera. Innessa vuole smettere di avere paura.
0 notes
Text
Ushio e Tora Perfect edition 6
Il ritorno di due intramontabili eroi dei manga in una Perfect Edition arricchita con inedite pagine a colori e contenuti extra. Le origini di Ushio e Tora, il loro girovagare per il Giappone, i mostri che incontreranno lungo il cammino… Si riapre la lunga e avventurosa caccia ai demoni malvagi! Dopo aver rimosso il sigillo della Lancia della Bestia, Ushio è diventato fortissimo. Tuttavia il…
View On WordPress
1 note
·
View note