#il ritorno della bestia
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I GIAPPONESI, MEDIAMENTE, STANNO MALE MA LA SANNO LUNGA (cit.)
Ieri, oltre ad aver sistemato il problema al motore del mio fuoristrada appiccicando dello scotch davanti alla spia del guasto (si chiama Metodo Vorace Bestia Bugblatta di Traal), un tamblero ungherese mi ha suggerito di fare un upgrade e coprire i gemiti del motore ascoltando la musica a tutto volume (il mio motore emetteva gemiti? Non lo so... avevo la musica a tutto volume!)
Fatto sta che in un impeto di autolesionismo estremo, su youtube scelgo un collage della durata di 60 minuti - il tempo del viaggio di ritorno a casa senza fare i tornanti in derapata, sia mai che i gemiti del motore coprissero la musica - dicevo, un collage di tutte le sigle dei cartoni animati anni '70-'80, quindi Cristina D'Avena esclusa.
Ora, può darsi che i miei gusti musicali siano pessimi (lo sono) e che io abbia la sindrome di Munchausen a Stoccolma (mi avveleno da solo con cose che mi hanno reso psicodipendente da bambino) però è stato un viaggio davvero molto... istruttivo (che fatica non aver messo la D) perché mi sono reso conto che oggi i bambini non possono avere ciò di cui è stato fatto dono a chi guardava i cartoni animati sulle tv regionali.
Il trauma psicofisico di una violenza televisiva gratuita e improvvisa senza la minima censura o il minimo controllo della società.
E non sto parlando di Goku che frugava nelle mutande di Bulma chiedendosi cosa fosse quella cosa ma robe tipo Ninja Kamui, Kyashan o Judo Boy che AMMAZZAVANO DI BRUTTO LA GENTE CON TANTO DI TORTURA E SCHIZZI DI SANGUE.
Voglio dire, l'Uomo Tigre crepava di mazzate i suoi avversari ma non modello Goku Super Sayan AAAAAAAAHHHHHH!!!!... una roba più tipo il poliziotto preso a rasoiate in Pulp Fiction
E cosa dire di Bem il Mostro Umano?
Cioè, non lo so... 'umano' perché lui dava solo bastonate, mentre i cattivi cavavano occhi, evisceravano pance e torturavano bambini. Letteralmente.
Ho in mente questa scena in cui Ninja Kamui sta meditando su un albero (?!) e a poca distanza da lui un brigante cattura una donna e le taglia la gola con un coltello... uno schizzo di sangue della vittima imbratta il volto del protagonista ma il narratore afferma subito che lo stato di meditazione del ninja era così profondo che lui non poteva accorgersene.
Avevo 9 anni.
In genere, però, anche nelle serie più kid-friendly c'era questo sottile filo di sado-masochismo per cui ok che il/la protagonista trionfava ma per riuscirci dovevano SOFFRIRE VISTOSAMENTE, preferibilmente assistendo alla morte atroce di parenti o amici di infanzia e subendo torture da Guantanamo (spesso autoinflitte, per quella storia di Nietzsche temo un po' sfuggita di mano al mangaka).
Comunque - e qua so di citare un cosa praticamente irraggiungibile conoscitivamente dalla maggior parte di voi - la cosa che ancora adesso mi mette più angoscia è il ricordo di Madame Butterfly che durante gli allenamenti fa espodere con furia le palline da tennis contro al muro.
Poi sono arrivati il MOIGE e il CODACONS, quindi ora i bambini vivono in uno stato di dissociazione mentale dovuto ai buchi di trama per i tagli censori e alle cugine assolutamente non lesbiche di Sailor Moon.
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Se le parole arriveranno per altre canzoni
Post lungo su Marco Masini. Sono fan di Maso da quando ho memoria, ma so di far parte di una minoranza, quindi continuo dopo il salto
C'è Sanremo. Ho questo post in canna da mesi, ma ho voluto aspettare il festival perché ho pensato (sperato) che avrebbe partecipato, o magari avrebbe approfittato del festival per far uscire un nuovo album. Il fatto è che è in ritardo, e non lo è solo ora, è in ritardo da quando è tornato, dal 2005.
"Breve" ripasso per chi si fosse perso la storia di Masini.
Esordisce come cantante professionista e solista vincendo un Sanremo Giovani nel 1990 con Disperato, arrivando secondo l'anno successivo con Perché lo fai. Negli anni '90 ha fatto uscire dei pezzi incredibili, che tutt'ora porta ai concerti perché sono i pezzi a cui i suoi fans sono più affezionati. Personalmente, credo di aver ascoltato talmente tante volte l'album Il cielo della vergine (quello con Bella stronza e Principessa, per capirci... cacchio, due delle sue più belle canzoni in un solo album!) tanto da consumare il nastro.
Poi, come per Mia Martini, si diffuse la voce che Marco Masini portava sfiga. E fu la fine.
(Me ne andrò nel rumore dei fischi Sarò io a liberarvi di me Di quel pazzo che grida nei dischi Il bisogno d'amore che c'è)
Nel 2001 uscì l'album Uscita di sicurezza. L'album contiene una canzone, a mio parere nemmeno tanto bella o memorabile (Il gusto di esistere), che però dice così
Ma ho sotterrato il presente distante e mi son ritrovato nuovo Come una pianta che nasce da un seme o una bestia da un uovo Ed ho pagato il biglietto di vivere in una maniera diversa Come l'omino che corre all'uscita di sicurezza Perché il gusto di esistere da quando son nato Il gusto di esistere non mi è ancora passato!
Ci stava salutando. Stava salutando noi fans perché quella era l'ultima canzone dell'album, ed era, in quel momento, il suo ultimo album. Pochi mesi dopo l'uscita del disco, ha annunciato il ritiro.
L'ho ritrovato anni dopo, in un concerto organizzato in concomitanza a un raduno di Alleanza Nazionale (già), nell'estate 2003, in provincia di Roma. Era la sua prima apparizione pubblica dopo Uscita di Sicurezza. L'ho trovato dimagrito, anzi, in condizioni pessime. Credo non pesasse più di 55 kg circa, forse arrivava a 60. Però fece il concerto, e tenne botta per due ore. Mesi dopo annunciò il ritorno e la partecipazione a Sanremo, e quell'anno vinse! Durante quel periodo uscirono un po' di singoli, tra cui L'uomo volante che vinse al festival, per poi pubblicarli prima in una raccolta chiamata ...Il mio cammino, poi una raccolta chiamata Masini dopo Sanremo, per includere anche quella traccia.
Due anni dopo l'addio già tornava. Allora pensai che si era accorto che voleva continuare, ed ero strafelice. Partecipò ancora a Sanremo e uscì un album tra quelli che amo di più: Il giardino delle api. Solo canzoni inedite. Siamo al 2005.
Poi raccolte, raccolte, rifacimenti... dopo il 2005 uscirono album di inediti nel 2009, nel 2011 e nel 2017. E basta. Ha partecipato a spettacoli, ha cantato canzoni di altri, ha registrato dei live, ha inciso dischi con sue vecchie canzoni riarrangiate... ma niente di nuovo. Dal 2011 al 2017 sono 6 anni, dal 2017 a oggi sono 7 anni. Negli ultimi 19 anni, finora, ha pubblicato quattro albumi di canzoni nuove
E poi ripenso a una canzone del 2011: Marco come me, nell'album Niente d'importante. È una canzone autobiografica (ogni tanto ne fa), che fa da risposta - o almeno io la leggo come una risposta - a una canzone molto più vecchia: 10 anni del 2000. Entrambe le canzoni chiudono i rispettivi album e nei vecchi concerti (prima del 2010, diciamo, che poi non li ho più visti) 10 anni era la canzone di chiusura. Dice:
Io canterò di città in città, Cercando sempre i tuoi occhi E ti sorriderò. Io volerò sopra questa realtà E non saremo mai vecchi E non ti perderò. Ma, oltre questo miracolo, Io sto aspettando la vita come te, In questo eterno spettacolo Che faccio per amore, amore, Amore, amore, amore, amore sì! Sì! Fra i tuoi sogni e i miei sbagli Sono passati così Questi nostri dieci anni interminabili
Chiudeva i concerti parlando con noi al pubblico, dedicandoci un pensiero, augurandosi di trovarci e sorriderci ancora. Poi arriva il 2011, Marco come me:
E poi non resta tempo per raccontare di me I riflettori ormai si sono spenti, e il pubblico non c'è E l'eco delle voci e degli applausi sfuma Un po' di autografi, e qualcuno sa dove si cena Ho raccontato storie, confezionato bugie Verissime e sincere le ho rubate oppure sono mie. Hai visto quanta gente, ho visto sì ma forse Erano qui per uno che si chiama Marco come me, E veste come me e ride come me, Si prende la ribalta ed il calore come se La vita vera poi non riguardasse lui E me la lascia lì buttata fuori dal teatro E neanche sale con me in macchina. E non gli fa paura il tempo che è passato E non s'incazza se gli dicono non sei cresciuto Non si è mai domandato cosa farà domani Se le parole arriveranno per altre canzoni. Invece io ci penso quando rimango solo In camere d'albergo presto che perdiamo il volo. Ed in quest'altra città lo incontrerò stasera C'è il manifesto di uno che si chiama Marco come me E parla come me, si muove come me Guarda una ragazza ed un ragazzo come se Quella felicità mentre cantano con lui Bastasse a riscaldare un camerino freddo Quando mano nella mano vanno via. La macchina è già pronta, ci salgo e metto in moto Ed inseguo ancora uno che si chiama Marco come me.
Ecco, io questo post lo scrivo per quei versi in neretto, cantati nel 2011, ma evidentemente non tanto lontani. Questo testo l'ho voluto mettere tutto perché tagliarlo non aveva senso. È un appello, sta dicendo qualcosa di spiacevole e lo sta dicendo - di nuovo - a noi fans. Ci sta dicendo, già nel 2011, che è una vita che gli pesa e l'affetto del pubblico forse non è più sufficiente.
L'album del 2017 è stato interessante, ma non memorabile. Sono usciti singoli nuovi, pubblicati in raccolte con canzoni vecchie, ma un album di 7-12 canzoni tutte nuove lo stiamo ancora aspettando.
Questo post non è una lamentela, più che altro è uno sfogo. Quindi - chissà che Marco non passi di qui - lo finisco con un saluto: il tuo pubblico ti aspetta, ma grazie comunque di tutto fino a ora e in bocca al lupo.
Il 18 settembre 2024 Marco Masini compirà 60 anni... magari il prossimo album uscirà in quella occasione
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Chi avrebbe mai detto che saresti stata l'unica fra tante, chi l'avrebbe mai detto che saremo arrivati a specchiarci in due volti invisibili storpiati da forze esterne a ciò che possediamo, non si razionalizza in termini terreni, fuori controllo trovo i miei sentimenti al richiamo della tua voce, fuori controllo il mio amor proprio, fuori controllo ogni paura che perdo accarezzando le tue ferite, proprio lì, in quel momento esatto ti vorrei immortalare appoggiando i miei sogni felici sul cuscino sapendo che al risveglio sarai ancora al mio fianco, a dirmi che ce la faremo, chi l'avrebbe mai detto che avrei potuto sentire il mio cuore battere sul serio senza fingere per la prima volta? mi domando spesso chi potesse essere il pazzo a volere le nostre anime disperse unite ad un solo viaggio di evoluzione, sofferto condannato alla resa, appoggiato ad una speranza campata in aria perché sei consapevole del grosso errore che fai rimanendo in attesa del suo ritorno, non puoi, egoisticamente parlando torturarti fino al punto che lei capisca...devi trovare l'essere amando entrambe le parti tu e lei in un modo unico. Perdonami se non riesco ad amarmi, non sono mai stata brava a farlo e lo sai perché essendo la mia rivoluzione oscura che nego di avere dentro, sai che non mi amo abbastanza e ferendomi me lo mostri ogni giorno...e di questo te ne sono grata, non avrei mai potuto capire l'origine senza l'immagine.
Sai quant'è difficile, eccome se lo sai...fa male anche a te, inutile fingere, ricordati che riesco a sentirti inevitabilmente anche senza il bisogno di mandarti un messaggio, ed è per questo che ti chiedo di non respingermi, ti chiedo di lottare insieme, di ascoltare i bisogni dell'altro, dirsi le cose per come stanno, ti chiedo di guardarmi dentro guardando te, io so chi sei, potrai ingannare chiunque attorno ma non me, mentimi, mettimi alla prova ma...io mi fido di te e se posso farlo io puoi farlo anche tu, ancora una volta, un'ultima volta, ti prego amore mio puoi farlo? Non l'avrei mai detto che saresti diventata per me l'eccezione che manda all'inferno la regola, eri tu allora, sei tu adesso e sarai tu per tutta la mia esistenza, stringimi anche stanotte ti prego, non lasciarmi almeno lì dentro, portami con te ovunque tu voglia andare, ti prendo per mano e andremo dove la felicità arriverà ad abbondare sui tuoi occhi e te lo giuro non ci sarà mai più tempo o spazio a separarci, non importano i treni che prenderemo le stazioni da visitare, i posti già visti e i volti familiari, tu ed io siamo storia che rimane.❤
E per ciò che vale nel mio cuore voglio che ci rimani. Tu...una stupida bambina capricciosa che si crede una 'donna matura' e ti manda in bestia questo suo aspetto, ci rifletti, lo noti e ti appartiene ma non ti ci soffermi senti una sensazione come se le è stato imposto...da un passato orrendo, è dovuta crescere troppo in fretta e sorridi perché non puoi odiare la bambina che vive dentro di te. Quella bambina che lei vuole rinnegare a tutti i costi. Ma io non te lo permetterò. Perché questa piccolina qui ha bisogno di tanto amore e io voglio darglielo. voglio renderla felice, voglio stare con lei non con un'altra, voglio crescermela io e regalarle stitch ad ogni anno che compirà😍 non voglio trascurarla, voglio darle affetto, un abbraccio sincero, quello che si sarebbe aspettata dagli altri...perché se lo merita. Quindi fai quello che ti pare stupida lunatica ma io continuerò ad amarti...🦋
Non potrai fare niente per cambiare ciò che voglio. ❤ Ciò che siamo più che altro...🔥🧸
@occhicastanitristi-blog @delusa-da-tutti @cuoregelidoo-blog
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22.01.2025
Mio padre, che per quanto il cui rapporto possa essere incrinato ogni tanto ma, nonostante ciò, inframezzato da qualche dimostrazione di affetto - seppur condizionato dalle questioni economiche familiari - improvvisa e inaspettata, è in possesso di questa adorabile cagnetta bianca, un batuffolino color canino, giallino qua e la dopo gli anni di utilizzo, marrone intorno agli occhi cisposi, che se cresce un po' troppo il pelo non glieli vedi più e, parallelamente, lei non vede più te o nessun'altra cosa che la circonda, il che la rende un cane a metà, ostacolato nelle sue barbare e selvagge necessità, che è un poco rompina se c'è da dirla tutta, ma comunque rispettosamente, utilizzando parole che potrebbero sì, shockare qualche malelingua ma che, tutto sommato, considero ancora utilizzabili nonostante il periodo storico di particolare premura espressiva, perché si, ok che è affezionata e tutto - anche se qui si potrebbe tranquillamente aprire una parentesi sull'affetto dimostrato dei cani e della loro tendenza, in primis, alla dipendenza emotiva hegeliana schiavo-padrone e viceversa; e poi sulla natura di un sentimento che, non per i cinofili sicuramente, qualcuno potrebbe considerare strano se associato a qualcosa di non umano, per quanto una bestia del genere e un uomo possano essere egualmente pelosi.- però è uno di quei cani mignon da borsetta e taschino, bolognese russo, un cipollotto grande quanto una sorpresa del vecchissimo SuperBenafanoneTM - che ormai non esiste più perché qualche nostra generazione passata, sconsiderata e un po' troppo rallegrata dalla spinta progressivo-positivista dell'immediato dopoguerra, ha giocato un po' troppo con l'interruttore della luce, a molla, arricci la coda e parte in un turbinio tale, uno di quegli sgorbi che se non la guardi o non la accarezzi o non le respiri affianco o non le stai vicino qualsiasi istante miserabile e ogni due secondi non stai attento che non si soffochi con i fazzoletti di carta pieni di moccio e i cottonfioc che non capisci perché la aggradano così tanto, le esplode il cuore dalla malinconia, una di quelle cagnoline che dopo essersi tranquillamente laccate il buco dal quale pisciano e cagano (addosso) vengono a riempirti di baci e slabbrate come se fossi un francobollo o, per un bambino delle scuole elementari (come lo ero io), la superfice del tavolo di classe appena lavata con candeggina e detergenti, che a sentirne il sapore un poco ricordava il cruscotto di una vecchia Fiat Panda (1980), o la cintura di tale vecchia Fiat Panda (1980) perfino - per quanto, io, da bambino, non sia mai, e neanche in tempi recenti, davvero, salito su una Fiat Panda (1980), bensì, molto probabilmente, su una Fiat Panda Elettra (1990) o, addirittura, come via di mezzo, su una Fiat Panda (1986), ma adesso non è importante - e a strusciarsi sulla tua schiena, sulle tue braccia, sulla tua testa e capelli, sul tuo quadricipite femorale e lo sternocleidomastoideo e chissà quali altri spettacolarità della nostra poche-à-douille di ossa, carni, interiora e ventricoli marci e puzzolenti che ogni tanto umanamente e romanticamente chiamiamo 'corpo umano'. A qualcuno piacerà.
La storia è questa: che stanotte stavo dormendo, incredibile ma vero per i lettori che non sono ancora avvezzi alle mie questioni nistagmiche e ipnagogiche, e non mi sono accorto di niente, niet, nein, null e quanto altro, e 'sta qua, questo ultraschifo di cui parlavo poco sopra, è venuta, saranno state le tre o le quattro di notte o suppergiù, o almeno così immagino sia successo - a meno che, e ci sarebbe da preoccuparsi, non sia stato colpito da una crisi convulsiva ipertrofica senza successivo ritorno di fiamma e scombussolamento cerebro-emotivo e scompensi di sorta che mi avrebbero effettivamente fatto pensare :"Oddio, devo proprio aver avuto una crisi compulsiva ipertrofica con successivo ritorno di fiamma e scombussolamento cerebro-emotivo e scompensi di sorta", e mi ha mangiato occhiali, portafogli e libro che stavol, previa dormita, eggendo, lanciando per terra e in aria tutto quanto al punto che, al mio tardo risveglio (sia lodato ancora una volta il cielo per questo ennesimo favore), intorno a me sembrava essersi appena manifestata la peggiore furia della vanità savonarolanese, un Tatort tale degno da indagine dell'Interpol and that.
Meno male che non ha rotto niente.
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L'amore mi ferisce....
Il mio cuore inghiottirà il tuo..
Perché tu sei la bellezza e io sono la bestia.
L'amore mi ferisce....
E i muri della tentazione crollano sempre più..
Perché tu sei la bellezza e io sono la bestia.
L'amore mi ferisce.....
Nessuna via d'uscita e nessuna via di ritorno..
Sei la mia sposa vestita di bianco con veli così rosso peccato.
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Marina
Cronaca della festa di sabato, perchè è stata la cosa più bella e divertente degli ultimi mesi. Partiamo solo io e Irene, 2 ore e mezza di treno fino a Pisa, poi alla festa c'erano un sacco di amici, Bao che suonava, Andrea e tutta la gente di brescia. Ci viene regalata una piccola pallina luminosa con cui giocare, e quando finisce la festa proviamo a procurarci un passaggio per l'after, ma è difficile, così chiamo un taxi, che per soli 36 euro ci porta in un posto sperduto a fianco al mare. Noi ci interroghiamo un po, ridiamo molto, poi ci fanno entrare in una casetta proprio sul mare, fuori fa un freddo bestia alle 5 del mattino, ma ci sediamo sul dondolo e ridiamo fortissimo sia perchè ci sembra di essere capitati a casa dello zio Franco, sia perchè sentiamo qualcuno che si sente male e vomita dietro di noi. Ci facciamo mille film su come lo zio franco sia stato convinto a far fare l'after, mentre continuiamo a sentirlo vomitare.
Alla fine arriva un po di gente, parte la musica, e passiamo 4 ore di delirio puro, come sempre agli after c'è sempre e solo il meglio. Troviamo anche un bangladese che si rivela essere il fratello gemello mancato di Irene, parlano la stessa lingua memetica, davero super surreale.
Altro taxi, altri 33 euro, stazione, e lunghissimo ritorno in treno a casa.
E vorrei dire che sono stato sereno, che non ho mai pensato a cose intrusive, che non mi sono sentito in colpa perchè mi stavo divertendo. Ma non posso.
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Mino Minardi - Il nuovo singolo “Vento”
Il brano tratta della redenzione spirituale ed è distribuito da Virgin Music Group per Boot Music Group
Il cantautore Mino Minardi pubblica il nuovo singolo “Vento”, disponibile dal 1° dicembre 2024 sugli stores digitali e nelle radio in promozione nazionale. Il mix e il master sono stati curati dal Vox Recording Studio, mentre la distribuzione è nelle mani di Virgin Music Group, per conto di Boot Music Group di Pentimone. Il protagonista del brano è un uomo che, nella sua sofferenza, riesce a scorgere la luce e capisce che bisogna lasciare indietro il passato. Le strofe presentano versi come “E mi sentivo fragile e inutile”, “Ma poi ho compreso che”, che incarnano a pieno il cambiamento. L’uomo sale verso il vento e si lascia trasportare dal suo impeto, proprio come recita lo stesso ritornello. La morale del brano sta nell’importanza della famiglia e nella capacità di diventare uomini, anime imperfette che naufragano in alto mare. Il brano è un racconto di redenzione, di come si possa ritrovare la propria Fede.
“Dimmi come ci si sente quando torni a respirare senza più temere niente, senza più farti del male” Mino Minardi
Ascolta il brano
Storia dell’artista
Jacopo "Mino" Minardi nasce a Montecchio il 21/2/1995, ma da sempre vive a Barco di Bibbiano, dove ha coltivato fin dalla prima infanzia il suo amore per la musica. Spinto dal papà a cimentarsi con la chitarra, quando era ragazzino, Mino non ha mai smesso di inseguire il suo sogno e a soli vent'anni scrive il primo di tanti testi che però rimangono nel cassetto. Nell'estate del 2019 decide di uscire dal suo guscio, esibendosi davanti al pubblico con il singolo "Estate": è il trampolino di lancio per Mino che poi spopola in radio con "Profumo di caffè" hit latineggiante del 2020, nata dalla notizia della dolce attesa di un figlio dalla sua amata moglie Elena. Nello stesso periodo, prende vita il primo EP composto da quattro canzoni. Nel giorno del ventiseiesimo compleanno di Mino, esce "La bella e la bestia", singolo portato a Sanremo New Talent, che parla di come bisogna assolutamente amarsi e accettarsi nonostante le diversità. I tempi sono ormai maturi per l'uscita del primo album arrangiato dall'amico Alessandro "Perez" Peretto dei "Mai noi no" e prodotto dall'amico Andrea Fontanesi del Vox Recording Studio: otto brani che spaziano fra amore, fede e politica, un riflesso delle emozioni più profonde che Mino esprime con il suo stile cantautorale. Il legame professionale con Peretto cresce sempre di più e Mino, a ridosso dell'estate 2022, regala un gioiello ai suoi fan: "Tu", un pezzo con una melodia accattivante e un testo emotivamente coinvolgente. L'anno si conclude con il singolo "Tutto è più semplice" che vede la collaborazione di Cristiano Turato e Maurizio Vercon alle chitarre, i quali arrangiano il singolo: un dolce ricordo della nonna che profuma di speranza. Il 2023 si apre con un ritorno alle origini per Mino: il 24 marzo esce "La passione" primo brano scritto dal cantautore di Barco, arrangiato dall'immancabile Alessandro Peretto e prodotto da Vox Recording: un singolo cantautorale e altresì sentimentale, che tratta di un argomento che è ancora tabù, ovvero le malattie mentali. L'arrivo dell'estate porta invece al consolidamento della collaborazione con un'altra musicista reggiana, Denise Fantuzzi: esce "Luna di Miele", seconda canzone del duo Minardi-Fantuzzi, una vera e propria hit estiva, con chitarre latineggianti che accompagnano un tema, la crescita della coppia dalle prime esperienze al matrimonio e infine, appunto alla luna di miele, con suoni freschi e leggeri tipici dei tormentoni estivi da spiaggia. L'arrangiamento è di Dan Cavalca, mentre il mix e master è di Andrea Fontanesi del Vox Recording; uscirà con Boot Music Group tramite Ingrooves. Il 15 dicembre 2023, Mino torna alle origini, dimenticando ciò che è stato il tormentone estivo. Uscirà con lettera d'amore, un brano che tratta un amore malato, un amore che, ripetutamente fatto durare nonostante i vetri fossero già a terra, finirà. Torna col suo stile vintage, e cantautorale. Riprende la collaborazione con Peretto, immancabile negli arrangiamenti di Mino, mentre il mix è a cura del Vox Recording Studio. Uscirà “Vieni Qui”, appena pochi mesi dopo, arrangiato da Alessandro Peretto e prodotto da Vox recording, distribuito da Warner Music per Boot Music Group. L’ultima uscita, invece, risale all’autunno del 2024, “Due farfalle volano”, brano arrangiato completamente da Andrea Fontanesi di Vox Recording, in cui è immancabile la presenza del violino di Erio Reverberi.
Instagram: https://www.instagram.com/mino_minardi?igsh=NmpvZXNuMTc2Nm1t
Facebook: https://www.facebook.com/jacopo.minardimino
YouTube: https://youtube.com/@minominardi3184?si=9CNJ3Kv7Oe68ba1E
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Il fantasma di Ponte alla Carraia
Ponte alla Carraia aveva uno spirito tutto suo: corna lunate, vello ricciuto, zoccoli biforcuti. Un ariete o, più semplicemente, un montone di quelli che i pastori mettono a capo del gregge. A quei tempi, nel costruire un ponte, era buona usanza sacrificare un montone e sotterrarlo sotto un pilone per augurare stabilità alle arcate. Nei pressi del ponte viveva un certo Marrocchio. Un così strano nome, rendeva l'uomo più misterioso. Marrocchio aveva il brutto difetto di bestemmiare quando era a corto di denaro e, a giudicare da quanto spesso questo accadeva, doveva guadagnare poco o essere molto avaro. Neanche in punto di morte perse questa sua cattiva abitudine; tuttavia, prima di morire, Marrocchio si era premurato di mettere al sicuro il suo denaro, come se ritenesse di poter tornare dall'aldilà a riprenderselo. Una pietra sull'arco del ponte gli sembrò un nascondiglio sicuro. Notte tempo, si mise a scalzare la pietra, forse già sconnessa, guardandosi bene intorno per assicurarsi che nessuno lo vedesse. Nello spazio scavato adagiò il suo tesoro e lo ricoprì con la stessa pietra, facendo in modo che non si notasse che era stata spostata. Il ponte alla Carraia, sempre molto transitato, venne in aiuto e provvide a livellarla perfettamente.
Si diceva che Marrocchio avesse venduto l'anima al diavolo, con l'aggravante delle tante bestemmie che uscivano da quella bocca; dopo la sua morte cominciarono a girare storie sul suo fantomatico tesoro scomparso, e la gente sosteneva che non avrebbe trovato pace finché quel denaro occultato non fosse stato ritrovato e speso. Ed è a questo punto della storia che intervenne lo spirito del ponte: uno spirito buono, che si curava della pace dell'anima di Marrocchio, nonostante i suoi spropositi: un piccolo ariete dalle corna lunate che contendeva la sua anima al diavolo. Ogni notte, cominciò ad apparire sul ponte, caracollando innanzi ai rari passanti. Se qualcuno lo avvicinava, d'un balzo spariva in una lingua di fuoco. Se i renaioli cercavano di afferrarlo, dal suo vello uscivano scintille. Molti erano spaventati a morte da questa presenza. Lui, noncurante, ricompariva, rovesciava le barche sul greto, rompeva i remi, scompigliava le reti dei pescatori, si dilettava in ogni sorta di dispetti. Quel piccolo ariete cominciò ad apparire anche di giorno, tanto da diventare una presenza abituale. Col maltempo e col freddo la gente se ne stava in casa e nessuno fece più caso a questo animale. L'Arno, dopo la Carraia, correva libero tra le canne e le alberete e la bestia avrebbe potuto essere scappata da qualche ovile, dove avrebbe fatto ritorno la sera, come è abitudine delle bestie.
In un giorno d'inverno e di bufera, quando chi attraversava il ponte era intento a reggersi le vesti e il berretto contro il vento che mulinava, un giovane riuscì a studiare, inosservato, le mosse del montone. Si accorse che appariva e spariva sempre sulla stessa pietra, e questo lo portò a pensare che il tesoro di Marrocchio fosse nascosto proprio là sotto. Sapeva che la mezzanotte era l'ora più adatta alle apparizioni e a quell'ora tornò. Puntuale l'uomo e puntuale il montone, allo scoccar dei dodici tocchi. Il giovane, con un certo timore, si appressò all'animale, augurando pace a quello spirito; gli disse anche che, qualora fosse a conoscenza del mistero di un tesoro, gli avrebbe offerto il suo aiuto per liberarlo dall'inquietudine che il dover tenere il segreto gli procurava.Per tutta risposta, il montone si mise a tamburellare gli zoccoli sempre sulla stessa pietra e al giovane non fu difficile mantenere la promessa, ricompensata dalla scoperta di un bel gruzzolo d'oro. L'anima di Marrocchio trovò pace, strappata al diavolo dal buon ariete, e nessuna apparizione turbò più il ponte e i passanti. La Carraia era il ponte dei carri che andavano e venivano in città dalla campagna. Un greto renoso, un prato sulle rive e subito campi, alberi, aria libera. Da una parte all'altra, era sosta obbligata dei barrocciai che si fermavano a crocchio lungo le spallette, passavano, rallentavano, sostavano sul carro rosso di minio. Lo zoccolare dei cavalli dall'allegra sonagliera cullava quel viaggio traballante sulle grandi ruote dal mozzo nero. Il sacco di fieno lasciava cadere ogni tanto qualche pagliuzza, indice di buon augurio. Ogni tanto, su quel carro, i barrocciai si sdraiavano come in un letto. Il cavallo conosceva la strada del ritorno e cullava quel riposo nel monotono alternare dei suoi zoccoli stanchi. Figure d'altri tempi, quasi leggendarie, come il piccolo ariete del ponte e lo spirito di Marrocchio, dal nome unico. Anche la Carraia, senza più i suoi carri, ha ormai un nome anacronistico.
Gabriella Bazzani Madonna delle Cerimonie Pubblicità Per soggiorni a Firenze negli appartamenti San Giuseppe 12 contattare: For stays in Florence in the San Giuseppe 12 apartments contact: Antonino Sutera +393497099832 [email protected] Cin IT048017C2WVJQ6CBW Read the full article
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Paolo Berizzi, Il ritorno della bestia. Come questo governo ha risvegliato il peggio dell'Italia, Rizzoli, 2024
vai alla recensione di Repubblica: https://www.repubblica.it/cultura/2024/04/23/news/paolo_berizzi_racconta_onda_nera_pop_che_riscrive_la_nostra_storia-422713773
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Wolverine 29 (433)
• Inizia un nuovo, deflagrante capitolo della vita di Wolverine! • Da qualche tempo, tra la Bestia e Logan non corre più buon sangue… • …ma ora la situazione sta per precipitare! • Il ritorno del Mercante!
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Mamma, chi bussa alla porta?
Amore, non tutte le cose si possono spiegare.
John Talbot era un marinaio inglese, arruolato nella Compagnia britannica delle Indie orientali. Durante il suo ultimo viaggio nella regione sud asiatica, tra il 1703 e il 1706, fu di base a Puri, nell’attuale stato federato di Orissa, nella zona orientale del Paese. Nel tempo libero, che coincideva solitamente con il fine settimana, John e i suoi compagni si dedicavano all’esplorazione e alla caccia, fortemente motivati dal Colonnello Saint-Thomas, comandante della spedizione. Un giorno, esattamente sul finire dell’estate del 1706, decisero di avventurarsi circa ottanta chilometri a nord di Puri, in direzione della foresta di Chandaka, già esplorata in parte l’estate precedente. Colpiti da un improvviso temporale, il gruppo di dieci uomini si disperse nella fitta vegetazione. John Talbot cercò riparo in una grotta infrattata nella boscaglia. Entrandovi, si rese conto che non si trattava di una semplice spaccatura nella roccia, ma che quella grotta, in realtà, era collegata a tante altre, attraverso un’intricata rete di passaggi sotterranei. Decise di passare lì la notte. Accese un fuoco e si sedette all’asciutto, ma, presto, si rese conto di non essere solo. Fu attaccato da una creatura dalle fattezze umane, ma dalla forza di dieci bestie. Un essere pallido come la luna, con lunghi canini, artigli affilati, bava alla bocca e peli diradati qua e là su tutto il corpo. Fu morso ad una gamba, ma riuscì a mettere in fuga la creatura grazie al fuoco. Scappò via e vagò tutta la notte sotto la pioggia, in preda al dolore. Il mattino seguente, passata la bufera, fu recuperato da alcuni dei suoi compagni e riportato a Puri. Nessuno credette al suo racconto e nessuno si chiese mai come fece a guarire in quattro giorni da quella lacerazione così profonda. Nei mesi successivi, John iniziò a provare un forte malessere, anche se la sua forza e la sua resistenza aumentarono a dismisura. Una notte di luna piena, in pieno solstizio d’inverno, pochi giorni prima della partenza per il ritorno a casa, in Inghilterra, John Talbot assunse le sembianze della Bestia e trucidò tre giovani sfortunati che avevano deciso di rincasare tardi. Impaurito, si rivolse a uno sciamano: “Porti il sigillo della Bestia, John Talbot. È inciso lì, sulla tua gamba.” Gettò della polvere sul fuoco e continuò: “Solo le persone che ami potranno salvarti. Gli spiriti mi dicono che fra cinque mesi sarà luna piena anche nella tua terra. Tu uscirai di casa per non far del male a chi ami e chiederai loro di non aprire la porta, mentre sarai fuori di notte. Busserai tre volte e per tre volte loro non dovranno aprirti. Poco prima del sorgere del sole, busserai di nuovo e allora, quando varcherai l’uscio, sarai salvo dalla maledizione.” Quattro mesi dopo, John rientrò in Inghilterra e un mese dopo, poche ore prima del calare del sole, prese da parte sua moglie Angela e le disse quanto accaduto mesi prima e quanto profetizzato dallo sciamano. “Tu sei matto, John - disse -. Credi davvero a queste cose?” Lui: “So cosa ho visto, so cosa mi è capitato e so cosa ho fatto. Amore, non tutte le cose si possono spiegare. Se non vuoi farlo per me, fallo per la piccola Lily.” Lei lo rassicurò con un velo di superficialità, pensando ancora che stesse scherzando. Lui uscì. Passata la mezzanotte, John Talbot bussò due volte, in due momenti diversi. Angela non aprì, ma, stanca dalle fatiche della giornata, dopo la seconda volta crollò in un sonno profondo. Quando John si presentò di nuovo alla porta, bussando con insistenza, Angela aveva ormai perso la cognizione del tempo. La svegliò Lily, chiedendole: “Mamma, chi bussa alla porta?” Lei: “È quel matto di tuo padre” - disse sorridendo. Girò la chiave e la Bestia balzò dentro trucidando lei e la piccola. Il mattino seguente, John si rese conto di ciò che aveva fatto. Raccolse i due corpi e li avvolse in due lenzuola bianche. Diede fuoco al tappeto in sala da pranzo, incendiando casa, andò in camera da letto e si sparò un colpo in testa. Non tutte le cose si possono spiegare.
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I POVERI MUOIONO PRIMA
I comunisti e i problemi di oggi
Eliminare la nocività ambientale [pt.2]
I ritmi di lavoro. - Questo aspetto si è aggravato più di ogni altro negli anni recenti, quando si è avuto un aumento della produzione realizzato con gli stessi macchinari, con un numero inferiore di operai, con i cronometristi che misurano ogni movimento e rubano ogni momento di pausa. Un operaio di 27 anni della FIAT Mirafiori ha raccontato: << Quando dopo otto ore di lavoro ritorno a casa, mi piacerebbe leggere, star dietro alle cose che succedono, aggiornarmi su quanto avviene per non vivere da bestia: ma ora non ce la faccio più. Ho la testa svuotata, continua a ballarmi davanti agli occhi il contatore della pressa, e ho solo una gran voglia di dormire e di riposarmi per essere domani in grado di ritornare sulla linea >>. Operai con la testa vuota, con i nervi a pezzi, ritmi biologici che vengono stravolti dal ritmo della produzione, funzioni dell'organismo che vengono prima alterate, poi gravemente compromesse: questi fatti sono la regola nelle fabbriche italiane. Quando non bastano i cronometristi si ricorre ai calcolatori elettronici, per abolire ogni pausa ed ogni tempo di riposo, per eliminare ogni flessibilità dei ritmi biologici. Quando non bastano i calcolatori, e si vuole forzare ulteriormente, si ricorre persino ai farmaci, al doping come per i ciclisti: nella fabbrica di Rhodiatoce di Pallanza ed alla Zoppas di Conegliano, medici compiacenti ai voleri padronali somministravano agli operai esausti pillole antifatica, sostanze stimolanti per bruciare le residue energie dell'organismo. La donna lavoratrice sente prima e più dell'uomo l'usura del lavoro in fabbrica perché vi giunge già stanca. Per l'operaia delle grandi città si ha un triplo lavoro: alle 8 ore nell'azienda sono da aggiungere altre 3-4 ore di attività domestica, ed 1-2 ore di trasporto. Queste tre fatiche non si sommano soltanto: si moltiplicano fra di loro. Mentre nel passato la fatica muscolare trovava un limite nella spossatezza dell'organismo, ora la fatica nervosa non ha più freni: questa fatica, per l'operaia, nasce nella fabbrica, prosegue nel messo di trasporto, e si conclude nelle faccende di casa. Non vi è neppure il riposo che deriva dal cambiare fatica: anche l'attività casalinga, nella nostra società (nella quale << il progresso consiste nel possedere tante macchine per faticare di meno, che occorre faticare tutta la vita per pagarle >>) diviene sempre più una funzione organizzativa, responsabile e logorante, per le carenze della scuola, degli asili, dei trasporti, per le basse retribuzioni, per le preoccupazioni del fitto e delle rate. La donna, conquistando il diritto la lavoro, perde cosi il diritto al riposo.
I salari. - I bassi salari esistenti in Italia, come la disoccupazione che batte alle porte delle fabbriche, sono motivi che spingono (se non esiste una pressione della società che costringa a rispettare la salute degli operai) ad accettare lavori nocivi, cottimi logoranti, orari eccessivi, od a ricercare un secondo lavoro. Insieme all'insufficiente ammontare delle retribuzioni, i lavoratori richiamano l'attenzione sul danno causato dal modo come sono congegnate due componenti del salario: il cottimo e le indennità di lavoro nocivo. Sul cottimo, un operaio del Cantiere navale Ansaldo di Genova ha detto: << Un elemento nocivo alla salute è il cottimo, che imprime a ciascuno di noi una situazione di orgasmo tale, che non ci consente di produrre serenamente. Abbiamo il rischio della salute prima, e del poco guadagno dopo, perché col cottimo non abbiamo mai l'idea precisa di quanto realizzeremo alla quindicina. Bisogna quindi eliminare i cottimi e ridurre l'orario di lavoro. Questi sono i due fattori fondamentali che vanno collegati per ridurre la nocività >>. Le indennità di lavoro nocivo sono ancora assai diffuse, anche perché si è nutrita a lungo l'idea che fosse possibile compensare in moneta una malattia, o si è coltivata l'illusione che far pagare un salario più elevato per le condizioni di nocività ambientale potesse costituire, verso i padroni, un incentivo alla prevenzione, mentre ciò rappresenta, al contrario, un alibi per poter mantenere le condizioni di lavoro logoranti. Ecco come funzionano le indennità di lavoro nocivo alla Ceramica di Sestri: << Noi abbiamo ottenuto - racconta un operaio - una quota per i lavoratori che lavorano in ambienti polverosi, cioè una cifra orario di 7 lire che poi è stata portata a 12 lire. Questa viene sommata annualmente e fa una certa cifra che viene adoperata per mandare in vacanza quegli operai che sono colpiti da silicosi, ma questi spesso rinunciano, e prendono invece i soldi, che sono 7.000 lira all'anno. Secondo me, sbagliano a non usufruire di quei dieci giorni di aria buona, se non riusciranno a guarire staranno meglio >>. Viene da domandarsi: staranno davvero meglio questi operai, respirando aria pura per 10 giorni e silice (una polvere che rende i polmoni come di sasso) per 355 giorni dell'anno? Oppure è preferibile rinunciare alle vacanze, e prendere come indennità di lavoro nocivo 7.000 lire per ogni anno di lavoro in ambiente pieno di silice, che accorcia la vita di almeno due anni? Il dilemma è chiaramente assurdo: per uscirne, non vi è altra strada che lottare per eliminare la polvere, la nocività, dell'ambiente di lavoro; e per ottenere, contemporaneamente, salari che non costringano a barattare la propria esistenza per poche migliaia di lire.
Continua...
Testo di Giovanni Berlinguer, 1968
-A cura della Sezione stampa e propaganda del PCI
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...The War of the Beasts
In una notte che sembrava così tranquilla, limpida e serena tra la sabbia della Turchia, dove siamo andati in vacanza io e te, ci siamo affrontati e azzannati come due bestie. Tu uno scaltro, violento lupo nero, cresciuto nella strada e avvezzo alla regola della giungla umana del " il più forte mangia il più debole per necessità ". Uno sfuggente, paziente e agile leopardo io, cresciuto invece nel lussureggiante mondo dei privilegiati, uno che caccia per sport e non solo spinto dalla fame. L'efferata violenza tipicamente umana di chi non ha nulla da perdere il tuo maggiore vantaggio. E il mio ? Potrei indicare l'animale prigioniero dietro la porta con a guardia l'insensibile e per nulla umano Houston, il mio cervello but ..naaah. Ho rinunciato ( già quella notte ) a fare appello a qualsivoglia vantaggio possedevo. Tu volevi punirmi e io sapevo perfettamente di meritarmelo, ti dissi massì fai pure io non ti fermerò comunque. Al nostro ritorno io e te avremmo dovuto proseguire ciò che avevamo iniziato lì ,da soli, come giusto che fosse. Il problema fu invece... che tu eri l'unico nella tua famiglia, io nella mia avevo un intero branco di creature letali quanto esotiche che con i solitari incauti, ai margini della società come te non avevano alcuna pazienza. Nessuna clemenza. Ho incassato ogni colpo che veniva da te con lo stoicismo autoconsapevole dei colpevoli. Poi lui l'ha scoperto e lo ha detto a loro. Loro, insieme, hanno deciso che non interessava cosa avevi da dire, andavi sbranato e fermato. Non aveva alcuna importanza neppure cosa avevo io da dire a tua difesa. Il nostro accordo di combatterci senza intromissioni esterne è saltato in aria quando venne a farti visita il "leone" di casa mia. Chi eri tu, miserabile straccione pezzente da osare arrivare a tanto con il suo figlio primogenito ? A semi cerchio con il leone c'erano anche gli squali incravattati e profumatamente pagati per mandare in rovina te, tuo padre, tua madre, incaricati di trasformare [con tutti i mezzi a loro disposizione] in pezzi minuscoli ogni tua prospettiva per il futuro. Tu volevi farmi male ( e avevi ragione ) ma loro potevano farti molto più male di quanto male tu potevi fare a me... e io sopportare per mia scelta. Dietro il leone e gli squali, arrivò anche lui..la grossa ombra nera che per trenta anni sapevi benissimo che ha sempre seguito da lontano ogni mio passo, dalla nascita. Tu eri l'unico a sapere di me e di lui. La pantera nera. Autentica, concreta e temibile bestia nella villa. Lui ha reso cenere ciò che restava di te.. dopo la condanna, il risarcimento e la pena, osservandoti in un silenzio che terrorizzava tutto il mio branco. Non ho potuto fermarlo, non ho potuto impedire la tua partenza, nessuno ha potuto farlo o avrebbe voluto anche solo provarci e intralciarlo
<< Raccogli la tua spazzatura e vattene il più lontano possibile da lui senza mai voltarti indietro. Se non lo farai it's very simple what i do. Quello che puoi aspettarti per certo da me. Ti lascio morto a terra, clear enough ? >>
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Mino Minardi - Il singolo “La passione”
Tutta l’eleganza e la dolcezza del cantautore toccando il tema delicato delle malattie mentali
Prima hit dell’anno per Jacopo “Mino” Minardi. È uscita, infatti sui maggiori distributori di musica digitale, “La passione”, un brano cantautorale e sentimentale, strofico, con uno stile vintage e simile al cantautorato classico. Il tema del brano è assai delicato: parla delle malattie mentali, vinte o comunque accantonate dall’amore, verso un’arte o qualsiasi altra “cosa” in grado di portare serenità, equilibrio e sobrietà. Il titolo ha un significato diverso da ciò con cui si intende il termine passione al giorno d’oggi: passione la riversiamo di solito su un hobby. No, la passione deve essere uno stato di dolore che porta, scorgendo una volta la luce, a un’estasi emotiva e vitale. Mino scrive il pezzo a vent’anni, frequentando lettere a Parma: è il testo con cui capisce che può e deve comporre canzoni, di conseguenza è il suo “primo”. Forse, dice l’artista, lo scrive un po’ per caso, fra uno scritto e l’altro di Petrarca, ed ascoltando “Giudizi Universali” di Samuele Bersani, finendo quindi in musica con l’aiuto di Peretto Alessandro e anche nelle vostre orecchie.
Jacopo “Mino” Minardi nasce a Montecchio il 21/2/1995, ma da sempre vive a Barco di Bibbiano, dove ha coltivato fin dalla prima infanzia il suo amore per la musica. Spinto dal papà a cimentarsi con la chitarra da quando era ragazzino, Mino non ha mai smesso di inseguire il suo sogno e a soli vent’anni scrive il primo di tanti testi che però rimangono nel cassetto. Nell’estate del 2019 decide di uscire dal suo guscio esibendosi davanti al pubblico con il singolo “Estate”: è il trampolino di lancio per Mino che poi spopola in radio con “Profumo di caffè”, hit latineggiante del 2020 nata dalla notizia della dolce attesa di un figlio dalla sua amata moglie Elena. Nello stesso periodo prende vita il primo EP composto da quattro canzoni. Nel giorno del ventiseiesimo compleanno di Mino, esce “La bella e la bestia”, singolo portato a Sanremo New Talent, che parla di come bisogna assolutamente amarsi e accettarsi nonostante le diversità. I tempi sono ormai maturi per l’uscita del primo album arrangiato dall’amico Alessandro “Perez” Peretto dei “Mai noi no” e prodotto dall’amico Andrea Fontanesi del Vox Recording Studio: otto brani che spaziano fra amore, fede e politica, un riflesso delle emozioni più profonde che Mino esprime con il suo stile cantautorale. Il legame professionale con Peretto cresce sempre di più e Mino, a ridosso dell’estate 2022, regala un gioiello ai suoi fan: “Tu”, un pezzo con una melodia accattivante e un testo emotivamente coinvolgente. L’anno si conclude con il singolo “Tutto è più semplice” che vede la collaborazione di Cristiano Turato e Maurizio Vercon alle chitarre, i quali arrangiano il singolo: un dolce ricordo della nonna che profuma di speranza.
Il 2023 si apre con un ritorno alle origini per Mino: il 24 marzo esce “La passione” primo brano scritto dal cantautore di Barco, arrangiato dall’immancabile Alessandro Peretto, prodotto da Vox Recording e che uscirà con “Boot music group”, distribuito da ingrooves. Un singolo cantautorale e altresì sentimentale, che tratta di un argomento che è ancora tabù: le malattie mentali.
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Le zanne affondavano nella carne serrandosi tra loro in una morsa letale. Nella danza macabra della morte, il predatore non diede neppure un attimo di respiro alla vittima che giaceva a terra, inerme ed ormai rassegnata ad accogliere un destino che non offriva alcuna via di scampo.
L’animale restò lì brandendo tra le fauci lembi di carne e sangue, il muso ormai ingozzato di cremisi e l’aspetto più ferale che mai. Le iridi, ormai mutate nell’aspetto e nel colore, apparivano gialle quasi dorate e di umano non avevano più nulla. Per un attimo, uno soltanto, l’animale dovette faticare a placare sé stesso e l’istinto che lo spingeva a fare a pezzi la vittima ormai inerme, poi il ricordo di una sinfonia lontana, le note quiete delle corde di un violino, si imposero tra le pieghe della mente felina e la bestia parve lasciar spazio alla coscienza della donna che concesse una tregua al corpo maciullato. Si voltò lentamente, fletté le zampe anteriori e restò immobile ad osservare il volto dell’altro uomo ancora in piedi. Il braccio ferito e l’odore del suo sangue fu inconfondibile per l’animale, che dette l’impressione di dover sondare l’entità del danno subito.
La voce di Helyas giunse atona come in ogni circostanza, dava sempre l’impressione di non essere interessato a ricevere alcuna risposta e Ophelia stentava a concederne.
Era un rapporto atipico il loro. Destinati per scelta altrui, vincolati da un accordo che non avevano scelto e che era stato loro imposto. Avrebbero dovuto sposarsi per mantenere la continuità dei marchi e dei cacciatori ed Ophelia aveva accettato quel “destino” senza opporsi.
Non conosceva Helyas così bene, lui era un tipo silenzioso ed Ophelia era abbastanza riservata. Erano molto diversi, forse anche troppo, tuttavia Ophelia si era abituata alla presenza di lui quasi che fosse già una parte della propria vita. Una costante a cui non aveva ancora dato un nome né la giusta importanza.
Nella forma animale, Ophelia non era in grado di parlare ne di compiere qualsiasi altro gesto meramente umano. Manteneva un certo grado di consapevolezza, quando l’istintualità non prendeva il sopravvento sulla razionalità. Gocce di pioggia scesero provvidenziali dal cielo lavando via lo scempio di sangue tutt’intorno, il felide parve rendersene conto a stento, tornò al moto e si allontanò nel vicolo fino a nascondersi dietro qualche cassonetto dlla spazzatura.
Il marchio bruciò ancora ed Ophelia abbandonò le spoglie di bestia per fare ritorno a quelle di donna.
-Mi passeresti lo zainetto, per favore?
Domandò rivolgendosi ad Helyas ed ancora parzialmente nascosta dall’ombra del cassonetto. Era decisamente l’inconveniente più grande della sua capacità innata ed Ophelia aveva dovuto cercare un modo alternativo per superare quella difficoltà.
Lei ed Helyas avevano spesso svolto missioni insieme e lui era abituato a quel genere di difficoltà. Ophelia invece non si sarebbe mai abituata a fronteggiare l’imbarazzo che la inondava ogni volta, soprattutto quando si trovava in missione con Helyas.
-Il braccio ti fa male? Ho qualcosa per il primo soccorso… sempre nello zainetto…
H&O; Chapter II
"L'inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui"
All’esterno dell’accademia, la vita gli era sempre sembrata diversa. In un certo senso, Helyas provava invidia verso l’umanità che, ignara di tutto il male che si annidava tra le ombre della notte, si limitava a vivere, a respirare, a ridere e a piangere… seguendo semplicemente l’istinto del momento, l’emozione guida di cui lui era sempre spoglio.
Fosse nato soltanto umano, Helyas sarebbe stato come loro, proprio come uno di quei ragazzi che se ne stavano con la schiena a ridosso della porta del locale, con una bottiglia tra le mani e il sorriso ben stampato alle labbra.
Il destino, però, aveva riservato a Helyas un'altra prospettiva, lui era il vigilante della notte, lui badava che tutta quell’umanità non si dissolvesse sotto la falce dei demoni e no, non poteva permettersi distrazioni.
Così, come accadeva di consueto quando non aveva missioni particolari da svolgere, Helyas si limitava a vagare per le strade e ad assicurarsi che il male dormisse un altro po’.
In quel vicolo in particolare, le tettoie alte dei palazzi gli impedivano di scorgere sprazzi di cielo, se non saltuariamente, e un po’ questo gli faceva mancare l’aria. Helyas portava su di sé il marchio della tempesta e la sua dimensione ideale era all’aperto, alla mercé della terra e del cielo – soprattutto – eppure in quegl’ultimi giorni, qualcosa stava cambiando.
Ad ampie falcate attraversò la strada e si ritrovò sul marciapiede opposto al locale, se ne allontanò a malapena, quanto bastava affinché una poderosa luna piena riuscisse a far mostra della sua argentea perfezione… e le iridi scure di lui si levarono a guardarla in tutta quella magnificenza.
Forse non si era mai accorto di quanto potesse essere bella, la luna, per cui fu costretto a fermarsi e a fissarne le sfumature impercettibili, e come ultimamente gli accadeva spesso, il marchio della tempesta cominciò a dolergli.
Helyas digrignò i denti e fu costretto a sollevare la manica del giubbotto: i contorni del marchio si erano arrossati, come se sotto vi pulsasse il fuoco, e bruciavano… tanto che fu costretto a premere la pelle lesa contro la stoffa della manica.
E poi, un vociare sospetto ne attirò l’attenzione, più avanti, in un vicoletto poco più buio, uno strisciare viscido e dei versi strani, si rivelarono appartenere a una creatura demoniaca, lì pronta a divorare la preda che aveva già perso i sensi.
- Hey, mostro!
Col braccio che non gli doleva, Helyas afferrò il calcio della pistola già carica di proiettili di adamantio e la estrasse dalla fondina, puntandola immediatamente alla creatura che, resasi conto della presenza scomoda alle sue spalle, si volse schiudendo le fauci ghermite di denti aguzzi e lingue biforcute…
Ma prima che il marchiato potesse aprire il fuoco, la creatura mormorò qualcosa in quel linguaggio oscuro e antico e, stranamente, Helyas riuscì a comprenderne perfettamente il significato “Senti il richiamo della luna, vero?…” Helyas aggrottò la fronte a quelle parole e per un attimo, uno soltanto, esitò… tenendo l’arma ancora tesa verso la creatura rivoltante che, approfittando di quel momento di smarrimento, scattò verso Helyas afferrando il braccio armato tra le lingue per disarmarlo.
@ophelia-northwood
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