#i miei libri del 2018
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Era il 14 ottobre 2018 alle 14:33 nasceva "La ragazza dal cuore nero♡".
Dopo un po' di tempo a decidere cosa farne di quel profilo con un nome che gli avevo dato perché un anno prima il mio cuore si era rotto in mille pezzi per aver perso la prima persona che mi aveva amato con il vero amore.
Ho sempre avuto la passione per la scrittura e nei miei tanti sogni del cuore,si del cuore perché nel cassetto ci sono tutti quei brutti ricordi che un po' vorrei riuscire a dimenticare mentre nel cuore voglio portare tutte le cose belle,c'è(ra) anche fare la scrittrice.La lettura mi ha sempre fatto compagnia e nonostante non sia amante dei libri di poesia a me piace scriverle,o almeno ci provo.
La scrittura mi è sempre servita per tirare fuori tutto quello che ho dentro;nonostante sembri una tempesta sempre in piena molto spesso preferisco nascondere tutto dietro un bel sorriso e far finta che sia sempre forte.
In questi anni qui su questo blog ho reso pubblico un po' tutti i miei pensieri,la mia rabbia,i miei dubbi,le mie storie assurde e tutte le cose che mi rendo me stessa.Qui ho trovato chi,in questi anni,mi ha dato tanto bene;persone che mi hanno regalato tanti sorrisi,tanti momenti belli e anche tanti momenti di vera emozione,persone che hanno conosciuto pezzi di me anche solo tramite uno schermo.
Però in questo ultimo periodo sento un po' di voler tornare "dietro le quinte",sento un po' il bisogno di restare in disparte nonostante abbia un vulcano dentro che vorrebbe esplodere.Sento un po' il bisogno di trovare un po' di tranquillità,calma,riflessione in me stessa e trovare un posto "vero" per tutto quello che ho dentro.
Non sto dicendo che ti abbandono Tumblr.Sei e resterai il mio "posto segreto" dove posso essere la versione triste e anche un po' bambina di me.Sarai solo un po' in pausa ma presto ritornerò con tutti i miei sfoghi,pensieri e tutto ciò di cui ti voglio raccontare.
-la ragazza dal cuore nero♡
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Grazie mille!!! È uno dei miei film preferiti e prima o poi vorrei recuperare anche i libri. Grazie ☺️
Anni fa cominciai a vedere in TV questo film, ti parlo tipo del 2018 più o meno. Solo che vidi solo l'inizio e poi non ricordo per quale motivo non lo continuai. Mi ricordo però che mi stava interessando essendo io un fan del fantasy però mi dimenticai completamente di questo film. E ora grazie alla tua richiesta per poter fare le gif ho avuto modo di vederlo finalmente tutto 😄 Grazie a te.
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Dalla bolla FB di Ivano Porpora
"Mi piacerebbe avere una piccola sezione dei 20, 25 libri più rappresentativi dei migliori autori in Italia; e credo che interessi anche i miei allievi, e chi mi segue.
Qui sotto la lista dei libri. Parte l'elezione de L'ALTRO LIVELLO. Potete votarne solo dieci. Se ne votate undici, cancello il vostro commento, perché state portando rumore. Il libro può anche non essere quello: ripeto, per me Nove ha raggiunto l'apice con La vita oscena.
Aldo Nove - Milano non è Milano, 2010
Alessandra Carnaroli - La furia, 2023
Alessandra Sarchi - L’amore normale, 2014
Alessandro Baricco - Mr Gwyn, 2011
Alessandro Piperno - Con le peggiori intenzioni, 2005
Alessio Forgione - Napoli mon amour, 2018
Alessio Mosca - Chiromantica Medica, 2022
Alfredo Palomba, Quando le belve arriveranno, 2022
Andrea Bajani - Un bene al mondo, 2016
Andrea Canobbio -
Andrea Donaera - Io sono la bestia, 2019
Andrea Pomella - L'uomo che trema, 2018
Andrea Tarabbia - La calligrafia come arte delle guerra, 2010
Andrej Longo - L'altra madre, 2016
Antonella Cilento, Lisario o il piacere infinito delle donne, 2014
Antonella Lattanzi - Questo giorno che incombe, 2021
Antonio Manzini - 7/72007, 2016
Antonio Moresco - La lucina, 2013
Aurelio Picca - Il più grande criminale di Roma è stato amico mio, 2020
Benedetta Palmieri - Emersione, 2021
Carola Susani - Eravamo bambini abbastanza, 2012
Claudia Durastanti - La straniera, 2019
Claudia Petrucci - L'esercizio, 2020
Claudio Morandini - Neve, cane, piede, 2015
Claudio Piersanti - Quel maledetto Vronskij, 2021
Daniela Ranieri - Stradario Aggiornato di tutti i miei baci, 2021
Daniele Del Giudice - Orizzonte mobile, 2009
Daniele Mencarelli - Tutto chiede salvezza, 2022
Daniele Petruccioli - La casa delle madri, 2020
Dario Voltolini - Le scimmie sono inavvertitamente uscite dalla gabbia, 2006
Davide Orecchio - Storia aperta, 2021
Demetrio Paolin - Conforme alla gloria, 2016
Domenico Starnone - Vita mortale e immortale della bambina di Milano, 2021
Donatella Di Pietrantonio - L’arminuta, 2017
Edgardo Franzosini - Questa vita tuttavia mi pesa molto, 2015
Edoardo Albinati - La scuola cattolica, 2016
Edoardo Zambelli - Storia di due donne e di uno specchio, 2018
Elena Ferrante -
Emanuela Canepa - Insegnami la tempesta, 2020
Emanuela Cocco - Tu che eri ogni ragazza, 2018
Emanuele Tonon - La luce prima, 2011
Emanuele Trevi - Due vite, 2020
Emidio Clementi - L’amante imperfetto, 2017
Emiliano Ereddia - Le mosche, 2021
Eraldo Baldini - L’uomo nero e la bicicletta blu, 2011
Ernesto Aloia - I compagni del fuoco, 2007
Ezio Sinigaglia - Eclissi, 2016
Fabio Bacà - Nova, 2021
Fabio Bartolomei - We are family, 2013
Fabio Geda - Nel mare ci sono i coccodrilli, 2010
Fabio Genovesi - Esche vive, 2011
Fabio Stassi - L'ultimo ballo di Charlot, 2012
Fabrizio Patriarca - Tokyo transit, 2016
Federico Platania - Il Dio che fa la mia vendetta, 2013
Filippo Nicosia - Come un animale, 2010
Filippo Tuena - Ultimo parallelo, 2007
Francesca Genti - Anche la sofferenza ha la sua data di scadenza, 2018
Francesca Manfredi - L’impero della polvere, 2019
Francesca Marzia Esposito - Corpi di ballo, 2019
Francesca Mattei - Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa, 2019
Francesco Dimitri - Pan, 2008
Francesco Maino - Cartongesso, 2014
Francesco Pacifico - Class, 2014
Francesco Pecoraro - La vita in tempo di pace, 2014
Francesco Targhetta - Perciò veniamo bene nelle fotografie, 2012
Franco Stelzer - Il nostro primo solenne stranissimo Natale senza di lei, 2003
Fulvio Abbate - Roma vista controvento, 2015
Giacomo Sartori - Anatomia della battaglia, 2005
Gian Marco Griffi - Ferrovie del Messico, 2022
Gianluca Morozzi - Blackout, 2004
Gilda Policastro - La parte di Malvasia, 2020
Giordano Meacci - Il cinghiale che uccise Liberty Valance, 2016
Giordano Tedoldi - Tabù, 2017
Giorgia Tribuiani - Blu, 2018
Giorgio Falco - La gemella H, 2014
Giorgio Fontana - Il mago di Riga, 2022
Giorgio Vasta - Il tempo materiale, 2008
Giovanni Dozzini - Qui dovevo stare, 2021
Giulio Mozzi - Le ripetizioni, 2021
Giuseppe Genna - Dies irae, 2006
Greta Pavan - Quasi niente sbagliato, 2023
Helena Janeczek - La ragazza con la Leica, 2017
Ilaria Palomba - Vuoto, 2022
Laura Pariani -La valle delle donne lupo, 2011
Laura Pugno - Sirene, 2007
Letizia Muratori - Casa madre, 2008
Licia Giaquinto - La briganta e lo straniero, 2014
Lorenza Pieri - Il giardino dei mostri, 2019
Lorenzo Mercatanti - Il babbo avrebbe voluto dire ti amo ma lo zio ne faceva anche a meno, 2014
Luca Ricci - Gli autunnali, 2018
Luigi Romolo Carrino - Non è di maggio, 2021
Maddalena Fingerle - Lingua Madre, 2021
Marcello Fois - Nel tempo di mezzo, 2012
Marco Balzano - Resto qui, 2015
Marco Drago - Innamorato, 2023
Marco Mancassola - Last love parade, 2005
Marco Missiroli - Atti osceni in luogo privato, 2015
Marco Peano - L'invenzione della madre, 2015
María Grazia Calandrone, Dove non mi hai portata, 2023
Maria Rosa Cutrufelli - Il giudice delle donne, 2016
Marino Magliani - Peninsulario, 2022
Mario Desiati - Spatriati, 2022
Marta Cai - Enti di ragione, 2019
Massimiliano Santarossa - Pane e Ferro, 2019
Matteo Cavezzali - Nero d'inferno, 2018
Matteo Galiazzo - Cargo, ne 2013
Matteo Melchiorre -Requiem per un albero, 2004
Mauro Covacich - La sposa, 2016
Michele Mari - Leggenda privata, 2017
Michele Orti Manara - Il vizio di smettere, 2018
Michele Vaccari - Un marito, 2018
Niccolò Ammaniti - Io non ho paura, 2001
Nicola Lagioia - La città dei vivi, 2020
Orso Tosco - Aspettando i naufraghi, 2018
Paola Barbato - Zoo, 2019
Paolo Cognetti - Sofia si veste sempre di nero, 2012
Paolo Colagrande - Salvarsi a vanvera, 2022
Paolo Giordano -
Paolo Nori - Vi avverto che vivo per l’ultima volta, 2023
Paolo Zanotti - Bambini bonsai, 2010
Paolo Zardi - Il giorno che diventammo umani, 2013
Piera Ventre - Gli spettri della sera, 2023
Piersandro Pallavicini - Atomico Dandy, 2005
Raul Montanari - Il buio divora la strada, 2002
Remo Rapino - Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, 2019
Romolo Bugaro - Non c'è stata nessuna battaglia, 2019
Rosa Matteucci - Costellazione familiare, 2016
Rosella Postorino - Le assaggiatrici, 2018
Rossana Campo - Dove troverete un altro padre come il mio, 2015
Sacha Naspini - I cariolanti, 2020
Sandro Campani - I passi nel bosco, 2020
Sandro Veronesi - Caos Calmo, 2005
Sara Gamberini - Maestoso è l’abbandono, 2018
Sebastiano Vassalli - Le due chiese, 2010
Sergio Claudio Perroni - Entro a volte nel tuo sonno, 2018
Silvia Ballestra - La Sibilla. Vita di Joyce Lussu, 2022
Silvia Bottani - Il giorno mangia la notte, 2020
Simona Baldanzi - Figlia di una vestaglia blu, 2006
Simona Baldelli - Vicolo dell'Immaginario, 2018
Simona Vinci - La prima verità, 2016
Tiziano Scarpa - Cose fondamentali, 2010
Tommaso Pincio - Panorama, 2015
Tullio Avoledo -
Ugo Cornia - Quasi amore, 2001
Valentina Durante - Enne, 2020
Valentina Maini - La mischia, 2020
Valeria Corciolani - La regina dei colori, 2023
Valeria Parrella - Lo spazio bianco, 2008
Valerio Evangelisti - Noi saremo tutto, 2004
Vanni Santoni - Gli interessi in comune, 2008
Veronica Galletta - Nina sull’argine, 2021
Veronica Tomassini - L’altro addio, 2017
Vincenzo Pardini - Il valico dei briganti, 2023
Viola Di Grado - Fame blu, 2022
Vitaliano Trevisan - Works, 2016
Walter Pozzi - Carte scoperte, 2015
Walter Siti - Troppi paradisi, 2006
Wu Ming - 54, 2002"
Poi è partita una lotta nel fango di scrittori che gridano e si tirano i capelli e dicono meglio quello meglio quell' altro e poi io, ci devo essere io. Ed i miei amici x e y..."
E lui alla fine ha tolto il post.
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Oggi vado a comprarmi un nuovo zainetto ed, inevitabilmente, ho pensato al mio vecchio zainetto che mi è stato rubato a Pisa il 30 novembre 2018 nel primo pomeriggio in via Bonanno Pisano. Per me fu uno shock non poter più avere tutte le mie cose personali a cui ero tanto affezionata. Mi sono ritrovata senza borsello con dentro carte e soldi, foto dei nonni e fototessere, lettere segrete dei miei ex-fidanzati, l’agenda, i libri e... il nuovo mascara appena acquistato. Niente è stato più ritrovato, e probabilmente mi sarò dimenticata anche degli impegni che avevo nei giorni successivi perché non avevo più la mia agenda. Quasi un sollievo, forse, ma quanto dolore.
Dopo il furto dello zaino subìto e dopo aver visto l'indifferenza delle persone intorno a me in quel momento, mi risulta ancora più difficile di quanto non lo fosse prima per me fidarmi degli altri. O forse nessuno ha visto? Io invece penso che tutti abbiano semplicemente fatto finta di non vedere perché immersi nella loro vita, nei loro impegni, nessuna voglia di fermarsi perché di fretta, nessun senso di colpa: non sono stati loro a commettere il furto. Mi trovavo in via Bonanno Pisano, una delle strade principali di Pisa, un venerdì nel primo pomeriggio: studenti dall'altro lato della strada, auto che sfrecciano, persone che escono dall'ospedale Santa Chiara. Ma nemmeno un cane che mi viene in aiuto o, almeno, a confortarmi. O meglio, forse se ci fosse stato un cane nel vero senso della parola, sarebbe stato sicuramente meglio dell'essere circondata da persone robot. L'egoismo sta dilagando, troppo.
Con questo furto ho perso anche una parte di me perché, oltre a soldi, documenti, diario, libri e oggetti personali, ho perso anche i miei ricordi più cari di persone che per me sono state importanti. Mi sento persa, come se mi avessero rubato anche l'identità.
I miei ricordi di tutta la vita... chi me li ridà?? Non ho più nulla... O forse è stato solo un caso isolato e davvero nessuno ha visto...?! Non lo so, è difficile da credere, ma io voglio continuare a pensare che nel mondo ci siano anche brave persone. Anzi, sicuramente è così.
Grazie a chi mi ha scritto per sapere come stavo e a tutti quelli che si sono interessati alla vicenda. Grazie a tutte le brave persone che conosco, che non sono poche, perché mi fate rendere conto di quanto io sia fortunata e del fatto che il mondo è ancora un bel posto. ❤️
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Giuseppe Bianco: lo strano caso di Gennaro Amore
Le strane dinamiche del fato Giuseppe Bianco torna in libreria con una nuova storia, lo strano caso di Gennaro Amore, un romanzo breve, una storia esilarante che riserva al lettore colpi di scena, momenti grotteschi, imprevedibili e ironici, proprio come accade nella vita. Il libro, edito da LupiEditore, ha due protagonisti che portano avanti due punti di vista diversi su temi senza tempo: l’amore, l’odio, il bene e il male. Due facce della stessa persona che si scontrano sul terreno delle emozioni. Giuseppe Bianco con lo Lo strano caso di Gennaro Amore, dona al lettore un testo scorrevole, mai superficiale, che pone problemi esistenziali senza avere alcuna presunzione di dare delle risposte definitive. Con la nostra intervista all’autore abbiamo cercato di acquisire qualche dettaglio in più non solo sul romanzo ma anche sulla sua scrittura in generale. Intervista a Giuseppe Bianco Salve Giuseppe, lei è nuovo al pubblico di CinqueColonne Magazine. Ci racconta brevemente di cosa si occupa e quando è entrata la scrittura nella sua vita? Sono impiegato in una multinazionale alimentare. Vengo da studi tecnici e qualche anno di ingegneria meccanica, ma non mi sono mai laureato, purtroppo. La scrittura è entrata molto presto nella mia vita, fin dalle scuole elementari. Con il passare degli anni è sempre riuscita a trovare molto spazio nelle mie attività. Ero iscritto alla SIAE come autore della parte letteraria delle canzoni, ho creato e gestito siti di parole, curato e/o inserito in molte antologie, organizzato un Concorso Letterario per una decina d’anni e sono stato direttore editoriale della Casa Editrice Albus Edizioni. Penso di non esagerare se affermo che la scrittura non si è “inserita” nella mia vita, ma è nata con me. Informiamo i nostri lettori su che tipo di romanzo andranno a leggere. Secondo lei in che genere lo catalogherebbe? Sicuramente va catalogato come narrativa non di genere. Un romanzo breve, esilarante, scritto con uno stile scorrevole. Come la vita, sfiora momenti divertenti, ironici, grotteschi, a volte sfiora il tragico offrendo riflessioni di ampio respiro, aperte al modo in cui viviamo ed al suo senso. Il suo romanzo si gioca sul filo sottilissimo della guerra tra il bene e il male. Perché ha scelto di parlare di questo atavico conflitto? C’è stato un evento, una riflessione o una lettura che le ha fatto scattare la scintilla? Tra il bene e il male, tra le ragioni dell’amore e quelle dell’odio che sono le forze che “comandano” il mondo. Come tutti i miei scritti è nato in modo abbastanza casuale, come se fossi stato contattato direttamente da Gennaro Amore. Quando questo succede, mi convinco sempre di più che non sono io a cercare le storie da raccontare, sono loro che mi trovano, a me non resta che scriverle. Lei ha scritto tantissimi romanzi e vinto numerosi premi. Nello strano caso di Gennaro Amore lei ha percepito qualche mutamento nella sua scrittura dopo tanti anni? Ho scritto parecchi racconti ed ho avuto la fortuna di aver portato a casa qualche premio letterario, i libri pubblicati sono solo otto, anche perché, dopo ‘Chiedilo all’amore’ il mio secondo libro, presi una piccola pausa di riflessione … una decina d’anni. Mi dedicai ad altro, ma una passione può metterti in stand by, lasciarti per un periodo di tempo, poi torna sempre, così nel 2018 c’è stato un mio secondo inizio con il romanzo ‘Figli di uno schizzo ’. Mutamento? Sicuramente. Come una persona, che senza accorgersene, cambia ogni giorno un po', così anche la scrittura, rigo dopo rigo, pagina dopo pagina si arricchisce, matura, ravvivata da nuove emozioni si esprime con forme e stili diversi, anche se, questo nella mia scrittura è sempre successo, ho sempre cercato e cerco di adattare lo stile ed il linguaggio alla storia che racconto. I nostri lettori amano gli scrittori, sono un po’ ficcanaso e adorano le stranezze. Ci racconta qualche sua abitudine di scrittura? Non so, le piace scrivere solo la sera, ha bisogno di una tazza di caffè mentre scrive, attacca post it ovunque... La curiosità è sempre lecita e meno male che c’è, altrimenti cosa spingerebbe a leggere un libro, a vedere un film, ad ascoltare la nuova canzone dell’artista preferito… Confesso la mia ‘stranezza’, non scrivo in un momento preciso della giornata, non ho bisogno di un bicchiere di whisky o di una tazza di caffè. Quando mi arriva l’idea che mi trasmette emozione la devo subito scrivere su di un pezzo di carta, basta un pizzino minuscolo, una ricevuta di un pagamento, un foglio che porto sempre in tasca o semplicemente lo scontrino del caffè. Mettere un pensiero su carta è come fare una foto, se non cogli l’espressione, l’attimo, se non li fissi subito … dopo non sarà più la stessa cosa. Tra i libri di Giuseppe Bianco oltre allo Strano caso di Gennaro Amore ricordiamo “Una splendida follia”, Romanzo PAV Edizioni, “Esilaranti storie di anime scoperecce”, Jacopo Lupi Editore e “Piccoli particolari – On my way” Edizioni Montag. Read the full article
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Pinar Selek
https://www.unadonnalgiorno.it/pinar-selek/
Pinar Selek è una scrittrice, sociologa, femminista, militante antimilitarista turca, vittima della repressione del suo stato, che l’ha condannata all’ergastolo per un reato che non ha commesso.
Costretta a abbandonare il suo paese nel 2009, si è trasferita in Germania e poi in Francia a Strasburgo, Lione e poi Nizza. Luoghi da cui ha continuato a spendersi per i diritti delle minoranze, delle donne e contro la criminalizzazione dell’immigrazione. Nel 2017, ha ottenuto la cittadinanza francese.
È autrice di numerosi libri, in italiano sono stati pubblicati La maschera della verità (2015), La casa sul Bosforo (2018) Lontano da casa (2019) e Le formiche festanti (2020).
È nata a Istanbul l’8 ottobre 1971. Dopo essersi diplomata al liceo francese Notre Dame de Sion, si è laureata con lode in Sociologia all’Università Mimar Sinan.
Il suo primo testo, del 1996, era dedicato ai movimenti indigeni del Messico.
Il suo attivismo l’ha portata a lasciarsi coinvolgere personalmente dalle vite delle persone al centro delle sue ricerche, come i ragazzi di strada, le donne vittime di violenza, le persone che vivono ai margini della società, i senza tetto e le persone transessuali con le quali ha creato il Laboratorio degli Artisti di Strada, per cercare di offrire opportunità di integrazione nella società attraverso l’arte.
Nel 2001 è stata fra le fondatrici della Cooperativa di donne Amargi da cui è nata l’omonima rivista e la prima libreria femminista della Turchia.
Il suo incubo giudiziario è cominciato nel 1998. Per la sua ricerca sulla guerra civile in Turchia che indagava sulle motivazioni che hanno spinto la popolazione curda a scegliere la lotta armata, ha intervistato ed è venuta a contatto con diversi esponenti del PKK. In seguito a un’esplosione avvenuta in un bazar di Istanbul, è stata accusata di complicità e detenuta per due anni e mezzo durante i quali è stata anche torturata per estirparle una confessione.
È stata rilasciata il 22 dicembre 2000, dopo che team di esperti, tra cui la facoltà di chimica analitica dell’Università di Istanbul e il Dipartimento Forense della Facoltà di Medicina di Cerrahpaşa, hanno pubblicato dei rapporti che dimostravano che l’esplosione era stata causata dall’accensione accidentale di una bombola di gas.
Nonostante l’annullamento della condanna e quattro assoluzioni, nel 2012, in un’operazione senza precedenti nella storia legale turca, la corte ha deciso di riaprire il processo e, il 24 gennaio 2013 l’ha condannata all’ergastolo in absentia.
Più di trenta organizzazioni non governative e rappresentanti di partiti politici di Francia, Germania, Italia e Austria hanno partecipato alle udienze e protestato durante il processo a cui hanno assistito anche osservatori dell’Università di Strasburgo, dove aveva cominciato a insegnare.
Rifugiata politica in Francia, in questi anni in cui ha vissuto questa assurda vicenda giudiziaria, è stata difesa pubblicamente da parecchie migliaia di esponenti del mondo della cultura, spettacolo, avvocatura e università.
Il 6 gennaio 2023 la Corte Suprema turca ha annullato la quarta assoluzione e emesso un mandato d’arresto internazionale dall’effetto immediato.
Dalla Francia, da dove rischia di essere estradata nonostante la cittadinanza francese, Pinar Selek ha dichiarato: “questo processo continua da 25 anni. La metà della mia vita. Rappresenta un sistema radicato in Turchia da molto più tempo, e riflette la continuità del regime autoritario e repressivo. Si tratta di una sentenza iniqua, basata su documenti falsificati, in continuità con gli oscuri meccanismi in vista delle elezioni. Fino a oggi ho resistito e sono andata avanti a lavorare sui miei temi di ricerca, a riflettere profondamente, in modo strutturato, e ad agire e a vivere come una formica festante. Non mi arrendo“.
Un’assurda violazione dei diritti umani per una donna che ha semplicemente ricercato la verità e la giustizia per le minoranze del suo paese. Sono tante le organizzazioni internazionali che si sono mobilitate in sua difesa e nostro compito è diffondere questa ingiustizia e fare tutto ciò che è in nostro potere per cercare di salvarla dalla condanna.
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I Libri del 2018
Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; io sono orgoglioso di quelle che ho letto. Jorge Louis Borges
1 - R. Calasso, L’innominabile attuale, Adelphi
2 - P. Matvejevuc, Breviario Mediterraneo, Garzanti
3 - C. De Hamel, Storia di Dodici Manoscritti, Mondadori
4 - B. Pasternak, Il Dottor Zivago, De Agostini
5 - J. Brotton, La Storia del Mondo in dodici mappe, Feltrinelli
6 - F. Vargas, Il morso della reclusa, Einaudi
7 - C. Bollen, Orient, Bollati Boringhieri
8 - L. Binet, La settima funzione del linguaggio, La Nave di Teseo
9 - S. N. Behrman, Duveen, Il Re degli antiquari, Sellerio
10 - G. Barbujani \ A. Brunelli, Il giro del Mondo in sei milioni di anni, Il Mulino
11 - S. Plath, La campana di vetro, Mondadori
12 - M. Walsh, Un uomo tranquillo, Biblioteca di Repubblica
13 - M. Lowry, Sotto il vulcano, Feltrinelli
14 - M. Haruki, Uomini senza donne, Einaudi
15 - A. Donate, Il Club delle lettere segrete, Feltrinelli
16 - G. Ronza, Aeterna. La macchia nel sangue, Betelgeuse
17 - S, Natoli, La felicità. Saggio di teroia degli affetti, Feltrinelli
18 - Y. Shuichi, L’uomo che voleva uccidermi, Feltrinelli
19 - G. Ieranò, Arcipelago. Isole e Miti del Mar Egeo, Einaudi
20 - S. Bizzotto, Giro del Mondo in una Coppa, Il Saggiatore
21 - P. Carey, Molto lontano da casa, La Nave di Teseo
22 - C. E. Morgan, Lo sport dei re, Einaudi
23 - L. Krazsnahorkai, Melancolia della resitenza, Bompiani
24 - C. Nixey, Nel nome della Croce. La distruzione cristiana del mondo classico, Bollati Boringhieri
25 - M Malvaldi, Per ridere aggiungere acqua. Piccolo saggio sull’umorismo e il linguaggio, Rizzoli
26 - P. Lemaitre, I colori dell’incendio, Mondadori
27 - M. Forsyth, Breve storia dell’ubriachezza, Il Saggiatore
28 - Y. Haenel, Tieni ferma la tua corona, Neri Pozza
29 - T. Braccini, Lupus In Fabula. Fiabe, leggende e barzellette in Grecia e a Roma, Carocci
30 - G. Antonelli, Il Museo della Lingua Italiana, Mondadori
In un anno pieno di cose da fare, ho letto trenta titoli, 2 in più dell’anno scorso, ma non arrivo ancora alle 10 mila pagine, per un soffio, mi fermo a 9826. Anche quest’anno devo dire che le mie scelte di lettura, compresi i libri che mi hanno donato, sono state in generale soddisfacenti: ho la mia classifica sia sui romanzi, con in testa gli autori francesi, e dei saggi. Quest’anno ho letto anche il primo libro di un’amica, una piacevole sorpresa, e le auguro tante gioie letterarie future. Aspetto, se vorrete, di parlarne con voi.
Noi tutti leggiamo noi stessi e il mondo intorno a noi per intravedere cosa e dove siamo. Leggiamo per capire, o per iniziare a capire. Non possiamo fare a meno di leggere. Leggere, quasi come respirare, è la nostra funzione essenziale.
Alberto Manguel, Una storia della lettura, 2009
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Azora Rais: "Vi racconto i miei quadri"
Azora Rais ha tanti diversi talenti ed è da sempre sospesa tra arte e spettacolo. Ci sono le sue canzoni (incluse in compilation importanti come "Dance Planet", "M2o dance compilation", etc), ci sono i suoi libri come scrittrice ("Oroscopo intimo" e tra poco "Tutto per invidia") e c'è la sua consolidata esperienza come modella. Ha posato, tra gli altri, per Bruno Oliviero, fotografo delle dive e pure come playmate per Playboy Italia Special Black Edition (2018). Come se non bastasse, è stata pure attrice in "Distretto di Polizia 4"'.
Ma c'è un altro lato di Azora Rais, ovvero i suoi quadri. Qui potete dare un'occhiata a tre suoi dipinti realizzati ad olio: dall'alto a sinistra in senso orario, "Autoritratto", una foto di Azora, "Lo sviluppo femminile" e "La foresta". "Quando studiavo a Sofia, nella scuola in cui ha studiato anche Re Boris (ex ginnasio maschile "George Rakovski"), ero molto brava in Scienze Umanistiche.", racconta Azora.
Cosa studiavi allora?
"Si studiavano pittura, musica, storia e letteratura. Quando realizzavo un quadro, la mia insegnante Sofi Koen rimaneva stupita. Secondo lei i miei quadri erano davvero originali. Non mi sono iscritta all'Accademia di Belle Arti come mi aveva consigliato lei, ma la pittura è rimasta una mia passione. E come in ogni cosa, è importante l'amore con cui fai le cose, non soltanto la tecnica. Un quadro ti deve toccare il cuore, deve essere un punto di vista e non una semplice copia di un soggetto.
Ti ricordi il primo quadro che hai fatto?
Era un vaso di rose. Avevo circa 6 anni, ero in prima elementare. Questo quadro piacque talmente tanto alla mia insegnante che lo esibì davanti a tutta la scuola. Avevo disegnato le rose come dei draghi che avevano una bocca piena di spine. Era semplicemente il modo in cui da bambina vedevo le rose. Quando ci fecero disegnare l'eclissi, io disegnai un sole che sanguinava davanti ad una piccola figura maschile che lo guardava. Qualcuno allora pensò che avevo copiato chissà quale pittore futurista... ma io nemmeno sapevo che ci fosse un tale movimento pittorico, a quell'età.
Quindi la tua passione per la pittura va avanti fin da quando eri bambina?
Sì. Tutte le nostre passioni iniziano quando siamo bambini o non cominciano mai. Oggi ho l'idea di creare una galleria virtuale senza nomi in modo che la gente possa scegliere un quadro che tocca la loro anima senza farsi influire dal nome del pittore che l'ha dipinto. Tanti comprano un quadro solo perché il pittore va di moda e ha probabilmente un forte gallerista alle spalle. Invece l'arte deve essere una scelta dell'anima, non del portafoglio. L'arte non si compra, si vive.
https://www.instagram.com/azorarais_lozanovazornitza/ https://www.azora.it/
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Oriana Fallaci: la mia guerra di oggi? La trincea del web. / Il Bullone - OrianaG
Pubblicato su Il Bullone n° 30, novembre-dicembre 2018.
Oriana a New York vive in un appartamento di fine 800. Ha una cantina piena di tutto un po', ricordi, cimeli, che ciclicamente l'East River allaga. La casa di Milano è accogliente più del previsto, dopo un caffè e un bicchiere d'acqua ci spostiamo nello studio. Sul tavolo l'elmetto del Vietnam, una Lettera 22, il libretto de L'Europeo, i primi appunti di "Lettera a un bambino mai nato", i passaporti. I sopravvissuti dell'East River.
Guardo l'elmetto.
In quale guerra andresti adesso? Dove c'è più bisogno di verità? Sul web. Ben inteso, non ho mai usato un computer, ma ho fatto fare qualche ricerca su Internet da altri. Ho piena percezione delle potenzialità che ha, ma non so quanto avrei saputo prevederne i danni, un potenziale così grande non può non nascondere problemi grandi. Ho visto le recensioni che fanno dei miei libri, le cose che vengono pubblicate on line, e non capisco. Come sia possibile non fermarli, gestire le autorizzazioni. E andrei in Nord Africa a capire cosa si sta muovendo, chi è questa gente che arriva. Non riuscirei forse più a ripetere il Vietnam, già dalla guerra del Golfo ai giornalisti non permettono più di andare al fronte. Forse ha ragione mio nipote Edoardo che ho una stella che mi protegge, che ho rischiato la pelle milioni di volte, ma è un giornalismo che non si fa più. Che non ci lasciano fare più. Spendo tempo per quello di cui mi frega realmente qualcosa. Della Bosnia, o della mafia per esempio, non mi sono mai occupata.
C'è un altro Panagulis in giro? Parecchi. Sang Suu Kyi in Birmania, Malala in Pakistan. Mi è piaciuto molto Lech Walesa in Polonia (presidente polacco dal 1990 al 1995, vince le prime elezioni libere con Solidarnosc), mi ricorda tanto Alekos. Ma con gli anni è venuto fuori più l'uomo che il politico, più sempliciotto, che ha fatto discutere. Probabilmente ad Alekos sarebbe successa la stessa cosa, se non fosse morto sarebbe ancora al governo. Ma era un predestinato, un eroe greco classico, un poeta che non poteva fare una fine diversa. In questo è unico.
Chi intervisteresti adesso? Trump, sicuramente mi divertirei. Rimango col rimpianto di chi non sono mai riuscita a intervistare: il Papa, Wojtyla non si è mai fatto intervistare in due anni di tira e molla; Fidel Castro mi ha fatto andare a La Havana due volte senza ricevermi; con Andropov, leader russo, avevamo fissato il colloquio, ho chiesto un rimando di quattro mesi per studiare, e lui è morto nel frattempo.
Tra i tuoi colleghi chi ammiri di più? Nessuno. Sono da sempre poco rispettata e molto temuta da tutti. Ho qualche amico, tra i colleghi, Vittorio Feltri, per esempio, con il quale siamo sempre in contatto. Ma ammirare, nessuno.
Quali caratteristiche deve avere, secondo te, un buon articolo? Soggettività. Io ho il dovere di commentare quello che vedo, per come lo vedo io. Il giornalista è testimone, non spettatore passivo. Ha spirito critico. Poi mio nipote dice che sono un po' strega, che faccio radiografie alla gente guardandola negli occhi. Magari ha ragione, tendo a farmi in fretta un'idea sulle cose. Mi stufo anche in fretta, delle persone. Ma un buon giornalista deve essere capace anche di ritrattare, cambiare idea, a me è capitato su americani e vietcong, sui palestinesi.
Cosa ti ha spinto a scrivere di mestiere? Predestinazione. Ne sono convinta da sempre. Zio Bruno, il fratello di papà, giornalista anche lui, racconta sempre del mio tema sul semino che ha vinto il Premio della Befana Fascista alle elementari, una piccola somma di denaro mai ritirata, con mio sommo dispiacere, ma in una famiglia di partigiani sarebbe stato un oltraggio. E ricordo il momento in cui mi è stato permesso, perché malata, di leggere le edizioni Salani col dorso rosso che splendevano in vetrina a casa. Poi finito il liceo non c'erano soldi e per pagarmi Medicina mi sono presentata alla redazione che doveva essere de La Nazione, ma è stata del Mattino dell'Italia Centrale. Giravo in bicicletta per commissariati e ospedali per scrivere di cronaca. Poi di un comizio di comunisti il direttore, democristiano, mi disse che potevo anche non andarci e cassarli tutti. L'ho mandato al diavolo. Ho scritto di un gruppo di operai comunisti che avevano celebrato il funerale di un compagno cui il parroco aveva negato il rito a Fiesole. L'ho mandato all'Europeo e me l'hanno pubblicato. Da lì mi sono occupata di Costume e Spettacolo, anche se in pochi mi stavano simpatici di quel mondo. Dal Vietnam in poi ho cambiato tono. Completamente. E ho cercato di eliminare tutto il "prima". Però l'ultima telefonata che ho ricevuto è stata da Sofia Loren. Ci conosciamo da una vita e non l'ho mai intervistata. Buffo, no?
Perché i tuoi genitori ti hanno chiamata Oriana? Non lo so, in realtà. Sapevo in onore di Orio Vergani (primo fotoreporter italiano), ma probabilmente è una balla. Mia sorella Neera ha il nome di una musa, l'altra mia sorella è Paola. Tendenzialmente non si è seguita la genealogia, nella migliore tradizione anarchica. In compenso mi sono divertita un sacco quando Edoardo, mio nipote, mi ha chiesto consiglio per il nome del terzogenito.
Una canzone o un libro alla quale sei legata? "La Divina Commedia", e mi piace molto la fantascienza. E "Greensleeves". Non so perché mi piace, l'ho usata tanto nella lettura registrata di "Lettera a un bambino mai nato". Ho sempre amato andare a vedere i musical, e i concerti dal vivo: Ella Fitzgerald, Louis Amstrong... Poi hanno vietato di fumare nei luoghi pubblici e m'è passata la voglia.
Che importanza dai alla famiglia? Tantissima. Se hai letto "Un cappello pieno di ciliegie" hai già la risposta. Il mio più grande rammarico è non aver avuto figli. Ne ho persi tre. Ho sempre appoggiato fortemente il progetto di famiglia di Edoardo, che di figlioli ne ha avuti quattro. Fin da bambina mi affascinavano le storie di famiglia. Mi piaceva scoprirle e mi piace tuttora raccontarle. Ma siamo rimasti pochi Fallaci, e le grandi storie di famiglia si fermano alla Liberazione, sostanzialmente. Anche "filmini" o foto di famiglia degli ultimi 30 anni non ne abbiamo. E chi ha girato lo sceneggiato su di me (Fandango e Rai, con i cui sceneggiatori Edoardo ha lavorato a lungo alla sceneggiatura) ha fatto una robetta sdolcinata molto lontana dalla realtà. Magari gli americani fanno meglio...
Come vivi la paura? Ne ho sempre tanta. Delle situazioni, dei bombardamenti. Bandini, console italiano negli USA, mi dava della paranoica, ma ero solo consapevole dei rischi. In una stanza interna non salti in aria se sparano per strada. Non ho invece paura di scrivere quello che penso, ho paura di essere fraintesa piuttosto.
Cosa diresti ai giovani? Studiate. Trovo assurdo che negli USA ora esistano corsi di "Oriana's Journalism", ma, per le mie interviste, quello studio e quella precisione nel registrare e appuntarmi tutto sono stati fondamentali. E, da fiorentina e italiana, agire. Muovetevi in prima persona per quello che vi interessa.
B.live ha 3 parole che sono essere, credere, vivere. Le tue quali sono? Da sempre scrivere, coraggio, libertà.
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TRAVAGLIO, ANCHE BASTA
Bertolaso però no. La sanità lombarda però no, dài. Ma occuparsi di Marco Travaglio è inutile: da una parte perché sbugiardarlo regolarmente necessiterebbe di un impiego a tempo pieno, dall'altra perché la sua specialità sono soprattutto le sapienti omissioni: i suoi sillogismi di norma sono più brevi e superficiali della verità, che spesso ha il difetto di essere articolata: ma non è ciò che interessa i suoi lettori medi. Ai suoi lettori interessa incolpare qualcuno: l'adrenalina e il divertimento gli si accende come per i film di Boldi e De Sica: basta una flatulenza. Quando Travaglio monologava da Michele Santoro poteva essere un problema, perché lo guardava un sacco di gente: ora è conchiuso nel suo Fatto Quotidiano che è tracollato nelle edicole: l'anno scorso si è quotato all'Aim (la Borsina dei piccoli) e ha portato a casa miseri risultati; nell'estate 2018 preventivavano di vendere 10 milioni di azioni e ne portarono a casa circa 2, con il prezzo per azione ridotto a 0,72 per azione; l'amministratrice Cinzia Monteverdi ammise «Il mercato non era quello che ci aspettavamo». Chissà che cosa pensavano che fosse, il loro Fatto Quotidiano: soprattutto considerando che chiuse in rosso il bilancio 2019 per due milioni di euro. Cose che succedono (quasi a tutti: ma a noi, in questo periodo, no) e comunque, al di là di questo, gli «editoriali» di Travaglio nel tempo perdevano peso: da anni non venivano più propriamente letti bensì al limite «sorvegliati» dagli opinion maker, la gente che conta: tipo una riga sì e dieci no, tanto per capire con chi se l'era presa. La sua naturale vocazione al fallimento in compenso si è sempre rivelata interessante essendo lui un marker negativo: chiunque egli sponsorizzi, cioè, sappiamo già che finirà male. Travaglio passò dal Giornale alla Voce: la Voce ha chiuso. Passò al Borghese: il Borghese ha chiuso. Andò in Rai da Luttazzi: gli chiusero il programma. Promosse Raiot della Guzzanti: non è mai andato in onda, e lo stesso vale per i programmi di Oliviero Beha e Massimo Fini. Quando sostenne Caselli all’Antimafia, fecero una legge apposta per non farcelo andare. Ha sostenuto Woodcock: plof. Ha sostenuto la Forleo e De Magistris: la prima cadde in un cono d'ombra, il secondo si dimise dalla magistratura e i suoi processi si rivelarono fuffa. Travaglio sostenne tutti i movimenti poi svaporati e candidati a importanti cariche giudiziarie: sempre trombati. E Di Pietro, il simbolo? Abbiamo visto. Ci eravamo dimenticati della campagna per Ingroia, prima da magistrato e poi da meteora politica con parentesi guatemalteca: dissoluzione. Poi la svolta: Travaglio partecipò al V-day e protestò contro i fondi pubblici elargiti anche al giornale dove scriveva, l’Unità: che infatti chiuse. Pazienza: comunque si era scavato un mestiere (parlar male del prossimo) e la tendenza dei colleghi è stata considerarlo come un ordinario mercante che vendeva prodotti commisurati a un target: che sarà pure composto da idioti, ma era e resta un target. Col tempo e la popolarità, tuttavia, qualche prezzo occorreva pagarlo. Certe incoerenze erano lì, bastava notarle. Lui, antiberlusconiano, si scoprì che aveva pubblicato i suoi primi due libri con la Mondadori del Berlusconi che intanto era già sceso in politica. La sua ostentata rettitudine si fece grottesca. Citava Montanelli: «Non frequento i politici, non bisogna dare del tu ai politici né andarci a pranzo». A parte che ci andò (una volta ero presente anch'io) non fu chiaro perché coi politici no e coi magistrati sì: come se non fossero entrambi uomini di potere e soprattutto di parte. Anche il suo linguaggio peggiorò. Descrisse i giornalisti che celebravano Giorgio Napolitano, per dire, parlando di «lavoretti di bocca e di lingua sulle prostate inerti e gli scroti inanimati», continuando a sfottere il prossimo per i difetti fisici: Giuliano Ferrara «donna cannone», «donna barbuta», il suo ex amico Mario Giordano «la vocina del padrone», poi Brunetta eccetera. Se uno non aveva difetti evidenti, li inventava: continua a chiamare me «biondo mechato» anche se è biondo tutto il mio albero genealogico. Le incoerenze si fecero lampanti quando fu evidente che il signorino in definitiva lucrava su un «regime» che lo mandava in onda in prima serata, e che di condanne per diffamazione ne aveva prese eccome, e che proponeva l'abolizione dell'Appello ma poi ricorreva in Appello, e che tuonava contro la prescrizione ma poi non la rifiutava, e che non esitava, lui, l'inflessibile, a prostrarsi ai piedi del querelante Antonio Socci (febbraio 2008) affinché ritirasse una denuncia: «Riconosco di aver ecceduto usando toni e affermazioni ingiuste rispetto alla sua serietà e competenza professionale, e di ciò mi scuso anche pubblicamente».Ma avevamo cominciato con Bertolaso: perché è contro di lui e contro la sanità Lombarda che il Fatto Quotidiano, dopo anni di routine da pagliacci del circo mediatico, si sono riguadagnati la ribalta dell'infamia. Editoriali titolati «Bertoléso», altri dove gli si dà dell'untore o che relegano i resoconti dell'assessore Giulio Gallera a «televendite» per fini elettorali, o profonde analisi della competette Selvaggia Lucarelli in cui si esorta la Lombardia - che ha fatto comunque miracoli e ha probabilmente la migliore sanità pubblica di questo Pianeta - a «chiedere scusa». Non c'è neanche da parlarne. Però ricordo bene un'altra volta in cui Travaglio ad Annozero parlò di Bertolaso e delle sue «cattive frequentazioni»; ricordo che Nicola Porro del Giornale gli fece notare che delle frequentazioni discutibili potevano essere capitate anche a lui, a Travaglio, il quale diede di matto e diede a Porro e Maurizio Belpietro di «liberale dei miei stivali», poi scrisse che «non sono giornalisti», «se non si abbassano a sufficienza vengono redarguiti o scaricati dal padrone», «non hanno alcun obbligo di verità» e «sguazzano nella merda e godono a trascinarvi le persone pulite per dimostrare che tutto è merda». Ora però, con tutto il rispetto, l’unica merda giornalistica che ci viene in mente è il giornalismo del Fatto Quotidiano di questi giorni, che, pur di screditare la sanità lombarda, giunge a pubblicare, per dirne una, i verbali del processo a Roberto Formigoni: come se noi, adesso, ricordassimo appunto le «frequentazioni» di Travaglio – che sono quelle a cui accennavano Porro e Belpietro – quando il direttore del Fatto andò in vacanza con un tizio poi condannato per favoreggiamento di un mafioso, già prestanome di Provenzano; quando telefonò a un siciliano, uno che faceva la spia per un prestanome di Provenzano, e gli chiese uno sconto sulla villeggiatura in Sicilia; quando la sua famiglia e quella di Pippo Ciuro, poi condannato per aver favorito le cosche, si frequentavano in un residence consigliato da questo Ciuro e si scambiavano generi di conforto; quando il procuratore di Palermo Pietro Grasso, sul Corriere, scrisse che Travaglio faceva «disinformazione scientificamente organizzata». E questi sono tutti «fatti», come li definirebbe Travaglio, «fatti» a loro modo ineccepibili, non querelabili. Forse andrebbero spiegati, perché la verità sempre più complessa. Beh, è Travaglio a non farlo mai, a non spiegare mai e a scrivere barzellette sui malati a cui dovrebbe banalmente baciare il culo. Travaglio ha scritto che Bertolaso, «più che trovare posti letto, ne ha occupato uno». Poi è passato oltre, per il risolino demente di quei pagliacci e cialtroni che ancora lo leggono. Ha una sola fortuna, il direttore del Fatto: che non c'è un giro un Travaglio che certe infamie gliele ripeta di continuo, in libri e articoli e comparsate televisive. Oddio, potremmo anche farlo noi. Io tempo fa lo feci, poi a un certo punto smisi perché avevo anche interessi, nella vita. Lui, a parte Renato Zero, non sappiamo. E’ questa la differenza: noi non vogliamo farlo, perché, a differenza sua, non facciamo schifo.
Filippo Facci
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“Sono attratto dal caos”. Dialogo con Rudy Wurlitzer. Benedetto da Thomas Pynchon, ha scritto per Sam Peckinpah e Bernardo Bertolucci
Quando chiedo di intervistarlo, mi dicono che è on the road. Sulla strada. Fuori dal mondo. Dal tempo. Poi. Riemerge. Avete presente Johnny Depp che in Dead Man si fa chiamare William Blake e naviga su una canoa, al margine del regno dei morti, stordito, in un Far West di desolante nitore? Beh, alle spalle del più bel film di Jim Jarmush c’è lui.
C’è lui, in effetti, anche nella pellicola epica di Sam Peckinpah, Pat Garrett & Billy the Kid; ed è sempre lui che scrive Piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci e aggiusta il testo di Dune, griffa David Lynch. Solo che a Rudolph ‘Rudy’ Wurlitzer, classe 1937, tra gli scrittori più originali degli States, nato alla letteratura con Nog, nel 1968, battezzato da uno come Thomas Pynchon («Speriamo che il Romanzo delle Cretinate sia morto, speriamo che una nuova luce sia sorta, perché Wurlitzer è uno bravo, bravo davvero»), le etichette non piacciono. Fugge a tutti. Resiste tra gli inafferrabili. Così, svezzato alla sapienza narrativa a Maiorca, da un maestro come Robert Graves, scrive libretti per Philip Glass e quando, dopo troppi anni – l’ultimo romanzo, Slow Fade, è del 1984 –, nel 2008, per la casa editrice indipendente Two Dollar Radio, se ne esce con The Drop Edge of Yonder, è una ovazione generale, ne scrivono come del «più allucinato dei western, che mescola furiosamente il Sutra del Cuore a Meridiano di sangue». Dieci anni dopo, come Zebulon, il nome del protagonista, un Don Chisciotte screziato dai morti in un West dilaniato dagli enigmi, il romanzo di Wurlitzer arriva in Italia (Fandango/Playground, 2018). Un libro di corrotta bellezza, di «coscienza dissolta in ombre sognanti e apparizioni su cui non aveva alcun controllo». Dell’esito delle sue creazioni, gusci di notte istoriati con parole di salvezza e anatemi, d’altronde, Rudolph non si cura, è uno che corre. D’altronde, «il destino… è una specie di schiavitù», dice uno dei suoi controeroi, a precipizio nel grido.
Zebulon è un western mistico, che fonde l’etica buddhista all’epica violenta di Peckinpah… è così?
«Mi sono sempre occupato di Far West e mi ha sempre appassionato il tema di quel che resta della nostra natura selvaggia, provando a separare l’essenza del sé dalle abitudini culturali. Dal momento che sono nato e cresciuto a New York, in un ambiente musicale (mio padre era un esperto di vecchi strumenti a corda con tastiera), in qualche modo i miei viaggi solitari verso l’Ovest degli Stati Uniti hanno rappresentato la mia iniziazione all’esperienza dell’esplorazione, che è a sua volta una specie di musica interiore. Quando mi hanno presentato a Sam Peckinpah, vivevo nel New Mexico e mi stavo appassionando alla storia del vecchio West. Leggevo molti libri sulla vita nel vecchio West e anche le lettere vergate a mano dagli esploratori, e quelle letture hanno influenzato alcuni dei miei personaggi cinematografici così come la loro lingua ossessiva e informale. Mi affascina da sempre, inoltre, la letteratura taoista e buddista e le sue relazioni con la forma e con il vuoto. A Bertolucci hanno fatto il mio nome, presentandomi come uno degli sceneggiatori in grado di scrivere Piccolo Buddha perché legato in più modi al tema e perché avevo vissuto in India e in Nepal».
Come le è venuto in mente il personaggio di Zebulon Shook e questo romanzo lisergico, che sta tra Cormac McCarthy e Philip K. Dick? Insomma, cosa le piace leggere?
«Ho letto pochissimo di Cormac McCarthy e di Philip K. Dick. Ho letto soprattutto romanzi dell’Ottocento alternandoli a Samuel Beckett e James Joyce. Sono stato influenzato anche da Gabriel García Márquez, Genet, Nabokov, Rimbaud, Hermann Hesse e i russi: Tolstoj e Dostoevskij, ma anche Camus, Kafka e Nietzsche. E naturalmente anche da Hemingway – il suo stile intenso e criptico ha influenzato le mie sceneggiature – e poi ci sono le avventure di Proust e Melville, che non ho mai smesso di leggere».
So che è stato per un periodo il segretario di Robert Graves: come è accaduto? Graves ha influito sulla sua scrittura?
«Non ho mai lavorato direttamente per Robert Graves: eravamo vicini di casa a Maiorca, dove andavo quando avevo vent’anni. Mi ha influenzato nelle letture, incoraggiandomi a scrivere frasi brevi e chiare, un consiglio che mi è stato utile quando è arrivato il momento di scrivere sceneggiature. Mi sono dedicato al cinema per potermi permettere di continuare a scrivere romanzi sperimentali, eccentrici, lontanissimi dal mainstream, che all’epoca scrivevo e che ancora scrivo nella solitudine di Cape Breton, in Nuova Scozia dove ho un capanno che si affaccia sulla solitudine dello Stretto di Northumberland».
Che rapporti ha con la letteratura statunitense contemporanea? La legge, le interessa, intrattiene dei rapporti di amicizia con gli scrittori di oggi?
«Ho parlato spesso di narrativa americana contemporanea con due vecchi amici, che però sono morti: Mike Herr, l’autore di Dispacci, e Sam Shepard con cui ho condiviso alcune esperienze cinematografiche e anche la frequentazione degli ambienti newyorkesi quando era ancora possibile conversare con artisti del calibro di Claes Oldenburg, Philip Glass e Robert Frank, un vecchio amico che cercava anche lui di forzare le convenzioni artistiche e con cui ho lavorato a molti film, compreso Candy Mountain, che abbiamo codiretto, insieme ad altri corti cinematografici improvvisati».
In un momento del romanzo, Delilah dice, «Siamo tenuti insieme da un destino sul quale non abbiamo alcun potere». Lei la pensa così? Che senso ha, per lei, la vita? Cos’è il destino? È più forte la furia del caos o esiste un ordine nel mondo?
«Sono attratto dalla letteratura e dall’arte che affrontano l’impermanenza, il caos, così come la forma legata al vuoto e viceversa, in particolare in questi tempi frenetici in cui il mondo sembra avviato verso un’apocalisse globale. Anche da bambino, quando vivevo in un ambiente sicuro, sorretto da una famiglia generosa, ero interessato a sabotare le forme accademiche, contemplando e accogliendo l’impermanenza e le illusioni della permanenza. Pronti o meno, tutto scorre. Anche la vita».
Davide Brullo
*In origine, l’intervista è uscita in forma leggermente diversa su “il Giornale” del 26 novembre 2018
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Voce, un paesaggio immersivo Hannah Arendt Incontro con l’artista Roberto Paci Dalò, che ha composto una sorta di ritratto acustico della filosofa. «Non ho mai abbandonato il disegno, anche alla ’vecchia maniera’, è la mia meditazione quotidiana». «Prima ancora che attraverso i libri, sono entrato nel suo pensiero con cellule della sua identità sonora» di Lorenza Pignatti il manifesto 21.01.2021 Artista, musicista e pioniere nella sperimentazione multimediale, Roberto Paci Dalò è stato tra i primi in Italia e in Europa a individuare le connessioni tra tecnologia e teatro, e già dagli anni ’80 si è occupato di progetti che spaziano dall’ambito sonoro a quello cinematografico, radiofonico e performativo. Ha presentato le sue opere in spazi istituzionali, come il Teatro Argentina di Roma, o il Valli di Reggio Emilia, in musei come il Mao di Torino, la Biennale di Göteborg, il festival Ars Electronica di Linz, per ricordarne solo alcuni, ma anche in centri sociali o in luoghi indipendenti, con modalità volutamente frammentarie per raggiungere i pubblici più diversi.Uno dei suoi ultimi progetti è dedicato a Hannah Arendt, figura di riferimento imprescindibile per il pensiero politico del XX secolo. Un progetto che ha assunto le forme dell’installazione interattiva, della performance radiofonica, del workshop e podcast, ascoltabile dal sito della radio austriaca. Con HA, questo è il titolo del podcast, Paci Dalò ha composto una sorta di ritratto acustico di Arendt, lavorando su piccole cellule sonore della sua voce trasformandole in un soundscape in cui «la voce è elemento che libera il linguaggio dal vincolo dell’ordine simbolico», come scriveva Elias Canetti, autore molto vicino a Paci Dalò. «HA» è il risultato di un lungo processo di composizione e montaggio che ha trasformato la voce di Arendt in un dispositivo sonoro immersivo, in cui diversi volumi e riverberi hanno creato una drammaturgia sonora, che è un viaggio acustico e immaginifico. Può spiegarci come è nato il progetto? Nel 2018 sono stato invitato da Adriaan Eeckels del Joint Research Centre, l’hub della ricerca scientifica della Commissione europea, per partecipare a una sessione di lavoro con artisti internazionali e scienziati. Nel campus, dove lavorano circa tremila scienziate e scienziati, a Ispra sul Lago Maggiore, ho incontrato Nicole Dewandre che mi ha trascinato nel «vortice Arendt». Essendo un benjaminiano, ho sempre desiderato entrare nel pensiero di Hannah Arendt. Al Joint Research Centre, dove ho potuto passare un lungo periodo di tempo in laboratori e centri avanzati di ricerca, ho deciso di entrarci attraverso la sua voce, prima ancora dei suoi testi. Per me è il vero ritratto di una persona, perché la voce non si maschera. Hannah Arendt «HA» è stato presentato in diverse città europee, in forme e modalità differenti. Come sono state sviluppate le sue varie morfologie? A Trieste per la mostra Both Ways ho realizzato un’installazione audio-video interattiva intrecciando la voce di Arendt con alcuni paesaggi sonori della città. Mi ero chiesto come, e se fosse possibile, ideare un corrispettivo audio dell’infografica. Per rispondere a questo interrogativo ho inventato un’infosonica dove i dati sono stati processati, privilegiando i suoni e l’ascolto all’immagine. Ho creato un database in cui ho unito la voce di Hannah Arendt a una cronologia di suoni e voci della città di Trieste, archiviati dal 1900 a oggi. Ho poi ideato un dispositivo che permettesse ai visitatori di diventare protagonisti, attivando i suoni stessi. Per la biennale Atlas of Transitions ho invece realizzato Hannah, una performance radiofonica in diretta, utilizzando i materiali sonori su cui stavo lavorando per portare a termine HA, che è ora un podcast, frutto di un laborioso processo in studio. Ho agito su cellule della voce di Arendt della durata di 2-4 secondi l’una, definendo per ciascuna di loro volume, equalizzazione, spazializzazione. Se pensiamo a questo moltiplicato per 52 minuti è possibile avere un’idea della stratificazione dell’opera. HA è stato presentato in anteprima su Ö1 (il primo canale della radio nazionale austriaca) e ora è anche ascoltabile dal sito della radio austriaca.Come è nata e si è sviluppata la sua metodologia sperimentale per l’ambito radiofonico? Sono debitore all’artista Robert Adrian (1935–2015), pioniere della scena artistica elettronica e delle telecomunicazioni col quale ho condiviso tanti anni di discussioni, progetti – e anche lo studio – a Vienna. E pure a Heidi Grundmann, la mia storica produttrice radiofonica alla Orf (Radiotelevisione nazionale austriaca), col programma Kunstradio, da lei creato nel 1987. È per merito loro, di Pinotto Fava e Pino Saulo con Audiobox a Radiorai, che sono vorticosamente caduto nel mondo di una radiofonia pensata come eclatante luogo di incontro di discipline. Tanti e pionieristici sono stati i progetti che ho realizzato dal 1989 ad oggi, l’ultimo dei quali è proprio HA. I miei lavori hanno seguito i cambiamenti avvenuti in ambito artistico. L’avvento di internet ha inevitabilmente modificato le pratiche. La sua fluidità è positiva e negativa allo stesso tempo, perché il flusso incondizionato e immateriale necessita a mio avviso di «sedimentazioni» che passano, ad esempio, dall’editoria. Pubblicare un disco, un libro, un video, può dare una concretezza al flusso di informazioni. È parte di questo processo di sedimentazioni anche il libro «Millesuoni. Deleuze, Guattari e la musica elettronica?». Nel volume si indaga la scena elettronica partendo dalla partecipazione di Deleuze, nel 1972, alla registrazione del disco «Electronique Guerrilla» degli Heldon…. Sì, lo posso considerare come uno dei miei progetti «principe». Con Emanuele Quinz abbiamo sognato un libro che parlasse del rapporto tra quei filosofi e la musica elettronica. Fino a quel momento non era uscito nulla di così specifico. Millesuoni ha avuto un’ottima diffusione anche nei centri sociali, è stato acquistato dai giovani, obbligando l’editore a una pronta prima ristampa. Ora siamo arrivati alla terza edizione ed è ancora in catalogo: questo mi fa pensare che il suo taglio non specialistico sia stata una giusta scelta. Rispetto alle sedimentazioni, non ho mai abbandonato il disegno, che è la mia meditazione quotidiana. Un esempio è il libro Ombre, nato per volontà di Marco Pierini, direttore della Galleria nazionale dell’Umbria, che mi ha chiesto di realizzare un volume per festeggiare i cent’anni del museo, suggerendomi di illustrare alcune opere del museo sui miei taccuini Moleskine. Così, ho creato un libro disegnando «alla vecchia maniera», spostandomi nella sale della Galleria con uno sgabellino da pescatore e una piccola borsa con i miei strumenti: carta, matite, china, acquarelli. Ho voluto insistere sui dettagli, mutuando la lezione dallo storico dell’arte Daniel Arasse, scoperto grazie ai consigli di Guido Guidi. Sempre rispetto alle sedimentazioni e agli approfondimenti vorrei ricordare che a fine gennaio verrà inaugurato Usmaradio – Centro di Ricerca Interdipartimentale per la Radiofonia, all’università della Repubblica di San Marino. Il centro fa tesoro dei miei progetti di questi ultimi trent’anni e del lavoro di Usmaradio, laboratorio di trasmissioni creative del presente, che è attivo dal 2017. È l’unico luogo di ricerca con queste caratteristiche in Italia (e non solo in Italia) e qui si intende investigare, in modo articolato, teoria e pratica della radiofonia.
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Retrospettiva di COCO GORDON
“Timeless, Senzatempo”
La natura tra performance e Exploding Books
di Sandro Bongiani
"Continuo a potenziare me stessa in quanto donna che sta invecchiando per rendere visibili profonde ricerche culturali, e per creare un impatto sull'etica di pensiero/comportamento e sull'integrazione mente-corpo-spirito della nostra struttura moderna". Coco Gordon / SuperSkyWoman
Coco Gordon, di origini italiane è tra le più significative artiste " intermediali" americane. Ha radici nel movimento "Fluxus". Al centro dei suoi molteplici lavori si colloca l'intenzione di creare consapevolezza nei confronti dei problemi ecologici e sociali del nostro mondo. Coco Gordon, inizia il suo percorso artistico nel 1958 con delle opere come “Constructivism Apree’ Da Da”, oil painting, una sorta di elementi plastici e costruttivisti, visti dall’alto come un paesaggio, E’ del 1961 il disegno “My hair holds up the city, Coco Charcoal�� (I miei capelli reggono la città), in queste prime opere possiamo intravvedere gli sviluppi futuri della sua personale ricerca artistica. Tra gli anni 1969 e il 1981 arrivano le sperimentazioni grafiche poetiche dove la scrittura e l’assemblaggio delle materiali acquistano un ruolo rilevante come ad esempio, l’opera realizzata nel 1982 a Cavriago nel laboratorio di Rosanna Chiessi, “Paper Jewels on tulle" Tendaggio, 4 Bon Bon”, utilizzando carta fatta a mano, tulle e altri materiali. Il 1982 è anche l’anno delle prime performances come “So Tired Coco Action, e libro", “D.O.A. Doing (Dead on Arrival) con Gordon sotto un pianoforte che ogni due minuti cambiava i vestiti, oppure, la performance a New York di Coco Gordon con Helmut Becker dal titolo “Skin Piece” Helmut Becker & Coco action del 1986. Ha intrecciato rapporti di collaborazione con artisti come Ray Johnson e Alison Knowles, e per le sue attività intermediali e le performances possono essere associate al lavoro di altri artisti del gruppo “Fluxus”, in particolare a Joseph Beuys, Yoko Ono, Carolee Schneemann, e Geoff Hendricks legate assieme all'idea che tutto è arte.
Già dalle prime opere del 1958 è visibile l’interesse specifico riguardo la natura che sarà tema centrale verso i problemi ambientali e sociali. C'e una foto Cibachrome del 1985 dal titolo "earth", ("Terra") e stata scattata per documentare una performance dell'artista all'interno di una situazione naturale, distesa, nuda, in un piccolo giardino. Sta in posizione supina, il busto coperto di carote appena tolte dalla terra. corpo come scrittura legata all'esperienza universale. Con la pratica della performance, l’artista dimostra la sua stretta vicinanza ai processi naturali e esprime il desiderio di creare un cambiamento radicale “di consapevolezza” della nostra dipendenza dal consumismo e dalla quotidiana economia di sfruttamento. Pertanto, il suo fare arte e la sua pratica nella natura sono attività compatibili che legate assieme operano per modificare la consapevolezza collettiva e ritrovare un'esperienza primaria legata alla natura. Nel 1992 arriveranno le performances come “Finding Food”, o “Seeking Water” con Coco Gordon che per un mese vive su un albero, procurandosi il cibo nella foresta a Pender Island in Canada. L’anno successivo (1993), si ritrova a Capri, invitata da Rosanna Chiessi dell’ Archivio Pari & Dispari di Reggio Emilia a fare la performances “Lun'acqua come me Capri - dopo il nome della villa Malaparte”, "Casa Come Me", alla Casa Malaparte. Il 2003 e anche l’opera “Cuscini a Sognare per 6”,- cuscini attaccati insieme per fare suoni e sognare”, e poi, nel 2005, “Root” una performance con carta fatta a mano messa attorno a una radice di albero ed esposta a Napoli.
Infine, è del 2020 la mostra personale di Coco Gordon a Venezia alla Galleria Visioni Altre, dal titolo. “Fresh Cuts - Tagli Freschi”, una sorta di omaggio ad amici/artisti del movimento Fluxus, con una serie di libri e riviste presentati secondo una originale ri-lettura trasversale. Le prime opere di libri tagliati risalgono al 1963, come quello dedicato a Daniel Spoerri, “ Tagli Freschi per Daniel Spoerri, Fluxus L’Optique Moderne” in cui per la prima volta utilizza un catalogo di Daniel Spoerri per tagliarlo e creare nuovi spazi inesplorati. Dalle pagine visive create tra il 1969 e il 1979 nel successivo decennio arrivano le opere in formato libro d’artista come quella realizzata nel 1987 “Intimate #1”, small italian Opera, e poi, dal 2018 a oggi le ultime originali opere in cui ri-taglia e ri-costruisce l’oggetto trasformandolo in un insolito libro-oggetto, rivisitato per una lettura complessa e alternativa. Tagli come spazi da aprire, per procedere oltre la lettura della pagina. Non una lettura condizionata dalla cronologia, ma da un percorso più personale in cui il lettore può scegliere di vedere da una zona all’altra del libro-oggetto le pagine che preferisce diventando parte attiva del viaggio. Perché di viaggi si tratta, con aperture e plurime finestre di lettura che ogni volta si riaprono a diverse nuove riflessioni. Quindi, non semplici e consueti Book cut ma libri tagliati ed “esplosi” che hanno bisogno dell’intervento del fruitore per essere osservati. Nel percorso di lettura dell’opera non c’è un inizio e neanche una fine, ma un susseguirsi di momenti visivi che modificano la lettura del libro. E’ come decidere al momento cosa fare, in un insieme complesso. L’aspetto interessante di queste opere è far percepire dei tagli che esplodendo si trasformano e si estendono su un piano a creare pagine stratificate. Il taglio è azione, apre e crea nuovi spazi, accoglie luoghi ancora inesplorati e nascosti, modificando la forma originale del libro e trovando una diversa identità per una lettura avventurosa dell’oggetto”.
Nella mostra del 2020 Fresh Cut, a Venezia i libri diventano anche i tasti di un pianoforte rosso, scheletrico, “esploso”, immaginato dall’artista come parte dell’installazione per una particolare performance in cui l’artista taglia il vestito di Barbara Cappello, come fa da diverso tempo con i libri d’artista, affidandosi alla lama per permettere di aprire squarci di tessuto e nuovi pensieri. Un intervento, quindi parallelo, seppur in un altro piano del linguaggio, in cui la stessa Barbara Cappello diventa una sorta Book cut dell’evento, che per l’occasione scrive: “affidarsi alla lama per permettere di aprire brecce e pertugi, affinché la sostanza prenda corpo nella visione esterna, così da riordinare il caos costretto dietro il velo del tessuto che relaziona gli esseri” – aggiungendo - “il taglio apre e crea uno spazio nuovo, un luogo ancora inesplorato che si presta al riempimento di quel vuoto apparente con la visione prospettica tridimensionale. Prima una forma, dopo più forme, che mutano a seconda del movimento. E' il moto che genera la percezione della forma tridimensionale, la quale assume altre forme a seconda di come si sposta, danza, salta o semplicemente ruota. La staticità, invero trasposta da uno stato all'altro su un piano unicamente dimensionale, ove concede solo la visione panoramica con un orizzonte definito. Giustappunto la lama tagliente si muove in direzioni precise, ma multiple. Tra Coco e me, c'è stato un dialogo molto sottile, riguardo l'ascolto reciproco l'una dell'altra. Se lei seguiva i miei movimenti, io conducevo i suoi e viceversa. Tutto è comparso dal nostro dialogo, senza un progetto, il resto è sola azione performativa”.
Le azioni dei tagli sul libro come nella performance a Venezia sono atti similari in una unità d’intenti in cui tagliare, aprire, rendere visibile le variazioni per poi condividerle sinteticamente in una diversa dimensione tra mente-corpo-spirito e tra azione, arte e vita. Sandro Bongiani
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Addio 2019
Caro 2019, non mi mancherai affatto.
Vorrei dirti “Perdona il mio sfogo”, ma sarebbe un’ipocrisia. Non mi hai reso la vita facile, anzi. Lo so che hai portato avanti l’inferno iniziato a fine 2018, ma avresti potuto risparmiare qualche colpo e non far accadere tutto nello stesso momento.
Una gioia. Solo una ne ho avuta, ma hai rovinato anche quel momento. So che non è stata colpa mia. So che è stato tutta una coincidenza... Ma è stato tremendo. Non riesco più a guardare la copertina del libro con il mio racconto, senza ripensare all’ambulanza davanti casa di mia zia, mio padre che mi informa della sua morte e io che scoppio in un pianto a dirotto. Mi sento le mani sporche di sangue, quasi fosse stata la mia felicità ad ucciderla e non uno sfortunato e terribile evento.
Ho pianto di più per lei, che per la nonna. Per la nonna non ho pianto. Non mi è importato. Sono stata in camera ardente e al suo funerale solo per fare da supporto a mia madre, altrimenti non ci sarei neanche stata. Non avevo un vero rapporto con lei e non l’ho mai cercato: per lei non esistevo e così lo stesso valeva per me. Ho rescisso ogni legame nel 2012 e da allora non ho più provato affetto per lei. La sua morte è stata una liberazione. Cattivissima questa frase, ma è necessaria. Era pazza e nel suo ultimo anno di vita era degenerata parecchio. Non si è mai voluta curare, persino quando le è arrivato l’ultimo tumore. La sua situazione era così drammatica, che due operazioni non sono state sufficienti e gradualmente è diventata un vegetale. Ho visto mia madre invecchiare di colpo, per badarle. Ci ha sfinito tutti, in un modo o nell'altro. L’aria in casa era diventata così pesante, che non riuscivo più a stare nella stessa stanza con i miei genitori. Grazie ai miei amici della ludoteca, riuscivo ad evadere qualche ora al giorno da questa situazione. Loro non sanno quanto bene mi hanno fatto e non so se troverò mai la forza di dirglielo.
Questa spiacevole situazione mi ha fatto però capire una cosa: non riesco più a studiare. Nonostante io fossi entusiasta di riprendere l’università, tutto ciò che è successo quest’anno mi ha messo davanti ad uno stato di ansia immane. Non solo non riesco più a concentrarmi sui libri, ma mi impanico durante gli esami e questo mi ha fatto capire che non ce la faccio più a stare dentro l’università. Inoltre, non mi sembra più il caso di gravare economicamente sui miei, facendogli pagare un altro corso di laurea che non mi porterà da nessuna parte. Non sapendo bene cosa fare della mia vita, ho deciso di iscrivermi ad un corso post-diploma per ottenere una qualifica tecnica spendibile in campo editoriale. Forse non finirò a fare il lavoro dei miei sogni, ma almeno avrò un pezzo di carta che attesta che ho una specializzazione e un altro tirocinio, più pratico di quello nelle scuole e spero più spendibile. Ho seguito per troppo tempo un ideale ed è ora che mi metta in gioco sul serio.
Voglio cambiare, non solo economicamente ma anche personalmente. Voglio essere più indipendente, perchè ne ho assoluto bisogno. Voglio continuare a smussare il pessimo carattere che mi ritrovo ed essere più accomodante e meno capetto. Voglio combattere la mia ansia ed essere più sicura di me. Voglio stare bene e, per farlo, devo smettere di piangermi addosso e rimboccarmi le maniche sul serio.
Quindi addio, 2019. Sono contenta che tu sia finito.
Senza nessun rancore, Alessia
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In questi anni della mia vita ci sono state tante cose che mi hanno permesso di essere felice e altre che mi hanno permesso di essere triste e cosi sono cresciuta. Ricordo ancora il mio primo grande dolore, 13 ottobre 2013 come dimenticare questa data, mi sono sentita annientata, quel giorno un pezzo del mio cuore è volato via con te. Penso sempre a mia nonna, in qualsiasi momento della mia vita, la ritrovo in ogni cosa bella che faccio, ad oggi vorrei tanto poter ricevere un suo abbraccio, vorrei sapere cosa pensa di me, vorrei sapere se condivide le mie scelte e se quello che sto facendo è giusto. Se ripenso a tutto quel dolore che abbiamo vissuto nel 2013 non riesco a credere che ancora ad oggi ognuno nelle nostre piccole imperfezioni continuiamo a tenerci la mano ogni giorno della nostra vita. Ripenso al 2014, al mio eterno disagio, alla mia volontà di cambiare ma non riuscirci, ripenso al mio sentirmi inutile, non apprezzata, non all’altezza, ripenso a tutti i no, a tutte le offese che mi sono entrate in nelle orecchie che si sono fissate lì dentro la testa e che mi hanno permesso di cambiare, ma non per le persone ma per ME STESSA. Ripenso al 2015, al mio anno preferito, la mia rivoluzione, nel 2015 sono rinata un’altra volta. Ho vinto una battaglia che combattevo da tempo, ho acquistato sicurezza, sono diventata tutto quello che desideravo e qualcuno mi ha rubato il cuore cosi all’improvviso. Ripenso alla mia famiglia, alla felicità di essere tutti insieme in quel giorno tanto speciale.. Ripenso al 2016, alla mia non voglia di studiare, alla mia vita che sembrava così bella solo perché mi sentivo amata, accettata e per la prima volta nella mia vita bella. Ripenso a quel 6 agosto 2016, alla tua partenza, al dolore che mi ha lacerato il cuore un’altra volta come quel maledetto 13 ottobre 2013, ripenso al mio addio per te, ripenso al tuo ultimo messaggio, ripenso alle ultime parole che mi hai detto, al tuo non essere all’altezza quando invece tu sei sempre stato ALTEZZA DI TUTTO. Ripenso all’ansia di quel esame, ripenso ai libri che mi hanno salvato la vita, ai miei libri che sono stati la mia dimora, ripenso alla nuova me, che nel dolore in quel 2016 è rinata un’altra volta. Ripenso al 2017, al mio addio per te, ma che addio non è mai. Ripenso un’altra volta ai miei libri, alle poesie di Pablo Neruda, ripenso a me, al mio nuovo cambiamento, alla mia voglia di imparare, migliorare e recuperare. Ripenso al 10 dicembre, al tuo ritorno, alla tua nuova partenza, ripenso a me, al muro che mi ero costruita e che si è distrutto mesi dopo un’altra volta perché quando si ama una persona la distanza non esiste. Ripenso a mia zia, al suo ritorno dopo 4 anni, al suo abbraccio, ripenso alla mia famiglia che comunque vada amo alla follia. Ripenso ai miei successi scolatici, ripenso un’altra volta ai miei libri, ripenso a mia nonna che mi manca con tutta la mia vita, ripenso a me, al mio cambiamento, ripenso al tuo ritorno, alla tua sigaretta, al tuo sguardo, al mio cuore che batte, alle canzoni che ti ho dedicato, ripenso a te che sei l’unica forza che ho, ripenso alla tua partenza, ripenso a quel giorno che ti ho visto andare per l’ultima volta e che non sei più ritornato per quasi un anno e mezzo. Ripenso alla tua nuova vita, ripenso alla mia vita senza di te. Ripenso al 2018 che ho amato, alle mie nuove amicizie, ripenso un’altra volta ai miei libri, ripenso alla mia febbre per capodanno, ripenso ad Alessia, Silvia, Helena, Francesca, Carmen, Erica, Simona e Sara loro che hanno reso il mio 2018 bellissimo. Ripenso a Gemma e Giorgio, grazie a loro ho conosciuto ragazze fantastiche. Ripenso al mio sogno, ripenso a Firenze, l’emozione di essere lì, l’emozione di poter ammirare tutta quella bellezza con la tristezza però di non essere con le persone con chi avrei voluto essere. Ripenso all’odio che avevo in quel periodo verso il diritto del lavoro e l’amore che provavo per la letteratura italiana e francese. Ripenso ai miei 18 anni, senza mia nonna, ripenso un’altra volta a mia nonna. Ripenso a quel giorno ai templi, ripenso a quelli che oggi sono delle vecchie amicizie ma che un po’ mi mancano. Ripenso al 2019, che nel bene e nel male sta arrivando al termine, ripenso al primo ultimo giorno di scuola, ripenso la prima visita al tribunale, ripenso ai miei libri, ripenso alla mia scelta, poi penso a Giovanni Falcone e spero di diventare come lui, ripenso poi ai miei libri, ripenso un’altra volta a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, ripenso al loro amore che ormai è diventato eterno, ripenso alla strage del 23 maggio 1992 a Capaci e mi chiedo come l’essere umano possa essere così vigliacco da uccidere un suo fratello solo per corruzione, penso ai 57 giorni di Paolo Borsellino, penso alla sua famiglia, Agnese, Lucia, Manfredi, Fiammetta e mi chiedo come una famiglia possa accettare tutto questo? Penso alla strage del 19 luglio 1992 via D’Amelio, penso allo Stato che non ha fatto nulla e ho rabbia, rabbia perché NON SI PUO’ MORIRE COSI. Penso a Rocco Dicillo, Antonino Montinaro, Vito Schifano, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddi Cosina, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli, penso a tutti i servitori dello Stato che non avuto paura di morire. Ripenso a Falcone e Borsellino, grazie perché grazie alla vostra storia, al vostro lavoro, al vostro impegno so in quale parte voglio stare. Grazie perché anche se già sono 27 anni che non ci siete più, le vostre idee continuano ancora a camminare nelle gambe di tutti noi siciliani onesti. Ripenso ai miei vecchi sogni e mi rendo conto di quanto sono cresciuta. Ripenso a mio padre, al suo essere cosi riservato, al suo essere dolce e ma anche severo, ripenso al suo lavoro che occupa gran parte delle sue giornate, ripenso ai suoi sacrifici, ripenso a tutti i suoi si e mi rendo conto di essere fortunata di averlo come padre. Grazie perché mi hai insegnato ad essere onesta e guadagnarmi tutto con il mio proprio sudore. Ripenso a mia madre che da quando sono nata non ha fatto altro che prendersi cura di me, che mi ha sempre detto di si a tutto, che mi ha protetta, sostenuta e elogiata, alla persona che ogni volta che qualcosa va storto si abbatta ma poi si riprende come una forza della natura, ripenso a mia madre e alle sue lacrime per la mancanza dei suoi genitori che ogni volta mi spezzano il cuore perché mi sento impotente senza poter far nulla. Vorrei tanto renderti felice e orgogliosa di me, comunque vada la mia vita, mammina mia sappi che sei la persona che più amo e che non smetterò mai di ringraziare. Ripenso a mia sorella, al suo voler proteggere la sua piccola sorellina che ormai è crescita, ripenso alla nostra complicità, ripenso ai nostri litigi che riempiono le nostre giornate, ma sei l’unica persona che mi capisce e comprende. Amo il tuo essere diversa perché al giorno d’oggi i valori che tu hai non li possiede nessuno e se ogni tanto ti dico che io la tua vita non la vorrei mai vivere, non è una cosa negativa , ma è solo che io ho fatto scelte diverse. Ti voglio bene e grazie per essere mia sorella, non ti cambierei per nulla al mondo. Ripenso ancora una volta a mia nonna, alla donna che mi ha cresciuta, alla donna che mi ha amato, alla donna che io ho amato, alla ragione della mia vita che mi manca più di ogni cosa. Ripenso ai suoi abbracci, ai suoi baci, al suo modo di essere, alla sua gentilezza, al suo essere buona sempre con tutti, al suo amore. Ripenso al suo passato, alle sue sofferenze che avrei voluto passarle io e non lei, ma io non sarei stata all’altezza. Nonna sono così fiera di te. Sarai incisa per sempre nel mio cuore come sulla mia pelle Abuela. Ripenso a mio nonno, il padre di mia madre, che non ho conosciuto perché è andato via troppo presto, ma che ho conosciuto grazie ai racconti di mia mamma e dei miei zii, sappi che sono fiera di te, sono orgogliosa di come ti guadagnavi il pane. Sono fiera di somigliarti, me lo dicono tutti. Sai Nonno, da sempre mi sono sentita un po’ vuota perché mi sei sempre mancato. La vita con me è stata ingiusta perché anch’io mi meritavo di conoscere un GRAN UOMO COME TE. Ripenso alla mia famiglia, ai miei zii, ai miei cugini che amo follemente. Ripenso a mio nonno, il padre di mio padre, che ad oggi non c’è più, ripenso a quell’unico abbraccio che mi ha dato in quel giorno così brutto, ripenso ai pranzi e alle cene di capodanno, ripenso alle giocate a carte, ripenso a tutto quello che hai passato e mi dispiace così tanto e a volte vorrei solo piangere perché un uomo non può soffrire così prima di morire. Ho passato solo poco tempo con te a causa della distanza, mi manchi.. Ripenso alle mie amiche che mi sono sempre state accanto in ogni momento della mia vita, ai giorni passati con loro, alla fortuna di avere delle amiche come loro che in questi anni mi hanno permesso di essere sempre felice e di avere una spalla dove potermi appoggiare per sempre. Grazie senza di voi la mia vita non sarebbe la stessa. Ripenso a te, che mi hai cambiato la vita al meglio, a te che non sei qua vicino a me ma che ti ho sempre nel cuore. Ripenso a tutte le persone che ho incontrato in questa mia vita. Grazie perché ognuno di voi mi ha permesso di cambiare. Un grazie va a i miei professori che nella mia vita sono stati dei pilastri, perché mi hanno insegnato ad avere sete di sapere e che hanno contribuito alla mia formazione, senza di loro ad oggi non sarei la stessa. Un grazie va alle miei compagne che in questa mia nuova avventura non ci saranno e che mi mancheranno tantissimo. Un grazie va a me, per la mia costanza, per la mia voglia di conoscere, scoprire e rivendicare. Che la mia vita possa contribuire a smuovere le coscienze delle persone. Un grazie va a Dio che mi permette ogni giorno di svegliarmi, di vivere, apprendere, studiare, avere una famiglia che mi ama come io amo loro. Mi auguro che un giorno il mondo possa ritrovare l’umanità e vivere pacificamente senza più crudeltà, sofferenza, corruzione ma soprattutto senza più INVIDIA. Amate, amate voi stessi e amate gli altri, amate la diversità, amate e sostenete chi fa la differenza, chi si batte per un ideale, chi vuole migliorare la società, siate curiosi, DOCUMENTATEVI, combattete l’ignoranza e ragionate con la vostra testa, ma ricordatevi che siamo tutti uguali.
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Mia Via, l’ultimo romanzo di Michele Visconti
Il Primo della Classe Mia Via di Michele Visconti edito da Giovane Holden Edizioni è l’ultimo romanzo dello scrittore napoletano. Una storia dai ritmi serrati che inchioda il lettore alla pagina tra piani segreti, violenza, pandemia e “brave persone”. Una di queste è certamente Mia, il killer di professione, soprannominata il Primo della Classe, a cui quel lavoro inizia ad andare stretto, nel quale forse è stata fagocitata per caso e dal quale non ha mai lottato per uscirne. La sua fragilità è ben descritta dallo scrittore napoletano che ce la tratteggia in momenti sfuggenti di pura dolcezza e tenerezza con il suo cane, il suo amico disabile e il fratello. La storia è ambientata nell’Italia del 2041 attanagliata da una nuova pandemia. Un gruppo di poteri forti lotta strisciando per destabilizzare il Paese e creare un ordine nuovo. Michele Visconti, classe 1979, è napoletano e da qualche anno vive e lavora a Pescara. È un impiegato presso una società di ingegneria come geometra e ha due principali passioni: la scrittura e il disegno. La scrittura in particolare gli ha regalato non poche soddisfazioni, ottenendo buoni risultati in importanti concorsi letterari, tra cui Dieci piccoli indiani e Premio letterario nazionale Bukowski. Ha pubblicato una raccolta di racconti i Fanta eroi (La quercia editore) e per il Giovane Holden edizioni ha pubblicato Il mondo sommerso (2017), l'uomo con la pelliccia (2018), Croce testa (2020) e Il ponte di ghiaccio (2022). Michele Visconti è di casa a Cinquecolonne Magazine. Lo abbiamo già intervistato in occasione degli ultimi due romanzi pubblicati e lo facciamo anche oggi per farci raccontare qualcosa in più sul nuovo libro e sulla scelta dell’ambientazione. Mia Via di Michele Visconti: intervista all’autore Partiamo dal titolo “Mia Via”. Mi piace, e io so che ha un doppio significato. Lo spieghiamo anche ai lettori? Il titolo richiama il nome della protagonista Mia, ma è inteso anche come la mia strada, la strada di Mia. Quando cominciai a scrivere, avevo intitolato il testo: Pandemia. Poi aggiunsi su dei fogli che avevo stampato, la parola Mia: Mia Pandemia. In fase di pubblicazione però, alla casa editrice non era piaciuto molto. Mi avevano detto che la parola Pandemia non andava bene a quelli del marketing e mi avevano consigliato: Stato profondo. Ho cercato però di conservare la parola Mia, e alla fine ci siamo accordati per Mia Via. Quest’ultimo romanzo mi è piaciuto molto, anche perché ti sei spinto verso un’atmosfera futurista che non avevi mai sperimentato prima. Quanto ti sei divertito a immaginare scenari fuori dalla realtà ordinaria? Ho immaginato un futuro più lontano e più aspro del nostro. È stato un piacere ma in realtà mi è stato utile il trucco, per mettere bene in chiaro che la mia è una storia di fantasia. Se avessi parlato dei giorni nostri, molti avrebbero potuto confondere situazioni reali con le situazioni che ho immaginato. La mia storia è pura invenzione, e l'atmosfera che ho inventato è solo la cornice dei miei protagonisti. I tuoi libri come sempre sono ricchi di contenuti e anche in questo caso ci parli di amicizia, di buoni sentimenti, amori, uomini e donne al bivio e, ahimè anche violenza, tanta violenza. Qual è stata la parte che hai avvertito più impegnativa? Faccio fatica a scrivere di violenza, perché è una cosa mi ha spaventato da bambino. Ora invece mi incuriosisce, ma non sempre sono pronto ad affrontare certi temi, devo sentirmi a mio agio per farlo. È difficile anche descrivere le donne, ma è una cosa che faccio volentieri. Hanno una marcia più ed in ogni situazione portano sempre con sé tanta delicatezza e tanta dolcezza. Cerco nei miei testi di evidenziare delle emozioni, e stati d'animo, nonostante affronti temi molto ardui. Mi auguro di riuscirci almeno un po'. Perché hai scelto di affrontare un tema ancora molto inflazionato (il virus), specialmente nei romanzi? Non hai pensato che avresti rischiato trattando questo argomento? La pandemia è stato un tema molto gettonato, mi è capitato di leggere delle belle cose in merito, osservazioni dal punto di vista economico, psicologico. Come dicevo prima, la casa editrice non ha voluto tenere quella parola nel titolo. A differenza degli altri, non mi sono soffermato molto su quelle che sono state le vicende reali. Mi sono spostato nel futuro proprio per creare distacco, non volevo che si confondesse quel che è realmente successo con il mio testo. Le vicende del virus fanno da sfondo alla mia storia. La protagonista principale è Mia, con la sua forza e la sua fragilità. Credo che sia uno dei miei personaggi più riusciti. Proprio per questo il titolo originale era: Mia Pandemia, proprio per dire: questa è una mia ricetta. Adesso partirai sicuramente in giro per l’Italia a promuovere il tuo romanzo. Hai già programmato qualche tappa? La possiamo anticipare ai nostri lettori? Oddio, in giro per l'Italia mi sembra un parolone. Qualche giorno fa mi ha intervistato una radio di Venezia, ed ho in programma a breve una presentazione presso l'associazione Culturale Amare Pescara di Piacentino D'Ostilio, la moderatrice sarà Veronica Scogna che ringrazio. La Giovane Holden Edizioni aiuta me e gli altri scrittori a promuovere i nostri testi per fortuna. Compatibilmente con gli impegni di lavoro, sicuramente organizzeremo qualche altro evento per pubblicizzare Mia Via. Approfitto di questo spazio, anche per ringraziare tutte le persone che mi sono vicine. Read the full article
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