#giro delle tre cime
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luigifurone · 11 months ago
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39. (Hic et Nunc)
Siamo due contro sette due contro sette
Il led interno proietta i numeri in un piccolo spazio, sul visore dell'elmetto. Solitamente questa funzione viene interrotta dal Controllo Centrale, durante la maggior parte degli scontri. Adesso invece c'è ancora. Questo vuol dire qualche improbabile guasto nel sistema di trasmissioni o che il Controllo Centrale non c'è più.
Chissà cosa c'è ancora. Per adesso vedo solo il grigio del cemento delle fortificazioni mescolato al grigio delle rocce. È tutto amalgamato, connesso, dal bianco-azzurro della neve e del ghiaccio. La postazione che abbiamo attaccato si trova nascosta dentro la base di una montagna che s'alza da un pianoro, quasi un lago di terra piatta in mezzo alle cime.
È stata una guerra lunga, lunghissima. Forse siamo alla fine. In effetti non sappiamo più praticamente niente di cosa sia rimasto altrove. Avevamo notizie spaventose, ma siamo stati trascinati di battaglia in battaglia, di colpo in colpo fino a qui. Tutto quello che sappiamo per certo ora è che siamo rimasti in due contro sette.
Due contro sei!!! Due contro sei ancora due contro sei.
Non vedo il mio compagno. Sto correndo come un pazzo col cuore che mi chiude la gola. Ho una strana calda sensazione nel fondo nella pancia come se stessi per morire, per finire. Mi tengo sul costone della roccia che porta all'ingresso della loro base. Per quanto ne so potrebbero essermi dietro tanto quanto avanti. Ma il buco che fa da ingresso, una specie di caverna, è l'unico appiglio che riesco a vedere come riparo. Devo correre devo farcela dai corri corri corri. Lo spazio è libero non si vede nessuno nessun fischio di laser che m'abbia cercato di colpire. Forse non sono qui. Stringo il calcio del mitragliatore con quel poco di umore che mi rimane. Non devo pensare a quanto mi resta devo correre devo correre.
Due contro sei
È stato un inverno da fine del mondo. E qui diresti davvero il ghiaccio antico come la pietra sua sorella. Sono così abbracciati che sembrano compenetrarsi, quasi fossero una cosa sola. Sudo, correndo. Sono sudato dietro la nuca ed ho il torace e le cosce caldissimi. I piedi sono ancora freddi. Mi entra dentro il naso il mio odore. Le sensazioni mi tengono su le gambe.
Mentre avanzo correndo verso la caverna, l'occhio distingue sul lato del campo visivo qualcosa di diverso. Mi giro il tempo necessario per vedere se può colpirmi. È un mezzo corazzato.. uno dei nostri... oh sì sì sì un mezzo corazzato vuol dire più difesa e la possibilità di muoversi muoversi uccidere più potenza magari anche andarsene - devo provarci
Non sento nessun rumore se non mi stanno puntando da dietro può anche darsi che non siano qui e non siano neanche su un mezzo dei loro e se entro nella caverna e loro sono dentro magari sono meno difeso o mi chiudono lì - devo provarci
Mi butto nella vallata pronto a correre anche il doppio per la mia vita
Corro senza pensare più a niente devo solo arrivare lì corri corri corri
Ci sono io ti ringrazio Dio o chiunque tu sia 
Sono sul carro presto sulla torretta è armata grazie Dio non è ancora finita
Vedo uscire due dei loro corrono smarriti fuoco fuoco vi stendo vi uccido porci
Il primo non lo prendo subito ma lo prendo il secondo subito evviva
Il visore sull'elmetto segnala due contro quattro quindi funziona
Dio ti ringrazio
Neanche il tempo di respirare e un terzo viene fuori cerca di salire su una specie di garitta no non te lo permetto sono più forte mi senti sono più forte io prendi prendi prendi crepa
Due contro tre
E poi subito due contro due 
Sì cazzo ce la possiamo fare Dio mio ce la possiamo fare dai amico mio fratello anche se non ti vedo vedi di farcela ce la puoi fare sono con te
Mi sembra quasi che la vita riapra qualcosa come se il sangue ricominci a circolare mi sembra di tornare in un colpo a casa mia con la tavola apparecchiata di essere in un'aria di normalità come se la speranza abbia bisogno di così poco per fiorire
Ma poi uno contro due uno contro due cristo santo
E dalla garitta qualcun altro mi punta e spara
La garitta è debole rispetto a me "perché ti ci sei messo dentro? che vuoi fare? "
Lo punto è vero due colpi e non ci sei più era debole quella garitta
Uno contro uno
E quando mi accorgo che siamo uno contro uno mi accorgo che potremmo essere soli al mondo io e lui e mi sembra di vedermi allo specchio e all'improvviso come squassato dall'onda di una cascata appena aperta sulla mia testa sono preso da un panico da una paura folle una paura enorme che mi ghiaccia il corpo
Non so cosa fare non so cosa fare
Devo ucciderlo o no? 
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personal-reporter · 2 years ago
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Tour de France 2023
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L’edizione del Tour de France 2023, nota come  la Grande Boucle, si terrà dall’1 al 23 luglio 2023, con partenza a Bilbao e arrivo, come sempre, a Parigi sugli Champs Élysées. Ci saranno ai nastri di partenza 22 squadre, 3.404 chilometri, 21 tappe di cui una sola cronometro con scalata finale, quattro arrivi in salita e 30 gran premi della montagna. Grandi favoriti sono il danese Jonas Vingegaard e lo sloveno Tadej Pogačar, come nel 2021 e nel Tour de France 2022. Pogačar ha appena stravinto i campionati nazionali a cronometro in Slovenia e al Tour trionfò nel 2020 e nel 2021, vuole la rivincita e cerca la conferma invece Vingegaard, che ha dominato il Giro del Delfinato, con il ventiquattrenne della UAE Team Emirates assente per infortunio spettatore interessato. Se la classifica UCI vede Pogačar in vetta, seguito da Remco Evenepoel e Wout Van Aert, con Vingegaard solo quarto, i confronti a distanza ogni stagione hanno visto i due sempre in battaglia per la vittoria. Pogačar nel 2023 ha conquistato la Clásica Jaén Paraiso Interior, la Parigi-Nizza, la Vuelta a Andalucía, il Giro delle Fiandre, l'Amstel Gold Race e la Freccia Vallone, con caduta e ritiro alla Liegi-Bastogne-Liegi e il  rivale ventiseienne,  oltre al Delfinato,  ha infilato il Gran Camiño e il Giro dei Paesi Baschi. Nell’unico testa a testa a vincere è stato lo sloveno, con  Pogačar primo a marzo sull’arrivo di Nizza, il danese terzo. Pronti ad approfittare saranno gli spagnoli Enric Mas della Movistar e Mikel Landa della Bahrain-Victorious, i fratelli britannici Adam Yates dell’UAE Team Emirates e Simon Yates della Jayco AlUla, il francese David Gaudu della Groupama-FDJ galvanizzato dal tifo di casa. Nell’Italia tutte le speranze sono su Giulio Ciccone, che si è fatto notare al Critérium del Delfinato, vincendo l’ottava e ultima tappa. Sarà possibile vedere il 110° Tour de France in tv in chiaro in diretta su Rai 2, a partire dalle 14.45, e su Rai Sport HD dalle 20 con sintesi della giornata, commenti e l’intera tappa in differita e in abbonamento su Eurosport 1 HD, oltre che in streaming gratuito su RaiPlay o in abbonamento su eurosport.it, discovery+, Sky Go, Now e Dazn. Il Tour de France prende il via in Spagna e rimane in terra iberica nella prime tre frazioni, che già presentano qualche asperità, più alla portata di attaccanti che da velocisti e la seconda tappa di domenica 2 luglio, di 208,9 km, è la più lunga. Le tappe di montagna cominciano sui Pirenei, alla quinta da Pau a Laruns mercoledì 5 luglio, quando ci saranno il Col de Soudet e il Col de Marie Blanche, non troppo impegnative, fino alla tappa di giovedì 6 luglio, sugli Alti Pirenei da Tarbes a Cauterets-Cambasque, con l’ascesa al Tourmalet, che ha fatto la storia della competizione e il finale della prima settimana sarà domenica 9 luglio con arrivo in vetta allo storico Puy de Dôme, conquistato nel 1952 da Fausto Coppi. C’è un’abbinata da non perdere nelle tappe 13 e 14, venerdì 14 e sabato 15 luglio, con prima l’arrivo in cima al Grand Colombier e un altra frazione di montagna da Annemasse a Morzine Les Portes du Soleil con in tutto ben 4.200 metri di dislivello. Nell’ultima settimana si parte martedì 18 luglio con la cronometro di 22,4 km da Passy a Combloux con arrivo in quota e, mercoledì 19 luglio, la tappe da Saint-Gervais Mont Blanc all’approdo in discesa a Courchevel, dopo la scalata infernale a Col de la Loze,, il punto più alto di questa edizione, tra le cime di Col des Saisies, Cormet de Roselend, Côte de Longefoy. L’appuntamento finale è per la ventesima e penultima tappa, breve e piena di salite, di sabato 22 luglio da Belfort a Le Markstein Fellering, lungo i Vosgi, con cinque gran premi della montagna. Read the full article
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All'asta per l'Emilia-Romagna la maglia rosa di Nibali
È stata messa all’asta, con il ricavato destinato alle popolazioni dell’Emilia-Romagna, la maglia rosa dei dieci anni dall’impresa con la quale Vincenzo Nibali mise il sigillo al suo primo Giro d’Italia, vincendo la tappa delle Tre Cime di Lavaredo. L’asta benefica si è svolta ieri sera ad Auronzo di Cadore (Belluno), nel corso della cerimonia per il conferimento a Nibali della cittadinanza…
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raffaelealbo · 4 years ago
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Inizio di racconto
Un buco di culo. Anzi, il buco di culo del buco di culo del mondo. Il nulla. Un insulto allo stesso nulla. Guardò dalla barca il triste ammasso di case, una chiesa, un campanile, un faro, un porto. Un tempo la odiava. Paesino minuscolo, nulla da fare. Bere. Bere in piazza. Bere al bar. Andare per i campi e bere. Fino a che non diventavi troppo vecchio e bevevi in casa. "Ma cossa situ drio vardar?" "Un cazzo"
Si girò. Un ragazzo biondo, che era già magro da prima della Catastrofe remava poco convinto. Tra di loro, due grosse borse di viveri, un fucile mezzo rotto, un machete che rivelava nelle crepe rossastre del filo il suo uso. Il sole stava tramontando dietro il campanile. Aveva un'aria quasi bella, poetica. Fanculo. Riprese a remare. Erano partiti il giorno prima, verso una città più grande. Da alcune voci, era deserta. L'esplosione di un grosso deposito di gas avrebbe allontanato i selvarech di alcuni chilometri, attirati dal rumore. Per pochissimi giorni, viveri e attrezzi prima impossibili da raggiungere sarebbero stati accessibili. Non avevano trovato molto, se non selvarech e cadaveri. Vari chili di pelati, qualche cioccolata, tonno, pasta, riso. Il resto era ormai marcio, o semplicemente mancava. Arrivarono. Due guardie sorvegliavano il porticciolo. Erano due uomini, sulla trentina, mal vestiti e armati di pistole che avevano visto giorni migliori. Ma avevano il petto bello infuori, belli carichi, come se fossero due militari ormai in carriera a sorvegliare un deposito di armi nucleari. "Chi va là!" "Siamo noi, coglione" Il biondo tirò in barca i remi, salì sul porticciolo e legò le cime. "Avete portato solo questo?" chiese il più altro tra le guardie. "Non c'era altro" "E le voci sul supermercato abbandonato?" "Voci vecchie. Era stato già svuotato, dentro c'erano solo due selvarech morti" Presero i borsoni, risalirono il molo e si dirisero verso la vecchia scuola elementare. Attraversarono la piccola piazza del paesino. La chiesa a destra, il vecchio municipio a sinistra. Un alimentari polveroso, un bar con scritte in cinese. La scuola lì davanti. "E ME TARI E. S      I" spiccava sopra il muro. Vento e salsedine si erano portati via le lettere molto prima. Un gruppo di uomini e di donne era dentro la vecchia palestra. Nessuno di loro aveva fatto un pasto decente da settimane. Chi parlava, chi riparava reti. Si girarono a guardarli. Un sospiro triste. Le poche provviste vennero subito divise. Nessuno chiese loro nulla. Né i due parlarono. Così andavano le cose. La cioccolata venne subito data ad una delle ragazze, il cui pancione risaltava sul corpo magro. Una vecchia li prese da parte. Non avrà avuto più di 65 anni, ma la salsedine e i dolori della vita l'avevano fatta invecchiare prima. I capelli biondi erano raccolti da una treccia bassa. Il vecchio camicione che indossava era ricoperto di macchie scure. "Quanti selvarech?" La voce era scura, quasi maschile. Il timbro gracchiante di chi ha a lungo fumato non nascondeva, oltre a una sincera preoccupazione, anche il sollievo di aver visto tornare i ragazzi. "Pochi, erano ancora lontani" ripose il biondo. "Nel supermercato non c'era altro?" "Il cibo era scomparso. Le voci erano vecchie" Stettero in silenzio. Poi un sorriso, che diede un po' di luce alla ragnatela di precoci rughe che le copriva il volto. "Mi avete fatto quel piccolo favore?" L'altro ragazzo annuì, e tirò fuori dallo zaino un sacchetto pieno di piccole scatole. La donna le prese di fretta. Smise di sorridere. "Queste sigarette fanno schifo" "Gli altri raccoglitori avranno avuto i tuoi stessi gusti" Sbuffò. "Grazie ragazzi" Diede una carezza veloce al biondo, un moto di ruvido affetto. I due si allontanarono. Le sere si stavano allungando, c'era ancora un po' di luce. Uno pensa che dopo l'apocalisse i villoni con piscina siano tutti liberi, con letti appena rifatti pronti ad accoglierti e tante provviste. No, nel migliore dei casi, ci sono almeno tre selvarech dentro pronti ad aspettare i cretini che si rifugiano lì. E i topi hanno già mangiato il cibo, per cui non hai nemmeno il lusso di morire con la pancia piena. Se sei fortunato, ti ritrovi in un piccolo paese con massimo massimo altri trenta sopravvissuti. Ti proteggi a vicenda, ti aiuti, raccogli e dividi le provviste. Costruisci un muro che offre una dubbia protezione, ma nessuno si cagava quei luoghi prima e nessuno se li cagherà nemmeno adesso. Finisci così in vecchie case, a cagare in un vaso da svuotare ogni volta che lo usi in mare. E se mangi cibo scaduto da un po', beh, questo capita molto più spesso di quanto immagini. Non si conoscevano molto prima. O meglio, sì. Conoscevano i loro nomi, avevano un paio di amici in comune. Forse erano pure cugini, alla lontana. Errera, il biondo, aveva lasciato la scuola, portava i turisti in giro per il Delta su una piccola barca d'estate. Conoscere molto bene quel gigantesco acquitrino può salvarti la vita in un apocalisse. L'altro, Zorli, era scappato dal paese. Essere per anni chiamato "La Donzella del Po" non lo metti nelle brochure turistiche per attirare persone. Certo, se fosse rimasto a Padova a quest'ora sarebbe morto, ma sono fortune passeggere. E ormai a nessuno gliene fregava più nulla del fatto che fosse gay. Il mondo cade a pezzi, strani esseri si aggirano per le strade e la carta igienica è finita da mesi. Abbiamo ben altri problemi. Salirono in quella che era la vecchia casa di Errera. Un appartamento tranquillo, due camere, un bagno ormai inutilizzabile, un salotto. Dopo un mese di lavoro, erano riusciti a installare una stufa a legna per il prossimo inverno, che serviva anche da cucina. Il legno, per ora, non mancava. E chi lo sapeva che i mobili Ikea non bruciano poi così male. Si fecero un uovo in due. La prima volta che Zorli era entrato lì, Errera non c'era. Su quello stesso divano dove ora masticava piano l'uovo, lui e il fratello del biondo avevano passato il pomeriggio. Una canna, biscotti, birrette. Qualcosa di più di un abbraccio. Era stato il suo primo morto. Zorli era scappato da casa, quella che era sua madre stava cercando di ucciderlo. In mezzo alla strada lo vide. Corse più forte, felice, voleva abbracciarlo. Vide occhi iniettati di sangue. La bocca aperta in un lamento continuo d'odio. Uccidere è difficile. La maggior parte dei soldati spara in aria in battaglia. Quando tua madre ha appena cercato di toglierti la vita e l'unico ragazzo per cui hai mai provato qualcosa vuole mangiarti il cervello, non vai tanto per il sottile. Gli animali hanno tre modi di difendersi. Attacca, scappa, fingiti morto. Scappare non puoi. Fingerti morto non serve. Attacchi. Non c'è il ragazzo che amavi. C'è una bestia che vuole ucciderti. Corri. Vedi un sasso. Lo afferri. Spacchi un cranio. Il rantolo si ferma. Colpisci di nuovo. Una lacrima. Corri. Abbandoni dietro di te quel corpo amato. Cerchi di dimenticarlo. Nelle mani hai ancora il suo sangue e i suoi capelli. Aveva incontrato così Errera piccolo. Stava scappando anche lui. Vedendo il cadavere del fratello capì. I genitori lo stavano seguendo, le stesse bocche aperte in urla d'odio. Scapparono insieme, arrivarono al molo, presero la barca e andarono a largo. Trovarono altre imbarcazioni di sopravvissuti. Tornarono in paese insieme. Lavò i due piatti nella poca acqua del secchiaio. Errerà tirò fuori della vodka, il premio per la loro impresa. Finì presto. Solo il mare da fuori faceva sentire le sue onde.
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sciatu · 4 years ago
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IL MARESCIALLO MUSCARA’ e il caso RIDI PAGLIACCIO
Il Maresciallo Muscarà chiuse spingendolo lo sportello della sua panda e si specchiò nel lucido color blu della macchina.  Osservò il suo pantalone di lino color avana con ancora la riga perfetta di quando sua moglie l’aveva comprato per una crociera che non avevano mai fatto a causa della sua malattia che subentrò poco dopo. Anche la sua maglietta era nuovissima malgrado il suo collega Petyx gliela avesse regalata due anni prima per il compleanno. Si guardò schifato. Da quando sua moglie era morta aveva indossato solo la sua divisa ed ora, a vedersi “in borghese” si sentiva un cretino. “Meglio così – pensò – nessuno sospetterà” chiusa la porta si girò dirigendosi verso la locanda bianca dalle finestre azzurre che si trovava vicino alla fine della spiaggia fuori di Sciacca. Qualche anno prima vi aveva trovato l’ing. Rachele Valsecchi, scomparsa misteriosamente a Palermo qualche giorno prima. L’ingegnere era in compagnia di Mancino, una vecchia conoscenza del Maresciallo e che aveva passato buona parte dei suoi anni in carcere perché mentre era in cella per vari reati contro il patrimonio, aveva strozzato un energumeno con la sola mano sinistra. Benché originari di due culture e città diverse, vinti o forse traditi dalla solitudine in cui vivevano, Mancino e l’ingegnere si erano messi insieme e vivevano il loro amore come marinai che tornavano al porto e all’amore, poche settimane l’anno vivendolo però in modo assoluto e totale. Sebbene l’ingegnere lavorasse in una fonderia di Brembana di Sopra, provincia di Bergamo, si vedevano regolarmente appena lei aveva una settimana di ferie; allora, la prima cosa che l’ingegnere Valsecchi faceva una volta tornata in Sicilia, era invitare il Maresciallo a cena, cosa che lui accettava volentieri, perché in carcere Mancino aveva avuto modo di sviluppare il suo talento culinario. Uno scampanellio festoso lo annunciò appena varcò la locanda. Il ristorante era pienissimo ed i camerieri si muovevano velocemente dalla cucina ai tavoli. Dalle grandi vetrate che davano sulla spiaggia si vedeva la lunga distesa di sabbia bordata dalla striscia azzurra del mare. Nella spiaggia svettava, come il trono di una regina, il gazebo di canne e tronchi in cui quando arrivava, si riposava l’ing Valsecchi, sorseggiando vino bianco freddissimo e organizzando viaggi in altri continenti in cui trascinava Mancino a scoprire cibi e popoli mai conosciuti. “Mi dispiace ma non c’è posto…. Dovrebbe tornare fra un’oretta” Fece costernato un cameriere con le braccia colme di piatti sporchi. “ Dica al padrone che è arrivato….” “Marescialluuuuu” Gridò un vocione forte e baritonale. Apparve d’improvviso un omone alto quasi due metri con due braccia grandi e muscolose che allargate erano pronte, malgrado la separazione sociale dell’era Covid, ad abbracciarlo e a stringerlo contro il petto grande quanto un armadio. Era Mancino! “Ma che fai qua Maresciallo, Rachele viene tra due settimane, te lo sei dimenticato?” “No, me lo ricordo, è che ….. ti dovevo parlare” Mancino lo guardò stupito. In passato era stato lui a chiedere consiglio al Maresciallo e la cosa gli apparve strana, ma si riprese subito “S’assittasse davia al posto di Rachele, la servo subito, Cosimooo – gridò verso un cameriere - porta al tavolo della signora Rachele acqua naturale e il bianco del Baglio del Cristo” Al Maresciallo si aprì il cuore: il bianco del Baglio era il vino preferito dell’ing. Valsecchi, vino che nasceva in una terra gessosa simile a quella dello Champagne francese, Mancino ne era gelosissimo e offrirglielo dimostrava quanto fosse contento di vederlo. Si andò al sedere al tavolo riservato all’ing Rachele dove Mancino non faceva mai sedere nessuno e che era sempre apparecchiato con nel mezzo un piccolo vaso di cristallo che conteneva una rosa rossa colta al mattino. Arrivarono con calma dei gamberi crudi marinati nell’olio di Castelvetrano, poi dei tagliolini con la polpa di riccio che diedero al vino in gusto aromatico ed intenso, infine un branzino all’acqua di mare con capperi e olive verdi addolcito da delle patate al forno. Quando Cosimo levò il piatto ed ormai nel ristorante c’era solo il Maresciallo, apparve Mancino, con una bottiglia di limoncello che preparava lui personalmente e un piatto generoso di paste di mandorle. “Allora Maresciallo che è successo? Non è che ti hanno mandato in pensione perché rompi sempre i coglioni? “Chi? io? Ma se sono un pezzo di pane “ Rispose ridendo il Maresciallo alzando il bicchiere colmo di limoncello freddo a toccando quello di Mancino. Bevvero in silenzio due o tre sorsi di limoncello e quando finirono misero giù i bicchieri leccandosi le labbra di quello che sulla bottiglia, un etichetta scritta a mano, identificava come “Il bacio di Rachele” “ devo chiederti un consiglio! – esordì il Maresciallo – sia chiaro, non c’è nessuna inchiesta, sono tutte congetture mie, sono qui in visita privata solo  per sentire della prossima visita di Rachele e …..  ho lasciato il cellulare in ufficio” Mancino approvò alzando il mento e riempì ancora i bicchieri. “ Si tratta di pensieri miei, niente di ufficiale! “ “Dimmi…” Fece Mancino leccandosi ancora una volta le labbra. Il Maresciallo prese un pasticcino e lo mise davanti a Mancino “lunedì scorso ero sulla strada che sale verso la Contrada Croce, al paese dove c’è la mia caserma. La contrada è una valle  ircondata da colline ed ha la forma di un ferro di cavallo con le più alte cime nella parte curva, monti rocciosi desolati e pieni di miniere. Io ero sul lato destro del ferro di cavallo lungo una strada che dal paese sale con una forte pendenza fino alle miniere per poi ridiscendere verso la parte opposta colma di vigneti, uliveti e case coloniche. La domenica, dopo la messa, i contadini e pastori mi avevano parlato di strani movimenti dove vi erano le miniere. Ero a metà della salita dove c’era uno spiazzo da dove osservavo con il binocolo il resto della valle, quando sentii l’appuntato Cacace commentare “Vadda a chistu….” Mi giro e vedo una grossa macchina, uno di quelle Land Rover grossissime che scendeva a velocità folle. Quando ci passa davanti suona disperatamente ed io sento distintamente un grido terribile :”Aiuto”!! Io e Cacace saltiamo in macchina e seguiamo ad alta velocità il macchinone. Lui però è troppo veloce e ci distanzia facilmente. Alla fine arriva dove la strada fa una curva a gomito urta il muretto sul bordo della strada e lo sfonda facendo un salto di cinquanta metri e schiantandosi nella fiumara esplodendo. Quando io e Cacace raggiungiamo il mezzo in fiamme, dell’uomo restano poche cose ma appare chiaro che l’uomo era ammanettato al volante che, a seguito degli accertamenti tecnici successivi, era apparso manomesso, come freni e motore.” “non deve essere stata una bella morte; ha avuto tutto il tempo di vederla arrivare. E chi era al volante?” “Sabino Calabrò, nipote preferito di don Nino Calabrò, il capo della cosca locale” “Però  - fece mancino con una smorfia – era uno rampante. Avrebbe preso il posto di suo nonno di sicuro. E’ la nuova generazione, quella che non ha mai toccato una lupara ma che muove soldi da destra a sinistra per pulirli e farli crescere. Generalmente gente così non fa la fine che ha fatto lui a meno che non abbia fatto qualche sgarro particolare. Dubito però. La sua parentela è importante e il suo rango era alto, non avrebbero fatto tutto questo casino per farlo fuori a meno che non volessero mandare un messaggio a tutta la cosca.” Il Maresciallo annui e prese un altro pasticcino mettendolo accanto al primo “La sera di Mercoledì scorso, Tommaso Rizzo, capobastone di uno delle cosche più importanti di Palagonia e mano destra del capo indiscusso Vito Solucci, entra nell’ascensore di un grande albergo di Zurigo. Sono lui con due guardaspalle armati fino ai denti. Quando arriva al tredicesimo piano la porta si apre e qualcuno dal corridoio con un lanciafiamme, inonda l’ascensore di fuoco. I tre non hanno modo di reagire e bruciano in pochi minuti” “A lui lo conoscevo personalmente – fece serio Mancino - un grande figlio di buttana, un boia, godeva a uccidere e torturare: ha fatto la fine che meritava!!” Ancora una volta il Maresciallo prese un pasticcino mettendolo accanto agli altri due. “Giovedì la serva del dottor Bastiano Cannata è entrata a casa del dottore per le solite pulizie. Arrivata nel corridoio sente qualcosa di umidiccio sotto i piedi. Accende la luce e vede che è sangue. Urlando esce di casa e un vicino, richiamato dalle urla, chiama i carabinieri. Quando arrivano i carabinieri trovano il suddetto dottor Cannata nel salotto di casa, tutto nudo e appeso dai piedi al lampadario. Il dottore era stato squartato e aveva tutte le interiore che pendevano gocciolando sul pavimento. Il dottore era il ragioniere di un’altra cosca di Castellamare, dicevano che muoveva più soldi lui che il Banco di Sicilia. Era esperto nel dare i soldi ad usura e nello spingere al suicidio, dopo avergli preso tutti i beni, chi non poteva pagare. In molti hanno detto che la fine del porco ammazzato era quella che si meritava” Mancino si fece serio. Aprì la bottiglia e si versò una dose abbondante di limoncello bevendolo tutto di un fiato restando muto come se non volesse commentare. Il Maresciallo capì che il modo come il dottore era stato ucciso aveva colpito Mancino non impressionandolo per la crudeltà della scena, ma per qualche altro motivo. Continuò prendendo due paste e mettendole un po' da parte vicino alle altre. “Giovedì mattino, qualcuno entra nel negozio di Antonino Russo, un vecchio settantenne che ancora faceva il barbiere alla Kalsa a Palermo. Sono in tre come diranno i testimoni e sparano al Russo almeno dieci colpi ciascuno.” Mancino scosse la testa. “Povero Nino – fece sconcertato Mancino - Lui era una persona perbene. Sono stati pazzi a ucciderlo così” “Lo stesso giorno, nel pomeriggio, sempre alla Kalsa, vicino al negozio di barbiere di Russo, esplode una casa. Era una casa ristrutturata e agibile, quindi appare strana una fuga di gas. L’inquilino, un uomo di colore che vi viveva gratuitamente con la famiglia, muore insieme alla moglie e a una figlia. Nessuno sa perché hanno fatto esplodere quella casa per uccidere l’uomo che lavorava in un negozio vicino. A dire di tutti era una persona gentilissima.” Questa volta Mancino alzò il bicchiere per bere l’ultima goccia di limoncello ed evitare lo sguardo del Maresciallo. Un altro pasticcino fu preso e messo vicino ai primi tre. “Venerdì, in piena mattinata va a fuoco un negozio di computer sempre alla Kalsa. I pompieri faticano a domare l’incendio e quando entrano vedono che lo scantinato era pieno di computer rovinati con nel mezzo, legato ad una sedia con fili di computer il padrone del negozio, il quasi trentenne Giuseppe Sutera. E’ stato ucciso con un colpo in fronte e qualcuno gli ha messo in bocca un mouse di computer prima di dargli fuoco: un altro messaggio per chi doveva capire. A tutti i computer  del negozio, era stato levato il disco fisso” Mancino fece una faccia come a dire che la cosa non gli diceva niente. Il Maresciallo verso nel suo bicchiere e in quello di Mancino una dose abbondante di limoncello finendo la bottiglia. Bevve un sorso e continuò. “Ora, se io non fossi stato coinvolto nel primo omicidio, tutti questi avvenimenti, sarebbero stati per me una normale serie di omicidi siciliani, di quelli che avvengono normalmente nella nostra isola dove violenza e follia vanno di pari passo. Ma essendo stato coinvolto nel primo omicidio ho pensato che fosse stato mio dovere cercare di risolverlo, ma il Procuratore, che ha avocato a sé e agli uomini dell’antimafia il diritto di investigare sul caso, mi ha detto di mettermi da parte pensando ai furti di capre del mio paese…” “Il solito cornuto e coglione che è dove è perché ha dato il culo a qualcuno” “Non lo so, ma non mi è piaciuto come me l’ha detto, per cui mi sono messo a pensare, a ragionare a fare qualche verifica e sono arrivato ad una conclusione per cui ho bisogno del tuo aiuto.” “Del mio aiuto Maresciallo, io come posso sapere qualcosa di tutti questi morti se non mi sono mai mosso da qui a duecento chilometri di distanza?” fece scandalizzato Mancino” “Io non lo so se sai qualcosa, ma mi puoi aiutare a capire” “In che senso?” “Tu sei della Kalsa, conoscevi il Russo, forse sai a chi apparteneva la casa che è esplosa e chi vi ha abitato prima di chi vi è morto o chi vi è nato. Ho bisogno da te di una conferma” “Da me? ma Maresciallo, tutti alla Kalsa conoscevano Nino, ma del resto che le devo dire?” “Ecco Mancino, ti spiego – il Maresciallo spinse verso Mancino i primi tre pasticcini -  che cosa hanno in comune i primi tre morti?” Mancino allargò gli occhi come a confermare che non ne aveva idea “Il Calabrò aveva nella macchina, lo vidi bene mentre lo inseguivamo, uno di quegli adesivi con le sigle degli stati. Riportava UEA. Il Rizzo ha postato su facebook delle belle foto di un ricchissimo resort dove era stato con delle belle signorine, un albergo meraviglioso a Dubai. Il dottor Cannata era appena rientrato da un viaggio in Thailandia e per volare aveva fatto scalo anche lui a Dubai. Tutti e tre insomma erano stati negli Emirati, dove puoi aprire conti correnti anonimi confidando nella confidenzialità assoluta delle locali banche. Da li puoi muovere capitali immensi via internet usando i codici che danno all’apertura del conto. Le tre cosche a cui i tre appartenevano avranno portato laggiù immensi capitali pronti a fare affari con qualche oligarca russo o mafioso cinese. Nessuno dei tre ha lasciato dietro di se telefoni o computer per poter sapere i codici dei conti. Chi li ha uccisi ha provveduto a recuperare il cellulare del Calabrò, il computer del Rizzo e del dottor Cannata: le cosche sanno che qualcuno gli ha rubato un immenso tesoro” “E la morte di Nino? e la casa fatta saltare?” “E’ qui che ho avuto l’intuizione finale. Perché ucciderli? La risposta è duplice. La prima è che le cosche hanno voluto vendicarsi uccidendo qualcuno di importante per il loro avversario e probabilmente la casa era il rifugio segreto di questo qualcuno o era della sua famiglia. La seconda risposta è che Le cosche confidavano che il Sutera, esperto in computer e che probabilmente gestiva i loro server, fosse in grado di risalire ai codici e hanno deciso di sfidare chi ha ucciso i loro tesorieri. Ma questo qualcuno che ha i loro soldi, ha levato loro ogni speranza, come a dire: se volete i soldi dovete parlare con me” il Maresciallo bevve un sorso di limoncello “E’ questo quello che voglio sapere da te, se c’è effettivamente qualcuno che può combattere contro tre potenti cosche? Che ne può uccidere i capi in modo scenografico restandone impunito. Ti ripeto, non voglio arrestarlo, ma voglio parlargli!” “Maresciallo che dice: parlargli? ma si rende conto che se questa persona esiste la può uccidere con un semplice schiocco di dita? si figuri poi se vorrà parlargli con tre cosche che lo stanno cercando per mare e per terra: Maresciallo divintasti pacciu!!!” “Devi capire: perché questo qualcuno ha fatto fuori il Sutera? Perché i soldi non li ha neanche toccati né li ha trasferiti come avrebbe potuto fare un istante dopo aver ucciso i tre delle cosche. Perché non vuole che le cosche li recuperino se lui non li tocca? La risposta è una sola: gli sta proponendo uno scambio perché ha qualcosa che loro vogliono e loro, a loro volta, hanno qualcosa che lui vuole!” “e che cosa hanno da dargli?” “Sicuramente non soldi. Lui ne ha moltissimi in questo momento, quelli chiusi nelle banche degli emirati. Loro però hanno qualcosa che non vogliono o non possono dare e che per questo qualcuno è più importante del tesoro che ha.” “Maresciallo, a maggior ragione: lassa stare questa cosa, non sai quanto è pericolosa!! Le cosche uccideranno tutti quelli che penseranno vicino a questo qualcuno che gli ha rubato i soldi!!” Il Maresciallo sorrise. “Tu sai chi è, non è vero? Se è così devi dirgli che io ho capito, so cosa cerca e soprattutto, so dov’è” La faccia di Mancino mostrò una sorpresa mista a diffidenza come se il Maresciallo stesse dicendo qualcosa di assurdo. Per qualche secondo cercò di rispondere ma alla fine si alzò e prese la bottiglia vuota i bicchieri e si diresse verso la cucina. Si girò a metà strada. “Lascia stare, vattene e dimentica tutto, Ci penseranno quelli dell’antimafia….. fai fare a loro gli eroi. Tu sei troppo piccolo per questa storia” Entrato in cucina, il Maresciallo lo sentì borbottare ad alta voce “E’ pacciu, pacciu…” Con calma il Maresciallo, sorridendo, addentò una pasta di mandorla.
Disceso dalla Panda il Maresciallo si toccò la pancia. Da Mancino aveva mangiato ma soprattutto bevuto troppo. Si sarebbe fatto dell’acqua e limone per permettere al suo stomaco di sopravvivere. Si incamminò verso il cancello del giardino di casa sua ed arrivato lo aprì e si diresse verso la porta d’ingresso. Fece pochi passi ma si fermò. Anche se stordito dalle bevute e stanco per le quasi due ore di macchina, il suo istinto da sbirro aveva mandato un segnale d’allarme. Torno indietro e aprì di nuovo il cancello e poi lo spinse con un dito per chiuderlo. Il cancello si chiuse silenziosamente senza quell’odioso stridio che aveva sempre fatto da quando abitava in quella casa. Qualcuno lo aveva zittito. Guardò in giardino alla ricerca del suo cane Carlo Alberto che svolgeva con coraggio e determinazione, le funzioni di guardiano della casa. Guardò tra i cespugli di fiori e lo vide sdraiato pancia all’aria sotto il grande cespuglio di gardenia dove controllava il suo territorio. Dormiva profondamente, tanto da non sentirlo, proprio lui che quando la  macchina del Maresciallo imboccava l’ultima curva ad un chilometro di distanza da casa correva ad aspettarlo seduto di fronte al cancello con il suo cipiglio burbero di ex cane della finanza. Vide accanto al cespuglio una ciotola vuota. Qualcuno aveva sedato Carlo Alberto. Il Maresciallo si diresse verso casa deciso e pronto a tutto. Arrivato alla porta cercò la chiave ma la porta corazzata era già aperta; lui la spinse leggermente e lei si aprì.
Sentì una voce
Eppur, e d'uopo sforzati! Bah sei tu forse un uom? Ah! ah! ah! Tu se' Pagliaccio! Vesti la giubba e la faccia infarina.
Riconobbe immediatamente il disco. Era il vinile dei Pagliacci, che sua moglie sentiva ogni sera durante la malattia. Quando lei se ne era andata lui l’aveva lasciato sul giradischi come se da un momento all’altro lei dovesse tornare a sentirlo ancora. Il fatto che qualcuno lo stesse ascoltando gli fece stringere i pugni dalla rabbia. Il corridoio era buio e solo in fondo, dove c’era il piccolo studio con il pianoforte che sua moglie usava per le lezioni di musica, c’era una debole luce. Si avvicinò lentamente e quando fu alla porta dello studio che era semichiusa la spinse lentamente. Sulla poltrona su cui sua moglie sentiva la musica c’era seduto un uomo. Era alto e vestito con un paio di jeans aderente e un giubbotto nero. Aveva gli occhi chiusi, una mascherina da chirurgo sulla bocca e dei guanti azzurri che coprivano le mani con dita grosse come quelle di chi praticava arti marziali. Accanto a lui, sul bracciolo della poltrona, vi era uno smartphone che sembrava spento. Il Maresciallo stava per dire qualcosa ma l’uomo, sempre ad occhi chiusi, portò un dito alla bocca invitandolo al silenzio
La gente paga e rider vuole qua. E se Arlecchin t'invola Colombina, ridi, Pagliaccio e ognun applaudirà! Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto; in una smorfia il singhiozzo e 'l dolor. Ah! Ridi Pagliaccio, sul tuo amore infranto! Ridi del duol che t'avvelena il cor
Appena il tenore finì di cantare l’uomo aprì gli occhi e spense il vecchio giradischi. “Mi scusi Maresciallo se ne ho approfittato. Sua moglie aveva un buon gusto in fatto di musica” Il Maresciallo capì che lo sconosciuto sapeva di lui molte cose e non si sorprese. “Era una brava pianista ma si ammalò molto presto e non poté sviluppare il suo talento: questo la faceva soffrire più della sua malattia” “Succede a molti di vedere la vita cancellare ad uno ad uno tutti i propri sogni. È in quel momento che capiamo chi siamo e per che cosa vale la pena vivere o morire “ Vi fu qualche secondo di silenzio come se quanto detto avesse per chi aveva parlato un valore troppo importante e attuale per lasciarlo cadere velocemente nel nulla. Il Maresciallo ne approfittò “Lei è….” “Quello che le ha detto Mancino” “Se lei conosce Mancino sa bene che lui non direbbe a uno sbirro neanche che ora è” Senti sorridere l’uomo dietro la maschera “In effetti è così.” Il Maresciallo si sistemò nella sedia accanto al pianoforte come faceva quando sua moglie era seduta in poltrona. “Ho intuito che mancino la conosceva bene, e questo devo ammettere che era più di quanto sperassi. Ma ritengo che vi unisca un’amicizia tale, che pur essendo mio amico dichiarato e pronto ad aiutarmi, Mancino non ha detto nulla di importante. Quello che so l’ho capito perché sono uno sbirro e da chi mi stà davanti riesco a capire molto ma non tutto” “e di me cosa sta capendo?” “Che qui si sente al sicuro, che è certo che i suoi nemici non verranno e ha capito che io non sono a mia volta un suo nemico” “È così, Mancino mi ha parlato molto bene di lei e mi ha convinto ad ascoltarla perché pensa che sa dove è quello che cerco” “Per quanto ho capito e per quello che ho assunto penso di si e non ho problemi a dirglielo” L’uomo restò in silenzio e non si capiva se rideva o pensava “.. e cosa vuole in cambio per dirmelo” Il Maresciallo sorrise “che non vi siano più morti; poi mi basta il piacere, solo narcisistico, di aver compreso tutta la storia” L’uomo restò qualche secondo in silenzio poi esordi “Le prometto che se le sue informazioni sono corrette, una volta trovato quanto cerco, non vi saranno più morti per mia mano. Ma mi tolga una curiosità: e i suoi superiori? Non ne tiene conto?” “ho chiesto al Procuratore degli appuntamenti per dirgli la mia tesi e non mi ha mai risposto. Nel frattempo sono morte altre tre persone che probabilmente non c’entravano nulla. La giustizia è raffigurata con una spada e una bilancia, ma dovrebbe avere anche un orologio: fare giustizia venti anni dopo vuol dire far subire venti volte la stessa ingiustizia. Per questo le volevo parlare, per fermare la carneficina che lei e i suoi nemici state preparando” “ non sono miei nemici, ma clienti; ho lavorato per loro e contro di loro anche in passato. Ora però il gioco è molto diverso da quello che fino ad ora eravamo soliti giocare” “per i soldi negli emirati?” “Anche per quelli. Sabino e Cannata avevano pensato un business multimilionario. Avrebbero messo le mani su una miniera di diamanti in Russia utilissimi per i loro affari in sud America e in medio oriente. Avrebbero avuto i diamanti a 80 e con essi avrebbero comprato droga vendendoli a 200 perché i diamanti  sono il bene rifugio più prezioso per chi ha problemi con la giustizia o per chi deve essere corrotto. Mi avevano assunto per questo, per evitare che qualche mafioso russo si mettesse di mezzo. Lo sa come mi chiamano quelli per cui lavoro? Settoru, il sette di denari perché, come quando si gioca a scopa, chi mi ha tra le sue file ha già un punto in mano: dovevo semplificare i rapporti con chi non voleva finalizzare il business o creava problemi…” “e quelli che non sono suoi amici? Come la chiamano” Gli occhi si strinsero in un sorriso “Quelli mi chiamano u Ghiancheri…” “Il macellaio…?” “Si e non solo per il mio lavoro. Mio padre aveva una Ghianca, una macelleria alla Kalsa dove faceva la salsiccia più buona di Palermo!  Chieda a Mancino. Un giorno un uomo di niente gli disse che doveva comprare carne delle macellerie clandestine, animali uccisi perché rubati o ammalati. Mio padre rispose di no. Quello lo insultò pensandosi un mamma santissima. Lui lo caccio a calci fuori del negozio. Tre giorni dopo, uscendo dal retro del negozio venne assalito da tre energumeni con bastoni in mano. Lui si difese ma gli venne un infarto e mori. Io, che andavo a prenderlo e lo aiutavo in negozio perché era ammalato, vidi i tre uomini scappare. Andai dalla polizia a denunciarli. Ma dopo un mese nessuno era stato arrestato. Mia madre morì di crepacuore: uccisa dal troppo amore che la legava a mio padre. Al funerale di mia madre vidi uno dei tre e corsi dalla polizia dicendogli di andare ad arrestarlo. Mi dissero che non ne valeva la pena: era forse già fuggito ed in ogni caso il suo avvocato lo avrebbe fatto uscire dopo due giorni. Allora capii che questa che chiamano “la legge” non esiste. I furbi, i maligni, i ladri, gli arrivisti, gli infami: sono i topi di un enorme immondezzaio che chiamano società: sono loro che fanno le leggi, quelle di ogni giorno, non quelle dei libri. Come i topi si nutrono rubandolo tutto quello che gli piace seguendo i loro bisogni. Gli altri credono in una legge che è solo l’apparenza che copre l’immondezzaio come i cartelloni pubblicitari raffiguranti l’ordine e la bellezza di quanto chiamano società che coprono le discariche per nasconderle.  Ma non è così. Chi comanda in questo immondezzaio è chi non ha paura ad uccidere o rubare, chi non ha paura a fare del male gratuitamente, a ridurre gli altri a cose, ad animali con la droga e la violenza.  Ed è a questi che tutti obbediscono o a cui tutti si appellano per risolvere i loro affari, come facevano anche i principi di una volta con la mafia, perché è nel DNA della nostra storia questo ubbidire solo ai violenti senza mai ribellarci pensando che non ci riguardi chi sono o cosa fanno; perciò, mi sono detto che se esisteva  solo la legge di chi poteva sovrastare con la forza gli altri, io avrei fatto la mia giustizia con la stessa legge. I tre vigliacchi che uccisero mio padre scomparvero nel nulla; i loro corpi li buttai in una porcilaia a ingrassare i loro simili. Chi aveva ordinato a mio padre di ubbidirgli, lo trovarono appeso per i piedi e squartato come un maiale, così come hanno trovato Cannata. Io non uccido, li faccio impazzire dal dolore e dalla paura, lentamente, finchè loro stessi non invochino la morte come un sollievo. È questo che mi ha reso U Ghiancheri, qualcuno che anche gli assassini temono e che nessuno vorrebbe mai incontrare.  Il capocosca, di quei quattro maiali che avevano ucciso mio padre, invece di arrabbiarsi mi propose un lavoro. Gli avevo levato davanti quattro coglioni in un modo pulito e silenzioso, mi chiese se ero interessato ad avere un lavoro ben pagato visto che alcuni membri di una cosca avversaria alzavano troppo la cresta. Poiché ormai vivevo in una condizione in cui per sopravvivere occorrevano molti soldi, mi creai la regola che non avrei mai ucciso altri che uomini d’onore, sarei stato il loro giudice e boia restando sempre al di sopra di loro: io non uccido persone indifese ma chi della violenza e della morte ha fatto la sua vita perciò affronto i miei “clienti” alla pari.” Il Maresciallo lo guardò in silenzio “Perché mi sta dicendo tutte queste cose?” “Perché tutte e due crediamo nella giustizia e l’applichiamo, anche se da lati opposti, non per fini diversi: la giustizia, l’equità, quella vera ed assoluta” “E non ha paura che io usi le sue informazioni contro di lei?” “No, Mancino si fida di lei. Il suo telefono poi è sotto controllo: di ogni numero che chiama o da cui è chiamato, viene informato il procuratore. Lui pensa che lei si prenda troppa iniziativa, troppo libertà nel risolvere i casi. Dice che usa troppo la fantasia senza attenersi ai fatti. Ha un fascicolo su di lei pieno di considerazioni e dicerie: gli mancano però i fatti per incriminarla. Un segno che l’immondezzaio ha paura di lei, della sua intelligenza che è un’arma da cui nessuno può proteggersi. Lei è più simile a Mancino che al suo capo: crede nell’amicizia più di quanto i suoi colleghi credano in lei, è uno di quelli per cui esiste una società e dei doveri nei confronti degli altri, quegli altri che pensano solo ai loro diritti, alla loro voracità, come fanno i topi nell’immondezzaio.” Il Maresciallo restò ancora in silenzio. “un’ultima cosa, prima di arrivare al punto: perché lei si fida di Mancino? E perché Mancino ha tanto rispetto per lei da non dirmi niente?” “Una volta qualcuno gli disse che lo stavo cercando per ucciderlo. Lui non capiva perché, quindi andò da Nino, l’uomo che hanno ucciso e che era il mio contatto verso il mondo esterno e gli chiese di incontrarmi. Quando mi vide mi chiese perché volevo ucciderlo visto che lui non aveva mai fatto del male a nessuno; mi disse che a cinque anni aveva perso il padre, a sette scaricava cassette di frutta per aiutare la madre, a nove aveva rubato un pane per fame e da li aveva continuato: non era un santo ma non era un assassino, un ruffiano o un paraculo: poteva guardare chiunque dritto negli occhi senza vergognarsi. Gli risposi che qualcuno mi aveva detto che lui era stato pagato per uccidermi. Anche a lui la stessa persona aveva detto la stessa cosa. Ovviamente chi ci aveva detto così sperava che ci uccidessimo a vicenda. Gli dissi di non preoccuparsi e di sparire per un paio di settimane che mi sarei preso cura di quella persona. Lui però fu arrestato ed in carcere qualcuno lo prese di mira. Fu così che diventò Mancino e si fece vent’anni perché nel difendersi aveva ucciso un altro topo che voleva rodergli l’anima. Io avevo lasciato Palermo. Mi diedero dei lavori in America e poi in sud America per convincere qualche capo in testa locale a vendere coca al prezzo che le cosche dicevano. Quando lui uscì dal carcere era solo ed io lo andai a trovare. Gli chiesi cosa volesse fare e lui rispose che dopo tanti anni al chiuso voleva vivere in una spiaggia all’aperto. Lo portai dove ora ha la locanda e gli diedi i soldi per comprarla: gli ho regalato un sogno, per questo farebbe di tutto per proteggermi. È un amico, uno dei pochi che ho.” “Strano a dirsi anche per me è ormai un amico. Comunque veniamo al sodo” “Lei sa cosa cerco?” “Certo, quello che cercano tutti: la persona che ama” Gli occhi del Ghiancheri si strinsero come se stessero sorridendo “E sa anche dove è?” “Certo, dove la stava cercando: nella contrada della Croce, solo che lei la stava cercando nel posto sbagliato” U Ghiancheri lo fissava con attenzione senza perdere il minimo gesto. “vede, mentre scrivevo verbali e relazioni su come era morto Calabrò, ebbi la sensazione che quella sua macchina io l’avessi già vista più volte. Pensai per qualche giorno poi capii. Nel paese c’è una sola strada che sale dalla provinciale, fino al paese e poi alla Contrada della Croce. La nostra caserma è a lato di questa strada e le telecamere di sicurezza della caserma inquadrano sempre la strada. Andai a vedermi i vecchi filmati e scoprii che il Calabro era salito diverse volte e sempre da solo. Una volta però era salito preceduto da una di quelle grosse moto che usano i killer per sparare per strada. La sua macchina era seguita da un'altra con quattro ceffi stipati dentro.” “Una scorta…” “Esatto. Ingrandii più che potevo le immagini della macchina di Calabrò, scoprendo che di dietro, seduta tra due uomini c’era una donna. Guardai il filmato di quando le macchine e la moto discesero dalla valle ma la donna non c’era” L’uomo restò zitto come aspettando qualche altra informazione “Chiesi ai miei informatori (se il barbiere del paese si può definire tale) se c’era qualcosa di strano nella famiglia Calabrò. Sono venuto a sapere che una diecina di giorni prima, alla cresima della figlia di Sabino Calabrò mancava sua cognata Gaetana Ruffo-Ruffo, moglie del cugino Miuccio, quest’ultimo presente alla festa ed esageratamente euforico, tanto che a pranzo, Sabino riprese suo cugino per quanto beveva. Il cugino mi è stato descritto come persona, irascibile e arrogante, dall’ira e la pistola facile, ben diverso dalla moglie Ruffo-Ruffo che tra i suoi avi annovera un siniscalco di Federico II” “È cosi – aggiunse improvvisamente l’uomo – Gaetana è una donna sensibile e di una personalità superiore a questi Calabrò che sono ricchi solo dei soldi che fanno con il dolore degli altri. Suo marito se l’è comprata pagando i debiti di suo padre. Quando mi arruolarono per aiutarli nell’impresa, Sabino chiese a Gaetana di fare gli onori di casa. Ero un personaggio importante e la Famiglia voleva ospitarmi nel modo migliore. Gaetana era l’unica incensurata che potesse ospitarmi e occuparsi degnamente di me. All’inizio ci evitavamo, poi per caso incominciammo a parlare e qualcosa di inatteso e non voluto accadde tra noi” L’uomo abbassò gli occhi quasi a ragionare per se stesso “Io non ho mai pensato alla mia vita come una vita normale ma come qualcosa che da un momento all’altro doveva finire bruscamente ed il cui unico fine era uccidere quanto più possibile chi era uguale a chi aveva ucciso mio padre. Lei invece rese reale e possibile una vita normale, quella di cui mio padre e mia madre avevano vissuto semplicemente ma intensamente. Questa romanza – l’uomo indicò con il mento il disco – Gaetana la suonava sempre. Anche lei si sentiva qualcuno che doveva indossare con la morte nel cuore, il suo vestito da Pagliaccio per dare spettacolo e per essere mostrata come simbolo del successo del marito, dopo la Ferrari e prima dei purosangue arabi. Poi suo marito quando ha capito che ci amavamo ha trattato Gaetana in un modo indefinibile. Un mafioso non è più considerato tale se anche la moglie lo tradisce. In più avrebbero dovuto uccidermi per aver violato la loro casa. Ma cosa avrebbero dovuto dire alle altre cosche? Io ero un elemento importante dell’investimento che stavano facendo perché i russi obbediscono solo a chi li uccide. Gli altri si sarebbero tirati indietro, per questo, per punirla e per ricattarmi l’hanno nascosta così che continuassi a servirli: con lei prigioniera potevano farci fuori quando l’affare era finito. Gaetana è una donna che prima di incontrarmi non aveva mai sorriso, era un cigno in uno stormo di corvi. Come me ha dovuto adattarsi ad una realtà disgustosa perché non poteva averne altre. È difficile credere che due infelicità assolute possano far nascere una felicità totale: ma a noi è successo. Lei mi ha donato il lato migliore della vita che non conoscevo: avere chi ti capisce, chi ti ascolta, chi cancella le nubi nei tuoi pensieri e ti spinge a credere in una realtà diversa. Migliore. Ha aperto la prigione in cui ero, ha stracciato le vesti da pagliaccio che ogni giorno indossavo per essere quello che quelli come suo marito mi avevano fatto diventare. Ha ragione a dire che se non la trovassi, i morti aumenterebbero: sono figlio di mio padre e nessuno può ricattarmi e ridurmi ad essere un servo, nessuno può maltrattare chi, dopo una vita di sangue, mi ha fatto trovare il senso della parola amare. Quell’amare che univa così indissolubilmente i miei genitori. Sterminerò tutta la Famiglia e i suoi affiliati se non me la ridaranno intatta! Lei, dopo tanti morti, mi ha riportato alla vita e a questa vita non ci rinuncerò” Fu il turno del commissario di restare qualche secondo in silenzio “È quello che ho pensato considerando l’odio che ha usato nell’uccidere. Ma torniamo al punto iniziale dov’è Donna Gaetana? Quando ho tirato le somme di tutto mi ricordai di quando dallo spiazzo di fronte al vallone della Croce guardavo i monti prima che improvvisamente arrivasse la macchina di Calabrò. Nella parte dei monti, dove c’erano le miniere, vedevo di tratto in tratto diverse macchine: troppe. Se tu nascondi qualcuno non metti mille guardiani a dire dov’è.  Lì la montagna è un formicaio di tunnel e grotte, non hai bisogno di mettere mille guardiani.” “Infatti! ho girato quelle miniere per diversi giorni ma non era un posto dove tenere Gaetana. È meta di gite scolastiche e speleologiche. Per questo rapii Sabino, per farmi dire dov’era, ma lui si rifiutò di dirmi cosa” “Allora, vedendo quelle macchine fuoristrada sparse qua e là, mi sembrava quasi che aspettassero qualcuno. Ora capisco che era una trappola per lei, per attirarlo fin lassù e farle fare quello che volevano. Poi ho incominciato ad osservare il resto del vallone e le colline dove, finite le miniere incominciano le distese di olivi e viti. Guardai negli uliveti ed in un Baglio nel mezzo delle colline vi notai qualcosa che mi colpì: ad una finestra della vecchia casa colonica in cui le olive sono raccolte, c’era un filo sottile e ad esso vi erano attaccati dei vestiti da donna. Cose intime e piccole, come mutandine e reggiseni. Erano solo un paio, nascoste dai rami di ulivo, ma erano troppo piccole per appartenere alla moglie del proprietario del fondo e troppo eleganti per appartenere a qualche ragazza del paese. Mi chiesi allora chi poteva lasciare in quel luogo disabitato quelle cose così intime. La finestra in cui erano, dava su un dirupo, nessuno degli altri abitanti della casa avrebbe potuto vederle. Forse era un segnale, forse solo della biancheria stesa ad asciugare.” L’uomo penso qualche secondo. “Era un segnale: Gaetana mi voleva dire dove era. Io cercavo in alto, tra le miniere, perché li era facile nasconderla. Troppo facile. Sabino aveva architettato una trappola per fermarmi circondando la zona con i suoi uomini e saliva e scendeva da lassù per richiamare la mia attenzione e attirarmi tra i suoi uomini. Io conoscevo quella zona da tempo perché li ho concluso molti dei miei lavori, ed ho evitato facilmente le sue trappole.” Il cellulare che l’uomo teneva sul bracciolo della poltrona si illumino. Apparve come una mappa con delle linee e un puntino rosso in movimento. “Qualcuno sta venendo a trovarla. Tenga – gli disse allungando la Beretta di ordinanza del Maresciallo – è meglio che vada vedere chi è”. Il Maresciallo prese la pistola e si chiese come U Ghiancheri avesse fatto a trovarla nella cassaforte nascosta nell’armadio della stanza da letto. Mise l’automatica tra la cintura dei pantaloni e la schiena coprendola con la maglietta. Tornò indietro nel corridoio fino alla porta di ingresso e dalla telecamera del citofono osservò la strada.
Una macchina spuntò dalla destra e lentamente si fermò all’altezza del cancello. Ne scese l’agente Caccamo che avvicinandosi al citofono suonò. Il Maresciallo aspettò qualche secondo e poi rispose “Chi è?” “Maresciallo sono Caccamo, tutto bene?” “Caccamo, si tutto bene perché è successo qualcosa” “No Maresciallo, Petyx mi ha detto che lo aveva chiamato più volte al cellulare perché voleva venire a trovarlo con la moglie e il bambino, e non gli rispondeva e si era preoccupato, così mi ha chiesto di passare a vedere” “Sono andato a Sciacca dai miei amici e ho lasciato il cellulare nella scrivania in ufficio, sono appena tornato” Poi aprì la porta e andò a salutare Caccamo di persona. “Caccamo tutto bene ora chiamo Petyx e glielo dico” “Va bene Maresciallo, meglio così, ci eravamo preoccupati” “Non ti preoccupare ci vediamo domani, ora torna in caserma” Caccamo lo salutò e tornò in macchina; il Maresciallo aspettò che si allontanasse e tornò di corsa in casa e percorrendo velocemente il corridoio arrivò allo studio. “Tutto a posto, era…..” La poltrona era vuota.
Il Maresciallo guardò il rapporto che aveva scritto ancora indeciso se spedirlo o meno. Fece mente locale ed incominciò a rivedere gli avvenimenti accaduti tre giorni prima, il giorno dopo il suo incontro con U Ghiancheri. “ Alle ore 05:15 del mattino è suonato il telefono d’ordinanza e l’appuntato Cacace mi ha informato che stava venendo a prendermi con il fuoristrada perché in contrada Croce era scoppiato un incendio in una casa abbandonata dentro un uliveto. Poiché c’era una macchina vicino nell’Uliveto i forestali pensavano che qualcuno fosse dentro la casa. Dell’orario sono certo perché ho visto l’ora sul telefonino! Alle 05:45 è arrivato Cacace e siamo andati verso Contrada Croce passando dalla mulattiera che attraversava il torrente e saliva verso la parte coltivata della valle. La strada era più veloce anche se si poteva fare solo con un fuoristrada o un mulo.” Il Maresciallo controllò l’orario riportato nel documento, quindi continuò il suo riepilogo interno “ Appena attraversato il fiume ed iniziata la ripida salita verso i boschi di ulivi e le vigne abbiamo sentito una forte esplosione in direzione del baglio verso cui stavamo andando.” Il Maresciallo pensò un minuto poi prese il documento e aggiunse “L’esplosione era molto forte tanto che ci caddero addosso dei detriti di mattoni e di legno. Notammo lo sviluppo di una colonna di fumo nero” Il Maresciallo pensò alla faccia bianca e sorpresa di Cacace che lo osservava spaventato. “Dopo forse mezzo minuto, mentre proseguivamo la nostra marcia, il Maresciallo Biondo mi ha chiamato per informarmi che mentre con i suoi forestali stavano arrivando in zona, all’interno del baglio c’era stata una forte esplosione che dalla distanza da cui lui osservava, sembrava avesse distrutto buona parte dell’edificio. Gli chiesi di delimitare la zona e di evitare che il fuoco si propagasse nell’uliveto ma di mantenere i suoi uomini a distanza di sicurezza dal Baglio senza avvicinarsi. Arrivato constatavo che del Baglio erano rimaste in piedi sono le pareti frontali dell’edificio, mentre la parte posteriore, situata su un dirupo era precipitata nel dirupo stesso, facendo sfogare l’esplosione principalmente in quella direzione.” Si fermo ad osservare lo scritto. “Richiesto l’intervento degli artificieri dell’esercito, nei ruderi del Baglio sono state trovate quanto restava di alcune casse di legno con scritte cirilliche dentro cui vi erano gli avanzi risparmiati dal fuoco di fucili d’assalto AK-47 e altre attrezzature militari. Da alcuni pezzi di legno recuperati, sembra che l’esplosione sia stata dovuta ad una cassa di tritolo per costruzione che è stata innescata probabilmente per l’incendio di una stufetta elettrica dimenticata accesa. Stufe simili sono state trovate in diversi punti del Baglio. La macchina risultava rubata un mese prima a Cefalù” Il Maresciallo si grattò la testa e continuò a leggere “Si suppone al momento che il Baglio sia stato un deposito della cosca Calabrò, vera proprietaria dell’uliveto, dove veniva occultato materiale che probabilmente doveva servire per qualche rapina di furgoni postali o banche. Al momento non si ha un collegamento tra il deposito e la morte di Calabrò Sabino avvenuta circa una settimana prima, ma i suoi continui viaggi nella contrada portano a pensare che sicuramente il Calabrò ne fosse a conoscenza” Il Maresciallo guardò scettico il documento “U Ghiancheri deve aver fatto fuori i secondini di donna Gaetana e li ha portati via, poi ha fatto saltare il baglio per cancellare le prove della presenza della donna. Tutta la storia si riassumeva in una base della cosca abbandonata dopo la morte di Sabino, e in un incidente casuale.” Per l’ennesima volta il Maresciallo appoggiò il documento sulla scrivania incerto se potesse considerarlo realistico e quindi finito. “Al procuratore il report piacerà, vi sono i fatti e non c’è nulla della mia fantasia” E si mise a ridere. “Maresciallo mi scusi – fece Caccamo apparendo sulla porta del suo ufficio – c’è un signore che vorrebbe salutarla….” “Eh chi è ?” fece sorpreso “Marescialluuuuu” fece improvvisa la figura di Mancino la cui sagoma occupò tutta la porta tanto che Caccamo scomparve dietro di lui “ come stai Maresciallo? sto andando a prendere Rachele a Palermo e sono passato a portare due gamberi freschi freschi, un totano che è uno zucchero e una spigola che se quando la mangerà la farà andare in paradiso” l’omone riuscì a superare la piccola porta e tra le mani gli apparvero una enorme borsa frigo che doveva contenere il tesoro che aveva descritto e un'altra borsa piena di bottiglie di vino “Il totano è da fare subito, lo pulisci e lo metti in padella con l’accia, due olive verdi, i capperi e lo fa rosolare poi con il pomodoro…” “Mancino grazie …. - rispose il Maresciallo ancora sorpreso e travolto dalla loquacità dell’amico. - … Caccamo per favore prendi e metti tutto in frigo che a mezzogiorno cuciniamo tutto” Mancino diede con delicatezza la borsa all’appuntato “Mi raccomando i gamberi ….. – fece severo verso Caccamo - .. crudi! con un filino d’olio e poco limone: sono una delizia…” “Questa è una bella sorpresa – fece il Maresciallo – non ti aspettavo…” “E’ che Rachele, la conosci, ha insistito che passassi a ricordarti che sabato sei a pranzo da noi… Per favore non dirmi di no che se noi lei è capace che ti viene a prendere: lo sai è bergamasca, ha la testa più dura di una palermitana” “Questo è tutto da dimostrare ma ti credo! ti posso offrire almeno un caffè ?” “Ma quale caffè sarebbe il quinto questa mattina, sono andato alle cinque al mercato del pesce a prendere il meglio per Rachele…. ora però devo andare che devo attraversare Palermo con il traffico” “Aspetta che ti accompagno alla macchina” Il Maresciallo prese il cappello ma, come ultimamente gli capitava, si dimentico il cellulare sulla scrivania. “Allora tutto bene?” chiese Mancino appena usciti dalla caserma “Tutto bene… penso che ogni cosa sia andata a posto” “Si, è tutto a posto. Ho saputo che c’è stato un po' di fuoco…” “Un deposito di armi dei Calabrò…” “A niente di particolare. Ah proposito lo sai che Miuccio Calabrò è morto” Il Maresciallo si fermò sorpreso “Morto? e come fu” “Il giornale dice che lo hanno trovato a casa sua in vestaglia strangolato sulla sua poltrona” “Strangolato? e cosa vuol dire?” “Che non volevano versare il suo sangue.  Un morto strangolato non chiama vendetta” “Ho capito, ma che senso aveva farlo fuori adesso?” “Non lo so, forse è una morte di scambio” “Eh cioè?” “Tu hai qualcosa che interessa a me, io ho qualcosa che interessa a te. Ora io riesco a rubarti quello che mi interessa e tu ti incazzi ancora di più. Allora io ti dico: ti posso rendere quello che vuoi. Magari me ne tengo poco poco e il resto te lo restituisco se tu uccidi una certa persona” Il Maresciallo si fermò interdetto “Lo hanno ucciso i suoi?” “Lui doveva uccidere sia la moglie che U Ghiancheri quando li aveva scoperti. Invece è andato a piangere da suo cugino Sabino scatenando il casino che ne è venuto fuori. Orami era cornuto e coglione. Se non l’avessero ucciso loro lo avrebbero fatto le altre cosche e non si sarebbero limitate a far fuori solo Miuccio” “Pensavo che non ci sarebbero stati altri morti” “Non per mano sua! e questo lo ha mantenuto….” Fece serio Mancino di fronte alla macchina. Si girò ed entrò in machina sedendosi, poi, con una certa difficoltà, tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta “Questo è per tè - Il Maresciallo lo guardò severamente - Lo so che tu sei uno sbirro che non accetta soldi, ma la compagna del mio amico vuole dirti personalmente grazie e nel foglio c’è il posto e l’ora dove ti aspettano per dirtelo. Pensa che sia un suo dovere e una forma di rispetto ringraziarti personalmente.” Il Maresciallo prese il foglio di carta e salutò mancino “Salutami l’ing. Rachele..” fece mentre Mancino partiva sgommando “Ricordati sabato…” fece Mancino agitando la mano dal finestrino Il Maresciallo l’osservò scomparire e poi si voltò per tornare in caserma. Mentre andava apri il foglietto ed osservandolo si fermò per la sorpresa. Era un biglietto per assistere ad un’opera presso il teatro Greco di Taormina: “I Pagliacci”
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bergfanteam · 6 years ago
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foto di Luciano Magni Ogni anno,a ragione. migliaia di persone effettuano il periplo delle Tre Cime di Lavaredo/Drei Zinnen, nelle Dolomiti esistono percorsi che, forse, offrono interesse e spunti anche maggiori,ma è innegabile che il Giro delle Tre Cime di Lavaredo/Drei Zinnen, esercita un fascino notevole. Le Tre Cime di Lavaredo/Drei Zinnen, sono anche la Grande Storia delle Dolomiti; in questo luogo e su queste pareti, si sono “svolte” epiche sfide,Sepp Innerkofler, Emilio Comici, Riccardo Cassin, Claudio Barbier, e tanti altri, hanno scritto pagine di storia dell’Alpinismo. Noi escursionisti abbiamo ora la possibilità di percorrere il Giro delle Tre Cime ed ammirare la maestosità di queste Montagne, un sentiero abbastanza facile e ben tenuto parte dal parcheggio del Rifugio Auronzo2320mt(il consiglio è di salire usando i comodi mezzi pubblici, evitando il fastidio di una moltitudine di auto ed un esoso parcheggio), dal Rifugio Auronzo, un comodo sentiero n°101 che, passando dalla Forcella Lavaredo2344mt, porta al Rifugio Locatelli Innerkofler/Dreizinnenhütte 2405mt. Dal Rifugio si scende al Plan da Rin, per poi risalire alla Malga Lange/Lange Alm 2232mT,oltre la malga,un traverso su ghiaione da percorrere con attenzione in caso di pioggia, porta alla Forcella Col di Mezzo 2315mt da cui in circa venticinque minuti si ritorna al punto di partenza.
Come sempre raccomando agli escursionisti queste semplici attenzioni: Informarsi sulle previsioni meteo attraverso i”portali meteo locali”, quelli delle Tv”generaliste” hanno previsioni che coprono un territorio troppo vasto, in montagna la meteo può avere cambiamenti improvvisi con temporali e fulmini. Indossare calzature adeguate con suola scolpita, con tomaia che offre protezione a caviglie e piedi. Portare abbigliamento antipioggia di buona qualità, in grado di offrire protezione dagli eventi meteo. Un maglione ed un paio di guanti ed un berretto per proteggersi in caso di sbalzi termici(in montagna può nevicare anche ad agosto, sopratutto oltre i 2000mt) Occhiali da sole e crema da sole protettiva. Mappa “cartacea”dei percorsi che si intendono affrontare( quando la batteria del telefonino è esaurita,le mappe digitali, ecc, sono inutili, ed in montagna spesso manca la connessione dati)… Il Rifugio NON è il “locale” di città, spesso la connessione dati non è presente. Una Lampada(frontalino) di emergenza. Borraccia con bevande isotoniche(anche acqua). Qualche alimento di emergenza e di facile assimilazione. Lasciare detto dove si intende andare, il probabile percorso ed ora presunta di arrivo. Non esistono percorsi”facili”, tutto dipende dalla nostra esperienza, preparazione, condizione fisica… NB.quando chiedete informazioni ad altri escursionisti, che all’apparenza sembrano esperti e navigati, diffidate da chi tende a sminuire le difficoltà o dà informazioni con “faciloneria”…l’escursionista o alpinista esperto da informazioni con equlibrio e prudenza, se non conosce il percorso che intendete fare avrà l’umiltà di ammetterlo. Se non vi sentite di avere i requisiti di esperienza e sicurezza necessari, vi consiglio di affidarvi ad una Guida Professionista o chiedere alle Apt locali il programma delle gite da loro organizzate con accompagnatori. Buona gita!!
Grandi escursioni in Dolomiti il Giro delle Tre Cime di Lavaredo/Drei Zinnen foto di Luciano Magni Ogni anno,a ragione. migliaia di persone effettuano il periplo delle Tre Cime di Lavaredo/Drei Zinnen, nelle Dolomiti esistono percorsi che, forse, offrono interesse e spunti anche maggiori,ma è innegabile che il Giro delle Tre Cime di Lavaredo/Drei Zinnen, esercita un fascino notevole.
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giorginaroda-blog · 6 years ago
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ESPLORANDO IL SUDTIROL
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Ciao, mi presento: mi chiamo Giorgia e sono una assoluta “travel addicted” !! Adoro viaggiare, scoprire ed entrare in contatto con nuove culture e tradizioni , dal mare alla montagna, e tutto quello di stupendo che c’è nel mezzo !!
Oggi vi porto alla scoperta delle meravigliose Dolomiti !!
Diciamo che avendo solo un paio di giorni il mio obiettivo principale è’ stato ovviamente il magico Lago di Braies.
Comincio con il dirvi che abbiamo alloggiato in un B&B favoloso: il Les Gomines , situato a San Vigilio di Marebbe , a pochi Km dal famoso Lago di Braies , ma anche da altri laghetti altrettanto suggestivi , di cui vi parlerò tra poco!!! Se capitate nella zona vi straconsiglio di alloggiare in questo B&B, caratterizzato dall’avere ogni stanza di un colore diverso (a noi è capitata la Blu) , ma soprattutto con il riscaldamento a pavimento!! Non sto a spiegarvi la goduria del togliersi le scarpe dopo aver camminato al gelo tutto il giorno , e poggiare i piedi su di un pavimento dalla temperatura caraibica !! 🤤 Oltre a questo , la pulizia perfetta ,la gentilezza dei proprietari e la meravigliosa vista che potete ammirare se vi svegliate all’alba!!
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Appena arrivati, dopo circa 5 ore di viaggio, ci siamo diretti subito verso il Lago di Braies, distante una ventina di minuti dal B&B!! Una volta parcheggiata la macchina nell’ampio parcheggio proprio adiacente al lago , ci siamo trovati d’innanzi ad una vista a dire poco mozzafiato !
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Il Lago era per metà , quella dove il sole fatica a battere , ghiacciato!!! Uno spettacolo !! Purtroppo la parte negativa del visitare il Lago di Braies in inverno è’ che le tipiche barchette di legno con cui potete attraversalo , ovviamente non sono presenti...motivo per cui in estate tornerò sicuramente per fare anche questa esperienza , ed ammirarlo nei tipici colori estivi! Ma vi assicuro che anche in inverno, ha un fascino inspiegabile!!
Naturalmente , essendo sabato pomeriggio, i turisti lo hanno assalito , abbiamo quindi deciso dopo aver fatto una passeggiata “fotografica” di riscaldarci un pochino, visto il gran freddo (-2 gradi) nel bar/albergo che affaccia sul lago.
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Non abbiamo saputo resistere , abbiamo preso una cioccolata calda e una insuperabile torta Sacher !!!
Dopo questa dolce pausa, abbiamo deciso di fare un’altro giro tra le bancarelle ascoltando la tipica musica altoatesina , suonata dal vivo da un gruppo locale !! Le bancarelle e il gruppo dal vivo lo potete trovare solamente nei weekend del periodo natalizio...vi consiglio infatti di visitare la zona in questo periodo, che è’ sicuramente magico e suggestivo !
Al calare del sole ritorniamo in hotel per una doccia calda e dopo di che andare a cena a provare i tipici piatti della zona ! Non potete non provare canederli e crauti!!!
Ormai esausti andiamo a dormire molto presto , per poterci svegliare all’alba, in modo da ritornare al lago prima dell’assalto dei turisti domenicali!!
Alle 8, siamo già sul luogo, e decidiamo di costeggiare il Lago per arrivare dall’altro lato e godere di un’altra vista, altrettanto favolosa !! Se volete potete provare a costeggiare tutto quanto il Lago in una passeggiata di circa 2 ore, noi purtroppo non siamo riusciti per la presenza di troppo ghiaccio!!
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Anche da questo lato la vista è’ mozzafiato!!!
Alle ore 10.00 vediamo arrivare la miriade di turisti domenicali scesi dai numerosi autobus , decidiamo allora di andare a visitare 2 laghetti vicini decisamente meno affollati!
Il primo è’ il Lago di Dobbiaco a circa 10 minuti di strada dal Lago di Braies !! Anche questo Lago per metà ghiacciato merita di essere visto , soprattutto a ,per chi come noi , piace prendersi tutto il tempo per fare foto e trovare lo scatto perfetto .
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Dopo di che ci dirigiamo verso il poco distante Lago di Landro , ghiacciato al punto tale da pattinarci sopra!!! Anche qui la vista con alle spalle il Monte Cristallo , non è’ di certo da sottovalutare .
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Sulla strada di ritorno , non dimenticatevi di fermarvi allo spiazzo panoramico per ammirare le meravigliose Tre Cime di Lavaredo !! Lo trovate segnalato proprio lungo la strada!!!
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Nel tardo pomeriggio decidiamo di visitare la cittadina di Brixen (Bressanone) , che addobbata per le feste natalizie è’ sicuramente da non perdere!!! Qui abbiamo comprato quella che sarà la nostra cena da gustare in hotel : lo strudel!!! Come poteva mancare in questa vacanza all’insegna delle specialità altoatesine !!!
Arrivederci al prossimo viaggio!!
Fatemi sapere se vi è’ piaciuto l’articolo!!
Con affetto
Giorgina
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edicolaelbana · 6 years ago
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Di Miguel e dell'ennesima occasione persa
Non è difficile capire quanto la drammatica scomparsa di Miguel Moutoy, per tutti "il Generale Bertrand", abbia sconvolto la nostra isola. Le centinaia di testimonianze sui social parlano da sole. Amato da tutti per la sua cordialità, educazione, gentilezza, disponibilità, Miguel univa la sua passione per l'Imperatore all'amore per l'Elba e gli Elbani.
Immancabile a qualsiasi celebrazione o rievocazione storica, instancabile nel suo perorare la causa di un Monumento da dedicare all'uomo che, piaccia o meno a qualcuno, è indiscutibilmente il più formidabile "promoter" del nostro scoglio nel mondo intero, se ne è andato senza riuscire a vedere il suo sogno realizzato. Non solo: da qualche anno si era reso disponibile a mettere a disposizione gratuitamente la sua formidabile collezione di reperti e cimeli per la realizzazione di un Museo, chiedendo solo le più banali garanzie assicurative e di "decoro" dell'esposizione.
Muri di gomma, aveva trovato solo muri di gomma.
Evidentemente, ai gestori della "cosa pubblica", quando non ballano cospicui finanziamenti, quando la posta in gioco non consente di gestire centinaia di migliaia di euro per costruire aberranti gattaie, fantomatici canili o dissennati dissalatori, passa qualsiasi fantasia.
E tutto mentre si blatera di "destagionalizzazione" senza minimamente pensare a come e quanto i tempi siano cambiati.
Il turismo scolastico è finito: i ragazzini sono numericamente sempre di meno, si scelgono da soli le "gite" - e le discoteche di Parigi o Barcellona sono certamente più attraenti delle orchidee del Perone - e gli stessi insegnanti hanno sempre meno voglia di assumersi gratis tutti i rischi che comporta accompagnare torme di scalmanati ispirati da Guru come Sfera Ebbasta.
I turismo delle gite parrocchiali o dei Cral, pure: gli "anziani" sono sempre più attivi e vitali, e se ne vanno in giro con Ryanair per conto loro.
Il famoso turismo sportivo, o più genericamente, outdoor, è già ben strutturato (quasi troppa grazia, per merito di Associazioni private e Cittadini, se si pensa alla pessima gestione pubblica dei boschi e dei sentieri, delle strade e degli stradelli) ma non possono bastare i w/e per arrivare a fine mese. E, normalmente, la gente lavora, durante la settimana. Per implementarlo davvero servirebbe abbinare al fascino della natura una serie di offerte culturali ed eventi che possano invogliare almeno le persone più colte o curiose a prendere qualche giorno di ferie anche in autunno o primavera. Ed ecco che il Museo di Miguel avrebbe potuto essere un importante tassello verso la creazione di quella base "strutturale" su cui poggiare le fondamenta da cui partire. Perché se poi capitano tre giorni di pioggia, o freddo, o vento, i panorami mozzafiato non bastano più.
Magari anche solo per dare una botta di vita alle Residenze Napoleoniche, sulla cui gestione non esprimo giudizi perché parlano i fatti: la Villa di San Martino su Tripadvisor si piazza "al 24°posto su 33 cose da fare a Portoferraio", seguita solo da attrazioni del calibro della "tabaccheria da Peppe" o "lavanderia a gettone Piùbianco!".
Ma così non è stato, e Miguel non c'è più. Sono certo che i suoi straordinari amici - della Petite Armée, ma non solo - sapranno proseguire nel suo nome la lotta per la Cultura e la Storia. Ci saranno altri 5 di maggio, e, almeno all'Elba, saremo in molti a pensare, più che a Napoleone, al vuoto che ci ha lasciato il Generale Bertrand.
Ps: nella foto, Miguel è con mio padre, all'inaugurazione della "prima statua di Napoleone all'Elba", di cui papà andava - e va tuttora - molto fiero. Pur essendo un omaggio privato, in una struttura privata, Miguel era stato entusiasta di concederci il piacere e l'onore della sua presenza. Senza chiedere in cambio nemmeno un caffé.
Non solo un Amico, ma un vero Signore.
Yuri Tiberto
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clorophillarium · 5 years ago
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Il peso della luce
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Non sai bene se la vita è viaggio,
se è sogno, se è attesa,
se è un piano che si svolge
giorno dopo giorno
e non te ne accorgi
se non guardando all’indietro.
Non sai se ha senso.
In certi momenti il senso non conta.
Contano i legami.
– Jorge Luis Borges
...
Esiste un istante preciso in cui la notte ci abbandona, non per sempre, ma almeno per un giorno intero.
È una notte breve e adolescente, una notte piccola, impressa in una polaroid appesa al cielo, ma è quasi sempre troppo in alto per riuscire a capirla bene.
Ci sono cose che non si distinguono fino all’ultimo, spesso nemmeno dopo che accadono, almeno non fino a quando ti ritrovi scaraventato di fuori, sulla sponda di un nuovo giorno.
Esco dalla notte quando l’alba si alza dal suo letto nel lago.
Luce che nasce da un luogo lontano, lo stesso ogni giorno, eppure indecifrabile come un simbolo senza tempo.
Comprendo che se partire non è mai facile, diventa sempre più difficile essere disposti ad arrivare, anche se poi non credo che il senso sia proprio questo, almeno per me.
Già, arrivare dove ?
Ma che importanza ha in fondo ?
Ognuno ha le proprie battaglie oscure.
Le Dolomiti hanno le stesse sembianze del sogno, le linee mutevoli e sorprendenti del viaggio onirico e siccome non c’è niente da capire bisogna solo arrendersi allo stupore.
Allora il cammino prenderà il suo naturale respiro attraverso la danza tra forme e ombre, le quali sono sempre il lato meno chiaro della luce.
Capiterà che passando dalle Tre Cime,
le vedrai come i denti cariati di qualcuno rimasto troppo a lungo a guardia di un regno arcano.
I detriti si staccano dalle gengive come il pianto di ghiaia notturna di un gigante sepolto nella lontananza delle ere.
Tra i cuscini verdi dell’alpe di Lerósa, sotto la Croda Rossa, ti ritornerebbe in mente il desiderio di fare il pastore e ti immagineresti mentre tieni d’occhio il tuo gregge, in un pomeriggio di giugno proprio come oggi, ma in un’ altra vita ancora.
E poi, infilandoti su per la scala a chiocciola della val Travenanzes, arriveresti alle mura posteriori delle Tofane, le cinta insuperabili di fortificazioni ai margini dell’altipiano.
Chissà cosa succede lassù, non in cima, ma dietro alle pareti, dall’altra parte ?
Ci sarà qualcuno che sogna come te ?
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Osservo le cascate che scivolano eleganti ed esplodono in veli trasparenti.
Ne assaporo la brezza leggermente liquida che scivola sulle gambe calde.
Ad ogni guado entro dentro l’acqua indugiando con i piedi in mezzo alla corrente, come se questa portasse via un po’ di fatica.
Eppure trovo che funzioni; entrare in sintonia con il fluire del torrente alleggerisce i miei pensieri e mi ricorda che, come sempre, è una così semplice.
È più semplice di quello che pensiamo.
È quello che ci riesce meglio forse, dove ciascuno basta a se stesso;
rimanere in giro il più a lungo possibile, correre, camminare e correre di nuovo.
Lasciare che la pelle si impregni del peso di tutta la luce che c’è.
Perché il peso della luce è nella sua leggerezza, che non è inconsistenza ma è assenza di gravità emotiva.
È questo quello che mi viene in mente mentre svalico tra Averau e Nuvolao, mentre un altro versante cambia nuovamente sulle orme di neve sporca che cede piano.
Guardo un po’ più in là e individuo la Civetta e la Marmolada, prodigiose isole irraggiungibili adesso, e ripenso a quello che si dice sul fenomeno leggendario dell’enrosadìra, il motivo per cui la dolomia si colora.
Enrosadìra è una parola così antica e così aggraziata che riesce a descrivere una cosa bella anche solo con il suono della sua pronuncia.
Enrosadìra, “diventare rosa”.
Chissà se invece è anche una questione di timidezza, per chi si ferma a capirne i profili, a misurarne i battiti, a immaginarne tutte le storie di pietra incandescente.
C’è sempre qualcuno che si innamora quassù, ne sono certo.
Forse diventano più rosa anche le persone, magari nel loro cuore.
In questa giornata interminabile in cui il crepuscolo si dilata quasi fino all’infinito, si compie il mio viaggio.
Ora è quasi buio ed è coraggioso il modo cui il giorno resiste ad una nuova notte.
La luce resiste per devozione al senso estetico.
Ed è sempre più evidente che in molti come me, corrono perché sanno che è profondamente e semplicemente bello farlo.
Negli sguardi sorridenti di chi ho incontrato e di chi sta arrivando ormai a Cortina, trovo ancora una volta il senso di una corsa così lunga.
Incontrare vecchi amici, trovarne di nuovi e intravederne la soddisfazione nei loro occhi ora stanchi.
Il peso della luce è anche questo; occhi che brillano, occhi che sognano, occhi che non smettono di cercare, anche se adesso è davvero buio.
Ma esiste sempre un istante preciso in cui la notte ci abbandona, non per sempre, ma almeno per un giorno intero.
È questo il segreto ?
È questo il peso della luce ?
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gogobus · 5 years ago
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I 3 posti più instagrammabili del Nord Italia
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In cerca di un posto speciale per far rifulgere il tuo profilo instagram? Ecco qui i 3 posti più instagrammabili del Nord Italia, raggiungibili facilmente da Milano. 
Il Ponte nel Cielo e il Lago “Bidet della contessa” - Valtellina
Se non soffri di vertigini, il Ponte nel Cielo, nella Val Tartano in provincia di Sondrio, saprà regalarti forti emozioni e fotografie mozzafiato. Si tratta del Ponte Tibetano più alto d’Europa, con una passerella di 700 assi, lunga 234 metri e sospesa a 140 metri di altezza.
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Sempre in Valtellina, nella Val di Mello, si trova un gioiello di rara bellezza, ovvero il Lago “Bidet della Contessa”. Sulla riva di questo lago color smeraldo è possibile immortalare il riflesso delle cime innevate che contornano la vallata. 
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Come arrivare al Ponte nel Cielo e Bidet della Contessa da Milano:
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Le Cinque Terre
Nella nostra selezione dei luoghi più instagrammabili non possono mancare le Cinque Terre: le casette dai colori pastello a picco sul mare e gli stretti carrugi creano una location perfetta per uno scatto da cartolina. 
E vuoi sapere quali sono i tre scorci più amati?
Il Nessun Dorma di Manarola, per un aperitivo con vista da film.
Il Porto di Rio Maggiore sul quale si affacciano coloratissime case torri genovesi
La bifora sul mare di Porto Venere, nel Golfo dei Poeti
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Come arrivare alle Cinque Terre da Milano:
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Il Lago di Braies 
Un tempo quasi ignorato e ora asceso alla ribalta in quanto set della serie televisiva “Un Passo dal cielo”, il Lago di Braies è una delle località con più hashtag su Instagram nel Nord Italia. Basta metter piede nella valle per capirne il motivo. Il Lago di Braies lascia a bocca aperta per la sua bellezza incontaminata e l’acqua smeraldina. Qui si può fare un giro in barca oppure indugiare sulle sue rive, in attesa di uno dei tramonti più suggestivi di sempre.
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Come arrivare al Lago di Braies da Milano:
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Raggiungi i luoghi più instagrammabili con Instabus
L’Instabus di GoGobus può portarti al Ponte nel Cielo e al Lago Bidet della Contessa, alle Cinque Terre e al Lago di Braies con tre viaggi esclusivi da Milano. 
Ogni tour sarà accompagnato da una guida - influencer di Yallers Italia (una delle principali community italiane) per darti preziosi consigli volti a realizzare scatti di qualità professionale, anche con un semplice cellulare, e a far crescere il tuo engagement.
Per maggiori info e prenotazioni trovi qui il link alla pagina evento:
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francescosatanassi · 8 years ago
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DOLOMITI GIORNO 5
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Dolomiti giorno 5. Oggi ho fatto il giro delle Tre Cime di Lavaredo, a metà del percorso ho improvvisato una scorribanda laterale su un crinale di ghiaia e macigni, lungo il quale ho trovato una bomba a mano arrugginita e, nonostante fossi apparentemente attrezzato come uno zapitista nella giungla, un temporale invincibile. Giunto al rifugio ho strizzato i calzini e li ho stesi al sole, distraendomi dalla seconda tempesta che li ha nuovamente inzuppati. Per le due ore successive li ho sostituiti con fazzoletti di carta e bastemmie, ma va bene, anzi benissimo, perché le Dolomiti sono così, e anche io sono così, con quella finta organizzazione che al primo intoppo te la fa pagare, ricordandoti la prima e grande legge della montagna: mai voltarsi indietro e portare sempre i calzini di ricambio.
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nordend-91-blog · 8 years ago
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Storia 2: Blinnenhorn
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Il primo lunedì del mese mi tornò alla mente quel mio amico con il quale mi ero ripromesso di andare a scarpinare su qualche tremila. Fortuna volle che avesse organizzato per il giorno seguente una gita in Val Formazza. Mi unii al gruppo.
Parto di casa alle cinque del mattino e faccio tutta la strada del Lago d’Orta per arrivare fino a Gravellona Toce evitando l’autostrada e i suoi costi. Le montagne che si vedono dalle sponde del lago sono un invito e in me la voglia di arrivare in cima aumenta. Per le sette ci ritroviamo tutti e, insieme, partiamo per Riale (1700metri), una frazione walser del comune di Formazza. Nel viaggio ci fermiamo al Forno Ossolano dove oltre al cibo necessario mi sono comprato, per golosità pura, due brioches bellissime a vedersi. Cari lettori non dimentichiamoci queste brioches perchè saranno importantissime.
A Riale sono le 8 e 15 del mattino. La luce del sole non è ancora arrivata a fondovalle. Noi proseguiamo con l’auto oltre il villaggio, fino a un parcheggio posto sotto la diga di Morasco. Dopo poco tempo iniziamo il cammino, superiamo la diga e, dopo aver costeggiato il lago omonimo arriviamo all’imbocco del sentiero. Il fondovalle è sempre all’ombra. Il verde alla base delle montagne è intenso e scuro. L’acqua del lago è nera. La luce è lassù, sulle cime acuminate grigie e rocciose. Lo spettacolo davanti a me avrebbe dovuto forse trasmettermi calma e incanto. Invece mi mise in soggezione e in ansia, forse, pensai, per il ricordo che quei luoghi mi suscitavano dall’ultima volta in cui, partito incautamente e stupidamente da solo, andai a scarpinare sui tremila in Val d’Aosta. Quell’avventura si concluse bene solo grazie all’intervento di un amico.
Il sentiero si divide in tre parti, una via è chiusa agli escursionisti, probabilmente per la pericolosità della montagna che sembra franargli sopra, la seconda via è la nostra. La terza va all’Alpe Bettelmatt. L’ansia che io nascostamente tenevo segreta agli altri richiamava nella mia mente sempre più pensieri negativi, ricordi tristi, persone di pianura e di montagna scomparse. Eppure, pensavo, davanti a me i miei compagni vanno avanti, nonostante i loro problemi. E io sono qui a sprecare il mio tempo e le mie energie in questi pensieri invece di rendermi conto che il mondo, la vita e il mio sentiero di bellezze e avventura sono tutti qui,stesi davanti a me, in attesa che i miei scarponi li calpestino.
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Dopo ogni tornante che supero l’energia torna. La voglia di esplorare le cime, di salire ricomincia a impossessarsi di me. La luce è ora alta e il calore inizia a far sudare. Il sentiero ci conduce nella valle laterale dove, dopo una camminata tra arbusti bassi e pietraia, vediamo spuntare la diga del lago Sabbione. Tutte queste dighe, immagino sfruttate per l’energia idroelettrica, sono delle mostruosità grigie, enormi. I laghi che contengono mi fanno paura: sono anch’essi grigi se la luce li colpisce, sono neri se nascosti all’ombra, e sembrano privi di vita come un’enorme colata di mercurio. Oltre la diga, oltre il lago ecco la Punta d’Arbola e la Punta Sabbione con il suo ghiacciaio: subito le nuvole coprono queste cime. Noi proseguiamo lungo le rive del lago. Il sentiero qui è più pianeggiante, più semplice.
Con facilità arriviamo al rifugio Claudio e Bruno (2710 mt.). La vista da qui è fantastica e io, affamato, mi mangio la prima brioches. Buonissima.
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Il Blinnenhorn (3374 mt), ossia il Corno Cieco, non si vede mai. Solo alla fine lo si può ammirare. Il cammino dopo il rifugio è interamente su pietraie e sabbia e sale molto più velocemente. E’ totalmente inutile cercare di capire dove sia la cima. Non si vede. Ma poi alzo la testa ed eccola lì la sommità. In alto sulla nostra testa c’è una cresta che proseguendo verso ovest porta alla vetta. Saliamo ancora, sempre più lentamente, ormai abbiamo superato i tremila e la testa inizia a ballare. Si fa fatica. Raggiunta la cresta vediamo che davanti a noi si apre tutto un ghiacciaio, stupendo, enorme ai miei occhi: il ghiacciaio del Gries. Giro lo sguardo a Ovest: la cima che vedevo dal basso era solo una collinetta di terra e sassi. La vera cima è ancora più in alto, sopra il ghiacciaio. Le nuvole le roteano tutte intorno. Il vento, comparso all’improvviso, è sempre più forte. In fretta ci vestiamo. Io mi mangio anche la seconda brioches. Buonissima.
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Il sentiero è poco segnato. Ci sono solo ometti posti a terra, qualche traccia, ma nessun cartello, nessun altro segnale. Quindi una parte dell’attenzione va a dove passare. Il cammino continua esterno al ghiacciaio. Qualche metro più in là la neve perenne, qualche metro più in qua il burrone. Io sorrido. Mi sembra tutto perfetto: le ansie quassù sono state dominate e io mi sto godendo quello che ho intorno. Giungiamo, in fila, su una piccola sella. Dall’altra parte, a pochi metri da noi c’è il vuoto. Una folata di vento forte fa sbandare prima il mio amico e poi me. Subito ci accucciamo tutti a terra, a quattro zampe come i neonati. L’improvvisa sferzata di vento alza la sabbia e la terra che mi finisce negli occhi. Aspettiamo che tutto sia finito per ripartire con più foga. Arriviamo in cima con un po’ di paura per l’avvenimento di poco prima. Scattiamo due foto e iniziamo la discesa correndo.
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Il tempo sta iniziando a guastarsi: è ormai pomeriggio inoltrato ed è Agosto. Il temporale è un evento da prendere per forza in considerazione in questo periodo. La discesa è veloce. Superiamo il rifugio, continuiamo la discesa. Abbandoniamo le pietraie. Ecco gli arbusti ed ecco la prima pioggia. E, improvviso, il primo lampo seguito da un tuono terribile in quella valle piccola e stretta. Ricominciamo a correre. Altri tuoni fortissimi sopra la nostra testa. Per la seconda volta nella giornata torno a sentirmi un neonato davanti alla natura. Fortunatamente passiamo per un alpeggio dove ci rintaniamo in una casetta aperta. Aspettiamo la fine del temporale. Una volta usciti ricominciamo il cammino, stanchi ma felici. I miei amici, i miei compagni alzano lo sguardo e sorpresi mi indicano un punto davanti a me.
Davanti a noi, alla nostra altezza, un arcobaleno.
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giulianaleone91 · 8 years ago
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Diario di bordo - 3° giorno di Route 66 (Kansas)
Il Best Western si rivela essere un adorabile motel a tema Route 66. Facciamo una ricca colazione e poi salutiamo questo gioiellino, ma non prima di aver scambiato quattro chiacchiere con un paio delle diverse persone che sono nella sala con noi. Alcuni degli ospiti sono qui per la Route. Era da un po’ che non incontravamo “compagni di viaggio”; a voler essere precisi dal primo giorno di Route 66, quando appena fuori da Chicago abbiamo conversato con un gruppo di americani anche loro pronti ad attraversare la Mother Road. Ci siamo trovati a consultare le indicazioni sulla Route davanti a una stazione di servizio chiusa e ci siamo augurati buona strada.
Prima di andare via facciamo qualche foto all’esterno, davanti alle riproduzioni di auto d’epoca e di una pompa di benzina.
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Ieri non abbiamo avuto modo di vedere Springfield (Mo), quindi ne approfittiamo per fare un giretto. Oggi il tempo è strano. Non c’è il caldo di ieri pomeriggio, ma nemmeno il freddo di ieri mattina. C’è vento, però. Cerchiamo invano una lavanderia e poi giriamo per il centro (e indovinate com’è?)... deserto. Per strada incrociamo massimo un paio di persone. Qui, comunque, sembra ci siano molti più negozi che negli altri posti dove siamo stati, escluso ovviamente Chicago. Passiamo da un asilo e mi chiedo quanti bambini lo frequenteranno. Tre? Non lo so. Le cose sono due: o questi americani non ci sono oppure non escono per le strade. Eppure il motel stamattina era abbastanza popolato. Mistero. Passiamo anche da un carinissimo teatro con i pannelli bianchi con su scritti i titoli. Hai presente? Oh, andiamo, lo avrai visto in mille film. A ogni modo, passando da lì mi domando se riusciranno mai a riempire la sala.
Salutiamo Springfield e ci muoviamo verso quello che scopro essere il paradiso. Immaginavo già che mi sarebbe piaciuto, ma non credevo tanto. La prossima meta infatti è Bass Pro Shop, un negozio gigantesco (credimi quando dico gigantesco) che vende articoli da campeggio, da caccia e da pesca. Questa meraviglia è divisa in diverse sezioni, tutte a tema. In quella dedicata alla pesca, per esempio, c’è anche un acquario da poter visitare. In quella dedicata al campeggio c’è, oltre a un’infinità di articoli di qualsiasi tipo come arnesi per cucinare all’aria aperta e un milione di altre cose di cui non sapevo l’esistenza, una zona dedicata anche ai giochi da campeggio e ai cibi. Mi perdo davanti a milioni di salse, patatatine e snack vari. Compro alcune delle cose più strane che trovo e poi mi dirigo verso la sezione seguente: quella dedicata alla caccia. Qui ci sono riproduzioni di animali feroci, piccole cascate artificiali e addirittura un alligatore. VERO! Che strano poggiare la mano sul vetro e appurare che tra me e lui non ci sono che un paio di centimetri.
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Ci rimettiamo in marcia qualche ora dopo. Oggi, in una giornata, se tutto va bene, ci troveremo in ben tre Stati.
Usciamo dal Missouri pronuciando “Come il Missouri però non c’è niente” e poi urliamo di gioia nel momento in cui passiamo il confine del terzo Stato: siamo in Kansas!
Forse si commuove per il nostro arrivo, non lo so, fatto sta che il Kansas ci dà il benvenuto con la pioggia. Tanta. Ha fascino anche così o forse proprio per questo, non lo so. So solo che pioggia o no, del Kansas mi innamoro subito. Il paesaggio è diverso. Il verde comincia a lasciare il posto al giallo-arancio. Salutiamo le foreste di aceri, le querce e cominciamo ad abituarci alle praterie. Questo Stato ha qualcosa di speciale che non può essere descritto.
Piove ma non c’è freddo, quindi abbandoniamo la macchina nel bel mezzo della strada deserta e ci lanciamo giù. 
Ci sentiamo folli, folli e felici, mentre corriamo a ripararci sotto la tettoia di un negozio chiuso e pieno di murales. Saltelliamo, urliamo, facciamo foto. Altro che metereopatia!
Ripartiamo e passiamo da una vecchia stazione, poi davanti alle riproduzioni dei personaggi di Cars, il cartone animato della Disney. La tappa successiva è una bottega che deve avere avuto minimo cento anni. Le mensole sono piene di bottiglie vuote d’epoca e tanti altri cimeli. Il proprietario è un signore anziano e gentile che ci domanda come siamo approdati lì. Compriamo qualche cartolina e torniamo in viaggio.
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Troviamo tanti negozietti chiusi e poi un centro informazioni per viaggiatori che attraversano la Route 66. All’inizio, quando entriamo, non c’è nessuno. Poi spunta una donna da una porta dietro la quale ci sarà casa sua (a quanto pare qui è normale). Scambiamo quattro chiacchiere con lei, ci fa firmare un diario delle visite e poi la lasciamo al suo pranzo che, a dirsi dal profumo nella stanza, deve essere pronto. 
Sono quasi le tre e stiamo morendo di fame anche noi. Decidiamo non fare più soste fino a quando non troveremo cibo da mettere sotto ai denti, invece dopo pochi minuti salta fuori una sosta irrinunciabile. Pickers’ Post, un negozio nell’usato che ha tutta l’aria di nascondere tesori. Al nostro ingresso i proprietari allungano verso di noi una ciotola di popcorn e ci invitano ad assaggiarli, poi ci chiedono da dove veniamo. Anche loro, come gli altri, rimangono sconvolti non appena rispondiamo Italia. Ci chiedono il permesso di scattarci una foto e noi accettiamo. Hanno una pagina facebook e la caricheranno lì, ci fanno sapere. (Ho controllato adesso e sì, c’è.) Poi tirano fuori un mappamondo pieno di puntine da disegno e ci invitano a metterne una sulla nostra città d’origine. È davvero tanto emozionante scoprire di essere la prima siciliana ad avere scovato questa meraviglia.
 Perdiamo tanto tempo in giro per il negozio. Ci sono così tante cose che catturano la nostra attenzione da far passare in secondo piano anche la fame. Qui c’è di tutto: pezzi di legno grezzi colorati, oggetti vari creati a mano, cd e libri, giocattoli antichi, cartoline già spedite e addirittura confezioni di collant vintage (senza le calze). Compriamo qualcosina e poi andiamo via. Io prendo un libro per un dollaro.
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Finalmente troviamo una stazione di servizio e pranziamo. Mentre Gloria e Luca fanno la fila un ragazzo americano entrato dopo di noi paga per loro. E quando sgomenti gli chiedono come mai, lui risponde che l’ha fatto così, per aiutarli. Assodato il fatto che in America si usa fare in questo modo, dobbiamo proprio avere l’aspetto di quattro barboni disperati. 
Il piovoso e bellissimo Kansas ci dice addio troppo presto, ma la tristezza lascia subito il posto a un nuovo entusiasmo. Come ogni volta tengo d’occhio il navigatore e avviso gli altri nel momento esatto in cui varchiamo il confine.  “Siamo in Oklahoma” urlo, e salutiamo tutti con un grido di esultanza il nuovo Stato.
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 Attraversiamo miliardi di Ranch e mi dico che un giorno mi piacerebbe pernottarci. Lo terrò in considerazione per il prossimo viaggio. Deve essere una bella esperienza. Mentre sfrecciamo nella meravigliosa Route 66 deserta, assistiamo al tramonto più bello della nostra vita. L’orizzonte sconfinato e insolitamente distante si colora di arancio, rendendo ancora più denso il colore dei campi. È La prima volta che non c’è nulla a destra e sinistra a delimitare lo sguardo. Niente case, niente edifici, niente alberi, solo distese di praterie infinite e lunghe chilometri. (Ti giuro che la descrizione non rende minimamente. Bisogna essere lì per capirlo.)
Se in questo momento mi chiedessero cosa è la libertà risponderei: “qui, ora”. E se mi chiedessero cosa è la felicità risponderei allo stesso modo. Con i cuori traboccanti di gioia schizziamo, squarciando il vento, per la Strada tutta nostra, riempendoci gli occhi di questo spettacolo.
Quando sta facendo ormai buio passiamo dalla Blue Whale a Catoosa, un ponte a forma di balena su un laghetto.
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Per cena ci fermiamo a Tulsa, città finalmente popolata. Ci sono diversi locali e gente per strada. Wow! Scegliamo il Caz’s Chowhouse, uno steakhouse molto carino. Siamo indecisi se provare i Calf Fries adesso o se riservarli per domani. Nel nostro viaggio a Edimburgo abbiamo provato le Haggis, interiora di pecora. Quindi ci sembra giusto provare anche questa particolare specialità.
Alla fine troviamo sul menù altre cose interessanti e ci ripromettiamo di assaggiare i Calf Fries domani a pranzo. Così, con soli 9,99 dollari prendo un secondo di carne con due contorni. Tutto molto buono.
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Poi ripartiamo. Vogliamo raggiungere Oklahoma City e pernottare lì. Prenotiamo un motel e ci rimettiamo in cammino. Sono circa le otto e mezza e contiamo di arrivare lì fra tre orette circa. Siamo abbastanza stanchi ma dandoci il cambio alla guida dovremmo farcela. 
Inizia così, con queste premesse tutte positive, la notte più lunga del nostro viaggio.
 All’inizio attraversare la Route di sera è rilassante. Non ci siamo che noi e fuori si respira tranquillità. Il primo guerriero crolla presto. Gloria, sopraffatta dal sonno, si abbandona a Morfeo. Rimaniamo in tre a darci il cambio. Per un po’ la cosa non ci pesa, soprattutto perché siamo impegnati in un dibattito che vede Marco convinto che la strada sia in pendenza, anche se non è vero. Nel frattempo diversi animali ci tagliano la strada (opossum, volpi e addirittura cervi) e, a dirsi dalle chiazze di sangue sull’asfalto, devono non averla tagliata solo a noi. Per un pelo Marco non fa fuori un opossum che per fortuna corre al sicuro giusto in tempo.
Passiamo anche da Pop’s ad Arcadia, un negozio a forma di bottiglia che vende bibite di tutti i tipi. Peccato essere arrivati qui di sera, mi sarebbe piaciuto provarne qualche gusto bizzarro.
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Quando Luca alla guida dice di vedere doppio, ci fermiamo per una breve sosta in una stazione di servizio, la prima che ci capita di incontrare da tante tante miglia. Intanto si sono fatte le undici e mezza e siamo, scopriamo con sconcerto, solo a metà del percorso. Luca, esausto, “chiude gli occhi giusto due minuti” e così rimaniamo in due. Io non ho sonno, o almeno non troppo. Il mio fidanzato super apprensivo però, nonostante faccia fatica a restare sveglio, insiste affinché si rispettino i turni stabiliti in precedenza: quindici minuti ciascuno.
Ci immettiamo in autostrada all’una e qualcosa. Seguiamo il navigatore e sbagliamo l’uscita per la città circa mille volte. A questo punto io sono tanto stanca da non riuscire nemmeno a capire ciò che succede intorno a me e visto che non posso essere d’aiuto mi faccio da parte e lascio spazio agli altri che nel frattempo hanno recuperato un po’ di forze. Riusciamo a raggiungere Oklahoma City solo alle due di notte e finalmente arriviamo davanti al Days  Inn, il motel prenotato tramite booking ore fa.
Siamo tanto stanchi da non avere quasi nemmeno la forza di scendere dall’auto e di trascinarci tutte le nostre cose che giorno dopo giorno diventano sempre di più. Siamo talmente esausti che l’essere arrivati a destinazione dopo quasi sei estenuanti ore sembra troppo bello per essere vero. Entriamo e ci avviciniamo al bancone, ma io non riesco a scacciare un fastidioso presentimento. 
Un uomo alla reception controlla la nostra prenotazione e dice che c’è un errore. Lascio cadere tutto ciò che ho tra le mani a quelle parole. Non so perché, me lo sentivo, e sono troppo stanca per affrontare qualsiasi cosa che non implichi il dormire immediatamente. Abbiamo prenotato al Days Inn, sì, solo che non questo. Gli chiediamo se può fare una modifica visto che si tratta di una catena. Ci mostriamo anche disponibili a prendere un’altra stanza, tutto pur di non metterci in strada. Non può aiutarci, ci dice. Può solo spiegarci dove si trova il motel corretto e chiamare il suo collega per accertarsi che la prenotazione sia confermata.
Io per un attimo mi rifiuto. Decido che dormirò qui, sulla sedia della reception di questo stupido motel. Oppure in macchina, potremmo dormire in macchina. Quando siamo partiti dopotutto ci siamo ripromessi di provare anche questa esperienza. Gli altri però insistono nel cercare il motel, ormai che ci siamo quasi. E così, con uno sconforto paragonabile a quello della prima giornata a Chicago, raccogliamo le nostre cose e ritorniamo in macchina, per un’ultima grande fatica. Impieghiamo un’altra ora a trovare il Days Inn giusto, ormai sono già passate da un pezzo le tre. Facciamo le docce più addormentati che svegli (nel senso che dormiamo aspettando il nostro turno per il bagno) e poi moriamo sui materassi per qualche ora.
Ed è così che termina questa lunghissima giornata che ci ha visti in ben tre Stati: la mattina nel Missouri, il pomeriggio nel Kansas e la sera nell’Oklahoma.
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emersoncolon5-blog · 6 years ago
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come coltivare marijuana in casa
In otto città italiane su dieci è presente élément growshop, dalla Lombardia che dispone di 67 esercizi alla Capitale che conta 36 negozi distribuiti in tutta la provincia. Il THC è il principio attivo responsabile degli effetti psicoattivi, per intenderci gli effetti tipici della droga, mentre il CBD è un altro cannabinoide presente nella canapa ma i cui effetti, al contrario, risultano essere benefici u utili nel contrastare volumineuse patologie. Commentano così il vice capogruppo della Lega alla Camera dei Deputati Fabrizio Cecchetti e de fait il consigliere regionale leghista Alessandro Corbetta, la decisione della Giunta Regionale di approvare l'uso della cannabis terapeutica in Lombardia. 6. Un importazioni a fini commerciali di piante di canapa da altri paesi non rientrano nell'ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016 e, in ogni caso, devono rispettare la normativa dell'Unione europea e nazionale vigente in materia. Al momento risulta consentita solo cette coltivazione delle varietà ammesse, l'uso industriale della biomassa, nonché la produzione per scopo ornamentale, mentre per la destinazione alimentare possono essere commercializzati oltre ai semi anche le altre componenti vegetali nel rispetto della disciplina di settore. Infatti, anche i grower che erano più reticenti all'inizio hanno ceduto alle qualità di queste genetiche che permettono di calcolare le dimensioni della coltivazione sin dall'inizio senza bisogno di germinare più semi del dovuto grazie alla certezza che tutte nel modo gna piante saranno femmine, elemento che elimina anche il sessaggio certainement che ha fatto sì che la loro popolarità sia aumentata in maniera esponenziale negli ultimi anni. Come precisato dal presidente della Società Italiana Ricerca Cheat all'Espresso, pero, sono in pochi a farlo, perché si tratta di una prescrizione off label, cioè in cui mancano indicazioni scientifiche su dosaggi e tempi di somministrazione”.
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Io ho l'aids da così tanti anni che quasi non me lo ricordo, ma posso révéler che sono oltre 7 lustri, sono vivo u grazie a cure specialistiche stò anche abbastanza bene, sono inserito presso una casa alloggio ad alta densità dove il direttivo, tutto, è in accordo su cure e trattamenti a base di chit, ma ho saputo da fonte certa, che pas hanno ben chiaro come potersi muovere, piuttosto che a chi rivolgersi u se fosse addirittura possibile un faidate per cette coltivazione a scopo terapeutico. La replica autofiorente della nostra mitica Moby Dick fa onore al proprio nome sviluppando piante di grandi dimensioni e di notevole produzione. Gli scopi dei tre magnati della finanza, uniti a quello del capo della polizia antidroga, resero possibile la distruttiva propaganda contro la Cannabis. Inizialmente se fumate ce cime hanno un sapore sgradevole, come tutte le piante di cannabis appena essiccate, dobbiamo attendere che gli enzimi giungano marcha piena maturazione (Circan élément mese) e il gusto piano migliora fino ad accostarsi alle varietà di cannabis migliori presenti sul mercato. Evitando di piantare il seme troppo osservando une profonditÃ, gli consentiremo successo emergere in poco harmonie alla luce e dunque di iniziare a crescere. Bubblegum Semi di Cannabis Autofiorenti sono alla base di una pianta che quand svilupperà in una cannabis molto piacevole e resinosa nota per il suo sapore delicato e piano profumo che evocherà il gusto della gomma da masticare. Barrier oltre al contributo aggiuntivo di Potassio favorisce il processo di Fioritura e grazie alla sua elevata alcalinità di silicio è ottimo per aumentare i livelli di pH delle soluzioni nourricière idroponiche. Stèle analisi dei prodotti venduti in uno dei negozi, sarebbe risultato che la cannabis avrebbe una percentuale di THC dello 0, 6%. Eppure, per la coltivazione e vendita di piante, fiori certainement semi a basso contenuto di principio psicotropo Thc si stima un giro d'affari potenziale di circa 50 milioni di euro grazie alla nuova regolamentazione, ma i consumatori devono essere informati e decidere in modo consapevole cosa acquistare. Estonia: illegale, fino ai 7, 4 grammi sono considerati come uso personale, e sono puniti con una sanzione monetaria. La legge, inoltre, specifica che, per escludere la responsabilità penale dell' agricoltore, la singola varietà di canapa deve contenere tra lo 0, 2 certainement lo 0, 6 per cento di thc.
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chez-mimich · 8 years ago
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NOVARA JAZZ, DIARIO DI BORDO.
Forse due concerti al giorno non leveranno il medico di torno, ma certo aiutano molto lo spirito, soprattutto se si tratta di due brevi ma intensissimi concerti come quelli che ha offerto oggi Novara Jazz. Il primo in un assolatissimo mezzodì, al fresco del gigantesco cedro di Villa Picchetta a Cameri, come da tradizione. Glauco Benedetti alla tuba, Filippo Vignato al trombone e Stefano Tamborrino alla batteria. Ho un mio personale e per me infallibile indice di giudizio per valutare le sonorità del jazz di ricerca: quando a vibrare è anche il silenzio, quando il silenzio non è più mancanza di musica, ma musica esso stesso. Grande magia di questi tre eccellenti musicisti, che si sono fatti permeare da questa silenziosa campagna e da questa implacabile pianura. Un trombone e una tuba che dialogano con una batteria raffinatissima, secca, precisa, sicura e non invasiva. Questa sera, al Museo Faraggiana, tra i cimeli naturalistici ed etnografici delle raccolte Faraggiana e Ferrandi, ecco il fiato infinito di un grandissimo musicista, Dan Kinzelman: tre-quattro note ininterrotte che fanno vibrare il fascinoso interno del museo e gli animi dei tanti ed attenti spettatori. Allampanato, concentratissimo, anche un po’ ascetico, Kinzelman ha portato a spasso le sue poche note, il suo sax e gli spettatori che hanno voluto seguirlo, in giro per il museo, pifferaio magico senza piffero, ma con un sax mistico. Come ha giustamente detto Corrado Beldì introducendo la performance di Dan Kinzelman, la sua cifra è la tensione, aggiungerei quasi una lotta contro una resistenza esterna, quella che la banalità del mondo oppone alla capacità di sentire. Due concerti intensi che, benché non facilissimi, hanno avuto un notevole successo di pubblico. Parte bene Novara Jazz 2017 e non poteva essere diversamente…
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italiaatavola · 6 years ago
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Alto Adige in festa Due anniversari per le Dolomiti
È un 2019 di anniversari per l’Alto Adige che festeggia i 150 anni dalla prima scalata delle cime più alte delle Dolomiti di Sesto e del Sassolungo in Val Gardena e i 10 anni delle Dolomiti Patrimonio Mondiale Unesco. Per festeggiare al meglio due anniversari così significativi, la stagione estiva ormai alle porte si prepara ad animarsi con una serie di eventi e celebrazioni in programma da giugno fino a settembre: concerti, laboratori, workshop e prime proiezioni sono solo un’anteprima delle iniziative dedicate alle due ricorrenze.
Si comincia il 18 luglio con il Peak-nic con vista, lo stesso giorno della storica prima scalata. Musica dal vivo e un pic-nic gourmet organizzato ai piedi della Punta dei Tre Scarperi regalano un’esperienza di altissima qualità e di grande divertimento, grazie alle delizie preparate dallo chef stellato Chris Oberhammer e ai racconti, curiosi e inediti, del caporedattore della rivista Alpin oltre che degli ospiti esperti di alpinismo. Una giornata indimenticabile durante la quale il percorso che fu dei primi scalatori sarà illuminato con suggestivi giochi di luce.I festeggiamenti proseguono in Val Gardena il 27 luglio, con l’Hommage al Sassolungo con uno spettacolo di musicisti, alpinisti, slackliner e ballerini: un progetto culturale che mira ad evocare quest’impresa sportiva nello stesso luogo che fu reso celebre 150 anni. Tra la forcella del Sassolungo e il Rifugio Vicenza a 2.500 metri l’artista Hubert Kostner mette in scena un curioso spettacolo legando diversi massi con corde da roccia, un chiaro richiamo alla tematica dell'“essere incatenati”. Il paesaggio risuona invece attraverso le composizioni sorprendenti di Eduard Demetz che riproduce, attraverso 20 ottoni, tutti i suoni e i rumori della montagna. Un momento di arte e di natura che punta a sorprendere gli spettatori e rendere onore alla montagna e ai suoi valori.
Il 21 agosto va in scena, in prima visione, il documentario che racconta i valori incarnati dall’alpinismo: in occasione infatti di quella che fu la seconda scalata degli stessi alpinisti alla Cima Grande, una grande festa di montagna si prepara - intorno alle Tre Cime e nelle loro valli - a rendere onore ai primi 3 eroi che raggiunsero la meta. Il documentario, di e con Reinhold Messner - realizzato con il supporto delle guide alpine, i Vigili del Fuoco di Dobbiaco e il Soccorso Alpino Alta Pusteria - sarà trasmesso in prima visione nel palaghiaccio di Dobbiaco alle ore 21.00. Il 21 agosto non è solo il momento per assistere alla prima del documentario ma anche il giorno perfetto per esprimere un desiderio: infatti presso il Rifugio Locatelli sarà inaugurata una capsula del tempo all’interno della quale i bambini potranno inserire i loro desideri dedicati alle Tre Cime e alle maestose Dolomiti. Sogni e aspettative future che saranno letti solo tra 50 anni, nel 2069.Chiude il giro dei festeggiamenti la Val di Funes che dedica ben 2 settimane di appuntamenti ed eventi ai 150 anni dell’alpinismo. La rassegna “Anniversario della Montagna” nasce grazie alla passione e alla dedizione di un gruppo di lavoro che ha preparato un fitto programma educativo e al tempo stesso esperenziale, per raccontare al meglio il forte legame tra questa valle e la montagna. Escursioni tematiche, eventi anche per i piccoli e spetta-coli serali si alternano per permettere di approfondire tematiche legate alla natura e all’Alto Adige. Tra gli appuntamenti da non perdere, la proiezione multimediale Open air “Le Odle - un sogno vero” con Stefan Braito o l’evento finale “Always Climbing”, durante il quale Florian Riegler - alpinista esperto - racconta l’esperienza dell’arrampicata.
Per festeggiare il Patrimonio Unesco invece si comincia il 16 giugno con l’inaugurazione del Dolomites Unesco Balcone panoramico Mastlé S. Cristina Val Gardena, il balcone panoramico di Col Raiser, che si prepara a regalare a turisti e alle persone del posto una vista mozzafiato sulle maestose vette dolomitiche. A partire dalle ore 10 il Parco Naturale Puez Odle - in provincia di Bolzano - apre le sue porte e inaugura la nuova postazione panoramica da cui ammirare paesaggi straordinari. Lo stesso giorno in cui si festeggiano proprio i 10 anni, in Alta Badia si tiene un evento celebrativo interamente dedicato alle Dolomiti e a questo importante anniversario. Il 26 giugno infatti, a partire dalle 21.15, sui prati ai piedi delle Cascate del Pisciadú, un concerto jazz dei Lilac for People risuonerà tra le montagne: nel pieno rispetto della natura e della sua autenticità, il gruppo composto da otto elementi suonerà solo in acustico. Durante la serata una proiezione a tema Dolomiti e salvaguardia del territorio sarà visibile sulle pareti del Pisciadú. Le celebrazioni per i 10 anni dal riconoscimento Unesco proseguono con la festa di San Vigilio di Marebbe: Tre giorni per conoscere a fondo le vette dolomitiche e le loro unicità oltre che per approfondire gli usi e le tradizioni dell’Alto Adige.
Si comincia il 27 e il 28 giugno con un convegno sul tema delle bellezze paesaggistiche e della loro protezione dalle diverse forme di inquinamento. Il 28 giugno è in programma inve-ce una tavola rotonda che racconta la storia dell’asteroide Unesco: una festa che punta a sottolineare ancora una volta l’importanza di enti a scopo educativo, scientifico e culturale. Il 29 giugno è il momento della vera celebrazione: la “Dolomites Unesco Fest“. A partire dalle 9, infatti musica, esperienze gastronomiche e laboratori creativi coinvolgono grandi e piccini in una nuova avventura, dove i veri protagonisti sono gli abitanti di queste altissime cime. Obiettivo della giornata è quello di sottolineare, ancora una volta, l’importanza del marchio Unesco ma anche la necessità di proteggere e tutelare bellezze naturali come le Dolomiti. Anche al 10° anniversario del riconoscimento Unesco sono dedicate le due settimane di festeggiamenti in programma in Val di Funes. Durante il susseguirsi dei giorni infatti un fitto programma racconta al meglio il patrimonio che queste montagne rappresentano, per il presente e per il futuro.
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