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traduttrice-errante · 2 years ago
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Venezia in due giorni
Nuovo articolo... vieni con me a Venezia? #venezia #viaggi #veneziainduegiorni #traduttriceerrante #travelblogger #venice
Visto l’arrivo della bella stagione, perché non farci due passi a Venezia? Nel mio precedente articolo, Con me fino a San Marco, ti accompagnavo passo per passo dalla stazione di Santa Lucia fino alla famosa piazza. Oggi invece voglio consigliarti un viaggetto di un paio di giorni nella città lagunare. Piazza San Marco by night, Venezia O meglio, ti racconto cos’ho fatto io lo scorso anno a…
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primepaginequotidiani · 22 days ago
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PRIMA PAGINA La Nuova Di Venezia E Mestre di Oggi venerdì, 20 dicembre 2024
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aitan · 10 months ago
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CHARLES MINGUS E ORSON WELLES
CAPODANNO AL FIVE SPOT
Capodanno 1959, seduto in prima fila, proprio sotto il contrabbasso di Mingus c’era Orson Welles, quasi un alter ego del jazzista, per genialità, esuberanza, fierezza, complessità. E anche per le tante disavventure artistiche. Per Mingus era un idolo, lo seguiva dai tempi radiofonici di The war of worlds, adorava Quarto potere (dove in una scena c'era il suo amico d'infanzia Buddy Collette che suonava il sax in una festa sulla spiaggia), ammirava il suo modo di vestire, il suo impegno politico (sempre in prima linea per la difesa dei diritti civili, il suo Macbeth tutto nero è del 1936), la sua voce (“mi ricorda Coleman Hawkins. Potevi sentirla a un miglio di distanza”). E non era il solo jazzista a essere stato sedotto dalla voce radiofonica di Orson Welles, anche Miles Davis lo citava come un’influenza sul suo modo di suonare: “Fraseggio, tono, intonazione: tutte queste cose possono avere come modello un maestro della parola”.
Il 1959 sarà un anno d’oro del jazz per quantità, qualità, creatività. Al Five spot, piccolo, fumoso, maleodorante locale di Bowery, scelto come luogo di riferimento da artisti e intellettuali, l'anno comincia con un formidabile double bill: sono di scena, uno dopo l’altro, Sonny Rollins, alla testa di un trio con il bassista Henry Grimes e con il batterista Pete La Rocca, e Charles Mingus con il pianista Horace Parlan, il batterista Roy Haynes (che sostituisce il fedelissimo Dannie Richmond arrestato) e i sassofonisti Booker Ervin e John Handy. È la prima sera dell’anno, ma nel club di Bowery dei fratelli Joe e Iggy Termini è anche l’ultimo impegno di quel prestigioso, favoloso cartellone con Mingus molto irrequieto per tutta la scrittura. Aveva appena registrato la musica per il film di John Cassavetes Shadows, una colonna sonora bocciata nel rimontaggio finale (la stessa cosa sarebbe successa anni dopo con Todo modo di Petri), aveva ripreso i suoi musicisti brutalmente e una volta aveva minacciato violentemente i clienti di un tavolo che, durante il suo set, non smettevano di parlare. Oltretutto ogni sera tendeva ad allargare il suo set e Sonny si inferociva, talvolta rifiutandosi di suonare. Ma era un gran clima, entusiasmante e effervescente. Rollins era in un momento di transizione, alla vigilia di un ritiro clamoroso per rinnovare il linguaggio del suo sax tenore con il leggendario e solitario corso di aggiornamento stilistico sul ponte di Williamsburg: «In un posto tranquillissimo, un angolo morto che oggi sarebbe impossibile ritrovare con il traffico che c’è» il suo racconto, dove poteva esercitarsi liberamente.
Anche Welles, come Mingus, era reduce da una delusione cinematografica: la Universal gli aveva tolto di mano la post-produzione del nuovo film, L’infernale Quinlan, ne aveva tagliato una ventina di minuti e aveva fatto girare nuove scene, modificando il primo montaggio. Più o meno nello stesso periodo era finito in soffitta un documentario intitolato Viva Italia (Portrait of Gina) perché Gina Lollobrigida aveva messo un veto, non gradendo il suo ritratto di giovane attrice ambiziosa e la Abc tv lo aveva bocciato ritenendolo cosi poco ortodosso da non poter essere trasmesso. Era un film di mezz’ora scarsa sull’Italia, paese che Orson ha frequentato per 20 anni (la terza moglie è stata l’attrice italiana, Paola Mori). Dopo un lungo oblio (Orson aveva perduto l'unica copia esistente all'Hotel Ritz di Parigi) è stato riscoperto nel 1986, proiettato al festival di Venezia ma poi di nuovo bandito su intervento della Lollobrigida.
La presenza del regista di Quarto potere al Five spot non era casuale
Nel club di Bowery si poteva incontrare chiunque, da Jack Kerouac che leggeva le sue poesie, alla mitica baronessa Pannonica de Koenigswater scesa dalla sua Rolls Royce, a William de Kooning che voleva respirare la libertà del jazz, a Leonard Bernstein che si divertiva a curiosare nella notte, allo scrittore Norman Mailer con la sua passione per quella musica. Ma la musica da sempre è stata una grande passione di Welles. La mamma pianista gli aveva fatto prendere lezioni di piano e violino e Orson aveva anche mostrato un certo talento, tanto da essere considerato un ragazzo prodigio. In gioventù era stato un grande sostenitore del jazz di New Orleans, ma sicuramente ammirava Charles Mingus per la sua musica e la sua personalità, il suo impegno, il suo agire tellurico.
(Marco Molendini)
Non potevo non condividerlo.
Due miei ingombranti miti nella stessa foto, nello stesso locale, nello stesso articolo.
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abr · 1 year ago
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Una "evasione" di qualche euro ogni dodici mesi. In realtà li avrà persi, capirai. Ma o' Sthato nun ammecce sprecisione ... a Venexia e in generale in quell'area okkupata dove vige l' "accanimento terapeutico" diciamo, contro popolazioni reprobe refrattarie ai mantra collettivisti. Lì vige applicazione scolastica, feroce spietata del: "se funziona tassalo, se continua a respirare sanzionalo. se rantola moribondo, sussidialo".
Puoi girare col machete e ammazzar passanti o tagliare una ragazzina a fette dopo averla drogata e stuprata; puoi anche scippare vecchiette di professione: avrai molti a discettar cavillose difese d'ufficio se hai le tonalità di pelle "giuste" e generi la cosa "giusta" cioè DEGRADO; ma lo shporco evassore no, nessuna comprensione, é solo la punta dell'aisberg, è il faruest, colpiscine uno per educarne cento: applaudiamo tutti convinti, se l'è cercata.
Non è benaltrismo il mio, attenzione: è constatare che il MONDO AL CONTRARIO esiste davvero tra medioman woke dal neurone depresso. E' ora di ricoverarli e farli pure ululare ma al chiuso, ben legati per evitare si facciano del male.
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u-more · 1 year ago
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Dalla Mostra del Cinema di Venezia, Pierfrancesco Favino lancia un appello affinché i personaggi italiani nei film vengano interpretati da attori italiani. «Se un cubano non può fare un messicano, perché un americano può fare un italiano? Solo da noi. Ferrari in altre epoche lo avrebbe fatto Gassman, oggi invece lo fa Driver e nessuno dice nulla. Mi sembra un atteggiamento di disprezzo nei confronti del sistema italiano, se le leggi comuni sono queste allora partecipiamo anche noi».
E dunque un regista americano non può girare un film su Enzo Ferrari, oltretutto usando un attore americano. Perciò immagino che per lo stesso motivo dovremmo boicottare tutti i film di Sergio Leone. E cancellare tutti i film di Anthony Quinn (visto che ha interpretato personaggi di tutte le nazionalità). Allo stesso modo bisognerebbe smettere di leggere Shakespeare, dal momento che ha ambientato storie in Italia e Danimarca. E gettare via Gauguin. E Picasso.
FILM ITALIANO TIPO •BUDGET: Zero (finanziato da Stato e regione) •CAST: Favino più altri 4 paraculati con dizione demmerda che parlano sottovoce •SCENEGGIATURA: 40-50enni in crisi di mezza età che si ritrovano da qualche parte, con battute in romanesco •VARIANTI: la lingua è il dialetto napoletano
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sortilegio · 2 years ago
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A Isabelle
Riesco a immaginarti fare qualsiasi cosa, ad ogni tua età, perchè so esattamente com'eri. Varcare i controlli con un cappotto scuro, sotto un altro nome, gli occhiali da sole ben posizionati sul tuo nasino, farmi mille domande, spazientirti, essere cortese, chiamarmi per nome e poterti sentire pronunciarlo, essere schiva, intimare ai tuoi figli di piantarla perchè stai parlando con me. Saresti distante, certo non sei celebre per il tuo calore, la tua è un'altezzosa diffidenza. Hai parlato di freddezza: “ça me dit quelque chose”, dicevi.
Ancora, in un secondo scenario, immagino di farti da ombra, vederti tirare fuori una penna rossa dalla borsetta, scrivere il nome di un bambino, di guardarti e trovarti bella. "T'as un instant? S'il te plait.. Désolée eh, si je t'ai dérangée, c'est la première fois que je le fais". Saresti inarrivabile. 
Tu sei inarrivabile. Il destino di queste parole ne è la conferma. Ho scritto a tante donne, ho scritto a Bologna, a Venezia, a Parigi. Ma il vicolo cieco alla fine del quale sono inciampata questa volta non ha eguali. Sarebbe forse più facile incontrarti per strada e recitarti una poesia d’amore, chissà se ne esiste una che fa al caso nostro. Poi credo che mi squadreresti dall’alto del tuo metro e sessanta per poi girare i tacchi (con cui chissà se arrivi al metro e sessantatré) e andartene. Mi piace pensare che tutto ciò accadrebbe in Rue de Vaugirard, altezza quella che sappiamo noi.
Ci rimarrei poi un po’ male. Penserei che dovresti fare meno la preziosa, soprattutto dopo che ti sei fatta vedere nuda da me. Ti ho vista nuda ancora prima di vederti passeggiare per Rue de Vaugirard. Ancora prima di offrirti questi miei fiori bianchi. Stendili sul tuo corpo, che ora mi sottrai, quando avrò girato l’angolo, se vorrai. Fallo come lo faresti davanti a una telecamera vuota, riflessa nel grande occhio nero di nessuno. Spalma i petali su di te, rovesciali sui tuoi seni, tragicamente, come vivessi l’ardore di Fedra, il suo delirio. Vedi quello che vedo io? Recitalo! Recitaci! Di più! Voglio metterti in scena. Passa le dita sul collo, chiudi gli occhi, la tua bocca ciliegia un po’ più aperta, così..
Questa pretesa di dirigerti sfiora il ridicolo, specialmente se è vero che nessuno osa più farlo. Pensarmi la tua regista mi fa dimenticare di chi sei, della tua freddezza, della gente che cammina svelta in Rue de Vaugirard. Vorrei che fossi la mia attrice, perchè anche tu possa finalmente dimenticarti di me.
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gcorvetti · 1 year ago
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Performance.
Ieri finalmente c'è stata la performance di Andres Roots prima e poi Ahmed Ag Kaedy dal Mali. Andres ha suonato come al solito i suoi brani di slide blues come al solito impeccabile con la sua vena ironica e la sua precisione, mentre Ahmed ha portato una nuova sonorità, non tanto a livello effettistico e quindi di sound, ma proprio di identità musicale di un posto lontano dal gusto di passato. Quello che ha suonato lui è una sorta di blues ancestrale, il Mali è uno dei paesi che ha subito deportazione da parte degli yankee per le piantagioni, chiamasi schiavitù come sappiamo tutti, in uno dei docu film prodotti da Scorsese sul blues si va appunto in Mali a scoprire le origini di quei canti che qualche decennio dopo venivano intonati in inglese dai braccianti riportando a galla quella cultura africana così intensa e mai dimenticata tramandata oralmente nonostante la situazione avversa. Ieri lui ci ha regalato quello spicchio di tradizione che è ancora viva e che ha ancora molto da dire nonostante gli anni, peccato che era da solo e non con tutta la band, capisco che girare in 5 costa di più, va bè ci sta, mi sono congratulato con lui col mio francese super arrugginito e quando l'ha capito si è messo a parlare in inglese, che a quanto ho capito non sa benissimo, ma ci sta, è stato contento secondo me che qualcuno gli abbia fatto i complimenti nella lingua che parla. L'unica nota dolente, c'è sempre qualcosa che non va così è la vita, è che ho comprato i biglietti online al costo di 15€ + 1,20€ di commissione del sito, la mia compagna ha sentito che il biglietto costava 15€, cioè a saperlo lo prendevo al botteghino, alla fine agli organizzatori vanno comunque 15€, cosa cambiava dire venite prima per il biglietto, oppure dare un orario di apertura del posto in modo da fare botteghino nei giorni precedenti al concerto, sta gente non ha idea di come si organizza un evento, il posto poi si chiama club della cultura ma poca però :D.
Cosa diversa è accaduta invece in Puglia, che ci azzecca direte, ho letto sta notizia
Cioè sto qua si è infastidito perché a 10 minuti dalla fine, per ordinanza comunale, ha ben pensato di tirare una secchiata al duo sottostante, secondo me a molte persone non piace la musica, certo dipende cosa stavano suonando, ma a me è capitato di avere sotto casa a Venezia il concertino del chitarrista che cantava boiate fino all'una di notte quando è arrivato il vecchietto della casa di fronte e gli ha detto in venexiano di smettere che voleva dormire se no chiamava la polizia, fine dei giochi; potevo io tirare una secchiata al tizio quando fece Il tempo di morire di Battisti tutta sbagliata, per esempio, ma ricordo che quella sera mi vidi un film sul pc e mi addormentai sul divano. Ma il signore pugliese no, lui tira l'acqua.
A voi i video dei ragazzi, si fa per dire.
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micro961 · 4 months ago
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Matteo Bonechi: “Se mi versi un Campari”
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Il nuovo singolo del cantautore toscano estratto dall’ album di prossima uscita, dal titolo “L’estate spietata”
Il giocatore alla slot sembra ipnotizzato dal girare rapido dei rulli davanti agli occhi. In realtà, forse sta solo sognando un tango sul far dell’aperitivo, una spiaggia carioca insieme alla barista sbadata. Quella che oggi è una macchina mangiasoldi, domani potrebbe essere il computer dell’ufficio, il registratore di cassa, il pettine di un telaio. La necessaria monotonia capace di risvegliare l’immaginazione dal torpore invernale.
«Il brano è nato dal desiderio di trasformare quel rapporto scialbo, quasi burocratico che si instaura con chi serve da bere al bancone del bar, in una visione, un sogno, uno scarto di lato dell’immaginazione. Lo spazio fra l’ordine e il primo sorso diventa una finestra sulla baia brasiliana di Guanabara, una fuga dagli ingranaggi della provincia.» Matteo Bonechi
Anche questo brano fa parte del nuovo disco di Matteo Bonechi dal titolo “L’estate spietata”, nato durante un periodo di ferie estive, quando i pomeriggi si dilatano a dismisura. A differenza dei due lavori precedenti, in cui la pre produzione ha avuto un ruolo centrale, in questo album l’obiettivo è quello di riportare le tracce su un binario acustico e completamente analogico.
La struttura dei brani è stata registrata in presa diretta in soli tre giorni di studio (basso, pianoforte, batteria e chitarra) cercando un’atmosfera dalle dinamiche più vicine possibile ad una live session, senza troppe sovrastrutture di produzione. Il disco è stato registrato allo Studio Volta Recordings da Simone Fedi ed uscirà a fine settembre.
Matteo Bonechi nasce a Prato negli anni ottanta. Dal 2008 collabora come attore-musicista con la compagnia teatrale Metropopolare contribuendo con la produzione di canzoni originali ad un adattamento della favola Rosaspina, spettacolo per bambini che conta decine di repliche in Italia. Nel 2012 incontra Andrea Franchi, batterista di Paolo Benvegnù, a cui affida la produzione artistica del suo primo disco “Sono solo tre ore che aspetto” uscito nei primi mesi del 2015. Nel 2018 interpreta “Il nostro concerto” di Umberto Bindi per il corto “Come la prima volta” di Emanuela Mascherini (festival del cinema di Venezia, Nastri d’argento). Nel 2019 è il turno di “181” un concept album su piazza Mercatale in Prato, sempre prodotto da Andrea Franchi, con la partecipazione di Riccardo Goretti, Donald Renda (Annalisa, Tananai, Vasco Rossi), Danilo Scuccimarra (Bluebeaters) e Jordi Roldan. Il 5 luglio 2024 esce il suo nuovo singolo “L’assedio”, il 6 settembre “Se mi versi un Campari”, entrambi anticipazioni del nuovo album in uscita a fine settembre.
CONTATTI E SOCIAL
https://www.instagram.com/matteo.bonechi/
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aigiornileggeri · 4 months ago
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Roberto94sblog a cui hai lasciato dei like ruba le foto da internet, cerca su Google Simone Oberti. Non è di Venezia e non si chiama nemmeno Roberto. Qui si scagliano tutti contro le donne, perché fa comodo ed è divertente accusare una ragazza che non ci è stata, ma su Tumblr nascondo un sacco di blog fake di uomini che cercano di ottenere qualcosa, spesso foto, per poi sputtanarti o farle girare. Stai attenta!
Grazie dell’info, credo sia utile un po’ a tutt*!
Premesso questo, ci tengo a dire due parole: lasciare o mettere like a qualcuno non è una dichiarazione d’amore.
Tralasciando il momento storico che sto vivendo io in cui non mi faccio avvicinare nemmeno dai pesci al mare, se una persona vi lascia un like non è una proposta di matrimonio. Mi spiace che questo posto stia diventando più un app di incontri a mo��� di tinder che quello per cui era davvero nato: svuotare la mente dai pensieri e farli diventare parole. Poi, ripeto, per il sesso occasionale, per le nuove conoscenze a scopo sessuale c’è sempre tinder, grinder e così via.
Super gentile!
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carmenvicinanza · 6 months ago
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Sabina Guzzanti
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Dopo tanti anni di satira politica mi sono accorta che ero sempre più turbata dalle aspettative del pubblico, è come se mi chiedessero “dicci cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo pensare”. La satira non deve dare risposte, ognuno deve ragionare il più possibile in modo indipendente. 
Sabina Guzzanti, importante protagonista del mondo culturale italiano sin dagli anni Novanta, è l’attrice, imitatrice, regista, scrittrice, autrice e conduttrice televisiva nota al grande pubblico per la sua satira pungente, acuta e intelligente.
Personaggio scomodo della televisione italiana, i suoi contenuti dissacranti le hanno portato, negli anni, censure, querele e processi. In più occasioni i suoi programmi sono stati cancellati dopo la messa in onda.
Nata a Roma il 25 luglio 1963, è la prima figlia di Paolo Guzzanti e Germana Antonucci e la sorella maggiore di Corrado e Caterina Guzzanti.
Dopo la maturità classica si è diplomata all’Accademia nazionale d’arte drammatica.
Ha esordito in tv nel 1987 con il programma Proffimamente non stop su Rai 1.
La notorietà è arrivata negli anni novanta con La TV delle ragazze e altri programmi di satira presentati da Serena Dandini come Scusate l’interruzione, Tunnel e Avanzi, nei quali ha proposto memorabili imitazioni di personaggi come Moana Pozzi, Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi.
A cui hanno fatto seguito altri fortunati programmi come Pippo Chennedy Show, La Posta del Cuore e L’ottavo nano.
Nel 2003 per la trasmissione Raiot – Armi di distrazione di massa, dopo la prima puntata, è stata querelata da Mediaset per «gravissime menzogne e insinuazioni», subito sospesa dalla RAI, è stata poi chiusa perché le condizioni per continuare la messa in onda erano che bisognava consegnare la registrazione con sette giorni di anticipo per permettere i controlli legali.
Sebbene la querela fosse stata poi archiviata dalla magistratura, in quanto i fatti raccontati erano veri, da quel momento ha vissuto una sorta di ostracismo e poi di allontanamento volontario dalla televisione, dedicandosi maggiormente al cinema, al teatro e ad altri mezzi di comunicazione.
Nel 2012 è tornata in televisione con un suo programma dal titolo Un due tre stella seguito, quattro anni dopo, dal TGPorco, rubrica satirica già apparsa sul web e finanziata con un crowdfunding, anche questa chiusa dopo poche puntate.
Protagonista di diversi film, nel 2002 ha diretto il suo primo lungometraggio dal titolo Bimba – È clonata una stella.
Nel 2005 ha prodotto, scritto e diretto il film-documentario per la libertà d’informazione dal titolo Viva Zapatero!, presentato in anteprima al Festival di Venezia, accolto dal pubblico in sala con 12 minuti di applausi. Presentato anche al Tribeca Film Festival, al Sundance Film Festival e al Festival del cinema di San Sebastián, ha vinto il Nastro D’Argento come miglior documentario.
Nel 2007, sempre a Venezia, ha presentato Le ragioni dell’aragosta.
Tre anni dopo, ha scritto, prodotto e diretto Draquila – L’Italia che trema, presentato Fuori Concorso al Festival di Cannes.
La trattativa, presentato al festival della laguna nel 2014 e proiettato in Parlamento, tratta la negoziazione tra lo Stato italiano e Cosa nostra avvenuta nei primi anni novanta.
Sabrina Guzzanti ha fatto sentire la sua voce in molte vicende politiche, ha sostenuto la raccolta di firme per la legge d’iniziativa popolare per garantire il pluralismo dell’informazione, è stata un’accanita oppositrice dei vari governi Berlusconi e ha polemizzato anche sul ruolo della Chiesa in Italia.
Da sempre in prima linea nel mettere sotto accusa il potere e la classe dirigente nazionale, ha sostenuto, negli anni, diversi schieramenti politici ed è riuscita a collezionare una lunga lista di nemici e nemiche, denunce e querele.
Continua a girare l’Italia coi suoi spettacoli teatrali che dissacrano i personaggi della politica e dello spettacolo, imitati con bravura e perfidia.
Ha scritto diversi libri, tra cui si ricordano Mi consenta una riflessione (anche se non è il mio ramo), Il diario di Sabna Guzz, 2119. La disfatta dei Sapiens e ANonniMus. Vecchi rivoluzionari contro giovani robot.
Può piacere o non piacere per i suoi modi esagerati, le battute pesanti, spinte fino al parossismo e all’offesa personale, per la sua satira pungente e cattiva, ma resta, comunque, una grande protagonista della scena culturale italiana e una personalità con cui, negli anni, tutte le persone che detenevano il potere, hanno dovuto fare i conti.
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londranotizie24 · 1 year ago
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Omaggio a Umberto Eco, CinemaItaliaUk proietta il documentario La biblioteca del mondo
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Di Redazione In24 @ItalyinLDN @ICCIUK @ItalyinUk @inigoinLND CinemaItaliaUk rende omaggio a Umberto Eco, il 12 novembre al Garden Cinema di Londra, con la proiezione del film La biblioteca del mondo di Davide Ferrario. Omaggio a Umberto Eco, CinemaItaliaUk proietta il documentario La biblioteca del mond Un nuovo omaggio ad un grande esponente della cultura italiana, Umberto Eco, viene reso da CinemaItaliaUk, che per il prossimo 12 novembre alle 1730 ha organizzato presso il Garden Cinema di Londra la proiezione di "Umberto Eco: Una biblioteca del mondo, film di Davide Ferrario del 2022. La presentazione del documentario è in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura e il Warburg Institute. Quella a cui fa riferimento il documentario è la biblioteca privata di Umberto Eco, una grandissima collezione di più di 30 mila libri contemporanei e 1.500 libri antichi e rari. Dopo la sua morte, la famiglia ha concesso l’accesso alla biblioteca al regista Davide Ferrario, che aveva collaborato con Eco nel 2015, un anno prima della morte dello scrittore, per una videoinstallazione alla Biennale d’Arte di Venezia. L’accorato film di Davide Ferrario non si limita a descrivere questo luogo straordinario, ma spiega anche l’idea e il sentimento di Eco della biblioteca come “memoria del mondo”. “Nel film, uno dei suoi collaboratori storici dice a un certo punto di ‘aver avuto nella vita una fortuna: conoscere Umberto Eco’ Posso dire lo stesso, quando realizzai nel 2015 una videoinstallazione per la Biennale d’Arte di Venezia con lui protagonista. – dichiara il regista Davide Ferrario – Fu allora che vidi per la prima volta la sua biblioteca e gli chiesi subito di girare una scena con lui che camminava in mezzo ai libri, la stessa che apre adesso il film. Furono anche le immagini utilizzate dalle tv di tutto il mondo quando, purtroppo, Eco morì un anno dopo. In qualche modo, coglievano il senso di una vita. Da quelle e dal fatto che, contrariamente al suo collaboratore, l’incontro non si era potuto trasformare in una vera frequentazione, nasce questo film, costruito giorno per giorno insieme alla famiglia. Se, per Eco, la biblioteca era una metafora del mondo, la sua personale non era una semplice collezione di libri, ma la chiave per capire le sue idee e la sua ispirazione. E anche il luogo in cui, anche dopo la morte, il suo spirito vive intatto”. ... Continua a leggere su www.
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giancarlonicoli · 1 year ago
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9 ott 2023 16:00
AL MAGO SILVAN PIACE TOCCARE...IL MAZZO - L’ILLUSIONISTA 86ENNE, AL SECOLO ALDO SAVOLDELLO, RACCONTA DI QUANDO LA MAESTRA LO BECCÒ “TRAFFICARE” CON LE MANI SOTTO AL BANCO: "MI DISSE: ‘SI VERGOGNI, QUESTE COSE NON SI FANNO!’. PENSAVA CHE MI STESSI MASTURBANDO, INVECE MI ALLENAVO CON UN MAZZO DI CARTE'" - "L’INTERPOL MI HA VIETATO DI METTERE PIEDE NEI CASINÒ, SE LO FACCIO MI ARRESTANO. LA MIA ARTE È LA MANIPOLAZIONE, LO SANNO IN TUTTO IL MONDO E IO LI CAPISCO, MA..." -
Estratto dell’articolo di Maurizio Crosetti per “La Repubblica”
Signor Silvan, come sta? Va bene se la chiamiamo mago?
"Sono in gran forma, faccio un sacco di cose, spettacoli nei teatri, viaggi, incontri, penso sempre a nuovi effetti magici da portare in scena, qualcosa di inedito e magari di molto antico, però mai visto”.
Che energia, alla sua età!
"Il mago non ha età, è senza tempo. È un classico. Come Proust. Come Hemingway”.
Mago va bene, allora?
“Direi che è perfetto. Ma anche illusionista, anzi illuso: perché ancora credo di creare la vera magia, e che la mia voce fluisca per incantare. Mi illudo, o per meglio dire so, di essere davvero un mago e non di recitare la parte. Ho cominciato a sette anni e non smetterò mai”.
Una vocazione precocissima. Ce la racconta?
“In quinta elementare, a Venezia, il maestro Salvagno mi vide trafficare con le mani nelle tasche, mi chiamò alla cattedra, mi fece andare dietro la lavagna e mi disse: “Savoldello, (perché il mio vero nome è Aldo Savoldello), venga qui, si vergogni, queste cose non si fanno!”. Pensava che mi stessi masturbando, invece mi allenavo con un mazzo di carte”.
Si allena ancora?
“Certo! Almeno due ore ogni sera. Metto un film, prendo il mazzo da 140 carte e comincio a farle girare a ventaglio con una mano sola. A volte appendo piccoli pesi alle dita, quelli delle bilance di una volta. Ho le mani di un ventenne. Mai usato creme, solo i guanti, mai afferrato un coltello, devo stare attento. Una volta, queste mani le assicurai per mezzo miliardo, c’era ancora la lira”.
Silvan, ma cos’è la magia?
“Una cosa tutta mentale. È fascino, irrazionalità. La magia è destrezza, è psicologia, è arte, gesto, è molto più di ciò che sembra. Allude, parla d’altro. La magia esiste solo nella mente di chi guarda, e ti accredita poteri che naturalmente non possiedi.
Però tu hai il talento delle mani, degli occhi e della voce. Se io le dico “stia attento, a questo punto si compie la vera magia” (il mago lo dice proprio con la sua inconfondibile, ammaliante e vellutata voce, n.d.r), la vera magia è già cominciata. Ma è dentro di lei, non tra le mie dita”. […]
La magia è fantasia?
“Crea mondi paralleli, come la lettura. Ma sono proiezioni di quello che già siamo. Il libro è già dentro di noi mentre lo leggiamo, un bravo scrittore aiuta soltanto a tirarlo fuori, a vederlo bene”.
Perché, invece, noi non la vediamo quasi più in televisione?
Me lo domando anch’io. Non c’è spazio, ma non ho mai bussato a nessuna porta in vita mia. Eppure la mia ospitata in Rai a Capodanno ha fatto 5 milioni di ascolti, e lo stesso a Pasqua, quando sono stato il picco di spettatori a Domenica In. Il mio numero di telefono ce l’hanno, sanno che esisto e che vado ancora in scena. Se mi chiamano e mi dicono ‘Silvan, facciamo Sim Sala Bim numero ventiquattro?’, io rispondo presente. E sono sicuro che avrei successo, perché ce l’ho da quasi settant’anni”.
Da quella sera in tivù con Enzo Tortora…
“Esatto! Era il 1956, il programma si chiamava “Primo applauso”, lo presentavano Tortora e Silvana Pampanini. A quell’epoca mi chiamavo “Mago Saghibù”. La signora Pampanini mi disse ‘ragazzo, ti serve un altro nome d’arte, usa il mio, togli solo la a’. E così Silvana diventò Silvan. Funzionò, non crede?”
Eccome. E il magico “Sim Sala Bim” come nacque?
“Veramente, all’inizio la mia formula era “tactàc-serumba-yamaclèr”. La cambiai prendendo spunto dal ritornello di una canzoncina danese degli anni Quaranta, anche questa è andata bene”.
Lei saprà di essere un simbolo, una specie di creatura mitica, e non solo magica, per milioni di persone.
“Lo so, non sono un bugiardo. Me lo dimostrano in tanti, continuamente. Perché la magia è una cosa seria, mica un giochetto. Ho anche la fortuna di non essere troppo cambiato, viso e capelli sono rimasti più o meno gli stessi, scuri al naturale come quelli della mia bisnonna Luigia, che morì felice a 108 anni, mentre mio padre superò i novanta: confido nella genetica. Mai fatto diete in vita mia, sempre e solo lavorato.
Ho avuto due figli splendidi, nipoti magnifici e una moglie meravigliosa, Irene, che purtroppo non c’è più: era inglese. Suo padre, ingegnere, costruì il passaggio segreto di Buckingham Palace”.
Lei gioca a carte?
“Mai. Tra l’altro, l’Interpol mi ha vietato di mettere piede nei casinò, se lo faccio mi arrestano. La mia arte è la manipolazione, lo sanno in tutto il mondo e io li capisco, ma ovviamente non l’ho mai usata per cose men che lecite, ci mancherebbe. Poi, non posso farci nulla se le mani si muovono quasi da sole”. […]
Silvan, forse lei è destinato all’immortalità.
“Per intanto mi godo il grande affetto del pubblico. A volte, quando porto i miei nipoti al cinema oppure al circo, per potermi dedicare per bene a loro sono costretto a travestirmi. Mi metto un cappello, oppure i baffi finti, così nessuno mi riconosce”.
L’ultimo trucco del mago?
“Non ci sarà mai un ultimo trucco. Le auguro una giornata magica”.
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abr · 2 years ago
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In Veneto il Capodanno era celebrato il 1° marzo. Questa tradizione aveva antiche origini: festeggiare il Capodanno ai segnali di fine dell'inverno e di ripresa dei lavori agricoli era consuetudine dei popoli indoeuropei.
I festeggiamenti prendevano il nome di "Bati Marso". La festa prevedeva di girare per le strade e le piazze, battendo pentole, coperchi e altri strumenti rumorosi per far scappare l'inverno e propiziarsi la primavera.
Con l'entrata in vigore del calendario gregoriano nel 1582, gli Stati europei adottarono nuove modalità di datazione. La Repubblica di Venezia, tuttavia, decise di mantenere il Capodanno il 1° marzo: nei territori della Serenissima, gennaio e febbraio erano l'undicesimo e il dodicesimo mese dell'anno, non il primo e il secondo. Si diceva datazione "more veneto". La Serenissima mantenne questa pratica di datazione fino alla sua caduta nel 1797.
adattato da https://www.veronasera.it/social/perche-il-1-marzo-e-capodanno-dei-veneti.html
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Crollo della diga di Kakhovka, le telecamere del Tg1 a Kherson: “È una Venezia tragica”
Un uomo racconta: “Ho avuto paura di morire. Mi sono alzato alle quattro di notte e l’acqua mi era già arrivata alle ginocchia”. È soltanto uno dei molti residenti locali costretti a lasciare la propria casa. Basta girare la telecamera e inquadrare la signora ai piani alti che dalla finestra assiste alle evacuazioni. Non ha alcuna intenzione di andare via. L’inviata in Ucraina per il Tg1 Stefania…
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Casinò: quali sono i giochi più divertenti e amati dai giocatori?
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L’offerta di giochi nei vari casinò italiani ed esteri è particolarmente ampia e chiunque può trovare un gioco che riesca veramente a divertirlo (sempre che si giochi in modo responsabile, una condizione imprescindibile per il vero divertimento ai tavoli da gioco).  Alcuni dei giochi proposti sono delle varianti di giochi classici che hanno una lunga tradizione alle spalle; il poker, per esempio, ha molte varianti; fra quelle più apprezzate nel nostro Paese si possono per esempio ricordare il Texas Hold’em, la Telesina, il poker all’italiana, l’Omaha e il 5 Cart Stud.  I giochi da casino più amati dai giocatori italiani Nel territorio della penisola italiana sono 5 i casinò in cui è possibile tentare la fortuna; quattro si trovano in territorio italiano (a Venezia, a Sanremo, a Campione d’Italia e a Saint-Vincent), mentre il quinto si trova nella Repubblica di San Marino (confinante con le Marche e con l’Emilia Romagna). Vediamo quindi quali sono i giochi che gli italiani prediligono.  Abbiamo già detto del poker, uno dei giochi da casinò più celebri in assoluto; fra le diverse varianti citate, quella più amata è senza ombra di dubbio il Texas Hold’em; al tavolo da gioco possono sedere dai due ai dieci giocatori; il dealer dà due carte coperte a ognuno di loro; sul tavolo vengono poi messe altre cinque carte; il fine del gioco è quello di riuscire a ottenere la mano più alta usando 5 carte in totale fra le due già in possesso dal giocatore e le cinque carte comuni dal banco.  Apprezzatissimo dai giocatori è anche il gioco del Black Jack (spesso detto anche Ventuno) forse anche perché è uno dei giochi in cui, rispetto ad altri, il banco ha minori probabilità di vittoria; si deve però ricordare che, comunque, il banco ha sempre un certo margine di vantaggio sui giocatori. Il meccanismo è abbastanza semplice: vince il giocatore che realizza un punteggio più elevato di quello del banco, a patto che non sia superiore a 21. È un gioco che ha antiche origini; la denominazione black jack (fante nero) risale al 1931 quando negli Stati Uniti d’America (in Nevada per la precisione) fu introdotta una variante: se il giocatore realizzava un punteggio di 21 con un asso e un jack di picche, veniva pagato con un bonus che era dieci volte la posta in gioco. Il bonus oggi non esiste più, ma il nome è rimasto.  Dobbiamo poi citare il baccarat; anche di questo gioco, come nel caso del poker, sono nate con il passare del tempo molte varianti; una di quelle più famose è nota come Punto Banco; il gioco vede in campo due protagonisti: banco e giocatore; è prevista però la possibilità di intervento di altri giocatori (fino a 14) che partecipano puntando sulla vittoria o sulla sconfitta del giocatore; è possibile puntare anche sul pareggio. Il gioco prevede l’impiego di 6 mazzi di carte.  Molto apprezzata è poi la Fair Roulette; questo avvincente gioco è noto anche come Roulette Americana ed è praticato in tutti i casinò del mondo; questo in sintesi lo svolgimento: com’è noto la ruota numerata ha 37 caselle che sono divise in settori numerati da 0 a 36; i settori sono colorati alternativamente di rosso e nero (con l’eccezione del numero 0 che è colorato di verde); in base alle caselle esiste la possibilità di ottenere differenti combinazioni. Quando il cilindro ruota su sé stesso, il dealer fa girare la pallina nella ruota nel senso opposto a quello della rotazione. Il numero in cui si troverà la pallina una volta che la ruota è ferma è quello vincente.  Read the full article
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pavel-strelnikov · 2 years ago
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Norwegian Wood
Allora, supponete di voler fare un film: comprate i diritti di un libro di Murakami che è tra i più letti, tradotti e acclamati in tutti i paesi negli ultimi anni. Prendete il regista che con gli ultimi due film girati ha vinto Cannes, Venezia e ha fatto la cinquina degli Oscar, il “figlio spirituale” di Bergman e Ozu. Gli prendete i 3 più bravi attori giovani giapponesi (le parti principali sono per 3 ventenni). Gli aggiungete il chitarrista dei Radiohead per la colonna sonora. Budget larghissimo, conseguenza di quanto appena elencato sommato al fatto che girare film in Giappone è costoso.
Mescolate e avrete il capolavoro del decennio e invece ... (che piaccia o no a me non conta, io sono un dilettante) il film non raccoglie nulla nei concorsi e incassa poco, probabilmente non andando alla pari con i costi.
Perchè? Non ne ho idea.
La mettiamo sul personale? Perchè ognuno di noi ha fallito quella volta che era così entusiasta e preparato, ed è inciampato nella fortuna quell’altra volta che non stava meritando niente?
Tema complesso, e forse non posto nei termini giusti.
Per cui vi invito, invece di darmi retta, a vedere questa clip: She brings the rain, pezzone dei Can, nella colonna sonora del film.
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