#giorgio forattini
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drrestlesshate · 2 years ago
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giancarlonicoli · 1 year ago
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22 nov 2023 16:00
“IN CASA LO CHIAMO ISTERIX” - ILARIA CERRINA FERONI RACCONTA LA SUA STORIA QUARANTENNALE (E LE LITI EPICHE) CON GIORGIO FORATTINI: "LE SUE VIGNETTE NON SONO PIACIUTE A D’ALEMA, A CRAXI, A CASELLI. COME LA PRENDEVA? LUI BENE, ERO IO A RIMANERCI MALE. DI GIORGIO HO SENTITO TANTE COSE INGIUSTE: UNA È CHE ERA VENALE, QUANDO SO PER CERTO DI TANTI SOLDI CHE HA PRESTATO. GLI DAVANO DEL FASCISTA, SOLO PERCHÉ NON ERA COMUNISTA” – IL FASCINO DI BERLUSCONI (“ERAVAMO A VENEZIA E SI OFFRÌ DI RIPORTARCI A MILANO IN ELICOTTERO, MA RIFIUTAI”) – “DOMANI DONIAMO IL SUO ARCHIVIO ALLA TRIENNALE DI MILANO” -
Elvira Serra per il “Corriere della Sera” - Estratti
Giorgio Forattini e Ilaria Cerrina Feroni stanno insieme da quarant’anni e sono sposati da 26. Da sette vivono una nuova fase dell’amore, quella della dolcezza incondizionata, della purezza dei sentimenti: nel 2016, durante un intervento chirurgico, l’anestesia ha restituito lo storico vignettista di Repubblica , della Stampa e del Giornale a una innocenza tenera e spiritosa; i ricordi hanno lasciato il posto a una quotidianità semplice.
I nuovi riti sono il bacio sulla mano di Ilaria prima di mettersi a dormire, i «rintocchi» che le fa per accertarsi che ci sia sempre, «mi vuoi bene?» appesi a una risposta affermativa. Vivono circondati da libri e quadri in una casa di ringhiera che fu caserma di Radetzky, in zona Porta Venezia a Milano, con fichi e nespoli nel cortile condominiale, cachi, melograni, un ulivo e frutti rossi.
Giorgio, cosa le piace di più di sua moglie?
«La bellezza e l’allegria. Sono felice di stare con lei, mi sono sempre divertito molto.
È stato un colpo di fulmine».
Del divertimento, delle liti epiche, dei viaggi, dei regali, degli amici, di tutto quello che ha cementato questa elegante e bellissima coppia di 92 e 80 anni, continuiamo a parlare con Ilaria, memoria storica degli otto lustri volati in un soffio, come succede con le cose che rendono felici.
Si ricorda il vostro primo incontro?
«Certo, anche perché è l’unico anniversario che festeggiamo: il 13 dicembre 1983 a Venezia, all’Harry’s Bar. Arrivavo in ritardo da Milano e lui era già seduto a tavola con Giovanni Nuvoletti, Giampaolo Pansa e una collega della Stampa . Giorgio avrebbe dovuto presentare un libro nel pomeriggio e io ero la responsabile dell’ufficio stampa Mondadori, con cui pubblicava».
Davvero colpo di fulmine?
«Sì. Non capivo perché mi sentissi così emozionata. Mi colpirono gli occhi celestissimi. Era carino con tutti, in particolare con i camerieri. Semplice, timido, educato».
La storia cominciò subito?
«Lui stava chiudendo con Samaritana Rattazzi. Per fortuna lei si innamorò di un altro!».
(…)
E come faceva lui a mandare le vignette?
«Certe volte era in ferie. Altre lo salvava il fax. Per anni siamo andati d’estate in Sardegna, in una struttura molto semplice di fronte all’isola di Caprera, si chiamava Li Capanni. Un paradiso: gli avevano messo a disposizione un fax personale. Purtroppo poi Peter Gabriel lo ha comprato e non siamo più tornati».
(…)
E lei non protestava?
«Non protestavo? Qui a Milano quando si è liberato l’appartamento accanto l’ho comprato e ce l’ho spedito!».
Condividevate la passione per la pittura: avete anche seguito un corso insieme.
«Sì, a Parigi. Una volta dovevamo replicare un autoritratto di Delacroix e mentre dipingevo mi accorsi che dietro di lui si era formato un capannello di persone che ridevano: gli aveva fatto una caricatura, era più forte di lui».
Avete ancora casa a Parigi?
«No, l’abbiamo venduta durante il Covid, ormai ci andavamo pochissimo. Però ci abbiamo trascorso 25 anni, mi sentivo prigioniera politica!
Giorgio voleva andare sempre negli stessi ristoranti, negli stessi mercatini di antiquariato, era molto abitudinario».
In Francia vi siete anche sposati.
«Sì, il 20 settembre del 1997 al Consolato italiano, che era un ex casino. I suoi testimoni erano Renzo Piano, Giancarlo Giannini, Umberto Veronesi e Salvatore Accardo. Le mie Emanuela Properzi e Nicoletta Prinetti Castelletti. Arrivai in auto con i miei figli, perché gli sposi non si dovevano vedere prima: peccato che lui non ci fosse, perché il pullmino che avevo noleggiato per trasportare gli ospiti, una quindicina in tutto, non conosceva la strada. E mica c’erano i cellulari come ora, che ti fanno da mappa».
Era vestita di bianco?
«No, indossavo un bellissimo Versace arancione che mi aveva regalato Giorgio. È sempre stato molto generoso. Mi ha regalato tanti gioielli, che però sono in banca, io indosso solo le perle: finalmente quando ho compiuto 70 anni lo ha capito. Dopo le nozze andammo a casa nostra e la sera continuammo i festeggiamenti con cena e balli a casa di Renzo Piano».
Amico di sempre.
«Abbiamo girato mezza Europa per assistere alle inaugurazioni dei suoi progetti. Siamo stati anche alla Casa Bianca quando ricevette il Pritzker e gli inquilini erano Bill e Hillary Clinton. Lei mi fece un’ottima impressione, il suo discorso fu impeccabile; lui mi colpì meno. Ci fecero fare il tour nello Studio ovale».
Liti epiche?
«Sempre prima dell’uscita dei suoi libri».
Ma sono stati tantissimi!
«Infatti lo chiamavo Isterix».
E lui come la chiamava? «Ciuciu, ancora adesso».
Giorgio Forattini è stato querelato più volte. Le sue vignette non sono piaciute a D’Alema, a Craxi, a Caselli, a Orlando. Come la prendeva?
«Lui bene, ero io a rimanerci male. Di Giorgio ho sentito tante cose ingiuste: una è che era venale, quando so per certo di tanti soldi che ha prestato e che non sono mai tornati indietro. Gli davano del fascista, semplicemente perché non era comunista. Una volta presi da parte Oreste Del Buono: “Tu puoi dire quello che vuoi su Giorgio, ma dopo averlo conosciuto”. Organizzai una cena e cambiò idea».
E con Eugenio Scalfari com’era il rapporto?
«A Scalfari Giorgio piaceva proprio fisicamente, lo trovava elegantissimo. Conservo il loro epistolario, è bellissimo. Scritto in un italiano meraviglioso: questo puoi farlo, questo non puoi farlo. Giorgio faceva sempre come voleva lui».
Di Berlusconi subì il fascino.
«Lo stimava. Però io mantenni le distanze. Una volta a Venezia per il Campiello si offrì di riportarci a Milano in elicottero, ma rifiutai».
Le ha mai fatto una caricatura?
«Sì, mio malgrado, perché mi ha fatta bruttissima: nei libretti sociali o nelle brochure che faceva per le banche. Ma tanto anche se mi opponevo non mi dava retta».
Domani pomeriggio donerà il suo archivio alla Triennale di Milano. Un’iniziativa del presidente Stefano Boeri. «L’archivio di Giorgio comprende circa diecimila vignette e sarà utilizzato anche con le scuole. Per questa cerimonia ci saranno i nostri amici cari: Renzo, Accardo, Giancarlo Giannini, Antonio Ricci, Montezemolo e tanti altri. Si collegherà in video perfino Fiorello. Sarà bello vederli tutti intorno a lui».
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Serata-festa per vignettista Forattini alla Triennale di Milano
Il mondo della cultura, dell’arte, del teatro, della tv e dell’imprenditoria ha reso omaggio, in un incontro definito una festa questa sera alla Triennale di Milano, a Giorgio Forattini principe dei vignettisti definito, tra i tanti affettuosi giudizi, “poeta, irriverente, monello, intransigente sui principi, senza paura” e perfino “stronzo”.     L’occasione è stata la donazione del suo…
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fashionbooksmilano · 3 years ago
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Con le mani,con i piedi
fotografie di / photography by Giovanni Gastel
Interviste di / interview by Marina Misiti
Electa, Milano 2015, 112 pagine, 25x35 cm., Italiano/Inglese, ISBN  9788891805195
euro 22,00
email if you want to buy :[email protected]
C'è chi con le mani e con i piedi ha costruito il proprio destino e ha cambiato quello degli altri. E c'è chi mani e piedi non li ha mai potuti usare. Questo libro mette i primi al servizio dei secondi. Tredici personaggi che devono a mani o piedi il loro successo in diversi campi - dalla musica all'arte culinaria, dallo sport all'artigianato, alla medicina - visti attraverso l'obbiettivo di Giovanni Gastel e intervistati da Marina Misiti. Lo scopo di questo volume è sostenere alcune attività di riabilitazione rivolte ai bambini affetti da deficit neuromotorio, bambini "speciali" la cui unicità, come scrive Valeria Parrella nella introduzione, li accomuna alle persone ritratte in queste pagine.
12/01/22
twitter: @fashionbooksmi
instagram: fashionbooksmilano, designbooksmilano tumblr: fashionbooksmilano, designbooksmilano
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abr · 4 years ago
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Giorgio (Forattini) è stato l'inventore della satira liberale. Finché sembrava di sinistra e ben omologato, la parola d'ordine era: quanto è bravo Forattini, quanto fa ridere Forattini, è il migliore Forattini. Poi cominciò a dirazzare. (...) Ma che fa Forattini? Ma è diventato scemo Forattini? Ma è impazzito Forattini? (...)  (A LaRepubblica e)ra diventato ambientamene incompatibile. Giorgio gli portava la sua vignetta, ma la vignetta del compagno Forattini non era più in linea come una volta. Anzi, non lo era mai stata (...). Tutti parlavano ormai di lui come di un mostro, peggio: un traditore. Peggio ancora, un venduto. (...) Non si può raccontare con parole o riassumere l'attività satirica e sarcastica di Giorgio Forattini scatenata contro il potere, contro tutti i poteri. Se volete, sta tutto su internet. Ma certamente fu il beniamino della sinistra finché disegnò Bettino Craxi come il Duce, con gli stivaloni lucenti ispirandosi a Pietro Gambadilegno della saga di Topolino. (...) Poi però cominciò a dare segni fastidiosi di anticomunismo. Scherzava a sinistra e le sue vignette cominciarono a far incazzare gli altri satiri ortodossi di sinistra (...). Forattini diventò rapidamente «di destra» per quel pubblico di sinistra e le sue uscite provocavano allergie e borbottii nei corridoi (...).  Oggi Giorgio - che compie in questi giorni 90 anni - vive molto ritirato con la moglie che ne ha grande e tenera cura. (...) Il suo genio è stato nel frattempo messo nel cono d'ombra che immerge nell'oblio chiunque non faccia parte della grande corrente certificata e «de sinistra», sicché fa bene ricordare la sua matita geniale e potente, perché ha fatto incazzare tutti, ma proprio tutti e questo è il segno più forte di amore per la libertà. Paolo Guzzanti.
https://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/ldquo-sua-matita-geniale-potente-ha-fatto-incazzare-tutti-ma-proprio-263810.htm
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luigidalise · 4 years ago
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E' la matita più appuntita della satira italiana.Compie 90 anni Giorgio Forattini, che con le sue 14mila vignette ha raccontato mezzo secolo di storia, sbeffeggiando fatti e i misfatti della politica, ma non solo, di casa nostra e non solo.Irriverente, spesso al centro di feroci polemiche (infelice l'illustrazione per l'elezione di Barak Obama) destinatario di richieste di risarcimenti record (celebre la guerra di carta bollata con Massimo D'Alema) ha graffiato a destra e a sinistra, non risparmiando nessuno.La prima striscia, ricorda, fu quella nel 1974 dopo la vittoria del referendum sul divorzio, con un Fanfani a forma di tappo saltava via da una bottiglia con un grande "no" sull'etichetta.L'ultima? E' ancora da disegnare
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BOOK - 0280 - Scomodoso - Giorgio Forattini - A. Mondadori
BOOK – 0280 – Scomodoso – Giorgio Forattini – A. Mondadori
In PRIMA ( O IN TERZA – QUARTA ) di copertina è presente NS etichetta adesiva con
 codice a barra.
– USURA DEL TEMPO –
        LO SVUOTACANTINE CAMPOBASSO 391.7010109 – FOTO
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drrestlesshate · 2 years ago
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giancarlonicoli · 3 years ago
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30 giu 2022 15:30
“LA QUERELA POI RITIRATA DI D’ALEMA MI COSTÒ UNA FORTUNA IN AVVOCATI E LA ROTTURA CON REPUBBLICA. MINACCE DI MORTE? SI’, PER UN DISEGNO SU MAOMETTO E PER LA VIGNETTA CON LA SARDEGNA A FORMA D’ORECCHIO – GIORGIO FORATTINI SECRETS: "ANDREOTTI IL MENO PERMALOSO DEI POLITICI. DISSE: “CHE DEVO DIRE DI FORATTINI? MI HA INVENTATO LUI” – LE CENSURE, LE MATITE CHE NON TOCCA PIU’ DA 5 ANNI, LA LOREN CHE HA FATTO FINTA DI NON RICONOSCERLO: "UNA VIGNETTA CHE NON RIFAREI? QUELLA SUL…"
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Alessandro Dell'Orto per “Libero quotidiano”
Quadri, quadri, quadri. Piccoli, grandi, di ogni epoca e autore a riempire tutte le pareti come in un mosaico. Quadri, quadri e ancora quadri, ma in casa nessuna vignetta. Curiosa questa scelta, Forattini.
«Sa che non ci avevo pensato? In effetti non ne ho nemmeno mai incorniciate».
Quante ne ha disegnate in carriera?
«Bah, difficile dirlo, non ricordo.
Penso circa 15mila. Tutte catalogate in cartaceo e digitale».
E di quadri, invece, quanti ne possiede?
«Credo 1500, ma molti li ho regalati o venduti».
Quello a cui è più legato?
«Mi faccia pensare. Mmmmm. Forse il ritratto di Bertel Thorvaldsen, scultore danese del 1800. L'ho cercato ovunque e voluto a tutti i costi, finché l'ho trovato da un antiquario».
Perché tanto accanimento?
«Venga con me. Ora lo guardi, nota niente?».
È il suo sosia!
«Mi somiglia tantissimo. Pensi che molta gente mi spedisce cartoline per segnalarlo».
Tipo quella appesa laggiù?
«Sì, sopra la mia scrivania».
Scusi Forattini, ma quello è l'angolo in cui ha lavorato per anni?
«Sempre disegnato da lì. All'inizio, a Repubblica, andavo in redazione, ma poi mi trovavo regolarmente una schiera di curiosi alle spalle e ho deciso di fare tutto da casa».
Un precursore dello smart working tanto di moda adesso.
Davanti a questa finestra, quindi, lei ogni giorno ha disegnato il mondo degli ultimi 40 anni.
Come nasceva una vignetta?
«Fino a mezzogiorno non ci pensavo, tanto sapevo che lo spunto sarebbe arrivato. Poi guardavo i tg cercando l'ispirazione e dopo pranzo iniziavo a buttare giù qualche schizzo su un foglio. Il disegno vero lo realizzavo in un'oretta, ma poi ritoccavo i dettagli mille volte, aggiungendo o cancellando particolari. Sa, sono sempre stato molto pignolo».
A che ora lo inviava?
«Alle 19, ovviamente per fax.Sempre odiato la tecnologia. Non ho internet né un computer e utilizzo un cellulare di quelli base».
Qualche curiosità: utilizzava penne particolari?
«Semplicissime matite e poi un pennino per l'inchiostro».
Sottofondo? Perché ride?
«Musica scozzese ad altissimo volume, ho sempre adorato le bande e soprattutto quelle del nord. Mi ispiravano».
Altri rituali?
«Beh, era un andare e tornare dal frigorifero: pezzi di formaggio e spuntini vari. Lavorare mi faceva venir fame».
E la rendeva anche nervoso? Ha le unghie mordicchiate.
«Che fa, mi guarda le mani?».
Di fronte a un fuoriclasse della matita è inevitabile.
«Sempre avuto questo vizio, il lavoro non c'entra».
Torniamo alle vignette. Più difficile trovare la battuta giusta o disegnare?
«La frase a effetto è la cosa più complicata e importante».
Giorgio Forattini ha 91 anni e l'ironia nello sguardo. Ti fissa e capisci che potrebbe facilmente scovare il tuo lato debole, il punto indifeso, il difetto nascosto, e in un attimo trasformarti in una divertente ma scomoda caricatura. L'ha fatto per cinquant' anni, disegnando la politica con vignette - una al giorno - che hanno raccontato la storia italiana sulle prime pagine di Repubblica, Stampa, Panorama e Giornale. Erano editoriali illustrati, spesso più incisivi degli articoli di fondo, capaci di condizionare - con la battuta giusta e un tratto semplice ma dannatamente efficace - crisi di governo, elezioni, dimissioni, scandali.
Giorgio Forattini ti fissa ma poi ti sorride dolcemente e allora capisci che dietro la matita pungente c'è un carattere timido e riservato. E un uomo di grande cultura che ora si gode la vecchiaia nella sua casa di Milano, tra qualche inevitabile acciacco dell'età e qualche buco di memoria. Senza mai perdere, però, il gusto innato dell'ironia.
Ha sempre tenuto i suoi disegni?
«Sì, ma non gli schizzi, quelli li buttavo via ogni giorno. La mia segretaria però, di nascosto, la sera li recuperava. Nel 2017 li abbiamo messi insieme e pubblicati nel libro "L'Abbecedario della politica"».
I disegnatori di oggi le piacciono?
«Quali? Di giovani non ce ne sono, sono rimasti solo i soliti 3 o 4 famosi.
Ora posso farle io una richiesta?».
Certo.
«Per cortesia si abbasserebbe la mascherina un attimo che voglio vedere il suo viso?».
Ecco. Lo ispirasse anche per una caricatura...
«No no, solo curiosità. Ormai non disegno più».
Ma come?
«Basta, sono stufo e non ho più l'istinto. Mia moglie ogni tanto ci prova, ma da cinque anni ormai non prendo in mano una matita e non ne sento il bisogno».
A proposito di mascherina, come ha vissuto il Covid e i lockdown?
«Passeggiando sul ballatoio per tenermi in movimento».
E ora come è la giornata tipo?
«Mi sveglio alle 10, vado a fare due passi e bevo un aperitivo all'aperto. Dopo pranzo pennica fino alle 17 e poi altra passeggiata. Di sera, tv fino a mezzanotte».
Cosa guarda?
«Sicuramente le partite della Roma, sono un tifoso fedele, uno di  quelli che ha sempre adorato Totti. Poi telegiornali e Rai Storia. In realtà, però, sono un amante dello zapping. Per la rabbia di mia moglie».
Già, Ilaria Cerrina Feroni. Da quanto tempo state insieme?
«Quarant' anni. Ci siamo conosciuti alla Mondadori, lei era capo ufficio stampa della sezione libri. E non ci siamo mai più separati».
Forattini, torniamo ancora più indietro nel tempo. Al piccolo Giorgio.
«Nasco a Roma il 14 marzo 1931 e sono un bambino solitario, riservato ma ribelle».
Genitori?
«Mamma bellissima, ho preso i suoi occhi. Carattere dolce e molta fantasia. Papà autoritario, da lui ho ereditato l'amore per la cultura che poi ho approfondito con musica, letture, poesie, arte, storia».
Scuole?
«Liceo classico, poi l'accademia di teatro e mi iscrivo ad architettura. A 18 anni esco di casa e a 22, per fare un dispetto a mio padre, mi sposo».
All'accademia, con lei, ci sono Lina Wertmuller e Sofia Scicolone, che poi diventerà per tutti la Loren. Vero che ha finto di non riconoscerla?
«Anni dopo la incontro a una cena di Armani e le dico: "Ciao, ti ricordi di me? Abbiamo fatto teatro insieme". E lei: "Impossibile, io sono molto più giovane". Può darsi che non si ricordasse, ma i modi non sono certo stati gentili».
Primi lavori?
«Operaio, poi rappresentante di prodotti petroliferi perché papà era direttore dell'Agip. E ancora, per anni giro l'Italia per vendere dischi ed elettrodomestici ed imparo a osservare la gente affinando i rapporti umani».
Qualità poi fondamentale per disegnare vignette. Quando le prime caricature?
«A 40 anni vinco un concorso di Paese Sera per una striscia satirica, ma la svolta avviene per una donna».
Cioè?
«Nel 1973 mi fidanzo con Lene De Fine Licht, ragazza danese bellissima, la cui sorella è amica di Gianluigi Melega di Panorama. Me lo presenta e inizio a frequentarlo finché un giorno, vedendomi disegnare, mi propone di lavorare per lui. Non so come si fa e studio i disegnatori francesi e anglosassoni. Così inizia la carriera con la vignetta d'esordio, se non ricordo male un Andreotti cui qualcuno appendeva un pesce d’aprile sulla schiena».
Il primo disegno celebre è del 1974 in occasione del no al referendum sul divorzio: Fanfani tappo di champagne.
«L’idea me la dà un tipografo che dice “Stavolta il tappo (alludendo alla statura di Fanfani) salta”».
È il boom e nel 1975 è tra i fondatori di Repubblica, a inizio anni Ottanta va alla Stampa, torna a Repubblica e poi sbarca al Giornale. Vignette in prima pagina ogni giorno, le sue caricature condizionano la politica italiana. Le hanno mai censurato un disegno?
«Ci hanno provato, spesso lo mettevano più in piccolo o in basso, ma non ne ho mai ridisegnato nessuno. Alle contestazioni rispondevo: “Se non lo volete, mettete la foto del direttore”».
Forattini, una curiosità. Molti politici li vedeva come animali: Amato Topolino, Veltroni bruco, Dini rospo, Buttiglione scimmia, Mancino cinghiale, Violante volpe, Bossi Pluto, Ciampi cane. Come mai?
«Un caso. Li osservavo e pum, certe caratteristiche me li facevano diventare animali. La caricatura è un istinto, quasi involontaria. Come quella volta a Parigi».
Racconti.
«Una quindicina di anni fa io e mia moglie ci iscriviamo a un corso di pittura a olio e ci danno da fare un ritratto. Pochi minuti e tutti sono dietro di me che ridono: provavo a fare un ritratto, usciva una caricatura».
Quante querele ha ricevuto?
«Una ventina e solo da esponenti della sinistra».
Clamorosa nel 1999 quella di D’Alema, allora Presidente del Consiglio, per la vignetta in cui cancella con un bianchetto la lista Mitrokhin: le chiese tre miliardi.
«Quando lo raccontai a Parigi, dove la satira è cosa sacra, rimasero choccati. Poi D’Alema la ritirò, ma mi costò una fortuna in avvocati e la rottura con Repubblica».
Mai rivisto?
«Una volta ci incrociamo a votare allo stesso seggio a Roma, gli vado incontro sorridendo e gli porgo la mano. Lui risponde con gelo».
Il politico meno permaloso?
«Andreotti. Una volta disse: “Che devo dire di Forattini? Mi ha inventato lui”».
Mai ricevuto minacce di morte?
«Sì e mi sono ritrovato la Digos in casa due volte, per un disegno su Maometto e per la vignetta con la Sardegna a forma d’orecchio in occasione dell’arresto della banda dei sardi responsabili del rapimento di Anna Bulgari e Giorgio Calissoni».
E qualcuno ha mai cercato di “comprarla” con qualche regalo?
«Mai, tanto sapevano che non ero corruttibile. In compenso ho sempre pagato una fortuna in tasse: dovevo essere integerrimo e inattaccabile».
Forattini ultime domande veloci. 1) Libro preferito?
«“L’idiota” di Fedor Dostoevskij».
2) Rapporto con la religione?
«Mai stato praticante».
3) I suoi migliori amici?
«Giancarlo Giannini e Renzo Piano. E lo è stato Umberto Veronesi».
4) Il posto più bello del mondo?
«Parigi».
Ultimissima. C’è una vignetta che non rifarebbe?
«Mmmmm, vediamo. Sì, forse quella sul suicidio di Raul Gardini: la sua barca “Il Moro di Venezia” era diventata “Il morto di Venezia” e affondava con il suo teschio a riva. Me ne pento».
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drrestlesshate · 2 years ago
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drrestlesshate · 2 years ago
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drrestlesshate · 2 years ago
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drrestlesshate · 2 years ago
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giancarlonicoli · 4 years ago
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14 mar 2021 11:00
"IO PER LA MIA LIBERTÀ MI FAREI IMPICCARE" - GIORGIO FORATTINI, 90 ANNI: "SPADOLINI LO DISEGNAVO SEMPRE NUDO, NON PROTESTÒ MA MANDÒ AVANTI SUNI AGNELLI. CHE MI DISSE ‘PERCHÉ GLI FAI IL PISELLINO MIGNON? LO HAI VISTO NUDO?’. E IO: ‘NO, MA SONO CERTO, LO HA COSÌ. È UN PUTTO’. RIMASE INTERDETTA”. CHE STORIE CON SCALFARI E L'AVVOCATO AGNELLI. SE RIUSCISSI AD ARRIVARE VIVO AL SEGGIO OGGI VOTEREI BERLUSCONI…" - IL FLIRT CON SOPHIA LOREN: "IO LO RICORDO, LEI EVIDENTEMENTE NO..."
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Luca Telese per www.tpi.it
Negli ultimi giorni si è riaperto il dibattito sulla libertà di stampa in Italia, dopo che Matteo Renzi, senatore e leader di Italia Viva, ha annunciato azione civile contro La Stampa e TPI per due articoli nei quali si riferiva del suo recente viaggio a Dubai per motivi sconosciuti. Ne abbiamo parlato con Giorgio Forattini, maestro di vignette e di satira, in occasione del suo 90esimo compleanno.
“Io per la mia libertà mi farei impiccare”.
Anche oggi la libertà è a rischio?
“Scherzi? Vedo, a partire dalle querele di Renzi, una quantità infinita di persone, oggi, che usano la causa civile per infliggere bavagli”.
E cosa ne pensi?
“Sono tutti imitatori del D’Alema, che fece causa a me. Ma quando un politico invoca la censura per mettere un bavaglio alla stampa vuol dire che ha già perso”.
Parliamo di Forattini prima di Forattini.
(Sorriso ineffabile e forattiniano). “Sono diventato disegnatore satirico per puro caso. Grazie a Panorama. E a… una donna”.
Detta così, tutto diventa subito interessante.
“Avevo già 43 anni, lavoravo, come ti spiegherò tra breve, a Paese Sera”.
Come grafico. Ma disegnavi?
“Pubblicavo, ogni tanto, strisce di costume che apparivano, con qualche fatica, nelle pagine interne”.
E cosa succede?
“Mi fidanzo con una bellissima ragazza”.
Ah, bene.
“Lene, una danese affascinante che aveva occhi verdi, sangue blu e un nome da fotoromanzo: Lene De Fine Licht”.
È stata lei il contatto con Panorama?
(Sospirone). “È più complicato. Lene viveva a Trastevere, con sua sorella. E io ho avuto, come talvolta capita nella vita, una storia anche con la sorella”.
Ah. A me non è mai capitato.
“Lascia perdere e seguimi: questa sorella era amica della moglie danese di Luigi Melega, una delle principali firme del prestigioso Panorama di Lamberto Sechi”.
E cosa accadde?
“Iniziammo a frequentarci con i Melega, finché un giorno lui, vedendomi disegnare non mi disse: ‘Tu devi assolutamente disegnare delle vignette di satira politica per noi!'”.
E cosa gli hai risposto?
“’Ma io non ne ho mai fatta una!’, obiettai”.
E Melega?
“Fu incrollabile: ‘E che vuol dire? Studia, leggiti la satira dei giornali francesi, esercitati, prova’”.
Aveva avuto premonizione del tuo talento. Sembra incredibile.
“È vero. Ma per me suonò molto persuasivo”.
Al punto da metterti davvero a studiare?
“Sì. Iniziai a comprare, nelle edicole di via Veneto, dove arrivavano, Le Monde, Liberation, Le Canard Enchainè: scoprii un mondo!”.
E disegnasti la tua prima vignetta?
“Sì. Credo che fosse un Andreotti a cui qualcuno appendeva un pesce d’aprile sulla schiena”.
Fatalità. Lo stesso Andreotti che raccontava: “I miei figli mi chiedevano: ‘Perché non quereli Forattini?'”.
“E lui rispondeva: ‘Che posso dire di Forattini? Forattini mi ha inventato!'”.
Geniale, e vero. Il più bel complimento possibile.
“Senza dubbio: anche perché, a parte Andreotti, Spadolini e Berlinguer, tutti gli altri mi hanno querelato”.
Chi?
“Craxi, quattro volte. De Mita, per un miliardo, Orlando addirittura annunciò quattro miliardi, poi per fortuna non diede seguito. D’Alema, per la famosa vignetta del bianchetto. E fui condannato per i rubli…”.
Orlando, però, lo avevi rappresentato con la Coppola da mafioso!
“La satira è iperbole, sarcasmo feroce, libertà. Sai che mi sono pentito solo una volta di una vignetta che ho fatto? Sul suicidio di Gardini”.
Torniamo per un attimo al 1974. La vignetta su Panorama ha successo?
“Straordinario. Me ne chiedono una a settimana”.
Ottimo, dunque.
“Però si arrabbia Giorgio Cingoli, direttore di Paese Sera, che mi dice: “’Lavori qui e per noi queste vignette non le fai?’”.
Giusto.
“Così inizio a disegnare anche per Paese Sera, e nasce la serie dei fiaschi”.
Ogni insuccesso politico disegnavi Fanfani, che era un pittore amatoriale, mentre dipingeva i suoi fiaschi politici.
“Finché non arriva la sconfitta del divorzio e ribalto tutto: Fanfani espulso come un tappo dalla bottiglia del No”.
Geniale. E che accade?
“Prima pagina, apoteosi. La vignetta fa il giro del mondo, viene riprodotta ovunque, diventa icona, e io da quel giorno per tutti divento ‘Forattini'”.
Giorgio Forattini compie novant’anni. Avevo già avuto la fortuna di intervistare il Maestro della satira italiana nella sua bellissima casa di Milano (una delle tre, oltre a quella di Roma e Parigi).
Ed era stato come entrare nella pinacoteca di un museo. Giorgio Forattini quel giorno spiegava: “Ho comprato quadri dei pittori più svariati, uniti da un particolare: sono quasi tutti ritratti”. Era tre anni fa. Giorgio è sempre in forma splendida. Oggi ha una chioma ormai candida, e dice: “Ho combattuto tanto per difendere la mia libertà, ora devo farlo per conservare la mia memoria”.
Ogni tanto, quando meno te l’aspetti, Giorgio ti fulmina con una freddura o una battuta in simil-romanesco: “Ahó, m’hai già fatto due foto, devi pagà!”. Oppure, per contrario, con l’understatement: “Eri un Don Giovanni?”, chiedo. Sorriso: “A me non risulta”. Il filo conduttore nella sua biografia sono il viaggio del Talento a cavallo fra tre repubbliche e un frammento importante di storia italiana.
Oggi un video celebra la sua fantastica avventura, la sua lotta contro mille censure, più che mai attuale. Come la sua storia, perfetta per un romanzo. Quello di un uomo che dice: “Io per la mia libertà mi farei impiccare”.
Tua madre era nobile.
“Sì, si chiamava Matilde Merlino: piemontese di origina istriana. Sua madre era austriaca, suo padre Federico era stato ministro delle Finanze e poi presidente della Corte dei Conti”.
E tuo padre?
“Era emiliano, aveva partecipato alla marcia su Roma: industriale”.
Tu sei romano.
“Senza dubbio, in tutto e per tutto figlio di quella città eterna e scanzonata. Ho trascorso molti anni in collegio, al San Giuseppe de Merode, Piazza di Spagna. Ma ho passato l’infanzia a Milano e gli anni più belli della mia giovinezza a Napoli, dove ho fatto tirocinio di ironia nella più grande accademia del mondo”.
Quando cominci a disegnare?
“Da bambino, prima di iniziare a scrivere. A scuola facevo le caricature dei professori che poi protestavano con i miei”.
E ti creavano problemi?
“Papà era un uomo straordinario ma con un carattere fortemente autoritario. Forse mi sono autocensurato”.
Perché?
“Ho iniziato a lavorare con lui, e dai venti ai quarant’anni non ho mai impugnato la matita”.
Che lavori hai fatto?
“Di tutto. A diciotto anni esco di casa. Mi iscrivo all’Accademia di teatro, dove i tra miei compagni c’erano Lina Wertmuller e molti altri che diventeranno celebri”.
Ad esempio?
“Sofia Scicolone, non ancora Loren”.
Hai raccontato a D’Orrico di aver avuto un flirt con lei.
(Sorriso). “Io lo ricordo. Lei, a quanto pare no. E sai cosa accade, molti anni dopo?”.
La re-incontri?
“Sì, invitati entrambi in una cena da Armani. Io, contento, le dico: ‘Ricordi? Eravamo all’Accademia insieme!'”.
E Sofia?
“Mi fulmina con uno sguardo gelido: ‘Impossibile, io sono molto più giovane di lei'”.
Ah ah ah. Fai studi irregolari?
“Mio fratello si laurea subito e diventa ambasciatore. Io frequento Architettura e poi Giurisprudenza. Per molti anni faccio il rappresentante di commercio”.
Nel settore petroli, con tuo padre.
“Aveva venti stazioni di servizio soprattutto al sud”.
E tu giravi. Migliaia di chilometri, in una Cinquecento ripagata con detrazioni dalla busta paga.
“Come ho fatto a sopravvivere non lo so. Ma fu un periodo felice”.
Il tuo romanzo di formazione?
“Ho potuto raccontare tutta l’Italia, poi, perché già la conoscevo, da prima”.
La Sicilia a forma di coccodrillo, e protestò l’Ars.
“Bellissima”.
La Sardegna a forma d’orecchio, dopo l’amputazione del sequestro Getty.
“Ricevetti minacce di morte, venne la Digos a casa, e io che amavo la Sardegna e ci sono andato in vacanza per 18 anni consecutivi”.
Tanti.
“Ne ho trascorsi metà a Li Capanni, con una camionetta dei carabinieri davanti all’albergo”.
La società di tuo padre era a Napoli e si chiamava – incorrendo in molte ironie partenopee – DIOm, con una emme minuscola.
(Risata). “Non era blasfemia, solo un acronimo. Stava per Deposito Industriale Olii minerali”.
Sede in via Mergellina.
“E deposito autobotti a Poggioreale, vicino al carcere. Ti faccio un esempio di napoletanità”.
Quale?
“Visto che papà era stato cacciato dal cane a sei zampe dell’Eni, scelse come simbolo un gatto nero”.
Che c’entra?
“I venditori della Campania dicevano: ‘I napoletani protestano!’. Mio padre fece diventare grigio il gatto e il fatturato aumentò”.
Primo stipendio della tua vita?
“Sei grandi banconote da mille: le stesi in terra davanti alla porta di casa per dire a papà, che si vantava di non sapere quanto mi davano i contabili: ‘Ora sono indipendente!'”.
Perché tuo padre non ti voleva in azienda.
“Mi pretendeva impiegato di banca! Non diventarlo è stato il primo grande successo della mia vita”.
E poi ti sposi contro il suo volere.
“In accademia mi ero innamorato di una compagna: Licia Casassa. Io avevo 22 anni, lei 28. Mi sono sposato di nascosto. Per punirmi lui mi spedisce a Cremona, in una raffineria, e mi degrada”.
Nientemeno. E cosa vai a fare?
“L’operaio specializzato: pensa, controllavo con la pala il grado di viscosità dell’olio”.
Finché?
“Nel 1956, con la crisi di Suez, l’azienda tracolla. Il deposito di Poggioreale viene svenduto a un certo Paul Getty”.
E tu?
“Mi salvo passando a vendere elettrodomestici Triplex. E poi con la pubblicità: serviva qualcuno che disegnasse gli storyboard e io lo facevo presso lo studio in Trastevere di Guido Vanzetti”.
E poi?
“Entriamo nei favolosi anni Sessanta e mi reinvento discografico: prima alla Bluebell Records e poi alla Ricordi”.
Ma come fai??
“Ehhh… Grazie al solito talento. Inizio disegnando etichette e finisco facendo il talent scout, il grafico e il produttore. Ero anche bravino”.
Investi su te stesso con l’Accademia di pittura.
“Segnale premonitore: iniziavo a copiare un ritratto classico e finivo facendone la caricatura senza volerlo, con il professore che – giustamente – mi rimproverava”.
La svolta è l’ingresso a Paese Sera?
Avevano indetto un concorso per illustratori, e mi invento un personaggio malinconico, Stradivarius, che suona il violino e però per vivere fa l’agente di commercio”.
Togligli il violino dalla mano, mettigli la matita…
(Sorriso). “Infatti: Stradivarius ero il me che stavo archiviando”.
Entri negli anni Settanta con la busta paga di Paese Sera.
“Siamo nel 1971: bei tempi, a chiudere il giornale in tipografia veniva Giampiero Mughini, e noi due – entrambi libertari – prendevano in giro gli ortodossi. Mio collega era Franco Bonvicini, che con lo pseudonimo di Bonvi, diventerà poi il geniale autore di ‘Sturmtruppen’. Guadagnavo 900mila lire al mese”.
Che raddoppiano quando Scalfari ti sceglie per fondare Repubblica.
“Anche lì mi presenta Melega. Passai a un milione e mezzo, ma la cosa più importante, è che partecipai al progetto grafico: le colonne di Repubblica sono ‘mie'”.
Il tuo rapporto con Scalfari è un romanzo: dimmi almeno i titoli dei capitoli.
“Ho persino un epistolario, bellissimo, tra noi. Scalfari è un genio, con me è sempre stato generoso e protettivo”.
Da chi?
“Dal popolo dei suoi ufficiali, burocrati, caporedattori e affini, perennemente incazzati con me”.
Addirittura?
“Pensa che io nei ristoranti mi metto sempre spalle al muro, ancora oggi, per un ‘trauma’: si affacciavano al mio box, dietro, per vedere che vignette disegnavo”.
Addirittura?
“Era pieno di aspiranti censori e spioni. Eugenio, che lo sapeva, un giorno affigge un foglio su quella parete: ‘Silent Genius at work'”.
Ah ah ah. Amava le tue vignette?
“Molto. Anche se non ha un grande senso della satira e soffriva quando colpivo i suoi amici. Non voglio sembrare immodesto, ma Repubblica l’abbiamo fatta noi. Lui l’ha fondata, io l’ho arredata!”.
Per sfotterlo disegni te stesso, carcerato, mentre sotto il tiro di Scalfari scolpisci un monumento a Berlinguer.
“Questo era nulla. Un giorno si incazzò via interfono: ‘Giorgio, io ho due amici in politica oggi: Natta e De Mita. Tu in questo mese hai fatto 28 vignette, e tutte contro loro due!!!!'”.
E tu?
“Gli dico: ‘Begli amici che hai!'”.
E poi non era vero, perché erano gli anni di Craxi in stivaloni: ti penti?
“Ma scherzi? Fosse vivo gli chiederei un vitalizio per l’immagine che gli ho regalato”.
Appeso stivalato a testa in giù, stile piazzale Loreto!!!!
“Questa è bella, senti. Mi manda Spadolini come ambasciatore: ‘Bettino non può sopportare l’accostamento al fascismo!'”.
E che hai risposto al presidente del Senato?
“’Presidente, lei è storico: è un Mussolini ma socialista’. Spadolini volle crederci, ma ovviamente era una balla. Durò poco, poi quattro querele. Repubblica uscì con un giochino, ‘Portfoglio'”.
E tu gli mettesti in bocca: “Da quando c’è il Portfoglio lo prendo tutti i giorni”.
“Craxi andò su tutte le furie: ‘Mi sta dando del ladro!'”.
Spadolini lo disegnavi sempre nudo, non protestò?
“Non sarebbe stato elegante. Lui mandò avanti Suni Agnelli”.
Per dire cosa?
“Ah ah ah: ‘Perché gli fai il pisellino mignon? Lo hai visto nudo?’. E io: ‘No, ma sono certo, lo ha così. È un putto’. Rimase interdetta”.
Sei stato fidanzato con Samaritana, nipote di Agnelli.
“Per sei anni, grande storia. E qui c’è una scena da film”.
Perché?
“Quando ci lasciamo l’Avvocato mi invita a pranzo e mi fa: ‘Forvattini lei per me è Il Talento, deve lavorare nel mio giornale. E per meritare la mia offerta principesca dovrà fare sette vignette a settimana, e tutte in prima!'”.
Non sapeva che era Scalfari a pubblicartene solo cinque, e quasi sempre dentro.
“Già! Ma io chiedo: ‘Principesca che significa?’. E lui: ‘Un miliavdo di lire'”.
Era come un milione di euro di oggi.
“Molto di più. Infatti rimango senza fiato. Lui, che aveva standard economici diversi dai miei, pensò che avessi dei dubbi. E aggiunse: ‘Ma Fovattini! È quinquennale, quindi sono cinque!'”.
Lasci Repubblica e nasce la campagna contro Forattini: “miliardario”, “mercenario”, “rinnegato”, “venduto”. “Ha la casa a Parigi”!
“Non sono mai riuscito a difendermi da tutta questa cattiveria. Della casa a Parigi, poi sono orgoglioso”.
Come mai proprio lì?
“Me la fece prendere Renzo Piano, uno dei miei migliori amici: dove l’aveva lui, nel Marais”.
Cattiveria, dici?
Sono stato colpito da odio, invidia, menzogna: ho girato molti giornali perché inseguito da querele e veti”.
Hai rinnegato la sinistra?
“Io non sono mai stato comunista. E neanche di sinistra. Mi considero un borghese ribelle”.
A cosa?
“Alla mediocrità. In un mondo di conformisti sentirsi liberi significa essere ribelli”.
Perdi una causa contro D’Alema, 500 milioni di lire.
“Allora non lo dicemmo a nessuno, ma pagò tutto Panorama. La libertà di stampa è questo”.
Ti sei vendicato disegnando D’Alema, per anni, senza volto.
“I giudici mi hanno condannato spesso per diffamazione a mezzo stampa: Codice Rocco, codice fascista mai cancellato. In Francia, Inghilterra e nei paesi democratici la satira è libera, vola. In Italia se non sei schierato sei ‘fascista’, ‘qualunquista’…”.
La sinistra ama la satira.
“Se non viene colpita sì”.
Lerner raccolse 40 firme contro una tua vignetta in cui la morte aveva una falce con scritto: “1968”. E disse: “Forattini deve tutto al ‘68!”.
“Ridicolo: nel ’68 lui aveva 14 anni, io 37! Non dovevo nulla al ’68, che oltretutto considero, assieme ai sindacati, una disgrazia italiana, la tomba del merito”.
Però nel 1993 vai in tv e dici che la candidatura di Fini a sindaco di Roma, con il Msi, non ti scandalizza.
“Lo ripeterei paro-paro. Anche se pagai un prezzo umano enorme”.
Quale?
“Con ‘Satyricon’, un quartino che dirigevo a La Repubblica, scoprii tanti talenti: Staino, Ellekappa e uno di cui diventai amico: Emilio Giannelli”.
“Scoperto”?
“Era direttore l’ufficio legale del Monte dei Paschi di Siena. Mi invitava ogni anno a vedere il Palio”.
Ma che c’entra con Fini?
“Quando il Corriere mi fece un’offerta io declinai, e dissi: ‘Prendete lui’. È ancora lì”.
Non capisco il legame.
“Dopo quelle parole su Fini, Giannelli mi disegnò sul Corriere, in prima, vestito da balilla, il faccione di Berlusconi e la scritta ‘Sola che sorgi’. Fu un dolore”.
Però avevi trovato la donna della tua vita.
“Vero. Mi chiama una signora dell’ufficio stampa Mondadori per promuovere ‘Pagine gialle’. Mi dice: ‘Sono Ilaria’. Ci siamo visti a Venezia ed è stato subito amore: la fortuna della mia vita”.
Perché?
“È l’unica donna con cui condiviso tutto, satira compresa. Senza di lei non sarei diventato quel che sono”.
E i tuoi grandi amici?
“Oltre Renzo? Purtroppo uno è morto, Umberto Veronesi. E poi Giancarlo Giannini, ridiamo come matti. E in Francia Plantu, vignettista di Le Monde. Vivevamo tre o quattro giorni al mese a Roma, dieci a Parigi, il resto a Milano. Ma ora, da anziano, mi muovo meno”.
Che tipo sei?
"Allegro, ma con un fondo di tristezza. Ho vissuto troppo tempo da solo e in troppi posti”.
La satira risente dell’umore?
“La mia prima moglie mi ha portato via i figli quando erano piccoli. Stavano a Chiavari, e io ero disperato”.
E poi?
“Mio figlio Fabio è morto improvvisamente, di infarto. Dolore immenso. Da allora sono l’ultimo Forattini”.
Sei cambiato?
“Molto. Mi sono immerso nel lavoro, senza trovare sollievo. Le vignette si erano incattivite”.
Una delle tue raccolte si intitola: “Una idea al giorno”. È difficile?
“Ho avuto una fortuna: la vignetta arrivava sempre. Talvolta le sognavo di notte, e me le dimenticavo la mattina. Così giravo con taccuino e matita, anche sul comodino”.
Sei stato fortunato?
“Sono stato molto, molto censurato. Ma, se un direttore mi diceva no, io non disegnavo più: ‘Oggi mettici la tua foto'”.
Un altro tuo titolo choc: “Kualunquista”.
“Con la K: meglio che ragionare per partito preso! Io mi considero, con tutti i miei guai, un vincitore”.
Poi torni a La Repubblica.
“Scalfari e Caracciolo vengono a Milano. Andiamo a cena. All’Hotel Et de Milan”.
Un’altra offerta.
“Ottengo la prima pagina di Repubblica e l’Espresso. Caracciolo mi fa: ‘Costi tanto voglio anche gli originali'”.
E tu?
“’Sei matto? Quella è roba mia’”.
Nel 2002 disegni su La Stampa un carro armato con la stella di David che punta il cannone verso una mangiatoia. Un bambino impaurito, con l’aureola esclama: “Non vorrete mica farmi fuori un’altra volta?!”.
“Stupenda. L’avevo dimenticata”.
Possibile? Protestarono la comunità ebraica e Amos Luzzatto!
“Ah sì! Per la prima volta mi chiamo Agnelli: ‘Fovattini, questa mi mettevà in difficoltà’. Mi spiacque per lui, non per Luzzatto”.
L’ultimo che ti seduce è Berlusconi.
“Nel 2006, al Cipriani per il premio Campiello mi fa: ‘Devi vieni a Il Giornale. Se hai un sogno te lo realizzo'”.
E lo avevi?
“Sì! ‘Mi manca solo una cosa, la vignetta animata in tivù’. Mi guarda: ‘La avrai. Lo dico Mentana’”.
E così sei andato a Il Giornale.
“Proprio con Belpietro, Ma la vignetta animata, malgrado Mentana fosse d’accordo, non partì mai. Costava troppo all’epoca!”.
Ma nasce il merchandising forattiniano: non solo i libri, ma penne, carte, orologi, tazze…
(Sorride). “Sono arrivato a guadagnare anche 150mila euro a libro. Ne ho fatti sessanta, 3,5 milioni di copie!”
Vedi che un po’ avido sei?
(Serio). “I soldi erano solo uno strumento per essere libero. Potevo dire no a chiunque, in qualsiasi momento. E l’ho fatto”.
E lasci anche il Giornale.
“Un giorno, dopo le dimissioni di Maurizio, disegnai Berlusconi nudo con un mappamondo tra le gambe che faceva un gesto eloquente con le dita. Mi dissero di no. E io: ‘Addio'”.
Hai mai risentito il Cavaliere?
“Questa è bella. Mi chiama: ‘Mi spiace per il Giornale, non ne sapevo nulla, che brutto!’. E io, stupito: ‘Grazie!’. E Silvio: ‘Senti… ti chiamavo per un’altra cosa: puoi rifare la copertina del tuo prossimo libro Mondadori?’. E io: ‘Ma perché?’. E lui: ‘Mi disegni che bacio D’Alema e scrivi: inciucio!'”.
Ah ah ah.
“Non me lo ricordavo più. Ma non ritirai la vignetta”.
Hai lavorato anche al Qn.
“I Cdr pubblicavano comunicati di fuoco a mia insaputa, senza darmi possibilità di replica”.
Cosa unisce tutta la tua carriera?
“Bene o male ho sempre disegnato per la libertà: la mia libertà intellettuale intendo. E la libertà si paga”.
È vero che non disegni più cose nuove?
“Il forattinismo in sintesi è stato la dissacrazione della politica. Intuivo subito il tallone d’Achille dei leader, e li trafiggevo con la mia matita. Ora i casi sono due”.
Quali?
“O non c’è più sacralità, oppure io sono diventato molto vecchio e non la vedo. In ogni caso non mi ispira più satira”.
E Grillo?
“Per me è sempre e solo un comico”.
E Di Maio, Salvini, il populismo?
“Non mi piace il populismo: dentro di me sono un vignettista aristocratico”.
E chi voteresti?
(Occhi sgranati). “Se riesco ad arrivare vivo al seggio? Per Berlusconi”.
Davvero?
“Per lui mi resta simpatia. E la certezza che ha cambiato l’Italia”.
Ti piace perché è ri-ri-ri disceso in campo?
(Ultimo sorriso forattiniano, freddura romanesca). “Ma che stai addì? Mi ha aiutato molto: è il politico che ho disegnato più di tutti”.
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giancarlonicoli · 4 years ago
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13 mar 2021 18:24
“LA SUA MATITA GENIALE E POTENTE HA FATTO INCAZZARE TUTTI, MA PROPRIO TUTTI” - PAOLO GUZZANTI IN LODE DI GIORGIO FORATTINI E DEI SUOI 90 ANNI: “È STATO L'INVENTORE DELLA SATIRA LIBERALE. FINCHÉ SEMBRAVA DI SINISTRA E BEN OMOLOGATO, LA PAROLA D'ORDINE ERA: ‘QUANTO È BRAVO’. SCALFARI VOLEVA L'ULTIMA PAROLA SULLE VIGNETTE DA PUBBLICARE E FORATTINI RESISTEVA. ALLA FINE SE NE ANDÒ E NESSUNO LO TRATTENNE. SI OFFESE CON LUI MASSIMO D'ALEMA QUANDO FU DISEGNATO IN UNIFORME NAZI-SOVIETICA NELL'ATTO DI “SBIANCHETTARE” I NOMI DEL FAMOSO “DOSSIER MITROKHIN”” - VIDEO
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Paolo Guzzanti per “il Giornale”
Giorgio è stato l'inventore della satira liberale. Finché sembrava di sinistra e ben omologato, la parola d'ordine era: quanto è bravo Forattini, quanto fa ridere Forattini, è il migliore Forattini. Poi cominciò a dirazzare. Io lo so bene perché ero con lui a Repubblica, piazza Indipendenza, Roma. Lui lavorava con le sue matite nella stanza dei grafici e Eugenio Scalfari pretendeva benché lui fosse già un monstre della satira internazionale, un autore mondiale, una figura di totale rispetto che Giorgio dividesse il suo tempo con gli impaginatori facendo il lavoro umile di squadra e pennarello sui menabò. Era già caduto in disgrazia. Ma che fa Forattini? Ma è diventato scemo Forattini? Ma è impazzito Forattini?
Diventammo amici in quello spazio ricavato dalle quinte di plastica che dividevano lo stanzone dei grafici dallo studio del direttore che spesso lo chiamava con ululati modulati: «Giorgiioooooo!!!». Lui andava e gli attriti e le incomprensioni crescevano. Scalfari voleva l'ultima parola sulle vignette da pubblicare e Forattini resisteva e alla fine se ne andò e nessuno lo trattenne.
Era diventato ambientamene incompatibile. Giorgio gli portava la sua vignetta, ma la vignetta del compagno Forattini non era più in linea come una volta. Anzi, non lo era mai stata, malgrado le fantasiose coincidenze. Tutti parlavano ormai di lui come di un mostro, peggio: un traditore. Peggio ancora, un venduto.
«Chi ti paga?» era sempre stata la domanda d'accusa nei processi politici che ancora si svolgevano malgrado le apparenze. Chissà, forse gli era cresciuta la coda, forse una cresta da lucertolone sulla schiena, non era ben chiaro. Certo è che Forattini non era più lo stesso Forattini che avevano applaudito a Paese Sera, grande quotidiano comunista romano. Quando Scalfari nel dicembre 1975 cominciò a selezionare insieme ad Andrea Barbato (che poi si tirò indietro e non venne) i giornalisti da portare a Repubblica, Giorgio Forattini fu la star, il fiore all'occhiello.
Per lui era stato preparato il menabò di quello che sarebbe diventato di lì a poco il primo tabloid italiano: formato piccolo e misterioso, niente terza pagina culturale e nel centro della prima pagina, lui: la vignetta per eccellenza di Giorgio Forattini. Ne aveva fatte di magnifiche con una matita educata su tanti modelli, ma forse Walt Disney più di tutti. Ma quella che fece il botto e lo rese magnifico e superiore a tutti, fu la famosa vignetta in cui da una bottiglia di champagne saltava un tappo con la faccia di Amintore Fanfani il quale, essendo molto basso, era chiamato «il tappo», e perché aveva promosso la crociata di un referendum per abrogare il divorzio che era ormai legge dello Stato.
E che perse sonoramente. Di qui la grande festa laica e il grande applauso a Forattini che aveva fatto saltare il tappo-Fanfani con la sua vignetta. Champagne, l'Italia laica brinda. Non si può raccontare con parole o riassumere l'attività satirica e sarcastica di Giorgio Forattini scatenata contro il potere, contro tutti i poteri.
Se volete, sta tutto su internet. Ma certamente fu il beniamino della sinistra finché disegnò Bettino Craxi come il Duce, con gli stivaloni lucenti ispirandosi a Pietro Gambadilegno della saga di Topolino. Gambadilegno era l'icona del gangster e dunque andava benissimo, viva Forattini. Poi però cominciò a dare segni fastidiosi di anticomunismo. Scherzava a sinistra e le sue vignette cominciarono a far incazzare gli altri satiri ortodossi di sinistra che si riunirono in mugugno permanente per sputacchiare comunicati e proclami che ripetevano lo schema delle vecchie vignette di Giovannino Guareschi che aveva inventato la serie «Contrordine compagni».
In quelle vignette pubblicate sul Candido, uno strillone dell'Unità avvertiva i compagni di un deplorevole errore di stampa: «Contrordine compagni, il suggerimento pubblicato sull'Unità di portare i bambini a fare i bagni di sale conteneva un errore». E si vedevano le mamme comuniste con tre narici che immergevano attoniti pupi dentro barili di sale anziché esporli al sole... Forattini diventò rapidamente «di destra» per quel pubblico di sinistra e le sue uscite provocavano allergie e borbottii nei corridoi, e poi riunioni nella stanza di Scalfari che, quindi, ammanniva a Giorgio ponderate lezioni sull'uso della satira. Lui diceva che avrebbe pubblicato quel che gli pareva.
C'era da dire che imperversavano satiri della matita non sempre divertenti ma politicamente allineati al Pci e suoi succedanei, dopo la Bolognina. Poi Forattini mollò tutto e passò alla Stampa e alla Fiat. Ciò avvenne anche per motivi umani. Per anni fu legato a Samaritana Rattazzi, figlia di Susanna Agnelli, e in breve ebbe l'incarico più grandioso e fortunato che potesse nutrire col suo genio non solo di vignettista, ma di pubblicitario e fu la campagna per la Punto della Fiat.
Senza offesa, la Punto che ha imperato sulle strade e le autostrade non era la più geniale delle macchine, ma aveva un aspetto friendly, amichevolmente italiano per la stessa media borghesia che nell'infanzia era partita per la Cinquecento, la Seicento e poi la popolarissima Millecento. Giorgio ebbe anche la rivoluzionaria idea di inventare parole per la pubblicità, un po' come aveva fatto Gabriele d'Annunzio quando aveva creato la «Rinascente». Inventò l'aggettivo «puntoso» per indicare tutto ciò che è cool, fico, morbido e desiderabile con un proliferare di parole col suffisso «oso».
Per non mostrarsi troppo deferente alla famiglia aveva disegnato l'Avvocato Agnelli vestito da arbitro con scarpini e fischietto, mentre diceva a Moratti dell'Inter di aver comprato Ronaldo con acquisti «risparmiosi», alludendo ai boatos secondo cui la Juve barava sugli arbitraggi. Nessuno si offese. Si offese invece, con fiero cipiglio, Massimo D'Alema quando Forattini lo disegnò uniforme nazi-sovietica nell'atto di «sbianchettare» i nomi del famoso «Dossier Mitrokhin».
Giorgio provò un discreto trauma perché D'Alema chiese un miliardo di lire di danni e la sinistra si interrogò sul nuovo tema: è giusto e da bravi compagni rivolgersi ai giudici per decidere quel che è lecito e quel che non lo è nella satira? Poi credo che ci sia stato un accomodamento. Giorgio Forattini, che veniva da una famiglia molto austera, ebbe un grande successo anche economico alla Fiat e quando tornava da Torino e lo aspettavamo a cena si presentava sempre con una grande scatola di cioccolatini Peyrano.
Poi andò in volontario esilio a Parigi dove aveva stabilito la sua residenza, dedicandosi a collezionare ritratti. Un giorno mi fece vedere la sua collezione di magnifici quadri ad olio di ogni epoca e mi disse che se ne infischiava delle nature morte e dei tramonti, aveva curiosità ed occhi solo per la commedia umana e i suoi protagonisti. Oggi Giorgio - che compie in questi giorni 90 anni - vive molto ritirato con la moglie che ne ha grande e tenera cura.
L'ultima volta ci siamo visti in casa d'amici per celebrare il compleanno dello stilista Osvaldo Testa. Festeggiammo onorando la vecchia abitudine in redazione di unirci e dire tutti insieme le più volgari banali parolacce che dicono i ragazzini, come piccola e innocua manifestazione libertaria. Il suo genio è stato nel frattempo messo nel cono d'ombra che immerge nell'oblio chiunque non faccia parte della grande corrente certificata e «de sinistra», sicché fa bene ricordare la sua matita geniale e potente, perché ha fatto incazzare tutti, ma proprio tutti e questo è il segno più forte di amore per la libertà. Paolo Guzzanti.
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