#giochi corsa
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Qualche estate fa tornavo dalla spiaggia di Arma piangendo per strada.
Mi sono sentita chiamare, almeno due volte; mi sono girata. C’era qualcuno su un furgoncino bianco.
⁃ Sei tu, vero? - mi ha detto.
Mi sono avvicinata per guardare meglio e ho riconosciuto uno del mio paese, più grande di me di 5, 6 anni, che non ricordavo più di aver frequentato da ragazza, nel modo in cui frequentavamo chiunque sostasse sul muretto dietro la sala giochi. L’ultima volta dovevo averlo visto nel ‘96 e ricordavo che mi era molto simpatico.
⁃ Ciao, - ho detto raggiungendo il furgone: solo ciao, il suo nome non mi veniva.
Mi sono asciugata di corsa le lacrime e d’istinto ho sciolto i capelli, ma erano sudati e crespi di sale, sarebbe stato meglio tenerli legati; pensavo, ma guarda tu se in questo stato devo incontrare uno che non vedo da decenni, uno che devo fermarmi per forza. Mi sentivo brutta e per questo colpevole. Chissà se è solo femminile il senso di colpa di essere esteticamente deludenti.
- Di’ la verità, te lo ricordi, il mio nome? - ha detto lui.
L’ho fissato annebbiata, ma quando ha messo su quella faccia piena di imbarazzo mi è tornato di colpo in mente il soprannome con cui lo prendevo in giro. Appena l’ho pronunciato lui è scoppiato a ridere.
Mi ha chiesto dei miei romanzi, gli ho chiesto del suo lavoro. Aveva la fede, un figlio a casa e uno prossimo alla nascita, che adesso avrà quasi sei anni. Abbiamo chiacchierato per una decina di minuti.
Prima di andare ho detto: - Ma come hai fatto a riconoscermi, a ricordarti?
⁃ Rosella, - ha risposto. - Nessuno può dimenticarsi di te.
Ecco, penso che ogni volta che siamo tristi e piangiamo e ci sentiamo orribili da ogni punto di vista dovremmo incontrare per caso qualcuno che ci dica che siamo indimenticabili. Sarebbe un mondo più giusto.
(Post del 2020. Lo ripropongo come un buon augurio collettivo).
Rossella Postorino
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STORIA LUNGA, MI SPIACE.
Stasera mi è tornata in mente una persona appartenente al mio passato, forse perché ieri ho finito la nuova serie di Zerocalcare o forse per il soggetto del video.
Nella nostra compagnia c'era un tizio un po' particolare, che si aggregava a noi quando facevamo una partita di giochi di ruolo o quando, semplicemente, si usciva a bighellonare senza far nulla di socialmente produttivo.
Si chiamava Paolo ed era un ragazzo solo, con un padre che faceva massacranti turni in fabbrica e una madre sempre in comunità psichiatrica.
Non era affatto una cima ma si presentò quando stavamo cercando comparse per un cortometraggio molto trash con alieni e motociclisti che si menavano... ma quello merita un racconto a parte.
Paolo era molto ingenuo, ai limiti del caso sociale, e mi spiace dire che purtroppo era considerato da molti una specie di mascotte, da perculare quando faceva una delle sue solite uscite o da consolare quando andava in crisi perché non trombava (nessuno trombava ma credo che lui intuisse qualcosa del suo futuro).
Io poi cominciai l'università e quando tornavo vedevo solo una piccola manciata di amici, gli unici che mi sono resistiti accanto fino a oggi, e Paolo diventòquindi una figura di contorno, una di quelle comparse della vita frenetica di un giovane sulla soglia dell'età adulta, meritevoli solo di un cenno con la testa o di un 'oi...' sussurrato mentre ci si incrocia di corsa.
Un giorno successe una cosa che a distanza di 30 anni, dentro di me, non riesco ancora a perdonarmi... o meglio, che avrei voluto (o dovuto) fare e che invece non feci, una leggerezza con cui forse mi colpevolizzo in modo martireo ma che sento magari lo avrebbe reso diverso da quello che poi diventò.
Lo incontrai nel negozio di giochi di ruolo e di videogames che aveva appena aperto un nostro amico e con fare bambinesco mi tirò fuori un'agendina a fisarmonica, una di quelle con le due estremità magnetiche che si chiudevano a guscio di conchiglia
Guarda! - disse - Questa è l'agendina su cui voglio scrivere il numero di telefono di tutti i miei amici! Dai, dammi il tuo numero così lo scrivo!
Io tergiversai perché sapevo che mi avrebbe chiamato in continuazione per chiedermi di uscire, un accollo che ok in compagnia ma che da solo proprio non mi sentivo di prendere.
E feci una cosa orribile: gli diedi un numero sbagliato.
La parte nobile di me pensava che era la cosa giusta da fare, visto che da lì a poco sarei partito per il militare e che non potevo permettere che lui chiamasse i miei genitori agli orari più disparati (i cellulari erano una roba che allora usavano solo gli stronzi incravattati e pasturati a coca)... la realtà era che lo volevo scaricare perché dovevo andare avanti per la mia vita, finire il militare, cominciare a lavorare, magari a Parma, e farmi una famiglia con la mia nuova morosa (che infatti rimase incinta un anno dopo ma io per famiglia intendevo solo noi due... vabbe').
Partii quindi per il servizio di leva, prima a Fano per il corso addestramento reclute e poi a Bologna nel reparto comando supporti tattici nucleo NBCR (quelli con le tute gialle che se li vedi arrivare nei film soncazzi). E di Paolo persi completamente memoria.
Durante una licenza medica a Viareggio (un mese prima mi ero beccato una forma encefalica di morbillo insieme a tipo 200 commilitoni) stavo facendo uno dei primi LAN party a Doom, la principale fonte di guadagno del mio amico che nel suo negozio aveva messo quattro computer in rete e faceva le centinaia di mila lire al giorno.
Mentre stavo cercando di decapitare con la motosega un dodicenne che era solito farsi le seghe sui manga hentai mi sentii battere sulla spalla ma il boato dei fucili a canne mozze nelle cuffie che indossavo probabilmente coprì la voce che mi chiamava.
Un altro battere sulla spalla, più forte, al quale risposi con un pacato 'NON È IL MOMENTO DI ROMPERE I COGLIONI!', forse detto con voce un po' troppo alta ma tra le cuffie e l'adrenalina davvero il bon ton era stato sciacquonato via e correva veloce giù per le fogne verso il mare.
A quel punto, improvvisamente, cominciai a uccidere tutti gli avversari, uno dietro l'altro... bam! BAM! BAM! BAAAAM! MORITE STRONZI!... un attimo - pensai - troppo facile... gli avversari erano tutti immobili in mezzo all'arena del deathmatch, senza sparare un solo colpo.
Distolsi lo sguardo dallo schermo e fissai i tre tizi con cui stavo giocando: erano a bocca aperta con occhi sgranati e stavano fissando terrorizzati qualcosa che, evidentemente, stava succedendo dietro di me.
Feci ruoteare lentamente la sedia girevole da gamer, con la musica di Doom che ancora mi incalzava i timpani e notai tre cose in rapida successione: gli spostamenti d'aria che fino a poco prima mi raffreddavano la schiena sudata non erano prodotti dal ventaglio di una tizia col cosplay di Lamù (come mi sarebbe tanto piaciuto con la fantasia) ma da un paio di anfibi chiodati che come per magia erano sospesi in aria e scalciavano in direzione della mia faccia; la seconda era che dentro gli anfibi c'era un tizio vestito con jeans attillati, maglietta con croce celtica, bomber pieno di spillette rubate in qualche museo della Waffen-SS e capelli rigorosamente rasati... e la terza, per mia fortuna, che il tizio era trattenuto per le braccia dal proprietario del negozio e da qualche adolescente diventato muscoloso a forza di portare in giro mazzi di Magic da 20 chili l'uno.
Io guardavo come ipnotizzato le strisce nere di lucido da scarpe che il tizio lasciava sulla moquette del negozio mentre scalciava e si agitava per raggiungermi con le pedate e l'unica cosa che pensavo era 'Ma chi cazzo si mette così tanto lucido sulle scarpe da lasciare i segni a terra?'
Poi mi ricordai delle cuffie e quando me le tolsi, fu anche peggio.
Una voce che stentavo a riconoscere mi stava urlando 'FROCIO PEZZO DI MERDA COMUNISTA! LO SAI CHI STAI IGNORANDO? EH?! LO SAI?! IO SONO IL PORTABANDIERA DELLA...' e qua disse una parola che nelle sue intenzioni doveva suonare molto arianamente germanica ma che venne fuori come fanno parlare i turisti tirolesi nei film dei Vanzina.
La cosa divertente è che io in quel periodo una rissa non me la sarei mai fatta scappare e chiunque altro lo avrei percosso ripetutamente con una gamba la tavolo che avrei svitato silenziosamente mentre facevo di sì con la testa con sguardo compìto e invece quella volta restai completamente immobile.
Vidi portare Paolo fuori dal negozio a forza, senza nemmeno riuscire a chiudere un po' di più la mascella.
E poi non sentii mai più parlare di lui.
Fino a Marzo di quest'anno, quando - non chiedetemi perché... forse per lo stesso motivo che mi spinge a girovagare con street view nei luoghi che un tempo mi resero quello che sono - cercai Paolo B. su facebook e trovai il suo profilo, aperto al pubblico.
Ho impiegato parecchi giorni a liberarmi del senso di vuoto e di tristezza che mi venne non nel leggere quello che scriveva (poche frasi sgrammaticate e sconclusionate) ma nel vedere le foto che postava.
Paolo aveva migliaia di foto tutte pressoché uguali... un selfie ogni mattina con faccia seria e la testa ancora appoggiata sul cuscino, labbra leggermente dischiuse e un espressione che nel suo povero immaginario doveva essere da duro.
Migliaia di foto a ritroso nel tempo e tutte con un solo like.
Il suo.
Ci credete se vi dico che mi sono messo a piangere?
Per me non era un bel periodo e in una parte molto spinosa e dolorosa del mio cuore mi sono detto che, forse, se gli avessi dato il mio numero di telefono oggi sarebbe stato una persona felice, circondato dall'amore dei suoi amici e magari con una donna accanto.
E invece sentivo di averlo lasciato scivolare via dalla vita di tutti noi che stavamo andando avanti, senza nemmeno fare il gesto di tendere la mano.
Vabbe'... ve lo volevo raccontare perché, razionalmente, ero riuscito a farmene una ragione ma poi Zerocalcare ha rigirato il coltello in quella succitata parte spinosa e dolorosa del mio cuore.
Zerocalcare e forse quel video che ho fatto alla lucciola che stasera è rimasta incastrata dentro la zanzariera della camera, a brillare inutilmente per richiamare altre lucciole che mai avrebbe potuto raggiungere.
Quella lucciola poi l'ho liberata... ma avrei voluto liberare anche Paolo.
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La conchiglia vuota,
di un mare senza parole.
Tace tra la sabbia
dove ancora il sole,
incurante,
ha la forza di brillare.
Cantano da lontano i giardini
nei giochi di altri bambini
e di un altro cielo.
Mi ferma nella mia corsa il bianco intorno
e nella eco che non mi arriva più
da un mollusco indistinto e lasciato
ascolto finalmente tacere
tutte le mie parole.
Tatiana Andena
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Gran Turismo - La storia di un sogno impossibile: Neill Blomkamp ci porta in pista
Gran Turismo - La storia di un sogno impossibile, il film di Neill Blomkamp con Orlando Bloom, David Harbour e Djimon Hounsou che racconta la storia vera di Jann Mardenborough, diventato pilota professionista partendo dagli esport.
Ricordiamo tutti bene o male l'arrivo del primo Gran Turismo su Playstation nel 1997, in particolare la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di molto diverso da tanti altri giochi di guida di quel periodo, per la sua natura di simulazione e per l'attenzione maniacale alle auto presenti nel titolo Polyphony. Ripensando a quel periodo che mi approccio a scrivere di Gran Turismo - La storia di un sogno impossibile, che porta su grande schermo un aspetto specifico del mondo del franchise videoludico, quello che lo lega alla realtà delle corse automobilistiche a cui si ispira: la GT Academy e il programma promosso da Nissan per strappare i migliori piloti della simulazione di guida dalla comodità delle proprie stanze e portarli in pista, dalle auto virtuali a quelle reali.
Dalla stanza alla strada: una trama ispirata alla realtà
Gran Turismo: La storia di un sogno impossibile - una foto del film
Gran Turismo - La storia di un sogno impossibile racconta la vicenda reale e l'avventura di Jann Mardenborough, uno di quelli che quel sogno impossibile, a cui fa riferimento il titolo italiano, l'ha concretizzato, diventando un vero pilota automobilistico senza seguire la trafila classica dei suoi colleghi, senza passare per i kart e le altre tappe canoniche di chi ambisce a guidare auto da corsa, ma partendo dalle ore e ore passate sulle piste riprodotte nel gioco e a calibrare l'assetto delle vetture. Una storia vera che gli autori raccontano passando per le tappe canoniche di questo tipo di film, veicolandola in un racconto efficace e coinvolgente che passa per successi e fallimenti, fatica, sacrificio e inevitabili drammi.
La forza di Jann
Gran Turismo: La storia di un sogno impossibile - David Harbour, Archie Madekwe in una scena
Emergono la forza di volontà e la dedizione con cui Jann Mardenborough ha affrontato questo difficile salto dalle auto virtuali a quelle reali, anche grazie alla misura e spontaneità con cui Archie Madekwe lo porta su schermo: funziona il giovane attore, così come David Harbour che interpreta il suo allenatore Jack Salter, ex pilota ritirato che accetta di condurre la GT Academy voluta da Nissan, al netto di uno script che non fa dell'attenzione ai dialoghi e la definizione dei personaggi il suo punto di forza. Qualche perplessità in più la trasmette Orlando Bloom, sopra le righe ed enfatico nel costruire il suo Danny Moore, l'uomo di marketing che ha messo in piedi il progetto dell'accademia per piloti di Gran Turismo.
L'estetica del gioco, la fisicità delle corse
Alla guida del progetto troviamo Neill Blomkamp, autore di film di culto come District 9, che qui si mette al servizio della storia senza eccedere in guizzi personali. Lo fa dando comunque un valore aggiunto a Gran Turismo, perché riesce a mantenere e trasmettere il difficile equilibrio tra le gare su schermo e quelle su pista: ammicca ai giochi, costruisce sequenze in cui l'auto è al centro e richiama l'inquadrature dei racing game a cui siamo abituati, aggiunge in sovrimpressione traiettorie e marcatori dei piloti e delle posizioni in gara, ma allo stesso tempo dedica attenzione a dettagli fisici e reali, che evitano la sensazione di freddezza e distacco.
Gran Turismo: La storia di un sogno impossibile - una scena
Come fatto dalla GT Academy con i giovani aspiranti piloti, Blomkamp viene a prenderci nella sicurezza delle nostre consuetudini da videogiocatori e ci catapulta in pista. Foglie e ghiaia, la solidità dei cordoli, la fatica e il sudore dei piloti: tanti dettagli che comunicano le diverse sensazioni che i giovani alla guida, e noi spettatori con loro, si trovano a dover affrontare in questo salto dal gioco alla realtà. Dettagli che richiamano le origini di questa storia e le radici videoludiche, ma immergono nell'azione.
Dinamismo ed emozione (da manuale)
Gran Turismo: La storia di un sogno impossibile - David Harbour in una scena del film
Scorre con agilità il Gran Turismo di Blomkamp, seguendo i canoni classici di questo genere di film e una costruzione da manuale che richiama i grandi classici sportivi, da Karate Kid a Rocky. Lo fa con sicurezza e piglio tale da catturare l'attenzione con una gestione dei tempi che non cede mai alla noia, che imbriglia e coinvolge, pur nella sua inevitabile natura di spot per il gioco, l'Academy e la Nissan: ci si ritrova a partecipare emotivamente alle gesta di Jann, ai primi fallimenti così come ai successi, volando da una gara all'altra con una semplicità di racconto che a molto cinema d'intrattenimento di oggi sta mancando. Ne pagano lo scotto una certa superficialità nei dialoghi e nella costruzione dei personaggi, soprattutto quelli secondari, ma quel che conta in un film del genere è l'epopea sportiva, la preparazione e la gara, e questi aspetti sono riprodotti con cura e senso della messa in scena da Neill Blomkamp.
Conclusioni
In conclusione in Gran Turismo - La storia di un sogno impossibile Neill Blomkamp ha confezionato un film dinamico, che intrattiene nel raccontare le gesta del giovane Jann Mardenborough nel suo passaggio dalle simulazioni di corsa alla guida in pista. Gran Turismo è un film dall'impianto narrativo semplice, dal gran ritmo, che pecca nell'approfondimento dei personaggi e nella scrittura dei dialoghi, ma cattura l'attenzione e coinvolge. Merito anche di Archie Madekwe, che interpreta il protagonista e di David Harbour che dà vita al suo allenatore alla GT Academy.
👍🏻
Il dinamismo e il piglio con cui sono dirette le sequenze delle gare.
Il ritmo generale del film, che cattura e non scivola mai nella noia.
La fisicità trasmessa da alcuni dettagli, che rende il tutto concreto ed equilibra gli ammiccamenti al mondo del videogioco.
Le prove dei protagonisti, in particolare Archie Madekwe e David Harbour…
👎🏻
… nonostante uno script che non approfondisce i personaggi e un Orlando Bloom sopra le righe.
Per sua natura il film è un grande spot al gioco, all'Academy e alla Nissan.
#gran turismo#gran turismo la storia di un sogno impossibile#recensione#review#movie review#recensione film#archie madekwe#david harbour#orlando bloom#jann mardenborough#prime video#amazon prime video
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Non smettiamo mai di giocare. Iniziamo con le giostrine, le costruzioni, le bambole, i peluche, i soldatini, le matite colorate, i carillon, le macchinine, le palline, la sabbia, gli aquiloni, le altalene, gli scivoli. I giochi di gruppo, il pallone, il tennis, le gare di corsa, nascondino, i castelli di sabbia, i videogiochi. Poi i casinò, i giochi di azzardo, la tombola, le scommesse, i giochi di società. A chi arriva primo, a chi mangia più costolette, a chi centra la boccia dei pesciolini rossi con la pallina. Immaginiamo, inventiamo, scherziamo. Giochiamo a carte, ai cruciverba, a sudoku, ai quiz, alla corsa dei sacchi. A chi fa i tuffi più spericolati, a chi indovina più canzoni, a chi mangia più salsicce. Giochiamo tanto e giochiamo sempre. Ed è bellissimo che sia così.
Tra i giochi, un tempo, ce n’era uno terribile. Un gioco che solo poche persone amavano e del quale loro decidevano le regole. E poi obbligavano tutti a giocarlo. Un gioco crudele inutile. Era un gioco in cui nessuno vinceva e milioni di persone perdevano. Un gioco dove non si rideva mai e si moriva per davvero. Ma per fortuna ormai non lo ricorda più nessuno e nessuno ci chiede più di giocarlo. Per fortuna…
Domani si va di lotto e superenalotto, e a guardare il Milan che gioca a Torino. Chissà come andrà. Scommettiamo? VB
(Immagine di Thomas Bossard)
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due sere fa sono rimasta sveglia a studiare fino alle 3 e ieri alle 8 ero già in macchina verso l'università. per fortuna non ero fra i primi dell'appello perché la prof procedeva per verbali e ho aspettato 5 ore prima che toccasse a me. ripassare prima dell'esame è una cosa che ho smesso di fare qualche anno fa e di solito se i prof danno la possibilità di scegliere sono la prima a propormi ma ieri non dovevo ripassare, dovevo studiare. ho studiato fino all'ultimo secondo, con l'acqua alla gola, quando la prof mi ha chiamata alle 14:52 e io ero lì fuori che cercavo di finire le 50 pagine centrali di wide sargasso sea dopo aver provato in tutti i modi a memorizzare opere e date di autori degli ultimi due secoli, mentre leggevo su wikipedia le teorie di godwin e rousseau che hanno influenzato shelley e la storia coloniale dell'impero della regina vittoria e cosa questo avesse a che fare con dracula, associando i punti principali della poetica di lawrence forster e ford a immagini improbabili nella mia mente con giochi di parole che difficilmente dimenticherò. quando mi sono seduta lei si è ricordata di me perché l'altro giorno per letteratura1 aveva notato il mio dilatatore. stava mangiando dei biscotti e mi ha detto dopo gliene offro uno, ora facciamo l'esame. mi ha chiesto di nuovo un solo autore del manuale, blake, l'ultimo preromantico, uno di quelli che ricordavo meglio. poi in italiano mi ha fatto una domanda sugli studi postcoloniali. quando ho preparato letteratura1 sono andata così a fondo in quest'argomento per cercare di capire cose che non capivo (tipo il discorso di foucault e il pensiero della spivak), che a questa domanda ho risposto così bene che mi ha interrotta dicendomi che non c'era bisogno di continuare. poi mi ha chiesto di prendere la mia copia di jane eyre e quando l'ho posata sulla scrivania ha riso e ha detto oh finalmente un libro vissuto, le è piaciuto? mi sono rilassata immediatamente e ho detto di sì, soprattutto perché era la prima volta che lo leggevo, e mentre lo sfogliava per decidere quale parte farmi analizzare pensavo glielo dico o non glielo dico e alla fine ho detto che in realtà però mi ha turbata perché mi dispiace non aver odiato mr rochester e berta è così silenziata in jane eyre che quasi mi dimenticavo di lei e sapevo che era sbagliato e quindi sono stata combattuta e lei ha riso e mi ha chiesto di analizzare un paragrafo e fare un confronto con quello che succede su wide sargasso sea e mi ha chiesto di approfondire quel pensiero e se leggere la riscrittura della rhys mi aveva fatto cambiare idea. poi mi ha fatto un'ultima domanda sulla warner che non ho capito bene ma alla quale ho risposto con tutto quello che mi veniva in mente e poi mi ha fermata e mi ha detto va bene così, le metto 30. ho rifiutato il biscotto che mi aveva offerto perché tanto comunque stavo andando a casa, ho salutato e sono scappata via. non ho preso neanche l'ascensore, ho fatto sette piani piangendo al telefono con mia mamma e quando sono uscita mi sono accorta a contatto con l'aria gelida di non aver messo neanche il cappotto e di avere in mano ancora il raccoglitore le fotocopie jane eyre e sono andata di corsa verso la macchina di mio padre e da lontano gli ho gridato indovina chi ha preso 30 all'ultimo esame? e per tutto il viaggio verso casa ho solo sorriso, sorriso e pensato che non solo ce l'avevo fatta, ma che è stato anche un successo quando io pensavo a come in caso avrei dovuto chiedere un'altra domanda per arrivare al 18. negli ultimi 10 giorni sono stata veramente soffocata dall'ansia di non farcela e dover rimandare la laurea, di sentirmi chiedere cose di cui non avevo la minima idea o, peggio, di cui avrei saputo parlare se avessi studiato meglio. ora devo iniziare la prova finale ma mi sembra incredibile essere arrivata a questo traguardo e in questo modo. ho pensato che in fin dei conti mi piace studiare (assurdo, lo so) e che sono stata veramente brava e sono contenta perché non sono stata davvero sola. quest'ultima in particolare è la mia gioia più grande in questo momento
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quanto sei stanco
lo vedo tra le sopracciglia
la fronte si rilassa
solo quando vedi tua figlia
il gilet vecchio
con le tasche piene di giochi
le sigarette prima di toy story
e sei cambiato
solo in faccia
la stessa vita di corsa
ma meno occhi
meno giochi
più sigarette ed io fuori
tu fumi di là
un padre vuole bene ad una figlia quando la conosce la prima volta
la seconda presentazione non va come previsto
ora guardiamo entrambi il padrino
siamo legati ma questo è quanto
la gravità c'è ma è trasparente
tu non sei disposto a colorarla
io ho la polvere ma non so se usarla
guarda me
non so se lo merito
non ho strumenti per saperlo
ora hai solo tabacco e sorrisi
mi lanci le molliche
ma mi ritrovo a raccoglierle sempre da sola
ti voglio bene
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youtube
Tutto ha inizio di fronte al mare.
Sia il tuo sguardo cosciente che il tuo subconsio inquieto e sognante.
Il mare è la domanda ed il mare, molte volte è anche la risposta.
Una risposta sfuggente, sottile da afferrare ma fatta della stessa materia dei sogni, delle tue fantasie, di quella irrequietezza antica che ti porti fin da bambino.
Davanti al mare ti incantavi per ore con gli occhi sgranati davanti a tanto miracolo. Per ore, immaginando l'arrivo da quel lontano orizzonte, dei pirati, o di un popolo conquistatore.
Ci contavi e quando faceva sera, ti dicevi "Sarà per domani. Lo sbarco avverrà forse stanotte, forse all'alba favorito dalla luna piena"
Quel mare, già allora sentito come amico di giochi, tu non l'hai mai tradito, ma l'hai riposto fra le cose più sacre.
Era l'amico che ti porgeva nuove curiosità e interrogativi. Così simile, già allora, alla tua mente inquieta e multiforme.
Oggi, lo ritrovi d'inverno nelle tue escursioni per chilometri sulla sabbia bagnata, di corsa o passeggiando, quando cerchi la pace che la città e le persone ti hanno sottratto.
Oppure lo ritrovi ad aprile nel vento degli aquiloni e nelle mareggiate furiose di certe notti di primavera.
E poi a maggio quanto ti distendi sul caldo tepore della sabbia, per ritrovare la solidità del pianeta, sotto la schiena. O quando voli assieme ai gabbiani nel vento delle bandiere tese a tremolare.
Quando l'aria stessa, prende ad ondeggiare nel vapore della lontananza e dell'orizzonte.
Allora ti lasci invadere dalle emozioni e dal calore della stagione abbagliante che viene.
E' allora che ti arrendi e lasci che la luce arrivi a saziarti gli occhi e la fame d'altrove.
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fjo: Metal Fangs
Sistema Mega Drive | Produttore Victor | Sviluppatore Sega R&D 8 | Versione Giapponese | Uscita 17 dicembre 1993
Nel 1993, la Victor pubblicò Metal Fangs per Sega Mega Drive, un gioco di corse e combattimento ambientato in un mondo cyberpunk. Sviluppato da Sega R&D 8 (quasi sicuramente con la collaborazione di Genki), nonostante l’idea intrigante il gioco non riuscì mai a emergere, rimanendo quasi sconosciuto al di fuori del suolo nipponico.
In Metal Fangs, i giocatori guidano una squadra di quattro veicoli che si affrontano su piste circolari. L’obiettivo non è solo tagliare il traguardo per primi, ma anche eliminare gli avversari. Il gameplay, però, è piuttosto limitato in termini di varietà. Le armi disponibili sono poche e le munizioni scarseggiano, costringendo i giocatori a fare affidamento quasi esclusivamente sugli scontri diretti per distruggere gli altri veicoli. Questo aspetto rende le gare più incentrate sulla sopravvivenza che sulla velocità. A peggiorare la situazione, non è possibile aumentare la velocità dei veicoli né invertire la direzione di marcia durante la corsa, restringendo così le opzioni tattiche e rendendo l’azione prevedibile.
La personalizzazione dei veicoli, che avrebbe potuto aggiungere profondità al gioco, risulta essere piuttosto superficiale. È possibile modificare alcuni parametri, come la resistenza o la potenza delle armi, ma questi cambiamenti non hanno un impatto significativo sul corso delle gare. I veicoli sono inoltre molto fragili: ogni scontro diretto non danneggia solo gli avversari, ma anche il proprio mezzo, obbligando il giocatore a bilanciare attentamente l’aggressività, visto l’alto rischio di autodistruzione. Questo meccanismo rende le gare più difensive e meno dinamiche, in contrasto con la promessa iniziale di un gioco frenetico e violento.
Ciò che salva Metal Fangs dal completo oblio è la colonna sonora, composta da Hiroshi Kawaguchi, famoso per le musiche di giochi iconici come Space Harrier e OutRun. Le tracce musicali sono energiche e ben si adattano all’ambientazione futuristica. La musica aiuta a mantenere viva l’atmosfera, anche quando il gameplay fatica a farlo (cioè quasi sempre).
Metal Fangs potrebbe affascinare i collezionisti di retro gaming per il suo concept unico e la colonna sonora di alto livello; tuttavia, a causa della sua ripetitività e della limitata profondità del gameplay, non è riuscito a lasciare un’impronta significativa nel panorama videoludico dell’epoca, rimanendo perlopiù un titolo di nicchia.
G
Metal Cards Tra una gara e l'altra, i giocatori possono cimentarsi in un mini gioco di carte, molto basilare, dove è possibile scommettere il denaro guadagnato durante le corse. L'obiettivo è indovinare se la prossima carta del mazzo virtuale sarà più alta o più bassa di quella visibile. Questo mini gioco, tuttavia, non si integra bene con il contesto e risulta abbastanza fuori luogo, sebbene consenta di guadagnare crediti extra per personalizzare i veicoli.
Immagini Hardcore Gaming 101
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Il Natale è una delle tradizioni più forti nella nostra cultura occidentale. Festa un tempo dal forte significato religioso, piano piano si è spogliata più o meno degli elementi spirituali, per diventare un rito sociale, emotivo, affettivo e commerciale.
Ci sono immagini stereotipate di questa ricorrenza legate alla famiglia, allo scambio di doni. E' un momento che coincide con la fine dell'anno. Insomma è epoca di bilanci veri o presunti per molti. Ciò che non viene molto analizzato è l'aspetto psicologico del Natale. Come stagione esso coincide con il solstizio d'inverno, giornate corte, poche ore di luce, e per molti il buio si traduce in una tristezza, in uno stato d'animo classificato anche nella Bibbia clinica di noi psicologi, il DSM (Diagnostic and statistical manual of mental disorders), come Disordine affettivo stagionale (SAD), in questo caso detto anche Winter Blues (malinconia invernale).
Fatto sta che il Natale non lascia indifferenti né gli entusiasti né i sofferenti.
Quali sono i fattori psicologici da tenere presenti che potrebbero influire su questa ricorrenza?
1. La pressione
C'è una componente stressogena nei preparativi. C'è una doverizzazione incalzante, il Natale può diventare una maratona di prestazioni. Occorre preparare cibi speciali e costosi. Acquistare abiti eleganti da sfoggiare. La corsa al regalo d'effetto, per forza.
2. L'ansia da prestazione
Anche se non si hanno le possibilità economiche, si sente la pressione a (stra)fare, dare, dire qualcosa "di più". E si ha paura di non fare in tempo a mantenere ritmi e procedimenti richiesti dalle festività.
3. Paura di essere inadeguati
In un mondo di social dove tutti sembrano essere "issimi", felicissimi, palestratissimi, tonicissimi, e godere di vacanzissime, chi non appartiene a tutto questo, se si paragona, si sentirà impari.
4. Senso di solitudine
Per alcuni il Natale è un momento atroce. Per chi è fuori dal coro dell'euforia, per i senza tetto, i senza famiglia, i senza qualcuno o qualcosa. Per chi ha perso la felicità, per chi ha subìto la perdita di un caro, per coloro che hanno interrotto una relazione, per chi sente di viaggiare a una frequenza diversa da quanto proposto nel collettivo, il frastuono natalizio e le sue luci sono un'aggressione crudele, in cui ci si sente sfasati e asincroni.
5. Un senso di urgenza a recuperare gli ultimi due anni in cui il giorno di Natale eravamo chiusi in casa, con limitazioni o con tanta paura per i nostri cari più anziani. Frenesia ancora maggiore e voglia di rifarsi sono due componenti da non sottovalutare in questo periodo di post pandemia (augurandoci che sia davvero post).
Come poter ridimensionare tutte queste trappole?
Andando controcorrente. Riducendo la velocità, e utilizzando altre parole chiave: decongestionare, decomprimere, rallentare la corsa sfrenata. Assaporare invece un tempo lento, prediligere lo stare al fare. Cogliere l'occasione per condividere l'ozio, un gioco. Guardare un film insieme, riscoprire i giochi da tavolo. Ognuno può dare il proprio contributo nel creare belle situazioni, distese e senza pretese. Riscoprire il piacere di spegnere tutto e chiacchierare. Il piacere condiviso non può essere a senso unico, vanno messe in atto capacità di mediare e includere. E' un'opportunità per mettere da parte vecchie angherie e personalismi. Si può acconsentire a quel pranzo con quei parenti proprio non gradevoli, il prossimo qualcuno potrebbe non esserci più, e quel qualcuno potremmo anche essere noi.
La rigidità non paga, e nemmeno il buonismo. Se proprio non riusciamo a fluire, optiamo per fare altro e invece che forzarci ad essere falsi scegliamo una meta lontana, sia emotivamente che nello spazio. Questo vale anche per chi non riesce a tollerare il dolore. In questo caso dà sollievo aiutare chi ha più bisogno. Si può scegliere di andare in un ricovero a cantare, servire i pasti alla mensa dei poveri, in ogni città ci sono centri di aiuto. E per chi se la sente, è possibile ad esempio recarsi presso le case di madre Teresa a fare volontariato.
Ricordiamoci che il regalo più bello che possiamo fare a chi ci vuole bene è la nostra sincera presenza. A partire da noi stessi.
Con l'augurio di serene feste a tutti
Ameya Canovi
#ditroppoamore #natale2022
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UNA GIORNATA AL PARCO 4° Edizione 2024
sabato 28 settembre 2024 a partire dalle ore 11.00 presso il Parco BENNI di Vedrana
Picnic sul prato del parco, un laboratorio creativo e ci divertiremo con la pentolaccia, la corsa coi sacchi, rubabandiera, moscacieca e tanti altri giochi. Saranno presenti famiglie di migranti di con i loro bambini , un’occasione di scambio culturale ed integrazione.
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Statuette depicting a Spartan woman engaged in running, 5th century BC
Estatuilla que representa a una mujer espartana corriendo, siglo V a.C.
Statuetta che ritrae una donna spartana impegnata nella corsa, V sec. aC
(English / Español / Italiano)
Ridiculous and ungainly, women who do not stay at home, in the gynaeceum, but walk around in skimpy clothes, this is how the Athenian men considered Spartan women, the only free ones in ancient Greece.
Girls with strong calves or 'show thighs' were a scandal for the Greeks: they ran, threw the javelin and participated in sports games. Even as children, Spartan women were encouraged to play sports to strengthen their physiques and thus produce stronger children: in fact, these masculine women were the most fertile in ancient Greece and, in the words of one of them, the only ones capable of producing real men.
Whatever one thinks of a very particular society like the Spartan one, the condition of women in Sparta was an extraordinary exception: to prevent girls from dying in childbirth, they were forbidden to marry too early, polyandry, i.e. having more than one man, and 'enjoying love' was encouraged. A woman who died in childbirth was considered to be on a par with a man who died a hero's death in war: she was buried with great ceremonies and her name was engraved on her tomb, contrary to what was done for all Spartans who considered themselves equal, homoioi, among themselves.
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Ridículas y desgarbadas, mujeres que no se quedan en casa, en el gineceo, sino que se pasean con poca ropa, así consideraban los hombres atenienses a las mujeres espartanas, las únicas libres de la antigua Grecia.
Las chicas con pantorrillas fuertes o "muslos de exhibición" eran un escándalo para los griegos: corrían, lanzaban la jabalina y participaban en juegos deportivos. Incluso de niñas, se animaba a las mujeres espartanas a practicar deportes para fortalecer su físico y producir así hijos más fuertes: de hecho, estas mujeres masculinas eran las más fértiles de la antigua Grecia y, en palabras de una de ellas, las únicas capaces de producir hombres de verdad.
Se piense lo que se piense de una sociedad tan particular como la espartana, la condición de la mujer en Esparta era una excepción extraordinaria: para evitar que las muchachas murieran al dar a luz, se les prohibía casarse demasiado pronto, se fomentaba la poliandria, es decir, tener más de un hombre, y "disfrutar del amor". Una mujer que moría de parto era considerada al mismo nivel que un hombre que moría como un héroe en la guerra: se la enterraba con grandes ceremonias y, al contrario de lo que se hacía con todos los espartanos que se consideraban iguales, homoioi, entre sí, se grababa su nombre en la tumba.
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Ridicole e sgraziate, donne che non stanno in casa, nel gineceo, ma girano in abiti succinti, così gli Ateniesi uomini consideravano le donne Spartane, le uniche libere nell’antica Grecia.
Le ragazze dai polpacci robusti o le « mostra cosce » erano uno scandalo per i greci: correvano, lanciavano il giavellotto e partecipavano ai giochi sportivi. Sin da bambine le donne spartane erano incoraggiate a fare sport per irrobustire il fisico e generare così figli più forti: in realtà queste donne mascoline erano le più fertili dell’antica Grecia, nonché, sono parole di una di loro, le uniche in grado di generare veri uomini.
Comunque la si pensi di una società particolarissima come quella spartana la condizione della donna era a Sparta una straordinaria eccezione: per evitare che le ragazze morissero di parto veniva loro proibito di sposarsi troppo presto, veniva incoraggiata la poliandria, avere cioè più uomini, e il « godersi l’amore ». La donna poi che fosse morta di parto era considerata al pari di un uomo che moriva in guerra da eroe: veniva seppellita con grandi cerimonie e sulla sua tomba, contrariamente a ciò che veniva fatto per tutti gli spartani che tra loro si consideravano uguali, homoioi,, veniva inciso il nome.
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Skateboarding Park
Finale femminile Parigi 2024
🥇Arisa Trew
(14 anni, 🇦🇺AUSTRALIA) vince l'oro nel park di skateboard femminile ai suoi primi Giochi Olimpici! Ha segnato un 93,18 nella sua terza corsa che includeva un backside 360 melon grab, McTwist 540, body varial 540, kickflip indy e noseblunt to fakie.
🥈Kokona Hiraki Ha segnato un 92.63(26 Agosto 2008, 🇯🇵GIAPPONE) Ha segnato un 92.63
Vincitrice della medaglia d’argento nel park femminile ai Giochi olimpici di Tokyo 2020.
🥉Sky Brown (16 anni,🇬🇧Regno Unito)conquista la medaglia di bronzo con una spalla dislocata con un punteggio di 92.31.
Vincitrice della medaglia di bronzo nel park femminile ai Giochi olimpici di Tokyo 2020.
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Parigi 2024: L’importanza dell’Abbigliamento Sportivo ai Giochi Olimpici
I Giochi della XXXIII Olimpiade, conosciuti commercialmente come Parigi 2024, si terranno a Parigi, in Francia, dal 26 luglio all’11 agosto 2024. Questo evento segnerà il centesimo anniversario dall’ultima volta che la città ha ospitato i Giochi Olimpici. L’assegnazione di Parigi come città ospitante è stata ufficializzata il 13 settembre 2017 durante la 131ª Sessione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) a Lima, in Perù. Parigi diventerà così la seconda città, dopo Londra, a ospitare per tre volte i Giochi Olimpici estivi, dopo le edizioni del 1900 e del 1924.
Assegnazione dei Giochi
Il processo di selezione della città organizzatrice dei Giochi della XXXIII Olimpiade è iniziato il 16 settembre 2015, quando il CIO ha annunciato le cinque città candidate: Budapest, Amburgo, Los Angeles, Parigi e Roma. Tuttavia, Budapest, Amburgo e Roma si sono successivamente ritirate, lasciando Parigi e Los Angeles in corsa. Il 9 giugno 2017, a causa dei ritiri, il comitato esecutivo del CIO ha proposto di assegnare contemporaneamente i Giochi del 2024 e del 2028, con Parigi scelta per il 2024 e Los Angeles per il 2028.
Il Passaggio della Torcia
Il passaggio della torcia olimpica per Parigi 2024 è iniziato il 16 aprile ad Olimpia, in Grecia. Il primo tedoforo è stato il vogatore greco Stefanos Douskos, seguito dalla nuotatrice francese Laure Manaudou. Tuttavia, la staffetta in Nuova Caledonia è stata annullata a causa di disordini locali.
Simboli e Mascotte
Per questa edizione dei Giochi, sono stati realizzati due loghi: uno per la fase di candidatura e uno ufficiale per i Giochi, svelato il 21 ottobre 2019. Il logo combina una medaglia d’oro, la fiamma olimpica e la Marianne, simboli della vittoria, dell’unione attraverso lo sport e dei valori di uguaglianza e fratellanza. La mascotte, Phryge, ispirata ai berretti frigi della Rivoluzione francese, rappresenta la libertà e l’inclusività.
Medaglie
Le medaglie di Parigi 2024 presentano gettoni di rottami di ferro dalla Torre Eiffel. Le medaglie d’oro sono realizzate con il 98,8% di argento e l’1,13% di oro, mentre le medaglie di bronzo sono realizzate con rame, zinco e stagno.
Sedi di Gara
In linea con l’Olympic Agenda 2020 del CIO, Parigi 2024 utilizzerà prevalentemente impianti esistenti o temporanei, con solo alcune strutture permanenti nuove, come l’Arena Porte de la Chapelle, il centro acquatico di Saint-Denis e lo stadio di arrampicata di Le Bourget.
Paesi Partecipanti
Nel settembre 2022, il CIO ha sospeso gli atleti del Guatemala a causa di controversie interne al Comitato Olimpico Guatemalteco. Inoltre, i Comitati Olimpici di Russia e Bielorussia sono stati sospesi per violazione della tregua olimpica, con gli atleti di questi paesi che gareggeranno come “Atleti Individuali Neutrali”.
Abbigliamento Sportivo ai Giochi Olimpici
Un elemento fondamentale per gli atleti che parteciperanno ai Giochi di Parigi 2024 sarà l’abbigliamento sportivo. Questo non solo per il comfort, ma anche per migliorare le prestazioni e garantire la sicurezza durante le competizioni. L’abbigliamento sportivo ha evoluto enormemente negli ultimi decenni, grazie a materiali tecnici avanzati che offrono leggerezza, traspirabilità e resistenza all’acqua.
L’importanza dell’abbigliamento sportivo si estende a tutte le discipline olimpiche, dove la scelta del giusto equipaggiamento può fare la differenza tra una performance mediocre e una vittoria. Gli atleti utilizzano capi specifici per ogni tipo di sport, adattati alle esigenze particolari della disciplina. Ad esempio, le scarpe tecniche sono progettate per offrire aderenza e supporto su terreni variabili, essenziali per sport come il trail running e il ciclismo.
Innovazioni Tecnologiche nell’Abbigliamento Sportivo
Le innovazioni tecnologiche nell’abbigliamento sportivo hanno rivoluzionato il modo in cui gli atleti si preparano e competono. Tessuti con proprietà di termoregolazione aiutano a mantenere una temperatura corporea ottimale, mentre materiali antibatterici e anti-odore sono fondamentali per le gare lunghe e impegnative. Inoltre, l’integrazione di sensori e dispositivi elettronici negli indumenti sportivi permette di monitorare parametri fisiologici cruciali, come la frequenza cardiaca e la temperatura corporea, ottimizzando così le prestazioni.
Conclusioni
Parigi 2024 promette di essere un evento straordinario, non solo per la storicità dell’evento, ma anche per l’attenzione all’innovazione e alla sostenibilità. L’abbigliamento sportivo giocherà un ruolo centrale nel garantire che gli atleti possano competere al meglio delle loro capacità. L’evoluzione dei materiali tecnici e delle tecnologie applicate all’abbigliamento sportivo continuerà a migliorare le prestazioni degli atleti, rendendo le competizioni sempre più emozionanti e spettacolari.
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Non c'era neanche un minuto di noia. D'estate tornai a casa solo per mangiare e quando gli adulti ti chiamarono a gran voce dalle finestre. Le scale con il cuore in gola perché si era sempre in ritardo, le ginocchia sbucciate tenute nascoste perché si era vietatissimo farsi male, il profumo buono del piatto fumante a tavola che mangiavi senza fare troppe storie pure quando non ti piaceva granché e poi ancora giochi e corsa perduta per le strade e nel vecchio cortile di casa. Con gli amici di sempre ma anche quelli dei palazzi accanto. Non era importante conoscersi, conoscere il nome. Bastava stare insieme, non occorreva altro. Il resto si è inventato. “Se ti fai male ti faccio il resto�� era il monitor più frequente delle mamme ma c'erano pure un paio di classici indimenticabili tipo “Io ti ho fatto, io ti distruggo” e “Vieni qui che non ti faccio niente” scandito a denti stretti e con piglio da generale tedesco. Una estate al mare, la mamma di una mia amichetta, le urlò dalla riva “Se affoghi, ti ammazzo” senza dubbio medaglia d'oro! Quanto ridemmo…
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