#giancarlo nudo
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giancarlo pavanello intervista andrea valcarenghi su "re nudo" (pistoia, 30 nov. 1975)
https://archive.org/details/g.-pavanello-intervista-a-andrea-valcarenghi-su-re-nudo-pistoia-30-novembre-1975
#Andrea Valcarenghi#Anni &039;70#anni Settanta#archivio#audio#droghe#Giancarlo Pavanello#intervista#MART#nuova sinistra#Re Nudo#ricostruzioni
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Giancarlo Franco Tramontin (Italian, b.1931)
Efebo (Adolescent) - bronze - 1990
Figura Distesa (Reclining Figure) - Carrara ordinario marble - 2017
Figura seduta 2 (Seated Figure 2) - Bardiglio Imperiale marble - 2015
Nudo di ragazza (Nude of a Girl) - bronze - 2009
Nudo in controluce (Nude in Backlight) - Bardiglio marble - 2015
torso femminile (Female Torso) - Carrara ordinario marble - 2017
Risvlegio II (Resugence II) - Carrara statuario marble - 2015
Nudo Pomona 2 (Pomona Nude 2) - Belgian black marble - 2012
Nudo in controluce 2 (Nude in Backlight 2) - Carrara statuario marble - 2012
Forma (Figure) - Carrara ordinario marble - 2017
Forma Rannicchiata (Curled-up Figure) - Carrara ordinario marble - 2017
#art by others#other's artwork#sculpture#female figure#marble#bronze#Venice#Giancarlo Franco Tramontin
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Paola Mattioli - Il nuovo libro “Paola, Io”
La raccolta poetica che coinvolge ogni emozione
La scrittrice Paola Mattioli pubblica la sua nuova raccolta di poesie “Paola, Io” con le Edizioni We. Si tratta di un libro intimo, personale, dove la carica emotiva è portata ai massimi livelli: ogni essere umano può sentirsi vicino alle tematiche trattate ed è stimolato alla riflessione. L’anima dell’artista è messa a nudo e, attraverso le parole, desidera farsi conoscere da un pubblico di lettori sensibili, capaci di accogliere la profondità del suo messaggio. I versi, oltre ad abbracciare argomenti a Lei cari, sono anche dedicati a personaggi realmente esistiti, che vengono omaggiati con assoluto rispetto. Ogni poesia merita di essere letta con attenzione, empatia e raffinatezza, al fine di poter ricavare un’esperienza completa, capace di arricchire l’esistenza di ognuno.
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Storia dell’artista
Paola Mattioli è nata a Bologna il 27 novembre del 1972. È cresciuta in un ambiente stimolante, con i genitori e la sorella Silvia: la precaria condizione di salute, tuttavia, l’ha costretta a vivere sotto una campana di vetro. La scuola magistrale è un punto di svolta nella sua vita, poiché inizia ad uscire dal bocciolo della timidezza, iniziando a fiorire. In questo periodo, si appassiona alla scrittura di poesie, facendo scivolare liberamente le parole sul foglio. La formazione scolastica prosegue con la frequentazione di un corso professionale serale per Assistente di Comunità Infantili (due anni in uno). Subito dopo il diploma, intraprende una fase lavorativa da impiegata precaria, che danneggia la speranza di poter costruire un futuro. Nel ‘95, Paola partecipa ad un concorso per Educatori Nido, risulta idonea e viene assunta dal comune di Bologna, diventando di ruolo nel 2007. Dopo la morte della madre, riprende a scrivere costantemente, avvertendo il bisogno di esprimere i suoi sentimenti più profondi. È così che nascono i suoi componimenti in età matura, dove si alternano momenti di silenzio e di euforia e viene a galla, con una vena malinconica, l’irrinunciabile bellezza della vita e dei suoi aspetti.
Blog: www.lepoesiedipaolamattioli.it
Facebook: https://www.facebook.com/VorreidiPaolaMattioli
Instagram: https://www.instagram.com/paolamattiolipoetessa/
YouTube: https://www.youtube.com/@PaolaMattiolipoetessa
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Tre decadi demenziali nel segno dei Loscki Bosky
Tre decadi demenziali nel segno dei Loscki Bosky
Locandina del secondo concerto dei Loscki Bosky (per gentile concessione di Guido Rossetti) Era il 16 febbraio del 1993. Un martedì sera qualunque di quasi trent’anni fa. Ero capitato quasi per caso nei locali seminterrati della discoteca Break di Pinerolo. L’ex Topo Rosso, per chi ha qualche anno in più. Per intenderci, quella che poi fece posto alle Cantine Stevenson, pub affacciato su uno dei…
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#alberto velo#alessandro chiappetta#alessio scotto#bruno veglio#carlo cannarozzo#carmen sanua#corrado defendi#cosimo mirabella#danilo comba#dario balmas#eelko veerman#emanuele contini#eugenio martina#francesco tealdi#giancarlo nudo#gianni valle#ivan audero#loscki bosky#marco bertelli motta#marco boaglio#marco peron#marco priotti#mario valenzisi#massimo fenoglio#massimo pollo#matteo doria#maurizio martina#mauro carella#michael arora#nadir bertone
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Giancarlo Buttignol Nudo di ragazza con treccina
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Il 26 gennaio 1982 con l’arresto di Elisabetta Arcangeli inizia l’operazione di polizia che porterà alla fine del sequestro del Generale Dozier.
26 Gennaio 1982: Torture di Stato a Verona
Le torture al compagno Cesare Di Lenardo da parte die N.O.C.S. a cui ruppero un timpano, bruciarono testicoli e pene , fu sottoposto ad una finta esecuzione nudo e bagnato con sehiate di acqua gelida furono solo una parte di quelle riportate dalla „confessione“ di Salvatore Genova ( funzionario dei N.O.C.S. e succesivamente politicante nel PSDI e nella DC)al settimanale „“L’ESPRESSO“del 06 Aprile 2012. „Confessione“ CHE bene rende il modus operandi della polizia in quel periodo.
Arriva Nicola Ciocia-De Tormentis, lo specialista del waterboarding
Il giorno dopo, a una riunione più allargata, partecipa anche un funzionario che tutti noi conosciamo di nome e di fama e che in quell’occasione ci viene presentato. E’ Nicola Ciocia, primo dirigente, capo della cosiddetta squadretta dei quattro dell’Ave Maria come li chiamiamo noi. Sono gli specialisti dell’interrogatorio duro, dell’acqua e sale: legano la vittima a un tavolo e, con un imbuto o con un tubo, gli fanno ingurgitare grandi quantità di acqua salata. La squadra è stata costituita all’indomani dell’uccisione di Moro con un compito preciso. Applicare anche ai detenuti politici quello che fanno tutte le squadre mobili. Ciocia, va precisato, non agì di propria iniziativa. La costituzione della squadretta fu decisa a livello ministeriale.
Ciocia, che Umberto Improta soprannomina dottor De Tormentis, un nomignolo che gli resta attaccato per tutta la vita, torna a Verona a gennaio, con i suoi uomini, i quattro dell’Ave Maria. Da più di un mese il generale è prigioniero, la pressione su di noi è altissima.
Improta, Fioriolli e Genova “disarticolano” (tradotto: pestano brutalmente) Nazareno Mantovani in un villino appositamente affittato per le torture
Il 23 gennaio viene arrestato un fiancheggiatore, Nazareno Mantovani. Iniziamo a interrogarlo noi, lo portiamo all’ultimo piano della questura. Oltre a me ci sono Improta e Fioriolli. Dobbiamo “disarticolarlo”, prepararlo per Ciocia e i quattro dell’Ave Maria. Lo facciamo a parole, ma non solo. Gli usiamo violenza, anche io. Poi bisogna portarlo da Ciocia in un villino preso in affitto dalla questura. Lo facciamo di notte. Lo carichiamo, bendato, su una macchina insieme a quattro dei nostri. Su un’altra ci sono Ciocia con i suoi uomini, incappucciati. Fioriolli, Improta e io, insieme ad altri agenti, siamo su altre due macchine. Una volta arrivati Mantovani viene spogliato, legato mani e piedi e Ciocia inizia il suo lavoro con noi come spettatori. Prima le minacce, dure, terrorizzanti: “Eccoti qua, il solito agnello sacrificale, sei in mano nostra, se non parli per te finisce male”. Poi il tubo in gola, l’acqua salatissima, il sale in bocca e l’acqua nel tubo. Dopo un quarto d’ora Mantovani sviene e si fermano. Poi riprendono. Mentre lo stanno trattando entra il capo dell’Ucigos, De Francisci, e fa smettere il waterboarding.
Dopo qualche giorno l’interrogatorio decisivo che ci porterà alla liberazione di Dozier, quello del br Ruggero Volinia e della sua compagna, Elisabetta Arcangeli.
Lo stupro di Elisabetta Arcangeli
Io sono fuori per degli arresti e quando rientro in questura vado all’ultimo piano. Qui, separati da un muro, perché potessero sentirsi ma non vedersi, ci sono Volinia e la Arcangeli. Li sta interrogando Fioriolli, ma sarei potuto essere io al suo posto, probabilmente mi sarei comportato allo stesso modo. Il nostro capo, Improta, segue tutto da vicino. La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con una pinza, le infilano un manganello nella vagina, la ragazza urla, il suo compagno la sente e viene picchiato duramente, colpito allo stomaco, alle gambe. Ha paura per sé ma soprattutto per la sua compagna. I due sono molto uniti, costruiranno poi la loro vita insieme, avranno due figlie. È uno dei momenti più vergognosi di quei giorni, uno dei momenti in cui dovrei arrestare i miei colleghi e me stesso. Invece carico insieme a loro Volinia su una macchina, lo portiamo alla villetta per il trattamento. Lo denudiamo, legato al tavolaccio subisce l’acqua e sale e dopo pochi minuti parla, ci dice dove è tenuto prigioniero il generale Dozier. Il blitz è un successo, prendiamo tutti e cinque i terroristi e li portiamo nella caserma della Celere di Padova. Ciascuno in una stanza, legato alle sedie, bendato, due donne e tre uomini. Tra loro Antonio Savasta che inizierà a parlare quasi subito, e proprio con me, consentendoci di fare centinaia di arresti.
Il giardino dei torturatori
Dopo i quattro dell’Ave maria arrivano i Guerrieri della notte
Ma le violenze non finiscono con la liberazione del generale. Il clima è surriscaldato. Tutti sanno come abbiamo fatto parlare Volinia e scatta l’imitazione, il “mano libera per tutti”. Un gruppo di poliziotti della celere, che si autodefinisce Guerrieri della notte, quando noi non ci siamo, va nelle stanze dove sono i cinque brigatisti e li picchia duramente. Un ufficiale della celere, uno di quei giorni, viene da me chiedendomi se può dare una ripassata a “quello stronzo”, riferendosi a Cesare Di Lenardo, l’unico dei cinque che non collabora con noi. Io non gli dico di no e inizia in quell’attimo la vicenda che ha portato al mio arresto. La mia responsabilità esiste ed è precisa, non aver impedito che il tenente Giancarlo Aralla portasse Di Lenardo fuori dalla caserma. La finta fucilazione e quello che accadde fuori dalla caserma lo sappiamo dalla testimonianza di Di Lenardo. Io rividi il detenuto alle docce. Degli agenti stavano improvvisando su di lui un trattamento di acqua e sale. Li feci smettere ma non li denunciai diventando così loro complice.
Dopo Padova torture anche a Mestre
La voglia di emulare, di menar le mani, di far parlare quegli “stronzi” non si ferma a Padova. Di Mestre so per certo. Al distretto di polizia vengono portati diversi terroristi arrestati dopo le indicazioni di Savasta. I poliziotti si improvvisano torturatori, usano acqua e sale senza essere preparati come Ciocia e i suoi, si fanno vedere da colleghi che parlano e denunciano. Ma l’inchiesta non porterà da nessuna parte.
Quando i giornali cominciano a parlare di torture e scatta l’indagine contro di me e gli altri per il caso Di Lenardo mi faccio vivo con Improta, gli dico che non voglio restare con il cerino in mano, che devono difendermi. Lui promette, dice di non preoccuparmi, ma solo l’elezione al Parlamento propostami dal Partito socialdemocratico mi toglie dal processo. Gli altri quattro arrestati con me vengono condannati in primo grado e, alla fine, amnistiati.
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di GIANCARLO LUPO ♦
Australia, Nella terra dei sogni, Dreamtime (terza parte)
Sveglia alle 5 e 30.
Greg si fa la barba in penombra, seduto sulla sua sedia a rotelle, rimirandosi in uno specchio portatile. Suo padre era nell’esercito, “you know”, dice, è una consuetudine. Dopo la morte del padre, per un po’ non ha voluto farsi la barba, ora ha ripreso la vecchia abitudine, ogni giorno.
Mi alzo a fatica, e mi preparo per l’uscita.
Fuori dal cancello, verso le 6:30, Josh, un frescone con un berretto di lana, camicia a mezze maniche sopra maglietta a maniche lunghe, bermuda e fare cool, ha un foglio in mano e fa l’appello per il giro, organizzato dal rock tour. Finite le pratiche dice: “Hit the road again,” e con un saltello si mette alla guida del furgone bianco.
Partiamo.
È un’alba bellissima e il paesaggio diventa cinematografico, a sedici noni. Si aprono di fronte a noi scenari di terra rossa, sconfinati, puntellati di bush verdi. Entriamo nell’outback australiano. Le automobili si fanno più rade, incontro a noi ci sono solo strade larghe, polverose e dritte. Alcuni road-trains sbucano di continuo dal tremolio del calore e invadono il centro della strada senza rallentare. I road-trains sono automezzi lunghissimi e giganteschi, a volte con tre rimorchi e più, per il trasporto merci.
Chiacchiero con Josh su ciò che ho letto sugli aborigeni. Una notizia curiosa mi aveva molto colpito: quando James Cook e i suoi marinai arrivarono nel 1770 non vennero degnati di uno sguardo dagli anangu, che pensarono di avere a che fare con personaggi di un sogno che non li riguardava. A giudicare dal numero degli ubriachi per le strade di Alice Springs, il sogno li riguardava, ma a quei tempi, non sembravano percepire il mondo nella maniera delle altre persone.
Cook e i gli esploratori successivi annotarono che alcune idee nel linguaggio aborigeno non erano espresse, per esempio, non avevano alcuna parola per dire “ieri” o “domani”. Non avevano capi o consigli di guerra, non indossavano vestiti o costruivano case con strutture permanenti, non coltivavano, né allevavano animali, non costruivano utensili o avevano ceramiche, nessuna idea del senso di povertà.
Sciorino a Josh altre conoscenze, apprese leggendo i libri di Bruce Chatwin: I Ciuringa oppure Churinga erano oggetti sacri degli aborigeni che rappresentavano gli antenati totemici.
Secondo gli aborigeni, il canto ha creato il mondo, infatti, gli Antenati totemici avrebbero cantato lungo il percorso dei canti, che di norma va da nord a sud del continente; gli Antenati, cantando, avrebbero dato origine a ogni cosa: queste “Piste del Sogno” sarebbero poi rimaste sulla terra come vie di comunicazione fra le tribù più lontane. Il canto quindi era una specie di mappa che serviva a un uomo in walkabout (un uomo che percorre le vie dei canti), a trovare la strada del ritorno, o meglio ad arrivare cantando al luogo di appartenenza, il luogo del concepimento, il posto dove erano custoditi i Ciuringa.
A patto di restare sulla pista, l’uomo trovava sempre persone con il suo stesso Sogno dai quali poteva aspettarsi ospitalità. Quando deviava dalla via, invece, sconfinava e la trasgressione poteva costargli un colpo di lancia. Probabilmente avveniva qualcosa di molto simile nell’antica Grecia: dèi e dee, caverne, sorgenti sacre, fiumi, sfingi, chimere, uomini e donne, trasformati a causa dell’ira divina in usignoli, corvi, ragni, insetti, echi, narcisi, pietre o stelle, potevano essere interpretati in termini di geografia totemica.
Josh è abbastanza annoiato dalla spiritualità degli aborigeni, dice di essere più interessato a cose pratiche. Dimostra una totale assenza di curiosità, dice che non può ritenere tutto nella sua mente, ha uno spazio ristretto che preferisce non sprecare per speculazioni su spiritualità aborigene.
Per cambiare discorso mi indica un gufo fischiettante in volo.
Il viaggio in auto dura diverse ore. Ci fermiamo solo una volta per raccogliere legna, legnetti e cippi secchi, come la terra rossa, per il fuoco della sera.
Arriviamo al Wataarka (che vuol dire cespuglio a ombrello nella lingua degli anangu) o King’s Canyon, scoperto da Ernest Giles alla fine dell’800, è un canyon che dista 314 km da Uluru e 471 km da Alice Springs.
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Il trekking in salita è molto duro all’inizio, da toglierti il fiato.
In una regione così arida le risorse, da un anno all’altro, non sono mai costanti. Vediamo precarie oasi di verde create da temporali di passaggio, e poi, solo qualche chilometro più in là, il terreno rimane nudo e riarso.
Josh spiega che, per sopravvivere nella siccità, qualunque specie animale deve adottare uno di questi due stratagemmi: prepararsi al peggio e tener duro, oppure aprirsi al mondo e muoversi.
Mostra la rock mint, un tipo di menta che cresce sulle rocce, velenosa, utilizzata dal nomade per la caccia. Solo in casi eccezionali l’aborigeno la sminuzza dentro le pozze d’acqua a cui gli animali vengono ad abbeverarsi. Il veleno paralizza le bestie per qualche ora, ma contamina anche le polle d’acqua, ciò per gli aborigeni, è un grave peccato. Infatti ogni famiglia di clan è responsabile non solo della gestione del proprio totem, ma anche dei siti sacri e della flora e della fauna della propria area.
Tale gestione non riguarda solo le risorse fisiche, assicurando che non siano saccheggiate o contaminate fino al punto di estinzione, ma anche la gestione spirituale di tutte le cerimonie necessarie a garantire un’adeguata pioggia e risorse alimentari al cambio di ogni stagione.
Josh mostra la brughiera del deserto, o pitjuri, un leggero narcotico che gli aborigeni masticano per placare la fame.
Mentre camminiamo ancora, oltre le rocce rosse e la rena, vediamo il ghost gum o Macdonnel Ranges, un tipo di eucalipto, albero a fusto grande, dai tanti usi, simile al red gum, che cresce invece vicino ai fiumi.
Il Macdonnell Ranges è un albero che si fa cadere da solo i rami non indispensabili, per risparmiare acqua e per riuscire a sopravvivere all’aridità. Gli aborigeni usano la corteccia dell’albero per cospargerla sulla pelle e proteggersi dai raggi solari; usano le foglie per farne caramelle al sapor eucalipto per i bimbi, sono utili anche contro il raffreddore; nel tronco dell’albero è presente anche una minima quantità d’acqua che può essere utilizzata grazie a dei buchi ben visibili.
La speare vine è invece un arbusto con cui gli aborigeni creano lance per catturare canguri, velenose, fanno sanguinare l’animale rendendo così tracciabile il suo cammino, il veleno entra in circolo immediatamente e rovinano la carne se le frecce non vengono estratte subito. Usato pure per innesti con alberi e come colla. Sempre lì vicino il caustic vine. I rami si spezzano e la linfa serve per cicatrizzare le ferite dell’aborigeno.
Fra una pioggia e l’altra arriviamo al garden of Eden, un anfratto con una bella polla di acqua piovana immerso nei meandri del canyon.
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Di nuovo in cima, altre viste mozzafiato.
Dopo un trekking di circa quattro ore, torniamo al punto di partenza.
Le strade sono sempre deserte, c’è una sola stazione di servizio.
Josh racconta un bel po’ di storie sui dispersi nell’outback australiano. Tra le dimensioni sterminate, il caldo e gli animali selvatici, i viaggiatori inesperti o sfortunati possono trovarsi facilmente in situazioni di pericolo. Un semplice guasto all’automobile, una perdita di benzina, può essere fatale. Adesso, con il gps, internet e la tecnologia moderna, questi incidenti capitano più di rado.
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Uno dei consigli che Josh dispensa, se dovesse capitare una cosa del genere, è non allontanarsi mai dal veicolo, semplicemente perché è più visibile a una ricognizione aerea. Inoltrarsi in migliaia di km nel deserto, molto spesso, equivale a un suicidio. Anche se ci sono storie romanzate di uomini sopravvissuti bevendo la propria urina e mangiando mosche, insetti, sanguisughe.
La nostra guida a un certo punto abbandona la strada principale, a due corsie, deserta e desolata, ed entra in una strada sterrata per arrivare al nostro accampamento. È un bambinone, ficca la testa fuori dal finestrino e grida “freedom” contro il vento.
Al campo vediamo un aborigeno male in arnese biascicare parole poco gentili verso un tizio della security. “You fucking stupid,” farfuglia, e quasi piange.
Josh ci mostra come aprire e chiudere lo swag.
Scarichiamo i legni dal rimorchio e alimentiamo un fuoco già pronto. I ceppi prendono fuoco immediatamente, e mi stupisco di come siano veloci a diventar braci.
Affettiamo verdure, carote patate cipolle, uno dei cuochi butta tutto dentro una capiente pentola, chili di sale, curry, spezie, aggiunge acqua. Josh e un’altra guida, di un altro gruppo, con una pala spostano le braci su altre buche create al momento. Josh ripone la pentola sopra una di queste buche, usando la pala, per non bruciarsi. Poi, sempre con la pala mette braci sopra il coperchio della pentola per creare un effetto forno. In un’altra padella, frigge olio e carne tritata a cui, appena divenuta di un colore marrone, aggiunge passata di pomodoro e fagioli, da cowboy.
Alla fine del pasto, laviamo i piatti in recipienti d’acqua saponata.
Non usano acqua per risciacquare. Asciugano i piatti e basta. Io lavo padelle e pentole in maniera approssimativa, ma per loro sono puntigliosissimo come la migliore delle Mary Poppins.
Disponiamo gli swag in cerchio, attorno al fuoco e mangiamo.
Dopo il pasto apriamo swag, i sacchi a pelo, e ci infiliamo dentro mentre il fuoco si va spegnendo.
Le stelle fanno paura.
2 luglio 2013
GIANCARLO LUPO
SULLE ORME DI SAM PECK – AUSTRALIA (PARTE – 3) di GIANCARLO LUPO ♦ Australia, Nella terra dei sogni, Dreamtime (terza parte) Sveglia alle 5 e 30.
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6 lug 2020 10:10
GIANNINI, L'ULTIMA ''STAR'' - AVRÀ LA SUA STELLA A HOLLYWOOD, IL SECONDO ATTORE DOPO RODOLFO VALENTINO, E ORA RACCONTA I SUOI ANNI CON COPPOLA, ROBERT MITCHUM E BILLY WILDER. ''CONOBBI JULIA ROBERTS SU UN SET, LA CHIAMARONO SOLO PERCHÉ ERA LA SORELLINA DI ERIC. MA DISSI…'' - I FILM CON RIDLEY E TONY SCOTT: ''IL SUICIDIO? CREDO CHE ABBIA SBAGLIATO UNA DI QUELLE GROSSE OPERAZIONI FINANZIARIE CHE FACEVANO LUI E IL FRATELLO''. E QUANDO DISSE DI NO A SPIELBERG
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Arianna Finos per www.repubblica.it
In attesa di inaugurare a inizio 2021 la stella che Hollywood gli dedica sulla Walk of fame, Giancarlo Giannini, 78 anni ad agosto, se n'è costruita una da solo: "Mi piace fare il muratore, ne ho incassata una sulla pietra serena del marciapiede della casa di campagna - spiega ridendo - sono il secondo attore italiano a riceverlo dopo Rodolfo Valentino, con Anna Magnani, Sophia Loren e Gina Lollobrigida".
La stella suggella il suo lungo rapporto con Hollywood.
"In America a volte mi hanno amato più che in Italia. I primi film hollywoodiani li ho girati da noi. Nel '68 Lo sbarco di Anzio, con Robert Mitchum e Peter Falk, ero l'unico italiano, il marine Cellini, piccoletto rispetto agli altri, imbracciavo un fucile sproporzionato, per fortuna a un certo punto lo barattavo col mitra di un caduto. Lo girammo a Taranto, la sera la troupe giocava a poker tra decine di bottiglie di birra, Mitchum non beveva e ce ne andavamo in giro.
Mi raccontava di quando aveva convinto un giornalista che andava a raccogliere farfalle nei boschi, o quando aveva radunato cento invitati in smoking obbligatorio a una festa e si era presentato nudo con le parti intime coperte di panna. Era un grande consumatore di marijuana, si faceva le sigarette spacciandole per Marlboro. Io avevo studiato inglese a Londra per il ruolo, con un maestro che mi metteva lo stuzzicadenti per pronunciare 'th', sul set ridevano tutti, Mitchum e gli altri mi dovettero insegnare lo slang americano. Quando lo rividi a Todi, tantissimi anni dopo, si ricordava ancora le battute che mi aveva insegnato".
In American dreamer era un assassino francese, in Saving Grace un prete, poi Febbre di gioco.
"Per Fever Pitch (Febbre di gioco, ndr) mi chiamò il regista Richard Brooks mentre ero in vacanza nel deserto dell'Arizona, in un motel a forma di ferro di cavallo con un palo e il telefono al centro. Non volevo andare, mi stavo per sposare. Un aereo privato mi portò agli studios, con le pareti di mogano e i premi, lui mi accolse 'my friend'. Il mio personaggio era un capo mafioso col pallino del golf. Io prendevo lezioni e nella prima scena centrai subito una buca a dodici metri. Nel film non si potè mettere ma il regista mi convocò con una scusa a Los Angeles per consegnarmi il pezzo di pellicola, 'la prova dell'impresa'".
Nel 1989 New York Stories con Francis Ford Coppola.
"Lo conobbi a una cena anni prima, aveva visto Amore e anarchia, mi voleva per Apocalypse Now nel ruolo con cui Duvall ha vinto l'Oscar, ma ero impegnato con Visconti. Mi disse 'ma fai spostare il film', come se io avessi quel potere. Un anno prima me lo aveva detto anche Spielberg, mi aveva chiamato per l'antagonista di I predatori dell'arca perduta ma slittò per uno sciopero e poi io ero impegnato con Fassbinder. 'Chi è? Ma sposta quel film', disse Spielberg. Gli americani sono strani, bisogna saperli prendere. Comunque poi Coppola mi richiama, 'devi interpretare mio padre', che era stato primo flauto di Toscanini. Avevo in ballo Il male oscuro con Monicelli, che ebbe un incidente con molte fratture. Coppola mi chiamò il giorno stesso, 'allora il film lo puoi fare'".
Mai pensato di trasferirsi?
"No, mi piace il mio paese e a Hollywood ti offrono ruoli da italiano. La Columbia mi offrì un contratto da sei mesi all'anno come protagonista di una serie, un detective italiano rompiscatole spedito in America: 'Sistemi economicamente figli e nipoti'. Non volevo essere legato per anni".
Ha lavorato con una sconosciuta Julia Roberts.
"Legami di sangue, 1989, western poco interessante in cui ero un patriarca viticoltore, mio figlio era Eric Roberts e avevano chiamato la sorellina. Nella scena in cui un gruppo di cattivi assaltava il ranch e mi aggrediva, Julia aveva un primo piano disperato ed era intensissima, la segnalai ai produttori, 'ma figurati, è solo la sorella di Eric'. Poco tempo dopo era una stella".
Le è capitato altre volte di intuire il talento?
"Con Daniel Craig, Bond, all'inizio tutti scettici, io sapevo che grande attore fosse, di una simpatia devastante e capace di farsi da solo gli stunt. Stavamo talmente bene che dopo Casino Royale ho fatto Quantum of solace".
Incontri folgoranti?
"Con Billy Wilder. Ero a Los Angeles per un film italiano, mi portano da Spago e lui mi fa invitare dal cameriere al suo tavolo, con Diana Ross, Sidney Poitier, Michael Caine. Mi presenta e si mette a citare, col suo accento anglotedesco, battute di Mimì metallurgico. Con Andy Warhol passeggiavamo, lui aveva sempre una polaroid e un registratore. Mi portò nella sua Factory e mi fece un servizio fotografico".
(…)
Man on fire con l'altro Scott, Tony. E Denzel Washington.
"Washington bravo, severo, grand'attore. Il mio ruolo bellissimo fu tagliato nel finale, non è simpatico spiegare perché. Le dico solo che gli attori americani hanno un potere enorme, un italiano che cazzo fa? Se Ridley era silenzioso, Tony era esuberante. I due fratelli erano in competizione. Ricordo una scena faraonica di incendio in un locale, 'mio fratello in Black Hawk Down ha avuto 16 macchine, io ne ho 36!'. Era geloso perché Ridley era più famoso. Mi faceva arrivare in Messico bottiglie di Brunello di Montalcino, ed ero astemio, mi regalava piante a cui ero allergico. La mattina alle 4 andava a scalare montagne. Non credo che si sia buttato dal ponte perché malato, penso che abbia sbagliato una di quelle grosse operazioni finanziarie che facevano lui e il fratello e non ha retto alla vergogna".
Di recente cosa le è piaciuto fare?
"Con Clooney la serie Catch 22. George mi ha mandato il testo con la sua voce registrata, sul set mi ha preparato bellissimi cartelli con le frasi. Ho invece rifiutato il film Dubbing De Niro, un doppiatore che perdeva la voce e andava in America a incontrare De Niro, ci riusciva nelle ultime scene. Conosco De Niro, ma il progetto non mi ha convinto".
Nella casa di campagna conserva gli oggetti della sua carriera?
"Qualcosa, la lettera dispiaciuta di Spielberg quando ho detto no, i complimenti di Ridley Scott e i fumetti che Tony mi mandava la sera sulle riprese, le foto di Warhol. Ma le conservo senza enfasi, le cose si fanno e si dimenticano".
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El diploma
Giancarlo comenta un día muy especial en la vida de cualquier joven y su familia: la graduación. En el caso de la narradora de esta consigna 2, la familia no asistirá y a ella le costará identificarse con el nombre que lee en el diploma.
EL DIPLOMA
Ambas coincidieron en que la actuación de Viggo Mortensen estuvo fabulosa. Mónica, sin embargo, no pudo contener un comentario acerca de su físico, más feo el pobre, dijo. En cambio el otro actor, el moreno, cuyo nombre no recordaba, le parecía mucho más sofisticado, más elegante, además de romántico. Y moreno, enfatizó, arrojándole una mirada lasciva a Fernanda, quien respondió con una sonrisa cómplice.
Sabía que Mónica era la única persona con la que podía entenderse de ese modo. No le agradaba, por el contrario, la compañía de sus amigas o de otras chicas españolas porque le parecían escandalosas. Exageraban con la costumbre de lanzar gritos y groserías que le crispaban los nervios. En algún momento pensó que al venir a Barcelona las cosas serían distintas -aunque sin duda lo son, en comparación con Lima-, sin embargo parecen persistir algunos arquetipos sin importar el país del que la gente provenga. Con Mónica sentía que se encontraba en ese límite entre lo sutil y lo vulgar, y que cuando ese límite era sobrepasado, como ahora, era, dentro de todo, tolerable.
Ya a la salida del cine, Mónica le preguntó por su graduación. Falta tan solo una semana, dijo. Es un gran esfuerzo mujer, no es tan fácil para ninguna obtener un logro como ese. Encima tú, peruana, y medio pobre. Pero inteligente, eso sí, dijo extendiéndole los brazos mientras Fernanda fingía sentirse ofendida. Y se abrazaron. No sé cómo te aguanto, dijo. Será porque me quieres como a una hermana, respondió cariñosa. Justo hablando de eso, añadió, imagino que llamarás a tus padres para decirles que vengan. Fernanda guardó silencio por un momento pero finalmente asintió. Por supuesto, tengo que intentarlo, dijo. Todo saldrá bien, la tranquilizó su amiga, espero que luego puedas venir a mi spa. Tenemos que ponerte hermosa para el día de tu graduación. Más hermosa, quiero decir, tú me entiendes. Claro, dijo Fernanda, sonriendo, ahí estaré.
Había pasado mucho tiempo desde que no llamaba a sus padres. Sin embargo, pensó que esta no vez no solo era ineludible sino que también lo podía tomar como una oportunidad para retomar una comunicación más fluida con ellos. El hecho de graduarse podría generar un nuevo comienzo de sus afectos. Eligió llamarlos durante la tarde, de modo tal que pudieran conversar poco después de su desayuno en Lima. Cogió el celular y solicitó una videollamada. A continuación, una imagen con el perfil de su madre aparecía en la pantalla, mientras se anunciaba el marcado. El celular repicaba incesantemente, mientras Fernanda contaba cada uno de las repeticiones antes de que contestaran: fueron siete. Del otro lado, aceptaron la llamada. Era su madre. ¿Cómo estás?, dijo, sin ocultar su sorpresa. Tiempo sin saber de ti. No puedo verte a través de la cámara. Hola mamá, dijo Fernanda, habilitando la imagen para que su madre pudiera verla. Ella la vio por fin, el cabello largo, unos aretes que pendían del lóbulo de sus orejas, pero son esos mismos ojos de siempre, se dijo, los mismos ojos de siempre.
Hablaron de algunas cosas cotidianas, un tanto protocolares, cómo estaban, qué tal la familia, los tíos, hasta que Fernanda recordó el verdadero motivo de su llamada. Me voy a graduar mamá, el sábado por la tarde. Los llamaba porque me gustaría que viniesen a la ceremonia. Hizo una pausa. ¿Mi papá está allí? Su madre le dijo lo feliz que estaba, lo orgullosa que la hacía sentir la noticia. Su padre no se encontraba, dijo, había salido a comprar el periódico. A Fernanda más que una razón le pareció una excusa, pero no podía negar que la respuesta la aliviaba. Tengo que consultar con tu padre si podemos viajar, dijo. Tú sabes, hay que comprar los boletos y prepararse mentalmente para un viaje tan largo, no somos los jóvenes de antes. Está bien mamá, dijo luego, te volveré a llamar en un par de días para saber qué decidieron. Dijeron algunas cosas más y se despidieron. La llamada, el primer paso, estaba hecho.
En tanto transcurrían los días, Fernanda tuvo la idea de hacerse un vestido a la medida. La costurera, imaginando una línea curva sobre su cintura, le aseguró que con una faja podía lograr su objetivo. Fernanda no pudo estar más de acuerdo. Si supiera, le dijo, y sonrió. Aliviada de la demanda de esfuerzo de los estudios, se dio el gusto de almorzar en un restorán que nunca había visitado. Luego pidió un café mientras veía la gente conversando y pasando el rato. Cuando llegó a la universidad, recordaba, pensó que haría muchos más amigos que en Lima, pero si bien tuvo gente cercana con quien podía conversar uno que otro tema personal, los lazos que se formaban parecían ser tan efímeros como sus propias expectativas. Encendió el celular y le escribió a Mónica: estaré allí el sábado a primera hora de la mañana, antes de la graduación, dijo, necesito tu hechicería.
En la víspera, llamó nuevamente a su madre, tal y como había prometido. Esta vez, la espera no fue tan larga, casi de inmediato la imagen de su madre se proyectó a través de la cámara. Hola, mamá, dijo. Luego de saludarse preguntó por su padre. ¿Mi papá está por allí? Ella negó con la cabeza, es posible que no vayamos, dijo, no hemos encontrado vuelos disponibles por más que hemos buscado. Fernanda no la quiso contrariar. Está bien mamá, dijo. Poco antes de colgar, sintió que las palabras le brotaban sin que tuviera algún dominio sobre ellas. Ojalá puedas convencerlo, dijo. Si es así, están a tiempo de llegar para la ceremonia. Y colgó.
En el spa, Mónica la recibió efusivamente. Mujer, te falta alguien que haga que quieras quedarte en la cama, qué temprano has llegado. Es mi graduación. ¿Qué esperabas? Bueno si me das a elegir, dijo elevando los ojos como si imaginara algo. Ya basta, dijo Fernanda. Manos a la obra. Tardaron un par de horas para que finalmente se viera en el espejo como quien descubre la obra de un artista: el cabello alisado, las sombras del maquillaje y el brillo sobre los ojos le encantaron a Fernanda. Divina, dijo su amiga. Fueron llegando una a una las colegas de Mónica, quienes, portando aun tijeras y peines en las manos, dejaban a sus clientes en suspenso para admirar el resultado. Se trataba de una persona distinta a la que llegó por la mañana.
Al despedirse, le dijeron que luego de la ceremonia podían reunirse y celebrar. Pero Fernanda prefirió evadir la invitación como pudo.
Pese a lo nerviosa que sentía por el evento, Fernanda no se podía quitar la imagen de la cabeza de sus padres llegando de pronto, al final de la ceremonia, como en una película. Eres una tonta, se decía. El discurso inicial en la ceremonia lo tomó el decano de la facultad, que dijo algo sobre la pasión y las responsabilidades de la profesión que Fernanda olvidó al salir. Luego se produjo la entrega de diplomas atados con una cinta roja que cada uno recibía de las autoridades de la universidad y que enarbolaban hacia el púbico en señal de júbilo. Cuando le llegó su turno, recibió los saludos del decano y unos aplausos vigorosos. Se sentía reconfortada. Finalmente, la clausura y despedida, que a Fernanda le pareció algo brusca y sin emoción. Sin que eso le importara demasiado, salió del auditorio, buscó con la mirada y solo pudo advertir la presencia de Mónica, que se le acercaba atropelladamente. Felicitaciones, le dijo, realmente te lo mereces. Gracias, respondió. Gracias. Le comentó que tenían planes para ir a celebrar, pero Fernanda prefirió no hacer nada por esa noche. Estoy cansada, ha sido un día largo. Mónica la miró, la abrazó, y dijo que no estaba de acuerdo, y que la estaría esperando por si se animaba.
Al llegar a su piso, Fernanda arrojó su cartera sobre el sofá, y se sirvió un té mientras escuchaba algo de música. Desató el nudo del diploma y lo desenrolló. Vio que se trataba de un diploma bilingüe, escrito tanto en español como en catalán. Le encantó el diseño y ver ese escudo en una esquina que le recordaban los reinados y las historias de reyes y princesas que solía ver en otro tiempo. En negritas, y al medio, figuraba su nombre completo.
AUTOR: Giancarlo Gayoso
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Enzo Biagi 10 anni dopo. La vita inedita di un drammaturgo mancato
Ogni uomo ha il suo vizio e il suo segreto. Il segreto di Enzo Biagi è il teatro. A dieci anni dalla morte, tutti, giornali, amici, colleghi, ricordano, a ragion veduta, il talento del giornalista più popolare d’Italia. La pubblicistica su Enzo Biagi rischia di superare quella, già di per sé ‘mostruosa’, di Enzo Biagi. Solo che tutti, immancabilmente, dimenticano un dettaglio. Enzo Biagi prima di diventare giornalista sognava una carriera da drammaturgo. E a leggere i pareri degli esperti, sarebbe diventato un grande drammaturgo. La dimenticanza non è frutto di sbadataggine: è Biagi, in realtà, ad aver macinato nell’oblio il suo passato da uomo per il teatro. Come mai? Veniamo ai dati.
Enzo Biagi vince il Premio Riccione per il Dramma nel 1953. I documenti che lo riguardano sono conservati nella Biblioteca civica di Riccione.
Nei profili biografici di Biagi rastrellati on line non si fa cenno al teatro. La nota della Treccani, pur puntigliosa, non ne parla; Wikipedia accenna a un Premio Riccione per il Dramma vinto da Biagi nel 1960. Fuochino. Ci siamo quasi, ma la data è sballata. Per risalire al segreto di Biagi bisogna sfogliare il Dizionario generale degli autori italiani contemporanei stampato da Vallecchi nel 1974. La voce ‘Enzo Biagi’ ricorda, in calce, che il giornalista “è anche scrittore di libri che stanno tra la cronaca, il reportage e la storia, e di commedie”. Nel ghirigoro bibliografico scopriamo i titoli di tali ‘commedie’, Noi moriamo sotto la pioggia e Giulia viene da lontano. Nient’altro. Veniamo ai fatti. Primi anni Cinquanta. Biagi lavora al Resto del Carlino. Ha 30 anni. La vita da cronista gli ispira un pezzo teatrale. Si intitola Noi moriamo sotto la pioggia. Tre atti. Il primo è ambientato nello “stanzone di un Commissariato di Notturna”. Biagi impacchetta la pièce e la spedisce al Premio nazionale Riccione per il Dramma. Il Premio è nato nel 1947 su iniziativa del Sindaco di Riccione, Gianni Quondamatteo e dello scenografo bolognese Paolo Bignami, sotto gli auspici di Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente, comunista. Il Premio, nato subito con la camicia – la prima edizione, e unica, aperta al romanzo ha premiato un baby Italo Calvino, con il manoscritto Il sentiero dei nidi di ragno, di lì a poco edito da Einaudi – ha una ragione ‘politica’: occorre ripulire l’immagine di Riccione dai fasti fascisti, dal fatto di essere stata la spiaggia estiva del Duce. A presiedere la quarta edizione del Premio, nel 1951, c’è Lorenzo Ruggi, noto commediografo bolognese, fondatore dell’Istituto nazionale del dramma italiano. “Questo lavoro è la tragedia del figlio del secolo, coi suoi cinismi, la sua anima vuota, priva di idealità, dove altro non trovi che disprezzo di tutto e per tutti”. Così Ruggi, nella scheda di lettura, scrive del testo di Biagi, giudicandolo un “lavoro premiabile”. Quell’anno, tuttavia, Biagi deve accontentarsi di una segnalazione. Il primo premio va a una superstar della scrittura cinematografica, Tullio Pinelli (premiato per Gorgonio), già autore per Pietro Germi e Alberto Lattuada, che ha appena sancito una collaborazione gravida di futuro con Federico Fellini. Pazienza. Biagi ritenta un paio di anni dopo, con un ‘interno borghese’, Giulia viene da lontano, dove, con scrittura da fiction, si mostrano le esasperazioni di un gorgo familiare. Questa volta, il giornalista drammaturgo convince tutti. Salvator Gotta è entusiasta: “commedia notevolissima, da prendere in considerazione per il premio, è l’unica premiabile di tutte quelle che ho letto”. Anche Ruggi – ancora presidente di giuria – si scioglie. “Tremendo, sconcertante, scritto senza dubbio da un autore di talento”, attacca la sua scheda. “Attraverso la statica tragedia di un giovane ventenne inchiodato in poltrona a rotelle perché privo dell’uso delle gambe, tutto un mondo di passioni e di miserie umane risultano illuminate in questo lavoro”. Ruggi si lancia pure in un suggerimento di messa in scena: “rischiosissimo lavoro, che esige un interprete, insieme giovane e di grandi mezzi, come potrebbe essere un Gassman”. Mario Bonetti, uno dei giurati, non ha dubbi, “è l’opera di un autentico uomo di teatro”. Per Enzo Biagi è un trionfo. Il Premio nazionale Riccione per il Dramma 1953 è suo. Peccato che il Premio arrivi troppo tardi. Nel 1953 Enzo Biagi ottiene la prima delle sue tante direzioni. Diventa direttore di Epoca. Diventa Enzo Biagi, uno dei giornalisti più talentuosi – e cercati – d’Italia. I sogni di gloria drammaturgica sono anacronistici, ora. Nei ricchi Archivi del Premio Riccione – che negli anni premierà i massimi drammaturghi del Paese, da Renzo Rosso a Dacia Maraini, da Pier Vittorio Tondelli a Stefano Massini, fino a Vitaliano Trevisan, nell’ultima edizione – non c’è traccia dei testi di Biagi. I testi, come da prassi, vengono pubblicati su riviste di settore. Noi moriamo sotto la pioggia esce su Teatro scenario (1 ottobre 1952), mentre Giulia viene da lontano, con la dicitura “Primo premio al concorso teatrale Riccione 1953”, esce su Il dramma (1 ottobre 1953). Prima di chiudere definitivamente con la scrittura scenica, Biagi si leva un ultimo sfizio: scrivere un testo con l’amico Giancarlo Fusco, E vissero felici e contenti, nel 1956. Un biglietto autografo esumato dagli archivi riccionesi spiega tutto in modo lapidario. Carta intestata di Epoca, scrive “Il Redattore Capo” Enzo Biagi al responsabile del Premio Riccione. “Avrei bisogno di avere un paio di copioni che mi urgono. Cerchi di farmeli avere con cortese sollecitudine”. Così, i dattiloscritti spariscono. Stop. Biagi è su un altro palco, ora. Quello del giornalismo. Il resto non conta più.
Davide Brullo
In un Paese culturalmente decente, oltre agli allori e agli onori, dovrebbero esserci i libri. Esempio. Riesumare dagli Archivi di Riccione Teatro (negli oscuri sotterranei della Biblioteca della nota località turistica, nel disinteresse patrio) i documenti che riguardano Biagi, collezionarli insieme ai testi drammaturgici dell’aureo giornalista, e inscatolare il tutto in una bella pubblicazione. Invece niente. Restiamo noi a perder tempo con i cimeli, ad amare le antiche carte. Per capire la tenuta etica del testo di Biagi, ecco un brandello da Giulia viene da lontano. Buona lettura.
Carlo: Penso che, in ogni modo, in qualunque condizione, la vita è sempre un dono. Ma Dio mi ha assegnato soltanto prove leggere. Non ho meriti.
Massimo: Ho il privilegio di godere delle divine attenzioni, invece. Io, che non ho mai ambito alle gioie dell’Aldilà, sarei stato contento di passarmela decentemente quaggiù.
Carlo: Tu vai cercando Dio, e un giorno lo incontrerai. Egli ti attende.
Massimo: Non sono un puro di cuore. Non credo che i tribolati godranno dell’eterna beatitudine. Non credo che, sulla mia spina dorsale spezzata, spunteranno le ali del cherubino.
Carlo: Mi sento insegno del tuo dolore; permettimi di pregare per te. Ma io vedo che Dio ti sorride, Dio non ha la faccia cattiva.
Massimo: Invidio la tua certezza. Sei felice. Baci la croce e scendi nell’arena. Vai incontro alle belve, armato di speranza e di buone parole. Esci dal rifugio antiatomico e, recitando giaculatorie, ti avvii sul luogo dove scoppierà la bomba. Accendi il tuo cero, e vorresti riscaldare questo povero uomo nudo che trema di paura e di freddo. Prega pure per me. Io ho in mente i volti irati dei profeti che sostengono la cantoria delle monache. Annunciano la fine, non la resurrezione. (Forte) Non sono contento di morire su questa poltrona.
Carlo: Non gridare, Massimo, non stancarti. Mi spiace se ti ho fatto del male.
Massimo: (indicando la finestra) Visto da qui il mondo è diverso. Ho tutte le vostre miserie. Sono gonfio di malizia, come un adolescente. Le case di tolleranza mi sembrano paradisi. Come a sedici anni: fanciulle nude su pelli d’orso, odore di cipria, cosce bianche inguaiante nel filo di seta. Nella mia testa ballano di continuo il can-can. Questa stanza è piena di donne che corrono in bicicletta, che corrono contro il vento. Lo so, lo so anch’io che le prostitute hanno l’aria disfatta, i volti segnati, e i reggipetti rosa sono sudici e le coperte sanno del sudore di tanti uomini, e si paga. Eppure è meraviglioso. Mi ci portarono mentre aspettavo di partire per il fronte. Avevo scelto una ragazza piccola perché mi pareva gentile, non mi dava soggezione. Ma quando fummo nella sua stanza cominciai a piangere, piangevano tutti e due. Lei aveva al collo una catenella, e una croce di brillantini falsi le pendeva sul petto magro. Restammo abbracciati sul letto, senza parlare.
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Giancarlo Franco Tramontin
Nudo di donna
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SAN BENEDETTO – Il 23 dicembre 2020 saranno 50 anni dalla tragedia del motopesca Rodi. Ed oggi è nato il comitato per le celebrazioni dei dieci lustri. L’iniziativa è stata presentata questa mattina dal presidente del Circolo dei Sambenedettesi Rolando Rosetti, associazione che ha catalizzato tanti altri soggetti.
Al suo interno ci sono infatti la Regione Marche che ha già stanziato un contributo di 15mila euro, il Comune, il Bim Tronto, la Ribalta Picena, Re Nudo, Caleidoscopio, Lega Navale, l’ex assessore al commercio Nazzareno Torquati , il prof. Gino Troli presidente Amat e la prof.ssa Benedetta Trevisani.
Il nome del Comitato è ancora in fase di decisione “ma pensiamo –dice Rolando Rosetti- ad un nome articolato come ad esempio 50 anni del Rodi: passato, presente e futuro della marineria sambenedettese”. L’avv. Adalberto Palstini si sta occupando della redazione dello statuto.
“Non è un comitato chiuso – spiega il presidente del circolo dei Sambenedettese, Rolando Rosetti – ma aperto a chiunque voglia contribuire. Questo comitato dovrà celebrare non soltanto il cinquantennale da quella tragedia ma anche tutti i sambenedettesi morti in mare. Non sarà, quindi, una iniziativa fine a se stessa perché quei tragici giorni a San Benedetto hanno significato tanto altro. Un momento di riflessione anche per ricordare le conquiste sindacali che da quel dramma nacquero per i pescatori. In cantiere, infatti, per il prossimo mese di marzo c’è un convegno proprio in tal senso ed inoltre anche degli interventi nelle scuole elementari cittadine per fare conoscere le nostre tradizioni marinare. Non sarà, quindi, solo una commemorazione storica ma vogliamo porre anche le basi per il futuro”.
“Ricordare i 50 anni dalla tragedia del Rodi- aggiunge il consigliere regionale Fabio Urbinati– è estremamente importante. Non solo questo, però, ma anche tutto ciò che accadde in quei giorni e che si sarebbe ripercosso nei mesi e negli anni futuri. Molti giovani non sanno, ad esempio, la rivolta popolare che si creò per recuperare i marittimi che erano ancora dentro la barca affondata. La Regione Matrche ha già messo in bilancio 15mila euro per finanziare le varie iniziative, insieme ad altri sponsor con il Bim del presidente Luigi Contisciani in testa. Ma qualsiasi altro contributo sarà bene accetto”.
Piergiorgio Cinì del Laboratorio Teatrale Re Nudo, ha spiegato quali saranno le iniziative culturali che si andranno ad organizzare. “Stiamo studiando diverse cose –afferma- la prima sarà una rappresentazione teatrale che faremo all’ alba del prossimo 8 agosto al porto di San Benedetto che ha come scopo quello di omaggiare la memoria delle vittime del mare e ricordare anche quelle idee che partirono da quella tragedia che poi portarono allo sviluppo della nostra città. Inoltre creeremo flash mob ed altri eventi itineranti. Il tutto sarà documentato da foto e video con la realizzazione di una pubblicazione grazie alla collaborazione della Ikomeni. Il Gruppo Laberinto, poi riproporrà le canzoni scritte e cantate in quel periodo. Il titolo provvisorio dello spettacolo sarà Solo andata, mare e rivolta di cui il prossimo 23 dicembre proporremo una rielaborazione invernale”.
Per l’amministrazione comunale è intervenuta la consigliera Mariadele Girolami. “La tragedia del Rodi –dice- ha segnato profondamente la nostra città. Come amministrazione comunale appoggiamo l’iniziativa del comitato e per il prossimo 23 dicembre stiamo pensando anche di organizzare una manifestazione più specifica per ricordare le vittime del naufragio. Da parte dell’ ente c’è la massima disponibilità”
La Lega Navale di San Benedetto coinvolgerà i giovanissimi studenti rivieraschi. “Daremo vita –spiega Gigi Anelli-ad una serie di iniziative come ad esempio la realizzazione di un libro per le quinte elementari, scritto da Carolina D’Angelo ed illustrato da un vignettista con pagine di riferimento sulla tragedia del Rodi. E poi a partire da settembre, sempre con gli studenti, inizieremo un percorso di avvicinamento storico al 23 dicembre. Colgo l’occasione per ricordare la figura di Antonio Pompei il primo sindacalista della marineria sambenedettese”.
Il presidente del Circolo dei Sambenedettesi Rolando Rosetti ha, infine ricordato come anche quest’anno saranno effettuate le lezioni di dialetto sambenedettese nelle scuole al fine di evitare che possa essere dimenticato. Giancarlo Brandimarti, della compagnia Ribalta Picena, ha chiuso la serie degli interventi, parlando della necessità di educare i ragazzi delle scuole al dialetto dal momento che “il dialetto sambenedettese è a forte rischio estinzione”.
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Alessandra Nicita - Il nuovo singolo “Briciole”
Un gradito ritorno per la cantautrice nelle radio e su tutti i digital stores
Un gradito ritorno in scena per la scrittrice e cantautrice Alessandra Nicita che presenta il nuovo singolo “Briciole” in radio dal 20 Gennaio, brano che porta la sua firma sia per il testo che per la composizione musicale. Arrivato finalista al Premio “Bianca d’Aponte” città di Aversa è un brano profondo, in linea con lo stile ormai ben conosciuto dell’artista di origine pugliese che predilige temi vicini alla sfera emotiva ed intima di ogni persona. La narrazione del testo parla di rapporti relazionali ed invita a non accontentarsi, rifiutando gli "scampoli" che una relazione non vissuta alla pari porta con sé; è l’artista stessa ad affermare: "Ogni rapporto, d'amicizia o d'amore, dovrebbe rappresentare un'occasione di crescita e di condivisione, spesso, invece, le relazioni sono vissute a "senso unico". Sarebbe necessario imparare a volersi più bene, anziché, accontentarsi solo di un pugno di briciole". Si dà un messaggio che invita ad essere in un certo senso più esigenti, nel senso più buono del termine (dunque non egoistico), con noi stessi e dunque con gli altri. Il proprio valore come persona, nella propria identità ed unicità, va messo in primo piano perché soccombere la nostra personalità ed accontentarsi non è una strada giusta. Ancora una volta l’artista ci regala qualcosa che va oltre la canzone: quando scrive un testo per un brano mette a nudo una parte dei suoi pensieri, di quello che è come persona e “sente”, ma anche di quello che “non sente” e che possono avvertire altri. Come in una seduta di psicoterapia, cerca di indagare l’animo umano, alla ricerca di quelle sfumature interiori che attraverso un ascolto “sensibile” possono essere recepite.
Alessandra vive e lavora a Bologna; appassionata di musica d’autore, durante gli esordi del suo percorso artistico il fortunato incontro con Lucio Dalla si rivelerà fondamentale per la sua��carriera. Nel 2006 si affaccia ufficialmente nel panorama editoriale pubblicando “Sono stata molto delusa dai mirtilli (Besa Editrice), una raccolta di poesie che presenta in numerose località italiane. Il secondo libro arriva nel 2013: “Arrivò l’amore e non fu colpa mia” (Besa Editrice) libro ottiene immediato riconoscimento di critica e pubblico. A gennaio 2016 esce il suo primo singolo “Carolina Carolina” a cui fa seguito nel 2017 l’EP “Canzoni di nascosto”, un racconto del mondo dei sentimenti e delle emozioni, in cui solitudine, perplessità, amore e distanze si intrecciano. Con il singolo “Per nessun motivo al mondo” del 2019, è tra i finalisti della XXV edizione del premio Mia Martini, dove le viene conferito il premio speciale "Giancarlo Bigazzi" per la canzone d’autore. “Briciole” è artisticamente prodotto e arrangiato da Tony Canto e farà parte di un Ep in fase di lavorazione.
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Venezia 76: presentato il programma di Giornate degli Autori
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/venezia-76-presentato-il-programma-di-giornate-degli-autori/
Venezia 76: presentato il programma di Giornate degli Autori
Venezia 76: presentato il programma di Giornate degli Autori
Venezia 76: presentato il programma di Giornate degli Autori
Venezia 76 – Come accade dal 2004, nell’ambito della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia si svolgono le Giornate degli Autori (28 agosto – 7 settembre), dirette da Giorgio Gosetti e quest’anno per la prima volta presiedute da Andrea Purgatori: 11 i film in concorso, 8 gli eventi speciali compresi i “Miu Miu Women’s Tales” e il film di chiusura Les chevaux voyageurs dedicato al “Re dei cavalli”, il poliedrico e carismatico Bartabas, 7 le “Notti Veneziane” alla Villa degli Autori, cui si aggiungono gli incontri, gli omaggi, i progetti speciali promossi dalle due associazioni ANAC e 100autori.
“L’impegno che le associazioni degli autori italiani mettono nell’organizzazione – scrive Andrea Purgatori – è ripagato ogni anno dal successo della selezione e dal dibattito che ruota attorno alle Giornate, sui diritti degli spettatori, sulla tutela del diritto d’autore e lo stato della produzione, sul confronto costante con le altre cinematografie.”
18 sono le nazionalità rappresentate quest’anno, dall’Asia agli Stati Uniti, dall’Africa al Sud America fino all’Europa e all’Italia; 4 le opere prime in concorso, 6 le donne dietro alla macchina da presa. Una selezione che conferma la voluta sobrietà di titoli a vantaggio di una speciale promozione della creatività più libera e indipendente da tutto il mondo. E se si volesse, fin dal programma, individuare un “filo rosso” capace di collegare la maggior parte delle scelte, parleremmo di uno scontro di culture che mette a nudo le fragilità del mondo contemporaneo, conteso tra una tendenza all’omologazione e la vitalità di radici ancestrali che non si piegano alla massificazione. L’altro elemento distintivo è una vocazione alla ricerca di linguaggi “pop” che stimolino la curiosità di pubblici diversi, convinti come siamo che il cinema debba oggi parlare a comunità distinte di spettatori, ma sempre avendo come stella polare la volontà di farsi capire, di suscitare emozioni e passioni, di ristabilire un dialogo diretto tra l’artista e lo spettatore a prescindere dai modi del consumo. Ne sono perfetto esempio l’esordio del giovanissimo sudanese Amjad Abu Alala (You Will Die at 20), un autodidatta ventenne destinato a stupire, e il quasi coetaneo americano Phillip Youmans, vincitore al Tribeca di New York e che debutta a Venezia, in accordo tra i due festival, con Burning Cane (evento fuori concorso).
Nella selezione competitiva delle Giornate (20.000 euro di premio per il miglior film giudicato da 28 giovani spettatori provenienti da tutti i paesi dell’Unione Europea), non mancano nomi cari a chi ama il grande cinema come Dominik Moll (il suo Only the Animals aprirà il programma mercoledì 28 agosto), Jayro Bustamante (con La Llorona, inedito esempio di cinema civile in cui fantasmi e morti viventi si prendono la scena), la grande star giapponese Jō Odagiri (con They Say Nothing Stays the Same alla sua prima prova nel lungometraggio), Fabienne Berthaud (che ritorna dopo Sky con un suggestivo viaggio iniziatico in Mongolia di Cécile de France in Un monde plus grand). E se è difficile leggere come un semplice esordio quello del maestro della graphic novel Igort (5 è il numero perfetto con Toni Servillo, Carlo Buccirosso, Valeria Golino), si può scommettere che non passerà inosservato Mio fratello rincorre i dinosauri di Stefano Cipani dal romanzo di Giacomo Mazzariol (evento speciale fuori concorso).
A completare la selezione il polacco Corpus Christi di Jan Komasa, oggi interprete di temi cari al maestro Kieslowski, il norvegese Beware of Children di Dag Johan Haugerud con una saga familiare che diventa spaccato sociale e politico, il travolgente Un divan à Tunis di Manele Labidi, con un’inedita e bellissima Golshifteh Farahani al centro di una commedia destinata a far innamorare, il debutto del Laos alla Mostra con la ghost story The Long Walk di Mattie Do, l’inedita coproduzione tra Stati Uniti e Filippine Lingua Franca di Isabel Sandoval che riafferma i diritti del gender nell’America di Trump.
Tra gli eventi speciali, i due nuovi corti d’autore della serie “Miu Miu Women’s Tales” firmati da Hailey Gates e Lynne Ramsay, la cantata/memoriale di Gianfranco Pannone e Ambrogio Sparagna Scherza con i fanti dedicata a Ugo Gregoretti, il provocatorio viaggio di Mario Sesti nel Mondo Sexy del cinema ero/esotico italiano degli anni ’60, il corto di Federico Olivetti Il prigioniero, la serata speciale dedicata a House of Cardin di David Ebersole & Todd Hughes, il magnifico ritratto della Milano di Guido Crepax in Cercando Valentina di Giancarlo Soldi (nelle “Notti Veneziane”).
“Fin dall’immagine dell’anno, realizzata grazie all’amichevole disponibilità di due registi legati alle Giornate come Alice Rohrwacher (per la cortesia di Fabio Lovino) ed Edoardo De Angelis, appare chiara la vocazione autoriale e sbarazzina insieme della nostra proposta – dice Giorgio Gosetti. Abbiamo il desiderio di condividere lo spettacolo dell’intelligenza e la vivacità creativa che oggi attraversa il mondo del cinema, con un soffio giovane e irriverente che cerchiamo di riprodurre nel programma, nell’incrocio delle offerte e degli appuntamenti. Così teniamo in primo luogo al valore dei film scelti, ma altrettanto ai progetti che, dopo la Mostra, ci impegneranno in un’attività costante fino al prossimo anno: il rilancio del progetto speciale ‘100+1’ che, grazie al programma ‘Cinema e Storia’ della Regione Lazio, Istituto Luce – Cinecittà e Roma Lazio Film Commission, festeggia i suoi primi 10 anni nel cruciale settore dell’educazione all’immagine; il recupero di una storica eredità come quella dei ‘Ladri di Cinema’ ideata nel 1982 da Stefano Consiglio, Daniele Costantini e Marco Melani; il progetto formativo sui nuovi linguaggi delle immagini e dei suoni ideato da Roberto Perpignani. Tutti aspetti di un’attività di ricerca tra passato e futuro che sono il senso del nostro lavoro, ben oltre la vetrina festivaliera”.
Anche nel 2019 le Giornate degli Autori cominceranno prima della Mostra con la quinta edizione di Laguna Sud con un omaggio al cinema italiano scelto o amato dalle Giornate, un laboratorio di corti aperto alla cittadinanza e il nuovo concorso internazionale Lagune il cui vincitore verrà premiato alla Villa degli Autori.
Si concluderanno invece dopo la Mostra con la ripresa della selezione a Milano e Roma e infine a Palermo in collaborazione con la Sede siciliana del CSC e la Sicilia Film Commission. Alla Villa degli Autori, dove non mancherà quel particolarissimo clima conviviale e talvolta situazionista che ci ha resi un polo di riferimento nel panorama del Lido durante la Mostra, sono molti i momenti da segnalare, cominciando dall’ormai tradizionale collaborazione con Bookciak Azione! che apre la Villa già martedì 27 agosto. E ancora: la serata evento intorno all’anteprima del film Great Green Wall di Jared P. Scott con la presenza della grande cantante maliana Inna Modja; il film-documento di Tomaso Pessina Emilio Vedova: dalla parte del naufragio narrato da Toni Servillo; l’ultimo lavoro ideato da Giorgio Pressburger, La legge degli spazi bianchi diretto da Mauro Caputo; la serata in compagnia di Riccardo Sinigallia (musicista) e Dario Albertini (regista) con i loro nuovi lavori; il viaggio nel cuore giovane del documentario italiano rappresentato da Costanza Quatriglio, la sede siciliana del CSC e la Sicilia Film Commission; la masterclass di Marco Bellocchio (premio SIAE 2019) e quella di Margarethe Von Trotta (premio alla carriera Isola Edipo).
È proprio la collaborazione con Isola Edipo una delle novità di quest’anno. La realtà che quest’associazione ha portato alla Mostra, fatta di sensibilità per grandi temi civili ma anche di socialità e aggregazione, ha costituito un’alternativa giovane e vitale sulla scena del Lido ed era naturale che i nostri due mondi venissero a contatto come già anticipato nel 2018 in occasione della lezione di un maestro come Raymond Depardon. In questo senso i programmi delle due iniziative si interfacciano e dialogano portando alle Notti Veneziane una rarità d’autore da poco restaurata come Bless Their Little Hearts di Billy Woodberry (anima della L.A. Rebellion e del cinema indie afro-americano).
Tra gli altri incontri in programma: le giornate del programma del Parlamento europeo “28 Times Cinema” e del Lux Film Prize alla presenza dei registi finalisti e dei parlamentari europei; la presentazione dei corsi della New York Film Academy con la masterclass del mago degli effetti speciali Craig Caton, direttore del dipartimento di 3D Animation, Special Effects e VR; l’esperienza VR di Elio Germano con La mia battaglia; l’anteprima del film collettivo Frammenti coordinato da Paolo Bianchini e realizzato grazie ai fondi congiunti MiBAC/Miur destinati all’educazione all’immagine dei giovani; i corti vincitori a Laguna Sud e al Pigneto Film Festival e una piccola gemma come Sufficiente di Maddalena Stornaiuolo e Antonio Ruocco; il progetto di Chiara Nano su Alberto Grimaldi, mitico produttore di Leone, Pasolini, Fellini, Bertolucci, Scorsese; il grande omaggio che la città di Parma dedicherà, dalla fine dell’anno, a Bernardo Bertolucci.
Come da tradizione, i film della selezione ufficiale concorrono al Label di Europa Cinemas, al Premio del pubblico BNL – Gruppo BNP Paribas, al GdA Director’s Award assegnato dalla giuria delle Giornate. Oltre ai premi collaterali della Mostra e, per gli esordienti, al Leone del Futuro.
A rendere possibili le Giornate degli Autori sono anche quest’anno la Direzione Cinema del MiBAC, il main sponsor BNL – Gruppo BNP Paribas, con rinnovato impegno la SIAE e Miu Miu per le giornate di “Women’s Tales”; la Commissione Cultura del Parlamento europeo per il Lux Film Prize e il progetto “28 Times Cinema”; i media partner tra cui salutiamo per la prima volta la piattaforma MUBI con cui condivideremo durante la Mostra un programma antologico di film e i nostri tradizionali technical partner; la Regione Veneto e il Comune di Chioggia per “Laguna Sud” e le attività a Venezia. Oltre naturalmente alla Fondazione La Biennale di Venezia e alla Direzione della Mostra del Cinema cui ci lega, anno dopo anno, una leale e costante collaborazione.
“Ciò che abbiamo disegnato con i film, i protagonisti, le iniziative di quest’anno – osserva Giorgio Gosetti – è un mosaico di tessere strettamente intrecciate: uno sguardo sul mondo che se da un lato restituisce speranza per la forza – che è propria del miglior cinema – di interpretare la realtà, dall’altro dipinge una terra assediata da crudeli memorie, fantasmi inquietanti, deserti fisici e ideali. Questo mare in tempesta abbiamo voluto attraversare come moderni corsari alla ricerca del tesoro. E pensiamo di averlo trovato nel coraggio, nel sorriso, nella forza delle straordinarie donne che incontrerete alle Giornate”.
SELEZIONE UFFICIALE – IN CONCORSO
Un assassinio, tre sospetti e il Caso SEULES LES BETES (ONLY THE ANIMALS) di Dominik Moll – Film d’apertura Francia/Germania, 2019, 113′, prima mondiale Con: Laure Calamy, Denis Ménochet, Valeria Bruni Tedeschi, Damien Bonnard Produzione: Haut et Court, Razor Film Produktion Vendite estere: The Match Factory Una donna scompare: dopo un’intensa nevicata di lei restano poche tracce, la macchina abbandonata sul ciglio di una strada di montagna, una casa vuota. Cinque persone sono collegate dalla polizia al mistero. Ciascuna di loro nasconde un segreto, ma la soluzione sta ben lontana dal villaggio alpino, addirittura in un altro continente. Al sesto film dopo i successi a Cannes e a Berlino, Dominik Moll ritorna con una storia a incastri in cui solo il Caso dirige le vite delle persone e nulla può sfuggire al cerchio dell’assurdo. Dal romanzo di Colin Niel uno smagliante mystery d’autore scritto da Dominik Moll e Gilles Marchand.
Il deserto, una profezia di morte e la scoperta della vita YOU WILL DIE AT 20 di Amjad Abu Alala – opera prima Sudan/Francia/Egitto/Germania/Norvegia, 2019, 103’, prima mondiale Con: Islam Mubark, Mahmoud Elsaraj, Bunna Khalid Produzione: Andolfi, Transit Films, DUOFilm AS, Die Gesellschaft DGS Vendite estere: Pyramide Films Appena nato, Muzamil è segnato dal destino: lo stregone del villaggio predice la sua morte allo scoccare dei vent’anni. Suo padre non regge alla notizia e abbandona la famiglia. Sakina lo cresce da ragazza madre, ma allo scoccare dei 19 anni la profezia minaccia di diventare realtà… Ambientato nella regione sudanese di El-Gezira ai giorni nostri, il folgorante esordio di questo giovanissimo regista e produttore, formatosi negli Emirati Arabi, viene dopo una serie di cortometraggi presentati in diversi festival internazionali e spesso realizzati con la supervisione di Abbas Kiarostami. Con il suo film il Sudan arriva per la prima volta alla Mostra di Venezia.
Una storia d’amore che va oltre il confine della ragione UN MONDE PLUS GRAND (A BIGGER WOLRD) di Fabienne Berthaud Francia/Belgio, 2019, 100’, prima mondiale Con: Cécile de France, Narantsetseg Dash, Tserendarizav Dashnyam, Ludivine Sagnier Produzione: Haut et Court, 3×7 production Vendite estere: WaZabi Films Dopo la morte del suo grande amore, Corine parte per la Mongolia per proseguire il suo lavoro di antropologa. L’incontro con la sciamana Oyun le cambierà la vita e la guiderà lungo i sentieri incerti, tra realtà e spiritualità, della ricerca interiore. Tornata in Francia, la donna comprende di dover accettare la propria iniziazione e che il suo “mondo più grande” è là dove si è ritrovata. Dal libro autobiografico di Corine Sembrun. “Lei non si vede mai in tutto film, ma è ovunque – dice la regista – Corine è lo spirito del film e Cécile restituisce sullo schermo il valore universale di questo viaggio iniziatico che, per parte mia, ho narrato senza tradire il mio cinema, tra invenzione e realismo documentario”.
Quando è un fantasma a fare giustizia LA LLORONA (THE WEEPING WOMAN) di Jayro Bustamante Guatemala/Francia, 2019, 97’, prima mondiale Con: Maria Mercedes Coroy, Sabrina De La Hoz, Margarita Ke’nefic Produzione: La Casa de Producción, Les Films du Volcan Vendite estere: Film Factory Entertainment Il mito della Piangente appartiene a una tradizione antica e risuona degli echi della tragedia classica. In questo racconto riprende forma ai tempi della guerra civile del Guatemala che ha portato ad atroci violenze e a un vero genocidio. Asserragliato nella sua lussuosa villa, il Generale attende il verdetto del tribunale che deve giudicarlo per i suoi crimini. “La ricerca di giustizia e di vendetta della Piangente – dice Bustamante che ha scritto la sceneggiatura insieme a Lisandro Sanchez – può ricordare il revisionismo romantico dei ‘Bastardi’ di Quentin Tarantino o la follia di Medea”. Per il secondo anno consecutivo il Guatemala figura nella selezione delle Giornate degli Autori.
Quando i fantasmi si impossessano delle nostre vite BOR MI VANH CHARK (THE LONG WALK) di Mattie Do Laos/Spagna/Singapore, 2019, 116′, prima mondiale Con: Yannawoutthi Chanthalungsy, Por Silatsa, Noutnapha Soydara, Vilouna Phetmany Produzione: Lao Art Media, Screen Division, Aurora Media Vendite estere: 108 Media Un vecchio solitario, un po’ forastico e un po’ stregone, si imbatte nelle tracce di un ormai dimenticato incidente stradale. A fargli da guida verso la verità è il fantasma della vittima, ma l’uomo scoprirà che quel viaggio oltre la soglia della morte può riportarlo a 50 anni prima, alla dolorosa fine di sua madre. Una ghost story nella più limpida tradizione asiatica, ma con forti implicazioni con il presente e una struttura narrativa tra genere e lo stile inconfondibile di Mattie Do che accompagna lo spettatore oltre i confini della razionalità. La prima volta della cinematografia del Laos alla Mostra di Venezia.
Chi è senza peccato… BARN (BEWARE OF CHILDREN) di Dag Johan Haugerud Norvegia/Svezia, 2019, 157’, prima mondiale Con: Henriette Steenstrup, Jan Gunnar Röise, Thorbjörn Harr Produzione: Motlys A/S Vendite estere: Picture Tree International Durante la ricreazione la tredicenne Lykke, figlia di un uomo politico del Partito Laburista, ferisce il suo compagno di classe Jamie, a sua volta figlio di un esponente del Partito Conservatore. Quando il ragazzo muore in ospedale le contraddittorie versioni dell’accaduto rischiano di peggiorare la posizione della ragazzina. Chi è innocente, chi colpevole, chi complice? “Cosa accade in una piccola comunità, come questo quartiere borghese di Oslo – scrive il regista -, quando la morte colpisce e coinvolge due ragazzini? Quando la tragedia ci tocca – osserva il regista – ciascuno di noi scopre la sua vera identità”.
Totò e Peppino all’ultima crociata 5 È IL NUMERO PERFETTO di Igort – opera prima Italia/Belgio/Francia, 2019, 100’, prima mondiale Con: Toni Servillo, Valeria Golino, Carlo Buccirosso, Iaia Forte Produzione: Propaganda Italia e Jean Vigo con Rai Cinema Vendite estere: Playtime Distribuzione italiana: 01 Distribution Napoli, anni Settanta. Peppino Lo Cicero, camorrista di seconda classe in pensione, torna in pista dopo l’omicidio di suo figlio. Questo avvenimento tragico innesca una serie di azioni e reazioni violente ma è anche la scintilla per cominciare una nuova vita. Un piccolo affresco napoletano nell’Italia anni Settanta, con i colori survoltati, i rimandi cinefili e lo stile inconfondibile del suo autore. 5 è il numero perfetto è la storia di un’amicizia tradita, ma anche di una seconda opportunità e di una rinascita. Dalla graphic novel omonima di Igort.
La fede trasforma davvero gli uomini? BOŻE CIAŁO (CORPUS CHRISTI) di Jan Komasa Polonia/Francia, 2019, 116’, prima mondiale Con: Bartosz Bielenia, Eliza Rycembel, Aleksandra Konieczna Produzione: Aurum Film Vendite estere: New Europe Film Sales Il ventenne Daniel, durante la reclusione in riformatorio, scopre una vocazione spirituale che si scontra con il suo passato, i suoi compagni di prigione e la sua fedina penale. Uscito dall’istituto trova lavoro come carpentiere in un piccolo centro ma al suo arrivo, per un equivoco, viene preso dal parroco locale per il nuovo prete che dovrà aiutarlo. Il suo segreto si incrocia con i sensi di colpa di una piccola comunità segnata da un’inconfessata tragedia. Al suo terzo film dopo gli studi alla Film School di Lodz e il suo esordio alla Cinéfondation di Cannes, Jan Komasa è ormai una delle voci più originali e affermate del cinema polacco. Da una storia realmente accaduta.
La psicanalisi tra Freud e la Fratellanza musulmana UN DIVAN A TUNIS (ARAB BLUES) di Manele Labidi – opera prima Tunisia/Francia, 2019, 87′, prima mondiale Con: Golshifteh Farahan, Hichem Yacoubi, Majd Mastoura, Aïsha Ben Miled Produzione: Kazak Productions Vendite estere: MK2 Distribuzione italiana: BIM A 35 anni Selma Derwish scopre la nostalgia di casa. Cresciuta in Francia, laureata in psicoanalisi, la donna arriva a Tunisi con la fiera determinazione di aprire il suo studio in città, sul tetto della casa di famiglia, in un quartiere periferico. Sull’onda delle primavere arabe si illude di aver a che fare con un contesto moderno e occidentalizzato. Scoprirà ben presto di vivere in un paese schizofrenico, ammalato di pregiudizi, di burocrazia, capace di confondere Freud con la Fratellanza Musulmana. Con il passo della commedia degli equivoci, spesso irresistibile nel mostrare le contraddizioni di due civiltà a confronto, il film rivela un talento brillante fin qui sconosciuto di Golshifteh Farahan, la più famosa attrice iraniana di questi anni.
Il grande fiume che non muta e le piccole realtà che cambiano la vita ARU SENDO NO HANASHI (THEY SAY NOTHING STAYS THE SAME) di Jō Odagiri – opera prima Giappone, 2019, 137’, prima mondiale Con: Akira Emoto, Ririka Kawashima, Nijiro Murakami Produzione: Kinoshita Group Vendite estere: Kino International Toichi traghetta da tutta la vita i paesani che vivono sul suo lato del fiume verso la città sorta sull’altra riva. A parte i suoi occasionali passeggeri, non ha contatti con nessuno salvo il giovane Genzo. Intanto a pochi passi dal suo traghetto si costruisce il ponte che è destinato a porre fine al suo lavoro. Un giorno sulla riva del fiume appare una misteriosa ragazza senza tetto né legge. Toichi la ospita nella sua baracca ma l’incontro cambierà per sempre la sua vita. Esordio nel lungometraggio a soggetto della star giapponese di Kurosawa Kyoshi, Seijun Suzuki, Kim Ki-duk, Yu Lik-wai, qui affiancato dall’insuperabile creatore delle luci Christopher Doyle.
Davvero l’amore può superare ogni barriera? LINGUA FRANCA di Isabel Sandoval Stati Uniti/Filippine, 2019, 89′, prima mondiale Con: Isabel Sandoval, Lynn Cohen, Eamon Farren Produzione: 7107 Entertainment A Brighton Beach (il quartiere ebreo-russo di New York), un’immigrata filippina minacciata di espulsione dagli Stati Uniti si innamora di un ragazzo di origine russa, che però ignora la vera natura della donna, in realtà transgender. Il terzo film di Isabel Sandoval, rivelatasi a Locarno con Senorita, è il primo film americano scritto, diretto e interpretato da una immigrata transgender, con attori americani, polemicamente realizzato nel cuore dell’America di Donald Trump. Citando la sua “pacata, serena estetica” il MoMA ha definito la regista “una autentica rarità tra le voci più forti del giovane cinema filippino”.
FUORI CONCORSO LES CHEVAUX VOYAGEURS (TIME OF THE UNTAMED) di Bartabas – Film di chiusura Francia, 2019, 93’, prima mondiale Con: Bartabas e il teatro equestre Produzione: La Compagnie des Indes Vendite estere: MK2 35 anni in compagnia di Zingaro, il maestoso e nero cavallo frisone che ha dato il nome al suo circo teatrale e ha creato la sua leggenda. Il “Re dei Cavalli” Bartabas (al secolo Clément Marty) ripercorre la sua opera artistica con un viaggio iniziatico tra passato e presente che riassume la sua poetica, le coreografie, un’idea del teatro e dell’arte che sono vita e pensiero, forma e bellezza sublimati nel rapporto tra l’uomo e l’animale. Presente a Venezia anche con un’esperienza VR, Bartabas ha accettato di chiudere quest’edizione delle Giornate con un luminoso spettacolo cinematografico che attraversa le culture del mondo al passo, al trotto, al galoppo in una danza ammaliante, ora riflessiva, ora frenetica, comica e dolorosa con pagine ogni volta diverse.
MIU MIU WOMEN’S TALES #17 SHAKO MAKO di Hailey Gates Italia, USA, 2019, 16’48’’, prima italiana Con Alia Shawkat Produzione: Hi Production, Ways&Means Farah, una venditrice di pane, cammina per le strade di una città mediorientale, mentre un veicolo militare americano circondato da soldati le sfila lentamente accanto. Un breve momento di silenzio. Poi un’esplosione devastante. Civili feriti, sanguinanti. L’orrore della guerra. Farah si guarda intorno atterrita, in lacrime. Ma niente è come sembra. Farah in realtà è un personaggio interpretato da un’aspirante attrice di nome Laila. E non ci troviamo in Iraq, ma in un villaggio fittizio ricostruito nella base militare di Fort Irwin, in California, dove i soldati americani venivano addestrati prima di essere spediti in missione. Laila teme che il suo talento per la recitazione sia sprecato in questa arida simulazione, in cui le interpreti femminili sono relegate al ruolo di mute comparse. È abituata a prendere le cose molto più sul serio. Sta studiando una via di fuga.
“Mi sono interessata alla situazione delle persone che recitano nella vita reale”, dichiara la regista “e all’effetto che questo ha sulla loro psiche e sul loro stato emotivo. Una nuova esercitazione militare ideata da un produttore televisivo. Mi sembrava molto interessante che spedissimo i soldati in Iraq dopo averli addestrati in un contesto hollywoodiano”.
#18 BRIGITTE di Lynne Ramsay Italia, UK, prima mondiale Con Brigitte Lacombe Produzione: Hi Production, Somesuch Un cortometraggio in stile documentario di Lynne Ramsay sulla fotografa Brigitte Lacombe. L’ultimo film di Lynne Ramsay è stato You Were Never Really Here con Joaquin Phoenix, premiato a Cannes nel 2017 per la miglior sceneggiatura e il miglior attore. …e ora parliamo di Kevin è stato l’unico film britannico nominato per la Palma d’Oro in una competizione ufficiale nel 2011. Tilda Swinton è stata nominata per un Golden Globe per la sua interpretazione. Il film ha ricevuto diverse nomination ai BAFTA e ha vinto il premio come miglior regista al British Independent Film Awards, miglior film al London Film Festival e miglior sceneggiatura alla Writers Guild of Great Britain.
EVENTI SPECIALI
MIO FRATELLO RINCORRE I DINOSAURI (MY BROTHER CHASES DINOSAURS) di Stefano Cipani Italia/Spagna, 2019, 100’, prima mondiale Con: Alessandro Gassman, Isabella Ragonese, Francesco Gheghi, Gea Dall’Orto, Rossy De Palma Produzione: Paco Cinematografica, Neo Art Producciones con Rai Cinema Distribuzione italiana: Eagles Pictures Jack ha sempre desiderato un fratello maschio con cui giocare e quando nasce Gio, i suoi genitori gli raccontano che suo fratello è un bambino “speciale”. Da quel momento, nel suo immaginario, Gio diventa un supereroe, dotato di poteri incredibili, come un personaggio dei fumetti. Con il passare del tempo Jack scopre che in realtà il fratellino ha la sindrome di Down e per lui diventa un segreto da non svelare. Quando Jack arriva al liceo e si innamora di Arianna, decide di nascondere alla ragazza e ai nuovi amici l’esistenza del fratello. Ma non si può pretendere di essere amati nascondendo una parte così importante di sé. “Il romanzo di Giacomo Mazzariol – scrive il regista – ha avuto un forte impatto sulla mia immaginazione e quando ho conosciuto Jack e Gio e la loro famiglia mi sono reso conto di essere di fronte a qualcosa di davvero unico: una storia importante”.
HOUSE OF CARDIN di P. David Ebersole, Todd Hughes Stati Uniti, 2019, 95’, prima mondiale Vendite estere: Doc & Film International Distribuzione italiana: I Wonder Al tramonto della sua luminosa carriera, uno dei più creativi e rivoluzionari creatori di moda del XX secolo, Pierre Cardin, ha aperto per questo film il suo archivio privato, frugato nella memoria per ripercorrere le tappe di una carriera che non è difficile definire unica, dando conto di una vita che in molti passaggi viene narrata dai suoi amici e collaboratori. Il film è un ritratto vivo e colorato in cui si riflette la società contraddittoria e raffinata che Cardin ha attraversato, da Parigi all’Asia, dal Veneto (in cui Pietro Cardin è nato 96 anni fa) all’Asia e fino…alla Luna. Grazie alla collaborazione di I Wonder e di Doc&Film le Giornate rendono omaggio all’uomo e all’artista.
IL PRIGIONIERO di Federico Olivetti Italia, 2019, 16’, prima mondiale Con: Paolo Musio, Sabrina Impacciatore, Franco Ravera Produzione: Kama Productions Paolo e Maria sono due sposini ordinari che vivono alle porte del paese. Una mattina Paolo esce di casa per comprare del pesce e non torna più. Giù in paese, in piazza, una donna è stata derubata di una preziosa collanina da un malandrino sedicenne che riesce a scappare dopo il misfatto. Paolo, incrociandosi con la donna e la gente del paese, viene additato dalla vittima e accusato del furto.
SCHERZA CON I FANTI di Gianfranco Pannone Italia, 2019, 72’, prima mondiale Produzione: Istituto Luce Cinecittà Italiani brava gente? Discutibile. Ma certo il nostro non è mai stato realmente un popolo guerriero, anche perché la millenaria storia del Paese ha visto fin troppe guerre, violenze, pestilenze per potersi affidare al solo amor patrio. Partendo da questa particolare condizione storica, Scherza con i fanti vuol essere sia un viaggio tragicomico nella recente storia d’Italia sia un universale inno alla pace, ma soprattutto si propone con un percorso lungo più di cent’anni che prova a scandagliare il difficile e anche sofferto e ironico rapporto del popolo con il mondo militare e più in generale con il potere, in cui agisce fortemente una pietas di matrice cristiana. Tutto questo attraverso i canti popolari, le immagini d’archivio dell’Istituto Luce e quattro diari di guerra di ieri e oggi.
MONDO SEXY di Mario Sesti Italia, 2019, 75’, prima mondiale Produzione: Augustuscolor Attraverso una fitta e incalzante costruzione di sequenze tratte dai documentari erotici degli anni ‘60, il cosiddetto genere “mondo”, il film propone un viaggio nella vita notturna degli anni ‘60 di città come Parigi, Londra, New York, Hong Kong, Tokyo e altre località esotiche, mappate dall’immaginario popolare di questo cinema che nella forma del reportage evocava l’universo del proibito, del nudo, del desiderio. Il critico Mario Sesti costruisce un percorso visuale e “virtuale” intorno al tema del corpo femminile, chiamando idealmente al suo fianco Bataille e Barthes per creare un corto circuito tra il valore del corpo e un cinema seriale che per alcuni anni, con la complicità di registi come Mino Loy e produttori come Renato Libassi, ha connotato un vero “filone” di successo.
BURNING CANE di Phillip Youmans – In collaborazione con il Tribeca Film Festival Stati Uniti, 2019, 77’, prima internazionale Con Wendell Pierce, Karen KaiaLivers, Dominique McClellan Vendite estere: Untitled Entertainment Una madre spaventata dalla vita e lasciata sola a occuparsi del figlio, alcolista e senza lavoro; una moglie che cerca di salvare il suo uomo dal disastro; un prete che, dopo la morte di sua moglie, cerca la fede nella bottiglia piuttosto che nella chiesa: sono alcuni dei disperati che vivono nella parte più desolata della Louisiana a contatto con una natura di bellezza abbacinante e apparentemente indifferente alla brutalità degli uomini. Le “canne brucianti” del giovanissimo autore (finiva le riprese mentre prendeva la licenza liceale) hanno conquistato la critica americana, vinto il massimo premio del Tribeca Film Festival e cominciano da Venezia una promettente carriera internazionale. Il produttore esecutivo è Benh Zeitlin (il regista de Re della terra selvaggia) e proprio il suo stile, così come lo sguardo sulla natura di Terrence Malik appaiono i riferimenti estetici di questo nuovo talento del cinema indie americano.
NOTTI VENEZIANE alla Villa degli Autori
LA LEGGE DEGLI SPAZI BIANCHI di Mauro Caputo Italia, 2019, 61’, prima mondiale Produzione: VOX Produzioni con Istituto Luce-Cinecittà dall’omonimo racconto di Giorgio Pressburger Tutto è scritto negli spazi bianchi, tra una lettera e l’altra. Il resto non conta. Una fredda mattina d’inverno, il dottor Fleischmann (letteralmente uomo di carne), si trova ad affrontare l’inizio di una progressiva perdita di memoria. Inizia così l’apologo, in un’atmosfera onirica dove realtà e finzione sembrano intrecciarsi e a tratti confondersi. Il protagonista, un uomo di scienza, si ritrova immerso suo malgrado in un universo, quello della malattia, dominato da misteriosi rapporti tra il destino e le vicende biologiche e fisiologiche che regolano la vita. Il film è tratto dall’omonimo racconto di Giorgio Pressburger.
EMILIO VEDOVA. DALLA PARTE DEL NAUFRAGIO di Tomaso Pessina Italia, 2019, 68’, prima mondiale Produzione: Twin Studio Un ritratto della figura e del valore artistico del più importante pittore veneziano del XX secolo nel centenario della nascita. Sono i suoi diari, le sue parole ritrovate negli archivi, i ricordi dei suoi amici e degli artisti che ne hanno misurata la grandezza a guidare per mano lo spettatore in questo viaggio. Ed è la voce di Toni Servillo a prestare a Emilio Vedova quel suono che oggi ci permette di entrare nel suo emozionante mondo interiore.
THE GREAT GREEN WALL di Jared P. Scott Gran Bretagna, 2019, 91’, prima mondiale Produzione: Make Waves in associazione con The United Nations Convention to Combat Desertification Vendite estere: Seville International Grazie a un produttore esecutivo da sempre innamorato della causa ambientalista come Fernando Meirelles e alla passione della musicista maliana Inna Modja, il sogno della Muraglia Verde, concepito fin dal 2009 dall’Unione Panafricana e oggi sostenuto anche dalle Nazioni Unite e dalla Banca Mondiale, diviene una realtà visibile. Un muro di alberi, da Dakar a Gibuti; un muro opposto ad ogni altro perché fatto di realtà viva com’è un albero; una barriera contro la desertificazione, la carestia, i mutamenti climatici. “Inna – racconta l’autore – ha scritto la sua musica mentre scopriva e faceva sua questa realtà. Il film è come un diario organico scritto al presente da una cantante che crede nell’ecologia e conosce la terra che scopre insieme a noi”.
CERCANDO VALENTINA di Giancarlo Soldi Italia, 2019, 76’, prima mondiale Produzione: Bizef produzione srl, Laser digitalsrl, Rai com Un’affascinante odissea biografica fra sogni, desideri e ossessioni per scoprire il mondo di Guido Crepax attraverso la sua creatura Valentina (in cui l’autore si è identificato). Un ritratto dell’artista tra narrazione e visionarietà. Sono gli anni in cui a Milano, Parigi e Londra esplode un’effervescenza culturale, una rivoluzione estetica e narrativa che contamina il mondo artistico e Crepax ne è uno dei protagonisti. Il film è un viaggio alla ricerca di Valentina, elegante e sofisticato sogno erotico per gli uomini e simbolo di indipendenza, fascino e seduzione per le donne, dove il passato si confonde col presente.
SUFFICIENTE di Maddalena Stornaiuolo, Antonio Ruocco Italia, 2019, 10’, prima mondiale In una scuola della periferia nord di Napoli, un quindicenne si presenta agli esami di licenza media. I professori lo accolgono con lo scetticismo riservato ai ripetenti. Lui non si perde d’animo e racconta la sua tesina che parte dalla storia, la sua storia, segnata da un fatto drammatico, per arrivare a parlare del corpo umano e del Cristo Velato. I professori rimarranno ad ascoltarlo. A lui basterà aver strappato la sufficienza.
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Venezia 76: presentato il programma di Giornate degli Autori
Venezia 76 – Come accade dal 2004, nell’ambito della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia si svolgono le Giornate degli Autori (28 agosto – 7 settembre), dirette da Giorgio Gosetti e quest’anno per la prima volta presiedute da Andrea Purgatori: 11 i film in concorso, 8 gli eventi speciali compresi i “Miu Miu Women’s Tales” […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Chiara Guida
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Caso Siri: veleni, sospetti e propaganda fra Lega e M5s. Anche Giorgetti invoca un chiarimento
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