#fotografia metafisica
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Decisioni "Nella vita di ogni uomo c’è sempre un momento in cui si decide che genere di persona si è. Punto". (Fredrik Backman - L'uomo che metteva in ordine il mondo)
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INDEX
CLASSICO E ROMANTICO
William Blake, Newton
Jöhan Heinrich Füssli, L'incubo
Étienne-Luoise Boullée, Progetto per il cenotafio di Newton
Claude-Nicolas Ledoux, Casa delle Guardie campestri
John Constable, La chiusa
e il mulino di Flatford
William Turner, Mare in tempesta
Francisco Goya, Fucilazione
Jacques-Louis David, La morte di Marat
Antonio Canova, Monumento di Maria Cristina d’Austria
Jean-August-Dominique Ingres, La bagnante di Valpingon
Théodore Géricault, La zattera della Medusa
Eugène Delacroix, La Libertà guida il popolo
Lorenzo Bartolini, Monumento funebre della contessa Zamoyska
François Rude, Rilievo dell'Arco di trionfo di Parigi Camille Corot, La cattedrale di Chartres
Théodore Rousseau, Temporale; veduta della piana di Montmartre
Honoré Daumier, Vogliamo Barabba
Constantin Guys, Per la strada
Honoré Daumier, Il vagone di terza classe
François Millet, L’Angelus
Camille Pissarro, Sentiero nel bosco in estate
LA REALTA' E LA COSCIENZA (l’Impressionismo; La fotografia; Il Neo-impressionismo; Il Simbolismo; L’architettura degli ingegneri)
Gustave Courbet, Ragazze in riva alla Senna (Estate)
Edouard Manet, Le déjeuner sur l'herbe
Alfred Sisley, Isola della Grande Jatte
Claude Monet, Regate ad Argenteuil;
Claude Monet, La Cattedrale di Rouen
Auguste Renoir, Le Moulin de la Galette
Edgar Degas, L'absinthe
Paul Cézanne, L'asino e i ladri
Paul Cézanne, La casa dell'impiccato ad Auvers (Non Aversa)
Paul Cézanne, I giocatori di carte
Paul Cézanne, La montagna Sainte-Victoire
Georges Seurat, Una domenica pomeriggio all’isola della Grande-Jatte
Paul Signac, Ingresso del porto a Marsiglia
Paul Gauguin, Te Tamari No Atua
Vincent van Gogh, Ritratto del postino Roulin
Henri de Toulouse-Lautrec, La toilette
Henri Rousseau detto il Doganiere, La Guerra
Odilon Redon, Nascita di Venere
Gustave Moreau, L'apparizione
Pierre Bonnard, La toilette del mattino
Auguste Rodin, Monumento a Balzac
Medardo Rosso, Impressione di bambino davanti alle cucine economiche
I pittori della cerchia di Mallarmé
Edouard Vuillard, La pappa di Annette.
James MeNeill Whistler, Notturno in blu e oro: il vecchio ponte di Battersea
L' OTTOCENTO IN ITALIA, IN GERMANIA, IN INGHILTERRA
1. Giovanni Fattori, In vedetta
IL MODERNISMO (Urbanistica e architettura moderniste; Art Nouveau; La pittura del Modernismo; Pont-Aven e Nabis)
1. Antoni Gaudí, Casa Milá a Barcellona
2. Adolf Loos, Casa Steiner a Vienna
3. Antoni Gaudi, Il Parco Güell a Barcellona
L’ARTE COME ESPRESSIONE (Espressionismo; La grafica dell’Espressionismo)
1. Edvard Munch, Pubertà
André Derain, Donna in camicia
Ernst Ludwig Kirchner, Marcella
Henri Matisse, La danza
Emil Nolde, Rose rosse e gialle
Oskar Kokoschka, Chamonix, Monte Bianco
L’EPOCA DEL FUNZIONALISMO (Urbanistica, architettura, disegno industriale; Pittura e scultura; Der blaue Reiter; L’avanguardia russa; La situazione italiana; École de Paris; Dada; Il Surrealismo; La situazione in Inghilterra; La situazione italiana: Metafisica, Novecento, anti-Novecento)
Le Corbusier, Villa Savoye a Poissy
Le Corbusier, Cappella di Nötre-Dame-du-Haute a Ronchamp
Walter Gropius, La Bauhaus a Dessau
Ludwig Mies van der Rohe, Plastico di un grattacielo in verro per Chicago
Ludwig Mies van der Rohe, Seagram Buildings a New York
Tre progetti per il Palazzo dei Soviet. Le Corbusier e Pierre Jeanneret,
Walter Gropius, Bertold Luberkin,
Teo van Docsburg e Hans Arp, Cinema-ristorante L'Aubette a Strasburgo.
Thomas Gerrit Rietveld, Poltrona con elementi in nero, rosso, blu
Pier Mondrian, Composizione in rosso, giallo, blu
Aivar Aalto, Sanatorio a Paimio - Poltrona
Frank Lloyd Wright, Casa Kaufmann a Bear Run
Pablo Picasso, I saltimbanchi; Les demoiselles d’Avignon; Natura morta spagnola
Georges Braque, Narura morta con l’asso di fiori
Robert Delaunay, Tour Eiffel
Juan Gris, Natura morta con fruttiera e bottiglia d’acqua
Georges Braque, Natura morta con credenza: Café-bar
Marcel Duchamp, Nu descendant un escalier n. 2
Umberto Boccioni, Forme uniche nella continuità dello spazio
Giacomo Balla, Automobile in corsa
Vasili; Kandinsky, Primo acquerello astratto; Punte nell'arco
Paul Klee, Strada principale e strade laterali
Anton Pevsner, Costruzione dinamica
Naum Gabo, Costruzione nello spazio; Il cristallo
Fernand Léger, Composizione con tre figure
Joan Miró, La lezione di sci; Donne e uccello al chiaro di luna
Giuseppe Terragni, Progetto dell'Asilo Sant'Elia a Como
Atanasio Soldati, Composizione
Constantin Brancusi, La Maiastra
Amedeo Modigliani, Ritratto di Léopold Zborowski
Georges Rouault, Cristo Deriso
Marc Chagall, A la Russie, aux anes et aux autres
Pablo Picasso, Guernica
René Magritte, La condizione umana Il
Man Ray, Motivo perpetuo
Henry Moore, Figura sdraiata
Alexander Calder, Mobile
Ben Nicholson, Feb. 28-53 (Vertical Seconds)
Francis Bacon, Studio dal ritratto di Innocenzo X di Velázquez
Diego Rivera, L'esecuzione dell'imperatore Massimiliano
David Alfaro Sigueiros, Morte all'invasore
Giorgio De Chirico, Le Muse inquietanti
Carlo Carrà, L'amante dell'ingegnere
Alberto Savinio, Nella foresta
Osvaldo Licini, Amalasunta su fondo blu
Giorgio Morandi, Natura morta con fruttiera
7. LA CRISI DELL'ARTE COME "SCIENZA EUROPEA" (Urbanistica e architettura; La ricerca visiva; La pittura negli Stati Uniti)
Ellsworth Kelly, Verde, blu, rosso
Morris Louis, Gamma Delta
László Moholy-Nagy, Composizione Q XX
Julius Bissier, 25 settembre 1963?
Josef Albers, Omaggio al quadrato
Arshile Gorky, Giardino a Sochi
Jean Fautrier, Nudo
Jean Dubuffet, Orateur
André Masson, Les Chevaliers
Hans Hartung, Composizione
Jackson Pollock, Sentieri ondulati
Mark Rothko, Rosso e blu su rosso
Albero Burri, Sacco B.
Antoni Tápies, Bianco e arancione
Giuseppe Capogrossi, Superficie 114
Lucio Fontana, Concetto spaziale: attesa
Alberto Giacometti, Figura
Ettore Colla, Officina solare
Mark Tobey, Circus transfigured
Georges Mathieu, Cast
Victor Vasarély, Composizione.
Kenneth Noland, Empireo
Clyfford Still, 1962-D
Emilio Vedova, Plurimo n. 1; Le mani addosso
Robert Rauschenberg, Letto
Mimmo Rotella, Marilyn
Roy Lichtenstein, Il tempio di Apollo
Andy Warhol, Marilyn Monroe
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Mario Volpi La grande odalisque a cura di Gabriele Perretta (...) Uno dei cinque lavori di Mario Volpi che risultata i più rappresentativi della sua ricerca attuale, riguarda la riproduzione della famosa Odalisca adagiata di In gres nello spazio artificiale, anonimo e ludico della fotografia. L’Odalisca di In gres nell’opera di Volpi invita il fruitore a leggere le sorti di un nuovo Eros di un nuovo mito; la muliebre e leggiadra signora dei sogni, quasi come se ricoprisse lo spazio di uno schermo di un piccolo drive in, si erge sopra un parcheggio di TIR-giocattolo, dove i camionisti, con gli occhi appesi alle sue grazie, restano incantati dalle bellezze della concubina che fa da nobile cartellone pubblicitario. In effetti questa immagine, osservandola bene, più di ogni altra, raccoglie in sé la poetica totale che l’artista ha abbracciato, risolvendo non solo questo ultimo lavoro, che come sempre parte dal riferimento storico a Orson Welles e giunge sino alle musiche per piano da lui stesso composte ed eseguite in una sequenza di suite da concerto. E’ inevitabile che l’Odalisca ci porti all’idea ed alla funzione del mito che nel nostro contemporaneo ha sempre due facce e due sfumature, che lo rendono occasione di numerosi prestiti e interpretazioni. […] in effetti, nell’immagine di Volpi ciò che risulta schermo, copia, si autodenuncia nella sua sinistrità e nel suo essere piacevolmente copia, nella sua elogiata conquista del territorio dell’emulazione. Tutta la poetica dello schermo, e qui lo schermo rimanda quasi ad un universo cognitivo a forma di specchio, sovviene pressappoco al gioco riflettente della sua specularità post-pop. Dicevo dello schermo-specchio, per ripetere che esso si carica di ombre che lo stesso Volpi definisce teatrino di “stonati”, scontri-confronti di uomini finti che tentano di parlarci di uomini veri. Ma dove sono infine gli uomini? Volpi, da quando lo conosco, ed ormai saranno quindici anni, dopo la sua breve ma intensa esperienza pittorica conclusasi tra il versante della metafisica, dell’architettura disegnata e dell’assurd-reale, ha sempre usato dei sembianti che si aggiravano nello spazio fotografico sotto allo schermo, degli umanoidi che osavano riflettere il post-umano o più semplicemente la sparizione dell’uomo, senza lo stridore stilistico della performance o del diletto pulp ammiccante. […] Gabriele Perretta
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Le Conseguenze Dell'Amore il film di Paolo Sorrentino (2004) ancora vivi...
Si chiama Titta Di Girolamo e da lungo tempo abita in un albergo svizzero. senza un perchÉ apparente consuma la propria esistenza tra una camera e il bar, tra il ristorante e il salotto dove si gioca a carte. Regolarmente riceve una valigia, e intorno a quella valigia si condensano tutti i misteri, mostruosi e inquietanti, che lo riguardano. Un giorno Titta Di Girolamo rivolge la parola a una fanciulla, Sofia, e da quel momento il precario equilibrio del suo mondo oscuro va in frantumi. «L’abitudine alla vita non è un buon motivo per vivere», diceva Jean-Claude Izzo. Al di là dei risvolti noir del film, dell’esigenza di un colpo di scena esplicativo che forse non è poi così importante, Le conseguenze dell’amore lavora su questo. Sull’abitudine, il vuoto, la mancanza di senso dei gesti e dei pensieri di un individuo alla deriva. Calato in una dimensione squisitamente metafisica, allora, quello di Sorrentino diventa un grande film. Non importa, cioè, che “dietro” ci sia una storia di mafia, e che la fine di Titta rimandi simbolicamente alla sua ormai appurata “imbalsamazione” (pietrificato di fronte a tutto, alla vita come alla morte). In fondo il senso del film è già nel suo essere così sospeso, “svuotato”, liquido. Non a caso, Sorrentino attraverso i vetri e il direttore della fotografia Luca Bigazzi attraverso i filtri, ci fanno assistere alla tragedia del protagonista come fosse in un acquario. E con curiosa simmetria, rispetto al suo precedente film L’uomo in più, nel quale un destino si raddoppiava, il regista (anche sceneggiatore) questa volta dimezza, sminuzza, finché Titta non diventa l’uomo in meno, l’elemento mancante. Lo scandalo filosofico, quindi, è il momento in cui si sospetta che potrebbe mancare a qualcuno (a Sofia?). Allora sì che l’universo crolla, e quell’uomo che prima non c’era, finalmente c’è. Toni Servillo, un Titta straordinario, riempie la scena ma non la ingombra mai, proprio perché sopra, sotto, dentro e intorno a lui pulsa il vuoto liquido dell’acquario. Ma sono da brivido anche i due personaggi secondari, Angela Goodwin e Raffele Pisu, che si trascinano dietro un senso di decadenza e di “orgogliosa” solitudine che appartiene da sempre agli uomini e alle donne della letteratura lacustre, da Piero Chiara in giù.
Recensione tratta da FilmTv.it
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Un titolo di giornale.
Un verso di poesia.
Non oltre.
Condensare, ed insomma.
Qui, condensare in "anche luce viaggia lì".
Sono tentato di fermarmi qui.
Perché non condensare nuoce gravemente alla densità.
E' come diluire, annacquare, il proseguire, qui.
Ed invece:
"anche luce viaggia lì", qui, pare a me sufficiente - per la potente fotografia di Benaissa Llyes - a veicolare emozioni e pensieri sull'immagine a corredo di questo brano.
Ma toccami argomentare, qui.
Ed allora:
anche la luce viaggia sulla strada, lì.
Già sa di metafisica, quella strada.
La gioia percettiva della sfocatura selettiva.
È sospesa, la strada, così.
E sensuale, per andamento, timbro, grafia.
La luce ne approfitta.
Suoi raggi s'inclinano come curva piega.
Salgono sul carro, loro.
Quel carro che non passerà.
Non serve il carro, a Benaissa.
Basta l'intenzione, l'indizio di percorrimento, a Benaissa.
Immaginiamola, quella luce in movimento.
Terrestre stella che via via illuminerà ulteriori tratti, a sinistra.
Ma oltre al carro, non serve neppure il movimento, qui.
Perché Benaissa ha mirabilmente saputo condensare - lui sì, davvero - un universo in un fotogramma.
Lettera, astrazione, dinamica, stasi.
In una parola, sintesi.
E' così, in Fotografia, quando l'esito è alto.
All rights reserved
Claudio Trezzani
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Il surrealismo fotografico di Carlo Ferrara
In questo episodio Carlo Ferrara racconta la sua fotografia a Ilaria Berenice che lo intervista per il podcast di Arte and Cuisine
Carlo Ferrara è un fotografo di Serravalle Scrivia, AL che da giugno espone le sue fotografie nel progetto della mostra collettiva fotografica “La Metafisica del Bianco e Nero” al Forte di Gavi, AL. In questo episodio racconta la sua fotografia a Ilaria Berenice che lo intervista per il podcast di Arte and Cuisine “Storie e Personaggi“. Continue reading Untitled
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LE NUVOLE DELLA PORTA ACCANTO #settembre #metafisica #fotografia #segnievidenti #dodicilettere #marketingterritoriale #bassareggiana #lageografiadellenuvole #latorredellacquedotto #marketingterritoriale #vivoreggioemilia #realtá #allospecchio #area #brulla #nella #selva #cittadina (presso Guastalla, Italy) https://www.instagram.com/p/CUDEL_vIp5N/?utm_medium=tumblr
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No puedes dejar de leer #MujerMedicina. Una #novela llena de #amor #sación y #magia que te hará conectar con tu memoria ancestral y encontrar el #hilorojo 🙏🙏 Gracias a @olgaparress01 por la #fotografia 📚📚📚 Si quieres tú ejemplar firmado escríbeme por DM 💜💜💜 También en venta en @editorialmultiverso #Amazon y #CasadelLibro @sitegustadilo . #lasonambula #libro #novela #metafisica #mujer #escritora #literatura #cultura #poder #booktagramer #book #vida #booktag #bookadict #insta #escritoresdeinstagram #elche #escritoresdeelche #leeresvivir #culturainquieta (en Elche) https://www.instagram.com/p/Cg1YGl0D0qU/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Pianella, Abruzzo, Italy ©2014
kodak film
#kodak film#kodakfilm#analogue#analogica#fotografia analogica#metafisica#pianella#provincia#paesaggio#rurale
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Avrei voluto fotografarti Ma non c'eri
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Il tempo della vita "Nessuno ti restituirà gli anni, nessuno ti ridarà di nuovo te stesso: il tempo della vita se ne andrà per la via per cui si è incamminato e non richiamerà indietro o arresterà il suo procedere" (Seneca)
#seneca#vita#tempo#anni#art#photography#fotosalvatoredidio#photosalvatoredidio#my photos#citazioni#quotes#riflessioni#frasi e pensieri#pensieri#fotoecitazioni#mie foto#fotografia metafisica
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“Sono stato espulso dal college per aver copiato ai miei esami di metafisica, avevo sbirciato nell’anima del mio vicino.” Woody Allen . . . . #metafisica #giorgiodechirico #torino #nikon #nikond3400 #fiume #streetphotography #fotografia #fotografiaartistica #art #arte #artecontemporanea #picoftheday @il_fotografo_magazine @enkster__ @streets_storytelling @streetphotographyinternational (presso Turin, Italy) https://www.instagram.com/p/BwAY0gngZAj/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=2bkkba4ed7ma
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“Vorrei che si dicesse alla gente, con brutalità o con dolcezza parimenti violenta, ricordati che hai un’anima e che un’anima può tutto”. Cristina Campo, un’intervista
Tra i reperti della Radiotelevisione Svizzera c’è un documento straordinario, pubblicato nel 1977. Si tratta di un colloquio tra Cristina Campo e Olga Amman, “etnologa, viaggiatrice e documentarista” (vedi qui), realizzato a Nervi, alcuni mesi prima della sua morte, accaduta il 10 gennaio 1977, a Roma. La Campo non era solita rilasciare interviste: con la Amman fece una eccezione, “accettò forse perché anch’io come lei ero convinta che le cose del mondo visibile sono meno numerose di quelle del mondo invisibile”. Il dialogo si può ascoltare integralmente qui; ne ho estrapolato, per punti, alcune parti, in lettura, lo spartito di un’anima rara. “Io traverso uno strano periodo, un poco sonnambolico, interrotto da momenti di acutissima veglia. Le chiavi continuano ad aprire porte inattese… Io non sono così innocente da penetrare in quei territori come Alice nello specchio – mi rendo conto che si può scoprire all’improvviso di trovarsi in foreste di orsi e di serpenti”, scrive la Campo, il 21 gennaio 1975, a ‘Mita’. Vigile nella solitudine, la Campo abita un doppio romitorio: fisico – ha rari contatti con il mondo – e metafisico – s’è scavata un monastero nel cuore, dove il volto è scatto di fiamma. La sua voce, allo stesso modo, è distante, da un regno blu, scandito da un tempo misurabile in candele, e viva, piena, pronta, qui, in salotto – la Campo è allo stesso modo monda e mondana, ha l’attenzione di chi è nudo e morde. Appena dopo la morte, nel numero di gennaio-marzo 1977 di “Conoscenza religiosa”, sono pubbliche le sue traduzioni da Efrem Siro, il grande poeta e sapiente della Chiesa vissuto nel IV secolo. È poema che brucia, trapunto di luce, un inno alla luce – “Se si congiunge a una fonte di luce/ l’occhio diviene luce/ sfavilla di quella luce/ si fa glorioso di quello splendore” – che infine acceca, fino a rendere visibile solo ciò che non si vede.
***
Chi è Cristina Campo? “Ma scusi, ma a chi importa?… c’è pure quel matto che strisciava per terra un grosso zoccolo dicendo, ‘lo consumerò questo pazzo mondo’… sono un po’ perplessa di questa generosità, del loro tempo, eccetera, mi affido a lei, non so cosa dire… Spero bene di non saper mai parlare di me…”.
Lo pseudonimo. “Il mio è uno pseudonimo… mi ricorda una persona saggia e antica che diceva: non dir mai il tuo vero nome, non dir mai la tua data di nascita e non regalare mai una tua fotografia… Da bambini si giocava a darsi dei nomi, avevo 15 anni e giocavo con una mia dolcissima amica che morì sotto la prima bomba che cadde su Firenze. Da allora questo nome dato per gioco mi diventò più caro del mio, e questo è tutto”.
Il gioco delle maschere. “Considero Cristina Campo talmente poco importante che non mi pesa affatto… Cristina Campo è un personaggio a cui non penso mai, che bellezza, lei resta fuori…”.
“Ha scritto poco e le piacerebbe aver scritto meno”. “La parola per me è una cosa terribile, è un filo scoperto, elettrico… con il verbo non si scherza… Possiamo fare un male terribile, dire immense sciocchezze di cui ci pentiremo dieci anni dopo. Possiamo educare, formare anime ancora tenere con una sicurezza bersagliera che dopo alcuni anni rimpiangeremo. Ho sempre avuto una gran paura della parola: ho scritto molte cose che non ho pubblicato e non me ne importa nulla. Domani, se stessi per morire, ne butterei nel fuoco molte. ‘Di ogni parola inutile sarà chiesto conto’, dice la Scrittura”.
Cosa le importa? “La poesia mi importa molto. Qualcosa che mi importa più della poesia è la fonte della poesia. La poesia non ha senso se non nasce da una fonte metafisica, invisibile, come nelle fiabe. Queste sono le due cose che contano”.
Credere nell’invisibile. “Credo pochissimo al visibile, credo molto all’invisibile ed è forse la cosa che mi interessa di più”.
Fare cose proibite. “Sto facendo cose proibite, che ora sono diventate pericolose… Mi sono messa a studiare un po’ per noia del pluralismo nostrano, le liturgie non nostre, rimaste se stesse, ed è un mondo inimmaginabilmente bello e importante: mi sono accorta che non solo tutta l’arte ma anche le fiabe vengono da lì… Le due liturgie che più mi hanno impressionato sono l’etiopica e la bizantino-slava, e poi altre, una bellissima, caldaica, dove sentiamo le parole di Cristo come le ha dette”.
Il Padre Nostro è una poesia. “Il Padre nostro è una poesia. La prima parte, che si svolge tra uomo e Dio, sui desideri a lode di Dio, è rimata; la seconda parte, quando si scende a chiedere il pane quotidiano, è una prosa ritmica, cala, richiama con risonanze la prima parte, è un capolavoro straordinario… Gli strumenti poi sono bellissimi: gli armeni hanno cembali e gong, gli etiopici hanno i tamburi e i sistri, sono meravigliosi. Ciò che avevamo una volta e che abbiamo gettato via, per ragioni certamente sublimi ma che io non afferro, sono conservati lì per aprire i cinque sensi, che diventano cinque porte per far entrare l’invisibile. I profumi di una chiesa armena non possiamo immaginarceli: il profumo del miron, il crisma dove hanno bollito per tre giorni e tre notti cinquantasette aromi diversi alla lettura continua del Vangelo in un fuoco scaturito da icone e alimentato dal vescovo è qualcosa di indicibile”.
Sulle domande capitali: Chi sei? Che senso ha il mondo? “Non esco mai dalla minore età, spero sempre vanamente, perciò queste domande non le so immaginare, non posso pormi nel cervello dell’Essere, come faccio? Non mi sono mai posta il problema perché si vive? Per me un miracolo… Avere visto una lucertola che prendeva la buccia di una pera, stando sopra il mio piede, e la portava alla femmina, come un dono, mentre il sole tramontava. Ecco, che bello essere creati… o che cosa spaventosa in altri momenti. La domanda urgentissima, piuttosto, è: perché sei qui e cosa devi fare? A quella domanda quasi sempre rispondo ‘per scrivere’, con enorme presunzione. Testimoniare la bellezza, ecco, mi sembra una risposta. E poi amare alcune persone, potendo moltissime, tutto e tutti, ma è difficile”.
La civiltà occidentale. “Questa non mi sembra più una civiltà, non ha più niente dei caratteri di una civiltà. La civiltà si trasmette con amore, questa è una cosa che si distrugge con furore”.
Lavorare su se stessi, il “collettivo” non esiste. “Non credo in niente di collettivo, ognuno deve lavorare su se stesso. Ognuno irradia, collettivamente non si può far niente. Esistono uomini ‘realizzati’: questi uomini entrano e tutto va a posto. Io non ho fiducia in niente, ma ho incontrato persone mature, diciamo così, che hanno capito tutto, basta, chiuso, un 5 o 6 uomini e 7 o 8 donne, che è un numero stragrande per chi vive sola, come me, che non frequento un mondo. Vuol dire che ce n’è di questi uomini. Ho viaggiato poco, li ho conosciuti questi uomini e so che se si potesse permettere a questa gente di avere in mano la ferula, potrebbero scaturire dei miracoli”.
Ricordati che hai un’anima. “Vorrei che si dicesse costantemente alla gente, con brutalità o con dolcezza parimenti violenta, come faceva Cristo, ‘ricordati che hai un’anima e che un’anima può tutto’”.
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Augusto De Luca, (Napoli, 1 luglio 1955) è un fotografo e performer.
Ha ritratto molti personaggi celebri. Studi classici, laureato in giurisprudenza.
E’ diventato fotografo professionista nella metà degli anni ’70.
Si è dedicato alla fotografia tradizionale e alla sperimentazione utilizzando diversi materiali fotografici .
Il suo stile è caratterizzato da un’attenzione particolare per le inquadrature e per le minime unità espressive dell’oggetto inquadrato.
Immagini di netto realismo sono affiancate da altre nelle quali forme e segni correlandosi ricordano la lezione della metafisica.
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Francesca Della Toffola
di Cristina Sartorello
--- Una interessante insolita e innovativa esposizione in una particolare location a Ceggia nello Spazio Ramedello creato da Valeria Davanzo che, per Nino Migliori, il grande fotografo bolognese, potrebbe essere chiamato “L’isola della cultura” pur essendo una ex stalla adattata a spazio artistico e di incontro per eventi culturali, ci propone la mostra di Francesca Della Toffola “Accerchiati incanti”.
Francesca Della Toffola
E’ lei la vincitrice a Lignano Sabbiadoro della sezione fotografia del premio Hemingway 2018, proprio con questo progetto, con la seguente motivazione: “Oggi la fotografia nell’attuale passaggio epocale, dalle impronte chimico-fisiche a quelle elettroniche, offre sorprendenti e magiche possibilità di visualizzazione e non solo della realtà corporea ma del pensiero e dei sogni. La giovane fotografa Francesca Della Toffola ha individuato nella Nuova Fotografia un suggestivo spazio alla sua ansia poetica, che riesce ad esprimere in immagini alchemiche tese a visualizzare il suo pensiero onirico e nel contempo esistenziale, anche in una colta lettura delle storiche tracce della fotografa vittoriana-preraffaellita Julia Margaret Cameron, la prima a cercare, con la speculare fotografia di esprimere, oltre al volto delle cose, soprattutto la loro anima”.
Francesca ha iniziato come fotografa freelance, di matrimoni, come fotografa industriale e grafica, ed ora insegnante di fotografia a Montebelluna in un istituto superiore di grafica e comunicazione; inoltre è curatrice della rassegna Trevignano Fotografia, giunto quest’anno alla decima edizione.
Lei predilige in fotografia il ritratto, la natura con la macro e l’autoritratto utilizzando la fotografia come un linguaggio con il quale riesce a parlare della sua interiorità; partendo dalla sua ombra con lo stupor dei bambini, passando all’autoritratto ambientato che interpreta con una sua rivisitazione pittorialista dei piedi, delle mani e poi alla figura intera, poco il volto.
In questa mostra troviamo 45 cerchi di legno grezzo dipinti in bianco dalla autrice, di 60 centimetri di diametro ed altri più piccoli larghi 40 ed una serie inedita di sfere in plexiglass con all’interno due fotografie differenti, una contro l’altra, che occupano tutto il perimetro del cerchio per dare tridimensionalità e non solo profondità, come se le sfere fossero dei pianeti rotanti, in multipli movimenti.
Particolare della mostra “Accerchiati incanti” di Francesca Della Toffola (ph. Cristina Sartorello)
Questo andare simbolicamente in sé stessi, in questa rotazione dello spirito per ritrovare il nocciolo, l’essenza del proprio sentire, è la specificità del lavoro di Francesca Della Toffola che nel 2010, parte con il tentativo di fusione con la natura, con il girasole, il mare, con una tecnica di doppia esposizione non in contemporanea, ma ottenuta con due fotografie unite al computer, perché la fotografa usa una macchina Canon 5D che non ha doppia esposizione in automatico.
Il progetto precedente “The black line series” è stato fatto con una Minolta a pellicola, reinserendo nuovamente la stessa pellicola nella macchina, rifotografando e quindi togliendo la striscia delle diapositive a colori, tagliandola lungo l’inquadratura ed ottenendo così una fotografia con parti di un fotogramma e con la striscia nera che lo divide da un altro.
In questo progetto la fotografa si nasconde nelle sue stanze per cercare i colori della mente, angoli colorati dove reinventare nuovi spazi, nuove dimensioni, in frammenti di pensieri, immagini, ferite, rigurgito emotivo, usando come sfondi gli affreschi di una villa antica, l’acqua di una piscina, muri bianchi o colorati in cui fondersi.
Poi Francesca ha sentito la necessità di uscire di casa ed unirsi con la sua parte femminile in una riscoperta di sé stessa a colori all’esterno, individuando lo sfondo nella realtà, fotografandolo in una fusione con la natura, le erbe, la neve, la terra; subito dopo la fotografa si posiziona lì, si mette in posa adagiata proprio su quel terreno, o un albero, un muro di cemento, delle piastrelle, luoghi e spazi che fanno parte della nostra vita, facendo la seconda o terza fotografia, per avere la stessa luce.
©Francesca Della Toffola, due opere da “Accerchiati incanti”
I capelli rossi e la carnagione chiara di Francesca Della Toffola nelle sue creazioni mi riportano alle figure evanescenti della pittura preraffaellita di Dante Gabriel Rossetti, la cui moglie Elisabeth Siddal, anche lei pittrice, fu la modella per l’Ofelia di John Everett Millais, con una lettura simbolica, metafisica, onirica.
La scelta dell’abito serve per mimetizzarsi nello sfondo, ed a seconda del colore si nota che la pelle vince sul bianco o sul crema, l’abito verde risulta bene sul prato nelle foto a tutto corpo, e dove c’è più luce il corpo sparisce, mentre nelle zone di ombra in corpo compare; negli autoritratti parziali le unghie dei piedi con lo smalto danno a Francesca un tocco di colore e di modernità, mentre le mani con le lunghe dita si confondono con la texture scelta.
L’artista scrive anche suggestive ed emozionali poesie che lei abbina alle sue fotografie, positivamente influenzata dai versi di Antonia Pozzi e di Andrea Zanzotto, con una forte sensibilità, mettendosi a nudo per esprimere le proprie emozioni poiché Francesca Della Toffola ha sempre pensato che la poesia si avvicina alla fotografia e la scrittura al cinema.
Ecco nascere queste stupende fotografie in formato circolare, perché il formato 24x36 le andava stretto, perché il cerchio rimanda alla terra, al ciclo delle stagioni e della vita; quindi questi scatti non sono esperimenti ma il frutto di un lavoro con sé stessa svolto con grande coraggio, con fantasia, creatività, scoperta, ricerca ed innovazione, nel quale sempre si mette in discussione, ed i risultati sono pregnanti, tangibili davanti a noi.
Francesca spiega la sua tecnica senza segreti, gelosie e possesso come molti fotografi non fanno; ora lei ha pubblicato due libri ben fatti: il volume “The black line series” e più recentemente “Accerchiati incanti” (Ed PuntoMarte) ove troviamo le foto rotonde in doppia esposizione con i suoi autoritratti che hanno il suo marchio e solo il suo, con queste figure immerse nell’acqua, nella luce, nel colore verde di felci preistoriche, piante fantastiche dei disegni di Lele Luzzati o di Leo Lionni, che ti fanno sognare.
Particolare della mostra “Accerchiati incanti” di Francesca Della Toffola (ph. Cristina Sartorello)
Francesca Della Toffola si è laureata con una tesi su Wim Wenders, ha frequentato corsi e workshop con eminenti maestri quali Franco Fontana, Mario Cresci e Arno Rafael Minkkinen e si è specializzata presso l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano. Ha allestito mostre personali e partecipato a svariate collettive conseguendo qualificanti riconoscimenti, oltre al Premio Hemigway, come il Premio Internazionale di fotografia Creativa alla Biennale di Fotografia Contemporanea Internazionale della città di Jinan (Cina).
Sue immagini fanno parte di collezioni pubbliche e private, tra le quali l’Archivio Zannier, l’Archivio Storico Fotografico della Galleria Civica di Modena, il Museo Nori De Nobili e l’Archivio Nazionale dell’Autoritratto Fotografico di Senigallia.
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Con cosa l'han fatta, questa fotografia qua?
Hasselblad X Pan?
Widelux 1500?
Horizon 202?
Vanno chieste agli eccellenti Marco Cavina Massimiliano Terzi, queste cose qui.
O magari no, hanno solo ritagliato.
Sapete, negli anni sessanta non avevano le attuali ubbie sulla risoluzione, che amavano appellare definizione.
Salvo ora tornare indietro, il riferimento è alle riviste su carta riciclata.
Eccomunque respira, questa doppia pagina qua.
Respira il vento della Versilia, dolcemente modulato dalle cespugliate chiome.
Molti di noi hanno esperienza del luogo, sin da quegli anni lì.
Di come la pineta ci sembrava grande perché eravamo piccoli noi.
Di come si è ristretta davvero, poi.
Di come non s'è ristretta del tutto, per nostra fortuna.
Queste robe qui - le orizzontali panoramiche - si fanno col telefonino, oggi.
Orrificamente, sovente.
Tecniche cangiano - ma le vecchie perdurano, per chi fa sul serio con passione - l'emozione perdura.
Sapete, l'eccellente filosofo Antonio Giovanni Maria Zetti mi ha detto, citando Heidegger:
"la tecnica è una sorta d'incarnazione della metafisica".
Senza tecnica non si può portare a casa il ricordo, valeva già pei pittori.
Premuto il pulsante od intinto il pennello, il viaggio continua.
Il viaggio dalla fisica alla metafisica.
Quello che colora di sublime il sensibile.
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Claudio Trezzani
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