#forse lo vediamo pure a sanremo chi lo sa
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fairylando · 1 day ago
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i just got reminded of when lewis went on italy's hit late-night show Che Tempo Che Fa hosted by fabio fazio and played adele's "someone like you" on the piano in december 2017.
make of that what you will.
(you can watch it here but it's worth mentioning that people dressed as mechanics brought out the piano with pitstop sounds 😭😭 peak cringe momento italiano ma ci amo per questo)
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pangeanews · 5 years ago
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Con tutta la musica brutta che c’è in giro, perché proprio Young Signorino? Discorso di un uomo che crede ancora nella bellezza, nonostante tutto
Normalmente l’intelligenza ci chiama a un dovere: arginare la bruttezza perché la nostra innocenza si affermi – nella contemplazione del bello – mediante una sensibilità mai soggetta alla povertà propria del brutto, appunto. Che vorrà mai dire povertà del brutto, poi? Ci sogneremmo mai di affibbiare alla bruttezza delle qualità che non siano negative? Come dicevo, normalmente no; ma oggi dov’è di casa la “normalità”? Non certo nella normalità tradizionalmente intesa.
In questa nuova normalità – così paradossalmente estesa – le peggiori blatte del sottobosco affiorano divenendo i giusti Vitelli d’oro per chi manca d’una completezza in sé stesso. Tra queste non posso non citare Young Signorino: un trapper tra i tanti, ma ancor più disturbante! So ciò che mi si potrebbe dire, magari una frase di questo tipo: «Chi ti credi di essere, Apollo?» rispondo: «Affatto, ma nemmeno un Dioniso stordito ed ebete; semmai un umile uomo che crede ancora, e nei limiti, in una giustezza del gusto che non si infrange per forza nel relativismo culturale di chi ascolta un determinato artista». Comunque sia, ammetto che – sostenendo la bruttezza dell’artista Young Signorino – sto intendendo quanto questo mi paia brutto internamente al mio ideale di bellezza pratica; quindi potrete benissimo evitare d’accogliere quanto intenderò se sarà in contrasto con la vostra prassi… ebbene sì, fondamentalmente pure io sono un relativista – mio malgrado.
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Che cos’è presente in Young Signorino? Credo molte cose, tra tutte una genialità – seppur usata per raccontare una somma infelicità generazionale: non riscattabile, beninteso… ciò è la cosa più triste. Ricordo pure l’odioso brano che Achille Lauro – nome preso in prestito all’amato sindaco napoletano, monarchico – portò a Sanremo 2019, Rolls-Royce: tra tutti quei desideri di morte v’era la dichiarazione d’una “vita non vivente”, non solo dell’artista ma pure del suo pubblico – un’ansia nel prestarsi al fluire che chiama solamente la brevità e, possibilmente, la celebrità: la condizione di meteora che muore in un’esplosione studiata (mediaticamente) per alcuni giorni; e che possa lasciare un riverbero di malinconia, non negli odiati famigliari, ma proprio in quel pubblico (che desidera morire anch’esso, in quanto non sa impegnarsi per essere felice della propria insignificante vita). Diciamocelo: che male c’è nell’insignificanza? Questo possiamo vedere: paura d’essere imposta da un clima di non essere. Infatti questo mal di vivere è ingiustificabile, giacché immotivato: prima di ritenersi finiti, e già conclusi, occorre almeno meditare la propria [pure se materiale] infinitezza… magari mediante un’arte che non sia effimera! Ma come si potrà mai approssimare un tale pensiero, una tale motivazione, a chi si perde in una musica così rassegnata – da cui, tra l’altro, si ritiene di dipendere? Di fatto, nel suo marciume vitale, corrompe la “frutta” che le sta vicino spacciandosi per arte: in quanto espressa mediante un’arte – la musica, seppur estremamente annichilita. Concludo il mio sfogo rabbioso e torno alla razionale lucidità che mi dovrebbe competere.
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Young Signorino divenne comunemente noto, e parodiato, dopo quel capolavoro – per il quale verrà ricordato: ovvero tutta la sua intera esistenza sarà quella “canzone” – che è «Mmh ha ha»… Ascoltandola una o più volte se ne ricava un forte fastidio e un altrettanto forte disgusto, poi si raggiunge una quasi-comprensione: «Non è che sta immortalando i pensieri del cosiddetto maschio alpha, ignorante e dominante?». Quelle parole rigurgitate sono infatti i pensieri ridotti a istinto d’un animale gravido di desideri non meglio formulabili. Potremmo così pensare che quest’uomo sia un genio, ma la sua arte rimarrà comunque buona a un solo ascolto – esattamente come guardare Pistoletto che rompe gli specchi –: non rappresentando una latente eternità, quest’arte scade nel momento della sua consumazione; e, come un alimento, esaurisce il suo compito lasciandoci solo un gusto… e quello di Young Signorino non è affatto buono sulla lingua!
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Come si sopperisce a una tale povertà, allora? L’eternità non è per forza vera, ma perché qualcosa sia arte deve almeno rappresentare un’impressione d’eternità – altrimenti rassegniamoci a fare delle inutili performance… Beh, come sopperire? È presto detto: si rimedia all’effimero costruendo ulteriore effimero che sostituisce di volta in volta il precedente lasciando comunque mancanza e malessere nello spettatore. Ma, poi, chi gode di questa musica si sente necessariamente mancante? Forse è mancante prima d’assistere a un tale spettacolo, uscendone poi beato – giacché ha adorato l’idolo, capiente come un dio… Che profonda inutilità, allora: qui non è più la bellezza a salvare il mondo, ma il suo opposto. Poi, chi giova di tale pochezza sa riconoscerla brutta – giovando dunque della bruttezza –, o ne canterà presunte lodi indicandola quale bellezza? Invero ho conosciuto chi mi mosse questo dire: «È un esteta che agisce nell’estrema decadenza del suo contemporaneo» … Ciò non è del tutto falso, effettivamente nel testo «Burrocacao rosa» vediamo il nostro vate immerso in una bellezza sfiorente, in abiti da me invidiati, coronato da una festosa ghirlanda mentre ripete la stessa frase ossessivamente: proprio come farebbe chi trova “dolcezza nella droga”, come sostiene lui stesso in un altro testo. Che poi la sua profondità è tutta nella singola frase che ripete: una singola frase che – mediante la sintesi propria della poesia – contiene l’universo, come l’ungarettiano «M’illumino / d’immenso» o il suo «Vestito nudo». Ora, senza alcun cinismo gratuito – anche se mi sto divertendo – credo di poter dire che se il signor Signorino avesse scelto la strada della poesia sarebbe stato pure bravo, ma l’ipotesi m’opprime – in quanto oggetto propriamente mentale. Altri adoranti indicano, nel Vangelo di Young Signorino, una prassi che auto-irride la stessa categoria cui appartiene, dicono: «Mediante sé stesso percula la Trap», se ciò è vero Signorino rappresenta l’approdo – del nostro contemporaneo – a una realtà talmente vuota di contenuto da decantare la sua nullezza pur di dire qualcosa – giacché, altrimenti, non direbbe nulla; e forse sarebbe un bene se pensiamo che quanto viene detto corrisponde solamente all’incapacità di dire ciò che non appartiene (e che non apparterà mai) alla generazione che sceglie questo artista per distendersi in un ascolto.
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Dopo tutto questo mio farneticare si può aggiungere poco altro, magari la vana speranza che gli uditori di una tale vita degradata [in musica] possano orientarsi diversamente: di musica brutta in giro ce n’è tanta, perché proprio la Trap, perché proprio Young Signorino? È una generazione molto povera quella che lo ascolta – forse più delle Sardine; ma si può essere più poveri delle Sardine? Che bruttezza infinita, irrimediabile pure con l’educazione al pensiero. Tra chi si fa dividere in due la lingua perché possa applaudire come quella d’un serpente, chi indossa l’anello al naso come un bove, e chi si macchia di nero le carni credendo di significare qualcosa a sé stesso – la bellezza s’è allontanata dalla nostra riflessione quotidiana, e la nostra bellezza [materiale, del corpo] s’è resa un mero supporto da far sfregiare – per nostro mandato [come diceva Pasolini] – prima che sia il tempo a consumarla: per paura del decadimento, dunque, distruggiamo ciò che dovremmo preservare, almeno nel ricordo che abbiamo di noi stessi. In ciò non vi sono strade applicative, metodi per recuperare un’intelligenza che – superbamente – ricava il bello dal brutto assumendo per sé questa fallacia, premiando un individuo che – come Cristo – si autodistrugge nella sua esteriorità a nome di tutti, aspettandosi una piena emulazione… che non manca ad arrivare, invero. Cos’è la mia invidia? Può darsi.
Paolo Pera
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galby75 · 6 years ago
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si, ammetto che non ho mai seguito il Festival di SanRemo perchè per me, il vero Festival, era il Festivalbar e quindi non mi sono mai interessato delle serate, delle giurie, delle paserelle e delle canzoni e non mi sono mai espresso in merito ai vinti, ai vincitori e via discorrendo!! Ieri ho avuto modo di apprendere della vittoria di Mahmoud e ovviamente, come il più classico dei classici, come quando nei libri gialli l'assassino è sempre il maggiordomo, ecco che il popolino si indigna! Perchè il popolino deve indignarsi sempre per qualcosa!!
Ma questa volta, non perchè ha vinto o non ha vinto la canzone più meritevole ma perchè, appunto, il vincitore si chiama Mahmoud e ha, nel vederlo, quel vago ricordo medio orientale di lineamenti!! Un extracomunitario che viene non solo per rubarci donne e lavoro ma pure SanRemo?? ma è intollerabile questo e quindi 3 2 1 via ecco che il popolino razzista e ignorantello si inalbera come solo lui sa fare sommergendo di commenti e post di gomblotti sinistroidi, zecche rossisti e bla bla, il tutto condito con gli immancabili insulti e quanto altro il vincitore di questa edizione del festival SanRemo!! Ma come è possibile? un cammeliere che vince il festival? Ma allora vediamo chi è, visto che ignoravo la sua esistenza!! ed ecco che il vincitore ha anche un nome: Alessando!! Alessandro?? ma come? un Egiziano che si chiama Alessando?? andiamo a vedere allora chi è veramente Alessandro!! Nasce a Milano nel 1992 da madre italiana e padre egiziano!! Quindi non è egiziano, è italiano??!! ma allora perchè questi commenti e indignazione fasciorazzista?? Ma la canzone fa così cacare?? o forse non è la canzone?!?!?!
Bhe si, è vero, sono un ingenuo, ammetto la cosa!! Ammetto di aver sottovalutato questo periodo storico e la legittimazione del razzismo e della frustrazione data dall'odio di molte persone! Eppure, a pensarci bene, Alessando non è il primo vincitore di SanRemo non al 100% italiano! Basti pensare a Riccardo Cocciante che vinse Sanremo nel 1991 nato a Saigon, in Vietnam da padre italiano e madre francese oppure già solo lo scorso anno Ermal Meta, nato a Fier, in Albania da genitori Albanesi!
Ma questo anno è diverso!! Ma perchè è così diverso??
E' diverso perchè c'è un clima di odio che ha fatto emergere il lato più bieco del popolo italiano!
Perchè questo anno si è guardata l'origine e i tratti somatici di un artista anzichè guardare l'essere umano solo per ciò che fa, per il suo lavoro e per le sue capacità. Non per il suo nome o le sue origini.
Italia mia, quando si dimenticano di dirti che devi odiare torni a essere il Belpaese che eri. Non perché tu faccia vincere stranieri e figli di stranieri, ma perché li vedi e li valuti come tutti senza pregiudizi. Sarebbe bello comportarsi così sempre. Con tutti, ma purtroppo questa cosa sta diventando sempre più rara perchè la cecità dell'ignoranza e dell'odio Ti ha trasformata da quel BelPaese che, forse, eri in un paese di Str***!!! E cmq a me la canzone di Alessandro, ascoldandola, è piaciuta!
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autosabot · 6 years ago
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Intervista a Mina
ORIANA FALLACI: Noi ci siamo già incontrate: a Sanremo, poco più di due anni fa, quando lei cantava una canzonetta, Io amo, tu ami, e sembrava ignorare perfino il significato di quel verbo. Affermava di dormire con un orsacchiotto e di divertirsi soltanto con Topolino, le bolle di sapone, e le fotografie di «un tipo con la barba che ha accoppato un mucchio di gente e mi pare si chiami Fidel». Ignorava o sembrava ignorare molte altre cose: che Pietro Nenni fosse socialista, che il pentagramma servisse per scriver la musica, e che Maometto avesse dettato la religione dell’Islam. «Ma chi era questo Maometto? Il nome è simpatico, se un giorno avrò un figlio voglio chiamarlo Maometto». L’incontro mi lasciò perplessa, signorina Mazzini, scusi, volevo dire signora... 
MINA: Signora? E perché? Non sono sposata, e di conseguenza non sono signora. A me, quando dicono "signora", sembra sempre che mi diano una gomitata nei fianchi: lo dicono con una tal aria di complicità, quasi volessero dividere con me chissà quale colpa. 
L’incontro mi lasciò perplessa. E altrettanto perplessa ora che la ritrovo madre di un figlio che non ha chiamato Maometto: è talmente cambiata! Non solo perché allora era magra, bionda, nervosa, mentre ora è florida, bruna e tranquilla: ma perché... 
Perché non sono più la stessa persona. Ero una ragazzaccia viziata e ora sono una donna matura, paga dei suoi 73 chili. Non sapevo ciò che volevo e ora lo so. Mi mancavano tante cose e ora non mi manca più nulla. Mi sento serena come chi ha scoperto che le cose importanti sono le più semplici: amare un uomo che t’ama e avere un figlio da lui. Insomma, due anni fa ero nell’epoca dello stupore: aprivo un cassetto e mi meravigliavo di ciò che conteneva. Ora apro un cassetto e prima ancora di aprirlo so quel che ci trovo: il padre di mio figlio e mio figlio. Due cose che investono la mia vera vita e non la vita che fingevo di avere. Allora non facevo altro che correre: ora passo le giornate senza far niente. Tutt’al più guardo la televisione, mi basta star lì, posso essere finalmente quello che sono: un animale cui piace stare al sole e dormire, qualcuno che se ne infischia di tutto. Me ne infischio perfino del lavoro. Non completamente perché sarebbe cretino, ma abbastanza. 
Vuol dire che non le importa più di esser famosa, popolare, adulata: in altre parole d’esser la Mina e aver successo? 
Il fatto è che non l’ho mai cercato, il successo, non ho lottato per conquistarlo, e così non l’ho mai apprezzato. A una certa età, così come all’uomo viene la barba, a me è venuto il successo. L’ho accettato come una cosa normale: senza pena né fatica, senza rendermi conto della fortuna che mi capitava. Me lo sono tenuto come si tiene un regalo di cui si ignora il prezzo, e se lo perdo pace. La gente che mi ferma per strada mi ha sempre intimidito, e ora mi intimidisce ancora di più: mi dà come un complesso. Il complesso che mentre mi chiedono l’autografo abbiano qualcosa da dirmi o da domandarmi. Magari loro non ci pensano, ma io mi aspetto sempre che analizzino la mia "situazione". Poi ci sono quelli che si mettono dalla mia parte: e anche questo mi dà fastidio. La solidarietà! Tanto so bene che non è vera
Questo non è giusto, e nemmeno garbato. Diciamo che si sfogano per difendere se stessi. Vi sono anche quelli che la giudicano male. Da molti la nascita di questo figlio è stata considerata un esibizionismo sfacciato, uno schiaffo pubblicitario. 
Quelli sono stupidi. Un figlio è una cosa così importante. Hanno anche detto che l’ho fatto per avere le copertine sui settimanali, che mi sono fatta pagare le foto. Hanno inventato che ho fatto una conferenza stampa per dar la notizia. Ma lei sa come è venuta fuori la notizia? Due giornalisti sono andati dalla mamma e le hanno detto: sappiamo che la Mina aspetta un bambino, vuol confermare la notizia a noi o vuole che esca su un giornale scandalistico? La mamma ci è cascata e ha risposto sì, è vero. Così una mattina, uscendo di casa, ho trovato l’inferno. Non so se capisce: tu esci di casa, tranquilla, con il tuo segreto, passi dinanzi al giornalaio, tranquilla, e vedi scritto a caratteri di scatola il tuo segreto. Allora torni a casa, correndo, con il tuo segreto che non è più un segreto, e trovi 40 fotografi ad aspettarti, ad accecarti. Credo che nel Medioevo fosse così la... la... come si chiama?
La caccia alle streghe. Però non si può dire che lei abbia fatto molto. Mina, perché se ne parlasse un po’ meno. Direi anzi che ha parlato un po’ troppo e con troppa gente. 
Si fa presto a dire così: avrei voluto vederla, al mio posto. Cosa avrebbe fatto con i giornalisti e i fotografi che sbucavano dalla sua auto, di sotto al letto, dalla borsa dell’acqua calda? Dicevo una parola e loro ci ricamavano un articolo. Mi sono rassegnata: se è tanto importante per voi che io partorisca mio figlio, accomodatevi pure. 
Non aveva pensato che una simile reazione avvenisse? Forse si sentiva protetta dal fatto d’esser la Mina: tanto vivo in un’epoca che offre a una donna il vantaggio di fare quel che vuole? 
Non ci ho mai pensato, tantomeno ho pensato a sentirmi protetta perché ero la Mina. Quando una donna è incinta, non va mica a pensare sono la Mina e posso farlo, oddio cosa diranno gli altri? Io ho preso la decisione che ho preso indipendentemente dagli altri, nient’affatto sicura del benestare che tutto sommato c’è stato, pensando semmai che tutti ce l’avrebbero avuta con me. Per esempio ero sicura che la vendita dei dischi avrebbe avuto un calo tremendo, ne parlai anche con le mie case discografiche. Il calo non c’è stato: ho sempre avuto una fortuna schifosa, io. Ma se non fosse andata come prima, se la fortuna mi avesse abbandonato, non me ne sarebbe importato. Una che vuol diventare zero fa quello che ho fatto io: e io lo avrei fatto anche se fossi vissuta trent’anni fa. 
D’accordo. Ma non ha mai avuto nemmeno timori o imbarazzi? Non so, nei riguardi delle persone che conosceva a Cremona: dopotutto lei vive in provincia, viene dalla provincia... 
Timori e imbarazzi per la gente di Cremona? No. Sapevo come avrebbero reagito: bene e male, soprattutto male perché quando uno ha vissuto tanto tempo con i suoi bei principioni non puoi pretendere che cambi idea all’improvviso e per i tuoi begli occhi. Timori e imbarazzi io ne ho avuti, ma solo per i miei genitori o meglio per mio padre. Non che pensassi di sentirmi gridare: «Figlia snaturata, via di qui!». Ma sapevo di dargli un dolore. Perciò ho aspettato molto a dirglielo: un giorno di più e se ne sarebbe accorto da sé. L’ho chiamato in camera mia, «papà devo dirti una cosa», e nello stesso momento mi ha colto un attacco di isterismo: mi sono messa a ridere come una pazza. Non potevo frenarmi, ridevo, ridevo mentre papà mi guardava con occhi dolorosi e stupiti, e così, sempre ridendo, ho detto: «Papà, pensa che buffo: mi scappa tanto da ridere e devo dirti che sono incinta». Papà non ha battuto ciglio, si è seduto sul letto, mi ha risposto: è inutile che ti dica come la penso, tanto lo sai, vediamo piuttosto di esaminare la faccenda. Così ci siamo messi a esaminarla: Corrado è sposato, dunque vediamo, io intanto non ridevo più, e quando l’abbiamo esaminata da tutte le parti papà mi ha dato il bacio della buonanotte e si è ritirato in camera sua. Magari tutti avessero genitori stupendi come i miei. 
Quanti anni ha suo padre? 
Quarantasette. È giovane. Forse, se fosse stato di un’altra generazione, non si sarebbe comportato così. Ma che c’entrano le generazioni?! Non si cambia mica per le generazioni, si cambia invecchiando. A 20 anni si pensa e si agisce come a 20 anni, a 40 come a 40, a 60 come a 60. Mio padre ha reagito come un uomo di 47 anni e comunque ognuno è diverso. Che cosa ha di speciale la mia generazione rispetto a quella di mio padre? Quella di mio padre ha visto una guerra e la mia vedrà un’altra guerra: ecco tutto. A ogni modo credo che dai tempi di Eva le cose vadano nel medesimo modo. Non c’è nulla di simbolico in me né in mio padre. Ma perché vuol sempre dimostrar qualcosa? 
Non voglio dimostrare un bel nulla e il suo punto di vista è discutibile, probabilmente sbagliato. Voglio solo intervistare una donna che si chiama Mina. Ed è a Mina, non alla sua generazione, che chiedo: non ha mai pensato di non farlo, questo figlio? 
Io l’ho voluto, questo figlio (Massimiliano, 1963, ndr), non è nato per combinazione. L’ho voluto perché amavo il padre di questo figlio e il padre di questo figlio era d’accordo con me nel volerlo. Vede... è difficile spiegar queste cose. Dovrebbe essere innamorata, per capirmi: innamorata come io lo sono di Corrado (Corrado Pani, 1936-2005, attore e doppiatore, all’epoca era sposato con Renata Monteduro e in Italia non esisteva il divorzio, ndr). Vuole che le parli di lui? Corrado è il contrario di quello che gli altri credono, Corrado è diverso da tutti. Oh, non rida! Lo so che tutti dicono così quando sono innamorati. Ma Corrado... Per esempio non è affatto vero che imiti James Dean. È un ragazzo all’antica e non lo sa. Pensi che io non l’ho quasi mai visto recitare e lui non sa chi sono: quando sente cantare alla radio Wilma De Angelis chiede: «Sei tu?». Non gli importa niente che io sia la Mina, anzi l’idea di avere la donna chanteuse lo irrita a morte. Corrado mi sta bene come un vestito che mi sta bene e, quando mi accorsi che mi stava bene, desiderai avere un bambino. Mi sono sempre piaciuti i bambini. 
Un figlio non è solo un bambino. È un uomo: verso il quale si hanno infinite responsabilità. Lei era cosciente di questo? 
Fino a un certo punto, anzi no. Finché non me lo sono visto davanti ne sono stata pochissimo cosciente. La responsabilità viene fuori solo al momento in cui il figlio nasce e lo tocchi. Quando mi accorsi di aspettarlo, non pensai affatto alla responsabilità: pensai solo che avevo voglia di averlo. Di averlo come cosa mia, egoisticamente. Poi nacque, e mi resi conto di tutto: che avrebbe dovuto andare a scuola, e fare la scarlattina, e il soldato... Insomma che... 
Che gli aveva dato la vita, che responsabile di questo era lei. E questo, che effetto le fece? Non la riempì di paura? 
Di colpo... di un’immensa paura. Mi fece anche sentire più vecchia. Caddi dal cielo e per un giorno e una notte non feci che piangere. Piangevo perché sarebbe andato a scuola, perché avrebbe fatto la scarlattina, perché avrebbe fatto il soldato, e piangevo all’idea delle prime incomprensioni che sarebbero esplose tra me e lui, all’idea che avrei dovuto educarlo, insegnargli pensieri e sentimenti. Nello stesso tempo mi resi conto di volergli così bene, così bene: un bene irragionevole, che superava perfino le lacrime. Sa, quando si ama tanto una persona, non ci si rende conto di sbagliare. Gli voglio così bene che non mi pongo il problema d’avere avuto torto a metterlo al mondo. Questa è l’unica cosa che conta, che conterà quando sarà grandino e mi chiederà le cose, e dovrò spiegargli questa è una mela, questa è una pera, e questo è un libro. 
Quando le chiederà qualcosa di più? 
Questo mi preoccupa moltissimo: in tutta la mia vita, la cosa che mi ha forse turbato di più è stata l’atto di nascita di mio figlio, quando ho dovuto scrivere Massimiliano Mazzini anziché Pani. Spero che quando sarà grande, tutto sarà andato a posto: fra tre anni si può fare l’affiliazione. Lei che dice? 
Sarà tutto a posto e, se non sarà tutto a posto, egli dovrà essere ugualmente fiero di lei e volerle più bene. 
Lei lo dice per incoraggiarmi, ma spero che saprò stargli vicino e dirgli vedi, bambino, io amavo tuo padre e t’ho voluto perché amavo tuo padre, e se non l’ho sposato non è stato perché non l’ho voluto. A ogni modo il padre ce l’hai e ho vissuto con lui... Io le donne che decidono di avere un figlio senza vivere col padre del figlio non le capisco: mi sembrano ciniche e più egoiste di me. Se avessi potuto, mi sarei sposata: per legalizzare mio figlio. Lo sa qual è la cosa che mi tormenta di più? Non avere una casa, non poter vivere insieme nella stessa casa, esser costretta ad abitare in albergo. 
È duro, capisco. 
Più che duro, umiliante. Tante persone che non sono sposate vivono nella stessa casa, anche in Italia. Noi non possiamo: esiste una denuncia di concubinato e se abitiamo insieme il concubinato diventa lampante, finiamo in galera. Mio Dio, dico, se avessi rotto una famiglia capirei. Ma tutto era già rotto prima: Corrado e sua moglie vivevano separati da un anno, la pratica per l’annullamento del matrimonio era già in corso, la moglie era d’accordo, diceva: «Non m’importa un bel nulla se quei due stanno insieme». Poi è venuta fuori la storia del figlio e ci ha querelato. Vorrei dirle, sei bella, sei ricca, sei giovane, hai la vita davanti, e io ho partorito un bambino: perché non vuoi lasciarmi vivere con lui e col bambino? 
Potreste vivere insieme in un altro Paese. Molti lo fanno. 
Non siamo ricchi come la gente crede e il nostro lavoro è qui. Io ho firmato contratti fino al 1965 e se non li mantengo mi fanno una causa grossa così. Devo lavorare, perbacco. L’unico lavoro che non faccio più è cantare nei teatri in Italia. Verrebbero a vedermi più che a sentirmi, proprio come si fa con la donna barbuta nei luna park. Del resto, questa situazione me la sono voluta e poiché me la sono voluta devo sopportarmela con tutte le sue conseguenze. Vivere spesso separata non mi fa paura. Andrà bene e, anche se andasse male, rifarei tutto quello che ho fatto. 
Eh, sì, Mina: è cresciuta, non c’è che dire. Due anni fa mi sembrava d’avere cent’anni quando la ascoltavo. Ora mi sembra che i cent’anni li abbia lei. Ricordo quando mi disse: «Io ho 18 anni. L’età che avevo quando questa malattia chiamata successo si è abbattuta su di me. Quando crescerò partirò da quei 18 anni». 
Quelli, sa, mi chiedo se li ho mai avuti. Non ho mai fatto quello che fanno le ragazzine. Quando uscivo di casa succedeva l’iradiddio e, se le mie amiche dicevano «Mina, perché non andiamo al mare?», ero costretta a dire di no: perché avrei rovinato la loro vacanza e la mia. Non ho mai frequentato la gente della mia età, non ho mai avuto nulla in comune con loro. I ventenni, non so: o sono impegnati con i problemi centrali o pensano solo al cha cha, o sono comunisti o sono fascisti. Io non penso solo al cha cha e non sono comunista e non sono fascista: sono liberale e mi piace Giovanni Malagodi (fu capogruppo del Pli alla Camera, ministro del Tesoro e presidente del Senato, ndr) con il suo viso di faina. I ragazzi della mia età hanno 23 anni, quando parlo con loro viene sempre un momento in cui esclamo: Dio, quanto siete giovani. Gli uomini che ho frequentato con convinzione sono sempre stati sui 40. Corrado ha 27 anni ed è il più giovane che ho conosciuto. Con lei, sa, recitavo una parte, quel giorno, e a esser sincera era una parte che non mi divertiva. Perché avrei dovuto mettermi lì a distruggere un mito? Ora siamo sole, in casa sua, abbiamo tempo: può anche valerne la pena. 
Questo lo avevo intuito. Lo scrissi, anche: «Mi prende il sospetto che sappia chi è Fidel Castro, chi è Maometto, e...». 
No: chi fossero non lo sapevo davvero. Certe cose le ho apprese per le elezioni. Le ho raccontato il mio voto? Ero in ospedale, avevo partorito mio figlio. Dopo, qualcuno uscì con questa frase: «Ora hai votato, sei entrata nella maturità». Avevo un figlio e mi vengono a dire che sono entrata nella maturità perché ho dato un voto. 
E chi gliel’ha fatta questa cultura politica? Corrado? 
No. Lui è mezzo comunista: di queste cose con lui non parlo sennò litighiamo. Me la sono fatta da me: ascoltando, leggendo di più. 
Allora non legge più Topolino. 
Sì: mi distende. Ma leggo anche i libri: quelli che mi piacciono. Che cos’altro aveva sospettato di me? 
Che sapesse cos’è l’amore, che cos’è un pentagramma, e che l’orsacchiotto con il quale dormiva fosse la borsa dell’acqua calda. 
Era la mia borsa dell’acqua calda. Quanto al pentagramma, ignoravo che cos’erà: però avevo cantato un poco come soprano lirico, mia nonna era una grande cantante, questo lo sa. 
Dunque non era la ragazzina ingenua che dicevano... 
Ingenua... Oddio! Direi di no. Mi innamoravo, sì, ma con riserva. Era una cosa finta, come recitare una scena d’amore, magari soffrivo, ma come si soffre in un film. Ma lo sa che quando piangevo mi guardavo allo specchio per vedere come piangevo? 
Sarà contenta. Mina, d’avere avuto un maschio. 
Perché? 
Il mondo oggi è più delle donne che degli uomini, ma una femmina che le assomigliasse sarebbe un problema. Se non altro per non farla vivere in fretta come lei. 
Perché? Non sento d’avere esaurito il mio futuro, anche se le mie esperienze sono state veloci. Non mi sento defraudata. Va bene così: e non è presto esser madre a 23 anni. Non potevo continuare a recitare in eterno. Oh, non mi capisce, lo so: del resto, non l’ha detto lei stessa che l’altra volta si sentiva addosso cent’anni e questa volta si sente come se i cent’anni li avessi io? Siamo destinate a non capirci, noi due. Il fatto è che io sono romantica, romantica come una donna, e lei è cinica, cinica come un bambino. Continua perfino a scrivere articoli sulla Mina: sapendo che non ne vale la pena. 
Chissà che non abbia ragione. Chiudiamo questo aggeggio e facciamoci un caffè.
Oriana Fallaci
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