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#forme per la tavola
fashionbooksmilano · 1 year
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Forme per la casa e la tavola
a cura di Eva Rütter
Testo critico di Roberto Sanesi
Introduzione di Nantas Salvataggio
GEI Grandi Edizioni Italiane, Milano 1989, 130 pagine, 21x32 cm, ISBN 9789-8834500309
euro 25,00
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Questo volume, oltre che essere un lessico della tavola, è una Rassegna corretta per gli oggetti della casa e del nostro intorno. Forme del'utile: sintesi armonica fra funzione-forme-materia di oggetti e valori culturali, tecnici, economici del nostri tempo. Una ricerca tra il lavoro dell'artigiano, del designer, del produttore. Forme per la tavola di ieri e oggi,. Oggetti per la tavola, per il nostro quotidiano, ognuno col proprio messaggio funzionale e simbolico.
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25/08/23
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sciatu · 1 year
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ORTIGIA DI NOTTE
Abbiamo pranzato in un vecchio ristorante di Ortigia. Fino a qualche anno fa vi erano i due fratelli che l’avevano ereditato dal padre. Eravamo in confidenza e quando ci sedevamo a tavola non ci portavano neanche il menù ma una serie di piatti con antipasti tipici di Siracusa. La pasta alla Meggellina o allo scoglio gli spaghetti al nero di Sicci, la frittura, l’arrosto, la stessa cassata con cui si finiva il pranzo, seguivano le stagioni, la disponibilità del momento. Ora il ristorante è uno dei tanti, con piatti belli a vedersi ma insapori, ed un menù che è lo stesso di Milano o Düsseldorf. Siracusa dalla tavola è scomparsa nella ricerca del Glamour, di una supposta eleganza che giustifica un costo non equilibrato con il pranzo servito. Per questo ci avventuriamo nella notte di Origia con la paura di non trovare più la sua anima accogliente ed antica. Ci accolgono i grandi Yacht dalle forme eleganti che sanno di una ricchezza che cerca ancora l’avventura tra le vele di due alberi o nei ponti eleganti di una cattedrale marina. Poi però torna Ortigia, i suoi enormi baobab la fontana di Aretusa, torna nelle feste sulle barche luminose ormeggiate ai lati delle grandi mura o in quella nei balconi luminosi delle antiche case. Ortigia vive il suo mare e vive sé stessa, di giorno e di notte, indifferente ai tanti turisti per cui l’hanno camuffata e popolata di ristoranti, vive nel silenzio che avvolge i suoi balconi, nella luce giallognola dei suoi vicoli, nelle feste dei ragazzi nelle sue oscure spiaggette, nel vento che l’attraversa e nel tempo che non la vince. Nel silenzio della notte e nei pub stracolmi, tra tavolini e barche in cui rimbomba la musica da discoteca, come un’antica signora che l’oblio non potrà mai vincere, Ortigia vive.
We had lunch in an old restaurant in Ortigia. Until a few years ago there were two brothers who had inherited it from their father. We were friend and when we sat down at the table they didn't even bring us the menu but a series of dishes with typical Syracuse appetizers. The Meggellina or scoglio pasta, black Sicci's spaghetti (cutttlefish spaghetti) with black sauce, the fried food, the roast, the same cassata with which we finished lunch, followed the seasons, the availability of the moment. Now the restaurant is one of many, with dishes that are beautiful to look at but tasteless, and a menu that is the same as in Milan or Düsseldorf. Syracuse has disappeared from the table in the search for Glamour, for a supposed elegance that justifies a cost that is not balanced with the lunch served. This is why we venture into the night of Origia with the fear of no longer finding its welcoming and ancient soul. We are welcomed by large yachts with elegant shapes that smell of a richness that still seeks adventure between the sails of two masted ship or in the elegant descks of a marine cathedral. But then Ortigia returns, its enormous baobabs, the fountain of Arethusa, returns to the celebrations on the bright boats moored at the sides of the great walls or in the bright balconies of the ancient houses. Ortigia lives its sea and lives itself, day and night, indifferent to the many tourists for whom they have disguised it and populated it with restaurants, it lives in the silence that envelops its balconies, in the yellowish light of its alleys, in the festivals of teeneger in its dark little beaches, in the wind that crosses it and in the time that does not overcome it. In the silence of the night and in busy pubs, between tables and boats in which disco music booms, like an ancient lady that oblivion can never conquer, Ortigia lives.
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BUON NATALE 2023 con SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
LA SCENA SCARNA
Un testo pittorico poco conosciuto, forse un "non finito", d'incerta committenza e imprecisa datazione: si tratta della "Natività" dipinta su tavola tra il 1470 e il 1475 (altra datazione lo colloca tra il 1480 e il 1485) da Piero della Francesca, conservato alla National Gallery di Londra.
La versione nell'immagine è quella che precede il recentissimo restauro, durato quindici mesi e completato nel 2022.
Una scena insolita, eppure sospesa, sognante e marcatamente iconica come è nello stile del Maestro di Borgo San Sepolcro.
Segni, simbolismo, chiarezza, equilibrio, distacco: tutto è già accaduto in assenza di racconto, in un luogo senza storia che cela la soglia tra il paesaggio rurale e la città.
Spartiacque del mondo.
Null'altro che la scena immobile e ideale rotta dal raglio dell'asino inconsapevole che si oppone alla compostezza del rito.
Il rito come fosse la "prima messa", divisa tra chi canta la gloria dell'evento e chi, meditante, ascolta e s'interroga sotto il cenno al cielo, impotente, rassegnato e marginale alle spalle di una Vergine già in preghiera.
L'inizio dell'era cristiana non può assumere ricchezza di forme oltre l'insondabile ed essenziale contenuto: è il venire in scena per colmare il vuoto.
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crazy-so-na-sega · 9 months
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Oracolo di Delfi -la Pizia
Se l'origine della sapienza greca sta nella "mania", nell'esaltazione pitica, in un'esperienza mistica e misterica, come si spiega allora il passaggio da questo sfondo religioso all'elaborazione di un pensiero astratto, razionale, discorsivo? Eppure nella fase matura di questa età dei sapienti noi troviamo una ragione formata, articolata, una logica non elementare, uno sviluppo teoretico di grande livello. A rendere possibile tutto ciò è stata la dialettica, termine che usiamo nel senso originario di arte della discussione, tra due o più persone viventi, non escogitata da un'invenzione letteraria. Il suo grande sviluppo unitario giunge a compimento con Aristotele che guarda retrospettivamente a tutto il materiale elaborato da quest'arte, a tutte le vie da essa seguite, a tutte le forme, le regole, gli accorgimenti, gli artifici sofistici, per tentare di costruire su questa base una trattazione sistematica, stabilendo i principi generali. Dove ne va cercata l'origine? Il giovane Aristotele sostiene che Zenone è stato l'inventore della dialettica. Se tuttavia confrontiamo le testimonianze su Zenone con i frammenti di Parmenide, suo maestro, sembra inevitabile ammettere già in quest'ultimo una stessa padronanza dialettica dei concetti più astratti, delle categorie degli universali. Sembra perciò naturale pensare a una tradizione ancora più antica.
La dialettica nasce sul terreno dell'agonismo. Quando lo sfondo religioso si è allontanato e l'impulso conoscitivo non ha più bisogno di essere stimolato da una sfida del dio, quando una gara per la conoscenza tra uomini non richiede più che essi siano divinatori, ecco apparire un agonismo soltanto umano. Sulla base dei Topici aristotelici, si può ricostruire uno schema generale dell'andamento di una discussione, pur variato infinitamente nel suo svolgersi effettivo. L'interrogante propone una domanda in forma alternativa, presentando cioè i due corni di una contraddizione. Il rispondente fa suo uno dei due corni, ossia afferma con la sua risposta che questo è vero, fa una scelta. Questa risposta iniziale è chiamata la tesi della discussione: il compito dell'interrogante è dimostrare, dedurre la proposizione che contraddice la tesi. In tal modo raggiunge la vittoria. Ma la dimostrazione non è enunciata unilateralmente, bensì si articola attraverso una serie lunga e complessa di domande, le cui risposte costituiscono i singoli anelli della dimostrazione. L'interrogante cerca di impedire che il disegno della sua argomentazione sia perspicuo, ma alla fine tutte le risposte saranno altrettante affermazioni del rispondente: se il loro nesso confuta la tesi, ossia la risposta iniziale del rispondente, sarà chiaro che il rispondente, attraverso i vari anelli dell'argomentazione, avrà lui stesso confutato la propria tesi iniziale. Nella dialettica non occorrono giudici che decidano chi è il vincitore: risulta dalla discussione stessa, poiché è il rispondente che prima afferma la tesi e poi la confuta. Si ha invece la vittoria del rispondente, quando riesce a impedire la confutazione della tesi.
Questa pratica è stata la culla della ragione in generale, della disciplina logica, di ogni raffinatezza discorsiva. Difatti, dimostrare una certa proposizione, ci insegna Aristotele, significa trovare un medio, cioè un concetto universale, tale da potersi unire a ciascuno dei due termini della proposizione, in modo che si possa dedurre da tali nessi la proposizione stessa, ossia dimostrarla. La dialettica è stata così la disciplina che ha permesso di sceverare le astrazioni più evanescenti pensate dell'uomo: la famosa tavola delle categorie aristoteliche è un frutto finale della dialettica ma l'uso di tali categorie è documentabile da molto tempo prima di Aristotele, lo stesso vale per i principi formali a cominciare dal principio del terzo escluso.
Esaminando le testimonianze più antiche e confrontando la terminologia usata nei due casi c'è da supporre un nesso di continuità tra lo sfondo religioso della divinazione e dell'enigma e lo sviluppo della dialettica vera e propria. Il nome con cui le fonti designano l'enigma è "próblema", che in origine e presso i tragici significa ostacolo, qualcosa che è proiettato in avanti. E difatti l'enigma è una prova, una sfida cui il dio espone l'uomo. Ma lo stesso termine "próblema" rimane vivo e in posizione centrale nel linguaggio dialettico, al punto che nei Topici di Aristotele esso significa "formulazione di una ricerca", designando la formulazione della domanda dialettica che dà inizio alla discussione. E non si tratta soltanto di un'identità del termine: l'enigma è l'intrusione dell'attività ostile del dio nella sfera umana, la sua sfida, allo stesso modo che la domanda iniziale dell'interrogante è l'apertura della sfida dialettica, la provocazione alla gara. Oltre a ciò si è detto più volte che la formulazione dell'enigma, per la maggior parte dei casi, è contraddittoria, così come la formulazione della domanda dialettica propone esplicitamente i due corni di una contraddizione. Ricordiamo anche, come usati ora in senso dialettico ora in senso enigmatico, i termini "interrogazione", "aporia", "ricerca", "domanda dubbia".
Dunque il misticismo e il razionalismo non sarebbero in Grecia qualcosa di antitetico, dovrebbero intendersi piuttosto come due fasi successive di un fenomeno fondamentale. La dialettica interviene quando la crudeltà del dio verso l'uomo va attenuandosi, quando l'agonismo si svolge soltanto tra umani. Chi doveva rispondere all'enigma, o taceva, ed era subito sconfitto, o sbagliava, e la sentenza veniva dal dio o dal divinatore. nella discussione invece il rispondente può difendere la sua tesi. Rimane comunque uno sfondo religioso: la crudeltà diretta della Sfinge diventa qui una crudeltà mediata, travestita, ma in questo senso addirittura più apollinea. C'è quasi una ritualità nel quadro dello scontro dialettico, che di regola si svolge di fronte a un pubblico silenzioso. Alla fine il rispondente deve arrendersi, se le regole sono rispettate, come tutti si attendono che debba soccombere, come per il compimento di un sacrificio. Del resto si può addirittura non essere del tutto certi che nella dialettica il rischio non fosse mortale. Per un antico l'umiliazione della sconfitta era intollerabile. Se Cesare fosse stato radicalmente battuto in battaglia, non sarebbe sopravvissuto. E forse Parmenide, Zenone, Gorgia non furono mai sconfitti in una discussione pubblica, in un vero agone.
-Giorgio Colli "La nascita della filosofia"
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lucrezia00 · 1 year
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Mi sento sempre peggio. Cammino e prego che non ci siano specchi in cui intravedere il mio riflesso. Quando capita inorridisco, mi fa schifo il modo in cui mi vesto, la mia faccia e la mia magrezza. Mi vedo una tavola. Poi ci penso, mi dico che alla fin fine l’aspettò non è tutto, posso scegliere di dargli meno importanza, e che poi non sono così brutta, sono una bellezza nella media, non ho difetti evidenti, ma neanche particolari pregi estetici. Faccio foto, e quando capita ho sempre paura della mia reazione, del disgusto che mi provoca la mia faccia anonima, i miei capelli anonimi, il mio corpo senza forme. E mi deprimo perché ancora una volta il mio aspetto esteriore non dice niente di quello interiore, comunica solo la mia stanchezza, la mia apatia verso la vita, che mi conduce a scegliere gli abiti più pratici e che mi stanno meglio. Scelgo colori neutri, non voglio apparire. Nero, grigio, bianco, blu per i jeans. Raramente il verde, il viola, il rosso. Non ho le forze per cercare capi particolari e abbinarli in modo sfizioso. Non sono quella di cui dici “ha stile” perché il mio stile si basa su un’unica regola: disperdere il minor quantitativo di energie possibili ed evitare il disgusto di vedermi degli abiti addosso che nella maggior parte dei casi mi stanno male. Odio il mio corpo, odio i miei capelli gonfi, né lisci né ricci, odio la mia pelle, l’acne che mi deturpa il volto, odio la mia fronte alta, gli occhi piccoli e insignificanti, il naso lungo e la bocca piccola, odio il mio corpo minuto e senza forme, le gambe magre, le ginocchia sporgenti, le spalle ossute e la schiena, odio il mio sedere basso e piccolo. Sono il contrario di una qualsiasi bellezza canonica, perciò talvolta mi dico che semplicemente dovrei dedicarmi ad altro, ma quanto fa male non potersi contemplare anche come oggetto estetico ed arrendersi alla bruttezza del proprio corpo.
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dettaglihomedecor · 1 year
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Rinnovare casa in primavera: i consigli di Westwing
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La primavera è arrivata e con lei anche la voglia di rinnovare casa. Questa stagione è tutta all’insegna del colore e delle forme, lascia alle spalle i toni più neutri e pallidi e abbraccia tonalità accese e forme audaci, in un mix&match che veste la casa di buon umore e serenità. Gli esperti di Westwing raccontano come trasformare gli spazi di casa con poche e semplici mosse, senza stravolgerli ma, allo stesso tempo, facendoli sembrare completamente nuovi.
Rinnovare il salotto
Il salotto, spesso, è l’epicentro della casa: la zona dove ci si rilassa soli davanti a un libro o a un film, ma anche lo spazio della casa che spesso viviamo con la famiglia o con ospiti. Rinnovarlo con un look primaverile è semplice: bastano piccoli accenti, come pouf e cuscini colorati sul divano (facilmente intercambiabili e modulari) e il salotto abbraccerà già l’atmosfera calda e gioiosa della nuova stagione. Si può poi facilmente sostituire qualche piccola decorazione su madie e piani d’appoggio con accessori nuovi e colorati, come ciotole, candele e libri.
Rinnovare cucina e tavola
Anche in cucina e sulla tavola non si deve avere paura di giocare con accenti pop e colorati, che porteranno subito una ventata di buon umore e stupiranno gli ospiti. Qui giocano un ruolo importante i fiori di stagione (freschi o secchi), ma anche piccole decorazioni qua e là, come vasi e candele dalle forme insolite, renderanno la mise-en-place unica. Un elemento molto in trend che si può facilmente aggiungere sulla tavola sono i bicchieri iridescenti, che con la luce del sole creeranno un bellissimo effetto arcobaleno.
Rinnovare casa, la camera da letto
Anche la camera da letto vuole la sua parte. Essendo questa la stanza dedicata al riposo, per questo spazio è meglio optare per toni pastello. Un abbinamento vincente è quello del giallo e del lilla, e in camera da letto il modo più semplice di rinnovare lo spazio è quello di puntare su un set di lenzuola e qualche cuscino decorativo sul letto, in questo modo è più semplice e veloce portare una ventata di novità agli spazi.
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Grazie a Westwing per i preziosi consigli. Ora non resta che dare un'occhiata alle offerte giornaliere di Westwing.it, o scoprire le novità nel catalogo fisso WestwingNow.it, con prodotti sempre disponibili in consegna veloce e una sezione organizzata in shoppable looks.   Read the full article
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scontomio · 25 days
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cuor-trasparente · 2 months
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Che tristezza.
A tavola siamo in quattro, pronti a bere. C’è distacco e lo sento. Parole vuote, non si parla di niente davvero.
Intrattengo la conversazione nonostante non mi interessi parlare di altri, ma l’alternativa è stare in silenzio e si sarebbe percepito il mio non intervenire, forse.
La sensazione di essere di troppo, il linguaggio del corpo della persona seduta al mio fianco che sembrava proprio non vedesse l’ora che mi alzassi.
Forse loro si assomigliano e io sto prendendo colori e forme diverse, forse non sono più le mie persone?
Continuo a tenermi stretta l’idea pura di quella persona, ma più passa il tempo e più mi delude.
È diversa, non si accorge ma è anche giudicante, mi scoccia vedere come sminuisce le cose che fanno gli altri, dalle più grandi alle più piccole. Io non sono così, io ho bisogno di persone che vedono quello che fanno le altre persone e che ci diano valore, cazzo.
Vorrei semplicemente tornare alla sensazione di casa che avevo quando ero in sua compagnia, mi sembra solo un ricordo lontanissimo. Quelli sguardi di complicità da “io e te e poi gli altri” non ci sono più, dovrei rassegnarmi al fatto che lei è cambiata, probabilmente anche io. E se lei non ha il desiderio di ricercare quella sensazione come me, che sto provando a fare da mesi, forse dovrei rassegnarmi. Il bene e l’affetto, quelli rimangono. L’impegnarsi veramente per stare assieme e sentirsi assieme non ci sono più. A volte mi chiedo se fossi la sua priorità solo perché non c’erano altre persone. Mi ripeto all’infinito che non è così, perché da un lato non voglio crederci e dall’altro mi farebbe troppo male. Voglio conservare i ricordi degli anni scorsi con cura.
Non si parla di niente, la sensazione è di niente.
Sento che è un periodo di transizione, e ripeto, magari sto prendendo forme e colori diversi, crescendo a maturando in modo diverso.
Peró fa male. Le persone le perdi nel corso degli anni, ed è più che normale, solo che non riesco ancora ad accettare che ho perso uno dei rapporti più importanti. Devo accettare che ormai è così e tenermi il bello, sapendo che è semplicemente cambiato il nostro rapporto, è diverso. Posso imparare a prendermi il bello di quello che c’è e basta.
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giardinoweb · 3 months
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Dahlia Crème de Cognac.
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Un tripudio di colori per illuminare il tuo giardino. Amanti dei fiori, preparatevi a essere rapiti dalla bellezza mozzafiato della Dahlia Crème de Cognac! Questa varietà decorativa regala grandi fiori doppi in un mix incantevole di salmone, pesca, rame e rosso scuro, che illumineranno il vostro giardino con eleganza e raffinatezza. Un'esplosione di colori per tutta l'estate La Dahlia Crème de Cognac non è solo bella da vedere, ma anche generosa con la sua fioritura lunga e abbondante. Dalle prime gemme di luglio fino ai primi geli autunnali, questa dalia vi sorprenderà con un continuo spettacolo di colori e forme. I suoi fiori doppi, di notevole diametro, sono perfetti sia per decorare le aiuole che per creare composizioni floreali che lasceranno tutti senza fiato. Una pianta robusta e facile da coltivare La Dahlia Crème de Cognac è una pianta bulbosa che si adatta perfettamente alla coltivazione in vaso o in giardino. I bulbi vanno piantati tra marzo e maggio in un luogo soleggiato, dopo l'ultima gelata. Per un risultato ottimale, prediligete un terreno soffice e ben drenato, arricchito con del compost o fertilizzante organico. Consigli per una fioritura spettacolare Per godere appieno della bellezza della vostra Dahlia Crème de Cognac, seguite questi semplici consigli: - Fornire acqua regolarmente, soprattutto durante i periodi di siccità. - Sostegnere gli steli dei fiori con tutori, soprattutto se la pianta raggiunge un'altezza considerevole. - Rimuovere regolarmente i fiori appassiti per favorire la nascita di nuove gemme. - In autunno, dopo la fioritura, potete scavare i bulbi e conservarli in un luogo fresco e asciutto per ripiantarli la primavera successiva. Un fiore versatile per mille occasioni La Dahlia Crème de Cognac è una pianta versatile che si adatta a molteplici utilizzi. Oltre a decorare il giardino con la sua bellezza, i suoi fiori possono essere utilizzati per creare bouquets raffinati o centri tavola che renderanno ogni occasione speciale. Aggiungi un tocco di magia al tuo giardino con la Dahlia Crème de Cognac! Lasciati conquistare dai suoi colori vibranti e dalla sua fioritura generosa e goditi la bellezza di questa meraviglia della natura per tutta l'estate. Read the full article
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti 
L’EVOLUZIONE DELLA PITTURA
Tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo, nel “Libro dell’Arte”, Cennino Cennini scriveva che per la pittura «conviene avere fantasia e operazione di mano, di trovare cose non vedute, cacciandosi sotto ombra di naturali, e fermarle con la mano, dando a dimostrare quello che non è, sia. E con ragione merita metterla a sedere in secondo grado alla scienza e coronarla di poesia». Quando Cennino si cimentava nella teoria dell'arte, Giotto, la punta più avanzata della nuova pittura, era già scomparso da oltre sessant'anni, lasciando in eredità l’apertura alla terza dimensione e con essa le infinite possibilità della narrazione, le ambientazioni naturalistiche, l’espressività che connota la psicologia delle figure ritratte, la magia della luce attraverso i colori. Ma anche qualcosa di più: il ruolo della pittura quale strumento principe di nuove forme di visione. Detta così sembra semplice. Eppure, la questione non può limitarsi a registrare il processo di maturazione in atto tra la fine del '200 e gli inizi del '300.La pittura rimase a lungo relegata in una manieristica, ossessiva ripetizione del modello "costantinopolitano": forse per la mancanza di riferimenti alternativi? Forse perché le arti plastiche coglievano le opportunità del tutto tondo ovvero dell’altorilievo che colori e pennelli non erano in grado di equiparare? Cosa accadde ai vari Giunta Pisano, Coppo di Marcovaldo, Cimabue, Giotto e Duccio di Buoninsegna perché si destassero spalancando all’arte scenari inconsueti e fecondi? E perché questo cambiamento, pur timido nelle sue fasi iniziali, si affermò proprio nel momento in cui i modelli bizantini, dopo la IV crociata del 1204 e la conquista di Costantinopoli, proliferavano nell'Europa occidentale? Proviamo a capire. Senza dubbio la pittura era più economica e più rapida da realizzare. Poi, occorre aggiungere, si affermò l’uso della “tavola” dipinta poiché poteva essere rimossa e così fungere anche da icona per le processioni. Naturalmente, non basta. Esisteva un riflesso culturale legato all’opera pittorica, una dimensione nella quale il dipinto è soggetto-oggetto: modificare questa concezione, diffusa e consolidata, diveniva atto di un riformismo radicale che non poteva essere accolto così facilmente. Quindi, la pittura nuova doveva nascere in un mutato ambiente culturale, quando gradualmente le generazioni dell’urbanesimo italiano (e non solo italiano) maturarono paradigmi differenti attribuendo alla figurazione funzioni diverse dal passato. In questa scia ci si accorse che la scultura possedeva una capacità narrativa intensa ma insufficiente a descrivere le novità della rivoluzione commerciale ed il cambiamento dei costumi sociali: sul supporto bidimensionale la descrizione del mondo e dei suoi contenuti è molto più agevole, potenzialmente più ampia, diventa soprattutto una questione tecnica prima che stilistica. Anche le sensibilità religiose si stavano trasformando: influenzate e mediate dagli Ordini mendicanti, presenze che hanno luogo nella città, nella fitta trama di società convulse, tendono a farsi corpo di una nuova espressività, più profonda, più vicina ai sentimenti dei nuovi ceti sociali e del loro protagonismo. Non è un caso se spicca la figura di San Francesco che diventerà uno dei soggetti preferiti della figurazione pittorica. Allo stesso modo, il Cristo crocifisso transita dall’essere "triumphans" al diventare "patiens", mentre la Vergine in trono, che simboleggia l’Ecclesia e tiene in braccio Gesù Bambino, comincia ad assumere in volto un’espressione carica di umano sentimento e di afflato materno. La prospettiva è ancora fragile. Eppure esiste: si tratta di una prospettiva inversa, quella che colloca il punto di fuga verso lo spettatore come per accoglierlo entro la scena rappresentata. Tutti assieme, questi elementi costituiscono i vagiti ancora lontani dell'Umanesimo: è lo spirito che si realizza nella storia.
Giunta Pisano (1190/1200 circa - 1260 circa): Crocifisso, Basilica di San Domenico, 1250/1254, Bologna (particolare)
Coppo di Marcovaldo (1225 circa - 1276 circa): “San Francesco Bardi”, 1250/1260, Basilica di Santa Croce, Firenze
Cimabue (1240 circa - 1302): Crocifisso, 1268/71, Chiesa di San Domenico, Arezzo (particolare)
Duccio di Buoninsegna (1255 circa - 1318 o 1319): "Madonna Rucellai", 1285, Galleria degli Uffizi, Firenze
Giotto (1267 - 1337):“Crocifisso”, 1290/1295, Santa Maria Novella, Firenze e "Omaggio dell'uomo semplice", 1295 /1299, ciclo di affreschi delle "Storie di San Francesco", Basilica Superiore di San Francesco, Assisi
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icqitalia · 4 months
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cinquecolonnemagazine · 4 months
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La parola al diabete: convegno con lo scrittore Marco Zenone
Non ti voglio di Marco Zenone edito da Effedì è stata un’occasione per affrontare il tema del diabete alla luce dei cambiamenti repentini a cui è sottoposta la nostra società. In occasione del XII Convegno di Fondazione AMD che si è tenuto a Roma dal 16-18 maggio, Fondazione AMD - Associazione Medici Diabetologi Italiana ha invitato l’autore novarese per portare la proprie testimonianza. Nel pomeriggio di venerdì 17, infatti, Marco ha preso parte, come relatore della faculty, a una tavola rotonda sulla patologia diabetica, dal titolo “LA PAROLA AL DIABETE - CONFRONTARSI CON GLI ALTRI: LO SCRITTORE, L’INFLUENCER, LE ASSOCIAZIONI”.  Durante il dibattito si è affrontato il tema della comunicazione legata al diabete declinata in diverse forme: quella degli influencer mediante i canali social, quella delle associazioni e anche quella attraverso le pagine di un testo letterario di narrativa, come è avvenuto nel caso di Marco Zenone, che nel 2020 ha pubblicato il romanzo "Non ti voglio" con la casa editrice Effedì Edizioni. Marco Zenone Non ti voglio di Marco Zenone Si tratta di un romanzo di autofiction che, prendendo spunto da alcuni accadimenti personali, con ironia e leggerezza, affronta il tema del diabete tipo 1, patologia di cui Zenone soffre dall’infanzia. Il libro racconta la bizzarra storia d’amore tra il giovane Enzo, un alter ego dell’autore (anch’esso diabetico dalla tenera età), e Arianna. Per quest’ultima, il diabete tipo 1 è una realtà conosciuta solo attraverso i tanti luoghi comuni che accompagnano ancora questa malattia e che andranno a dilatare la distanza tra i due innamorati.  Non ti voglio di Marco Zenone, che tocca l’aspetto spesso trascurato della discriminazione e dello stigma sociale a cui, in alcune circostanze, è soggetto chi soffre di diabete tipo 1, ha suscitato molto interesse sia nell’ambito medico sia in quello letterario. L'autore in passato ha già avuto modo di collaborare con la Fondazione AMD; ricordiamo, infatti, che un estratto di “Non ti voglio”, intitolato "Maracana 1984", è stato pubblicato sul volume 23, n°4, 2020 di JAMD, periodico di approfondimento scientifico e formazione della Fondazione stessa  (il testo è disponibile e scaricabile dal web per chi fosse interessato). «Ringrazio Fondazione AMD per questa straordinaria opportunità di condivisione e divulgazione; per me è stata una nuova occasione di arricchimento personale che spero si possa ripetere in futuro», queste le parole dell'autore sull'esperienza romana. XII Convegno di Fondazione AMD Il convegno è stato un incontro prezioso che ha permesso il confronto sulle più̀ recenti innovazioni in ambito clinico-terapeutico e di ricerca scientifica grazie alla presenza di relatori di spicco nazionali ed internazionali. Durante la tre giorni di Roma, è stato possibile dialogare con le Istituzioni, gli Specialisti e le persone con diabete su temi quali l’assistenza e la prevenzione.  Ampio spazio è stato dedicato alla gestione del rischio cardiovascolare nel diabete, le emergenze del piede diabetico, il diabete gestazionale, la Nutrizione e il diabete e tanti altri argomenti di grande interesse sociale e clinico. Nell’ambito del convegno, Non ti voglio di Marco Zenone, è stato un ulteriore spunto di confronto su cui riflettere, una testimonianza che affronta il tema del diabete di tipo 1 nell’ambito dei rapporti interpersonali. Read the full article
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hwertb · 5 months
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La Bellezza dell’Arte: Esplorando la Pittura Gessatura di B.W.
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Nel vasto panorama dell’arte contemporanea, vi è un’infinita varietà di stili, tecniche e forme di espressione. Tra queste, la pittura gessatura si distingue per la sua bellezza intrinseca e la capacità di catturare l’attenzione dello spettatore. In questo articolo, esploreremo il fascino della pittura gessatura, focalizzandoci sull’opera di un talentuoso artista contemporaneo: B.W.
Origini e Tecniche della Pittura Gessatura
La pittura gessatura ha radici antiche, risalenti all’epoca dei maestri rinascimentali. Questa tecnica prevede l’uso di gesso come base per la creazione di opere d’arte. Il gesso, una polvere fine ottenuta dalla calcinazione del gesso minerale, viene mescolato con acqua per formare una pasta densa e modellabile. Questa pasta viene quindi applicata su una superficie, solitamente una tela o una tavola preparata, per creare uno sfondo uniforme e morbido.
Una volta che lo strato di gesso è asciutto, l’artista può iniziare a dipingere. La pittura gessatura offre una superficie particolarmente adatta per l’applicazione di colori ad olio o acrilici, consentendo una resa vibrante e intensa dei pigmenti. Inoltre, la texture delicata e porosa del gesso aggiunge profondità e dimensione all’opera finale.
Il Mondo Incantato di B.W.
B.W. è un artista contemporaneo che ha saputo reinterpretare la tradizione della pittura gessatura in modo unico e affascinante. Le sue opere sono caratterizzate da una combinazione di elementi figurativi e astratti, creando un mondo incantato e surreale che invita lo spettatore a immergersi completamente.
Le creazioni di B.W. sono spesso dominate da paesaggi onirici e figure enigmatiche. Utilizzando la pittura gessatura come base, l’artista riesce a creare atmosfere suggestive e suggestive, in cui la luce e l’ombra si fondono armoniosamente per creare un effetto quasi magico.
L’Esplorazione dell’Immaginario
Ciò che rende le opere di B.W. così affascinanti è la loro capacità di stimolare l’immaginazione dello spettatore. Ogni quadro sembra raccontare una storia, invitando l’osservatore a esplorare mondi interiori e emozioni nascoste. Le pennellate delicate e i dettagli intricati catturano l’essenza della bellezza e della fragilità dell’esistenza umana, trasportando il pubblico in un viaggio emotivo e spirituale.
Il Fascino dell’Effimero
Un altro elemento distintivo della pittura gessatura di B.W. è il suo fascino per l’effimero. Le sue opere spesso evocano un senso di transitorietà e impermanenza, ricordandoci la fugacità della vita e la bellezza del momento presente. Questo tema ricorrente conferisce alle sue creazioni una profondità e una complessità che le rendono irresistibili agli occhi dello spettatore.
Conclusioni
In conclusione, la pittura gessatura di B.W. rappresenta un’incantevole fusione di tradizione e innovazione, in cui antiche tecniche si mescolano con una visione contemporanea dell’arte. Attraverso la sua capacità di creare mondi immaginari e suggestive, l’artista ci invita a esplorare i confini della nostra percezione e a scoprire la bellezza nascosta nelle sfumature più sottili della vita. Con la sua maestria tecnica e la sua profonda sensibilità artistica, B.W. continua a incantare e ispirare gli amanti dell’arte in tutto il mondo.
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lamilanomagazine · 5 months
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Verona: il Festival da leggere è arrivato nelle scuole e nel teatro di quartiere
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Verona: il Festival da leggere è arrivato nelle scuole e nel teatro di quartiere. Con la quarta edizione di LibrOrchestra il teatro di quartiere diventa uno dei luoghi della quotidianità dei bambini, che possono avvicinarsi alla cultura e alla musica con percorsi didattici fatti su misura per loro. E' questa la novità della quarta edizione del festival itinerante per l'infanzia di musica da leggere dedicato a famiglie, bambini, ragazzi e insegnanti, ideato dall'Atelier Elisabetta Garilli e l'associazione LaFogliaeilVento che è tornato a Verona con la seconda tappa del tour nazionale per creare una nuova "comunità educante" in rete con famiglie, docenti, educatori, librai, bibliotecari, artisti, amministratori locali, e più in generale con ogni singolo territorio incontrato. In questo modo il progetto rafforza e consolidare le reti di collaborazione che si instaurano con le amministrazioni, le scuole, le biblioteche, le librerie, i teatri, gli enti e le aziende che dimostrano particolare sensibilità verso la divulgazione della lettura e delle arti figurative, specialmente nelle realtà di quartiere. A Verona questa rete include l'Assessorato all'Istruzione del Comune, le Biblioteche "Civica" e "Caliari" di Borgo Roma, gli Istituti Scolastici di Borgo Roma e il Teatro "Santa Teresa", che hanno contribuito attivamente alla costruzione e alla realizzazione di un calendario che conta ben 10 eventi, proponendo e attuando percorsi di sensibilizzazione e iniziative concrete. «L'Amministrazione Comunale è grata agli organizzatori di LibrOrchestra per aver scelto Verona per la IV edizione del Festival Itinerante- dice l'Assessora all'Istruzione del Comune- al quale teniamo in modo particolare dato che l'Amministrazione sta investendo moltissimo sullo sviluppo cognitivo e sul benessere dei bambini, usando l'arte ed in particolare la musica come leva educativa.» «Il tema del dibattito proposto alle associazioni, alle scuole, alle amministrazioni e agli enti è inoltre "Rieducarsi per educare", titolo della tavola rotonda: tornare a noi e provare su noi stessi per arrivare ai bambini – aggiunge Elisabetta Garilli, direttrice artistica del Festival -. Fare "educazione" in qualsiasi direzione e ambito significa attivare sperimentazioni, programmare applicazioni concrete che, per raggiungere lo scopo di arrivare con efficacia agli allievi, devono prevedere una profonda riflessione, una importante fase di prova su noi stessi delle sensazioni, emozioni e stati d'animo e lo sviluppo di capacità e abilità». «BPER Banca rinnova la sua presenza accanto a LibrOrchestra, iniziativa che è stata inserita nella sezione dedicata all'infanzia del progetto LaBancaCheSaLeggere, con cui sostiene eventi di promozione della lettura in un'ottica di Responsabilità sociale di impresa. BPER Banca dialoga con associazioni ed enti del Terzo Settore sia promuovendo attività culturali e formative, sia proponendo servizi e prodotti per sostenere le loro attività e contribuire al progressivo sviluppo sostenibile della comunità. A questo scopo di recente è stata creata anche 'BPER Bene Comune', una struttura in grado di offrire specifiche competenze, servizi e relazioni dedicati al mondo del non profit e alle istituzioni.», ha dichiarato Maurizio Veggio, Direttore Regionale Lombardia Est e Triveneto di BPER Banca. Dieci gli appuntamenti in programma, realizzati con il sostegno del Comune e BPER Banca, con un cartellone ricco di laboratori, letture musicate, tavole rotonde e spettacoli con musica dal vivo e con illustrazioni prodotte in tempo reale. Uno dei principali punti di forza di LibrOrchestra sono gli spettacoli musicali-teatrali ideati da Elisabetta Garilli che propone un originale metodo di divulgazione e fruizione della lettura e della narrazione associate alla musica, alle illustrazioni realizzate in tempo reale, alla danza e a installazioni scenografiche in movimento. A Verona sono stati due gli spettacoli di questo tipo: Il carnevale degli animali con le musiche di Camille Saint-Saëns e la prima nazionale di Orzowei, performance liberamente tratta dall'omonimo romanzo di Alberto Manzi. Due tipologie di spettacolo per formare un nuovo pubblico e nuovi lettori, coinvolgendo i bambini e le famiglie alla riscoperta della musica classica come della letteratura per ragazzi e della magia del teatro.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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enkeynetwork · 5 months
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schizografia · 7 months
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Dolcezze del cibo. Minacce materne. A volte è duro stare in cucina. E se il bambino rifiuta il piatto e quello che c’è dentro — e che viene dalla madre — se si ribella a quella lotta corpo a corpo, mortale, per la vita, ingaggiata dalla madre per nutrirlo — quando era nella sua pancia non si poteva rifiutare, tutto procedeva naturalmente e lei non poteva mai intervenire, a meno che non decidesse di non mangiare più per far morire il bambino — allora la madre raddoppia le minacce, urla, se la prende perché non c'è nulla che va bene e perché lei non vuole che lui si ammali... È veramente intensa e dolorosa questa «storia alimentare» tra madre e figlio! Se poi il bambino ha lasciato la madre per un’altra donna, la balia, quando ritorna alla tavola e al corpo materno, la storia è quasi sempre tragica. Una donna che dice di un bambino: «L’ho nutrito... l'ho allevato io», lo dice sempre contro la madre naturale, contro colei che l’ha fatto, che l’ha messo al mondo senza poi dargli da mangiare, l’ha messo al mondo solo perché... Allora la lotta fra i corpi delle due madri — quelle che gli danno da mangiare — avviene sul piano del cibo: «Con me non fa storie, mangia per bene, non ci sono problemi, non ci mette delle ore», ripete la balia. La madre si lamenta: «Fa la difficile... non vuol mangiare quel che gli do. Ce l’ha con me...». Spesso, in questi momenti la madre si ricorda della sua infanzia: anche lei era così, non aveva molto appetito, era una bimba delicata. Oppure dice che la bambina somiglia alla nonna — dura e violenta — ed è difficile come lei. Capita che la balia trovi nella piccola da nutrire, la figliastra, un mezzo per gratificare il suo narcisismo: lei le somiglia più di quanto le assomigliano i suoi figli, e lei a sua volta somiglia alla madre...
La bambina che viene nutrita da una donna è insieme madre e figlia di quella donna... come in una riproduzione all’infinito dello stesso rapporto. La bambina, la figlia, non permette alla madre naturale questo riconoscersi nell’amore o nell’odio, dal momento che rifiuta la sua figura con il rifiuto del cibo. La madre non può più identificarsi nella figlia perché sua figlia si è staccata fisicamente da lei, o perché lei stessa se ne è separata per darla ad un’altra donna, la balia — la sua amata, la sua balia, la sua tata, la sua mamma anche — per affidarla al suo seno, al suo grembo, alla sua bocca, alle sue mani di balia. È a questo punto che la madre, che credeva di poter far valere i suoi diritti, sevizia quel corpo ingrato, disamorato e lontano della figlia per affermare in modo disperato che anche lei esiste, anche se... Ma la bambina non l’ascolta più, o forse è morta perché sua madre l’ha uccisa. Oppure è morta perché sua madre vuole gareggiare con quell’altra — quella che l’ha nutrita, la vera madre per lei — e la madre non può fare altro che picchiarla come si fa per ottenere una prova d’amore. Perché dica: «Ti voglio bene» invece di rifiutarsi di baciarla, come fanno sempre le bambine che tornano a casa dopo essere state per qualche anno a balia durante l’infanzia. Non toccare la madre, le sue guance. Non voler sentire le sue labbra sulla sua pelle, o asciugarsi subito dopo. Non avvicinarsi a lei, rifiutare le sue braccia, le sue forme, il suo collo, le sue mani sul corpo nudo quando le fa il bagno... oppure è la madre che non osa perché ha paura... Paura di che cosa? Nel bagno una donna sfrega con durezza la bambina, la muove bruscamente, le fa andare il sapone negli occhi... quando la pettina le strappa i capelli... e poi la picchia con violenza.
Se non muore, sarà data in affidamento, poi tolta, resa alla madre, ripresa, e di nuovo data in affidamento, rimandata in istituto... dalla madre alla balia, da una balia all’altra, poi di nuovo alla madre... poi... ancora in istituto, spesso in riformatorio... spesso anche in case per ragazze madri... E se nulla viene a cambiare le cose, passano dal giudice minorile a quello istruttore e dal tribunale alla prigione. La prigione, a giudicare dalla storia delle varie detenute, è il posto privilegiato delle donne vittime di violenza durante l’infanzia. E non solo le donne condannate per aver ucciso o maltrattato i propri figli, ma molte altre: ruffiane, prostitute, recidive... Basta che parlino... i loro racconti si assomigliano tra loro così come assomigliano a quelli delle adolescenti ospiti degli istituti e delle giovani ragazze madri che si trovano nelle case per ragazze madri.
(Leïla Sebbar)
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