#flaconi
Explore tagged Tumblr posts
la-scigghiu · 10 months ago
Text
Tumblr media
Marzo si diverte ad aprire flaconi di profumo, mescolare essenze, inventare nuovi colori, poi fa scivolare qualcuno dei suoi fiori più luminosi dalla tasca profonda del suo grembiule e lo sparge sul mondo.
...Spring🌺
🔸F. Caramagna
7 notes · View notes
autolesionistra · 1 year ago
Text
Come credo un po' tutti sono particolarmente sensibile ai ricordi olfattivi, che quando mi si ripropongono lo fanno con la delicatezza di un Tyson dell'88. Ma ci arriviamo.
Se qualcuno incautamente mi lascia comprare un docciaschiuma, il mio processo selettivo si basa su una complicata combinazione di prezzo e armocromia che mi spinge verso flaconi di marche ignoranti con vesti grafiche opinabili. Come cantava quello, per provare nuove sensazioni e farti trasportare dalle emozioni.
Sono entrato in doccia particolarmente orgoglioso del mio ultimo acquisto, una magnum da un litro o giù di lì di un rassicurante verde acqua con etichetta flash millantante aroma di muschio bianco.
Come inizio ad usarlo realizzo che la definizione (già di per sé vaga) di "muschio bianco" è più un'operazione di wishful thinking che di marketing, e poi, dal nulla, inizio a pensare alla mi' nonna.
Mentre cerco di capire sia perché m'è tornata in mente mia nonna sia che odore abbia di preciso il sapone (che è decente, ma stranino) realizzo che ha una punta abbastanza riconoscibile dello stesso profumo che mettono (mettevano?) nella lacca per capelli, e mia nonna è l'ultima persona che ho visto usarla.
Ora, potreste pensare che un docciaschiuma che profuma di lacca per capelli sia un'aberrazione ma nel complesso non è malvagio. Poi vuoi mettere il valore esperienziale, chi resta nella sua comfort zone docciaschiumica non sa quel che si perde.
21 notes · View notes
ypsilonzeta1 · 4 months ago
Text
L'ecologia dei sentimenti.
Non so dove mettere i tanti rifiuti
I “NO” quelli secchi ne ho dati, ne ho avuti
Ma i “forse” a smaltirli si fa complicata
La falsa speranza: nell’indifferenziata.
Le bottiglie di rabbia, i flaconi di bile,
La faccia posticcia di chi è pavido e vile
Le rose di nylon che non fioriranno:
La plastica è il posto dove se ne vanno.
Li butto nel vetro i sogni che ho infranto?
I mille frammenti a seguire lo schianto
Oppure nell’umido, il buonsenso risponde
A infrangersi è il vetro, ma anche le onde.
E vanno in frantumi ad ogni scogliera
Li incolla la schiuma, il mare li avvera
Così si riformano i sogni ogni giorno
Un eterno riciclo, l’eterno ritorno.
Invece le lettere? Nella carta, mi pare
Io non ci credevo, ma l’amore va a male
Le ho scritte pensando non c’è una scadenza
Ho un plico di posta rimasto in giacenza
Il destinatario le rimanda al mittente
Se manca chi legge non servono a niente?
E invece le tengo, mi ci incarto il futuro
Il passato è passato e io non l’abiuro.
I giudizi pesanti nel mio armadio ammassati
Via nel cassonetto degli abiti usati
ci butto il maglione che avevi scordato
c’ho pulito anche il cesso, ma t’ho perdonato.
Rassetto le stanze di questa mia vita
Per qualcosa di nuovo, dell’aria pulita
E butto i rapporti scaduti e scadenti
È l’ecologia, dei miei sentimenti.
Enrica Tesio
2 notes · View notes
thebeautycove · 6 months ago
Text
Tumblr media
THoO - EMERALD GREEN - Royal Stones Collection - Eau de Parfum -
Most precious jewel nobody can steal. Emerald and unconditional love go together.
Deeply in love with this scent gem, one of four in the Royal Stones Collection by THoO, and the artistic inspiration behind the creation. A message of endless devotion in the Victorian Age revives in Emerald Green which, more than just a fragrance, is a magnificent tribute to faithful love, epitome of a feeling that never cease to renew and expand itself limitless over time.
.
Il gioiello più prezioso che nessuno potrà mai rubare. Di smeraldi e amore incondizionato. E profumi che ne illuminano il ricordo.
È una grande storia d'amore a scandire la narrazione, a collegare e non disperdere i sottili filamenti della memoria. È nella storia del regno britannico, nell'illustre epoca Vittoriana, il regale legame di appassionati amanti, la regina Vittoria e il principe consorte Alberto di Sassonia ad ispirare questa pregevole gemma olfattiva.
Emerald Green, una delle quattro composizioni dell'esclusiva Collezione Royal Stones di THoO, elogia la forza dei sentimenti profondi, le suggestioni e i turbamenti della passione, quella inesauribile energia che si rinnova ed espande oltre il tempo.
'Lo amo, lo amo più di quanto non sappia dire, mai avrei immaginato di trovare così tanto amore sulla terra', scriveva Vittoria nel suo diario. Molte furono le manifestazioni di commozione e trasporto che Alberto le rivolse, non ultimo il sontuoso dono di una parure di smeraldi e diamanti, che disegnò personalmente, in cui spiccava una magnifica tiara (oggi in esposizione permanente a Kensington Palace). La scelta degli smeraldi non fu casuale, la pietra verde è infatti associata alla vivida immutabile freschezza del sentimento.
La fragranza è la trascrizione aromatica del simbolismo di questa gemma preziosa. Dominata da una distinta raffinatezza chypre, ha un piglio affabile, elegante, degno di regalità. L'apertura ha in serbo una limpida vivacità agrumata con mandarino, arancia rossa, bergamotto sfavillante di tonalità verdeggianti, presto conquistate dall'avvento di facette più pungenti balsamiche di pepe rosa, zenzero e cardamomo. 
Qui le nuance smeraldo si addensano senza opacizzarsi e tra i freschi riverberi vegetali filtra la lucentezza candida e vezzosa del gelsomino. L'evoluzione si assesta su coloriture più calde e soffici, l'eterea presenza del muschio bianco a moderare l'impeto sensuale del patchouli e la sublime velatura d'antan, come riaffiorata da un dipinto ottocentesco, dell'ambra grigia, a sancire un'emozione di beltà vissuta e mai scordata.
Non serve sottolineare la bellezza di questi flaconi collectible, realizzati artigianalmente, unici nel loro genere.
Creata da Cristian Calabrò.
Eau de Parfum 75 ml.  Online qui
©thebeautycove   @igbeautycove
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
2 notes · View notes
rosenbraut · 3 months ago
Note
I hope I'm not coming off as rude or too nosy, but I am curious -- how do you afford to buy all the perfumes that you do??
Hi 🍓! Perfumery is almost my only hobby that costs money. In other words, I pay for only one streaming service, I don’t buy or play video games, I rarely go out to eat, I don’t party or go drinking, I don’t buy painting or craft supplies, I don’t travel on my own or go to concerts etc. Most of the money that I spend on non-essentials I spend on books or perfume. In this context, I’m not sure whether I even spend more than the average gamer or craftsperson would on their hobby. Apart from that, I don’t buy most of the perfume I talk about. For the most part, my interest in perfumery will result in me sniffing my way around perfume shops without buying anything at all. If I do end up buying something, it’s usually the result of much consideration.
On that note: a piece of advice. Always, always check trustworthy(!) perfume websites for discounts etc. Where I live, that’s mainly Flaconi, Douglas, Perfumedreams, Galeria. The differences in pricing can be 50€ and more. I’ve become an expert, switching between multiple sites, tracking sale events etc. Most expensive or niche brands offer discovery sets with discounts, too. In most cases, the discovery set is more than enough to sate me, so the lure of “spend 40€ on 5x1.5ml and get 40€ off of this 250€ perfume” doesn’t end up being relevant for me — that IS a good deal if you do end up loving a fragrance, however.
In short: I afford my perfumes because I don’t buy that many, and I buy little else. But I understand the question, it sounds so prestigious a hobby. In the end, it’s a hobby like all the others — you could spends thousands at a time, buying batches of expensive niche perfumes that are hyped on social media. Just like you can buy endless extension packs for games or get a fifth set of glittering crochet hooks. You don’t have to go that route to enjoy yourself, however :)
1 note · View note
marquise-justine-de-sade · 10 months ago
Text
Tumblr media
Marzo si diverte ad aprire flaconi di profumo, mescolare essenze, inventare nuovi colori, poi fa scivolare qualcuno dei suoi fiori più luminosi dalla tasca profonda del suo grembiule e lo sparge sul mondo.
(Fabrizio Caramagna)
🌸🩷
5 notes · View notes
scrivosempreciao · 3 days ago
Text
Memorie di un Utero
Tumblr media
Angela avanza lungo il corridoio principale con le spalle rigide. Trascina un carrello cigolante, pieno di barattoli di vernice, manichini scomposti, proiettori, tele di lino grezzo. Le ruote sferragliano sulle piastrelle spaccate, amplificando i suoi passi in un’eco di ferraglia e polvere. È un ex-ospedale psichiatrico e lei ne ha ottenuto l’uso temporaneo: installerà proprio lì una performance intitolata “Memorie di un Utero”. Ora è sola all’interno, anche se non riesce a scrollarsi di dosso l’impressione di essere osservata. Non c’è luce naturale: le finestre, laddove non oscurate da assi di legno o rotte, sono coperte da uno strato di polvere e muffa che filtra ogni bagliore in un’ombra pallida e sporca. L’odore di umidità, flaconi farmaceutici lasciati a scadere e calcinacci marci la colpisce come uno schiaffo. Sapeva che il posto fosse abbandonato da anni, ma non immaginava un degrado così angosciante e crudo. Sopra la sua testa, i neon lampeggiano senza costanza, alternando spirali di buio a momenti di brutale candore.
Si ferma davanti a una porta con una targhetta scrostata: “Reparto Femminile – Terapie Avanzate”. La targhetta è incrinata da un taglio verticale, come se qualcuno l’avesse colpita più volte con uno scalpello. Si stringe nelle spalle: le hanno permesso di usare il piano terra e il seminterrato per l’allestimento. L’idea è far passare i visitatori in un percorso sensoriale sul mestruo, sul dolore femminile mai riconosciuto, sulle cicatrici inflitte dalla medicina eteronormativa di stampo patriarcale. Vuole che il visitatore ne esca sconvolto, senza scappatoie retoriche: un corpo che sanguina e soffre non va nascosto, va guardato nella sua verità. Le parole che ha usato per presentare il progetto raccontavano di una “immersione totale nel liquido mestruale, metaforico e tangibile.” Forse si è spinta troppo oltre, ma a lei importa soltanto che il messaggio arrivi come un ceffone.
Spinge la porta con un braccio. La maniglia si blocca, lei forza un po’ e la vernice scrostata cade a terra in scaglie. Varca la soglia e si accorge subito che il neon in quel corridoio è rotto: un sottile coltello di luce del tardo pomeriggio filtra da una sequenza di finestre a bocca di lupo. Quell’illuminazione pigra rivela cumuli di ragnatele che imbiancano gli angoli e macchie scure regalate da un’inondazione di un decennio prima e che ora sembrano solo volti ghignanti. Angela fa scorrere il carrello tra i detriti, si ferma in mezzo al corridoio e inizia a fare la rassegna dei materiali. Deve verificare le dimensioni delle varie stanze, disporre gli oggetti di scena, lavorare all’impianto elettrico, controllare i proiettori, ripulire come può gli ambienti: c’è tanto, tantissimo da fare. Fa qualche passo verso la prima stanza e un’incrinatura sotto le sue scarpe si frantuma in un nugolo di piastrelle. Un lembo di terra polverosa rivela i sottostrati: c’è una patina color ruggine, impregnata di liquidi ormai secchi. Medicinali, disinfettanti? O forse altro.
Apre la porta a sinistra, sbircia dentro. Un vasto stanzone, con al centro un vecchio lettino operatorio, macchiato su tutta la superficie, e un odore di gomma rancida. I muri sono ingrigiti, l’intonaco sembra pronto per cadere del tutto. Il soffitto presenta un’ampia chiazza nera, forse dovuta a un incendio o infiltrazioni di cui nessuno si è occupato. Sarà l’ideale per la “Sala d’Attesa” che ha in mente: un manichino femminile, aperto in due, da cui fuoriusciranno cavi rossi come viscere collegati a schermi che proietteranno a ripetizione le scene più truculente dei migliori pulp. E in sottofondo, registrazioni di gocce che cadono ritmicamente, come un flusso di sangue. Ha anche preparato una playlist di scrosci e gorgoglii per rendere l’idea di un utero che esonda. Avverte un formicolio alle mani. Non è la prima volta, da quando è entrata. Si domanda se sia solo tensione o se la causa sia un’altra: è come se l’edificio stesse reagendo alla sua presenza. Che pensiero sciocco, scuote la testa, cerca di ignorare quella sensazione. È stanca, ha dormito male, spinge via i pensieri. Prepara il cavalletto. Appoggia un proiettore su un tavolino corroso, poi inizia a prendere misure con un metro. Mentre conta i centimetri, gli angoli dei suoi occhi si riempiono di ombre. Si volta di scatto, ma non c’è nessuno. Eppure, sembrava una sagoma umana. Cerca di ricordarsi se quelli della cooperativa le hanno parlato di un custode o di un guardiano del luogo.
Sbircia nel corridoio: il silenzio è compresso, come se l’aria si fosse fermata. Prova una sorta di nausea e un retrogusto ferroso risale su per la gola. L’ansia avvelena l’entusiasmo, ma sa che deve continuare, non si lascerà spaventare da un posto malandato. Ha lavorato in condizioni ben peggiori, come quella volta che è dovuta restare da sola per una notte intera in un casolare abbandonato in alta montagna. Monta un paio di luci portatili e le accende, creano un bagliore giallastro che vibra su una lunga parete divisoria scorticata. Lì metterà l’installazione “È tutto nella tua testa”: grezze e spesse passate di vernice rossa, fiotti di resina porpora che sgorgheranno a intermittenza dall’alto grazie a un sistema di carrucole. Ha portato con sé bottiglie di vernice speciale, più densa del normale, da spalmare con guanti e spatole. Userà colla vinilica mista a curcuma e curry per ricreare l’odore primordiale del muco mestruale. Il progetto è simile a un pollock di liquido ematico, ma con la consapevolezza di un flusso ciclico doloroso e sintomo di un malessere ignorato. Avrebbe preferito usare sangue vero, ma dai referenti le è arrivato un no categorico. Più tardi, si trasferisce in un’altra stanza che odora di rancido. Nella semioscurità, scorge decine di vasche da bagno portatili, vecchi apparecchi per idroterapia, forse. C’è un cartello storto con la scritta “Trattamento dell’Isteria”. Se non fosse tragico, le verrebbe quasi da ridere: è perfetto. Potrebbe sistemare una serie di bambole gonfiabili proprio qui, immerse in litri e litri di sciroppi e medicinali. Chiamerebbe l’opera “C’è una Cura per Tutto”. Fa qualche foto col cellulare per studiare le inquadrature. Nel riflesso di una vasca sporca, le pare di scorgere un viso femminile, appena sopra la sua spalla. Le sue viscere si riempiono di acqua gelida, si volta, ma non c’è nessuno. Sente un fremito dietro la nuca, come se labbra fredde gliela stessero sfiorando. Si toglie l’elastico dai capelli e si scioglie la coda, lasciando cadere le lunghe ciocche nere sul collo. Sente il bisogno di proteggersi come può.
È quasi mezzanotte quando Angela finisce di prendere appunti e di collocare nelle varie stanze il grosso di ciò che le servirà; la stanchezza si mescola a un leggero mal di testa. Decisa a tornare a casa, s’incammina verso l’uscita, ma una porta socchiusa cattura il suo sguardo: c’è una targhetta scrostata che dice “Patologia Uterina”. Dentro, un buio profondo. Accende la torcia del cellulare e illumina un groviglio di lenzuola annodate su un carrello. Contro la parete c’è un armadio zeppo di strumenti arrugginiti: forbici, pinze, trapani a ingranaggio. Una puzza chimica – formalina, forse? – le invade le narici. Sulla parete, svetta una scritta in colore brunastro: “CI STANNO AMMAZZANDO”. Arretra senza pensarci due volte, chiude la porta e la maniglia le rimane quasi in mano; il rumore secco della porta che si chiude copre a malapena un suono graffiante. Un grido? No, non è possibile. Un brivido sudato le scende per la schiena. Promette a se stessa che domani si sveglierà presto e tornerà lì con la luce: mai più in un posto del genere dopo il tramonto.
I giorni passano e i corridoi si popolano di cavi, teli di plastica, bambole e manichini dai quali lei ha segato via alcuni arti. Su alcuni ha anche inciso i capezzoli, gli ombelichi e i genitali: dai fori farà colare vernice o pasta acrilica rossa. Con la luce quel posto non fa più paura; è solo il triste testimone di un’epoca più brutale. Ma con tutto quel che c’è da fare, il tempo torna a sfuggirle di nuovo. Una sera si accorge di aver lavorato fino alle undici. Undici e mezza, per la precisione. I vecchi neon, ormai, non funzionano quasi più. La luce residua è data da lampade che ha portato lei, e dalle torce. Ma non vuole andarsene: l’inaugurazione è imminente. Quando si siede sul pavimento per un attimo di pausa, sente come un rumore di catene, un cigolio simile a un letto di ferro trascinato. Chiama: «C’è qualcuno?» Nessuna risposta. Se la sta quasi facendo sotto, ma si alza comunque per dare un’occhiata al corridoio: niente e nessuno. Torna sui suoi passi e nota che nella stanza principale i manichini sono stati spostati, disposti in cerchio. Lei li aveva lasciati allineati al muro. Ma ora è come se si guardassero l’un l’altra. Al centro, un catino non suo. Dentro, un ammasso molliccio, mucoso e scuro. Un lamento piagnucolante si irradia dalle pieghe molli di quella cosa. Che cazzo è, un feto? Si avvicina, l’odore di marcio che fuoriesce dai bordi la fa barcollare, quasi rigetta sul pavimento il poke che ha mangiato per cena. Quando si convince a guardare di nuovo il catino, questo è vuoto, il liquido è sparito del tutto. Scuote la testa. Deve dormire. Deve assolutamente dormire.
La notte prima dell’evento si dà da fare per chiudere tutti i lavori e riveste i corridoi con garze e panni impregnati di tintura rossa. Qua e là ha appeso fotografie vere di vagine sanguinanti, squarciate da parti difficili, aperte da speculum metallici, devastate da infibulazioni di ogni tipo. Ci saranno stereo che diffonderanno il suono ovattato di un battito cardiaco. Tutto questo, ovvio, oltre alle principali attrazioni che ha allestito nelle stanze del reparto femminile. Sarà una figata pazzesca. Mentre si aggira per un ultimo controllo, il posto sembra più immobile del solito. Il silenzio è così spesso che Angela crede di sentirselo addosso, sulle spalle, come un mantello. Sul pavimento del corridoio principale, scorge una lunga scia rossastra, come la bava di un’enorme lumaca – forse una delle latte di vernice era bucata? –, che parte dalla “Sala d’Attesa” e si interrompe sulla soglia di una porta lucida e verde. Cerca di aprirla, ma nulla da fare. Non è chiusa a chiave, ma dall’altra parte qualcosa di pesante impedisce un’apertura completa. Angela riprova, ci mette più forza, ancora e ancora, e dall’altra parte arriva il gemito strozzato di una donna. «Lasciaci stare… non vogliamo… non sono pazza!» 
«Chi sei? Hai bisogno di aiuto? Chiamo la polizia?» Angela spara domande a raffica per tenere a bada il terrore. Silenzio. «Chi sei?» ripete. «Ci stanno ammazzando!» Di nuovo il gemito. Deve fare qualcosa. Arretra di qualche passo, poi si schianta sulla porta con una spallata. La porta si spalanca senza problemi e Angela si ritrova con il culo nella polvere, in una stanza vuota. «Ok. Sto impazzendo» ridacchia nervosamente. Uno scalpiccio a pochi metri davanti a lei la costringe a estrarre il cellulare e puntare la torcia verso il muro. Mani. No, impronte di mani. Rosse, decine, centinaia, pressate contro la parete, fino al soffitto. Il rosso delle impronte nella fascia bassa del muro è così intenso da sembrare fresco. Per la prima volta da quando ha messo piede in quell’ex-ospedale, Angela urla. E quando urla, non è solo lei a farlo. La sua angoscia è amplificata da un coro di altre grida disperate. Gattona fuori da quella stanza e scappa via senza voltarsi indietro. Quando si ritrova nel letto del suo loft, fatica a ricordarsi come ha fatto ad arrivare lì. Poi si rende conto che la sua schiena sta toccando il materasso dopo quasi ventiquattro ore passate senza riposarsi nemmeno per un minuto. Forse è colpa della stanchezza. È sempre colpa della stanchezza.
È il giorno dell’inaugurazione. Arrivano alcuni giornalisti locali, un paio di influencer che si occupano di arte estrema, un gruppetto di attiviste con tanti follower, alcuni amici di Angela e parecchi sconosciuti vogliosi di scandalizzarsi. Angela li accoglie all’ingresso, spiega il concept: «Un viaggio attraverso la medicalizzazione del corpo femminile, la demonizzazione delle mestruazioni e la psichiatrizzazione dell’isteria. Un percorso scabroso, ma necessario.» Studia i loro sguardi: qualcuno sorride divertito, altri appaiono lievemente a disagio, altri annuiscono serissimi. Bene. Il gruppo si inoltra nelle prime sale. L’effetto visivo li colpisce: pareti rosse incrostate di vernice colante, manichini con parti anatomiche aperte, audio di gocciolii e battiti ovunque. Alcuni scattano foto, uno studente prende appunti su un taccuino, una blogger fa schioccare la lingua con aria di superiorità. Angela resta indietro, osserva le reazioni. È abituata alle critiche, anche a quelle più spietate. Ma poi, uno sbalzo di pressione la allarma: l’aria sembra farsi gelida e carica di un tanfo di muffa e carne cruda che non può arrivare dai semplici materiali pittorici. Cavi e tubi sembrano quasi muoversi in modo indipendente, come serpenti sottili.
Avverte un’inquietudine simile a un dolore sordo tra i reni. Il pubblico sembra non notare nulla e si spinge nell’area chiamata “Reparto Donne”. Trovano celle rivestite di disegni anatomici femminili su carta semitrasparente, strappati, esagerati, deformati, appesi alle pareti con chiodi arrugginiti, e illuminati dalla luce soffusa di proiettori. Sul pavimento, tracce di un liquido lucido, che dovrebbe essere resina ormai asciutta. Ma all’improvviso, un docente universitario che stava commentando l’opera con distacco annoiato scivola e cade all’indietro, imbrattandosi i pantaloni di una sostanza vischiosa, abbondante, fresca. Qualche goccia schizza sul volto di Angela: la sostanza è calda. Bollente, quasi. Non dovrebbe esserlo. L’uomo sbatte le palpebre, disgustato. Un altro tizio si avvicina, tocca la macchia con un dito e lo ritrae di scatto, scuotendo la testa: «Che cazzo è…?»
La tensione sale. La blogger fa una battuta e scatta un selfie, con grande nonchalance. Ma intanto le luci iniziano a tremolare. Ogni suono registrato, dallo sgocciolio ai battiti, si distorce in un lamento più cupo, profondo, come se qualcuno stesse modulandolo da dietro un mixer. Angela corre verso uno dei suoi laptop e apre il software di controllo. Tutto sembra funzionare come previsto, eppure il suono è mutato. Sembra un coro di lamenti di decine di donne. Il pubblico arretra. Alcuni provano a ridere, a darsi un tono. Una ragazza esplode in uno strillo isterico, dicendo di aver sentito un sussurro dietro di sé. No, dentro di sé. Una parola strozzata. «Mi è sembrato mi dicesse “Sporche”…» Uno dei giornalisti annuisce fino a farsi scrocchiare il collo e dice di aver percepito un “Ci avete rinchiuse…” Prima che altri possano dire la loro, i neon crollano in un’esplosione di vetri. L’oscurità cala. In pochi secondi, si crea una calca. Gente che urla, che prova a cercare l’uscita, annaspando nel liquido rosso denso che scivola sotto i piedi. La sostanza si spande in rivoli che paiono muoversi, come tentacoli. Angela inorridisce: non è opera sua. O meglio, non era nelle sue intenzioni un’installazione “interattiva” di questo genere. Qualcosa qui si sta animando da sé.
Un fragore. Una porta si chiude di botto, sbattendo con forza inaudita. Qualcuno impreca. Tutti corrono verso il corridoio, ma le piastrelle sembrano deformarsi, gonfiarsi come un tessuto vivo. Un critico con la giacca elegante scivola, cade in ginocchio con un gemito e inizia a contorcersi, scalciando e scuotendo le mani, come se volesse allontanare qualcosa da sé. «Vai via, via!» Angela scatta verso l’uomo e si china su di lui. Scorge un volto femminile riflesso in una delle pozze viscose: un viso senza occhi, labbra cucite, che ondeggia dall’altra parte della superficie. Lui urla e si tira indietro, ma il riflesso emette solo un singhiozzo soffocato.
Un suono di catene scorre tra i muri. Alcuni manichini cadono al suolo come corpi agitati, rompendosi in mille pezzi. Dalle crepe nel cartongesso emergono mani scure, fatte di polvere e garze, che graffiano l’aria e ghermiscono chiunque capiti a tiro. Una torcia cade e rotola, illumina per un istante la visione di una stanza affollata da ombre striscianti: sagome di donne in camicie di forza, capelli rasati, orbite vuote. Angela, che conosce quel luogo ormai come se stessa, cerca di condurre tutti quanti al piano superiore, verso l’uscita, ma il dedalo di corridoi si è contorto in un labirinto. Gente urla, bussa contro porte sbarrate, scivola in stanze che si chiudono come fauci. Le grida si fanno frammentarie, poi nulla, come risucchiate dal posto. Alcuni corrono verso il piano superiore, ma le scale sono ostruite da detriti e da un alone scuro che si muove come un’onda.
Angela si afferra la testa, il cuore scalpita. Vuole fuggire, ma un sibilo la blocca, un suono vicinissimo all’orecchio: «Tu ci hai aperte.» Si volta, un lampo di luce rivela un viso che si sovrappone al suo. Labbra pallide, il cranio inciso da cicatrici. Una donna, o un fantasma, la cui bocca si spalanca e sussurra frasi incomprensibili. Angela arretra, finisce in una sala deserta. O così sembra. Dai muri grondano rivoli purpurei, pulsano come vene in una carne titanica. Il pavimento vibra, si spacca in certi punti. Un fiotto di polvere mista a ruggine sale, spandendo un fetore di vomito e farmaci scaduti. Fra i riflessi di un neon intermittente, intravede un corpo riverso: forse uno dei visitatori. Si avvicina, o vorrebbe, ma i suoi piedi affondano in una melma densa. Stringe i pugni, spinge con le gambe; ne esce, barcolla contro un carrello di materiale medico che si rovescia con clangore. Un paio di flebili gemiti si spengono dietro di lei. Non ci sono più grida. Nessuno scalpita, o forse i suoni sono soffocati. Con orrore, Angela scorge che quell’inondazione di liquido ha riempito molte stanze. Ora le sale sono come grembi rigonfi, saturi di un flusso che ribolle. Uno degli ultimi neon ancora in vita sfiamma un’ultima volta, poi si spegne. Il buio è quasi assoluto, rotto solo da qualche faretto rimasto acceso e da bagliori rossastri che paiono provenire dal liquido stesso, come se fosse fosforescente. Angela scappa a tentoni. Striscia sul muro, scivolando sugli schizzi. Sente il sapore del ferro sulle labbra, una mano invisibile che le afferra la caviglia, forse un cadavere, forse un fantasma. Urla, scalcia, si libera. Un corridoio, finalmente, si apre davanti a lei: vede, in lontananza, la porta da cui era entrata. Spalanca quella porta. L’aria notturna, fredda, la investe. Fuori, la strada, i lampioni. Non c’è anima viva. L’ospedale dietro di lei rimane in un silenzio spettrale. Nessun segno di qualcuno che la insegua. Nessun rumore, nessun incubo. Rimane qualche istante immobile, la mente confusa. Poi si allontana a passi lenti.
Nei giorni seguenti, si incastonano in lei le memorie più crude. Evita di leggere notizie. Nessun articolo cita la performance. Nessuno le chiede nulla. È come se l’evento non fosse mai accaduto. O come se l’edificio l’avesse inghiottito, proprio come anni prima aveva ingurgitato e nascosto tutte le brutture avvenute al suo interno. Angela vive in una nebbia costante di colpa, terrore ed euforia inspiegabile. Le notti colano sogni di gocciolii e corpi trascinati, sogni in cui le vecchie pazienti di quell’ospedale la ringraziano per averle “lasciate libere di sfogare la loro rabbia”. Si sveglia ridendo, con il viso rigato di lacrime e un filo di sangue che esce dal naso. Dopo un paio di settimane, decide di tornare: vuole recuperare i suoi materiali. Deve almeno svuotare quei corridoi, prendere le tele, i manichini, i proiettori. Magari troverà prove di ciò che è successo, o forse li troverà intatti, come se nulla di strano fosse avvenuto. Come se la performance dovesse ancora avere luogo. Si presenta una mattina di fronte all’ex-ospedale psichiatrico, con il cuore stretto. La porta è chiusa col lucchetto. Strano, non ricorda fosse così. Forza il lucchetto: l’interno è buio, inerte. Si fa strada con la torcia del cellulare.
Trova i suoi manichini impilati in un angolo, come se qualcuno li avesse messi a dormire dopo una giornata di duro lavoro. Ogni tela, immagine o fotografia è del tutto intatta. Non c’è segno di vernice, resina, colla o pasta acrilica. Sembra semplicemente un posto abbandonato, com’era all’inizio. Nessun cadavere, nessuna traccia di liquidi estranei. Si aggira fra le stanze in silenzio, mentre polvere e ragnatele le si appiccicano ai capelli. Sembra tutto banale, come se la follia della sera dell’inaugurazione fosse stata un’allucinazione collettiva. E i visitatori? Non ci sono. Non ci sono resti, né oggetti a testimoniare il loro passaggio. Recupera un paio di proiettori funzionanti. Raccoglie le latte di vernice – quasi tutte vuote, ripulite. Nota però che alcune delle sue scatole Ikea di plastica sono piene di residui di una fanghiglia rossastra, mezza secca e mezza molle. Non osa annusarla, la sciacqua in uno dei lavabi. Quando esce per l’ultima volta, spinge la porta con un peso enorme sul petto, come se quell’edificio si fosse impresso nei suoi polmoni. Fuori, la luce del giorno la acceca. Sbatte le palpebre, e in quell’istante le sembra di scorgere, dietro la finestra sporca del secondo piano, un volto di donna rasata, con un brutto taglio sulle tempie. La sta osservando. Non vorrebbe, ma solleva la mano in un accenno di saluto. La donna non risponde; sparisce dopo un battito di ciglia.
Angela torna a casa e scivola in una routine di silenzi. Non racconta niente a nessuno, non pubblica foto online, i suoi profili social languono di aggiornamenti. Un mattino, trova nella cassetta della posta una busta di carta grezza, senza mittente. Contiene due vecchie foto: una riporta la data 1968 e ritrae l’interno del Reparto Femminile dell’ospedale psichiatrico nel pieno della sua attività. Dottori ben pettinati e sorridenti posano accanto a donne pallide e magre in pigiama. L’altra è del 1971 e Angela deve fare appello a tutto il suo autocontrollo per non mettersi a urlare. Riconosce la stanza delle mille mani rosse. Una calca di donne sporche e seminude cerca rifugio negli angoli della stanza. Tutte hanno la testa china e gli occhi rivolti altrove. Chiunque stesse scattando quella fotografia, non era loro amico. Angela le ripone in un diario. A distanza di mesi, un velo di normalità apparente sembra calarle addosso. Viene persino contattata per lavorare in un altro spazio espositivo, alla cura di un piccolo progetto sulla commistione tra pittura e digitale, ma manca la scintilla, manca la rabbia. Spesso si blocca davanti ai fogli di lavoro, la mente saturata di immagini di reparti bianchi diventati oceani rossi. È come se la creatività fosse strangolata da un trauma non digerito. 
Un pigro pomeriggio d’inizio estate, Angela trova un’altra busta nella cassetta. È più piccola e leggera dell’altra, ma la carta è la stessa. E, ancora, non c’è alcun mittente. La apre con mani tremanti sopra la penisola della cucina. All’interno, c’è una polaroid ben diversa dalle altre due fotografie: è nuova, come se fosse stata scattata di recente. Riconosce subito la stanza delle vasche, quelle per il trattamento dell’isteria. Una delle vasche è stracolma di un liquido denso e nero; sotto la superficie si intravede la sagoma biancastra e gonfia di una donna nuda, abbandonata lì dentro. I dettagli sono così evidenti e chiari da far ribaltare lo stomaco di Angela: non è una fotografia vecchia. La gira, il retro è attraversato dalla scritta “Ci hai dimenticate? Se non tu, un’altra”. Anche quella polaroid finisce nel diario. E la vita va avanti.
Una sera, mentre naviga su siti d’arte, trova un trafiletto: “Voci di un presunto evento in un ex-ospedale psichiatrico, performance controversa, mistero su eventuali scomparse”. Una foto sfocata mostra un corridoio e una chiazza scura. Legge la didascalia: “Opera di un’anonima artista”. Chiude in fretta il browser. Il cuore le scatta in gola. Nessun nome, nessun dettaglio. Resta con il dubbio che qualcuno abbia registrato un pezzo di quella notte. Un giorno, mentre cerca un locale per un nuovo progetto – questa volta un reading di poesie femministe –, un suo contatto ne nomina uno proprio vicino all’ex-ospedale. Un presentimento la spinge a passare in zona, in pieno pomeriggio. Parcheggia. Vede da lontano i soliti muri grigi in abbandono, le finestre sprangate. Il cancello è chiuso con lucchetti. Sulla recinzione, un cartello del Comune: “Area pericolante. Vietato l’accesso”.
Davanti a esso, un gruppetto di uomini con caschetti e giacchette catarifrangenti da lavoro. Un operaio la nota, si avvicina e le dice che presto butteranno giù tutto, ci faranno un parcheggio. Lei annuisce, con un peso nel petto che rischia di tirarla giù. O forse dovrebbe sentirsi meglio? Forse demolire servirà a seppellire quell’incubo? «Non so che dirle» l’operaio si infila una sigaretta tra le labbra. «Mia zia c’è stata là dentro per un periodo. L’hanno trattata come merda secca, come si faceva ai tempi. Vai a sapere se le è servito o no. Da un lato sono contento venga raso al suolo. Ma quando passo di qui e vedo questo posto mi torna in mente quello che succedeva. E che forse succede ancora, boh.»
Angela si stringe nelle spalle e si allontana. Un lieve fruscio la fa voltare. Dietro la rete arrugginita, nell’angolo, scorge un volto di ragazza, forse sui vent’anni, con uno zaino. Tiene in mano una fotocamera, scatta foto all’edificio. Angela sente un’ondata di vertigine. Riconosce quello sguardo carico di curiosità e fascino per il proibito: è proprio come quello che aveva anche lei. La ragazza la nota, fa un breve sorriso, poi torna a immortalare l’ingresso. Di certo vuole intrufolarsi lì dentro, magari per un reportage urbano, una raccolta di foto da postare su un blog. Angela aprirebbe la bocca per dirle «Non entrare», ma resta muta, incastrata in un’angoscia impotente. Dopo un momento, la ragazza si infila nel pertugio della recinzione e scompare. Angela sale in auto, stringe il volante a tal punto da farsi sbiancare le nocche. Appoggia la fronte sul clacson spento. Per un lunghissimo istante, il tempo sembra non esistere più. E non affatto certa di esistere più nemmeno lei. Poi, avvia il motore e si allontana senza guardare nello specchietto.
0 notes
siciliatv · 21 days ago
Text
Tumblr media
Trovato in possesso di 90 flaconi di metadone: denunciato cinquantenne E' stato trovato in possesso di 90 flaconi di metadone.... #SiciliaTV #SiciliaTvNotiziario Read the full article
0 notes
rassegnanotizie · 2 months ago
Link
Nel 2018, Dawn Sturgess, una donna di 44 anni madre di tre figli, è morta a causa dell'esposizione al veleno contenuto in una bottiglia di profumo, che si rivelò essere l'agente nervino russo Novichok. Sturgess si era spruzzata il veleno credendo fosse un normale profumo, ma la boccetta era stata lasciata in un contenitore benefico dai sicari russi dopo un tentativo di assassinio nei confronti di Sergei Skripal, un'ex spia russa rifugiata in Gran Bretagna. Skripal e sua figlia Yulia erano stati avvelenati nel marzo dello stesso anno, ma erano sopravvissuti dopo un ricovero in ospedale. I due russi avevano utilizzato il Novichok per avvelenare Skripal spalmandolo sulla maniglia della sua porta. La morte di Sturgess ha scatenato un'inchiesta pubblica a Salisbury, la città in cui viveva e dove abitavano anche gli Skripal. Durante l'inchiesta, sono state mostrate immagini di sorveglianza che documentavano i momenti immediatamente successivi all'esposizione di Skripal e sua figlia al veleno. Un'ora dopo il contatto, Skripal appariva visibilmente sofferente; la situazione è degenerata quando lui e sua figlia, dopo aver pranzato in un ristorante, si sono accasciati su una panchina in un parco. Un aspetto tragico della vicenda è che Dawn Sturgess, ignara del pericolo, ha applicato il veleno sulla sua pelle. L'inchiesta si propone di valutare se la morte della donna possa essere considerata un effetto collaterale di un tentativo di assassinio internazionale. Dopo il tentativo di omicidio di Skripal e la conseguente avvelenamento di Sturgess, le autorità britanniche hanno emesso mandati di arresto internazionale per tre uomini russi ritenuti coinvolti. Tuttavia, l'estradizione dalla Russia è improbabile a causa delle leggi russe. Sergei Skripal, che aveva una carriera come paracadutista e poi come agente del GRU, era stato condannato per spionaggio in Russia, ma era stato successivamente graziato e portato nel Regno Unito nel 2010 nell'ambito di uno scambio di prigionieri. La sua vita a Salisbury è stata segnata dall'incidente avvenuto nel 2018, che ha portato a eventi drammatici e a una crescente tensione internazionale.
0 notes
bucciadiarancia · 3 months ago
Text
Ho mangiato: hummus di fagioli cannellini e barbabietola, focaccia, finocchi gratinati, farinata di ceci. Poi una piadina di farro con due fette di speck, hummus di ceci e verdurine varie (melanzana, insalata, carote, pomodori, biete). Ho bevuto del succo di frutta alla pera.
Pesandomi questa mattina credevo di aver perso due interi kg, invece era solo mal di pancia. Ho trovato il libro "Padre Padrone" di Gavino Ledda nell'angolo dedicato al bookcrossing che è sulla strada per tornare a casa, l'ho letto seduta sulla panchina finché non è diventato troppo buio per riuscire a decifrare le parole. Il viaggio sul bus mi ha fatto venire la nausea, così ho vomitato nel lavello una volta a casa. Poi ho sentito mia mamma, ovvero diciotto minuti intensi di nomi di flaconi di medicinali.
Una volta che L ha preso la tachipirina per abbassare la febbre, mi sono addormentata.
#r
1 note · View note
novacash · 3 months ago
Photo
Tumblr media
® Kit Di Reintegro ALLEGATO 1 SENZA SFIGMOMANOMETRO Pacco Medicazione per Casset
Kit di reintegro allegato 1 senza sfigmomanometro per cassette ed armadietti di pronto soccorso fornito in comodo contenitore antiurto in cartone
Prodotto comunemente utilizzato per il primo soccorso di emergenza in aziende o unità produttive del gruppo a e b e comunque con 3 o più lavoratori secondo il d.m. 388 del 15/07/2003 e s.m; dl/81
Dimensioni cm 39 x 20 x 18h - peso 4 kg (completo di presidi)
Contenuto: 5 paia di guanti sterili - 1 visiera paraschizzi - 2 flaconi di iodopovidone al 10% da 500 ml - 3 soluzione fisiologica da 500 ml - 2 compresse di garza sterile 5 x 10 cm - 2 compresse di garza sterile 18 x 40 cm - 2 teli sterili - 2 pinzette sterili - 1 confezione di rete elastica - 1 confezione di cotone da 50 g - 2 confezioni di cerotti assortiti 20 pz - 2 rotoli di cerotto m 5 x 2.5 cm - 1 forbici per medicazioni - 3 lacci emostatici
2 ghiaccio istantaneo sacchetto pronto uso - 2 sacchetti per rifiuti sanitari - 1 termometro digitale - 1 istruzioni sul modo di usare i suddetti presidi - 1 elenco dei presidi contenuti
Kit di reintegro Allegato 1 senza sfigmomanometro per cassette ed armadietti di pronto soccorso fornito in comodo contenitore antiurto in cartone.
0 notes
thebeautycove · 2 months ago
Text
Tumblr media
CARON PARIS - OUD EXCELSA - La Collection Merveilleuse - Eau de Parfum - Novità 2024 -
Feeling the connection. A pivotal moment, realizing that Caron, the Art Perfumery legend, 120 years later, shines in the vivid unparalleled Ernest Daltroff’s vision. Heritage and olfactory culture are preserved in full glory and, thanks to the renowned expertise of master perfumer Jean Jacques and contemporary flair of Olivia de Rothschild as creative director, we’re welcomed to experience enthralling olfactory journeys through masterpieces that transcend time.
...
Atmosfere da vivere in pienezza, apprezzando ogni singolo istante nel fluire di tanta purezza olfattiva. Avvertire la profonda connessione tra passato, presente e futuro, un momento cruciale per Caron, leggenda della profumeria d’arte che, a 120 anni dalla fondazione, riluce nella vivida, impareggiabile visione di Ernest Daltroff.
Patrimonio e cultura olfattiva restano intatti, preservati nel loro integro splendore e, grazie alla rinomata perizia compositiva del master perfumer Jean Jacques e all’estro contemporaneo del direttore creativo Olivia de Rothschild, ancora oggi, con rinnovato entusiasmo, possiamo essere testimoni di emozionanti percorsi olfattivi attraverso capolavori che trascendono il tempo.
Così è per Oud Excelsa, ultimo ingresso nell'esclusiva La Collection Merveilleuse cui Caron concede il pregio di eccelse materie prime, selezionate per qualità e provenienza responsabile certificata.
La fragranza conquista con irresistibile avvenenza, evoca atmosfere crepuscolari, misteriose e concentra nel binomio aromatico oud-caffè la sua evocativa allure, come un raffinato talismano alchemico.
Note cesellate in impeccabile armonia, l'incipit così aderente con un fastoso cisto in assoluta accostato a sontuosi legni, betulla, papiro, cedro atlas e la nobiltà dell'oud che emerge trionfante, sublimando sfumature ambrate, cuoiate calde e diffusive.
Sorprende la simmetria raggiunta con la nota caffè, amplificata nella sua essenza dalle molecole di sintesi natrotar e robuston a definire un profilo odoroso più tostato, fumé ed apprezzata in freschezza da accenti speziati di cardamomo. 
Alla mano del maestro spetta la rifinitura emblematica con rosa bulgara, fiore feticcio della Maison, che tutto accoglie ed eleva in una dimensione di ricercatezza senza tempo. Sublime.
Determinante l'apporto di Olivia de Rothschild, che ha ideato e sviluppato il design dei nuovi flaconi O impilabili e ricaricabili, oltre al revamping del packaging più allineato all'esigenza di conformità ai nuovi canoni di upcycling e sostenibilità.
Creata da Jean Jacques.
Eau de Parfum 30, 50, 100 ml. flacone refillable. Online qui
©thebeautycove   @igbeautycove
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
1 note · View note
verbandsbuero · 5 months ago
Text
Kostenlose Werbegeschenke bei Flaconi - was steckt dahinter?
Tumblr media
Verpassen Sie nicht die aktuellsten Nachrichten und Hintergründe – lesen Sie hier weiter und erfahren Sie alles, was Sie wissen müssen! Auszug: Auf der Suche nach neuen kostenlosen Werbegeschenken für unsere Leser sind wir auf das Angebot von Flaconi gestoßen. Lesen Sie den ganzen Artikel
0 notes
antennaweb · 6 months ago
Text
Ilaria Tuti - Fiore di Roccia - di Serenella Mariani
Tumblr media
FIORE DI ROCCIA ILARIA TUTI “Fiore di roccia” di Ilaria Tuti dire che è un libro bellissimo è restrittivo, si è catturati dalla prima all’ultima pagina con il desiderio di non smettere di leggerlo. Con la sua scrittura evocativa, l’autrice ci porta nell’atmosfera della grande guerra e nello specifico nel ruolo avuto dalle portatrici. Nessuna parola è superflua e ogni citazione entra dritta nell'anima permettendo profonde riflessioni. Ma chi erano queste portatrici? Erano donne che durante la prima guerra mondiale trasportavano ai soldati viveri, munizioni e quanto altro con le gerle sulle spalle, attraverso sentieri impervi. Nello specifico in questo libro si narra la storia di Caterina, Viola, Lucia, Maria e in particolare di Agata, voce narrante. Agata è una donna forte che vive con il padre malato, che cerca di vivere alla giornata; ma la guerra la metterà alla prova facendole affrontare molte battaglie difficili, come anche alle altre protagoniste che hanno una loro vita: sono mammee dedite alla famiglia… attraverso loro viene fuori tutta la tenacia, la determinazione, la fragilità di queste donne che mai si arrendono, che cercano di fare la cosa giusta in ogni circostanza senza mai perdere di vista il valore primario della giustizia e della solidarietà. Con le loro gerle cariche di esplosivo, rifornimenti, flaconi di tintura di iodio, lettere, bende, le donne si incamminano per quelle vette che conoscono come le loro tasche, pronte a privarsi del cibo e di quanto altro pur di contribuire alla sopravvivenza dei soldati. E’ attraverso i loro occhi che riviviamo la guerra che ci sembra così lontana e che invece con questo libro la sentiamo sulla nostra pelle. tra queste donne e i soldati si crea un rapporto di rispetto e di fiducia. L’incontro di Agata con il diavolo bainco, cecchino delle file nemiche, biondo e chiaro di pelle, diverso, ma con lo stesso sguardo spaventato che accomuna tutti, fa capire che anche il nemico è un uomo con una sua vita di padre, di figlio, di marito. In questo libro si parla di sentimenti senza mai scendere nel sentimentalismo, anzi…. Ringrazio questa scrittrice per aver riportato alla luce la storia di queste donne di cui non ne conoscevo l'esistenza, non ne avevo sentito parlare neanche nei libri di storia; la ringrazio per averle fatte rivivere per aver dimostrato, ancora una volta, il valore delle donne anche nei momenti più difficili, celebrandone il coraggio, al resilienza, la capacità di abnegazione di umili contadine, ma forti. Ascolta la recensione play_arrow FIORE DI ROCIA SERENELLA MARIANI Read the full article
0 notes
lamilanomagazine · 7 months ago
Text
Napoli: farmaci dopanti, proiettili, fucile e contanti, curioso mix nel sequestro dei Carabinieri
Tumblr media
Napoli: farmaci dopanti, proiettili, fucile e contanti, curioso mix nel sequestro dei Carabinieri.  Armi e farmaci dopanti, due mondi lontani che a Chiaiano si sono riuniti sotto lo stesso tetto. I carabinieri del nucleo operativo del Vomero hanno perquisito un'abitazione cercando armi da fuoco e proiettili trovando molto di più. Nel box erano stipati un fucile con canna tagliata e matricola abrasa, 3 munizioni cal 12, 2 cal. 22,6 a salve, uno storditore elettrico, un pugnale e oltre 97mila euro in contanti. Del piccolo arsenale risponderà Raffaele Maietta, 29enne già noto alle forze dell'ordine. Suo padre, invece, dovrà rispondere di ricettazione e possesso di farmaci illegali in grado di alterare le prestazioni sportive. Nello stesso luogo i militari hanno trovato centinaia di flaconi di nandrolone, testosterone, ormoni della crescita. Tra i farmaci anche alcuni contenenti anastrozolo, utilizzato in medicina per il trattamento di alcune forme di cancro e diffuso illecitamente nel bodybuilding. Il 29enne è stato sottoposto ai domiciliari, in attesa di giudizio. Il padre denunciato.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
farmahope · 8 months ago
Text
Tumblr media
Carexidil 2% spray cutaneo, soluzione 2% spray cutaneo soluzione, 3 flaconi in hdpe da 60 ml con pompa dosatrice (50,27 €)
Carexidil è indicato per il trattamento di alcuni tipi di calvizie (alopecia androgenica), una condizione caratterizzata da una eccessiva perdita di capelli, dovuta all'azione di alcuni ormoni presenti nell'organismo (ormoni androgeni). nelle donne con un diradamento diffuso dei capelli che interessa la parte superiore della testa, a partire dal centro
0 notes