#finestra sul nulla
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Emil Cioran nasce a Rășinari (Transilvania) l’8 aprile del 1911.
“Finestra sul nulla” è una raccolta di frammenti lasciati allo stato grezzo con tante pagine “mal scritte” che lo scrittore Emil M. Cioran stese negli anni 1943-1955.
“Una volta espresso, il sublime perde tutto. Non ha stile. Trasferiti nella parola umana, gli ultimi paesaggi della natura o del cuore assomigliano a disastri di cattivo gusto, e a tremende insulsaggini. La perfezione bandisce qualsiasi brusio.”
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Ch-ch-changes
🌟 Novità
Oggi non abbiamo niente da annunciare.
🛠 Correzioni
La settimana scorsa, la pagina per gestire le opzioni di pagamento non ha funzionato per un breve lasso di tempo, ma ora funziona di nuovo.
Sul web, quando si usa la palette di colori classica a basso contrasto, ora la finestra dei messaggi diretti usa colori a basso contrasto.
🚧 In corso
Abbiamo passato l'ultimo periodo dell'anno facendo un sacco di pulizia del codice dietro le quinte, ma non necessariamente cambia qualcosa per te. Però ci renderà la vita molto più facile in futuro per apportare aggiornamenti più velocemente!
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I grandi della terra sanno benissimo come sia impossibile dirigere le masse senza il falso nutrimento delle fedi. La loro occupazione consiste nell'imbottirle di menzogne ricoperte con la vernice della verità.
Emil M. Cioran (Finestra sul nulla)
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All’infuori di Bach, qualsiasi impeto sonoro assomiglia a una strofetta farfugliata.
E. M. Cioran, [Fereastră spre nimic] Finestra sul nulla, Milano, Adelphi, 2022, ebook [Trad. C. Fantechi]
Immagine: J.S. Bach - Manoscritto dalla partitura della cantata BWV 12 "Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen". Online su YouTube.
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Senza casa ormai
nulla mi appartiene
e anche nei muri
si incollerà la pioggia umida
Letti,armadi,ante aperte
nulla mi appartiene
solo questa finestra che sul passato
prova a guardare il futuro
dove tutto è senza contorni
e c'è il freddo delle cose nuove
dove tutti sono come passeri
che beccano sulla mia aia
il sole che ho lasciato indietro.
Tatiana Andena 2010
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"La fine e l’inizio "
Wislawa Szymborska
Dopo ogni guerra
c’è chi deve ripulire.
In fondo un po’ d’ordine
da solo non si fa.
C’è chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.
C’è chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.
C’è chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c’è chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.
Non è fotogenico
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono già partite
per un’altra guerra.
Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.
C’è chi con la scopa in mano
ricorda ancora com’era.
C’è chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.
Ma presto
gli gireranno intorno altri
che ne saranno annoiati.
C’è chi talvolta
dissotterrerà da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.
Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.
Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con la spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.
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Non so altrove,
ma qui sulla Terra c’è abbondanza di tutto.
Qui si producono sedie e afflizioni,
forbicine, violini, tenerezza, transistor,
dighe, scherzi, tazzine.
Forse altrove di tutto ce n’è di più,
solo per certe ragioni là mancano dipinti,
cinescopi, ravioli, fazzolettini per il pianto.
Qui ci sono luoghi con dintorni in quantità.
Ad alcuni puoi essere molto attaccato,
chiamarli a tuo modo
e preservarli dal male.
Forse ci sono luoghi simili altrove,
ma nessuno li considera belli.
Forse come in nessun posto, o in pochi,
qui trovi un torso a sé stante,
e insieme a lui gli accessori che servono
per aggiungere bambini propri agli altri.
E poi le mani, le gambe e una testa stupita.
L’ignoranza qui ha molto lavoro,
conta, confronta, misura di continuo qualcosa,
ne trae conclusioni, ne estrae le radici.
So bene cosa pensi.
Qui non c’è nulla che dura,
perché da sempre e per sempre in balia degli elementi.
Bada però – gli elementi si stancano in fretta
e ogni tanto devono riposare a lungo
fino alla volta successiva.
E so cos’altro pensi.
Guerre, guerre, guerre.
Però anche fra loro capitano intervalli.
Attenti! – Gli uomini sono cattivi.
Riposo! – Gli uomini sono buoni.
Sull’attenti si producono luoghi deserti.
A riposo col sudore della fronte
si costruiscono case e ci si vive alla svelta.
La vita sulla Terra costa abbastanza poco.
Per i sogni ad esempio qui non paghi un soldo.
Per le illusioni – solo se perdute.
Per il possesso del corpo – solo con il corpo.
E come se ciò non bastasse,
si va senza biglietto sulla giostra dei pianeti,
girando a sbafo, nella tormenta di galassie,
in tempi così vertiginosi
che niente qui sulla Terra potrebbe fare un passo.
Su, su, osserva bene:
il tavolo sta dove stava,
sul tavolo il foglio, come è stato messo,
dalla finestra socchiusa solo una folata d’aria
e neanche una crepa paurosa sui muri,
per la quale ti si soffi via – da nessuna parte.
Wislawa Szymborska – “Qui”
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Se ieri uno si guardava i tg della rai, di mediaset e la7, sembrava che la Meloni era andata in visita in Francia, da Macron e che lui si era detto daccordo su ogni cosa che l'Italiana ha proposto nel corso dell'incontro. Insomma, lei dettava e lui scriveva mettendo alla fine un bel 10&lode sul foglio. Detta cosi', un capitano (lei) e un gregario (lui). Migranti, patto di stabilita', expo 2030 a Roma. Italia 3 - Francia 0. Lei che torna in patria con il canestello pieno di successi e il francese che sta alla finestra a mani vuote e saluta estasiato la Meloni fin quando lei non sparisce all'orizzonte. Poi, leggi bene tra le righe e ti accorgi che la Meloni non ha portato a casa nulla se non una accoglienza cortese e un rinnovato attestato di amicizia che lega Italia e Francia da decenni. Un po' ricorda il 2022, quando giornaloni, tv e potentati economici si sono ritrovati tutti a spingere Draghi. Addirittura Lui era il Divino predestinato a guidare l' Europa per decenni, Draghi piu' della Merkel. Poi non e' andata come scrivevano gli oracoli di potere e cosi eccoli tutti pronti ad osannare il nuovo brocco spacciandolo come l'erede di Varenne, donna Giorgia Meloni.. @ilpianistasultetto
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Ha fatto anche cose
L'assessor Pignazzoni C'era una volta, neanche troppo tempo fa, un paesino di nome Ferbello. Ferbello aveva pochi abitanti, poche case, strade polverose, una chiesa col campetto da calcio e un bar. La gente si lamentava perchè a Ferbello si faticava ad andare avanti, i soldi erano pochi e le prospettive per il futuro erano incerte. Così un giorno al signor Pignazzoni venne in mente di farsi eleggere in consiglio comunale per cambiare le cose come diceva lui. Alle elezioni nessuno se lo filò, così iniziò a dare la colpa a destra e a manca inventando scuse sul perchè non fosse stato eletto. Successe però che le difficoltà di Ferbello impedirono al consiglio comunale di poter mettere mano ai molteplici problemi del paese, così gli abitanti di Ferbello dovettero tornare ad elezioni. Pignazzoni divenne assessore. "C'E' DA ASFALTARE LA STRADA!" disse. A chi gli faceva notare che i soldi non c'erano, lui rispondeva che li avrebbe trovati lui, poi si annotava il nome e cognome di chi lo aveva contestato e qualche tempo dopo quello o quella si trovavano con le ruote bucate, o le finestre rotte o il magazzino dato alle fiamme. Per asfaltare la strada Pignazzoni portò degli africani con la promessa che sarebbero diventati cittadini di Ferbello e li avrebbe pagati, in realtà non videro un soldo e quando la strada fu finita gli amici di Pignazzoni li picchiarono. Ora Ferbello aveva una strada asfaltata, Pignazzoni pensò che poteva essere il momento giusto per un gemellaggio oltre confine, magari con un paesino con una squadra di calcio più forte della Ferbellese che faceva abbastanza pena. Pignazzoni curò personalmente il gemellaggio con una squadra d'oltralpe che era famosa per essere forte, ma ancora più famosa per la sua tifoseria violenta. Fece arrivare gli ultras per il gemellaggio i quali appena misero piede a Ferbello andarono a picchiare i tifosi della squadra ospite contro cui stava giocando la Ferbellese. Tutti gli abitanti di Ferbello che non erano d'accordo con questa situazione vennero intimiditi o fatti trasferire, alcuni addirittura uccisi. Pignazzoni guardava la strada asfaltata e lo stadio con gli ultras ed era contento, però sentiva che mancava qualcosa a Ferbello. "UNA STATUA!" così chiese ai Ferbellesi di dargli tutto il ferro possibile, non importava smontare sedie, auto, trattori, finestre e porte. La statua si doveva fare. Fu così che la fonderia fece un'enorme statua di Pignazzoni che lui stesso inaugurò davanti al campo da calcio, ai bordi della strada asfaltata con la placca "All'assessore Pignazzoni, eroe di Ferbello". Gli ultras e gli amici di Pignazzoni però non avevano capito la situazione e credendosi imbattibili e intoccabili avevnao iniziato a cagare il cazzo anche ad altre squadre e tifoserie che poco o nulla avevano a che fare con Ferbello. Così un bel giorno, guardando fuori dalla finestra, Pignazzoni vide una ventina di pulman di tifosi di altre squadre, incazzati che volevano fare il culo a lui, a quelli del gemellaggio e ai suoi amici. Pignazzoni che era un codardo, si travestì e provò a scappare. Purtroppo per lui che non solo i ferbellesi, ma una moltitudine di persone ormai lo riconosceva e detestava, e tutti gli fecero fare una brutta fine. Una volta uscito di scena, a Ferbello si decise di rimuovere la statua e di fonderla con tutta la targa. Passarono gli anni e la memoria di quello stronzo di Pignazzoni si fece sempre più vaga. Così oggi ogni tanto qualcuno che passa da Ferbello dice "Eh però, bella strada asfaltata. Chi l'ha fatta?" "Pignazzoni" si sentono rispondere. "Bravo no?" "Ma quale bravo e bravo, ma vaffanculo a Pignazzoni e aquesta strada di merda."
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Pedro Salinas
Il bacio che non ti ho dato
Ieri ti ho baciato sulle labbra.
Ti ho baciato sulle labbra.
Intense, rosse.
Un bacio così corto durato più di un lampo,
di un miracolo,
più ancora.
Il tempo
dopo averti baciato
non valeva più a nulla ormai,
a nulla era valso prima.
Nel bacio il suo inizio e la sua fine.
Oggi sto baciando un bacio;
sono solo con le mie labbra.
Le poso non sulla bocca,
no, non più - dov'è fuggita?
Le poso sul bacio che ieri ti ho dato,
sulle bocche unite dal bacio che hanno baciato.
E dura, questo bacio più del silenzio, della luce.
Perchè io non bacio ora
né una carne né una bocca,
che scappa, che mi sfugge.
No. Ti sto baciando più lontano.
Edvard Munch - Il bacio alla finestra
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Un uomo come tanti
Vecchio che soffre (sulla soglia dell'eternità)
⠀6:21
Il mattino scivolava placidamente sui tetti, illuminandoli a sfregio, intiepidendo le strade e destando le genti.
È qui, affacciandoci a una finestrella qualsiasi, che notiamo un signor nessuno, ma che può esser chiunque. Si sveglia di buon'ora, come solito suo, per farsi baciare dai primissimi raggi di sole. Sbuffa una nuvola di fumo macchiando l'aria e osserva la pipa che si rigira tra le tozze e fredde dita, da cui filtra la luce chiara dell'alba che, goffamente, gli finisce negli occhi, quei suoi occhietti incurvati e vitrei, intrisi d'una malsana umidità.
La finestrella da cui s'affaccia lo incornicia come un'opera d'arte, un uomo piccolo che gode della calma del mattino silenziosa e perfetta che lo fa sentire tranquillo. Sa di poter esistere industurbatamente, anche in quella sua miserabile autocommiserazione, dove spesso si crogiola. Non gli piace dover dare spiegazioni: è per questo che ha cominciato a disprezzare tutti, oltre che sé stesso. Salvo questo suo rancore appariva, dopotutto, un simpaticone, bello paffuto, con due baffoni ispidi che gli si posavano sul labbro; gli occhi piccoli che scomparivano nel suo viso davano un'immagine amichevole di lui, pareva un mansueto e rispettabile omuncolo, con niente di veramente particolare ma comunque indimenticabile.
Nell'insieme era, dunque, una buffa maniera della vita di rappresentare la malinconia, con quel baffo bianco e l'occhio piccino, con la pipa tenuta tra le grasse dita e l'aria sporca del suo sbuffare.
Posso ben vedere un riso comparire sul vostro volto, perché compatite quest'uomo ma lo trovate troppo adorabile per prendere sul serio il suo malumore. Così, di conseguenza, lui si atteggia da signorotto per bene, allegro, ma sempre si percepisce in lui una sorta di affanno per la vita frenetica di città (o, in generale, per la vita, ma il passo è breve).
⠀
Posa ancora per qualche minuto nel quadro della sua finestra e poi si prepara, quasi si affretta come fosse in ritardo: la vita lo aspetta!
Si mette il suo bel completo, parendo un'uomo di tutto rispetto, con la camicia un po' sgualcita di chi, sgraziatamente, s'è dimenticato di stirarla. Passa per poco nel bagno, il tempo di lavarsi i denti e sciacquarsi il viso; s'osservò con cura gli occhi stemperati, si disse di non valere nulla, poi volse lo sguardo altrove e finse di vivere ancora una vota.
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Il bisogno di menzogne elevate e immediate, emana da tutti gli strati dell'anima e della società. Queste menzogne hanno la loro polizia: non perdonano; e uno Stato: non risparmiano nessuno.
E.Cioran -finestra sul nulla.
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Le cicatrici dell'anima
Mi guardo allo specchio. L’immagine riflessa è quella di un uomo senza età ma stanco, con gli occhi spenti e la consapevolezza che nella vita si è legato a sogni o legami che ha perso. Allontanandosi da essi, venendo allontanato.
Le cicatrici, quelle visibili sulla pelle, non sono molte e neanche un granché. L'unica che chiunque possa notare è quella sotto l'occhio destro. Un monito, un promemoria di come sarebbe potuta andare peggio. Pensandoci non tutti la notano, solo chi ha avuto davvero attenzione per me.
Ma le cicatrici più profonde, quelle dell’anima, sono invisibili agli occhi degli altri. Anche queste notate da pochi, solo da coloro che hanno scrutato nella mia anima. E non parlo di quelli a pagamento.
Mi siedo sul bordo della vasca da bagno, accarezzo la pelle screpolata delle mani. Non mi sono mai voluto bene e questo lo si vede anche fisicamente. Un'esistenza priva di piaceri personali, come a punirmi e per non piacere agli altri. Un modo per sentirmi vivo solo in me stesso, con la fottuta paura dell'abbandono. Ma ora, avvolto nel silenzio degli anni passati, mi sento più solo che mai anche se in mezzo ad altri.
Ricordo l’infanzia, un tempo in cui il mondo era un luogo pieno di meraviglia e di possibilità. Di una madre che mi sorrideva a cui stavo sempre attaccato. Ma la vita, con la sua crudele ironia, mi ha costretto a non crescere in fretta. Per proteggermi da delle responsabilità che poi sono arrivate come uno tsunami.
Ho imparato a indossare una maschera, a nascondere le mie emozioni per paura di essere giudicato. Questa mattina proprio mia madre, in preda alla demenza senile mi ha maledetto. Sentendosi tradita, anche se non l'ho mai fatto e chi lo ha fatto davvero si è goduto i suoi anni migliori; lasciando a me una persona consumata dalla rabbia e dalla delusione.
Domani se ne sarà dimenticata e come sempre dirà che sono l'unica "cosa" che ha, non "figlio" ma una "cosa".
Mi sento come un re di un regno decadente, circondato dalle rovine del mio passato. I miei pensieri sono complessi, come tessere di un puzzle che vanno completati. La neurodivergenza mi porta ad avere un cervello senza interruttore, che macina chilometri su chilometri come una vecchia locomotiva nel Far West.
Ho sempre avuto l'ansia di deludere le persone che ho amato, di far loro del male. Eppure, nonostante i miei sforzi, ho commesso degli errori facendomi fraintendere e perdendo chi ho desiderato più della mia stessa vita.
“Cosa sono diventato?”, mi chiedo spesso. Una vittima? Un impostore? Un semplice spettatore della mia vita?
Chiudo spesso i miei occhi, anche ora, cercando di immaginare un futuro diverso, un luogo lontano da tutto questo dolore. Un luogo dove poter ricominciare da capo, dove poter essere me stesso senza paura. Ma una notifica mi riporta con i piedi per terra.
Ci sono momenti, però, in cui capisco che la serenità non è una meta da raggiungere, ma un percorso da intraprendere. Che devo imparare ad accettare me stesso, con i miei difetti e le mie fragilità. Dovo perdonare me stesso per i miei errori, prima che quelli degli altri, solo così posso ambire a un futuro migliore. Per quanto mi rimane.
Mi alzo dal bordo vasca e mi avvicino alla finestra. Osservo il cielo pieno di nuvole cariche di acqua, sento il rumore della pioggia che come sempre mi crea una sensazione di pace.
Forse è proprio da queste piccole cose che si inizia a guarire, ora mi metterò della crema sulle mani screpolate. Devo guarire dai dolori che mantengo perché mi legano ancora a qualcuno che non ho rinunciato ad amare. Un dolore che mi porto dentro.
Perché nulla dev'essere per sempre, neanche il dolore.
Immagine: “La Riproduzione Vietata” di René Magritte Nei miei auricolari: Johnny Cash - Hurt 🎶
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Senza casa ormai nulla mi appartiene e anche nei muri si incollerà la pioggia umida Letti,armadi,ante aperte nulla mi appartiene solo questa finestra che sul passato prova a guardare il futuro dove tutto è senza contorni e c'è il freddo delle cose nuove dove tutti sono come passeri che beccano sulla mia aia il sole che ho lasciato indietro. Tatiana Andena
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"Ferdydurke".
"Il fatto stesso che la ragazza avesse una camera tutta sua e dormisse in un angolo del soggiorno era già di per sè fonte di fascinose ed inebrianti suggestioni. Suggeriva la provvisorietà caratteristica del nostro secolo, il nomadismo delle liceali e un certo quel carpe diem che, per vie segrete, si collegava alla natura facile, modellata sull'automobile, della gioventù contemporanea. Faceva pensare a una ragazza che si addormenta all'istante, appena posata la testolina (occhietti non si poteva più dire, ma testolina ancora sì) sul guanciale, il che a sua volta faceva pensare all'intensità, al ritmo frenetico della sua vita odierna. (...) In realtà la liceale non dormiva in privato ma in pubblico, non possedeva una vita notturna privata, e questa dura assenza di privacy l'appartentava all'Europa, all'America, a Hitler, Mussolini, Stalin, ai campi di lavoro, agli accampamenti militari, agli alberghi, alla stazione ferroviaria, creava uno spazio sconfinato escludendo la possibilità di un angolino privato. Le lenzuola, nascoste nel divano letto, avevano un carattere accessorio, erano un'appendice del sonno e nulla più. Del tavolino da toilette non c'era traccia. La liceale si guardava in uno specchio a parete. Niente specchietto a mano. Accanto al divano letto un piccolo tavolino nero, da studentessa liceale, con libri e quaderni. Sui quaderni una limetta da unghie, sul davanzale della finestra un temperino, una stilografica a buon mercato, una mela, un programma di manifestazioni sportive, una foto di Fred Astaire e Ginger Rogers, un pacchetto di sigarette, uno spazzolino da denti, una scarpa da tennis con dentro un fiore, un garofano buttato lì a caso. Nient'altro. Che modestia, e che forza! Mi soffermai in silenzio sul garofano. Non potei impedirmi di ammirare la liceale. Che artista! Con quel fiore nella scarpa prendeva due piccioni con una fava: da un lato insaporiva l'amore con lo sport, dall'altro condiva lo sport con l'amore! Mica aveva buttato il fiore in una scarpa qualunque: aveva scelto apposta una scarpa da tennis intrisa di sudore, ben sapendo che solo il sudore sportivo non danneggia i fiori. Associando il sudore sportivo al fiore suscitava simpatia per il suo sudore in generale, gli aggiungeva un non so che di fiorito e di sportivo. Che maestra! Mentre le ragazze all'antica, ingenue, banalotte coltivavano azalee in vaso, lei i fiori li buttava nelle scarpe, nelle scarpe da tennis! E magari, brutta carogna, l'aveva anche fatto così, senza pensarci, per puro caso!"
"Ferdydurke", Witold Gombrowicz, 1937.
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Avevo, anni fa, un collega d’ufficio, architetto come me (o meglio io lo sarei diventato molti anni dopo) di cui avevo molto stima, tanto da pensare di poter essere suo amico (e così non è stato ma questa è tutta un’altra storia). Grande eloquio, buona cultura, gran conoscitore d’arte, collezionista, anche di opere di un certo valore. Grazie a lui ho conosciuto il mondo dei galleristi napoletani di livello: la galleria Lucio Amelio a Piazza dei Martiri, dove ho visto per la prima volta, da vicino, un Andy Warhol famosissimo - il Vesuvius - rimanendo già allora sbalordito per la sua quotazione; lo Studio Trisorio dove ho conosciuto Ferdinando Scianna, che, a causa della mia ignoranza e una parola sbagliata, mi fanculizzó cordialmente; e altre gallerie minori. Ho conosciuto pittori che dopo sono diventati quotatissimi, ho visto mostre, ho apprezzato la sua piccola ma ben fornita collezione (sapeva spendere con oculatezza e ogni tanto azzeccare il colpo gobbo che in seguito gli avrebbe fatto fruttare bei quattrini). Insomma ci sapeva fare: un pessimo lavoratore, si, della serie potrebbe fare di più ma non si applica, ma dell’arte faceva il suo punto di forza.
Oltre a collezionare, il collega dipingeva pure. Nel suo piccolo studio accumulava tele di “buona speranza” ma scarsa fortuna: non mi dispiacevano affatto anche se peccava di scarsa originalità. Come tutti i pittori, buon conoscitori d’arte, aveva avuto diversi “periodi” artistici, inseguendo ora questa ora quell’altra corrente artistica. I suoi inizi erano stato “elementari” e figurativi, ma il tocco era già buono e l’uso del colore sapiente. C’era un quadro, tra questi, che mi piaceva non poco: uno scorcio di quel che sembrava una stanza con finestra, alla luce del crepuscolo (??), un letto disfatto su cui era (é) distesa una donna nuda, rivolta di spalle, una gran massa di capelli, un sedere sodo ma un po’ sceso. Una cromia tra l’ocra e qualche punta di turchese. Mi colpiva ma non capivo il perché. Quando mi sposai e lo invitai al matrimonio, il collega artista mi chiese cosa volessi per regalo: voglio quel quadro - gli dissi senza indugio e lui me lo regalò.
Questo quadro campeggia da anni nella mia camera matrimoniale, di lato al letto, in posizione discreta. Quando mi giro verso la parete finestrata, me lo ritrovo di fronte, ed ogni volta me lo guardo con attenzione e mi piace come allora. Il perché l’ho capito anni dopo, dopo il divorzio, dopo la convivenza con la mia seconda compagna, il mio amore, dopo esserci lasciati ed essere ritornato nella mia casa e dopo aver provato a riprendere, infruttuosamente i rapporti con lei.
Era estate, un giorno caldo e afoso come questi, stanza in penombra, quel tanto da non essere accecati dalla luce e osservare bene. Eravamo a casa mia, sul mio letto, nudi dopo aver fatto l’amore (non all’amore). Lei adorava, dopo averlo fatto, mettersi di spalle ed io a cucchiaio, incollato a lei, con la testa immersa nella sua massa di capelli. Stavamo bene, non pensavamo a nulla. Era il momento del silenzio, delle coccole. Il ventilatore andava piano ed io mi beavo, come facevo spesso, a seguire il suo profilo con le dita, partendo dal lungo collo, una delle sue parti del corpo migliori, lungo la sagoma delle spalle, poi sul linea della schiena, fin giù alle natiche. Su e giù, solleticandola piano piano mentre lei si agitava lentamente, riprendendo le voglie sopite. Ecco che a un tratto alzo lo sguardo: il quadro è lì, di fronte a me e a lei, dove è sempre stato. Mi soffermo per un attimo sulla massa di capelli ritratta sulla tela, su quel culo sodo ma un po’ sceso, quelle gambe lunghe e sottili, pari pari alla donna che avevo accanto a me.
- M. ma sei tu, nella tela. Cazzarola, non ci avevo mai fatto caso. Sei proprio tu!
- Oddio, è vero, mi somiglia molto
- Si, sei proprio tu. Che assurda coincidenza!
Dopo 25 anni, venticinque santiddio, mi si rivelava ai miei occhi il perché di quel quadro e del perché probabilmente mi fosse sempre piaciuto.
Quel quadro è ancora qui, davanti a me, potrei fotografarvelo volendo: lo guardo sempre e mi piace come il primo giorno. Una delle poche cose che non mi provoca tristezza ma solo un leggero velo di malinconia. Non volendo, Lei, è sempre qui con me, in questa stanza, da trent’anni, o meglio per me un po' meno perché io sono andato via e poi tornato, sempre qui, nella medesima posizione, a vegliare quello che è stato il mio avamposto dei giorni felici. Lui, il quadro, e Lei sono qui accanto a me a vegliare silenziosamente sulle mie notti. E la cosa non mi dispiace affatto.
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