#film tratti dai libri di Stephen King
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thebutcher-5 · 8 days ago
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Firestarter - Tra letteratura e cinema
Benvenuti o bentornati nel nostro blog. Nello scorso articolo siamo tornati a parlare di film in live-action, rimanendo legati alle auto da corsa e al Giappone, recensendo delle opere più folli che abbia visto negli ultimi anni, Speed Racer. Speed è un pilota esordiente di auto da corsa, una passione che fa parte della famiglia, visto che i suoi genitori hanno un’officina indipendente e suo…
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awesomeredhds02 · 3 years ago
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gabriellecroix
Tremate tremate, perché #MistressOfHorror è tornata 💀 Ed e ritorna con un nuovo video tutto dedicato al maestro del terrore… Ovviamente #StephenKing 🔪 In questi giorni è arrivato il trailer di #Firestarter, nuova trasposizione dell’omonimo libri ad opera di #KeithThomas(regista da tenere sott’occhio) 🔥 E parlando di trasposizioni, il nuovo episodio parla proprio di questo: le migliori trasposizioni horror tratte dai romanzi di King 🎈 Il video lo trovate sul canale YouTube di @movieplayer_it 🎬 . . Quali sono i vostri film preferiti tratti dai romani di Stephen King? . . #horror #horrormovie #horrorlover #horrormovies #movielover#movieaddict #horroraddict #pennywise #redhead #gingerhair#igersitalia #igers
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geronimosinonimo2001 · 2 years ago
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Stephen King: come farsi pagare 1300 dollari per guardare 13 film tratti dai suoi libri
Stephen King: come farsi pagare 1300 dollari per guardare 13 film tratti dai suoi libri
Per il terzo anno consecutivo, Dish Network è alla ricerca di volontari per un nuovo sondaggio barra studio scientifico, dedicato questa volta agli adattamenti cinematografici di Stephen King, il Re del Terrore. E, a differenza della maggior parte degli annunci di lavoro in questi giorni, la paga è considerevole e fissata a 1300 dollari. L’annuncio recita: “Sei un cinefilo? Un fifone? Un…
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ilcovodelbikersgrunf · 3 years ago
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Su AppleTv+ è disponibile la miniserie horror tratta da un bestseller di Stephen King, che ne ha ancora curato l’adattamento televisivo
La storia di Lisey è una miniserie horror – otto episodi in tutto, i primi tre sono già disponibili su AppleTv+, gli altri usciranno i prossimi venerdì – tratta da un bestseller di Stephen King. La prolifica star della letteratura mondiale, autore di libri che hanno ispirato grandi film (Shining, Le ali della libertà, Il miglio verde), questa volta ha firmato anche l’adattamento televisivo e ha collaborato alla regia.
La ragione di questa “prima volta” è legata alla natura del libro, il più autobiografico della sua ricca produzione. “Ho pensato che se qualcuno dovesse rovinarlo, come ho detto a mia moglie, dovessi essere io”, ha ironicamente motivato la scelta lo scrittore.
King immagina il mondo dopo la sua morte. Infatti, il protagonista maschile è Scott Landon, uno scrittore di successo, assassinato durante una conferenza da uno squilibrato. La moglie Lisey vive nel ricordo del marito, ne difende la memoria dall’assillante pressing del direttore della biblioteca, che vorrebbe le opere inedite di Scott, e da un numero imprecisato di fans, ma è anche circondata dai ricordi, dalle foto, dagli oggetti appartenuti all’uomo della sua vita e ogni cosa la riporta indietro nel tempo, a rimuginare la vita trascorsa insieme a lui.
Ma è lo stesso Scott in realtà che spinge la moglie verso il passato. Le ha lasciato – come in una “caccia al tesoro” – messaggi ovunque. Rileggendo questi ricordi e seguendo queste tracce, però, Lisey comincia a comprendere meglio la natura complessa del marito, il suo rapporto con il sovrannaturale, l’origine arcana e complicata delle storie che Scott racconta nei suoi libri.
Lisey ha anche due sorelle, una delle quali, Amanda, ha gravi problemi mentali. Il rapporto di Scott con le sorelle di Lisey è stato molto più stretto e complesso di quello che lei stessa aveva immaginato quando il marito era in vita. Ma la scoperta di questa relazione sarà anche la traccia più importante per giungere alla verità.
Julianne Moore è la straordinaria interprete di Lisey. L’attrice, icona del cinema mondiale, un premio Oscar nel 2015 per Still Alice e cinque candidature, 3 Golden Globe, un premio Bafta, due Emmy, e tutti i principali premi europei (Festival di Cannes, Mostra del cinema di Venezia e Festival di Berlino), affianca come produttrice esecutiva lo stesso King e J.J. Abrams.
Clive Oven (Closer, The Last Knights, Hemingway & Gellhorn) è il miglior interprete possibile di Scott Landon. Joan Allen (The Bourne Supremacy, Hachiko, The Contender) veste i panni della sorella Amanda. Jennifer Jason Leigh (Era mio padre, The Affair – Una storia pericolosa, La donna alla finestra) è invece nel ruolo dell’altra sorella di Lisey, Darla. Jim, il giovane squilibrato che perseguita Lisey per sottrarle i manoscritti inediti, è interpretato invece da Dane DeHaan (The Amazing Spider-Man 1 e 2, ZeroZeroZero, The Stranger).
Infine, una nota per la regia del cileno Pablo Larraín (Neruda, Jackie, Homeland), cruda, asciutta, così innaturale per un film horror. A tratti il regista sembra quasi disinteressarsi della trama, si allontana dalla storia in sé e si sofferma sui dettagli, preferisce i particolari. Così La storia di Lisey si trasforma in uno straordinario racconto sull’amore.
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italianaradio · 5 years ago
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I migliori film horror del 2019
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/i-migliori-film-horror-del-2019/
I migliori film horror del 2019
I migliori film horror del 2019
I migliori film horror del 2019
Il 2019 è stato un anno particolarmente ricco per il cinema, con grandi blockbuster e importanti film d’autore che hanno calcato le sale cinematografiche di tutto il mondo. Inoltre, anche quest’anno il genere horror ha potuto fregiarsi di diversi film di successo, che hanno ribadito l’importanza di tale categoria nel panorama cinematografico.
Degli horror usciti quest’anno in sala, diversi sono quelli che hanno portato nuova vita al genere. Alcuni lo hanno utilizzato per raccontare la società contemporanea, altri per parlare di specifici aspetti della vita quotidiana, mentre altri ancora si sono rivelati delle buone trasposizioni da celebri romanzi dell’orrore.
Ecco i 10 migliori film horror del 2019.
Noi
Noi è il secondo lungometraggio diretto dal regista Jordan Peele, divenuto celebre con il film Scappa – Get Out. Questo suo nuovo horror ha per protagonista l’attrice premio Oscar Lupita Nyong’o, e vede una famiglia afroamericana, in vacanza a Santa Cruz, ritrovarsi attaccata dai propri doppelgänger. Nel susseguirsi di macabri eventi, la famiglia si ritroverà a confrontarsi con qualcosa che va ben oltre la loro immaginazione.
Il film si è rivelato un vero e proprio successo al box office, incassando globalmente 255 milioni di dollari a fronte di un budget di 20 milioni. Accolto positivamente dalla critica, il film è stato lodato per la sceneggiatura e la regia, nonché per la colonna sonora e l’interpretazione della Nyong’o.
Midsommar
Il 2019 vede tornare al cinema anche il regista Ari Aster, che con Midsommar – Il villaggio dei dannati realizza un’opera seconda particolarmente apprezzata. Interpretata dagli attori Florence Pugh, Jack Reynor e Will Poulter, il film vede un gruppo di ragazzi in viaggio verso la Svezia, dove si recheranno in vacanza in un villaggio sperduto. Gli abitanti del luogo sveleranno ben presto delle strane usanze esiste, uniche nel loro genere, e le cose inizieranno ad andare sempre per il peggio.
Il film è stato indicato come uno dei miglior horror dell’anno, lodato per la sua regia e le idee messe in scena da Aster. Lo stesso regista è stato indicato come uno dei nomi da tenere d’occhio per il futuro di tale genere.
Scary Stories to Tell in the Dark
Adattamento cinematografico dell’omonima serie di libri per ragazzi, Scary Stories to Tell in the Dark è uscito in sala in tempo per Halloween, spaventando i numerosi spettatori accorsi a vederlo. Diretto da André ∅vredal, il film ha per protagonisti un gruppo di ragazzi, i quali si imbatteranno in un antico libro di favole horror. Man mano che vanno avanti nella lettura, i ragazzi si renderanno conto che non si tratta solo di favole.
Il film è stato prodotto dal regista premio Oscar Guillermo del Toro, e ha unito un’estetica di film horror per ragazzi a toni particolarmente macabri, dando vita ad un prodotto adatto pensato tanto per i giovani quanto per gli adulti.
It – Capitolo Due
Dopo lo straordinario successo di pubblico ottenuto dal primo capitolo, uscito nel 2017, il regista Andy Muschietti ha portato nelle sale il sequel It – Capitolo Due. Il film è la seconda parte della trasposizione dedicata al più celebre romanzo dello scrittore Stephen King, un’opera monumentale che ha stregato e spaventato milioni di spettatori nel corso degli anni.
Protagonisti del film sono, tra gli altri, gli attori James McAvoy, Jessica Chastain, Bill Hader, Jay Ryan, Bill skarsgård, Jaeden Martell, Sophia Lillis e Finn Wolfhard. Il gruppo di ragazzi che credeva di aver sconfitto il terribile pagliaccio Pennywise è ora costretto a riunirsi a distanza di 27 anni, dopo aver saputo del ritorno della malvagia creatura. Ormai diventati adulti, i vecchi amici dovranno dar vita ad un antico rito per tentare di sconfiggere definitivamente il mostro che infesta la città di Derry.
Finché morte non ci separi
Diretto da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, il film Finché morte non ci separi è un film a metà tra la commedia nera e l’horror, con protagonisti gli attori Samara Weaving, Adam Brody e Mark O’Brien. Apprezzato da critica e pubblico, il lungometraggio si è rivelato una delle maggiori sorprese del genere.
Il film è la storia di Grace, giovane sposa unitasi in matrimonio con Alex, erede di una ricca dinastia fondatrice dell’impero dei giochi da tavola. Durante la sua prima notte di nozze, la ragazza viene invitata a partecipare a una tradizione familiare: il nuovo arrivato deve prendere parte a un gioco contro il resto della casata. Ben presto, tuttavia, il rito si rivelerà essere una terrificante caccia all’uomo.
Polaroid
Basato su di un omonimo cortometraggio, Polaroid è uno dei più interessanti film horror del 2019. Diretto da Lars Klevberg, il film ha per protagonista la giovane Bird, che riceve in dono una vecchia polaroid comprata ad un mercatino. L’oggetto tuttavia non è ciò che sembra, e nasconde una terribile maledizione, che perseguiterà la ragazza e chiunque venga fotografato.
Il film è una nuova riflessione del genere su oggetti ormai in disuso, che acquistano valore metaforico all’interno del nuovo panorama mediale. La tecnostalgia messa in gioco dal film sarà motivo di riflessione, in chiave horror, su quello che è un oggetto vintage dall’indiscutibile fascino.
Countdown
Un altro affascinante film horror uscito nelle sale nel 2019 è Countdown, diretto da Justin Dec con gli attori Elizabeth Lail, Peter Facinelli e Talitha Bateman. Nel film, tutto ruota intorno ad una misteriosa app che, scaricata sul proprio cellulare, è in grado di indicare, attraverso un minaccioso countdown, quanto tempo manca alla propria morte.
L’horror si pone così nuovamente a servizio della tecnologia oggi alla portata di tutti. Attraverso un app in grado di indicare il tempo rimanente prima di morire, il film attua una riflessione sui moderni media che circondano la vita di ognuno di noi, ripensandoli attraverso una metaforica chiave macabra.
Doctor Sleep
Tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, Doctor Sleep è il sequel del celebre Shining. Diretto da Mike Flanagan con l’attore Ewan McGregor, la storia si concentra su di un ormai adulto Dan Torrance che, traumatizzato dai celebri eventi svoltisi anni prima all’interno dell’Overlook Hotel, si ritrova a combattere con l’alcolismo e i suoi poteri psichici.
Il film è stato accolto positivamente dal pubblico e dalla critica, che ne hanno apprezzato la trasposizione fedele e l’interpretazione del protagonista. Lo stesso King lo ha definito uno dei migliori adattamenti tratti dai suoi romanzi.
L’angelo del male – Brightburn
Prodotto da James Gunn, L’angelo del male – Brightburn è un film horror diretto da David Yarovesky con protagonista l’attrice Elizabeth Banks. Il film offre un’interessante rovesciamento di prospettiva rispetto al mito di Superman, provando a immaginare cosa accadrebbe se un bambino caduto dallo spazio, e adottato da una coppia, rivelasse incredibili poteri e una super malvagità.
Basato su quest’affascinante idea, il film ha ottenuto un buon riscontro di pubblico, che ne ha apprezzato tanto la messa in scena quanto la violenza. La componente horror in chiave supereroistica ha inoltre contribuito ad aumentare la popolarità del film.
Il Signor Diavolo
Il Signor Diavolo è il ritorno al genere horror per il regista Pupi Avati, che porta al cinema una nuova storia intrisa di atmosfere gotiche e possessioni demoniache. Tratto dall’omonimo romanzo scritto dallo stesso Avati, il quale desiderava raccontare una storia lugubre, di quelle che si raccontavano un tempo nelle case di campagna intorno al fuoco.
Ambientato nel 1952, il film segue le vicende circa il processo sull’omicidio di un adolescente, considerato indemoniato. Inviato un ispettore del Ministero a verificare quanto accaduto, questi si troverà di fronte ad una serie di eventi sconvolgenti, su cui si agita la credenza popolare circa la presenza del demonio.
Fonte: IMDb
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
I migliori film horror del 2019
Il 2019 è stato un anno particolarmente ricco per il cinema, con grandi blockbuster e importanti film d’autore che hanno calcato le sale cinematografiche di tutto il mondo. Inoltre, anche quest’anno il genere horror ha potuto fregiarsi di diversi film di successo, che hanno ribadito l’importanza di tale categoria nel panorama cinematografico. Degli horror usciti […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Gianmaria Cataldo
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pangeanews · 6 years ago
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“Un fiore è molto più difficile da capire dell’Amleto”: Gianluca Barbera dialoga con Enrico Macioci, lo Stephen King italiano
Enrico Macioci è un narratore puro. Non solo: i suoi personaggi sono talmente reali da poterli toccare. E le storie ben strutturate. I dialoghi brillanti. Non si ammanta di proclami e non vanta legami di sangue con autori blasonati. Nessuna spocchia. Una modestia consapevole. Una capacità di ragionare poggiata su una rara onestà. Il suo modello è sempre stato King e per certi versi gli somiglia. Basta leggere poche pagine del suo ultimo romanzo, Lettere d’amore allo yeti (2017), per rendersene conto. Ma nessuno spirito imitativo. La voce è sua e di nessun altro. Si tratta piuttosto di affinità elettive con il re dell’horror. Una ricchezza, dunque, nel nostro asfittico panorama nazionale. A me pare che L’ultimo piolo (contenuto nella raccolta A volte ritornano) sia il racconto di King che più ricorda la scrittura e le atmosfere di Macioci. Tra l’altro, uno tra i più belli dell’autore americano. Ma anche It, romanzo infinito. Eppure gli autori che lo hanno formato sono stati altri, come scoprirete. Non aggiungo altro. Il resto lo ascolterete dalla sua viva voce. O dai suoi libri. Meglio se da entrambi.
Enrico, parliamo di te e di King. Conoscendoti, mi sembra il punto più naturale da dove cominciare. Quando è nato il vostro amore e quanto è stato totalizzante? È stato lui a farti diventare scrittore?
Lessi King la prima volta nel marzo del 1991, a sedici anni, in maniera del tutto casuale. Mia madre era socia di Euroclub, quel mese non ordinò libri ed Euroclub le spedì Misery. Un pomeriggio di pioggia, incuriosito dalla copertina truce, lo presi in mano, mi stesi sul letto e lo aprii; quando lo richiusi era ora di cena. Fu un colpo di fulmine, una delle singolarità che ti cambiano letteralmente la vita. L’impatto si ripercosse nelle viscere più che nel cervello, fu più emotivo che razionale – siamo noi, dopo, a razionalizzare la magia dell’innamoramento, a cercare di spiegarcene i motivi. Tuttavia non devo a Stephen King la mia vena, che si manifestò da bambino tramite una manciata di poesie e, in seguito, una marea di racconti. I libri che alimentarono la fiamma narrativa furono quelli di Verne, Stevenson, Salgari, Burnett, Dumas, Poe. E poi non facevo che rileggere quell’insondabile capolavoro di Pinocchio, e più lo rileggevo più mi piaceva, e più mi piaceva più ero felice che un semplice blocco di carta riuscisse ad agire su di me con tale forza.
Anche se non è stato King a farti innamorare della scrittura, a lui devi molto. Ho già accennato a quanto abbia influito sulla tua scrittura, ma vorrei che fossi tu a parlarmene.
Dai 14 ai 27 anni smisi sia di leggere sia di scrivere, a causa di un rifiuto violento e profondo, che covavo già da tempo. Ho detto che scoprii King a 16 anni. Dunque per oltre dieci anni, dai 16 ai 27, se si eccettuano le antologie scolastiche, qualche romanzo assegnato coi compiti estivi e poi i manuali di giurisprudenza, ho letto solo King. È un fatto abbastanza sconcertante e quasi gigantesco, per uno che poi è divenuto scrittore. Credo d’essermi azzoppato da solo, ma naturalmente non saprò mai chi sarei adesso se durante quel lungo periodo – il periodo della formazione – avessi continuato a leggere e a scrivere. Ciò che so è che King ha forgiato il mio immaginario (il quale già di suo tendeva verso il mistero e il soprannaturale) e che mi ha suggerito un certo modo di costruire le scene, svolgere i dialoghi, tenere il ritmo. Penso soprattutto al ritmo, alla maniera di inserire un pensiero in una scena o una scena in un pensiero. King però, al netto delle differenze di talento, è in sostanza un narratore puro. Lui lascia parlare i personaggi e le azioni, lascia scorrere la storia come la pellicola di un film. Io sono un poeta fallito che prova a raccontare.
E tra gli autori italiani viventi?
Nessun autore italiano vivente mi ha influenzato (e nessuno morto, aggiungo). Ci sono però due figure che costituiscono per me dei punti di riferimento, non tanto per il modo di scrivere bensì per la visione del mondo e dell’uomo che manifestano nella loro opera. Sono Antonio Moresco e il poeta e filosofo Marco Guzzi. Poi ci sono parecchi colleghi, più anziani o coetanei, che stimo. Fra quelli più anziani di me cito Giulio Mozzi, un maestro della forma breve. Fra i coetanei dovrei citarne vari, ma mi astengo per paura di dimenticarne qualcuno.
Che tipo di scrittore sei diventato e cosa diventerai?
Sono diventato un narratore, io che ero partito come poeta. In realtà cominciai a scrivere i primi racconti circa un anno dopo le prime poesie, ma nella mia prosa la poesia finisce sempre per infilarsi. È come l’aria, da qualche pertugio filtra. E col termine poesia non mi riferisco a un elemento positivo, anzi. I residui poetici spesso m’impediscono di attingere all’immediatezza che voglio raggiungere narrando, opacizzano le mie storie, le velano di superfluo. Mi sento una specie di anfibio, letterariamente parlando, e la faccenda mi innervosisce. È difficile del resto sbarazzarti di una cosa incistata così a fondo, e forse nemmeno conviene. Se non puoi operare, ti adatti a sopravvivere. Ciascuno di noi deve sostenere la propria lotta dinanzi alla pagina; e ciascuno di noi, anche il più abile e tenace, soccomberà. Non scrivo poesie da molti anni, eppure la poesia viene a galla nella mia prosa, tipo le bollicine dentro un bicchiere di Coca Cola. Allora ciò che faccio è cercare di trasformare questa escrescenza, questa invadenza, in ricchezza; ma non sempre ci riesco.
Quanto conta l’incipit in un libro e quanto il finale? Quanto la lingua e quanto la storia?
L’incipit è decisivo. Se funziona bene equivale a un incantesimo. Un lettore rapito da un bell’incipit difficilmente abbandonerà il libro, anche se dovesse in seguito deluderlo. Penso a L’informazione, di Martin Amis. Un romanzo di livello, certo, ma per lunghi tratti noioso; tuttavia non ho mai pensato di mollarlo a causa del suo incipit strabiliante – una pagina e mezza che sfiora l’eternità. Il finale invece conta meno. Se il libro è buono, solo un finale davvero catastrofico può rovinarlo. Per quanto mi riguarda, non ricordo molti finali degni di lode. Fa eccezione l’ultima magnifica frase de Il grande Gatsby. Chiude non solo il romanzo ma un intero mondo. È come una grata che scende sulla luce verde del faro di East Egg. Possiamo ancora vederla pulsare, di là dalle sbarre, ma non possiamo più raggiungerla. Sul vecchio problema della lingua e della storia… Io penso che la storia venga prima, e che la lingua debba adattarsi alla storia, la quale all’inizio può essere anche solo un’immagine, una suggestione, un dubbio, un’ombra. Dei libri basati sulla lingua – se è lecito distinguere in maniera così netta, e sappiamo che non lo è ma qui ci tocca abbreviare – me ne faccio poco. Un tempo mi affascinavano, adesso mi sembrano una posa; nel migliore dei casi geniale, ma pur sempre una posa. D’altronde se una storia funziona non può, sottolineo, non può essere scritta male; sarà invece scritta nell’unica maniera giusta.
Se non sbaglio hai cominciato da un libro verità sul terremoto dell’Aquila (Terremoto, 2010). Puoi parlarcene?
Si tratta di una raccolta di dieci racconti. Li scrissi di getto nel giugno del 2009, due mesi dopo il sisma che ha raso al suolo la mia città. Ricordo che man mano che scrivevo mi sentivo meglio. Venivo da otto settimane di rimbambimento. Non facevo che guardare e riguardare alla tv ciò che era accaduto, tentando di incamerare il concetto che sì, era accaduto proprio a me, e che sì, quella era proprio la mia città. Scrivere Terremoto fu terapeutico, e al tempo stesso mi causò parecchi sensi di colpa. Ma gli scrittori bene o male convivono col senso di colpa, giusto? In fondo sanno di essere delle sanguisughe. Passano buona parte della loro vita a succhiare la realtà e a risputarla sulla pagina.
Poi La dissoluzione familiare (2012), opera monstre, e un romanzo di formazione molto bello (Breve storia del talento, 2015) con al centro il gioco del calcio. Quanto conta il calcio nella tua vita?
Giocavo bene, ma ho iniziato a capirlo tardi. Fu il padre di una mia amica, ex calciatore di serie C, a intuire che c’era del buono nei miei piedi. M’incoraggiò e vidi che la palla non cadeva, che andava pressappoco dove volevo io, che mi ascoltava. Suppongo tuttavia che il mio talento non fosse così spiccato. Anzi, ne sono certo. Gioco ancora, non ho mai smesso. Mi rilassa. Mi libera da me stesso. E mi diverte. Non esiste un goal uguale a un altro, né mai esisterà. Il calcio è incredibilmente semplice e incredibilmente creativo, proprio come i romanzieri che amo di più.
E poi è venuto Lettere d’amore allo yeti. Libro bello e inquietante, che s’inabissa nel soprannaturale e i cui modelli, oltre a King, sembrano essere Pinocchio e L’isola del tesoro. Puoi parlarcene, cominciando da come è nata l’idea?
L’idea nacque osservando mio figlio, che allora aveva tre anni e mezzo, parlare con uno sconosciuto dalla statura imponente. Li separava una rete alta un metro e mezzo, mio figlio teneva le minuscole dita agganciate alla rete e il minuscolo naso premuto contro la rete e trillava minuscole confidenze allo sconosciuto, e io realizzai in un attimo l’eterea fragilità della vita. Il resto venne di conseguenza, ma il romanzo è nato lì.
Progetti futuri? Stai scrivendo qualcosa?
Sto lavorando a parecchie cose diverse. Ho dedicato tutto il 2017 alla stesura di un romanzo piuttosto lungo e complesso, che ora si trova in stand by. Quest’anno ho ripreso in mano un tomone che scrissi addirittura nel 2011/2012. Non che non fosse finito, ma sentivo di doverci lavorare ancora, e ho tenuto in serbo la faccenda in un angolo della memoria. Leggere Lonesome Dove di Larry McMurtry, l’autunno scorso, oltre che emozionarmi ed entusiasmarmi, mi ha fatto comprendere in che modo ripigliare il vecchio mostro. Il guaio è che il mostro non accenna a dichiararsi vinto, né a smettere di crescere. Allora, per concedermi una tregua, da un po’ l’ho lasciato di nuovo a maturare, e ho ripescato un racconto lungo (o romanzo breve) buttato giù fra il marzo e l’agosto del 2016 (scrivo davvero troppo). Credo e spero di aggiustarlo definitivamente entro l’estate. Si tratta di una storia secca e feroce, molto meno impegnativa a livello di mole e di gestione rispetto alle due di cui sopra. Adesso sembra che mi piaccia, ma so che arriverà un momento in cui non mi piacerà più. Succede sempre così, ma sospetto di essere in ottima compagnia. Infine mi solletica l’idea di un saggio che unisca i miei due autori prediletti – uno poeta, uno romanziere. In questa intervista vengono citati entrambi, ma poiché non sono nemmeno sicuro che l’idea si traduca prima o dopo in azione, preferisco mantenere il riserbo e non aggiungere altro.
Domanda classica: preferisci leggere o scrivere?
Quando leggi e scrivi per anni e anni con una certa costanza, l’una cosa si nutre dell’altra. Per me leggere significa fare benzina, e scrivere consumarla. Mentre però posso trascorrere dei periodi – non troppo lunghi – senza scrivere, non posso mai rimanere senza leggere. Non basta; oltre al libro o ai libri che sto leggendo, devo avere una discreta scorta pronta all’uso. Inoltre, scrivere è sempre faticoso, mentre leggere lo è assai meno.
Oltre alla lettura e alla scrittura, quali altre passioni hai?
Il calcio e lo sport in genere; e la montagna. Invece mi accorgo di trascurare l’amicizia, che in altri periodi è stata pressoché tutto, per me. L’amicizia è la più pura, la più immacolata, la più limpida delle passioni.
E la famiglia?
Ho una moglie e due figli che amo. Nietzsche diceva: aut liberi aut libri, ma io non sono Nietzsche… E poi è falso, almeno per quanto mi riguarda, che la famiglia ti ostacola nella scrittura. Riducendo il tempo che hai a disposizione ti costringe a sfruttarlo meglio, a concentrarti di più. Inoltre ti spalanca una gamma di emozioni e sentimenti nuovi, problematici da immaginare in astratto. E infine, il mio primo figlio è nato nel settembre 2009, e ho pubblicato il mio primo libro nel marzo del 2010.
Come ti guadagni da vivere, posto che difficilmente ci si mantiene scrivendo romanzi?
Ho la fortuna di essere il figlio unico di una famiglia abbastanza benestante, e di avere una moglie con un impiego fisso. Ho fatto parecchie supplenze di italiano e storia negli istituti tecnici, ma non potendo contare su un gran punteggio debbo spostarmi di continuo al nord da Salerno (dove vivo), per cui da un po’ di tempo dirado le trasferte. Arrotondo grazie a corsi, articoli, piccole iniziative culturali, ripetizioni. Coltivo un paio di progetti, ma per scaramanzia preferisco non parlarne.
Che tipo di persona sei? Pirata, onesto, irriverente, rispettoso, serio, scanzonato, pragmatico, con la testa tra le nuvole, idealista, disilluso?
Direi con la testa fra le nuvole, onesto, idealista. E individualista.
E Dio? Che rapporto hai col trascendente?
Dio è una ricerca continua. Non posso definirlo, non posso nemmeno afferrarne un concetto, perché Dio non consiste in una risposta bensì in una domanda. L’uomo è quello strano animale che irrompe nel creato e domanda: perché? Il fatto che possediamo la coscienza – uno spaventoso buco senza fondo dentro un miserabile, mortale, patetico corpicino – rappresenta uno scandalo così sbalorditivo… Credo di credere, con molta approssimazione, che Dio abbia a che fare con la coscienza, che Dio potrebbe essere la coscienza della coscienza, una sorta di ur-coscienza, e cioè un sapere che fuoriesce dal cortocircuito del Logos, che non s’impiglia nella rete della Caduta.
E con la letteratura? Capisci meglio il mondo o la letteratura? O sono un unicum?
Capisco molto meglio la letteratura, benché non sia certo un Auerbach. Il mondo è infinitamente più arduo da capire. È impossibile capire il mondo. Se uno pensa sul serio al mondo, o peggio ancora all’universo, o agli universi, diventa pazzo. Se uno si mette a fissare con intensità e concentrazione un cielo stellato per venti minuti di fila… be’, eccolo bello e pronto per la camicia di forza. Un fiore è molto più difficile da capire dell’Amleto. L’Amleto si riallaccia a ciò che dicevo prima. L’uomo è quell’essere cui non basta esserci, e allora s’imbarca nelle imprese più strane pur di comprendere perché c’è. L’Amleto può prestarsi a mille diverse interpretazioni, una rosa non accetta nessuna interpretazione. Una rosa è, punto e basta.
Che cosa è per te letteratura e cosa non lo è?
Dopo Rimbaud, e dopo il suo silenzio, mi verrebbe da dire che niente sia più letteratura… Ma se vogliamo provare a rispondere, e soprattutto se non vogliamo cominciare uno sproloquio che durerebbe perlomeno un centinaio di pagine, potremmo affermare che la letteratura è una materia variegata frutto di un’attività intellettiva, e che sostanzialmente è buona o cattiva (Wilde docet). Esiste un sacco di cattiva letteratura, parecchia letteratura buona, poca grande letteratura e ancor meno grandissima letteratura. Ma questa piramide di meriti e demeriti si ripropone in qualunque altro ambito, dalla musica all’arte culinaria allo sport.
I tuoi cinque libri capitali e i tuoi cinque film…
Difficilissimo, anzi impossibile! Ti dico cinque libri, ma domani uno di loro potrebbe essere sostituito da un altro, o due di loro, o perfino tre… Adesso, i primi cinque che mi vengono in mente sono It, Una stagione all’inferno, I demoni, Moby Dick e Lonesome Dove (ex aequo con La Storia). I film invece: Il mio nome è nessuno, Le ali della libertà, Mystic River, Will Hunting, genio ribelle e Un tranquillo week end di paura. Ho gusti cinematografici piuttosto dozzinali. Ci sono un sacco di film leggeri che rivedo all’infinito. Harry ti presento Sally lo so a memoria. E adoro Predator e tutto il filone fanta/horror. Un film troppo impegnativo tendo a scansarlo, perché nel cinema cerco altro. Mentre guardo un film non voglio pensare troppo, infatti i film di Kubrick, Bergman o Lynch, tanto per capirci, mi fanno addormentare dopo circa trentasei secondi.
Il mio nome è nessuno. Anch’io sono un appassionato di quel film. Un bilancio sulla tua attività di scrittore? Cose da salvare e cose da cancellare…
Salvo solo la mia unica raccolta di poesie, L’abete nel cerchio, uscita con Saya editore nell’ottobre scorso. Vi ho radunato settanta delle centinaia e centinaia di liriche che scrissi oramai tanto tempo fa. Lì dentro c’è molto di me, ma increspato dagli anni come un vento lieve increspa la superficie dell’acqua. Il resto evito di rileggerlo, pur continuando a ringraziare tutti coloro che hanno creduto in me e che mi hanno permesso di pubblicare.
Sei uno scrittore sicuro dei propri mezzi o è il contrario?
Sono abbastanza sicuro dei miei mezzi da osare quest’avventura oscena che è scrivere libri e pretendere di pubblicarli; e sono abbastanza consapevole dei miei limiti da desiderare di sprofondare all’inferno.
Quando scrivi un romanzo che cosa ti prefiggi? Quali risultati, quali obiettivi, rispetto all’arte e al pubblico? Che cosa significa per te scrivere un romanzo?
Su dieci buone idee che mi vengono, di media solo una si tramuta in romanzo. Per cominciare a sobbarcarmi l’immensa fatica di scrivere un romanzo mi occorre uno slancio di fede. È come gettarsi in mare senza vedere l’altra sponda; occorre sperare che ci sia, e che si sia in grado di raggiungerla; e occorre accettare il rischio di andare giù… Rispetto al pubblico non mi prefiggo risultati, anche perché lo ritengo inutile. Ho sempre pensato di scrivere roba parecchio accessibile e parecchio godibile, invece finora sono rimasto un autore di nicchia. Ma sarebbe bellissimo che mi leggessero tante persone! Sarebbe incredibilmente gratificante, immagino; ed è forse la cosa che desidero di più, scrivendo. Rispetto all’arte mi prefiggo quel genere di obiettivi folli – realizzare un Grande Romanzo!, affermare Verità Nuove! – che si rivelano utili per mettersi all’opera. Il fatto che tali obiettivi vengano sistematicamente disattesi fa parte del gioco (crudele): così la prossima volta avrai un motivo per tentare e fallire di nuovo, no?
La cosa che ti ha fatto più soffrire nella vita e quella che ti ha dato maggiore gioia?
Quando morì mio nonno materno – avevo 12 anni – provai un dolore immenso, perché gli volevo bene e perché scoprii che la morte esiste davvero, che arriva, ti ghermisce e ti porta via. Non credevo potesse accadere, e forse una parte di me continua a non crederci. La gioia più grande non la colloco in un momento ma in una fascia, ancorché distinta: le estati fino ai dieci, undici anni. Non ho mai più provato, dopo di allora, quel senso di libertà, spensieratezza, precisione, acutezza, agilità, freschezza, spontaneità, gratuità, gratitudine e immortalità.
La montagna per te è importante mentre non ami il mare. Perché? Ti è piaciuto Otto montagne di Cognetti?
Amo la montagna – e meno il mare – perché sono nato e cresciuto in una città di montagna, L’Aquila, e perché i miei genitori mi portavano sempre in vacanza alle Dolomiti. La montagna è anzitutto uno stato mentale: salire verso una cima equivale a meditare col corpo (in realtà ogni forma di meditazione avviene tramite il corpo, ma salendo in cima una montagna lo si avverte con la rotonda esattezza di un ingranaggio). Man mano che procedi, che fatichi, che ti innalzi, la tua mente si purifica e raggiunge l’essenziale. Niente cazzate lassù: la montagna è l’osso della vita. Le otto montagne mi è piaciuto. Credo abbia influito il mio interesse verso un certo tipo di ambientazione, ma secondo me Cognetti ha fatto un bel lavoro di misura, che poi è il suo pezzo forte: ha detto tutto senza dire mai troppo.
Un’ultima domanda canonica. Come vorresti essere ricordato, come uomo e come scrittore?
Non so se voglio essere ricordato come scrittore, perché quando vieni ricordato vieni fatalmente incasellato, e io odio essere incasellato. Mi piacerebbe però che i miei libri resistessero al passare del tempo. È probabile che non accadrà, ma io ce la metto tutta. Come uomo, mi piacerebbe che di me si parlasse poco, e solo da parte dei pochi che davvero mi hanno conosciuto, mi conoscono e mi conosceranno.
Abbiamo finito. È stato un piacere parlare con Macioci. Uno scrittore con il senso della misura e una consapevolezza di pregi e limiti quasi unica nel mondo editoriale. Senza fronzoli e con le idee chiare e una scrittura cristallina, dotata di ritmo. Ma anche accessoriata sul piano psicologico. Un erede di King? Ai lettori la sentenza. Dopotutto perché non cullarci ogni tanto nell’idea che la letteratura non abbia confini? Alcuni tra i migliori western non sono stati forse realizzati da registi italiani? Sono gli stessi americani a riconoscerlo. E di certo Macioci tra gli autori italiani è quello che più si avvicina al grande scrittore del Maine. King sarebbe d’accordo con me, ne sono certo. Vero, Stephen?
Gianluca Barbera
L'articolo “Un fiore è molto più difficile da capire dell’Amleto”: Gianluca Barbera dialoga con Enrico Macioci, lo Stephen King italiano proviene da Pangea.
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luigiformola · 7 years ago
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Oggi è Creepshow. Ultimo pomeriggio con mio nipote prima della sua partenza. Avrei dovuto scrivere e rispettare il ritmo auto imposto seguendo gli insegnamenti di zio King (1500 parole al giorno), ma chissenefrega! Creepshow ha la meglio, e si torna a parlare di #StephenKing, dei racconti della cripta e Zio Tibia. "Ma quanto sarà ricco King?" chiede mio nipote. "Sarà milionario." dico io. "Ma Martin è più ricco! Ha scritto Il trono di spade, il fenomeno degli ultimi anni." "No, King è più ricco." E la disputa ha inizio. Io ho la meglio, King con tutta la sua produzione ha più soldi. "È milionario scrivendo storie." esclama quasi incredulo. 'Eh già... il potere della narrazione." dico io. "E non dimenticare tutti i film tratti dai suoi libri." Guardiamo gli episodi sul divano con solo il ronzio del condizionatore a distrarci. Arriviamo alla conclusione che per entrambi il miglior è "Alta marea". "Zì, oggi è tutto esagerato nell'horror. L'onda che sommerge la testa di Harry, oggi l'avrebbero fatta saltare in aria o tagliata via. Oppure avrebbero messo una scena Jump scare." Poi immancabile parte l'omaggio a Romero nell'episodio "La morte solitaria di Jordy Verrill" dove il protagonista è proprio Stephen King. "Quant'è brutto." esclama mio nipote. "Ma è conciato così per interpretare il personaggio." "No, no, Zì. Ho visto una foto degli anni '80 e aveva proprio questo taglio di capelli di merda." Poi parte la domandona: "Qual è il primo film che hai visto al cinema?" Lo ricordo perfettamente. "Ace Ventura, l'acchiappanimali," (accompagnato da mio fratello maggiore) rispondo. "Io mi ricordo, l'era glaciale 3." Due generazioni a confronto. Mi sale la curiosità, ricordate qual è stato il primo film che avete visto al cinema?
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viaggiatricepigra · 8 years ago
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Sabato Horror: Stephen King
Photo of Dick Dickinson
  Per questo Sabato Horror, rimescoliamo le carte!
Visto il BlogTour dedicato al libro "Cose Preziose", scritto dal Re (a cui vi consiglio di partecipare!), ho deciso di dedicare questo sabato a lui e alle trasposizioni cinematografiche delle sue opere.
E speravo di poterne parlare con voi:
Quante ne avete viste?
Cosa preferite?
Secondo voi sono fedeli o meno ai libri?
Meglio i primi film o i remake?
  Fatevi coraggio e non siate timidi!
Ne ho messi solo alcuni, cercando di rispettare le date di uscita....Aspetto di sentire la vostra
       Carrie White (S. Spacek) è una ragazza all'ultimo anno di liceo molto diversa dalle sue coetanee: è timida, riservata ed asociale. Se la ragazza è cresciuta in questo modo è a causa della madre Margaret (P. Laurie) che l'ha tenuta praticamente segregata in casa e sotto le sue rigide norme. Margaret è una fondamentalista cristiana ed ha fatto della religione l'unica ragione di vita. Carrie, una mattina nei bagni della scuola, ha le prime mestruazioni, e non sapendo di cosa si tratti, viene presa dal panico: le compagne, invece di aiutarla, la prendono in giro lanciandole tamponi ed asciugamani. Solo l'insegnante di educazione fisica Miss Collins (B. Buckley) giunge in soccorso della disperata Carrie. Tornata a casa, la giovane viene sgridata e maltrattata dalla madre che è convinta che abbia fatto pensieri impuri o che sia stata vinta dalla lussuria: per questo Carrie viene sbattuta e rinchiusa dentro uno sgabuzzino. La povera ragazza, che riesce a spostare piccoli oggetti con lo sguardo, chiede perdono al Signore. Uscita dallo stanzino, Carrie riceve l'ordine di andare in camera e dormire. Il giorno dopo, Miss Collins, con il permesso del Preside, riferisce alla compagne di Carrie che dovranno trascorrere un'ora in più a lezione per non aver aiutato la povera ragazza in quel momento di difficoltà. Sue Snell (A. Irving) è l'unica che sembra dispiaciuta per il fattaccio, al contrario Chris Hargenson (N. Allen) ha intenzione di architettare un'altra terribile bravata..
      In una cittadina del Maine è arrivato il nuovo medico, Louis Creed. Con lui si trasferiscono anche la moglie, Rachel, e i due figli, Ellie e Gage. Vicino alla loro casa c'è un antico cimitero indiano che ha la caratteristica di trasformare in zombi i cadaveri che vi vengono sepolti. Succede così a Curch, il gattino di Ellie, e al piccolo Gage, travolto da un camion proprio sulla strada davanti a casa. La prima sequenza dell'incidente col camion è girata piuttosto bene. Il romanzo da cui è desunto il film porta la firma di Stephen King, autore anche della sceneggiatura. Il nome è una garanzia, ma questa volta il risultato è piuttosto deludente.
                Jack Torrance (J. Nicholson) è uno scrittore che sta per accettare un lavoro che non ha niente a che fare con la penna. Jack sta viaggiando in direzione dell'Overlook Hotel, un albergo sperduto ed isolato nei pressi di una montagna. Il Direttore del motel Stuart Ullman ha messo a disposizione un posto da custode per la durata di cinque mesi: Jack lo accetta vedendolo come un modo per rimanere solo e poter completare in santa pace il suo ultimo lavoro. Difatti l'Overlook sta per chiudere (terminata la stagione estiva) e rimarrà completamente vuoto per cinque mesi. Stuart però avverte che l'uomo potrebbe soffrire di estrema solitudine ed ha il dovere di raccontare un fatto di sangue avvenuto dieci anni prima, nel 1970. Un uomo, custode e manutentore dell'hotel, perse il senno inspiegabilmente e fece a pezzi l'intera famiglia con un'ascia. Jack, poco turbato dal racconto, decide di voler andare avanti. L'uomo si trasferisce quindi nell'Overlook con la moglie Wendy (S. Duvall) e con il figlioletto Danny (D. Lloyd). All'inizio tutti scorre per il meglio, con Jack dedito alla scrittura e con Wendy impegnata nelle faccende di casa. Tuttavia, più i giorni passano, più la permanenza in quel posto si fa complicata: Jack si sente oppresso e senza ispirazione, Danny inizia a vedere macabre ed inquietanti visioni di morte, mentre Wendy sembra l'unica ad essere ancora lucida. La situazione è però destinata a prendere decisamente una bruttissima piega..
            Cujo, il tenero e massiccio San Bernardo dei Trenton, viene morso da un pipistrello e contrae la rabbia. In poche ore si trasforma così in una macchina assassina di oltre un quintale di ferocia: dapprima sbrana un meccanico, quindi assedia i suoi padroni (Diana e suo figlio Tad), chiusi al gelo dentro un'auto per 48 ore senza generi di conforto...
                    Paul Sheldon (James Caan), autore di una serie di libri di successo, sta rientrando a New York dallo chalet in cui si è ritirato per scrivere l'ultimo libro, in cui ha deciso di fare morire la sua onnipresente eroina, Misery. A causa della neve esce di strada con la macchina e viene soccorso da Annie Wilkes (Kathy Bates) che lo "ricovera" nella propria casa isolata. Sheldon quindi casca, ma casca in piedi visto che la donna è un'infermiera professionista. Anche se poi non avrà modo di usarli molto, i suoi piedi, visto che Annie è anche una assidua lettrice dei suoi libri, appassionata in maniera fanatica del personaggio di Misery. A quel punto per Sheldon non ci sono alternative o lascia in vita la sua eroina o Annie gli spezza le gambe (cosa che peraltro avviene). Sheldon accetta, ma non abbandona le speranze di fuga. Il punto di partenza, come già in Stand by Me diretto sempre da Rob Reiner, è un racconto di Stephen King. Ma qui, a differenza che nel precedente, il tono è tutto buttato sul versante thriller con, in aggiunta, qualche sconfinamento nell'horror. La paccioccona Kathy Bates è così amorevole e premurosa nell'accudire al suo scrittore preferito che uno quasi quasi non ci crede quando poi s'arrabbia e lo prende a sprangate nelle caviglie. La materna Kathy Bates è così sottile e perversa che nessuno poi si è sorpreso la notte che le hanno assegnato l'Oscar come miglior attrice protagonista per questo film.
        Il film si divide tra il 1957 ed il 1990. Nel 1957 la cittadina di Derry (Maine) rimane turbata dalla macabra uccisione di un bambino di nome Georgie. Il fratello della vittima, Bill Denbrough, si è fatto un'idea di chi possa essere stato: incredibile da credere, ma l'assassino sarebbe un demone che ha assunto la forma di clown, trucco usato per attirare facilmente bambini innocenti. Bill, anche se dodicenne, convince i suoi sei migliori amici a vendicare la morte del fratellino. Per far questo, tutti e sette si recano nel sistema fognario dove IT (il nome dato al mostro) si nasconderebbe. Il gruppetto di bambini, con astuzia e fortuna, riescono a mettere in fuga il pagliaccio demoniaco. I piccoli eroi stringono un patto: se mai IT dovesse ritornare, si impegneranno al massimo per risconfiggerlo. Ora però, trent'anni dopo (1990), sembra che IT sia ritornato a Derry: sono già sei i bambini scomparsi. Mike Hanlon (T. Reid) è il primo a scoprire la spaventosa verità: subito chiama tutti gli altri per tenere fede alla promessa fatta nel 1957. Tutti, spaventati più che mai, rispondono alla chiamata: e' il momento di eliminare una volta per tutte il vorace e spietato pagliaccio assassino..
           Un anziano signore di nome Paul Edgecombe, ospite di un ospizio, inizia a piangere pensando agli avvenimenti di 60 anni prima: Paul si confida quindi con l'amica Elaine dando il via ad un lungo flashback. Nel 1935, nel penitenziario di stato della Louisiana, Paul (T. Hanks) era il responsabile del braccio della morte, e presiedeva praticamente a tutte le esecuzioni. Paul, insieme alle altre guardie carcerarie, accompagnava il condannato fino alla sedia elettrica, ribattezzata 'la vecchia scintillante'. Il braccio della morte, conosciuto anche con il nome di 'ultimo miglio', veniva chiamato da Paul e colleghi 'il miglio verde', per via del pavimento di colore cedro appassito. Paul poteva contare ciecamente su Brutus Howell (D. Morse), su Dean Stanton (B. Pepper) ed su Harry Terwilliger (J. DeMunn). Discorso a parte invece valeva per il cinico ed insensibile Percy Wetmore (D. Hutchison), divenuto agente di custodia non per merito. Un giorno arriva nel miglio verde un gigante di colore dall'aria mansueta ed inoffensiva, John Coffey (M. C. Duncan), accusato dell'omicidio di due bambine: Percy, come d'abitudine, non perde l'occasione per ricordare al detenuto che presto morirà. Nel miglio verde i giorni passano e i condannati a morte vengono sostituti da altri detenuti, tutti accomunati dal medesimo tragico destino..
        Pete Moore (T. Olyphant), Gary Jones (D. Lewis), Joe Clarendan (J. Lee) e il dr. Henry Devlin (T. Jane) sono quattro amici di vecchia data. Ognuno conduce la propria vita, chi in modo tranquillo, chi in modo molto più stressante, chi al lavoro e chi in altra maniera. Tutti e quattro però sono accomunati da un singolare elemento: la telepatia. Questa facoltà viene usata dai quattro, oltre che per parlare tra di loro, anche nella quotidianità per ottenere tanti piccoli vantaggi. Adesso Pete, Gary, Joe e Henry, si stanno concedendo una rimpatriata in una casa in mezzo al bosco: è l'inizio della stagione di caccia. Parlando del più e del meno i nostri protagonisti ricordano come hanno ottenuto l'incredibile abilità della telepatia. Da bambini, avendo salvato da tre bulli Duddits, un ragazzino diversamente abile, vennero da lui ricompensati proprio con questo fantastico dono. Il giorno seguente, Gary, in postazione su di una torretta, avvista un uomo tra la neve che barcolla e che sembra disorientato. Gary soccorre subito l'individuo e lo porta nella casa di montagna. Lo straniero mostra chiari segni che qualcosa che non va: ha strane macchie sul viso, eruttazioni incontrollate e flatulenza. Anche gli animali dell'intera foresta mostrano strane macchie su tutto il corpo.. che si tratti di un nuovo virus? Il celebre giallista Mort è in profonda crisi: è nel pieno di un divorzio doloroso e non riesce più a scrivere. Come se non bastasse un giorno John bussa alla sua porta accusandolo di avergli copiato un racconto e reclamando soddisfazione. Per quanto Mort si sforzi di placarlo, l'uomo diventa sempre più insistente e ostile affermando che potrebbe anche arrivare a ucciderlo a sangue freddo...
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praticalarte · 8 years ago
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“…Vieni solennissima, solennissima e colma di una nascosta voglia di singhiozzare, forse perché grande è l’anima e piccola è la vita, e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo…” (da “Ode alla notte” di Fernando Pessoa)
E’ come un viaggio tortuoso nei meandri della mente, fatto di scenari cupi in bilico tra sogno e incubo dove le ombre prendono vita e tutto appare surreale, l’universo fantastico di Daniele Serra che esplora il dramma dell’esistenza, con la consapevolezza della caducità delle cose umane e dell’ineluttabilità del tempo che fugge. E dove la notte incarna il confine ideale dove rifugiare spirito e corpo. Perché la vita nell’oscurità è come quella degli alberi la notte, silenziosi custodi del tempo e dei misteri del ciclo della vita, poiché gli alberi sono lo sforzo infinito della terra per parlare al cielo in ascolto, come sottolineerebbe Tagore, e la creatività, come la vita umana stessa, comincia nell’oscurità, come ben traduce la fotografa vittoriana J. Margaret Cameron.
Sofisticato illustratore New Gothic di stampo underground, il cui background formativo annovera tra le altre musica, pittura, letteratura e cinema come percorsi fondamentali per il processo creativo, concepisce un’umanità imprescindibile dalla natura che la circonda e di cui inevitabilmente fa parte, dove tutto si evolve, si trasforma e muore. “Se devo scegliere tra un albero in fiore e un albero rinsecchito, scelgo il secondo. È una questione di sensibilità” ha dichiarato in una intervista Daniele Serra che ama definirsi romantico decadente. Quel romanticismo malinconico e sensuale che attinge a piene mani alle atmosfere nebbiose e sublimi di Friedrich e all’impetuosità delle tempeste cromatiche di Turner. Ma che non prescinde da maestri come Dino Battaglia e da esponenti della corrente pittorica del fumetto americano come George Pratt, Ashley Wood e Dave Mckean. Per un linguaggio noir, a tratti barocco, dove personaggi spettrali prendono forma, grazie alla notte che ne definisce i profili, tra scenari fatiscenti di città fantasma restituiti ad acquerello dato per sovrapposizione di velature. Una cifra stilistica inconfondibile dai toni plumbei e dalle visioni terrifiche che si alternano alla raffinatezza della linea che va a delineare corpi femminili di dannunziana memoria, tra ramificazioni che avviluppano le forme e dissolvenze che le distanziano.
Come Alberi la Notte è la selezione di ventitré significative opere degli ultimi due anni, tra illustrazioni e copertine realizzate per pubblicazioni con case editrici europee e americane (“Five Feathered Tales”, “Asian Monsters”, “Snowed”, “Liars, fakers and the dead who eat them”, “Dreams from the witch house”, “The glass mountain”, “Malarat”, “Gla’aki”), un video interpretato dall’illustratore, una selezione di tavole tratte dagli ultimi graphic novel e alcune delle più importanti pubblicazioni, oltre ad una serie inedita di acquerelli dal titolo “Notturni”, con le rispettive stampe, che chiude la più grande esposizione di Daniele Serra, egregiamente sonorizzata dal musicista Simon Balestrazzi. “Camminare all’aperto, di notte, sotto il cielo silente, lungo un corso d’acqua che scorre quieto, è sempre una cosa piena di mistero, e commuove gli abissi dell’animo” (H. Hesse)
Roberta Vanali
Come Alberi la Notte è il più grande progetto espositivo dell’illustratore cagliaritano Daniele Serra, premio British Fantasy Award nel 2012 e This is Horror Award nel 2015 con all’attivo numerose pubblicazioni con importanti case editrici statunitensi, australiane, giapponesi e inglesi. Vanta collaborazioni con Marcello Fois, Clive Barker e Joe R. Landsale e alcune delle sue illustrazioni sono finite quest’anno sul set di Cell, film tratto dall’ultimo romanzo di Stephen King. In mostra, con la curatela di Roberta Vanali, una selezione di 23 acquerelli su carta che delineano le tappe fondamentali degli ultimi due anni di produzione tra libri illustrati, copertine, cover e una serie inedita di illustrazioni con le rispettive stampe. Sarà possibile, inoltre, consultare alcune pubblicazioni (acquistabili in galleria), diverse tavole originali di graphic novel e un video. Il tutto avrà come sfondo la sonorizzazione del musicista Simon Balestrazzi.
Allo Spazio InVisibile di Thomas Emil Lehner dal 7 al 28 gennaio 2017.
Dall’intervista realizzata in occasione della mostra:
Com’è nata la tua passione per l’illustrazione ed il fumetto?
Fin da piccolo ho amato disegnare e sono sempre stato sostenuto in questo dalla mia famiglia, soprattutto da mio padre che mi ha invogliato ad amare in modo particolare i fumetti.
Probabilmente i momenti in cui ho avuto la sensazione che mi sarebbe piaciuto lavorare come disegnatore è stato quando scoprii i libri d’arte di mio nonno, e quando vidi alcuni quadri classici del Rinascimento che mi turbarono in modo particolare, rimasi affascinato dall’idea di poter esprimere attraverso il disegno sensazioni così intense. Lo stesso vale per il fumetto, ho sempre letto fin da piccolo molti fumetti di tanti generi diversi, sia italiani che stranieri, e anche in questo caso percepivo una magia nel vedere le immagini e i segni. Questi fatti, uniti al piacere per il disegnare, mi hanno portato fino al punto di credere fermamente di volerne fare una professione.
Da cosa scaturisce la tua rigorosa concezione dell’uomo come parte integrante della natura, che è anche il leit motiv della mostra?
Deriva dall’amore per tutto ciò che riguarda il romanticismo e in generale dalla concezione della natura come elemento sovrastante, legata all’idea di sublime, che penso venga incarnata nel miglior modo possibile nei dipinti di Friedrich. Questa idea di essere umano e natura in un continuo equilibrio instabile perenne. Da ciò, una visione della Natura come elemento di cui l’uomo non può fare a meno, costretto a subirne la potenza, rimanendone allo stesso tempo affascinato.
Cosa ti attrae del mondo che ti circonda?
Penso di essere molto attratto dalle storie che stanno dietro a ogni persona. Capita spesso, quando sono in giro e vedo persone che non conosco, di immaginarmi le situazioni che li hanno portati a vestirsi con un certo stile, parlare in un modo o comportarsi in una determinata maniera. Più che le cose che mi circondano, mi attrae ciò che le cose riescono a provocare a seconda delle situazioni e degli stati d’animo. Posso amare o odiare qualsiasi cosa che mi circondi in relazione a come in quel momento mi appaia.
Parlami dei tuoi modelli riguardo l’illustrazione ma anche il cinema e la musica.
Ho tantissimi modelli e maestri di riferimento per quanto consiste l’illustrazione e la pittura in generale, a partire da Bosch e Bruegel, passando per Rembrandt, Goya, fino ad arrivare ai Preraffaelliti, all’Impressionismo e al Simbolismo. Per quanto riguarda il 900 ci sono stati molti illustratori e fumettisti che sono stati fondamentali nella mia crescita artistica, da Dino Battaglia, Sergio Toppi, fino ad arrivare a Frank Miller, Mignola, e George Pratt. In definitiva mi piace molto il fantastico, anche nell’ambito della letteratura e del cinema  sono molto legato a tutto ciò che riguarda l’aspetto più mistico e onirico delle cose. Sono un grande appassionato di film horror vecchi e di cinema asiatico. Mi piace la letteratura gotica e autori come  E. T. A. Hoffmann, Shirley Jackson. Un’altra arte che reputo molto importante per la mia ispirazione è la musica, che mi accompagna da sempre mentre disegno.
Interpretare l’immaginario altrui non è cosa facile, quali sono i pro e i contro quando ti viene commissionata l’illustrazione di una pubblicazione preesistente?
Sicuramente il lavoro dell’illustratore è un lavoro per certi aspetti complicato, quando si lavora su commissione non si ha la libertà che si può avere lavorando su qualcosa di totalmente proprio; inoltre l’illustrazione finale deve essere approvata da una persona esterna, dall’editore, di conseguenza penso che l’aspetto più difficile del mio lavoro sia dover creare immagini che possono non essere nel mio immaginario ma che comunque devono funzionare al meglio. Questo per certi versi è frustrante, perché i risultati ottenuti potrebbero non essere quelli sperati, ma allo stesso tempo è una sfida importante perché permette di migliorarsi in continuazione e di non fermarsi mai su determinati schemi figurativi. Oltre all’aspetto prettamente artistico, in questo lavoro subentrano altri fattori che spesso sono determinanti per riuscire a lavorare in questo campo, vale a dire la capacità di confrontarsi con un cliente, di rispettare le scadenze, e riuscire a trovare un equilibrio tra quello che si vorrebbe ottenere e quello che effettivamente si è capaci in quel momento di realizzare. Nel corso degli anni ho capito che sono aspetti di importanza quasi pari al valore artistico dell’opera.  
A quale fenomeno attribuisci la tua notorietà all’estero inversamente proporzionale a quella nazionale?
Spesso mi si pone questa domanda, e sinceramente non so mai come rispondere. Infatti fin dall’inizio della mia carriera ho sempre mandato il  portfolio sia in Italia che all’estero, ma le proposte di lavoro sono sempre venute da paesi esteri. Magari è solo una coincidenza, o magari lo stile che utilizzo, forse anche per ragioni culturali, in Italia non è particolarmente in voga  in questo momento. Ad ogni modo, devo dire che essendo l’illustrazione un’arte visiva universale, grazie ad internet è veramente semplice lavorare in qualsiasi parte del mondo. Quindi in fin dei conti lavorare in Italia o all’estero non cambia molto tecnicamente, grazie a internet ho sempre come base la mia casa per lavorare.
Nel 2012 conquisti il British Fantasy Award e il This is Horror Award, confermato nel 2015. Ora a cosa miri?
Premetto che non sono un grande amante dei premi in ambito artistico, però non posso negare che gli ultimi mi hanno dato la possibilità di farmi conoscere maggiormente e raggiungere un pubblico più vasto. Sono stati inoltre un’occasione di scambio e incontro con altri disegnatori e scrittori con i quali sono nate nuove collaborazioni. In definitiva al momento più che un premio miro a cercare di migliorare notevolmente il mio stile. Mi sento molto lontano da quello che vorrei riuscire a fare, quindi credo che il premio maggiore sia quello che potrei darmi io stesso, cercando di essere soddisfatto del mio lavoro.
Com’è nata la collaborazione con Todd Williams per Cell, trasposizione cinematografica dell’horror distopico di Stephen King?
Circa due anni fa sono stato contattato dai produttori di Cell, un film americano diretto da Todd Williams, il regista di Paranormal Activity 2 e interpretato da John Cusack e Samuel L. Jackson. Erano interessati alle mie illustrazioni, volevano utilizzarle come scenografie della casa di John Cusack che nel film interpreta il ruolo di un disegnatore. Tutto è nato in maniera molto inaspettata, infatti non conoscevo nessuno della produzione e il fatto che mi abbiano contattato è stato per me fonte di molta gioia e soddisfazione, ho sempre considerato Stephen King un punto di riferimento, quindi poter in qualche modo partecipare a una trasposizione cinematografica di una sua opera e poi poterla andare a vedere al cinema è stata veramente una grande emozione.
Come illustratore con quali case editrici collabori? E come fumettista?
Come illustratore collaboro con molte case editrici americane e inglesi che si occupano in particolare di libri horror e di fantascienza. Tra le principali ci sono Dark Region Press, Cemetery Dance, PS Publishing, Weird Tales Magazine e molte altre. Per quanto riguarda i fumetti, nel corso di questi anni ho collaborato con DC Comics,  Image Comics, Boom! Studios, Titan Comics, SST Publishing,  e in Italia Guanda e BD edizioni.
Il tuo sogno nel cassetto.
Continuare a lavorare serenamente come illustratore, avendo la possibilità di realizzare alcuni progetti che sogno da sempre: per esempio un libro illustrato di Lovecraft e una graphic novel di Batman.   
E i progetti per il futuro?
Ci sono due lavori che ho iniziato e sui quali continuerò a lavorare nel prossimo futuro, sono i fumetti di Hellraser e Dark Souls,  in più alcuni libri illustrati, illustrazioni per copertine di libri,  e spero alla fine del 2017 di far uscire un nuovo artbook.
Roberta Vanali
Daniele Serra (1977 Cagliari)
vive e lavora a Cagliari come illustratore e fumettista dal 2008. Il suo lavoro è stato pubblicato in Europa, Australia, Stati Uniti e Giappone.
Come illustratore ha lavorato per copertine e libri illustrati con numerose case editrici tra cui: Weird Tales Magazine, Cemetery Dance, New Page Books, Creation Oneiros, Bad Moon Books, Dark Regions Press, Thunderstorm Books, PS Publishing, Telos Publishing, Delirium Books, Guanda. Creando copertine e illustrazioni per vari scrittori tra cui: J. R. Lansdale, Joyce Carol Oates, Ramsey Campbell, Tim Waggoner, Lucy Snyder, Alison Littlewood. Come fumettista ha lavorato per varie case editrici tra cui: Dc Comics, Image Comics, Boom! Studios, Titan Comics, BD Edizioni.
Ha disegnato fumetti per Hellraiser di Clive Barker, il videogioco Dark Souls e pubblicato graphic novel scritte da J.R. Lansdale e Jeff Mariotte. Inoltre nel 2016 le sue illustrazioni sono state usate per la scenografia dell’adattamento cinematografico del romanzo CELL di Stephen King, diretto da tod williams e interpretato da John Cusack e Samuel L. Jackson. Nel 2012 ha vinto il British Fantasy Award e il This Is Horror Award nel 2012 e 2015.
Ultime MOSTRE
Novembre 2016 esposizione personale presso Associazione “Sebastiano Satta” a Verona, Italia.
23 giugno- 9 luglio 2016 La Matta Bestialità, collettiva a cura di Roberta Vanali ed Efisio Carbone presso lo Spazio (In)Visibile a Cagliari, Italia.
10 e 11 ottobre 2015 collettiva presso STRANIMONDI, STRANI LIBRI, STRANI INCONTRI, il festival del libro fantastico a Milano, Italia.
22 gennaio-22 febbraio 2014 DARKKAMMER, collettiva di 40 artisti. Progetto a cura di Efisio Carbone e Roberta Vanali con l’allestimento di Silvia Ledda presso Centro Comunale d’Arte e Cultura Exmà di Cagliari,Italia.
16-21 dicembre 2014 Illustranti. Nell’occhio di chi guarda collettiva di illustratori sardi organizzata da Librìforas aps con la direzione artistica di Evelise Obinu e Ignazio Fulghesu presso il circolo La Marina Shankara aCagliari, Italia.
16 maggio -6 giugno 2014 Veins and Skulls mostra personale di Daniele Serra a cura di Roberta Vanali con la sonorizzazione dei Candor Chasma (Corrado Altieri e Simon Balestrazzi). Allestimento di 25 tavole originali dell’Art Book dall’omonimo titolo, realizzate ad acquerello e suddivise in tre sezioni (classico, intimo ed esterni). Presso la Sala della Terrazza del Centro Comunale d’Arte e Cultura Exmà di Cagliari
6 dicembre 2013-20 gennaio 2014 T racconto CAPPUCCETTO ROSSO collettiva a cura di Marco Peri, Tramare eTArt presso T Hotel a Cagliari
15-17 marzo 2013 mostra collettiva di fumetto, illustrazione, disegno in occasione della seconda edizione di “ARTE³ arte al cubo” a Santa Giusta (OR), Italia
1-11 febbraio 2013 esposizione delle tavole originali del fumetto Carne in occasione della rassegna Il nastro di Moebius. Dialoghi fra scrittori e fumettisti a San Giorgio in Poggiale a cura di Alberto Sebastiani a Bologna, Italia
9 dicembre-9 gennaio 2012 L’Isola dei Morti (Die Toteninsel) mostra collettiva a cura di Roberta Vanali presso il Centro di Arte e cultura Exmà di Cagliari, Italia
13-16 dicembre 2012 mostra di pittura e fumetto in occasione della quarta edizione di Nues, festival internazionale del fumetto a Macomer (NU), Italia
Spazio (in)visibile
Via Barcellona 75, Cagliari Ingresso da giovedì a sabato, dalle ore 18.30 alle 20.30 Telefono 328 9850521 mail [email protected]
  COME ALBERI LA NOTTE – Mostra personale di Daniele Serra “...Vieni solennissima, solennissima e colma di una nascosta voglia di singhiozzare, forse perché grande è l’anima e piccola è la vita,
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thebutcher-5 · 9 months ago
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La metà oscura (film)
Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Nello scorso articolo siamo tornati a parlare di cinema e per la precisione del mondo dell’animazione, tornando con la filmografia della Pixar e giungendo al loro quinto lungometraggio, Alla ricerca di Nemo. Marlin e Coral sono due pesci pagliaccio che si sono trasferiti da poco in un’anemone sulla barriera corallina e lì Carol ha deposto numerose uova. Un…
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thebutcher-5 · 9 months ago
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The Mangler - La macchina infernale
Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Nello scorso articolo abbiamo parlato di animazione e questa volta abbiamo introdotto la Sony Pictures Animation e l’abbiamo fatto con un film molto interessante ossia Piovono Polpette. Flint Lookwood è un inventore e appassionato di scienza che vive nella piccola isola di Swallow Marina, un’ isola che sta attraversando una grave crisi. Lui vorrebbe aiutare…
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thebutcher-5 · 2 years ago
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Christine - La macchina infernale
Christine – La macchina infernale
Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Nello scorso articolo abbiamo messo brevemente da parte l’horror per parlare di un blockbuster molto particolare e che da piccolo vedevo spesso, Waterworld. La scioglimento dei ghiacciai ha causato l’innalzamento del livello del mare, sommergendo tutte le terre del mondo. Passano alcuni secoli e le persone si sono abituate a vivere in mezzo ai mari,…
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thebutcher-5 · 3 years ago
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Cimitero Vivente (1989) e Pet Sematary (2019)
Cimitero Vivente (1989) e Pet Sematary (2019)
Benvenuti o bentornati sul nostro blog. La scorsa volta abbiamo discusso della nuova trasposizione de L’Uomo Invisibile diretta da Leigh Whannell, una trasposizione del classico di Wells in chiave moderna. Un film che ho trovato interessante sotto molti aspetti. Quello che sicuramente mi ha colpito di più è come abbiano unito bene le tematiche dell’invisibilità e della violenza domestica, due…
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