#film biografici
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Il Ludwig di Visconti: ritratto di un monarca
Il fil rouge dei film di Visconti è la bellezza. Come tema e come esecuzione, dal volto degli attori e delle attrici alla delicatezza di un dettaglio su un abito alla composizione di una scena. #IlControVerso #notizie #pensieri #politica #libertà #ludwig
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Oppenheimer: ecco chi era il fisico al centro dell'ultimo film di Christopher Nolan
Un ritratto di J. Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica.
Un ritratto di J. Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica.L’ultimo film di Christopher Nolan, dal titolo “Oppenheimer”, ha riportato al centro dell’attenzione la figura di J. Robert Oppenheimer, il fisico teorico americano noto per il suo ruolo cruciale nello sviluppo della prima bomba atomica durante la Seconda Guerra Mondiale. Una figura complessa e contraddittoria, capace di lasciare…
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PRIMA PAGINA La Provincia di Oggi domenica, 04 agosto 2024
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Fare la lavandaia e la tessitora nel 1800 significava fare lavori faticosi e usuranti,
a cui si riteneva fossero naturalmente adatte le donne, anche molto giovani. I nomi Silvia e Nerina hanno un identico significato, ovvero "abitatrice dei boschi" - in quanto Nerina è nome contratto da Nemorina - nel senso di ninfa al seguito della divinità che amava frequentare i boschi per cacciare, Artemide. Ella spesso, insieme alle sue ninfe, si bagnava nelle acque di placidi laghetti riparati da discrete fronde, e si adirava se un essere di sesso maschile capitava nei paraggi e "buttava un occhio" sulle divine nudità. Silvia, la cui "man veloce", nella prima stesura del canto a lei dedicato, "percotea" (percuoteva) la faticosa tela e non "percorrea", morì di tisi, aggravata dalle polveri sottili di fibre che si levavano come un'invisibile nube dal telaio, e dall'abitudine di farsi asciugare indosso le calze e le scarpe - quando non andasse a piedi nudi - che aveva bagnate al lavatoio pubblico.
Altra frequentatrice del lavatoio era Nerina
(che non aveva "negre chiome" come Silvia, ma era bionda e bianca come un cigno): un'altra "ninfa al bagno", che morì, anch'essa, di tisi, sebbene all'età di 28 anni e non di soli 21 come Silvia. Il fratello di Giacomo, Carlo, le ricorda come "due povere diavole" (sic); dovevano però essere benevole e non animose per sotterranea lotta di classe nei confronti dei signori contini che stavano bel belli a palazzo se, sempre secondo la testimonianza del fratello, esse parlavano "a gesti", attraverso le finestre, con loro. In particolare, Giacomo parlava con Silvia dalle finestre della biblioteca che dà sull'odierna piazzuola del Sabato del Villaggio, e con Nerina dalla finestra della propria stanza, che dà s'un giardino interno, oltre il quale si vedeva la finestra della ragazza. In alcuni studi biografici è detto che Nerina morì per un ascesso dentale mal curato, fra lunghe e atroci sofferenze (mentre, comunque, la tisi stava già minando il suo organismo); c'è di più: un biografo riferisce una diceria popolare secondo la quale
questa ragazza ebbe un figlio, chiamato, non si sa se per celia o con fondamento, "il figlio del poeta".
Ma un altro biografo insorge, a difesa della probità di Giacomo, affermando che egli non avrebbe mai potuto lasciare una donna, incinta e madre del proprio figlio, per poi andarsene in giro per l'Italia "come un superuomo qualunque". È possibile che la ragazza, che proveniva da un paese limitrofo e viveva a Recanati senza famiglia, godesse di una certa libertà e questo, unito al fatto che parlasse a gesti con Giacomo, abbia dato luogo alla salace diceria. Certo è che Giacomo, per quanto molto "abbottonato" nelle questioni personali di sesso e di amore, a un certo punto nello Zibaldone scrive che l'amore lo lascia sempre insoddisfatto, con un desiderio di "qualcosa di più", e questo anche quando l'amata conceda tutti i "favori", anche gli "estremi". Giacomo aveva una grande capacità immaginatIva e previsionale, quindi è possibile che, esattamente come il suo primo bacio, in cui la sua anima tutta si trasfuse - secondo le sue parole - che ebbe luogo in sogno, anche gli "estremi favori" femminili furono da lui sperimentati oniricamente. E al de Sinner scrive che vale infinitamente di più un momento di estasi amorosa spirituale che un amore volgare.
Le "basse voglie" gli ispiravano repulsione soprattutto quando le scorgeva in sé stesso;
pativa che il sentimento d'amore fosse "torbido" e non luminoso e puro come aveva immaginato che fosse. E soffriva indicibilmente nell'essere costretto a guardare altri che godessero sensualmente: gli uomini dei cibi gustosi, e persino gli animali nell'accoppiamento. Perciò, mi spiace deludervi, ma Giacomo non avrebbe mai guardato un film porno con voi.
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Edna O’Brien
Ogni libro bello dev’essere autobiografico, in una certa misura, perché non possiamo fabbricare le nostre emozioni.
Edna O’Brien è la scrittrice irlandese che negli anni Sessanta ha dato voce ai desideri e alle passioni delle donne.
La più grande scrittrice vivente in lingua inglese, come amava ripetere Philip Roth.
Autrice di venti romanzi, raccolte di racconti, poesie, saggi e opere teatrali tradotti in tutto il mondo, ha raccontato l’emancipazione femminile scavando a fondo nella coscienza dei suoi personaggi, celebrandone l’esuberanza e la generosità con una prosa sempre elegante, raffinata e priva di forzature stilistiche. Tutti i suoi scritti sono ambientati in Irlanda, nonostante abbia abbandonato il paese e vissuto per tutta la vita a Londra.
Le sue eroine sono tormentate, oppresse dai sensi di colpa, vittime di un’educazione bigotta oppure ribelli, scanzonate, provocatorie, in aperto conflitto con l’ambiente in cui sono cresciute.
Scrivere per lei è stata un’occupazione perversa in cui ha dato voce al conflitto tra anima e mente.
Tra i premi più prestigiosi di cui è stata insignita spicca la nomina a Dama dell’Ordine dell’Impero Britannico, del 2018, e di Comandante dell’Ordine delle Arti e delle Lettere della Repubblica Francese, nel 2021.
Era nata col nome di Josephine Edna O’Brien a Tuamgraney, un villaggio irlandese, il 15 dicembre 1930 in una famiglia numerosa con una madre rigida e un padre dedito ad alcol e scommesse. In una casa piena di libri religiosi, da ragazzina scriveva di nascosto perché osteggiata dalla genitrice che non approvava le sue aspirazioni letterarie. Da dopo gli studi in collegio è fuggita a Dublino per scappare da quell’ambiente soffocante e bigotto e a ventitré anni ha sposato un uomo molto più anziano di lei, il romanziere di origine ceca Ernest Gébler, con cui si è trasferita a Londra, dove è iniziata la sua vera vita e ha potuto finalmente diventare se stessa e dedicarsi alla scrittura.
Nel 1960 ha pubblicato il suo primo libro, scritto in soli tre mesi, The Country Girls, che racconta l’educazione sentimentale e sessuale di due giovani donne che cercano emozioni in città, fuggendo dal collegio di suore dove erano rinchiuse. Come i due successivi, The Lonely Girl del 1962, poi diventato un film, e Girls in Their Married Bliss del 1964, venne proibito e censurato in Irlanda e spesso bruciato pubblicamente da preti e fanatici cattolici.
La trilogia dello scandalo è stata a lungo oggetto di attacchi violenti e ripetute accuse di immoralità, mentre nel resto del mondo era osannata. Solo in anni recenti, il presidente irlandese le ha presentato le scuse ufficiali a nome di tutta la nazione, per la feroce ostilità e l’invidioso disprezzo di cui è stata oggetto, definendola una narratrice coraggiosa che ha sempre raccontato la verità.
La sua celebrità ha segnato la fine del matrimonio con un uomo che mal sopportava il suo successo e le si è aperta una nuova prospettiva di vita, dopo il divorzio ha frequentato i salotti letterari e mondani della Swinging London, diventando un’icona ribelle degli anni ‘60, capace di sondare senza retorica le vertigini della passione amorosa e politica.
Al centro dell’attenzione mediatica anche a causa di alcune prese di posizione sul conflitto anglo-irlandese, negli anni ‘90 è stata accusata di aver sostenuto la lotta armata dell’IRA.
Tra i suoi scritti compaiono due saggi biografici su Joyce e Byron, una sceneggiatura teatrale su Virginia Woolf e romanzi più maturi come Uno splendido isolamento, Le stanze dei figli, Un feroce dicembre e La luce della sera.
In Country Girl, del 2012, ha raccontato la sua vita, ricca di incontri ed esperienze straordinarie, vissuta tra le aree rurali dell’Irlanda e le luci sfavillanti delle grandi città statunitensi.
La sua ultima fatica, del 2019, è Ragazza, sugli orrori subiti da migliaia di giovani donne rapite dai fondamentalisti islamici di Boko Haram in Nigeria.
Edna O’Brien si è spenta il 27 luglio 2024, dopo una lunga malattia.
Nella sua vita ha vissuto proprio come le sue ragazze di campagna appena arrivate in città, seguendo tutto quello che luccicava, assecondando i suoi desideri più oscuri e impulsivi. Spirito ribelle e coraggioso, ha lottato per aprire nuovi orizzonti artistici e scrivere in modo veritiero, da un luogo di sentimenti profondi.
Ha rivoluzionato la letteratura irlandese. La straordinaria qualità della sua prosa l’ha resa un’autrice di culto dal successo planetario rispettata anche dalle accademie e dai più raffinati circoli letterari.
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Autobiography - Il ragazzo e il generale
“Autobiography - Il ragazzo e il generale” di Makbul Mubarak arriverà nelle sale italiane dal 4 aprile grazie a Cineclub Internazionale Distribuzione. Il film era presente alla 79. Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti ed è stato insignito del Premio FIPRESCI della federazione internazionale della stampa cinematografica. https://www.youtube.com/watch?v=H27A4KUMi90&feature=youtu.be "Autobiography - Il ragazzo e il generale" di Makbul Mubarak Lungometraggio d'esordio dell’indonesiano Makbul Mubarak, il film prende spunto da elementi biografici del regista, figlio di un funzionario pubblico che sosteneva il regime dell’ex dittatore Suharto, per raccontare una vicenda che riflette sui temi attualissimi della lealtà e della vicinanza al potere attraverso un thriller intenso. Il film si distingue anche per una notevole raffinatezza delle inquadrature e del linguaggio cinematografico, sorprendenti per un’opera prima. Al centro della vicenda Rakib, un giovane ragazzo che diventa assistente di Purna, ex generale del regime in pensione. Quando Purna inizia una campagna elettorale per essere eletto sindaco, Rakib si lega all’uomo, diventato per lui mentore e figura paterna. Ritratto intimo di due generazioni Con un ritratto intimo di due generazioni che vivono sotto lo stesso tetto, il cineasta ripercorre così un doloroso periodo storico della sua nazione, con un storia che presenta forti ed ampie risonanze con la contemporaneità ed una altrettanto forte universalità del tema della lealtà verso lo Stato, ispirando una riflessione sulla necessità morale di porvi dei limiti, sia a livello sociale sia a livello individuale, quando lo Stato non si regge su basi istituzionali pienamente libere e democratiche. Forte è anche il tema della trasmissione da una generazione all’altra di una formazione autoritaria con il culto del capo, tentando di plasmare nell’intimo le coscienze dei giovani in chiave antidemocratica e antiliberale. Le parole del regista «Nei trent’anni di dittatura militare in Indonesia, da metà anni Sessanta alla fine degli anni Novanta, mio padre ha lavorato come impiegato del regime - ha dichiarato il regista Makbul Mubarak - Io sono cresciuto, considerando la sua lealtà verso lo Stato come qualcosa di intrinseco alla vita della mia famiglia. Osservandolo, ho imparato che la lealtà è quello che rende una persona degna di rispetto: un principio che ritenevo molto vero e, a quel tempo, soddisfacente. In realtà, più crescevo, più ero assillato da un dubbio: la lealtà è degna di rispetto, anche se e quando è promessa a qualcosa di mostruoso? Se in questo caso smettessimo di essere leali, ciò sarebbe considerato tradimento, o lotta per la giustizia? E ci renderebbe persone buone o cattive? In una società con una tale storia di repressione, cosa ci vuole per potersi definire ‘una brava persona’?». Read the full article
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Cinema: Anselm di W. Wenders by S. Frera
Sabato mattina all’Anteo Palazzo del Cinema di Milano è stato proiettato il film documentario di Wim Wenders dal titolo Anselm. Il film racconta la vita e l’arte di Anselm Kiefer, oggi uno dei massimi artisti tedeschi viventi. La lavorazione del film, ci è stato detto, ha comportato tre anni di incontri e riprese, coprendo, oltre che i principali dati biografici dell’artista, i suoi luoghi di…
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Blonde: un film non all'altezza del romanzo, o della vita
Ho scelto di vedere questo film una volta passato il clamore, il facile entusiasmo o le stroncature senza appello di chi non ci vedeva la trasposizione fedele della vita di Norma Jean Baker in arte Marilyn Monroe.
Da quando ero una bambina sono appassionata delle vicende di questa donna, e in secondo luogo di questa attrice. I traumi infantili, la mancanza di un padre, l'essere oggettivizzata dagli sguardi maschili, il rapporto con la maternità mancata (o vissuta): sono tutte esperienze che un'altra donna può comprendere. Prima dell'uscita del film, con congruo anticipo, mi sono preparata, affrontando le settecentoepassa pagine del corposo e bel romanzo di Joyce Carol Oates dal quale il film è stato tratto: un romanzo, non una fedele biografia. Contenente molte parti di fantasia, molte illazioni credibili ma totalmente inventate, per ammissione della stessa autrice. Il libro l'ho amato, al punto da averne registrato anche la lettura di un brano, che poi ho condiviso su YouTube. Sebbene sia in larga parte frutto di fantasia, è vivo, palpitante, capace di far percepire sensazioni simili a quelle che deve aver realmente provato Marilyn. A sentirsi violata, recapitata qua e là come un pacco, da una famiglia all'altra, da un letto all'altro.
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Ne esce fuori il ritratto non di una vittima in senso assoluto bensì di una donna segnata fin dalla prima infanzia nel profondo, che rimane intrappolata dal suo aspetto e dal suo talento naturale per la recitazione. Una ragazza tanto sensuale da diventare la proiezione del desiderio altrui, una dea sessuale universalmente riconosciuta. Una donna affamata di sapere, consapevole dei propri limiti, in cerca di un'identità che venga accettata (e che le riporti indietro una figura paterna). Gli uomini che la circondano? In larga parte sono laidi, sfruttatori e, solo in due-tre casi, uomini che provano ad amarla davvero. Oltre a loro, solo il fidato amico e truccatore Whitey.
La sessualità come tema cardine, ciò che avrebbe dovuto esserci e ciò che manca
L'accento sulla sessualità, centrale nel romanzo, resta tale anche nel film: il sesso anale sul tappeto del produttore, rievocato anche in alcuni flashback, il sesso a tre con i "gemelli" (che, a differenza di Norma Jeane, soffrono l'ingombrante presenza dei loro padri), la fellatio fatta a Kennedy. Poi c'è la Marilyn tormentata dal passato, l'orfana di padre (e anche di madre, in una certa misura), l'isterica, la madre frustrata nel suo desiderio di maternità, la donna che fa i conti con la perdita di una vita e di un sogno, la donna violata, l'insicura, che però appena si accendono i riflettori pare splendere di luce propria.
Mancano totalmente all'appello alcune sequenze, peraltro fedelmente biografiche, che nel libro sono essenziali per lo svolgimento dei fatti: la vita all'orfanotrofio di Los Angeles, la sessione fotografica con Tom Kelley (Otto Ose nel libro, ndr), che a distanza di anni la porterà a comparire sul primo numero di Playboy e a dare scandalo; il matrimonio a soli 16 anni con Jim Dougherty (Bucky Glazer nel libro, ndr), durante il quale verrà scoperta come fotomodella; il tour in Corea durante il quale cantò per i soldati americani al fronte: una delle occasioni nelle quali, per ammissione della stessa attrice, lei era stata più felice. Manca anche Happy Birthday Mr President, la canzone di compleanno cantata davvero da Monroe a Kennedy il 19 maggio 1962 al Madison Square Garden di New York, una delle sequenze più vivide del libro (alla quale ho riservato la lettura su YouTube).
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Che né il libro né il film siano strettamente biografici lo si capisce subito, se si conosce bene la biografia di Marilyn. In entrambi non vengono mostrati esplicitamente gli abusi (nel libro sono vissuti in modo vivido come qualcosa al confine tra sogno e ricordo rimosso, senza essere mai descritti), l'amore breve ed extra coniugale con Yves Montand, l'amicizia con Truman Capote (che l'avrebbe voluta nella trasposizione cinematografico del suo Colazione da Tiffany, ndr), la relazione lesbica con l'insegnante di recitazione Natasha Lytess' e tanto altro.
Punti di forza e punti deboli
Quindi ecco quali sono, secondo me, i punti di forza e i punti deboli di questo film.
I punti di forza: il lavoro intenso e coraggioso sul personaggio di Ana De Armas, sulla carta molto diversa da Marilyn, sia fisicamente che come retaggio culturale (De Armas è cubana, sebbene il suo lavoro sull'accento sia stato molto accurato). Tuttavia, De Armas fa di tutto per essere Marilyn, oltre a sottoporsi a lunghissime sessioni di trucco, proprio come la stessa Marilyn: una fase essenziale per smettere di essere Norma e diventare la "maschera" Marilyn; la scrupolosa ricerca iconografica, sebbene questa risulti talvolta erronea e decontestualizzata; i numerosi tentativi di nobilitare l'opera con trovate registiche alternative, con una pretesa di originalità; la fotografia, che è stata curatissima in ogni dettaglio.
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I punti deboli: voler mostrare tutto, spiegare tutto, rendere in modo patinato anche l'intimità della donna Norma Jean (un esempio su tutti: il feto del suo "Baby" mai nato, che poteva tranquillamente essere evocato senza essere mostrato esplicitamente); la superficialità: il film sembra una carrellata di celebri foto di Marilyn, ricreate pedissequamente ma totalmente decontestualizzate e incoerenti nel loro flusso; la scelta di fare la copia/caricatura di Marilyn rendendo De Armas, in certi fotogrammi, quasi irriconoscibile dall'originale; il doppiaggio italiano, esasperato, che riproduce più il doppiaggio dei film di Marilyn (e quella voce da bionda svampita che l'ha resa riconoscibile) che la reale voce dell'attrice.
Certe trovate che strizzano l'occhio alla morbosità dello spettatore, come la scena della masturbazione nella sala cinematografica all'anteprima di Niagara, sono superflue e quasi grottesche, oltre a non essere presenti nel romanzo. Al contrario, la scena della fellatio praticata a John Kennedy nel libro è presente e rende bene l'idea dell'umiliazione di Marilyn. In un'intervista a Variety Ana De Armas ha commentato così le scene esplicite alle quali ha preso parte: "Ho fatto cose in questo film che non avrei mai fatto per nessun altro, mai. L’ho fatto per lei (Marilyn, ndr) e l’ho fatto per Andrew. So cosa diventerà virale ed è disgustoso. È sconvolgente solo a pensarci. Non posso controllarlo. Non si può davvero controllare cosa fanno le persone e come estraggono le cose dal contesto. Non credo che la cosa mi abbia fatto avere ripensamenti, mi ha solo dato amarezza pensare al futuro di quelle clip". Mi sento di giustificare, almeno in parte, il regista Andrew Dominik: un materiale succoso come il romanzo di Oates sotto mano, così visivo e avvincente, era molto facile farsi prendere la mano. L'autrice del romanzo, comunque, è intervenuta in difesa della trasposizione Netflix con un tweet: "Penso che sia stata/sia una brillante opera d'arte cinematografica ovviamente non per tutti. Sorprendente che in un'era post #MeToo la cruda esposizione della predazione sessuale a Hollywood sia stata interpretata come 'sfruttamento. Sicuramente Andrew Dominik intendeva raccontare sinceramente la storia di Norma Jeane".
Le altre Marilyn
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C'è una bella differenza tra Blonde e un film come My Week With Marilyn (2011), che alla sua protagonista è valso un Oscar: a differenza di De Armas, Michelle Williams non pretende di essere il calco identico di MM, sebbene le somigli fisicamente più dell'attrice cubana. Tuttavia le restituisce una verità inconfutabile, senza risultare mai sopra le righe. Certo, bisogna tenere conto di un'altra differenza importante: il film del 2011 è basato sul memoir strettamente biografico di uno scrittore (Colin Clark, ndr) che ha conosciuto davvero Norma Jeane e ci ha passato del tempo assieme, raccogliendone confidenze e pensieri. Erano i tempi in cui lei si trovava a Londra per girare Il principe e la ballerina con Laurence Olivier nella doppia veste di protagonista e regista (1957) e lui era un giovane neolaureato al suo primo impiego come assistente personale del regista inglese. Tornando a Blonde, del romanzo di Oates esiste un'altra trasposizione filmica: la miniserie prodotta da CBS con Poppy Montgomery come protagonista. Mi riprometto di vederla al più presto per poter fare un confronto.
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Cosa diremo
Nel suo appassionato e ammirevole discorso di oggi sull’impegno da mettere nel proteggersi dal contagio, Angela Merkel ha usato a un certo punto un’antica formulazione retorica a cui non siamo più abituati. È interessante, perché il problema delle formule retoriche solenni è che col tempo perdono significato e diventano vuote, persino poco tollerabili. Questa invece è così uscita dal nostro modo di pensare, che ora suona con uno straordinario e concretissimo significato, come se fosse riaffiorata da una memoria lontana. Cosa diremo quando guarderemo indietro? È una domanda meravigliosa, e commovente. Suona appunto familiare, un’espressione retorica sentita spesso, eppure realizziamo che non la sentiamo più: l’abbiamo sentita spesso in certi documentari, forse, o in certi film biografici. In certi libri di Storia, chissà. Ma nessun leader politico od oratore lo dice più. Perché nessuno pensa più a guardare avanti, a quando ci si guarderà indietro. Nessuno giudica più le fesserie, le volatilità, le pigrizie, i capricci, le sterilità di ogni nostra giornata, con la capacità di staccarsene e guardarle da lontano. Come dicevamo ieri, immaginate di giudicare le energie e l’impegno e lo stress spesi quest’anno, l’anno scorso, negli ultimi cinque anni, sei anni fa, nelle cose in cui li abbiamo spesi. Immaginate che qualcuno arrivi da quel tempo e ci chieda “ne valeva la pena? era davvero importante? cosa abbiamo ottenuto, poi?”. E chi si ricorda, con tutti i post su Facebook contro cui dobbiamo indignarci ogni giorno. Certo, succedono buone cose e ognuno di noi ha le sue, private o pubbliche: e qualcuno può persino andarne fiero. Ma come stanno passando le giornate – le settimane, i mesi, gli anni – la nostra politica, il nostro dibattito pubblico, il nostro impegno, la storia di questo paese che siamo stati abituati a pensare come un progresso, finora? Cosa stiamo costruendo, cosa abbiamo costruito? Quanto resterà, cosa sarà cresciuto? Ci riguarda? Cosa diremo quando guarderemo indietro? Bella frase. Segnarsela, speechwriters. Luca Sofri (Wittgenstein)
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Referendum (2/2)
Il post troppo lungo di cui mi sono già pentito. Segue da qui.
Seconda parte - pareri personali e spunti di riflessione
4 - Di rappresentanza e corruttibilità
Come accennato nella puntata precedente, un taglio secco dei parlamentari non accompagnato da una riforma organica è un po’ tipo guardare una nuvola, chi ci vede un’ochetta, chi mazinga, chi un cazzetto buffo, ed è il principale motivo di una spiccata incomunicabilità di pensiero fra i sì, i no e i boh (almeno: più del solito). Hai un bel da dire “guarda arriva una nuvola a forma di cazzetto buffo” a chi ci ha visto un’ochetta. Non lo convinci e ci fai la figura di quello che vede cazzetti buffi dappertutto.
Gli unici dati moderatamente oggettivi mi sembrano due: il primo è che se non viene modificata l’attuale legge elettorale il meccanismo di rappresentanza che ne uscirà farà particolarmente schifo; il secondo è che questo intervento pur privo di una direzione univoca è stato un elemento comune ad una certa categoria di riforme che puntavano di volta in volta alla repubblica presidenziale, al superamento del bicameralismo, ad un maggioritario aggressivo, in ogni caso lontano da un contesto proporzionale e con un più o meno implicito depotenziamento di una (eventuale?) espressione di preferenze.
Poi possiamo discutere fino a notte dell’ampiezza del passo, ma è la direzione che non mi piace particolarmente.
Altri due elementi, forse più soggettivi (anche se non mi sembrano così soggettivi, ma mai porre limiti ai cinquestelle): il primo: in Italia abbiamo una gloriosa tradizione di compravendita di parlamentari di cui è lecito supporre che i casi noti siano solo la punta dell’iceberg. In un parlamento a numeri ridotti spostare 5 voti cambia drasticamente il range di cose che puoi ottenere. Questa cosa un po’ mi inquieta anche se noto che siamo in pochi.
Il secondo: è plausibile che con una riduzione così spinta della rappresentanza vadano un po’ a soffrire le voci fuori dal coro, con un appiattimento dei candidati alla cieca obbedienza alle indicazioni di partito (quello che sancirebbe la costituzione con la non troppo amata assenza di vincoli di mandato). É un’arma a doppio taglio: per ogni Civati c’è una Binetti, eccetera, però tornando ad un discorso di espressione di preferenze, idealmente sarebbe carino un sistema nel quale vai a votare una persona che è, sì, inquadrata in un movimento politico ma ha una sua testa che plausibilmente si è fatta un minimo conoscere dal suo bacino elettorale permettendoti di votare qualcuno/a che per le questioni che magari esuleranno dal programma elettorale ragionerà su binari su cui ti riconosci, oppure che per motivi biografici sia particolarmente impegnato/a su fronti e temi a te cari, eccetera.
É un tema da un lato forse utopistico, dall’altro non condiviso: per i cinque stelle i candidati devono essere una rigida espressione del movimento e vorrebbero direttamente istituire un qualche vincolo di mandato. Il PD ultimamente non dico che si sta allineando ma poco ci manca. Poi sì, c’è chi non la considera una risorsa ma la fonte di tutti i mali, di tutti i Razzi e i De Gregorio e i Barbareschi ma non riesco a immaginare come ridurre la rappresentatività possa innescare un’inversione di rotta, o in altre parole che una modifica del contenitore migliori la qualità del contenuto. Il ché ci porta al punto successivo:
6 - Di strumenti e di chi li usa
Ho sentito un numero preoccupante di persone raccontarmi che non andranno a votare sulla modifica costituzionale di uno strumento di rappresentanza perché (parafraso togliendo le parolacce) sono disamorati dell’attuale classe politica.
Noto un po’ di confusione fra ruoli e persone che le ricoprono: qualsiasi cosa uscirà da questo referendum ce la terremo per un pezzetto anche se fra qualche anno arrivasse una classe politica particolarmente illuminata, o particolarmente più incompetente (e avrebbe senso perdere un po’ di tempo per immaginarsi a modino entrambi gli scenari prima di votare).
In altre parole ho già difficoltà normalmente con l’assenteismo, fatico particolarmente a capire in questa circostanza perché astenersi dal pronunciarsi su un meccanismo di rappresentanza, per quanto marginale.
Un’altra posizione curiosa che ho incrociato è la tesi quasi diametralmente opposta secondo cui questa riduzione darebbe in qualche modo una scossa al parlamento, un segnale che devono “avere paura” (cito sia un amico che un articolo che ora non ritrovo). In altre parole che una riforma votata ad ampissima maggioranza e con il supporto esplicito di tutti i principali partiti abbia in qualche modo degli elementi di cambiamento sovversivo.
Diciamo che se proprio volete usare l’attuale composizione parlamentare come elemento utile a prendere una decisione sul referendum, tenete conto che saranno quelle facce lì a dover discutere e approvare la nuova legge elettorale post-riforma. E ho visto film horror con premesse più deboli.
7 - Conclusioni, saluti e buffet finale
Come i più scaltri a questo punto avranno probabilmente intuito: andrò a votare, e andrò a votare per il no.
Chiariamoci, non è che mi stracci le vesti per la questione. E tanto so che finiremo sommersi dai sì. Ho scritto questo papiro giusto per farmelo uscire dalla testa (ditemi che non capita solo a me) e per avere un prestampato comodo da mandare a quei pochi e incauti amici indecisi che mi chiedono “ma cosa ne pensi?”
Ci sono questioni più importanti? Sicuro. Mica guerre e carestie, anche solo discutere di una legge elettorale decente sarebbe probabilmente più utile di affettare con l’accetta le due camere. Ma la domanda che troveremo sulle schedine il 20 e il 21 non è “hai una bella idea per aiutare il paese?” ma:
«Approvate il testo della legge costituzionale concernente"Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari", approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?» (*)
E, mano sul cuore, faccio davvero tanta fatica sia a rispondere sì che a non dire niente.
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Se ti piace il calcio e’ interessante
In realtà non mi piace il calcio, ma i film biografici non sono male
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15 film biografici sulle grandi scrittrici da non perdere
15 film biografici sulle grandi scrittrici da non perdere
Film biografici: la lista dei 15 migliori biopic dedicati alla più garndi scrittrici di tutti i tempi Ispirate, ispiratrici. Sono le donne che hanno lasciato un’impronta indelebile nel mondo – un tempo esclusivamente maschile – dell’editoria. Sono le donne coraggiose dotate del prezioso talento della scrittura, romanziere, saggiste, giornaliste. Autrici di libri che ci hanno emozionato e cambiato…
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Nel 70° anniversario di "Malafemmena" nasce Totò Poetry Culture
Totò Poetry Culture è il duo napoletano che include il poeta/performer Gianni Valentino e il producer/musicista Lello Tramma. Insieme, i due artisti hanno approfondito e studiato la produzione poetica di Totò per poi creare un arcobaleno di musica elettronica – digitale e analogica – con cui attualizzare quei componimenti antichi. In un sentiero creativo che galleggia tra atmosfere electro | dub | chill | funk | sufi | ambient | soul | micro-techno | folk, i versi del Principe della risata e del corteggiamento pulsano di battiti contemporanei proprio nella stagione in cui si celebra il 70° anniversario di Malafemmena. Così da mercoledì 11 agosto – data non casuale, voilà – chiunque potrà salire a bordo di questo tappeto volante e sperimentare sensazioni inedite attraverso il groove del mashup “Core analfabeta / Ammore perduto”, il cui video è visibile al link www.youtube.com/watch?v=x8rF0nIGnFk&t=21s. Totò, recitando il ruolo di Jago nell’episodio “Che cosa sono le nuvole?” diretto da Pier Paolo Pasolini nel film collettivo “Capriccio all’italiana” , viene abbandonato in una discarica e, guardando il cielo, esclama: “Ah, straziante meravigliosa bellezza del creato. Ah”. A quella meravigliosa innocenza rendiamo omaggio con una clip che riabbraccia la natura nel suo agire. Quella natura che ci è stata sottratta durante la pandemia Covid-19, costringendoci alle nostre celle-abitazioni. Più noto con lo pseudonimo Totò, all’anagrafe imperiale Principe di Bisanzio, de Curtis è stato autore di decine di scritti: amorosi, familiari, sociali. E di alcune memorabili canzoni, che tutt’ora si cantano ovunque nel pianeta: dal Mediterraneo all’Asia all’Europa del Nord. La sua maschera al cinema e a teatro ha però – spesso e involontariamente – allontanato gli appassionati, anche i più devoti, dalle poesie che ha firmato in autonomia artistica e che solo più tardi sono state comprese nella loro dimensione, nella passione e nella profondità. C’è un senso ritmico e musicale innato – pur essendo egli analfabeta di pentagramma – nell’artista napoletano e il progetto Totò Poetry Culture ne rigenera le fonti e lascia che queste risorgano. Proprio nell’anno dello speciale anniversario di quello che è un monumento all’amore santo, eterno, maledetto e disgraziato: Malafemmena. A quell’ambivalente sentimento, radioso e disperante, salvifico e letale, psicotico e inebriante, Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno de Curtis ha intitolato rime e assonanze di grazia cristallina. Nel suo sound, il poeta-principe ha rintracciato una luna con cui ancora si illuminano emozioni private, intimità, fatti biografici, penitenze, eccessi. Il progetto debutta ufficialmente online con una prima traccia, un mashup romantico e accelerato fra Core analfabetae Ammore perduto, nella data fatidica dell’11 agosto. In quel giorno lontano del 1951, per la Festa di Piedigrotta targata La Canzonetta, Malafemmena venne eseguita per la prima volta in teatro dal cantante Mario Abbate. Dal focus rétro dedicato alla signora Diana Bandini Rogliani l’avventura si irradierà e nei mesi a venire, assieme ad altri esperimenti musicali abbinati alle liriche (i versi sono raccolti nel libro Antonio de Curtis IL PRINCIPE POETA a cura di Elena Anticoli de Curtis e Virginia Falconetti – Colonnese editore), naturalmente anche la nuova Malafemmena troverà la sua dimensione moderna. Poiché ancora adesso quel ritornello rabbioso è il simbolico testamento dell’attore-marionetta scomparso nella primavera del 1967. Da quel ricordo, e da quel foglio autografo del 1951 dedicato alla sua Mizuzzina, il duo omonimo che include il poeta/performer Gianni Valentino e il producer/musicista Lello Tramma riparte per trasportare le pagine di Totò in un segmento futuribile e digitale. Che non rinuncia al mood analogico, tra oud, pianoforte, synth, sample, chitarre, theremin, violoncello, tromba, saz, basso. A ridosso di Natale, infine, Totò Poetry Culture porterà nelle mani dei fan del Principe, e di coloro che vogliono ancora scoprirne il genio polimorfo, una doppia sorpresa per collezionisti doc. Ma adesso c’è il mashup. Primo round di questo lungo viaggio. “Poesia e musica elettronica trovano la loro simbiosi”, racconta Gianni Valentino, ideatore del progetto e voce recitante di Totò Poetry Culture. “Lo spoken word e il groove sonoro sono stati creati all’unisono. Non si trattava di comporre le musiche e, dopo, in maniera passiva, interpretare i versi. Né viceversa. Abbiamo lavorato esotericamente in studio di registrazione e anche distanti, nelle rispettive case, senza sosta. Rapiti da questa voragine poetica. In un frangente di furiosa depressione umana, spirituale e creativa (specialmente dovuta al secondo lockdown Covid), l’arrivo di questa idea è stata una luce miracolosa per rialzarmi. La citazione che apre la clip è l’ultima battuta cinematografica pronunciata da Totò. Ogni volta che ho visto quelle immagini del Principe-marionetta Jago scaraventato nella discarica di rifiuti dallo spazzino (Domenico Modugno) ho sentito una commozione smisurata, incontenibile. In quella faccia verde di Totò è concentrato l’incanto, la meraviglia innocente, la sensibilità dell’uomo-artista-poeta, la gioia e il martirio di aver intensamente vissuto, creato, amato. Per celebrare, anche visivamente, l’anniversario di Malafemmena e della costellazione dei suoi versi era sacrosanto iniziare dall’ultimo ciak di Totò con Pasolini. Così come fu per lui in quel sospiro d’addio, quella natura è oggi la nostra resurrezione di comunità. La reazione all’infinita galera subita a causa del Covid, quando ciascuno di noi è stato rinchiuso nelle proprie celle-case”. Dal canto suo, il producer/musicista Lello Tramma aggiunge: “Dopo venti anni di produzioni, album, concerti, collaborazioni con artisti italiani e internazionali, sono felice di aver partecipato finalmente a un progetto nel quale non ricopro il ruolo del leader. Mi fa sentire più rilassato e pure più responsabile perché sono cresciuto musicalmente e sono più consapevole. Talvolta è piacevole restare leggermente dietro le quinte”. Read the full article
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Casanova
Il fascino di Heath Ledger nei panni del celebre seduttore Casanova, in un film ispirato liberamente al donnaiolo veneziano, senza intenti biografici o moraleggianti. Bene così, perché il film di Lasse Hallström intrattiene dal primo all’ultimo minuto con un ritmo frenetico, che alterna alle numerose vicende amorose una serie di divertenti spunti comici.
Fughe rocambolesche, scambi di identità,…
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8 MAR 2019 15:19
PINO SECOLARE - È MORTO A 84 ANNI L'ATTORE PINO CARUSO, INTERPRETE DELLA SICILIANITÀ PIÙ AUTENTICA – NEGLI ANNI ’60 FECE PARTE DEL BAGAGLINO PER POI PASSARE ALLA TV – FU PROTAGONISTA A FIANCO DI BAUDO NEGLI ANNI ’80 E IN SEGUITO NELLE FICTION - FU UNO DEI POCHI, CON LANDO BUZZANCA E FRANCO E CICCIO, A SDOGANARE IL DIALETTO SICILIANO IN TV - VIDEO
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Maurizio Porro per corriere.it
Da bravo siciliano purosangue Pino Caruso, morto ieri a Roma a 84 anni, aveva segnato la sua carriera nel nome di Pirandello: iniziò con «Il gioco delle parti», finì con «Non si sa come» ma in mezzo ci furono altre opere dello scrittore fra cui «Il berretto a sonagli». Prima di Camilleri e di Ficarra e Picone, Pino Caruso fu uno dei pochi, con Lando Buzzanca e Franchi e Ingrassia, a sdoganare il dialetto siciliano in tv.
Fu un personaggio dalle molte vite, al cinema, in teatro, sul piccolo schermo e in letteratura con alcuni libri non solo biografici molto ben accolti, tra poesie e aforismi. E fu anche organizzatore di eventi nella stagione 95-97 quando era sindaco a Palermo Leoluca Orlando e Caruso si adoperò per rendere kolossal la Festa di Santa Rosalia, protettrice della città, e organizzò «Palermo di scena» una rassegna cui fece intervenire nomi a volte irriverenti e di gran prestigio come Sakamoto, Carmelo Bene, Dario Fo. Poi anche i rapporti ufficiali con l’amministrazione della sua città sono cambiati e il nostro attore è rientrato a fare l’attore e basta, ma con un senso di amarezza e di ingiustizia in più. Nato palermitano il 12 ottobre 34, prima di arrivare a Roma e poi a Milano col Bagaglino, fu voce recitante per Mozart al Massimo di Palermo e certo fu scritturato dallo Stabile di Catania.
La sua fama alla fine degli anni 60 è soprattutto televisiva:«Che domenica amici» (in cui tiene la rubrica «Diario siculo») e poi «Gli amici della domenica» (1970), «Teatro 10», «Dove sta Zazà» di Castellacci, Pingitore e Falqui (il suo clan artistico), «Mazzabubù» e serate musical con la Vanoni («Due di noi») e Milva («Palcoscenico»). Dirige per Raitre un film sul caso Tortora e va ospite da Baudo e la Carrà, poi a Canzonissima, Portobello, Fantastico, il supermercato della tv nazionale popolare che in seguito lo vede nella serie di Canale 5 i «Carabinieri».
Molti i film cui partecipò (debuttando nel musicarello «La coppia più bella del mondo») nessun vero protagonista, ma alcune partecipazioni che si ricordano: il don Cirillo di «Malizia» best seller di Samperi con la bomba Laura Antonelli, il commissario del giallo alla torinese «La donna della domenica» e un umanissimo sacerdote nella «Matassa» di Ficarra e Picone. Col teatro, quello vissuto sera per sera, palco per palco, Caruso ebbe un rapporto vero e vissuto, occupandosi molto anche del sindacato attori.
Recita un altro grande siciliano come Vitaliano Brancati («Don Giovanni involontario») e poi scrive egli stesso i testi di due successi in giro per l’Italia, «Conversazione di un uomo comune» e «La questione settentrionale». Non riconciliato del tutto con la cultura dominante, Caruso fu un attore eccentrico, capace di satira politica e avvolto nelle sue radici culturali, finendo col monologo «Mi chiamo Antonio Calderone» della Maraini, tratto dal libro di Arlacchi.
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Dall’articolo “Netflix, ecco i codici per le categorie segrete" di Alessandro Crea
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