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"Il Mistero della Sfera" di Michele Tiralosi: Un’avventura tra mistero e scienza. Recensione di Alessandria today
Un viaggio straordinario attraverso enigmi, amicizia e pericoli nascosti.
Un viaggio straordinario attraverso enigmi, amicizia e pericoli nascosti. “Il Mistero della Sfera”, scritto da Michele Tiralosi, è un romanzo d’avventura che cattura l’immaginazione e tiene il lettore incollato fino all’ultima pagina. Ambientato in un tranquillo paese di montagna, il libro combina il fascino delle scoperte archeologiche con il brivido della fantascienza e del mistero, rendendolo…
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Tutto ciò che serve per il viaggio al centro della Terra
Dal capitolo 11 del romanzo “Viaggio al centro della Terra”, di J.Verne – fino alla rottura degli stessi – gli apparecchi Ruhmkorff sono imprescindibili compagni di viaggio per i tre esploratori diretti nelle viscere della Terra.
…Due apparecchi Ruhmkorff, i quali, per mezzo d’una corrente elettrica, davano una luce molto portatile, sicura e poco ingombrante. L’apparecchio di Ruhmkorff consiste in una pila di Bunsen, messa in attività per mezzo del bicromato di potassio, che non dà alcun odore; una bobina d’induzione mette l’elettricità prodotta dalla pila in comunicazione con una lanterna disposta in un modo particolare, in cui si trova una serpentina di vetro nella quale è stato fatto il vuoto ed è rimasto solo un residuo di acido carbonico o di azoto. Quando l’apparecchio funziona, quel gas diventa luminoso producendo una luce biancastra e continua. La pila e la bobina sono collocate in una sacchetto di cuoio che il viaggiatore porta a bandoliera. La lanterna, collocata esteriormente, illumina abbastanza nella più profonda oscurità, permette di avventurarsi, senza temere alcuna esplosione, fra i gas più infiammabili, e non si spegne neppure nei più profondi corsi d’acqua…
Così il celebre scrittore francese descriveva l’apparecchio Ruhmkorff nei suoi romanzi scientifico-avventurosi, 1864-1865. Gli apparecchi Ruhmkorff, saranno per i tre protagonisti le uniche fonti di luce da quando decideranno di calarsi nella bocca del vulcano Sneffels, in Islanda. Gli apparecchi compariranno anche un anno più tardi, nel romanzo “Dalla Terra alla Luna”,assieme ad altri strumenti oggi desueti e/o pericolosi, ma all’epoca imprescindibili per avventure di questo tipo.
Piccoli strumenti, grandi imprese
A causa di vecchi e dubbi appunti di uno sconosciuto scienziato, i tre partiranno alla volta del centro del globo, e la loro vita sarà inesorabilmente in mano agli apparecchi di Ruhmkorff e ad altri piccoli strumenti come cronometro, barometro, termometro etc. Un pull di oggetti che all’epoca costituiva l’unico mezzo trasportabile fuori da un laboratorio e utile a trarre conclusioni scientifiche, ipotizzare principi e orientarsi in ambienti ostili.
Se pensiamo ad esempio alle esplorazioni oltreoceano, o a quelle sotterranee, oltre a carte approssimative, non vi erano chissà quali mezzi cui appoggiarsi, soprattutto in caso di necessità. La bobina a induzione, alias rocchetto di Ruhmkorff, è alla base dell’apparecchio citato da Verne. All’epoca, il rocchetto era considerato un oggetto rivoluzionario, e ha contribuito grandemente allo sviluppo di molti altri strumenti basati su Legge di Faraday et similar.
Heinrich D. Ruhmkorff, il tecnico premiato da Napoleone
H. D. Ruhmkorff è stato un elettromeccanico tedesco dalla carriera piuttosto curiosa. Non essendo benestante, dopo le scuole elementari dovette cercarsi un impiego. Lavorò presso varie officine tecniche, e si interessò prontamente ai lavori di grandi scienziati come Davy, Faraday, Herschel e Brewster. Raggiunta l’età adulta ed una notevole esperienza, si mise in proprio, e a Parigi, si dedicò alla costruzione di strumenti utili nel campo della fisicasperimentale. Talento e impegno gli valsero clienti come i grandi professori e i ricercatori della Sorbona.
Legion d’onore e premio Volta
La realizzazione del rocchetto valse a Ruhmkorff la croce de l’Ordre national de la Légion d’honneur – corporazione volta a premiare il merito sociale o militare istituito da Napoleone Bonaparte – che costituiva al tempo lamassima onoreficenza concessa dalla Repubblica francese. Ad oggi l’ordine è ancora in vigore, ed al vertice vi è il Presidente della Repubblica francese. Nel ’64, per la bobina a induzione, Ruhmkorff si aggiudicò anche il premio Volta di 50.000 franchi, istituito sempre da Napoleone III, che premiava le straordinarie scoperte scientifiche legate all’elettricità.
Rocchetto di Ruhmkorff, il generatore che ha fatto storia
Ruhmkorff costruì il suo rocchetto ad induzione nel 1851. In realtà si dice non sia stato il primo a brevettare la bobina a induzione, attribuita poi a N.Callan, 1836. Tuttavia la versione di Ruhmkorff, migliore delle precedenti, ha riscosso molto più successo di quella del filosofo irlandese. Il funzionamento di questo meraviglioso aggeggio si basa sulla legge di Faraday (1831) o dell’induzione elettromagnetica. Ricordiamola brevemente.
Legge di Faraday
Consideriamo una superficie delimitata da un circuito elettrico. Poniamo anche che il flusso del campo magnetico che attraversa questa superficie sia variabile nel tempo. Secondo Faraday, nel suddetto circuito, si genera una grandezza corrispondente alla differenza di potenziale massima ai capi di un generatore sconnesso dal circuito. Questa grandezza indotta, detta f.e.m, forza elettromotrice, sarà pari all’opposto della variazione temporale del flusso.
…Non si conoscono altre località della fisica in cui la reale comprensione di un così semplice ed accurato principio generale richiede l’analisi di due fenomeni distinti.
Dunque il rocchetto sfrutta i periodi variabili e a basso potenziale, pertrasformare la corrente continua, in corrente alternata ad alto potenziale. L’intensità del fenomeno dell’induzione è direttamente proporzionale all’area dei due circuiti coinvolti e alla permeabilità del mezzo in cui si collocano.
Funzionamento del rocchetto di Ruhmkorff
Il rocchetto di Ruhmkorff si compone di un nucleo ferromagnetico, attorno al quale sono avvolti un circuito primario ed uno secondario, ovvero due bobine, solenoide in rame. Il primario è alimentato da una batteria e include un interruttore con in serie un sistema a martelletto. Quest ultimo, al magnetizzarsi del nucleo secondo il passaggio di corrente, interrompe ogni volta il contatto. Ad ogni interruzione corrisponde una magnetizzazione del nucleo, con il martelletto che si riposiziona chiudendo il circuito. Così, nel circuito secondario, che ha molte più spire del primario ed è a filo sottile, circola corrente continua, alternativamente in un verso e nell’altro.
Riassumendo…
Abbiamo che il circuito primario, percorso da una corrente generatrice del campo magnetico, funge da induttore e accumula energia nel campo magnetico associato. Il secondario, secondo la legge di Faraday, è attraversato da un violento impulso ad alta tensione, generato interrompendo la corrente, grazie al brusco calo del campo magnetico generato.
Semplificando…
Ad un nucleo di fili di ferro è avvolto il solenoide primario, collegato a un interruttore in grado di interrompere il flusso di corrente. Il secondario invece, di norma è avviluppato in bobine sopra al primario, ha un numero di spire molto maggiore, e costituisce il circuito dove la tensione è indotta. Questa tensione è conseguente alla rapida variazione del flusso magnetico a livello del nucleo.
Dal rocchetto alla lampada di Ruhmkorff
La lampada citata da Verne è dunque un applicazione del rocchetto visto sopra. È stata progettata da Camille Benoît e da Alphonse Dumas. Questo strumento, nato per il lavoro in miniera, costituiva la forma primitiva della nostra torcia portatile. Sostanzialmente si componeva di un tubo di Geissler, eccitato dalla bobina di di Ruhmkorff, collegata a sua volta ad una batteria. Il tubo di Geissler è semplicemente un tubo di vetro contenente gas rarefatti, sigillato ed evacuato, che porta un elettrodo per ciascuna estremità.
Se tramite i due elettrodi facciamo scorrere elettricità internamente al tubo, questa ionizza il gas in esso contenuto. Da quí, secondo i fenomeni della scarica a bagliori di gas e della fluorescenza, si genera luce. La seconda versione, utilizzava l’azoto, mentre la prima anidride carbonica. A causa della decomposizione di quest’ultima, si optò per l’N, che produceva una luce rossa invece che bianca. Oltre a questo si iniziò ad impiegare un vetro ai sali di uranio, verde fluorescente.
Di nuovo abbiamo dimostrato come la scienza e le sue teorie ci abbiano accompagnati fin dagli albori della civiltà, e come molte delle applicazioni che oggi utilizziamo quotidianamente e senza rifletterci, siano il – non semplice – frutto di lungimiranti studi scientifici.
Nata e cresciuta a Bologna, studentessa di Ingegneria. Sono appassionata di fisica, meccanica, ma soprattutto di ingegneria dei materiali e della sicurezza. Progettista Formula SAE materiali compositi, concentro i miei studi sui sistemi di sicurezza nel Motorsport.
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ANCONA – Non solo visite guidate. L’Associazione Ancona sotterranea, che ha ottenuto l’incarico dal Comune di Ancona di rendere fruibili i cunicoli sotterranei cittadini, sta svolgendo anche un’opera di valorizzazione e ricerca scientifica dalla quale sono emerse importanti novità.
Sul versante delle aperture a fini turistici, circa 500 persone hanno potuto visitare nel 2018 gli spazi ipogei, ossia quelli della cisterna sotto piazza Stamira (che comprende anche l’antica cisterna dietro le 13 cannelle) e quelli, aperti più di recente sotto il viale della Vittoria. Per prenotare occorre inviare una email a: [email protected] (vedi anche il sito www.anconasotterranea.it e la pagina facebook http://bit.ly/2FXv14W).
Il 2018 è stato proficuo dal punto di vista esplorativo e scientifico. L’Associazione è finalmente riuscita ad effettuare tutta una serie di studi sulle acque sotterranee che percorrono il sottosuolo cittadino effettuando analisi chimiche, colorazioni con traccianti colorati e misure di portata. Studi e ricerche relative al percorso delle acque che, provenienti probabilmente dal Monte Conero, compiono nel sottosuolo della città dorica confermano quello che da tempo gli speleologi dell’associazione avevano ipotizzato, ossia che le acque che percorrono i cunicoli sotterranei del viale della vittoria, di cui se ne perde traccia proprio nel sotterrano sotto via Trento, denominata la Chioccia, sono le stesse che alimentano le cisterne di piazza Stamira.
La Chioccia, il cui nome deriva da una antica leggenda legata ai cunicoli del Monte Conero, cela ancora il suo mistero. Di fatto ad oggi non è chiara la sua funzione, anche se certamente la sua ubicazione e le particolari caratteristiche fanno pensare ad uno smistatore di acque; in questo senso l’opera sotterranea è del tutto simile ai castellum aquae dell’antica Roma, che derivavano l’acqua tramite condotti, per poi distribuirla nei distretti cittadini secondo necessità.
Ancona, come testimoniato dall’ultimo fontaniere della città, Ugo Menghini, aveva un acquedotto alto e uno basso, probabilmente “la chioccia” era proprio il luogo (o uno dei luoghi) da cui l’acquedotto antico proveniente dal Conero, distribuiva l’acqua nel distretto della città antica (zona piazza del Plebiscito e fino alle falde del colle del Guasco) e verso il porto, mediante acquedotto alto e basso.
Da ulteriori indagini, effettuate con strumentazioni di precisione, sono state misurate le portate dei torrenti sotterranei, dalle quali si evidenzia che la quantità di acqua che alimenta “la chioccia” è quasi la metà di quella che ritroviamo nelle cisterne di piazza Stamira. Tale incremento di portata si può giustificare solo con la presenza di un ulteriore affluente, ad oggi sconosciuto, ma che probabilmente è in relazione con i cunicoli segnalati molti anni fa al di sotto del palazzo delle ferrovie, probabilmente provenienti dalla zona del Pincio.
Sempre il Menghini raccontava che sotto Ancona erano presenti tre “chiocce” e non è da escludere che proprio nel tratto ancora sconosciuto ce ne possa essere una che unisca i due acquedotti. Alla luce del fatto che oramai siamo certi che l’acqua del Viale è la stessa di piazza Stamira e che la quantità si raddoppia nel tratto tra via Trento e Piazza Stamira, dove evidentemente l’acqua scorre in cunicoli inesplorati, l’esistenza di un ulteriore ramo alto dell’acquedotto non è poi così remota.
A conferma di quanto esposto è stata molto utile la recente scoperta di un nuovo cunicolo nella Gradina di Monte Conero da parte dagli speleologi dell’associazione Ancona sotterranea.
In passato si conosceva il Cunicolo del Buco del Diavolo e altri tratti di cunicoli (cunicoli del Fosso della Tomba) nella campagna alle falde del Conero; la presenza enigmatica di questi cunicoli è stata spiegata nel passato dallo storico Alberto Recanatini come i tratti superstiti di un antico acquedotto che dalla sorgente di Capodacqua, nel territorio di Sirolo, alimentava la città di Ancona: l’evidenza di questo sta nel fatto che la quota della sorgente è la stessa dei cunicoli del Conero
Successive ricerche effettuate dall’associazione Ancona sotterranea hanno portato al ritrovamento di fonti antiche e resti di opere idrauliche ad una quota superiore ai cunicoli del Buco del Diavolo, portando ad ipotizzare un acquedotto “alto” anche al Conero, esattamente come ad Ancona; in questo caso la quota più elevata trova giustificazione nell’approvvigionamento idrico di antichi insediamenti sulle Gradine del Conero ad una quota, appunto, più alta.
Considerate le analogie strutturali e la tipologia dei cunicoli, sembra di poter dire che Ancona era effettivamente alimentata in buona parte dalle acque del Conero e che, probabilmente, tra il Conero e la città, potrebbe esistere un’antica rete di cunicoli facenti parte di un’opera di alta ingegneria estesa per almeno 20 km.
Questo apre il campo ad una serie di domande: come giustificare un’opera monumentale idraulica di queste proporzioni? Forse Ancona, il Conero e Numana avevano un’importanza strategica nell’antichità, importanza di cui forse ancora non si è compresa la portata. Insomma, le ricerche sui misteri che nasconde il sottosuolo dorico sono lungi dal terminare e anzi proprio in virtù della convenzione che il Comune ha con l’associazione Ancona Sotterranea, hanno trovato negli ultimi due anni possibilità di sviluppo eccezionali.
“La nostra speranza -dicono i rappresentanti di Ancona sotteranea- è di riuscire, entro breve, a dare una svolta alle esplorazioni del tratto mancante e misterioso di questo antico acquedotto; ma anche che, grazie all’interessamento del Comune di Ancona, si possano aprire al pubblico anche le visite alla leggendaria “Chioccia”, cosi come da due anni avviene con le cisterne del Calamo, di piazza Stamira e dei cunicoli del Viale”.
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