#erba e poesia
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Omaggio a Giorgio Caproni: Una riflessione sul tempo e l’anima. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nella profondità del vivere attraverso i versi di Caproni
Un viaggio nella profondità del vivere attraverso i versi di Caproni Biografia dell’autore. Giorgio Caproni (1912-1990) è stato uno dei più grandi poeti italiani del Novecento. Nato a Livorno, trascorse la sua giovinezza a Genova, città che influenzò profondamente la sua poetica. Dopo aver partecipato alla Resistenza, si trasferì a Roma, dove lavorò come insegnante e poeta. Caproni è noto per…
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Il profumo dei frutti di bosco
è una poesia difficile da ripetere,
coinvolge tutti i sensi per breve tempo e poi svanisce.
È una dolce fragranza, leggera e vaga
come spesso sono le cose belle.
È erba bagnata e sentore di rugiada,
è piccola vita nascosta tra l’intrico di verdi foglioline.
E questa è proprio felicità!
Miss Fletcher
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Viviamo in un’epoca di interminabili seminari di creazione letteraria, corsi universitari di scrittura (figuriamoci, laurearsi in scrittura!), ci sono più poeti per centimetro quadro che erba nei giardini, più riviste di poesia, più libri di poesia (la maggior parte di questi pubblicati a pagamento, da case editrici che l’anno prossimo non esisteranno più), competizioni poetiche, performance poetiche, kermesse poetiche… e tuttavia, nonostante tutta questa attività, poco di importante si è scritto, si scrive .... Ormai nessuno crede che la poesia (o l’arte) sia in grado di cambiare il mondo. Nessuno si sente di compiere una missione sacra. Ci sono poeti dappertutto, che parlano soltanto tra di loro.
Paul Auster
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Poco prima di suicidarsi, il 25 ottobre del 1938, la grande poetessa Alfonsina Storni spedì un’ultima poesia al giornale argentino La Nación. La poesia s’intitola Vado a dormire, e recita così:
Denti di fiori, cuffia di rugiada,
mani di erba, tu, dolce balia,
tienimi pronte le lenzuola terrose
e la coperta di muschio cardato.
Vado a dormire, mia nutrice, mettimi giù.
Mettimi una luce al capo del letto
una costellazione; quella che ti piace;
tutte van bene; abbassala un pochino.
Lasciami sola: ascolta erompere i germogli…
un piede celeste ti culla dall’alto
e un passero ti traccia un percorso
perché dimentichi… Grazie.
Ah, un incarico
se lui chiama di nuovo per telefono
digli che non insista, che sono uscita…
“Dovremmo definirci le fuori-posto. Stiamo come fuori dal centro. Non ci inseriamo come si deve in nessun ambiente. Alcuni ci stanno stretti, altri larghi”.
Alfonsina Storni
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IL calendario dei desideri di ROSA MANNETTA
I desideri sono il motore silenzioso che muove la nostra vita. Sono quelle scintille intime, a volte fragili, a volte impetuose, che illuminano il percorso della nostra esistenza. Desiderare è un atto profondamente umano: significa guardare oltre ciò che è, immaginare ciò che potrebbe essere, e lasciare che la nostra immaginazione si intrecci con la realtà. Essi ci spingono a crescere, a esplorare, a sperare. Alcuni desideri si avverano, e ci colmano di gioia; altri ci lasciano delusi, ma ci insegnano qualcosa di importante su noi stessi e sul mondo. La vera magia non è solo nel raggiungere ciò che desideriamo, ma nel viaggio che intraprendiamo per farlo e nelle persone e esperienze che incontriamo lungo il cammino. Cosa sono i desideri? Siamo noi con le nostre emozioni, siamo noi con ciò che siamo dentro. La dott. Graziella Di Grezia, ha descritto il “CALENDARIO DEI DESIDERI” con la poesia del suo animo…lei poeta gentile del nostro tempo. Walt Whitman scriveva: “La poesia rinasce come un filo di erba”.
ROSA MANNETTA
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l vento sa quel che fa?
Occorre chiedere ad Αιολος.
Sia o non sia lui a fare, l'effetto talora è divino.
Succede quando muove tenda come faceva coi panneggi il raffinatissimo pittore Louis Girodet de Roussy.
E quando tale azione è sensibilmente colta dal dito pigiato di Raul Cantù (grazie Angela Lomele - anche Tu sopraffina pittrice - per la sensibilità divulgativa al riguardo) e di Jerome Jofred Cyriac.
Raul trova un capolavoro involontario, e lo rende ancor più pregnante.
Il modo in cui l'ombra del drappo accarezza parete.
Il modo con cui luce sceglie quale piega baciare.
ll cullante tono che Raul conferisca all'immagine.
L'eterea cromia che ora soffonde ora sottolinea.
Jerome ha stretto un patto con la Natura.
Penetra Tu, là dentro, ha implorato, ed Essa l'ha esaudito.
Erba in stanza, eddunque.
L'occhio di Dio che non conosce barriere, e ogni cosa unisce in fervoroso abbraccio.
E Jerome, ispirato interprete dell'arioso eppur profondo canto.
Raul, Jerome.
O del tessuto come Poesia.
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Claudio Trezzani
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Una piccola raccolta nasce così da sola
Una piccola raccolta nasce così, da sola https://ift.tt/624HFVN NOTICINA INTRODUTTIVA Una mattina, era per la precisione il 25 novembre 2022, alle ore 10 e 44 minuti antimeridiane, il Barry (nome con cui confidenzialmente viene talora chiamato Fabio Barricalla) mi scrive, attraverso le vie eteree delle comunicazioni cellulariche, una poesia del genere haikai: Gocce sul prato Bianco e nero su verde - Giorno d'autunno Io rispondo, alle ore 10 e 51 minuti: Platano alto verde contro l'azzurro - Garibaldi Avenue Mi trovavo in un bar, effettivamente sito in corso Garibaldi, a Sanremo, ed effettivamente c'era un platano che si stagliava contro il cielo azzurro, lì appresso. La cosa non aveva nulla di sorprendente, giacché il corso Garibaldi di Sanremo è tutto costellato di platani. Assai più tardi, vale a dire alle ore 15 e 24 minuti, quindi in fascia postmeridiana, il Barry avrebbe replicato: Quella donna e quel platano Lungo la via deserta e la storia é finita lì. Sennonchè, avendo pensato di mettere al corrente l'amica Silvana Maccario delle prime mosse di questa conversazione in versi fra il Barry e me, alle ore 10 e 59 minuti ricevevo, dalla Silvana Maccario medesima, questa poesia: Perle di corniolo nel giardino per gli alati che non hanno denari E, alle ore 11 e 6 minuti, quest'altra: Il caleidoscopio si arabesca solo se viene capovolto La cosa aveva preso una piega imprevista. Di Silvana Maccario conoscevo la delicatezza e la giocosità di certe sue missive, conoscevo la dotta passione con cui lascia vivere un giardino di piante autoctone ed esotiche attorno a casa sua, conoscevo le immagini che crea - "collezionista effimera di colori", per designarla con una definizione da lei stessa coniata - fotografando le sue creature. Nulla sapevo di una sua arsversificatoria. Su mia richiesta si ha, nei giorni successivi, qualche invio di poesie e di fotografie. Una piccola raccolta nasce così, da sola, in pochissimo tempo, quello impiegato per la crescita di un fungo nel bosco, o per l'aprirsi di un fiore. Marco Innocenti [...] Lo sai che certe foglie prima di morire si vestono a festa? E che ci sono rose che per non invecchiare muoiono senza aprirsi? La lespedeza rovescia cascate di gioia Le plastiche sugli alberi sostituiscono gli uccelli. La civiltà impiccata Atropo sfingide della notte porta sulle ali il vessillo della morte In uno spazio angusto un ragno con la preda si è accasato Cuscini d'erba raccontano a grilli distratti tragedie umane Erba di mare dalla prateria di sale sulla rena fa la fine di Loth [...] Silvana Maccario, Margini, Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, gennaio 2023 via Aspetti rivieraschi https://ift.tt/dPb6BDT March 27, 2024 at 11:18AM
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Sei poesia
Che esprime il mio tormento
Erba tagliata, nei giorni d'aprile
A cercare quell'amor raro che conviva con l'amor proprio
Rugiada, per terra e negli occhi, vai un passo avanti
E senti la tua presenza, respirare, quel vento caldo che fa battere il tuo cuore
Perché la cicala canta e la formica lavora e il tuo lavoro è cantare
Perché sei dolce poesia che esprime un malinconico tormento
Che vedo, negli occhi nostri modesti: c'è vita, perché in te vedo grande speranza e ti amo con dolcezza
La stessa con la quale mi hai preso per mano e portato a mare nei giorni difficili
Sei poesia, e io lo sono col fiore che sboccia nonostante l'erba tagliata. -Val
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Orma la vita al vivere
Orma la vita al vivere
Orma la vita al vivere .. Orma la vita al vivere questo continuo d’insperato inatteso Inspiegato .. Più dispiega all’anima le tracce d’inconsueto più s’imprime il cielo alle notti di zolle arate al sudore di cercarsi .. E tutto s’azzurra .. Vero come l’immenso che universa pianeti e li fonde mistici nelle salive dei baci .. Stelle d’occhi socchiusi ai battiti unisoni come…
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#al tepore della sua primavera#all erba che ti fiora#all immenso profondo infinito#alle notti di zolle#allegro ed elegante#amarti#anche le lacrime tacciono#arate al sudore di cercarsi#bacio d unico#burla i tempi del tempo al sempre da sempre per sempre#caffè dell alba#Camelia Poesia di Francesco Nigri: Stipoli profumi e mai una spina / insistente come l&039;acqua liberata / delicata come i rivoli ordinati#come il cucirsi al dentro d un alto d aliti ai respiri#come il gelo fisso da rami a radici#come il sorriso al sole#come le gocce al labbro#come nebbia ritrovata in salive dell amarsi e ancora amarsi#come un osmosi d anime e carne#d un poi che si sfuma alle notti#d un rosso tulipano#d un sogno ai quindicanni#d un viaggio della notte ai passi delle vene#da questa bocca#da queste labbra disegnate ai miei occhi#dalla tua bocca#dei raggi ai petali#del polline al respiro#delicata come i rivoli ordinati#di bei sorrisi d occhi in rigogliosa di letto#dì comune in festa
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Implosion di Luciano Erba: Un Viaggio nel Tempo e nella Memoria. Recensione di Alessandria today
Un'analisi della poesia di Luciano Erba, tratto dalla raccolta L'ippopotamo, che esplora la memoria familiare, il Natale e le riflessioni sulla fugacità del tempo.
Un’analisi della poesia di Luciano Erba, tratto dalla raccolta L’ippopotamo, che esplora la memoria familiare, il Natale e le riflessioni sulla fugacità del tempo. Poesia: Dicembre mi ha dischiuso una finestranel giro che fa il Sole attorno all’Anno:è uno spaccato freddo, ma sul fondovi è una tavola bianca apparecchiata. Pranzi di Natale, ma io dov’ero?a destra del nonno socialista?abbiamo…
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Sarebbe bello:
io e te sopra un letto
e una canna
-lemiemalinconie
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Non si chiamava così ma era detto aquilone perché quando appariva nel campo di erba sembrava ondeggiare e quando vedeva da lontano Maria pareva innalzarsi portato dal vento e dall’emozione.
Vivian Lamarque, Era detto aqilone, da Teresino, Società di poesia, 1981
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octubre 2022
01
Mio marito morí a Roma nelle carceri di Regina Coeli, pochi mesi dopo che avevamo lasciato il paese. Davanti all’orrore della sua morte solitaria, davanti alle angosciose alternative che precedettero la sua morte, io mi chiedo se questo è accaduto a noi, a noi che compravamo gli aranci da Girò e andavamo a passeggio nella neve. Allora io avevo fede in un avvenire facile e lieto, ricco di desideri appagati, di esperienze e di comuni imprese. Ma era quello il tempo migliore della mia vita e solo adesso che m’è sfuggito per sempre, solo adesso lo so.
Natalia Ginzburg
02
La mia amica qualche volta dice che è stufa di lavorare, e vorrebbe buttar la vita ai cani. Vorrebbe chiudersi in una bettola a bere tutti i suoi risparmi, oppure mettersi a letto e non pensare piú a niente, e lasciare che vengano a levarle il gas e la luce, lasciare che tutto vada alla deriva pian piano. Dice che lo farà quando io sarò partita. Perché la nostra vita comune durerà poco, presto io partirò e tornerò da mia madre e dai miei figli, in una casa dove non mi sarà permesso di portare le scarpe rotte. Mia madre si prenderà cura di me, m’impedirà di usare degli spilli invece che dei bottoni, e di scrivere fino a notte alta. E io a mia volta mi prenderò cura dei miei figli, vincendo la tentazione di buttar la vita ai cani. Tornerò ad essere grave e materna, come sempre mi avviene quando sono con loro, una persona diversa da ora, una persona che la mia amica non conosce affatto.
Natalia Ginzburg
03
La natura essenziale della città è la malinconia: il fiume, perdendosi in lontananza, svapora in un orizzonte di nebbie violacee, che fanno pensare al tramonto anche se è mezzogiorno; e in qualunque punto si respira quello stesso odore cupo e laborioso di fuliggine e si sente un fischio di treni.
Natalia Ginzburg
04
Non c’era nessuno di noi. Scelse, per morire, un giorno qualunque di quel torrido agosto; e scelse la stanza d’un albergo nei pressi della stazione: volendo morire, nella città che gli apparteneva, come un forestiero.
Natalia Ginzburg
05
I suoi versi risuonano al nostro orecchio, quando ritorniamo alla città o quando ci pensiamo; e non sappiamo neppure piú se siano bei versi, tanto fanno parte di noi, tanto riflettono per noi l’immagine della nostra giovinezza, dei giorni ormai lontanissimi in cui li ascoltammo dalla viva voce del nostro amico per la prima volta: e scoprimmo, con profondo stupore, che anche della nostra grigia, pesante e impoetica città si poteva fare poesia.
Natalia Ginzburg
06
Non sarà necessario lasciare il letto. Solo l’alba entrerà nella stanza vuota. Basterà la finestra a vestire ogni cosa D’un chiarore tranquillo, quasi una luce. Poserà un’ombra scarna sul volto supino. I ricordi saranno dei grumi d’ombra Appiattati cosí come vecchia brace Nel camino. Il ricordo sarà la vampa Che ancor ieri mordeva negli occhi spenti.
Natalia Ginzburg
07
Ogni occhiata che torna, conserva un gusto Di erba e cose impregnate di sole a sera Sulla spiaggia. Conserva un fiato di mare. Come un mare notturno è quest’ombra vaga Di ansie e brividi antichi, che il cielo sfiora E ogni sera ritorna. Le voci morte Assomigliano al frangersi di quel mare.
Natalia Ginzburg
08
un occhio che ci dimentica subito, non appena lasciamo il brevissimo raggio della sua iride.
Natalia Ginzburg
09
Nel paese della malinconia, il pensiero è sempre rivolto alla morte. Non teme la morte, assomigliando l’ombra della morte alla vasta ombra degli alberi, al silenzio che è già presente nell’anima, perduta nel suo verde sonno.
Natalia Ginzburg
10
Nada es más misterioso, para el hombre, que el espesor de su propio cuerpo. Y cada sociedad se esforzó, en un estilo propio, por proporcionar una respuesta singular a este enigma primario en el que el hombre se arraiga. Parecería que el cuerpo no se cuestiona. Pero, a menudo, la evidencia es el camino más corto del misterio. El antropólogo sabe que «en el corazón de la evidencia —según la hermosa fórmula de Edmond Jabés— está el vacío», es decir, el crisol del sentido que cada sociedad forja a su manera, evidente sólo para la mirada familiar que ella misma provoca. Lo que es evidente en una sociedad asombra en otra, o bien no se lo comprende. Cada sociedad esboza, en el interior de su visión del mundo, un saber singular sobre el cuerpo: sus constituyentes, sus usos, sus correspondencias, etcétera. Le otorga sentido y valor. Las concepciones del cuerpo son tributarias de las concepciones de la persona. Así, muchas sociedades no distinguen entre el hombre y el cuerpo como lo hace el modo dualista al que está tan acostumbrada la sociedad occidental. En las sociedades tradicionales el cuerpo no se distingue de la persona. Las materias primas que componen el espesor del hombre son las mismas que le dan consistencia al cosmos, a la naturaleza. Entre el hombre, el mundo y los otros, se teje un mismo paño, con motivos y colores diferentes que no modifican en nada la trama común (capítulo 1).
David Le Breton
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NIEBLA
La única niebla
endémica de mi ciudad
es la lluvia;
la llevo como un suéter gris
entre texturas de otra gente
y estampados.
Mi única niebla,
la de la espera bajo cualquier techo,
de coches ciegos, lentos
bajo el chubasco,
me siembra cataratas en el ojo,
esconde los contornos.
Es el punto inmóvil
al centro del trompo,
no me moja, me rodea,
esfera al vacío
yo adentro,
gris apenas, suéter grueso
con su olor a húmedo.
Es la gasa que impide
que mi propia sangre me hiera.
(Aurelia Cortés Peyrón)
12
EMPALAGARSE
es alargarse en algo
que anega
el paladar
como un relámpago
de azúcar
o de grasa
que lo surca
y lo rasga.
Es la flaca
paradoja
de saber
que saber
es un sabor
que no se aprende:
en cambio,
se desprende,
se desaprende
y muda
a su medida;
es pulga
peligrosa,
pura
pulpa
y papel
prensil
de las palabras
que purga
la atención,
la descalabra
y hurga.
No la rompe;
la sopla.
No la burla:
la labra
porque la abre
y la revuelve.
Empalagarse
es alojarse,
alegre,
entre el diente
y la lengua:
es cuchara
que escucha,
que pesa
porque espesa
y se clava
porque endulza.
(Ezequiel Zaidenwerg)
13
THINGS EXPOSED TO THE AIR
Say sugar has a mouth. How would I taste
in it? Like sweat, like lake water, like dust
from a ceiling fan, like the lowest leaves
of the squash plant, like how soft and yellow
they are, like oil, like badly sharpened knives,
like hail just after it pelts the yard, snow
just before it melts? Thank god it doesn't.
Have a mouth, I mean. Though maybe my scent
still saturates it like a mood, covert
and everywhere. This is the mistake
of leaving things exposed to the air, I say
to my daughter. It's not fair. And it's why
I don't need to read the climate change report.
When I brush her hair, the world smells like smoke.
(Claire Wahmanholm)
14
El dualismo contemporáneo opone el hombre y el cuerpo. Las aventuras modernas del hombre y de su doble hicieron del cuerpo una especie de alter ego. Lugar privilegiado del bienestar (la forma), del buen parecer (las formas, body-building, cosméticos, productos dietéticos, etc), pasión por el esfuerzo (maratón, jogging, windsurf) o por el riesgo (andinismo, «la aventura» , etc). La preocupación moderna por el cuerpo, en nuestra «humanidad sentada», es un inductor incansable de imaginario y de practicas. «Factor de individualización», el cuerpo duplica los signos de la distinción, es un valor.
David Le Breton
15
È inutile credere che possiamo guarire di vent’anni come quelli che abbiamo passato. Chi di noi è stato un perseguitato non ritroverà mai piú la pace. Una scampanellata notturna non può significare altro per noi che la parola «questura». Ed è inutile dire e ripetere a noi stessi che dietro la parola «questura» ci sono adesso forse volti amici ai quali possiamo chiedere protezione e assistenza. In noi quella parola genera sempre diffidenza e spavento. Se guardo i miei bambini che dormono penso con sollievo che non dovrò svegliarli nella notte e scappare. Ma non è un sollievo pieno e profondo. Mi pare sempre che un giorno o l’altro dovremo di nuovo alzarci di notte e scappare, e lasciare tutto dietro a noi, stanze quiete e lettere e ricordi e indumenti.
Natalia Ginzburg
16
LA MATA (fragmento) Añade La Mata: Para quienes volvieron: un manojo de flores del totumo, piñuelas con sus pulpas jugosas, su tomento estrellado de blanco color. Estas flores de pétalos carnosos, vainillas, olorosas durante la noche, y también otras flores furiosas, expertas en la desobediencia: varias flores del pico de loro, las espinas que rasgan la piel escondidas. Una invasión de trinitarias, un desfile coronado por sépalos persistentes. Unas con cáliz, que acompaña al fruto, otras estériles; también racimos de flores amarillas del bombito, de la flor de la bajagua, de esa flor que se llama amor que zumba, racimos abundantes, retoñadas de sí.
(Eliana Hernández Pachón)
17
Il mio mestiere è quello di scrivere e io lo so bene e da molto tempo. Spero di non essere fraintesa: sul valore di quel che posso scrivere non so nulla. So che scrivere è il mio mestiere.
Natalia Ginzburg
18
Una volta sofferta, l’esperienza del male non si dimentica piú. Chi ha visto le case crollare sa troppo chiaramente che labili beni siano i vasetti di fiori, i quadri, le pareti bianche. Sa troppo bene di cosa è fatta una casa. Una casa è fatta di mattoni e di calce, e può crollare. Una casa non è molto solida. Può crollare da un momento all’altro. Dietro i sereni vasetti di fiori, dietro le teiere, i tappeti, i pavimenti lucidati a cera, c’è l’altro volto vero della casa, il volto atroce della casa crollata.
Natalia Ginzburg
19
Tenevo un taccuino dove scrivevo certi particolari che avevo scoperto o piccoli paragoni o episodi che mi ripromettevo di mettere nei racconti. Nel taccuino scrivevo per esempio cosí: «Egli usciva dal bagno trascinandosi dietro come una lunga coda il cordone dell’accappatoio». «Come puzza il cesso in questa casa, – gli disse la bambina. – Quando ci vado, io non respiro mai, – soggiunse tristemente». «I suoi riccioli come grappoli d’uva». «Coperte rosse e nere sul letto disfatto». «Faccia pallida come una patata sbucciata». Tuttavia ho scoperto che difficilmente queste frasi mi servivano quando scrivevo un racconto. Il taccuino diventava una specie di museo di frasi, tutte cristallizzate e imbalsamate, molto difficilmente utilizzabili. Ho cercato infinite volte di ficcare in qualche racconto le coperte rosse e nere o i riccioli come grappoli d’uva e non m’è mai riuscito. Il taccuino dunque non poteva servire. Ho capito allora che non esiste il risparmio in questo mestiere. Se uno pensa «questo particolare è bello e non voglio sciuparlo nel racconto che sto scrivendo ora, qui c’è già molta roba bella, lo tengo in serbo per un altro racconto che scriverò», allora quel particolare si cristallizza dentro di lui e non può piú servirsene.
Natalia Ginzburg
20
Ho scoperto allora che ci si stanca quando si scrive una cosa sul serio. È un cattivo segno se non ci si stanca. Uno non può sperare di scrivere qualcosa di serio cosí alla leggera, come con una mano sola, svolazzando via fresco fresco. Non si può cavarsela cosí con poco. Uno, quando scrive una cosa che sia seria, ci casca dentro, ci affoga dentro proprio fino agli occhi; e se ha dei sentimenti molto forti che lo inquietano in cuore, se è molto felice o molto infelice per una qualunque ragione diciamo terrestre, che non c’entra per niente con la cosa che sta scrivendo, allora, se quanto scrive è valido e degno di vita, ogni altro sentimento s’addormenta in lui. Lui non può sperare di serbarsi intatta e fresca la sua cara felicità, o la sua cara infelicità, tutto s’allontana e svanisce ed è solo con la sua pagina, nessuna felicità e nessuna infelicità può sussistere in lui che non sia strettamente legata a questa sua pagina, non possiede altro e non appartiene ad altri e se non gli succede cosí, allora è segno che la sua pagina non vale nulla.
Natalia Ginzburg
21
Quando uno scrive un racconto, deve buttarci dentro tutto il meglio che possiede e che ha visto, tutto il meglio che ha raccolto nella sua vita. E i particolari si consumano, si logorano a portarseli intorno senza servirsene per molto tempo. Non soltanto i particolari ma tutto, tutte le trovate e le idee.
Natalia Ginzburg
22
in quell’epoca ho visto una volta passare per strada un carretto con sopra uno specchio, un grande specchio dalla cornice dorata. Vi era riflesso il cielo verde della sera, e io mi son fermata a guardarlo mentre passava, con una grande felicità e il senso che avveniva qualcosa d’importante.
Natalia Ginzburg
23
What is static if not the sound of the universe's grief? Anywhere static reigns.
(J. Estanislao Lopez)
24
EL PUESTO DEL GATO EN EL COSMOS
Uno siempre se equivoca cuando habla del gato.
Se le ocurre por ejemplo que junto a la ventana
el gato se ha planteado en el fondo de los ojos
un posible fracaso en la noche cercana.
Pero el gato no tiene un porvenir que lo limite.
A uno se le ocurre que medita, espera o mira algo
y el gato ni siquiera siente al gato que hay en él.
¿Cómo admitir detrás del movimiento de la cola
una motivación, un juicio o un conocimiento?
El gato es un acto gratuito del gato.
El que aventure una definición debería
proponer sucesivas negaciones al engaño del gato.
Porque el gato, por lo menos el gato de la casa,
particular, privado e individuo hasta las uñas,
comprometido como está
al vicio de nuestro pensamiento
ni siquiera es un gato, estrictamente hablando.
(Joaquín Giannuzzi)
25
En el fondo del mar, realmente al fondo, los humanos vemos en blanco y negro, como algunas aves.
[...]
Orden. Desapareció tu especie. Pero cuando nadie las ve, las islas toman la forma de tu nombre.
(Isabel Zapata)
26
SOMETHING
Something went wrong.
That’s what the machine
says when I call to say
my paper didn’t arrive.
Machines are trained
by people, so they’re
smart, they know a thing
or fifty trillion. Did you miss
your Sunday delivery?
it asks. I did, I say. I
miss everything, I say,
because it’s a machine and
it has to listen, or at least
it has to not hang up
without trying to understand
why I called, which means
trying to correct what
went wrong. Let me
see if I got this right,
the voice says, you
missed your Sunday paper?
Yes, I say, but also I
miss my childhood and fairy
tales, like Eden. I miss sweet
Rob Roys with strangers.
I’m sorry, the machine says.
I’m having trouble understanding.
Did you miss today’s paper?
Yes, I say, but that’s not
the half of it. Sometimes
I just feel like half
of me, and even that
feels like too much. I’m
having trouble understanding,
the machine repeats, its
syllables halted, as if
trying to mimic an empath.
I’m having trouble understanding
too, I say. I used to understand
so much: photosynthesis, the
human heart, I’d even
memorized the Krebs cycle,
but now all I remember
is lifting the golden coil
of the kitchen phone to maneuver
under my mother’s conversations.
It was like lifting
the horizon. There’s
a silence, and the machine
asks: Are you still there? In
a few words, please describe
your issue. Where do I begin
being a minimalist? Time,
I say, I’ve got a problem
with that. Also, loss, and
attachment. That’s pretty
much it, and the news in its sky-
blue sleeve is meant to be
a distraction, isn’t it? I ask.
More silence, and then:
You miss your mother?
a voice asks. It’s
a human voice.
Me too, she says.
(Andrea Cohen)
27
(Otro mito habitual sobre la inmigración: que no tenía vuelta atrás. Y, en realidad, eran muchos los que no encontraban en sus nuevos lugares lo que buscaban y se volvían, derrotados o aliviados, a sus viejos.)
Caparrós
28
Si Ñamérica es el territorio de las mezclas, la mezcla de aquella zona es peculiar: allí las distintas culturas europeas se mezclaron como nunca habrían podido mezclarse en sus lugares de origen y dieron origen a una cultura nueva: Borges, Boca Juniors, el rubio pobre, la milanesa a la napolitana y el franfruter y las once, la chantada.
(Yo, con perdón, soy eso: hijo de un español que llegó, jovencito, tras la Guerra Civil porque sus padres debieron exiliarse derrotados, y una argentina cuyos padres eran un judío polaco y la hija de un judío ruso recién llegados a esas playas. Ser argentino, está claro, es una forma de la mezcla más imprevisible. Durante décadas nos creímos, por venir de esos cruces, menos ñamericanos; no entendíamos que éramos justamente lo contrario: que éramos ñamericanos por mezclados, porque la mezcla es la marca decisiva de Ñamérica.)
Caparrós
29
La frontera es el lugar donde un estado empieza: donde te dice de aquí p’allá estoy yo, donde te dice no te creas; donde te dice mando. La frontera es la primera línea de defensa y ataque de un estado. La frontera es un modelo de estos tiempos: una de esas creaciones arbitrarias, fruto de los poderes, que se empeñan en vendernos como algo natural, eterno. Otro efecto de la publicidad: de este lado estamos nosotros y allí, a unos metros, están ellos —y ellos son otros, radicalmente otros porque están unos metros más allá. Es sorprendente que la patraña de las patrias —la patriaña— sea tan poderosa como para convencernos de esa farsa.
Caparrós
30
(Hay algo irreal, casi hilarante, en ver cien metros de agua y saber que esa tierra que hay del otro lado es otro mundo, que usan otra moneda, siguen a otros jefes, gritan otros goles, y que tantos que quieren, de este lado, no consiguen entrar: tan allí mismo, tan lejano.)
Caparrós
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finora mi è successo sempre di scrivere in fretta e delle cose piuttosto brevi: e a un certo punto m’è sembrato anche di capire perché. Perché ho dei fratelli molto maggiori di me e quando ero piccola, se parlavo a tavola mi dicevano sempre di tacere. Cosí mi ero abituata a dir sempre le cose in fretta in fretta, a precipizio e col minor numero possibile di parole, sempre con la paura che gli altri riprendessero a parlare tra loro e smettessero di darmi ascolto. Può darsi che sembri una spiegazione
Natalia Ginzburg
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Nel profumo delle fresche sere di tarda primavera, passando tra le prime lucciole, mi porti in un sentiero nuovo fatto di erba appiattita da chissà quanti passi. È stretto, tra le spighe, e le più basse fanno il solletico ai polpacci nudi. Cammino dietro di te e nonostante non sappia dove poggio i piedi, preferisco tenere gli occhi sulla tua schiena. Con le mani ti vedo sfiorare le spighe più alte e ti sento sussurrare qualche verso della poesia di Rimbaud che già mi avevi recitato camminando verso un tramonto estivo vecchio di uno o due anni. Al mio desiderio espresso di sentila di nuovo per intero, ti fermi e mi rivolgi il tuo profilo e accarezzi con lo sguardo la natura lontana, all'orizzonte, o forse lo adagi nella luce al di là del campo, che ormai si fa sempre più fioca. Un respiro profondo e poi un verso dopo l'altro, come il miele, prendono forma con una voce bassa calda e dolce. Ho cercato di raggiungere il tuo sguardo da qualche parte nel campo verde e giallo; non so se l'ho raggiunto, ma ho raggiunto te e ho raggiunto la pace. E con la tempia mi sono poggiata al tuo braccio.
Riprendiamo a camminare e mi conduci a cambiar posto, a camminare di fronte a te. Ora guardo dove metto i piedi, mentre tu non accarezzi più le spighe ma le tue dita poggiano ora sui miei capelli.
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Ringrazio riconoscente
il vento e la pioggia,
la neve e il sole,
ogni albero,
l'acqua che canta
sotto il ghiaccio
dei fiumi gelati,
le montagne e le valli,
la fredda terra
e la calda erba,
la luce e l'oscurità,
le creature,
la poesia, la musica,
la fotografia,
la famiglia, gli amici,
il dono e il mistero
della mia vita,
e l'eterno
Tao.
Grazie a voi che passate da queste parti. Buonanotte ❤️ 🎶🌺
lollò
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Conoscete il detto:
fare di necessità virtù.
Oppure, con una punta di subdolità:
fare buon viso a cattivo gioco.
Accade ogniqualvolta tocchi convivere con ostacoli.
Anche in fotografia, succede.
E ci sono gradi di sublimazione, al riguardo, in fotografia.
Pensate, se V'aggrada, a quando non esistevano correzioni digitali all'oscurità dei bordi.
Il primo grado di sublimazione è d'immediata lettura:
perso il dettaglio lì, guadagnata l'attenzione al soggetto.
Ma vi è un grado di sublimazione superiore.
È lì che s'eleva Zdeno Kostka.
Perché non s'adagia sul primo grado di sublimazione (vignettatura come pregio - veicolazione - anziché difetto), lui.
Ha concepito il secondo grado, ed invece, Zdeno.
E' un τοπος suo, quello di Zdeno.
Il τοπος di pensare e fare:
la vignettatura - indotta, non subìta - come mezzo per esprimere elisione di flusso per confermare il flusso.
Elisione di flusso per confermare il flusso?
Sì, proprio così:
percorrere - tipicamente in senso trasversale - la teoria di un motivo geometrico può costituire battaglia persa.
Zdeno, la pugna, la vince.
La vince perché - con le sue immagini a corredo questo brano - visivamente dice:
mostrare tutto non si può, se il motivo si ripete insistentemente.
Operare brusche cesure, però, brutalmente banalizza.
Ed allora Zdeno sfuma.
Sapete, è come quando un treno percorre dolcemente la campagna, in un opaco meriggio.
Vì è cadenza, guardando dal finestrino.
Una lirica, rotonda cadenza.
Avviene con i distanziati pali a lato del ferroviario sedime.
Solo prati, pali in ritmica successione.
Erba, palo, erba, palo.
Così le ruote di Zdeno, così i suoi graticci.
Ruota, dissolvenza, ruota.
Graticcio, dissolvenza, graticcio.
Grazie, Zdeno Kostka.
Ci hai elargito la poesia del movimento entro meditata stasi.
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Claudio Trezzani
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