#eh sì mi sa che ti è proprio piaciuta
Explore tagged Tumblr posts
Text
'Aspetta che monto la panna e preparo il dolce... puoi baciarmi sul collo eh'.
Dietro di me, curioso, osservi. Mi sfiori - brividi...
'Scusa eh, ma prima c'è il rito delle candeline... ti tocca'.
Mi prendi in giro canticchiando 'Tanti auguri a te tanti auguri a te' in tono monocorde.
Chiudo gli occhi. Esprimo il mio desiderio...
'Sì, proprio buona sta pavlova'
'Dai, prendine un'altra fetta...' ti tento 'c'è pure la tua frutta preferita...'
Barbara
#eh sì mi sa che ti è proprio piaciuta#magari la prossima volta la panna la usiamo anche per 'giocare'#per favore continua a baciarmi sul collo#foto personale#pentesilea
10 notes
·
View notes
Text
Capitolo 56 - Segreti, mix tape e gelosia
Nel capitolo precedente: la serata speciale organizzata da Angie si è rivelata per lei un disastro e si sta concludendo in maniera ancora peggiore, dato che Eddie non sembra interessato a fare sesso con lei. Alla fine però i due si chiariscono e fanno l'amore per la prima volta. Angie resta ancora però ferma nella sua decisione di non dire niente agli amici. Lo scopriamo quando raggiungono Jeff, Stone, Grace, Mike e Cornell al solito pub. Jeff li vede arrivare assieme in macchina, ma entrare in momenti diversi nel locale per non dare nell'occhio. Dai suoi pensieri scopriamo che li aveva visti anche quando Angie era andata da Eddie a portargli la torta, sorprendendoli in atteggiamenti affettuosi. Il bassista se n'era andato per non metterli in imbarazzo. Grazie anche ai suggerimenti degli amici, Jeff riesce a mettere insieme i titoli del finto demo di Cliff Poncier, il protagonista del film di Cameron Crowe, e sfida Chris a scrivere davvero quelle canzoni.
***
“L'ha steso?”
“Sì, è andato giù come un sacco di patate. Ed era un sacco bello grosso” Angie molla per un attimo la mia mano, giusto il tempo di mimare la stazza approssimativa del tizio, poi la stringe di nuovo, mentre camminiamo verso la sua macchina.
“Con un pugno?”
“Ad essere precisi, due”
“Visto quello che ti ha detto, io gliene avrei dati di più” ubriaco o no, se tocchi una donna sei una merda e se mi capiti a tiro sei morto.
“Avresti infierito su un sacco di patate inerme?”
“Nah, hai ragione: scarsa soddisfazione. Comunque hai capito Meg, tipa tosta”
“Già... e pensare che all'inizio credevo fosse una fighetta insipida”
“Cosa? Tu? Tu che hai un pregiudizio? Non è possibile!” mi diverto a stuzzicarla. Quando le ho espresso dei pregiudizi molto simili sul conto di Violet mi ha fatto sentire una merda.
“Eheh sì, lo ammetto, ho sbagliato anch'io: errare è umano. Comunque è così che abbiamo fatto amicizia ed è iniziato tutto”
“Esempio di come da una brutta storia possa nascere qualcosa di buono”
“Vedi, quindi anche quel tizio qualche merito ce l'ha avuto dopo tutto” quando arriviamo alla sua Mini, Angie mi prende anche l'altra mano e si appoggia al paraurti tirandomi a sé.
“Merito un cazzo. E' successo una vita fa e io neanche c'ero e mi prudono lo stesso le mani dalla voglia di pestarlo a dovere” probabilmente portarmi a mangiare Thai nel quartiere universitario la fa sentire abbastanza al sicuro da possibili avvistamenti da parte dei nostri amici.
“Non ti agitare” cerca di calmarmi con un bacio e diciamo che ci riesce benissimo, ma non è necessario che lo sappia.
“Uhm... sono ancora un po' agitato” le dico dopo aver fatto un po' di scena, schioccando le labbra e la lingua come fanno i sommelier dopo un sorso di vino.
“Ahah dai, andiamo” me ne stampa un altro veloce e apre la portiera, mentre io faccio il giro per salire dall'altro lato.
“Angie, io sono l'ultimo a poter dare lezioni sullo stradario di Seattle, ma non dovevamo girare a sinistra?” le domando dopo la svolta al secondo semaforo.
“Oh... ma... perché tu vuoi tornare a casa, giusto?” stava allungando la mano verso il vano porta oggetti, ma si blocca, come se l'avessi beccata a combinare qualcosa e li vedo anche nel buio dell'abitacolo i suoi occhioni improvvisamente tristi.
“No, cioè, non per forza”
“Perché pensavo che è ancora presto e...” rimette entrambe le mani sul volante e contemporaneamente si stringe nelle spalle.
“Infatti, è presto” è sempre troppo presto per me quando è ora di salutarla.
“Pensavo... così... di fare un giro”
“Va bene”
“Ma se vuoi ti porto a casa”
“No, non voglio andare a casa”
“Non ti ho chiesto neanche se domattina hai da fare”
“Non ho un cazzo da fare domattina, Angie”
“Magari sei stanco”
“Non sono stanco”
“Appena posso faccio inversione”
“Angie?” le prendo la mano destra dal volante e ne bacio il palmo.
“Sì?”
“Portami in giro”
“Ok”
“Dove mi vuoi portare?” le chiedo lasciando andare la sua mano, che stavolta si fa strada nel cassettino porta oggetti e ne estrae una cassetta, senza custodia, che viene prontamente infilata nello stereo.
“In un posto... vedrai” sorride mentre Jim Morrison comincia a cantare.
Yeah I'm a back door man
I'm a back door man
The men don't know
But the little girls understand
“Manca ancora molto?” le domando mentre Brian Ferry ha appena finito di dire che L'amore è la droga che preferisce e noi ci immettiamo nella Greenwood Avenue.
“No, ci siamo quasi”
“Quasi... sii più specifica” mi piace stuzzicarla e vedere le sue facce.
“Meno di dieci minuti e siamo arrivati. Ti stai annoiando?”
“Con te mai”
“E allora perché sei così impaziente?”
“Non sono impaziente, vorrei solo capire se questo posto dove mi vuoi portare si trova dentro i confini degli Stati Uniti o no. Perché se per caso, per essere sicura che i nostri amici non ci sgamino, mi stai portando in Canada, ti avviso che non ho con me il passaporto”
“Ah ah” Angie mi rivolge un'occhiataccia, a cui segue immediatamente una carezza e una stretta sul mio ginocchio.
“Allora non sconfiniamo?”
“No”
“E dove stiamo andando?”
“Tra poco lo vedrai”
A un bivio giriamo a sinistra e poi ancora a sinistra e gli alberi si infittiscono.
“Tanto lo so: mi stai portando in un parco”
“Chissà” stacca per un attimo le mani dal volante per allargare le braccia facendo la gnorri.
“No! Mi stai portando al mare” mi correggo quando dopo pochissimo la strada diventa in discesa, la vegetazione si dirada un po' e vedo meglio l'orizzonte.
“Una cosa non esclude l'altra”
“Adoro vederti guidare col cambio manuale, lo sai?” dico cambiando completamente argomento, perso nei suoi movimenti nella guida.
“Ahah ho imparato a dodici anni, da mio padre. Tu lo sai fare?”
“No”
“No?? Davvero?” mi guarda scioccata per un attimo mentre prende dolcemente le curve della strada praticamente deserta.
“Eheh davvero, giuro, non ho mai provato”
“Ti insegno io!”
“Volentieri. Scommetto che sei una bravissima insegnante”
“Brava, ma severa”
“Perfetto”
Un cartello giallo indica una strada senza uscita ed è a quel punto che capisco che siamo arrivati a destinazione. Angie svolta in una strada sterrata piuttosto stretta sulla sinistra, per poi fermarsi in una sorta di spiazzo naturale, una radura in mezzo agli alberi, col muso della Mini rivolto verso l'ampia vista libera sul mare.
“Wow”
“Dal parcheggio più in alto il panorama è migliore, ma qui è più tranquillo” commenta spegnendo il motore.
“Lo vedo” mi guardo attorno ed effettivamente siamo ben nascosti dalle case costiere.
“Ti piace?” mi domanda mentre si scioglie la sciarpa e la lancia sul sedile di dietro, e dalle casse sfumano gli Stones e arriva morbida e graffiante allo stesso tempo la voce di Nico.
Here she comes, you better watch your step She's going to break your heart in two
Ho poco da fare attenzione ormai. Ci sono dentro fino al collo e il mio cuore è suo; non è spezzato, ma può farci quello che vuole, anche se non ha le lenti colorate e non è una Femme fatale diabolica e spietata come quella della canzone.
“Sì, mi piace qui...” maliziosa sì però, con quel sorrisino che... aspetta un momento “Angie?”
“Dimmi” risponde sbottonandosi il cappotto.
“Un piccolo dubbio mi assale”
“Eheh cioè?”
“Mi hai portato qui a scopare?”
“EDDIE!”
“A scopare in una Mini Cooper?”
“AHAHAHAHAH!”
“Perché ridi? Ho fatto una semplice domanda” in realtà mi sto divertendo un sacco anch'io, ma in maniera più discreta.
“Certo che proprio non ti piace girare attorno alle questioni, eh?”
“No, dovresti saperlo ormai... Allora?”
“Allora, ti ho portato qui per stare un po' insieme tranquilli, tra di noi, in intimità”
“Cioè scopare”
“Non solo per quello!”
“Ma anche quello”
“Beh... se ti va, sì” ammette e lo vedo anche al buio che è arrossita. Questa cosa delle iniziative da prendere ci sta sfuggendo di mano. Ma non mi sto certo lamentando.
“Mi va, ma per fare questa cosa andava bene pure casa mia, anzi era meglio”
“Insomma” scuote la testa poco convinta.
“Sia per la temperatura che per la comodità”
“Dimentichi un piccolo particolare”
“Quale?”
“Uno non così tanto piccolo, che vive con te e si chiama Jeff”
“Jeff sa quando farsi i cazzi suoi, è un ragazzo sveglio”
“Appunto, troppo sveglio!”
“Uff...”
“E poi non c'è questo panorama a casa tua” ribatte indicando la vista attraverso il parabrezza.
“Qualunque sia il posto, il panorama è sempre spettacolare quando ci sei tu”
“In pratica mi stai dicendo che vuoi tornare a casa” abbassa lo sguardo e fa finta di niente perché non può accettare un complimento neanche a morire.
“No, voglio stare qui e godermi il panorama da vicino” la abbraccio infilandole le mani sotto il cappotto e tirandola verso di me per un bacio. Il primo di una lunga serie.
“Allora ti è piaciuta come... iniziativa?” mi chiede staccandosi dalle mie labbra e mettendosi a giocare coi miei capelli.
“Eheh sì, molto. Solo vorrei capire come si svolge il tutto a livello... come dire... logistico”
“Usa un po' di fantasia, no?”
“La prossima volta che vuoi andare in camporella dimmelo che prendo il mio pickup”
“Ahahah non è che là ci sia tanto più spazio alla fine, sai?”
“Però c'è sempre il cassone”
“Ahahahahah comodissimo e soprattutto discreto”
“Dipende dove vai...”
“Oddio, l'hai fatto nel cassone??” Angie si stacca da me e mi guarda come se avesse visto un fantasma.
“Un paio di volte, sì”
“Per la gioia dei guardoni”
“Ovviamente mi sono prima accertato che non ci fosse nessuno in giro”
“Sei un esibizionista del cazzo!”
“Non c'era nessuno, scema!”
“Eheh anche adesso non c'è nessuno”
“Già”
Ci guardiamo per un secondo, smettiamo di ridere e praticamente ci saltiamo addosso l'un l'altro nello stesso istante. Angie si scrolla il cappotto di dosso e in qualche modo lo butta sul sedile di dietro dopodiché si arrampica a cavalcioni su di me, tutto questo senza scollare la bocca dalla mia.
“Abbassa un po' lo schienale” mi sussurra nell'orecchio.
“Così?” tocco appena una levetta laterale e mi ritrovo steso.
“Ahahah anche un po' meno, ecco così. Magari prova ad andare anche un po' in là” Angie mi aiuta a risollevarmi dopodiché raggiunge un'altra leva, presumo sotto al sedile, e lo spinge all'indietro in modo da quadagnare qualche centimetro quadrato in più di spazio vitale.
“Sei comoda?”
“Sì, tranquillo”
“Sei sicura? Hai un ginocchio sulla portiera e l'altro sull'attacco della cintura”
“Non sono mai stata meglio” se io non amo perdere tempo con le parole, Angie è quella che non indugia con i fatti perché sta già cercando di slacciarmi i pantaloni. Ci riesce e basta qualche secondo perché mi faccia già uscire di testa. Poi si alza botto torna sul suo sedile.
“Che fai? Dove vai?”
“Aspetta, devo giusto rimuovere... qualche piccolo ostacolo” la vedo slacciarsi le scarpe, trafficare con i suoi jeans, e presumo anche con gli slip, prima di tornare da me. Anch'io tiro giù tutto nel frattempo per facilitare la dinamica. Non faccio caso al fatto che non l'ho vista lanciare nient'altro sui sedili posteriori ed è solo quando allungo le mani per accarezzarla che mi accorgo che ha ancora indosso una gamba dei pantaloni.
“Fai le cose a metà?” rido sulle sue labbra.
“Metti che dobbiamo ricomporci al volo”
“Hai pensato proprio a tutto, eh?”
“Lo sai che sono precisa”
“Uhm vedo. Anche la cassetta...”
“Che cassetta?”
“La compilation da scopata che stiamo ascoltando da quando siamo partiti”
“Che?!” Angie scatta non so se più per la mia uscita o per il modo in cui la tocco.
“Non provarci neanche a fare finta che non lo sia”
“Figurati!”
“Tim Buckley ha appena detto che vuole essere la tua vittima d'amore” e lo capisco eccome.
“E' una compilation... romantica... si vede che mi è uscita così”
“Talmente romantica che subito dopo ti ha chiesto di frustarlo e prenderlo a schiaffi”
“Mai sentito parlare di metafore? E sì che scrivi canzoni”
“Metafore. Sì certo. Quindi quando Eric Clapton parla di fare l'amore contro il muro è sempre una metafora? E non cito quello che viene dopo che è pure peggio, perché tanto già lo sai” le sbottono il golfino e la camicia insieme, mentre lei si stringe nelle spalle e cerca di fare la gnorri.
“E' solo una bella canzone”
“Sono tutte belle” la stringo e riesco a tirarmela di nuovo addosso.
“Non voglio musica di merda quando guido” sentenzia prima di baciarmi togliendomi praticamente il fiato.
“Né quando ti imboschi col tuo ragazzo” la ripago subito con la stessa moneta.
“Sono precisa” mi fissa e risponde beffarda dopo un po'. Che poi... questa cassetta l'avrà fatta apposta? Cioè, apposta per stasera o comunque per me? O è un mix già pronto all'uso che tiene lì per ogni evenienza? E se sì, con chi l'avrà usato? L'avrà fatto avendo in mente qualcun altro? Ma soprattutto, perché mi vengono questi pensieri del cazzo adesso?
“Una cosa però l'hai dimenticata...” concentriamoci che è meglio.
“Cosa?”
“Non sono pronto a diventare papà”
“Ah! No... ce li ho, tranquillo” tutta la sicurezza di un secondo fa sparisce, Angie si tira su e si volta non solo per tentare di raggiungere e aprire il portaoggetti, ma anche per nascondere una piccola punta di imbarazzo.
“Sei la mia precisina preferita”
“Tecnicamente... ehm... il rischio non lo correresti ugualmente... nel senso che... beh, prendo la pillola, però ecco...” comincia a balbettare mentre apre la scatola senza guardarmi.
“Va bene”
“Al momento preferisco così, cioè, secondo me è meglio usarli lo stesso... se per te non è un problema...”
“Angie”
“Almeno per adesso, visto che... beh... abbiamo appena... poi con quello che è successo prima...”
“ANGIE?”
“Sì?”
“Ho detto che va bene, basta paranoie, ok?”
“Sicuro?”
“Ma certo, più in là vedremo, adesso va benissimo così”
“Ok”
“E adesso vieni qua”
“Come qua? Sono già qua”
“Intendo dire, più vicino”
“Siamo in una Mini, non posso andare molto lontano”
“Ho freddo e mi sento solo quaggiù sul sedile. E ho voglia di te. Quindi torna qui” la tiro per i lembi della camicia e lei si arrende, non so se più per paura che gliela strappi o perché convinta dalle mie parole.
“Lo sguardo da cucciolo bisognoso è quasi più potente delle fossette” alza gli occhi al cielo, o meglio, al tetto dell'auto, e mi raggiunge sorridendo.
“Addirittura?”
“Ho detto quasi”
**
Ancora non mi capacito di come faccia Angie ad avere tutto questo potere su di me, di come faccia a disarmarmi e stupirmi ogni volta. Anche una cazzata assurda, come quella di appartarsi in macchina a fare contorsionismo notturno in un posto sconosciuto, roba che non faccio da quasi una decina d'anni, con lei diventa speciale, e non solo per l'atto pratico in sé. In questo momento sono totalmente rapito dalla ragazza che sta sopra di me, ma non soltanto perché sta letteralmente sopra di me. La verità è che mi sta sopra, sotto, dentro, fuori, sulle spalle, tra le gambe, nella testa, nel sangue, sulla pelle e tutt'attorno. Faccio l'amore con lei nel modo e nel luogo più scomodi e stupidi del pianeta, ma il mio unico pensiero è che la voglio più vicina, ancora di più, come se fosse umanamente possibile. Il mio unico pensiero non è un pensiero perché non riesco a pensare, è solo un istinto, una sensazione, come la fame e la sete. La bacio e attraverso gli occhi chiusi vedo colori e punti luminosi, lampi di luce come scosse elettriche date da fulmini improvvisi. E le scariche si fanno via via più ravvicinate e intense e io penso di stare impazzendo perché non ho mai provato nulla del genere. Finché Angie non disimpegna la bocca e la usa per parlare.
“Ma cos- OH CAZZO”
Insomma, non so se sia colpa/merito di Angie, ma ci siamo rincoglioniti l'un con l'altro a tal punto da non accorgerci della volante della polizia spuntata chissà quando da chissà dove e parcheggiata a pochi metri da noi col lampeggiande acceso.
“Oh oh”
“OH OH? C'è la cazzo di polizia e tutto quello che sai dire è Oh oh??” Angie torna alla realtà molto più velocemente di me, che invece sono ancora un po' confuso.
“Che devo dire? Merda sarebbe più appropriato?”
“Sì, decisamente”
“Che fai ti rivesti?”
“No! Ma va! Resto qui tranquilla ad aspettare gli agenti a culo nudo” Angie si affanna a ricomporsi, mentre io faccio tutto lentamente. Diciamo anche che per me è più semplice.
“Non agitarti troppo, possono pensare che vuoi nascondere qualcosa”
“Nascondere qualcosa è proprio quello che sto cercando di fare” tira su frettolosamente i pantaloni e inizia ad abbottonarsi il golfino, tralasciando la camicia, non so se volontariamente o no.
Quando sentiamo qualcuno bussare al finestrino saltiamo in due. Angie guarda alla sua sinistra, poi di fronte, poi verso di me e scuote impercettibilmente la testa prima di indossare l'espressione più innocente che le ho mai visto in viso da quando la conosco.
“Buona sera, agente” si rivolge a uno dei disturbatori della nostra serata dopo aver tirato giù il finestrino. A giudicare dall'ombra che intravedo attraverso il mio, direi che il compare sta dalla mia parte.
“Buona sera... anche se buona notte sarebbe più appropriato, che dite?” abbiamo beccato il poliziotto che fa lo spiritoso. Cazzo.
“Beh, sì eheh!” Angie decide di assecondarlo e non posso darle torto “Come... ehm... come posso aiutarla?”
“Uhm vediamo, cominci con accendere la luce e darmi i suoi documenti, signorina”
“Certo, subito!” Angie si allunga sul sedile di dietro e il poliziotto picchietta il parabrezza con il manganello in corrispondenza dello specchietto per attirare la sua attenzione e farle capire che prima deve accendere la luce interna dell'abitacolo. Lei sussulta un attimo e poi esegue, prima di tornare a cercare i documenti.
“Stai calma” le sussurro mentre recupera la borsa e porge il tutto all'agente. Avrei preferito esserci io alla guida, non vorrei che Angie si agitasse e combinasse qualche cazzata. Sarà la prima volta in vita sua che la fermano.
“Grazie, anche quelli del suo... amico... prego” il tipo mi guarda malissimo e nello stesso momento qualcun altro bussa al mio finestrino. Voltandomi vedo una figura femminile che mi fa segno di tirarlo giù.
“Buona sera, ecco a lei” tiro fuori lentamente il portafoglio e da lì la patente, prima di darla alla collega.
“Angelina W. Pacifico... Idaho, eh?”
“Sì, mi sono trasferita da qualche mese” Angie ci aggiunge del suo, rispondendo a una domanda fatta da nessuno, cercando di mostrarsi disposta a collaborare.
“1972. Wow, sembra quasi vera ahah!” l'agente sventola il documento e ride a denti stretti rivolto alla collega.
“Sembra? Guardi che è vera!” Angie si infastidisce e io sbianco perché se comincia a rispondere alle provocazioni sono cazzi.
“Sarà... è da controllare”
“Controlli pure!” cazzi amari.
“Facciamo che mi da anche il libretto di circolazione, così controllo pure quello, che ne dice?”
“Va benissimo! Glielo do subito, per me può anche perquisire me, lui e tutta la macchina, ho la coscienza pulita io!”
“Ma lo sa che mi ha dato un'ottima idea, signorina Pacifico?” lo stronzo ride ancora sotto i baffi e spero che Angie si levi al più presto dalla faccia l'espressione in cagnesco che le vedo fare mentre recupera i documenti della macchina.
“26 anni. Non sei un po' troppo grande per quella ragazzina?” mi domanda la poliziotta dopo aver esaminato la mia patente e io decido di tacere, peccato che qualcun altro non sia del mio stesso avviso.
“IO SONO MAGGIORENNE! In che lingua glielo devo dire?”
“Silenzio!” l'urlo del poliziotto mi coglie di sorpresa dal mio lato, dove ha raggiunto la collega per prendere il mio documento, prima di tornare alla sua auto per i controlli.
“Angie, taci, per favore” sibilo tra i denti sperando segua il mio consiglio.
“Maggiorenne o no, è sempre un po' più grande di te” la poliziotta si china sul finestrino affacciandosi a parlare con Angie, con un tono più gentile.
“Non è un reato” risponde lei sottovoce e non so neanche se l'agente l'ha sentita. Forse finalmente ha capito qual è l'atteggiamento giusto.
“Vai all'università di Washington?” chiede la donna, che evidentemente vuole buttarsi sulle chiacchiere per ammazzare il tempo e per allentare la tensione.
“Sì, come fa a saperlo?”
“L'adesivo sopra il paraurti”
“Ah! Sì, mi sono trasferita qui apposta, per l'università”
“Con i tuoi?” ok, l'operazione poliziotto buono/poliziotto cattivo è iniziata.
“No, da sola”
“Quindi vivi da sola, hai un appartamento...”
“Beh sì”
“E tu?” stavolta si rivolge a me e per farlo mi punta la torcia dritta in faccia.
“Io non faccio l'università”
“Intendo dire, tu non ce l'hai una casa?”
“Certo”
“E allora cosa diavolo ci fate qui? In macchina? Beh, in una specie di macchina” continua spegnendo la torcia e usandola per indicare sommariamente la vettura e io mi giro verso Angie di scatto perché lo so che potrebbe bastare questo per farla scattare e saremmo fregati, ma lei imperterrita resiste e risponde pacata.
“Facevamo un giro”
“Un giro?”
“Sì” ribadisco io.
“Da fermi?”
“Ci siamo fermati un attimo” risponde prontamente la mia ragazza.
“Per fare cosa?”
“Chiacchierare” si è instaurato questo meccanismo per cui diamo una risposta ciascuno a turno, quindi sono io ad aprire bocca.
“Parlare” aggiunge Angie.
“Ascoltare musica” questo me lo suggerisce la cassetta che continua ad andare avanti con... The rain song?? Angie, cazzo, non potevi essere meno ovvia? E hai il coraggio di dire che non è un mix da scopata. Praticamente il nastro basterebbe da solo come prova in tribunale di atti osceni in luogo pubblico.
“Guardare il panorama”
“Sì sì, infatti quando siamo arrivati abbiamo visto quanto eravate concentrati sul panorama” la donna alza gli occhi al cielo e le scappa da ridere. Verrebbe da ridere anche a noi probabilmente se non fossimo sotto interrogatorio.
“Lei non ha specificato quale panorama... anche tu, un po' di elasticità mentale, per favore!” il collega cabarettista torna e porge i documenti a Angie attraverso il finestrino.
“Giusto!” esclama la poliziotta scambiandosi sguardi divertiti col socio, che torna a fare domande.
“Allora, se perquisisco questa macchinina da autoscontro ci trovo della droga o no?”
“No, agente” risponde seccamente lei e io spero sia vero, perché se ci trova qualcosa siamo doppiamente nella merda.
“Armi?”
“Figuriamoci, per carità. Le odio”
“E se ti faccio il palloncino cosa trovo?”
“Nulla perché non ho bevuto. Lui sì, qualcosina, ma non guida”
“Sì, ho visto, ho capito che sei tu che conduci, era piuttosto evidente ahahah” il tizio non riesce a trattenersi e scoppia a ridere sul finale, seguito a ruota dalla collega, che però lo redarguisce, rivelandoci così anche il suo nome.
“Barlow!”
“Ok ok, lo sapete perché vi abbiamo fermati?”
“Eravamo già fermi” Angie dice a voce bassa, ma non a sufficienza, mentre mi passa le carte da mettere via nel portaoggetti.
“Non faccia la spiritosa, lo sapete o no?” non dirgli che se lo fa lui lo puoi fare anche tu, so che glielo vuoi dire, ma non farlo, ti prego!
“No” rispondiamo in coro. Meno male. E almeno su questo è preparata: con la polizia, fare sempre gli gnorri.
“Perché secondo voi trombare in macchina in un luogo pubblico è una cosa normale, giusto?”
“Non è un luogo pubblico se non c'è nessuno, no?” la mia ragazza ci prova e rimarrà molto delusa.
“E questo su quale codice civile l'hai letto?” risponde lui sarcastico.
“Spero non studi legge, tesoro”
“No. Studio cinema”
“Aaah! Allora stavate provando le scene, ecco cosa!” questi due si stanno divertendo un mondo con noi.
“Barlow, piantala! Ehm ehm stiamo pattugliando la zona perché ultimamente ci sono state delle rapine. C'è una banda che prende di mira le coppiette che si appartano qui di notte, proprio come voi, ragazzi”
“Quindi al vostro posto rivedrei un po' le mie abitudini” aggiunge il collega riprendendo fiato dalla sue risatine del cazzo.
“Ognuno di voi ha una casa, andate lì”
“Ma sì, O'Hara, non hai capito? Ci sarà di mezzo una storia di corna! Lui molla la fidanzata a casa con una scusa e si incontra con l'amante più giovane, ho ragione o no?”
“NO!” Angie reagisce scandalizzata e io sento che questa serata sarà ancora molto lunga.
“Ce lo potete dire, tanto questo no, non è un reato” Barlow si china praticamente incrociando le braccia sull'apertura del finestrino e affacciandosi verso l'interno.
“Non c'è nessuna fidanzata a casa” spiego io.
“Allora è il suo ragazzo il cornuto?”
“Il suo ragazzo sono io, stiamo assieme”
“Quindi, fatemi capire: state insieme, in una relazione regolare intendo, lei è maggiorenne, ognuno di vuoi due ha una casa... coinquilini rompicoglioni?” l'agente O'Hara conta sulle dita gli elementi che non le quadrano nel ragionamento.
“No, cioè, non troppo” Angie mi guarda mentre risponde, come se cercasse un suggerimento o, più probabilmente, perché trova il tutto tremendamente assurdo, tanto quanto me.
“E allora perché non siete a casa vostra?”
“Lo chieda a lei” non so perché rispondo in questo modo, non so neanche se l'ho fatto davvero, non me ne accorgo nemmeno, mi esce così, spontaneamente.
“Eddie?!”
“Dicci, Angie, perché non siete a casa vostra?” insiste il comico, incuriosito, chiamandola per nome.
“Perché... perché è una cosa fresca”
“E questo si era capito, anche solo per... per l'entusiasmo, ecco” il poliziotto continua guadagnandosi l'ennesima finta occhiataccia dalla collega.
“Non vuole dirlo ai nostri amici” e questo mi sa che sono ancora io che vado a ruota libera.
“E perché? C'è qualche ex di mezzo?” O'Hara domanda e ormai siamo passati dall'interrogatorio all'angolo del gossip.
“No. Cioè, sì,” Angie si corregge quando mi vede fare una smorfia “ma non è quello il motivo”
“E allora qual è? Mica ti vergognerai di lui? Insomma, non ho una particolare attrazione per i capelloni, ma mi sembra un bel ragazzo, tutto sommato”
“Non mi vergogno affatto, è... è bello. E' perfetto, in tutto” dal gossip siamo arrivati alle confidenze? Un momento, cos'è che ha detto?
“E allora?” già, e allora? Mentalmente mi unisco ai due che insistono all'unisono per avere in cinque minuti una risposta che io cerco da settimane.
“E' che... beh, abbiamo gli stessi amici, è tutta una compagnia. E alcuni di loro suonano in un gruppo, con lui”
“Musicisti eh? Forse una perquisizione conviene farla tutto sommato” Barlow fa un'altra battuta del cazzo, ma la collega lo ignora e resta sul tema del momento.
“E sono più amici tuoi o suoi?”
“Beh, io li ho conosciuti poco prima, ma... più o meno uguale, direi”
“Ok, quindi hai paura sia di perderli sia di farli perdere a lui se le cose andassero male, giusto?”
Angie annuisce in silenzio alle parole di O'Hara e io rimango di stucco. Perderli? Improvvisamente una luce nuova viene gettata sulla faccenda, un nuovo punto di vista che non avevo mai preso in considerazione. Angie ha detto che non si fida di se stessa, ma si fida di me e non le ho mai creduto fino in fondo. Ha sempre espresso questa preoccupazione nei confronti dei nostri amici, perché sono impiccioni e non si fanno i cazzi loro, ma non avevo mai considerato che l'oggetto delle sue insicurezze fossero proprio loro, i ragazzi.
“Ho paura di essere giudicata o che giudichino lui. Ho paura di far nascere casini nel gruppo e che le nostre strade si dividano” Angie continua a confessare e mi chiedo se ci voleva davvero la minaccia di due poliziotti annoiati per tirare fuori finalmente la verità. Ma è lei che non l'ha mai rivelato o sono io che non ho mai capito un cazzo?
“Tesoro, ma è una cosa normale! Prendersi, lasciarsi, riprendersi, rilasciarsi, mettersi con un altro dello stesso giro. Nelle compagnie succede continuamente, ma non per questo si sfasciano” O'Hara si accende una sigaretta e da poliziotto buono si è trasformata in sorella maggiore. O meglio, nella zia a cui confidare tutto.
“Beh, non lo so, non ho mai avuto una compagnia, non così grande. Non ho mai avuto tutti questi amici” ora è tutto chiaro, cazzo. Non li ha mai avuti e non vuole perderli.
“Angie, se proprio dovessimo combinare qualche cazzata, sta' sicura che i ragazzi il culo lo fanno a me, mica a te. E il ben servito, se proprio deve prenderselo qualcuno, me lo becco sempre io” cerco di rassicurarla, ma dalla sua espressione non ci sto riuscendo.
“E pensi che questo mi farebbe piacere?”
“Mi sembra di guardare una puntata di Oprah dal vivo” commenta Barlow rapito.
“Angie, gli amici restano. La verità è che agli amici frega, sì, ma non più di tanto. Non fraintendermi, gli amici ti amano, ti danno dei consigli più o meno richiesti, possono mettersi in mezzo e prendere le parti dell'uno o dell'altro, ma alla fine vogliono solo che voi stiate bene, sia insieme sia ognuno per conto suo. A un certo punto si fermano e dicono arrangiatevi, nel miglior senso possibile. Poi se spariscono, beh, vuol dire che non erano amici veri”
“Forse, forse ha ragione”
“Certo che ho ragione!”
“Ragione o no, qui a scopare non ci dovete venire più, intesi?” il poliziotto, che si stava praticamente accasciando alla portiera, si ridesta e da un paio di colpi al tetto della macchina, forse per darsi una svegliata da solo.
“Intesi”
“D'accordo”
“Bene, si è fatta una certa, andiamo O'Hara”
“Tornate a casa, ragazzi. E guida con prudenza, Angie, va bene?”
“Certo”
“Buona notte”
“Arrivederci agenti”
“A mai più” aggiungo io quando i due sono ben lontani.
Tiriamo su i finestrini nello stesso momento, Angie mette in moto e attende.
“Non vanno?”
“Aspettano che partiamo noi, per essere sicuri che ce ne andiamo” le spiego e sorrido tra me e me del fatto che non l'avesse capito. E' come una piccola rappresentazione della sua innocenza. A volte mi dimentico che è giovanissima, che non ha esperienza in nulla, e no, non sto parlando solo degli atteggiamenti da tenere con gli agenti di polizia.
“Oh già, non ci avevo pensato, che palle” Angie sbuffa e parte.
“Che cosa assurda” siamo di nuovo in città quando Angie finalmente rompe il silenzio.
“Già”
“Che momento imbarazzante”
“Molto imbarazzante” però mi ha aperto un po' gli occhi, quindi tutto sommato è anche servito a qualcosa. Da quando siamo partiti non abbiamo più fatto cenno a quello che è successo, non abbiamo accennato a niente perché non abbiamo aperto bocca e ci siamo limitati a scambiarci sguardi e sorrisi fugaci e a canticchiare qualche canzone. Adesso, una volta metabolizzata tutta la faccenda, è arrivato il momento di riprendere discorso, stavolta tra noi.
“Non mi era mai successo”
“Neanche a me” ho avuto a che fare con la polizia, ma non per questo tipo di infrazioni.
“Ci sono stata un sacco di volte e non ho mai visto polizia, queste rapine devono essere una cosa recente”
Ci metto un po' a registrare quello che ha detto, forse perché sto ancora pensando al reato che stavamo compiendo su questi sedili neanche un'ora fa. Ma quando realizzo è come se mi svegliassero con una secchiata di ghiaccio potentissima.
“Mai? Perché, ci eri già stata?”
“Certo, se no come facevo a conoscere il posto?” lei risponde tranquillamente, quindi o è pazza o non ha capito dove sto andando a parare o non gliene frega un cazzo.
“E con chi?” la bocca di Angie si apre in una piccola O e qui intuisco che adesso sì, ha capito dove voglio arrivare.
“Come con chi? Con... con Meg”
“Con Meg”
“Sì, lei è qui da una vita, conosce i posti. Me l'ha fatto conoscere lei”
“Che ci sei andata a fare in riva al mare di notte con Meg?”
“A fare un giro! A bere e fumare, e spettegolare”
“E basta?”
“Ahahah che vuoi dire, che cosa pensi facessimo?”
“Voglio dire, ci sei andata con Meg e basta? Un sacco di volte, hai detto”
“E con te”
“Con Meg, me... e basta?”
“Beh...”
“Angie?”
“Non solo...”
“Ci sei andata con Jerry?”
“...”
“Angie, parlo con te”
“Lo so, ci sono solo io qui” siamo fermi al semaforo e Angie si guarda attorno nell'abitacolo, buttando pure l'occhio sui sedili di dietro, prima di tornare a fissare me.
“E quindi?”
“Non ci sono andata con Jerry”
“Quindi mi giuri che non mi hai portato dove ti infrattavi con il tuo ex, vero?”
“No!”
“Ok”
“Con lui... ehm... siamo andati nel parcheggio di sopra”
“COSA?!”
“Che c'è? Perché ti arrabbi?”
“Perché? Come perché? Mi porti a fare cosacce dove scopavi il tuo ex ragazzo, non dovrei neanche arrabbiarmi?”
“Non ho mai scopato Jerry in quel posto!”
“Il fatto che fosse un altro parcheggio cinquanta metri più su non cambia la sostanza, Angie”
“Intendo che non l'ho mai fatto in macchina con Jerry!” esclama mentre fa un cenno di scuse al tipo dietro, che ci ha appena suonato perché non siamo scattati subito al verde. Anche lui, che cazzo vuole poi? Che cazzo di fretta ha?
“No?”
“No, non ho mai... non ho mai avuto rapporti completi con Jerry in auto”
“Questo uso sospetto di termini molto, troppo specifici non mi sembra per niente casuale”
“Ci siamo baciati”
“Non lo voglio sapere” mi basta che lo dica per immaginarmelo, diciamo che me lo immagino anche senza che lei mi dica nulla, la mia immaginazione non ha bisogno di aiutini.
“Ma se me l'hai praticamente chiesto?”
“Non sono scemo, ho capito che non te lo sei scopato lì, ma qualcosa ci facevi. Il succo non cambia”
“Che c'entra chi ci ho portato prima, adesso ci sei tu”
“C'entra perché... perché mi da fastidio, mi fa strano, mi da... una sensazione... brutta”
“Te l'ho praticamente detto quando ci siamo arrivati che ci ero già stata, ma non hai fatto una piega. Perché adesso te la prendi tutto d'un tratto?”
Ed effettivamente è vero, me l'ha detto, non mi ricordo le parole esatte, ma me l'ha fatto capire. La verità è che ero talmente preso dalla situazione, da lei, dal suo profumo, dai suoi gesti nel togliersi la giacca, dai suoi occhioni, dal suo sorriso malizioso a forma di cuore... e non ho capito un cazzo.
“Si vede che prima non ci ho fatto caso e adesso sì”
“Io vengo da fuori, non conosco tanti posti, se decido di appartarmi con te da qualche parte non posso improvvisare, è ovvio che io segua... ehm... una strada già battuta”
“Beh allora non andiamo più da nessuna parte e stiamo a casa, così risolviamo il problema”
“Se è per questo, Jerry è stato anche nel mio letto, non andiamo più nemmeno lì?” Angie mi guarda perplessa e io lo so, lo so che sono pazzo, che sono io quello malato, che la gelosia retroattiva non ha senso. Ma mi girano le palle, ah, se mi girano!
“Potresti... potresti evitare di ricordarmelo? Grazie”
“Ma... sei geloso di Jerry?”
“No” noooo ma va! Cosa te lo fa pensare?
“Ok. Anche perché sarebbe veramente stupido se tu lo fossi” ecco, appunto.
“Infatti”
“Perché non mi interessa, non c'è praticamente la benché minima speranza che lui possa interessarmi ancora e che possa tornare con lui” siamo sicuri? Magari da parte di Angie non c'è storia, ma Jerry ci spera ancora, eccome. Me l'ha detto lui! Ovviamente, questa informazione me la tengo per me.
“Lo so”
“Bene”
“Anche la cassetta la usavi con lui o è una mia esclusiva?”
“La cassetta l'ho fatta ieri, per te. Per l'occasione” ribatte sfiancata, alzando gli occhi al cielo.
“Ok”
“Contento?”
“Molto. Mi piace”
“Meno male”
“La cassetta di Jerry invece com'era?”
“Dio, Eddie, non c'è mai stata nessuna cassetta di Jerry”
“Non ci credo”
“Pensala come vuoi, potrei anche non risponderti, perché la cosa in fondo non ti riguarda. Invece ti ho pure risposto ed è la verità” ha ragione, quello che aveva con Jerry non sono cazzi miei. E sto facendo la figura del coglione.
“Scusa”
“Va bene”
“Sono un po' stupido a volte”
“Ho notato”
“Poi però mi passa”
“Lo spero”
“Poi me la presti la cassetta? Voglio farne una copia”
“Spero ti passi in fretta, molto in fretta”
**
“Eccoci” Angie si ferma a un isolato da casa mia, come fa sempre ultimamente ogni volta che mi riaccompagna a casa.
“Guarda che Jeff non fa la casalinga impicciona alla finestra per controllare con chi esco. Non gliele può fregare di meno, sono mica Stone” scherzo per alleggerire un po' l'atmosfera, che è ancora tesa nonostante le mie scuse e le stronzate che sparo.
“Venerdì” Angie tiene stretto il volante e continua a non guardarmi.
“Venerdì cosa?”
“Venerdì suonate all'Ok Hotel”
“Sì”
“E si festeggia Jeff, che fa gli anni due giorni dopo”
“Già”
“E poi lunedì iniziate a registrare Eleven”
“Hahaha si chiama Ten”
“Ma sono undici canzoni! Non ha senso, te l'ho già detto!” finalmente si volta dalla mia parte e le mani si spostano sulla parte bassa del volante.
“Se è per questo è anche il nostro primo disco, lo chiamiamo One? O First? Eheheh”
“Ridi ridi, poi quando non saprete come chiamare il vostro decimo album vedremo chi riderà per ultimo”
“Il decimo? Credi che dureremo così tanto?”
“Certo! Ma vi scioglierete proprio a causa di quel disco perché non saprete che cazzo di nome dargli, indecisi tra... boh... una marca di surf e una riserva dei Seattle Supersonics”
“Ahahah sempre che i Sonics esistano ancora”
“Perché non dovrebbero?” mi chiede improvvisamente seria, in quella sua maniera adorabile di focalizzarsi su dettagli del tutto secondari.
“Tu ci pensi mai al futuro? Dico, il futuro futuro, tipo venti o trent'anni da ora?” io sì, ad esempio ora mi sto immaginando tra vent'anni, a parlare in macchina con te, magari di ritorno da una partita dei Sonics.
“Mmm no, cioè, non dettagliatamente, ma sono curiosa di sapere se sul 2001 aveva ragione Kubrik o se nel 2019 avremo schiavi replicanti androidi come in Blade Runner, quello sì”
“Eheh intendo il tuo futuro, personale, a che punto sarai. Cioè, dove ti vedi, come ti vedi... cose così” le domando ancora e vorrei confessarle che io ogni tanto ci penso al futuro. E lei mi prenderebbe per il culo perché uno che è abituato a vivere l'attimo che pensa al futuro è un controsenso. Ma io farei finta di non averla sentita e le direi che non lo so se ci arriverò, ma ogni tanto mi piace immaginarmi tra venti o trent'anni, magari coi capelli più corti o senza capelli addirittura, a vivere di musica, sposato, con due o tre marmocchi. E allora sì che scapperebbe a gambe levate.
“Beh, no, onestamente non ci penso. Spero giusto di riuscire a laurearmi prima di allora”
“Dai, una maniaca del controllo come te che non pianifica il suo futuro? Mi stupisci”
“Il lontano futuro non si può controllare, così come il passato, l'unica cosa su cui puoi avere il controllo è il presente. O il futuro immediato” fa spallucce mentre il suo sguardo si perde chissà dove attraverso il vetro di fronte a lei.
“Vivi l'attimo anche tu allora? Devo aspettarmi di trovarti a scalare qualche edificio nel tempo libero?”
“Eheh no, ma le mie tempistiche di pianificazione sono piuttosto brevi. Per esempio, per ora arrivano fino a venerdì, come ti stavo dicendo, prima che ci perdessimo via in uno dei nostri discorsi senza senso” adoro i nostri discorsi senza senso.
“Che succede venerdì?”
“Pensavo, che potremmo farlo venerdì”
“Che cosa? Scalare un edificio? Io comincerei con qualcosa di iconico, tipo il cappello e gli stivali giganti di quella stazione di servizio, come si chiama...”
“Pensavo potremmo dirlo venerdì”
“Dire cosa?”
“Di noi... agli altri”
“Ah” non ci posso credere, sto sognando? Sì, dai, la storia dei poliziotti era troppo assurda, ovvio sia tutto un sogno, dovevo arrivarci.
“Visto che per un motivo o per l'altro saranno praticamente tutti lì, secondo me potrebbe essere l'occasione giusta. Così, ecco, lo diciamo solo una volta” continua lei e stranamente non mi sono ancora svegliato.
“Ma sei sicura?”
“Sì”
“Non devi farlo perché te l'hanno detto due sbirri del cazzo”
“Non è per quello”
“Né perché mi sono arrabbiato senza motivo pochi istanti fa”
“Non è neanche per quello”
“E allora per quale motivo?”
“Ahah è dall'inizio che premi per dirlo a tutto il mondo e adesso fai storie?” Angie molla il volante e si gira completamente verso di me.
“Non faccio storie, è che voglio tu sia sicura e mi sembra strano tu ti sia convinta in un paio d'ore”
“Non mi sono convinta adesso, ho sempre pensato che l'avremmo detto prima o poi, ovviamente. Adesso ho capito che il momento è arrivato”
“Sì?”
“Sì”
“Ok”
“Perfetto”
“Lo diciamo venerdì”
“Già”
“E come lo diciamo? Cioè, all'atto pratico, come facciamo? Salgo sul palco, ti indico e dico al microfono Quella laggiu è la mia ragazza?”
“Fai una cosa del genere e non esisterai più neanche per il primo album dei Pearl Jam, altro che il decimo” mi minaccia così bene che mi fa paura sul serio.
“Facciamo fare direttamente dei poster?”
“Non dobbiamo fare niente, dobbiamo solo comportarci normalmente”
“E coi nostri amici come comunichiamo? Con la telepatia?”
“Ci comporteremo normalmente, come facciamo di solito quando siamo da soli e loro non ci sono”
“Calandoci i pantaloni e saltandoci addosso?” lo so, lo so che sono un coglione, lei si sta finalmente aprendo e io sparo cazzate, ma non ci posso fare niente, sono fatto così, specialmente quando sono contento.
“Eddie!”
“Ti sei proprio fissata coi luoghi pubblici eh? Non conoscevo questo tuo... lato esibizionista, ahia!” insisto mentre cerco di schivare le sue sberle.
“Sei proprio scemo!”
“Eheh dai, scherzavo”
“Io faccio un discorso serio e tu scherzi”
“Scherzo perché sono felice per la tua decisione”
“Comunque... intendevo cose normali, camminare mano nella mano, abbracciarsi, baciarsi, senza ostentare la cosa, con discrezione ecco, in modo che tutti capiscano. E verranno a chiederci Dovete dirci qualcosa? oppure Ma state assieme? e a quel punto ci basterà un sì, risposta secca, senza troppe spiegazioni”
“Sei un genio”
“Che ne dici? Può andare?”
“Certo che può andare, mi sembra un'ottima idea”
“Ok, allora è andata”
“E visto che tanto venerdì lo diciamo a tutti, potresti accompagnarmi fino a casa, per favore?”
“Ahahah no”
“E magari salire con me”
“E' già venerdì per caso?”
“Uhm no”
“Allora scordatelo”
“Quanto manca a venerdì?”
“Poco. Buona notte” Angie si avvicina e mi da quello che nelle sue intenzioni doveva essere un bacio veloce, ma io non resisto e la tengo stretta.
“Stai gelando, rimettiti il cappotto” le dico staccandomi a malincuore da quell'abbraccio freddino, ma solo a livello di temperatura.
“E' vero, nella fretta di andarmene, me lo sono scordato” segue il mio consiglio afferrandolo dai sedili di dietro.
“Allora... buona notte” le do un altro bacio, apro la portiera, sospiro e scendo dalla macchina.
“Notte, ti chiamo domani, ok?” le faccio un cenno e sorrido sotto i baffi. Adoro quando mi chiama. Poi d'un tratto, proprio mentre sta per ripartire, mi torna in mente un dettaglio.
“Angie, aspetta!” due colpi alla sua portiera e lei frena di colpo e abbassa il finestrino.
“Che c'è? Hai dimenticato qualcosa?” mi chiede guardandosi attorno nell'abitacolo.
“Per cosa sta la W?”
“Che?”
“Il poliziotto, quando leggeva la tua patente, ha detto Angelina W. Pacifico. Per cosa sta la W?”
“Ah. Quella W” si irrigidisce e il motore si spegne, non credo l'abbia fatto lei volontariamente.
“Sì quella” mi appoggio al tetto della macchina e mi chino verso il finestrino, aspettando la risposta.
“E' un'iniziale”
“Ok, immaginavo. Iniziale di...?”
“Di un nome”
“Già, e qual è questo nome?”
“Il mio secondo nome”
“Che è...?”
“Che è... un nome che inizia per W” mi guarda con aria sofferente e sento che non ha finito di tergiversare.
“Ahahah cos'è, un altro dei tuoi segreti?”
“Esattamente! Buona notte, Eddie” fa per tirare su il finestrino, ma io lo blocco infilandoci la mano. Spero di non rimetterci le dita.
“Ahahah buona notte un cazzo, dimmi come ti chiami”
“Devo proprio?”
“Sei la mia ragazza, devo sapere il tuo nome per intero!”
“Io non lo so mica il tuo nome per intero”
“Sono nato Edward Louis Severson III, per un po' sono stato Edward Jerome Mueller e ora sono Edward Jerome Vedder, perché ho preso il cognome di mia madre”
“Jerome e Louis sono dei bellissimi nomi” commenta lei, concentrandosi sui nomi e ignorando completamente il casino anagrafico della mia identità.
“Scommetto che anche il tuo è bello”
“No, non lo è”
“W come... Wendy?”
“No”
“Wanda?”
“No”
“Wilhelmina? Winifred?”
“No e no”
“Winona”
“Magari. Non è neanche un nome”
“Come non è un nome”
“E' un nome che non è un nome, è... una cosa”
“Una cosa? Aspetta! Genitori hippie, giusto?”
“Ehm... già”
“Willow!”
“No”
“Water?”
“No, buona notte Eddie” rimette in moto e la mia faccia almeno ha il potere di farle tornare il sorriso.
“Col cazzo! Non mi puoi lasciare così”
“Lo sto facendo, notte notte!” Angie prende e parte e mi lascia qui, come un coglione, a scervellarmi sull'ennesimo mistero, sull'ennesima cosa di lei che non so e che non vedo l'ora di conoscere.
**********************************************************************************************************************************************
“No no no, Grace, mi dispiace, ma te lo devo dire: hai sbagliato tutto. E questo? Vuoi passare? E passa! Quanto ti ci vuole per sorpassare una Granada diesel?” senza nulla togliere alla macchina del mio caro genitore, non è esattamente il modello più veloce mai prodotto dalla Ford.
“Perché?”
“Se accosto ti basta o devo scendere a darti una spinta? Oh ecco! Bravo! Come perché? Ci vedi della logica?” il deficiente passa e io posso tornare a torturare Grace.
“Beh dai, tralasciando il metronotte che stava per beccarci, è stato carino e mi sembrava ti stessi divertendo”
“Infatti! Il pic nic notturno nella fabbrica abbandonata è stato figo. E anche la fuga dal sorvegliante. Oddio, se vogliamo chiamarla fuga: eri più lenta di una lumaca, se il tizio fosse stato almeno un pelo in forma ci avrebbe acchiappati”
“Avrebbe acchiappato me, visto che tu sei scappato senza aspettarmi” sottolinea imbronciata.
“Ti aspettavo alla macchina”
“Certo”
“Col motore acceso, avevo un piano ben preciso in mente”
“Immagino”
“Comunque l'appuntamento è stato da 8, non parlavo di quello”
“E allora di cosa?”
“Della cassetta. E' tutta sbagliata” non dico che debba essere ai livelli di Angie, che è una sorta di cintura nera nell'arte della cassettina, però neanche fare un pastrocchio del genere. Se l'avessi saputo, non le avrei chiesto di portare qualcosa da sentire in macchina.
“Ahahah sono canzoni che piacciono a me, come fanno a essere sbagliate?”
“Non sono sbagliate le canzoni, ma come le hai messe assieme. Hai infranto ogni regola per la creazione di una compilation” le canzoni prese singolarmente vanno dall'ok al fantastico, qualcuna mi ha anche sorpreso. Non pensavo che Grace potesse conoscere band come i Cock Sparrer o i Japan, che tra loro c'entrano come i cavoli a merenda. E ovviamente sono vicine nel mix di Grace.
“Esistono regole del genere?”
“Certo che sì!”
“Fammi un esempio”
“Beh prima di tutto, non c'è un tema”
“Un tema?”
“Sì, un tema, un filo conduttore, qualcosa che le accomuni”
“Il tema è: Canzoni che mi piacciono”
“Ahahah eh no, non funziona così. Devi raccontare una storia, non buttare lì pezzi a caso. Hai messo canzoni di generi diversi, decadi diverse, mood diverso, perfino lingue diverse!”
“Adoro quella canzone di Ofra Haza!”
“Lente, veloci, poi tutte lente. Nah! E non puoi buttare lì un pezzo lo-fi e poi piazzarci subito dopo una megaproduzione”
“Non sono una musicista, non mi interessano i tecnicismi, io vado a sensazione”
“Quali sensazioni malsane ti portano a piazzare Bootsy Collins dopo i Bauhaus?”
“Creano entrambi... un'atmosfera” Gracie fa spallucce ma io continuo.
“E poi hai messo dei pezzi live... in una compilation... uhm... non si fa”
“Ok, quindi voto alla cassetta?”
“Non classificabile. Ripresentati al prossimo appello”
“E invece, voto ai miei stivali nuovi?” domanda accavallando le gambe per mostrare il suo nuovo acquisto. Come se non l'avessi già notato.
“10. Pete, il tuo ex, ti ha consigliata bene” sono marroni, con le stringhe fittissime e una sorta di ricamo laterale.
“Pete non è il mio ex e lo sai benissimo. E non fare finta di essere geloso perché tanto non ci crede nessuno”
“Non sono geloso, constatavo semplicemente il suo buon gusto estetico” e stanno benissimo con quei pantaloncini di velluto.
“E comunque non li ho comprati lì, li ho trovati in un negozio vintage in centro” un po' mi crogiolo nell'autoconvinzione che li abbia presi apposta per me, perché sa l'effetto che mi fanno.
“Non sono male. Anche se non te li ha venduti Pete” d'altra parte però non vorrei pensasse sono un cazzo di pervertito che non riesce ad avere un'erezione se non vede un paio di stivali. E in generale, non vorrei pensasse sia quel tipo di persona che è necessario stupire ogni volta, con qualcosa di estroso o sopra le righe. Ho avuto questa impressione, ma magari è solo mia. Insomma, la cosa degli appuntamenti è simpatica, ma più che altro perché è una cosa solo nostra, e non semplicemente per l'originalità delle scelte nelle uscite.
“Sei un cretino, Stone, te l'hanno mai detto?”
“Sì, ma detto da te suona meglio” le rispondo con un lesto baciamano e voglio vedere come ribatte a questo colpo da maestro.
“Meglio del mio mix tape?” è brava anche lei, non c'è che dire.
“Decisamente. Non che ci volesse molto...” ma non sa ancora fino a che punto mi piace avere l'ultima parola.
“Già. E anche per capire quanto sei cretino, mi ci è voluto davvero poco” risponde con un occhiolino. L'ultima parola, ma quanto le piace togliermela?
**
“Sicuro di non volere qualcosa?” Grace mi chiede dal bagno, mentre io mi fisso su uno dei due acquari.
“Sicuro, sono pieno” per il pic nic avrà preparato venti panini, più il vino, direi che sono a posto.
“Non hai neanche un mini-posticino nello stomaco per il dolce?”
“Credo di non avere più spazio in nessun organo interno, anche volendo. Forse nelle orecchie, potrei provare ma...”
“Neanche per questo dolce?” Grace esce e la maniera in cui mi si presenta non mi è affatto nuova, ma non per questo meno straordinaria.
“Beh, magari... giusto un assaggio...” credo che i miei organi interni stiano esplodendo nel momento in cui Grace avanza verso di me, completamente nuda e solo con gli stivali addosso.
Istintivamente indietreggio, ma non so perché, deve essere un istinto del cazzo perché non ho assolutamente intenzione di sottrarmi alle sue attenzioni, anzi. Forse sono solo in soggezione di fronte alla sua bellezza. Forse sono solo ancora un po' brillo.
“Perfetto.” Grace mi viene incontro, ma anziché abbracciarmi, mi dribbla e prosegue verso la cucina. La vedo scostare una delle sedie, forse quella nuova, forse no, per poi appoggiare le mani al tavolo e saltarci su “Allora che aspetti? E' pronto in tavola”
“E questa... da che film porno di serie B l'hai presa?”
“Muoviti o mi rivesto”
“Ok”
**
“Che fai stanotte? Rimani a dormire?” sto ancora cercando di capire chi sono e dove mi trovo e quale camion mi ha appena travolto, quando Grace si riaffaccia in cucina in pigiama, con lo spazzolino in bocca, intenta a lavarsi i denti.
“Dipende”
“Dipende da che?”
“Se posso dormire nel tuo letto sì, se no me ne torno a casa mia” non so dove trovo la forza di tirare fuori l'argomento che potrebbe generare una gran discussione. Forse ho raggiunto un equilibrio tale nel nostro rapporto da riuscire a parlare apertamente di tutto. O forse è solo che mi fanno male i reni, le gambe e tutte le ossa e ho sonno, e quindi vorrei dormire sulla superficie più comoda e più vicina possibile.
“Ok, allora ci vediamo domani” Grace punta lo spazzolino verso di me per poi rimetterselo in bocca e tornare in bagno.
“Dai, Ciottolina, perché devi fare sempre così?” mi alzo dal divano tirandomi su boxer e calzoni alla bene e meglio, cercando di non perdere l'equilibrio, prima di andare verso il bagno per parlare faccia a faccia come le persone normali, ma il faccia a faccia diventa letterale quando lei sbuca dalla porta come una furia e quasi ci sbattiamo contro a vicenda.
“Come cavolo mi hai chiamata??” mi chiede trattenendo una risata a stento.
“Hai detto che il tuo cognome significa sasso, no? Non posso chiamarti... She-Stone, mi farebbe senso”
“Stonia?”
“No”
“Stonette?”
“Perché non possiamo dormire assieme?” la riporto al succo della questione, perché conoscendo lei, e me, potremmo andare acosì vanti per ore.
“Te l'ho spiegato perché, è complicato” Grace si allontana da me e si sofferma un attimo di fronte al divano, come se ci si volesse sedere, ma poi ci ripensa e prosegue, sedendosi al tavolo della cucina, sulla sedia accanto alla porta d'ingresso.
“Lo so, ma ora, beh, è passato del tempo. E da qualche parte dovrai pure iniziare per... abituarti di nuovo alla presenza di un'altra persona, no? Andiamo per gradi” recupero la sedia che Grace aveva buttato da parte una mezz'oretta fa e mi ci siedo, risultando così esattamente di fronte a lei.
“Non sono solo io a dovermi abituare, Stone” in questo modo lascia intendere che ci sia dell'altro e io non sono certo stupido, l'ho capito da un pezzo che non è solo una questione di abitudine all'essere single. C'è una cosa che la rende insicura, all'inizio pensavo fosse qualcosa nella sua stanza, tipo le decine di peluches o qualche animale domestico strano di cui non vuole rivelarmi l'esistenza. Ma poi ho capito che è molto più di questo. Ho pensato che potrebbe avere qualche disturbo ossessivo compulsivo che la fa andare in panico nel momento in cui una persona va a turbare il suo equilibrio. Insomma, basta vedere il casino che ha tirato fuori per la sedia. Magari sistema le cose sul comodino secondo un preciso ordine di utilizzo o fa il letto col righello le squadre e l'idea che qualcuno glielo scombini la manda ai matti. Però mi ha risposto picche anche quando l'ho invitata a rimanere a dormire da me. Non è voluta nemmeno entrare nella mia stanza. Probabilmente riesce a dormire solo nel suo letto, vuoto. Poi ho pensato anche che potrebbe avere a che fare col suo passato, con la sua lunga malattia di cui non vuole mai parlare. Magari prende dei medicinali che la scombussolano o semplicemente che non vuole mostrarmi. Sono arrivato anche a pensare che possa prendere qualche droga, ma no, non la mia Gracie. E poi che c'entrerebbe la sua camera?
“Ok, se mi dici a cosa mi devo abituare, magari comincio a portarmi avanti io e poi tu mi vieni dietro, che ne pensi?”
“Fosse facile”
“Lo so che non è facile, altrimenti non avrei aspettato così tanto prima di metterti alle strette”
“Mi stai mettendo alle strette?”
“Sì, o parli o parli”
“Per forza?”
“Non me ne vado di qui finché non mi dici che succede. Davvero”
“Oh.” forse solo ora Grace capisce che faccio sul serio e che non mi farò andare bene le sue risposte evasive anche stavolta “Ok, va bene”
“Non devi avere paura, sono... sono solo io.” allungo le mani sul tavolo per prendere le sue e finalmente alza lo sguardo incrociando il mio “E lo sai quanto sono intelligente, sono in grado di capire qualsiasi cosa, puoi stare tranquilla”
“Eheheh lo so, mi posso fidare”
“Esatto”
“Mi devo fidare, insomma, sapevo che questo momento sarebbe arrivato, prima o poi te lo devo dire, non posso nascondertelo per sempre. Nonostante le tue passioni peculiari”
“Che vuoi dire?”
“Ugh non posso credere che sto per fare il discorso, di nuovo” si nasconde la faccia tra le mani, che poi si passa tra i capelli.
“Di nuovo?”
“Sarà per questo che sono diventata allergica alle relazioni stabili, per evitare di dover rifare lo stesso discorso ogni volta. Ma poi sei arrivato tu e mi hai mandato all'aria tutti i piani” Grace mi prende di nuovo le mani, dà una stretta e mi sorride, prima di lasciarle andare e tornare a esaminare la stampa della tovaglia sul tavolo.
“Che discorso?”
“Non è facile per me essere a mio agio con un uomo... in intimità”
“Davvero? Perché a me e alle mie articolazioni non sembrava affatto” provo a scherzare per allentare la tensione, ma non so se sia il caso, forse è una cazzata, forse devo lasciarla parlare e basta.
“Non parlo solo di quell'intimità, ma in generale”
“Perché sei abituata ai tuoi spazi e-”
“No, non c'entra un cazzo quello. E' una cosa... una cosa fisica, Stone”
“Fisica?”
“Lo so, conoscendomi la prima cosa che viene da pensare è che sia la mia testa ad avere problemi. E non sono qui per negarlo, insomma, che io non sia del tutto registrata è un dato di fatto”
“Beh... l'hai detto tu, eh?” alzo le spalle e rispondo al suo mezzo sorriso con uno pieno.
“Ma il punto della questione è un problema che ha a che fare, ecco, col mio corpo”
“Il tuo corpo non può avere problema alcuno, Ciottolina”
“Perché non l'hai visto tutto, Bam Bam” visto il momento delicato, decido di soprassedere sul nomignolo, che tutto sommato mi sono meritato.
“Come non l'ho visto? Più di così!”
“Diciamo che la tua curiosa fissazione in questo caso ha giocato a mio favore. O sfavore, perché in realtà ha fatto in modo che io potessi rimandare la questione a oltranza fingendo che il problema non esistesse, quindi dipende dai punti di vista”
“La mia curiosa... Gracie, non ci sto capendo niente, puoi essere un po' più chiara?”
“C'è qualcosa che non va nel mio corpo, qualcosa che non hai visto”
“Ha a che fare con la tua malattia passata?”
“Sì”
“Oh Grace, non saranno delle cicatrici a mettermi a disagio! Mi alzo, pronto a prenderla tra le braccia e stritolarla per punizione, ma lei rimane inchiodata al tavolo”
“Eheheh cicatrici... magari fosse quello!”
“Che significa?”
“Il problema non è qualcosa che ho, ma qualcosa che... manca”
“Sarò scemo, ma io non ho notato niente”
“Sai cos'è un osteosarcoma?”
“Dal nome direi una malattia delle ossa” il termine tecnico irrompe in una conversazione che fino ad ora era stata decisamente leggera, dirottandola completamente verso una destinazione più cupa.
“Un tumore, per la precisione”
“E' questo che hai avuto, anni fa?”
“Sì”
“Ok. Ma l'hai sconfitto quello stronzo di tumore, insomma, stai alla grande”
“Ma quello stronzo di tumore il segno l'ha voluto lasciare lo stesso, Stone”
“Grace, seriamente, non c'è nulla che mi possa allontanare da te. Posso sembrare un coglione con la puzza sotto il naso, ma non sono un tipo impressionabile” in questo momento meglio tralasciare il fatto che non amo particolarmente gli aghi.
“Sai come si cura l'osteosarcoma?”
“Chemio?”
“Chemioterapia e chirurgia”
“Ok”
“E' partito dall'alluce, una cosa rarissima a detta dei medici”
“Devi sempre essere originale tu, eh?” Grace da corda al mio sdrammatizzare con i suoi sorrisi, ma io non sono più tanto sicuro se sia l'atteggiamento giusto da tenere e la mia uscita mi sembra meno intelligente di quanto non dia a vedere.
“Poi si è esteso via via a tutte dita, poi il resto. E' stato tutto così veloce, una settimana prima mi sentivo bene, vivevo la mia vita tranquillamente, poi un dolore mentre facevo jogging e una settimana dopo rischiavo di perdere la gamba o, peggio, di morire in caso avesse raggiunto organi vitali”
“Ma i super chirurghi hanno fatto il loro dovere e ti hanno rimessa in sesto” sembro il bambino che non vuole sentire le parti drammatiche della storia della buona notte e vuole arrivare subito al lieto fine, per addormentarsi sereno.
“Sì. Mi hanno salvata. A un piccolo prezzo”
“Grace, chi se ne frega se il tuo piede non è bello da vedere, l'importante è che sei qui, adesso, con me, a poter parlare di questo”
“Non è bello da vedere perché non lo puoi vedere, Stone, non hai ancora capito? Non c'è, non ce l'ho, me l'hanno dovuto amputare” sento le parole uscire dalla bocca di Grace, ma suonano vuote di significato. Sento il bisogno di sedermi e di dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma mentre riesco a fare la prima cosa, il mio secondo intento mi risulta stranamente impossibile. Forse per la prima volta nella mia vita non so cosa dire. O meglio, ho talmente tante cose che vorrei dire che mi girano in testa e mi sembrano tutte stupide, superficiali, stonate, del tutto inutili.
“Stone?”
E non so neanche come muovermi. Cosa faccio? Se mi allontano sembrerò distaccato, se mi avvicino penserà che sto ostentando una serenità che non posso realisticamente avere, stessa cosa se le guardo i piedi, ma se evito del tutto di guardarli si convincerà di avermi spaventato.
“Stone di' qualcosa. O se non vuoi dire niente, almeno chiudi la bocca, ce l'hai spalancata da un quarto d'ora” Grace si allunga verso di me sul tavolo e mi chiude la mandibola con una lieve pressione della mano. La sua mano così delicata, dolce, gentile, come lei. Non posso credere le sia successa una cosa del genere, proprio a Grace. Ok, nessuno si merita un dolore di questo tipo e il mondo è pieno di orrori, ma posso essere libero di indignarmi per un'ingiustizia di questa portata?
“E' il destro o il sinistro?” finalmente parlo. E ovviamente dico una boiata.
“Che differenza fa?” Grace mi guarda giustamente come si guarda un coglione.
“Così, per sapere”
“Destro”
“E hai una protesi?”
“Ovviamente sì, se no secondo te come farei a stare in piedi?”
“Ma non si nota, cioè, quando cammini, cammini normalmente. Sei solo un po'-”
“Lenta, come una lumaca” completa la mia frase ed è come quando nei film gialli viene dato l'indizio definitivo e una lampadina si accende nel cervello dell'investigatore, che comincia a ripercorrere a ritroso tutti i momenti chiave dell'indagine. Nel mio caso specifico, tutte le volte in cui ho preso Grace per il culo per la sua lentezza.
“Dio, sono uno stronzo” e d'improvviso, la realizzazione.
“Sì, ma stronzo o no, questo non lo potevi sapere”
“Ma mi sento una merda ugualmente”
“Ti passerà. Ok, allora, adesso che vuoi fare?”
“Che voglio fare?”
“Generalmente, secondo la mia esperienza, gli uomini a questo punto si dividono in due categorie, vorrei sapere a quale delle due appartieni”
“Dipende dalle categorie” rispondo, sempre più scomodo su questa sedia. Forse è perché è quella nuova. Sì, sarà per questo. Grace ha ragione, ha sempre avuto ragione, una sedia non vale l'altra.
“Quelli che non vogliono vedere e quelli che vogliono guardare”
“Oh”
“E, all'interno delle suddette categorie, troviamo due ulteriori sottogruppi: quelli che non vogliono vedere, ma mi chiedono di mostrarglielo per dimostrare che non gli fa né caldo né freddo, e quelli che invece sono curiosi di vedere, ma dicono di no per non sembrare morbosi”
“Io, beh, mi sa che io appartengo a una nuova categoria”
“E cioè?”
“Quelli che non sanno cosa fare”
“Eheh beh, di certo una categoria più onesta” Grace si alza e io la copio istantaneamente.
“L'hai detto a qualcun altro? Della nostra compagnia, intendo”
“No”
“Perché non me l'hai detto prima?”
“Ti sembra una cosa facile da dire? Ciao, mi chiamo Grace, sono dell'acquario e il mio colore preferito è il rosso. Ah, e ho un piede solo”
“Ho... ho bisogno... sì, insomma devo uscire” come faccio a dirle che devo andarmene senza sembrare una merda? Non ne ho idea e infatti mi esce malissimo.
“Te ne vai?” mi chiede mentre prendo la mia giacca e faccio per mettermela.
“Mi serve una boccata d'aria”
“Oh, ok”
“E devo schiarirmi le idee.” al terzo tentativo di inserimento della seconda manica della giacca andato a vuoto, Grace ha pietà di me e mi dà una mano “Grazie”
“Va tutto bene, Stone?” mi fa una domanda a cui, onestamente, non so rispondere e non so neanch'io il perché.
“Certo, è tutto ok.” le prendo il viso tra le mani e la bacio “E' solo... non me lo aspettavo, devo metabolizzare la notizia, tutto qui” dico a lei e a me stesso.
“In tutti questi anni, non ho ancora trovato un modo migliore per dirlo”
“Beh, tanto adesso non ti servirà più cercare un altro modo”
“Ah no?”
“Eh no, ora stai con me, non dovrai più dirlo a nessun altro ragazzo” offro a Grace un sorriso più convinto, anche perché lei non si merita nulla di meno, e la bacio ancora.
“Meno male, allora vedi che servi a qualcosa anche tu?”
“Buona notte, Ciottolina”
“Notte Stone” esco dall'appartamento di Grace, poi dal suo palazzo, poi mi infilo in macchina ed è lì che mi accorgo di aver praticamente trattenuto il fiato, per tutto il tempo.
#pearl jam fanfiction#grunge fanfiction#fanfiction in italiano#eddie vedder fanfiction#eddie vedder#stone gossard#pearl jam
9 notes
·
View notes
Text
Quel che non mi convince di “Miracle Queen” e, in generale, del finale della S3 di Miraculous
La terza serie di Miraculous mi è molto piaciuta.
Però ci sono delle cose che mi sono piaciute molto poco. Potrei fare un gigapost, ma credo che Un Certo Qualcuno ne potrebbe fare presto(?) uno~
Mi limito quindi a quella manciata di cose che non mi tornano, non mi hanno convinto o non mi sono affatto piaciute.
Cose che non tornano:
Titoli mutati e akuma mutanti
Quando furono rivelati i titoli di tutti gli episodi della terza serie, il 77 era chiamato Mangeamour, in inglese Loveater.
Una volta iniziato effettivamente l'episodio (e solo allora) si è scoperto chiamarsi Heart Hunter, con il doppiaggio a dare conferma. Perché il nome è stato cambiato? Non è un akuma importantissimissimo, quindi cosa gli cambiava chiamarsi Heart Hunter o Loveater... se non che sono stati cambiati proprio l'akuma e il suo potere?
Inoltre, la sinossi parlava di un "cerbero a due teste". D'accordo le descrizioni esagerate o non proprio 100% accurate, ma un Humpy Dumpty rosso bifronte fluttuante non mi suscita esattamente l'immagine di un "cerbero a due teste"... a meno che Loveater non fosse un cerbero a due teste. Interessante notare come l'oggetto dell'akumatizzazione sia una maglia extralarge da cui escono solo le teste, come un unico corpo bicefalo.
Le bizzarre avventure di Chloe
Tutta l'evoluzione e il personaggio di Chloe sono stati semplicemente buttati nel gabinetto.
Si pensi anche solo a questa terza serie: è stata la prima persona a rigettare un akuma che già aveva attecchito; in Ladybug ha protetto Sabrina ed è stata una delle poche a credere a Marinette; in Ladybug e in Miraculer sembrerebbe immune al (presunto) potere di Lila; in Startrain si è mostrata una brava eroina anche senza la tutina a strisce.
Dopo tutto questo, in Heart Hunter viene akumatizzata per una giusta causa (erano i suoi genitori ad essere stati akumatizzati, ma Ladybug, suo idolo, ha preferito Ryuuko a Queen Bee per nessun motivo davvero valido) e... Miracle Queen non è questa gran minaccia, è anzi una macchietta comica e alla fine se ne va strillando contro Ladybug in puro stile PRIMA serie. Due intere stagioni di evoluzione giù per lo scarico perché...?
Intendiamoci: se magari Chloe fosse implosa, avesse urlato qualcosa tipo: "Io ci ho provato ad essere buona, ma non faccio altro che produrre akuma!" e poi qualcosa come: "Allora è vero che sono meglio come antagonista!" o "Devo essere io a sistemare tutto ciò che ho fatto e tu me lo stai impedendo, Ladybug!", sarebbe stata un'inaspettata e bellissima involuzione coerente del suo personaggio - e sarebbe entrata di diritto tra i miei personaggi preferiti di ML.
D’accordo, da un paio di espressioni si capisce che è stato solo un attacco tsundere di cui probabilmente si pentirà, ma non mi è affatto piaciuta tutta la vicenda: Chloe ha fatto del suo meglio, Ladybug è obiettivamente stata scorretta con lei e il dolore di Chloe... viene usato come elemento comico e lei come cattiva fallita. Questo no. Interrogato a riguardo da tipo Chiunque rimasto perplesso, l’autore ha spiegato che Chloe non diventerà certo buona dal giorno alla notte (giustissimo) e che già durante la serie si era capito che faceva l’eroina per autocompiacimento - vedasi quando sprona Aurore ad essere akumatizzata per poter intervenire come Queen Bee. E l’autore avrebbe anche ragione se questo elemento fosse stato centrale del personaggio di Chloe: ma se ci sono uno massimo due indizi di egoismo e dieci di buona volontà, è improbabile che la gente non rimanga perplessa a vederla delirare.
A prescindere dalle motivazioni che spingono Chloe, comunque, è innegabile che Miracle Queen abbia mostrato Chloe come una sciocca ragazzina capricciosa e irragionevole e Ladybug sì colpevole ma vabbè dai povera piccola! - e questo magari no.
(Aggiungiamoci il sempre meno spazio di Lila e l’aver fatto andare via Chloe urlando vendetta tremenda vendetta, proprio come è solita fare lei, che non fa presagire cose belle per nessuna delle due.)
Attesissimo & Incredibilissimo Gran Finale un po’ poco curato
Miracle Queen è probabilmente l’episodio con più errori grafici in assoluto.
È normale e umano che in una serie 3D ci sia qualche errore, ma quando l’elenco inizia a superare una schermata di computer...
(Diciamo che è un po’ assurdo che il Gran Finale tanto atteso sia poco convincente di trama e zeppo di errori grafici...)
Romance e Logica, una illogica tragica storia romance
Il messaggio finale di Fu e la morale della serie sono molto belli: andare avanti nonostante le perdite.
Da parte della sottotrama di Fu, nonostante i fuochi d'artificio di deus ex machina e la disumana crudeltà di costringere una quattordicenne già abbastanza provata emotivamente a legarsi per sempre ai Miraculous o dimenticare tutta la sua vita (perché Fu è proprio tabula rasa), ci può stare. Soprattutto se, come sospetto, in origine non era previsto che Fu se ne andasse allegramente vivo e più o meno vegeto.
Il lato romance, invece, è semplicemente un disastro.
Già l’inizio con Chat Noir che dice a Ladybug di essersi trovato una fidanzata, per poi negare quando lei non si mostra gelosa, trabocca di nonsense; se poi lo si mette subito dopo Ladybug, è stupido; se lo si mette dopo Chat Blanc e Felix, ha lo stesso effetto di averle detto “Sai che l’area del trapezio si calcola sommando la base maggiore e la base minore, moltiplicando per l’altezza e dividendo per due?”.
Quando poi, negli ultimi minuti, per Nessun Motivo, completamente A Caso, Marinette e Adrien si dividono, sono costretta a stoppare e a pensare bene a cosa è successo durante la serie, perché forse mi sono persa qualcosa.
Durante la terza serie, è stato mostrato Adrien innamorarsi di Marinette, smettere di idealizzare Ladybug e iniziare a vederla come una persona; è stata mostrata Marinette che finalmente riesce a comunicare con Adrien, invece di balbettare (Papa Garou, Oblivio, Startrain, Desperada, Gamer 2.0, Puppeeter 2, Ladybug e forse ne sto scordando qualcuno); in Miracle Queen, i due ripetono fino allo sfinimento che staranno sempre insieme.
Chat Blanc da solo, poi, è un’esplosione del rapporto tra Ladybug e Chat Noir, tra Adrien e Marinette. Tuttavia, nonostante quello che è successo, in Felix Marinette riesce a dichiararsi e si mostra ancora cotta e fangirl: questo vuol dire che Marinette è più cauta verso Chat Noir, non Adrien - dato che non ha mai saputo cos’è successo esattamente nell’altra timeline. Come caspiterina si passa dall’amore intenso e sognante alla rinuncia totale dell’altro nel giro di, ehm, niente? Perché Chat Noir ha deciso di non chiamarla più “my lady” e di insistere per una sua eventuale gelosia per una fidanzata immaginaria o verso Ryuuko? (Perché in mezzo, secondo l’ordine di produzione che è consigliato seguire come timeline, c’è stato solo Ladybug, che NON parla di romance.)
Mi starebbe bene che Marinette e Adrien abbiano qualcun altro. Mi starebbe pure bene che Marinette e Adrien non si sposino e abbiano quindici figli e un criceto. Ma voglio che la motivazione mi venga mostrata. Voglio vederli scoprire di essere incompatibili, voglio vedere il grande amore che si spegne - insomma, vorrei vedere un motivo.
Miracle Queen si conclude in modo davvero triste (nel senso più negativo del termine) con, essenzialmente, Adrien che ha rinunciato a Ladybug perché quest'ultima è innamorata di un altro, che in realtà è lui, ma lei non lo sa, quindi l'ha rifiutato perché non sapeva che Chat Noir fosse lui. A casa mia, una cosa del genere si chiama fyccyna angst self-indulging o, al limite soap opera. E tutto il drammone che si crea, dunque, si crea sul nulla.
Letteralmente il nulla, visto cos’è successo nei tre episodi precedenti.
Quel ca**o di periscopio
In Miracle Queen, Ladybug e Chat Noir sono costretti sott’acqua causa vespe paralizzanti: devono trovare Fu, ma come faranno, se sono costretti sott’acqua causa vespe paralizzanti?
Nessun problema, proprio in quest’ultimo episodio si scopre che il bastone di Chat Noir può fare da periscopio! Com’è conveniente!
(È solo uno dei deus ex machina di Miracle Queen, ma l’ho messo a parte perché ho rotto abbastanza le balle a Tayr su “Vediamo se appare in Chat Blanc o Felix”. Alla fine è diventato un meme e non ho potuto non fargli un punto a parte.)
Miracle Queen è il finale, giurin giurello!
Chat Blanc e Felix parlano della famiglia Agreste e della trama di Miraculous, con il secondo che introduce nuovi elementi di trama (la famiglia Graham e gli anelli gemelli) che sarà probabilmente importante nella quarta serie; Heart Hunter e Miracle Queen parlano di inciuci amorosi, Chloe che delira, deus ex machina e Marinette nuova guardiana dei Miraculous.
Non so, eh, magari mi sbaglio, ma mi sembra che Chat Blanc e Felix sappiano un pochino ino di finale - ma forse sono solo io, eh.
Cose teaserate e poi boh: (= La terza serie è tutto un enorme teaser della quarta o qualcuno si è perso qualcosa per strada.)
⦁ In Oblivio viene mostrata per la prima volta un'akumatizzazione di coppia (proprio di una coppia effettiva, tra l'altro!), che aveva molto il sapore di anticipazione di Loveater... peccato che Heart Hunter sia uno degli akuma con meno screentime (e importanza) in assoluto.
⦁ In Timetagger, Chris dice chiaro e tondo "Chi ti ha detto che il mio Papillon sia tu?", stupendo Gabriel. L'episodio si chiude con la minacciosa (?) inquadratura di Lila che fa da babysitter a Chris bambino, con quest'ultimo che si è preso una cotta per lei.
Di questo "altro Papillon" (Lila?) non si farà mai più menzione.
⦁ Il potere di Mayura è creare sentimonster. A livello di trama, questo è ovviamente per aiutare gli akuma di Papillon.
Ma a cosa è servito il sentimonster senziente di Ladybug?
⦁ Il doppiatore inglese di Luka aveva spoilerato alcune cose, tra cui una frase che Luka avrebbe pronunciato in un qualche episodio: “Io amo davvero Marinette!“, detta con decisione.
A fine serie, questa frase non risulta in nessun episodio e non riesco a togliermi dalla testa che possa trattarsi di una “prima versione” di Loveater, quando ancora si chiamava così.
Cose che non mi sono piaciute:
Lila ha sbagliato cartone
Lila è un personaggio molto, molto complesso - rasenta l'hikkikomori, è una bugiarda patologica, è visibilmente lasciata a se stessa dai suoi genitori, forse soffre di una solitudine immensa che colma con la rabbia e le bugie, che la porta ad essere irosa verso chiunque non sia come vuole lei, si schiaffa gli akuma addosso mostrando autolesionismo e un odio consumante - e difficilissimo da gestire, soprattutto se proprio lo si vuole mettere in un cartone per bambini.
Già era sospetto che, dopo essere stata presentata come "antagonista ricorrente" a fine prima serie fosse scomparsa del tutto per poi riapparire a fine seconda - e la cosa era stata spiegata con un essersi rinchiusa nella sua camera per ripicca, e vabbè.
Tuttavia, da lì in poi assurge al ruolo di "sottoposta ufficiale dell'antagonista", ma il suo Apporto Fondamentale ai Malefici Piani sarà solo in Chameleon (episodio molto discutibile), Miraculer (ci ha provato, ma l'akumatizzazione non è merito suo), e ottenendo risultati concreti solo in Oni-chan (che le si ritorcerà contro) e Ladybug (che le costerà un Adrien in modalità yandere).
Il fatto che Lila sia scomparsa (nel finale non appare proprio) e forse "sostituita" nel suo ruolo "antagonistico" da Chloe non può che farmi pensare che si siano resi conto troppo tardi del suo essere un personaggio ingestibile e la scelta fatta nel suo caso è stata... toglierla?
Cercasi altri Portatori di Miraculous
Il trattamento di tutto il resto dei portatori di Miraculous, soprattutto il "gruppo principale" - alias Alya, Nino e Chloe.
È pratica comune (e sensata) nei majokko e, in generale, in tutte le storie che implicano più di un personaggio, dedicare almeno un episodio solo e soltanto ai personaggi secondari, così da approfondirli: al di là dell’episodio di apparizione di Rena Rouge e Carapace, Alya e Nino non hanno più avuto momenti di gloria come supereroi. Riguardo Queen Bee, meglio non parlarne.
Non solo Rena Rouge, Carapace e Queen Bee non hanno avuto screentime, ma Miraculer è l’unico episodio in cui ci sono tutti e cinque i portatori di Miraculous principali. C’è poi Party Crasher, con tutti i portatori maschi più Ladybug.
In sostanza, c’è UN episodio con il quintetto (si supponeva) principale e neppure un episodio con l’intero gruppo di portatori che non viene akumatizzato/controllato/laqualunque. Considerato che la terza serie era stata presentata con il quintetto e anticipava maggiore attenzione ai portatori di Miraculous (... cosa oggettivamente successa, visti tutti i nuovi portatori, ma non...), confesso di esserci rimasta un po’ male nel vedere l’attenzione costantemente sui soli Ladybug e Chat Noir, con variazioni solo nel caso di un nuovo portatore e dunque episodio basato su lui/lei. Belli questi episodi, eh, ma mi sarebbero piaciuti anche episodi in cui erano Rena Rouge, Carapace o Queen Bee - o un altro qualsiasi - a dover gestire l’akuma, con Ladybug limitata alla purificazione dell’akuma.
1 note
·
View note
Text
SKAM ITALIA e la conquista dell’Europa
Mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost’
Ebbene sì, con SKAM Italia rifondiamo l’Impero Romano e ci riprendiamo l’Europa. Perchè? Perchè questa web serie E’ PIACIUTA UN SACCO ALL’ESTERO. E anche alla sottoscritta, insieme a tanti altri italiani.
Ma andiamo con ordine. Che cos’è SKAM Italia? Lo spiego a chi ancora non lo sa: SKAM è una web series norvegese che ha raccolto un gran successo su Internet. La storia ruota ad un gruppo di liceali che affrontano i problemi dell’età, come l’amore, la sessualità, la propria identità e via dicendo. Un’aspetto poi particolare è che si possono vedere i protagonisti interagire tra di loro sui social, leggere i loro messaggi proprio come se fossimo lì con loro.
Dopo questo successo, vari paesi (europei e non) decidono di fare i propri remake. L’Italia è tra questi paesi.
Ora...
Conoscendo il livello di certe fiction italiane che parlano di ragazzi adolescenti (sceneggiature oscene e attori abbastanza imbarazzanti) ero sicurissima che sarebbe uscita una porcheria trash... E il primissimo trailer sembrava confermare la mia opinione.
SBAM! SBAGLIATO!
Ebbene sì, lo ammetto.
(Ci tengo a sottolineare che non sono stata l’unica, così almeno attenuo la mia figura demmerd-)
SKAM Italia è davvero un buon prodotto. Non mi spingo a dire “capolavoro assoluto, oddio Oscar adesso, tutti gli altri fan pena”, ma è un ottimo punto di partenza per le serie che parlano di giovani.
Gli attori sono bravi e convincenti (almeno l’85% di loro, qualcuno ha ancora qualcosa su cui lavorare). Di nuovo, non dico che siano Meryl Streep o Marlon Brando, ma per certi standard bassi che ci sono sulle reti nazionali è un miglioramento.
La sceneggiatura è ben scritta, ci sono stati degli studi per trattare certi argomenti. Molto molto bella anche la fotografia, soprattutto nella seconda stagione.
Ma le due cose che sono piaciute davvero tanto in SKAM (e sono, a mio parere, anche il motivo del suo successo) sono il REALISMO dei personaggi e le TEMATICHE (che sono le stesse della versione originale, precisiamo).
La s1 ha come protagonista principale Eva, una liceale che si trova in una scuola nuova insieme al suo ragazzo. Le sue vecchie amiche l’hanno abbandondata per un fatto avvenuto in passato ed Eva si ritrova sola o sempre con il suo ragazzo. La coppia è in un momento di crisi, in cui ci sono sospetti di tradimento e i tipici drammi adolescenziali.
In tutto questo Eva riesce ad unirsi ad un gruppo di amiche. Le nuove ragazze sono Eleonora, Silvia, Federica e Sana, una mussulmana (certi personaggi urlerebbero allo scandalo, come se nelle scuole italiane non esistessero le ragazze con il velo).
Tutte assieme aiuteranno Eva a superare un periodo di crisi, litigheranno ma faranno pace per sostenersi a vicenda. Viva la solidarietà femminile!
Il tema di questa stagione è sicuramente quella del mettere sè stessi prima di tutto, di non scomparire in una relazione che rischia di rovinarci. Eva lo capisce, capisce che deve venire prima Lei. E’ una cosa che mi è piaciuta moltissimo, non è la classica storia “lui/lei si amano, si mollano, si mettono assieme, si mollano e alla fine vissero felici e contenti”. Altri argomenti importanti toccati sono sicuramente lo slut shaming e l’aborto (non proprio una passeggiata, soprattutto in Italia)
La mia gioia immensa è venuta poi dal realismo dei dialoghi perchè parlavano effettivamente come adolescenti, le battute non sembravano scritte da un 50enne che finge di essere figo. I dialoghi di certe ficition con giovani protagonisti mi perseguitano ancora adesso di notte.
La seconda stagione è sicuramente quella che ha fatto il botto maggiore, soprattutto sui social.
Si concentra su Martino, amico di Eva, e la scoperta della sua omosessualità. Eh già, il tema è quello dell’omosessualità.
In Italia di serie che ne parlano ce ne sono praticamente tante quante le mie possibilità di diventare Presidente degli Stati Uniti d’America. Perchè sia mai parlare dei ghei in tv.
Invece SKAM lo fa (non in tv perchè tanto sarebbe stato impossibile, ma sul web).
Tutto il percorso di Martino è davvero bellissimo da guardare, emoziona. Già il semplice inizio della stagione, con le testimonianze di ragazzi vittime di omofobia, fa capire che è una serie che affronta la questione in maniera seria. Non ci sono gli stereotipi idioti della tv (uomo gay=si veste come una drag queen), non ci si ride sopra come se si fosse a Zelig.
Pensate che in Cina questa stagione è stata vista da tantissime persone ed è finita nelle tendenze sui social cinesi!
La parte forse più bella per me è il rapporto tra Martino e i suoi amici, quel tipo di amicizia che vorremmo tutti. Il sapere di aver sempre qualcuno al tuo fianco, che ti vuole bene per quello che sei dentro.
Altra tematica importantissima è quella delle malattie mentali (altro argomento che in Italia difficilmente si trova perchè “son tutte cavolate”). Molto sottile la critica sull’assenza (o comunque il numero basso) di psicologi nelle scuole, quando forse invece dovrebbero essercene di più quando si è in un’età difficile come l’adolescenza.
Tra tutti i remake, SKAM Italia è quello che ha conquistato un audience maggiore, sarà per come è girato, per gli attori... Chissà, però è piaciuto davvero molto, su Youtube ci sono vari ragazzi e ragazze che fanno video reaction alle puntate.
E’ una serie che consiglio tantissimo! In questo 2019, dove ci troveremo più tv spazzatura del solito, guardatevi questo bellissimo lavoro di Ludovico Bessegato!
Qui trovate la s1 e la s2 -> http://skamitalia.timvision.it/
La s3, se non sbaglio, sarà online poi in primavera.
Buon 2019 a tutti!
Peace out
4 notes
·
View notes
Text
Ogni tanto la magia...
Igiko era una guerriera e una maga. Qualcuno l'avrebbe definita una strega, e probabilmente lo era, ma lei faceva fatica a definirsi così. Tutto quello che voleva nella sua vita era essere all'altezza di stare accanto ai grandi uomini che l'avevano ispirata, attratta e accudita. Per questo si era impegnata moltissimo, aveva studiato, aveva fatto pratica, si era applicata per trovare soluzioni ingegnose a qualunque problema i suoi uomini le presentassero. Così aveva sviluppato anche la magia. Non sapeva bene da dove derivasse in realtà, ma un giorno si era accorta che un certo super potere le permetteva di stringere legami con gli altri. Legami forti, profondi, luminosi. Pericolosi. Una speciale porzione di quel potere Igiko l'aveva nascosta in un ciondolo d'oro che teneva al collo, attaccato ad una lunga catenina che le scendeva sul seno. Il ciondolo era una piccola sfera d'oro che si accendeva di mille luci chiare fino a renderlo trasparente quando doveva essere utilizzato. Era la sua magia preferita quella e la usava quasi ogni giorno, anche sul campo di battaglia, perché portava un alieno senso di positività e di leggerezza il che rendeva più energici i compagni, tanto quanto arrendevoli gli avversari. Era come se giocando quella carta le persone sentissero che alla fine….sarebbe andato tutto bene. Quindi in qualche modo i conflitti si chiudevano in fretta, spesso nel modo in cui voleva lei.
[ Photo by freestocks.org on Unsplash ]
Da un po' di tempo si era accorta che il ciondolo aveva un effetto molto interessante anche rispetto alle situazioni "stabili"; quello che faceva in pratica era, in maniera leggera, quasi impercettibile e poi man mano più rilevante, muovere l'acqua intorno a sé. Innescava un cambiamento. Lei se ne serviva, a volte anche senza accorgersene, quando vedeva che le cose non andavano bene, ma nessuno riusciva a muovere nulla. Per paura. Per fatica. Per cecità. Ben presto si accorse che questo era un effetto molto più potente di quello che si era immaginata quando aveva forgiato il ciondolo e ora era diventato preziosissimo e andava custodito e curato con maestria. Tutta quella che aveva acquisito in tanti anni di studio e pratica, ma a volte aveva la sensazione che anche così non fosse sufficiente. Lei lo portava sempre al collo, con orgoglio, ma anche con sicurezza. In questo modo però doveva stare anche più attenta per non rischiare di innescarlo senza controllo.
Quel giorno era esausta, aveva combattuto tante battaglie e anche il ciondolo le era servito spesso per riuscire a chiuderle con pochi feriti. Nonostante questo non si sentiva per niente felice ed euforica. Era piuttosto consumata e triste. E vuota. Lei era una guerriera e quello era il suo lavoro, ma come mai questo non era abbastanza?
Si sedette a rimuginare ad un tavolo della taverna mentre aspettava la cena e senza ce se ne accorgesse ad un certo punto si trovò circondata di commilitoni, giovani ragazzi che come lei cercavano ristoro e forse conforto in un piatto caldo e nelle chiacchiere leggere con gli amici.
- Come stai Igiko?" Ti è piaciuta la battaglia? - Sì! Certo! Gliele abbiamo suonate, eh? Non aveva proprio voglia di sostenere una conversazione troppo complicata in quel momento. Guardava il suo ciondolo, usato e abusato per quell'ultima battaglia e si sentì in colpa.
Semàn le si sedette accanto in quel momento, anche lui con lo sguardo forse turbato, serio o forse leggermente annoiato. - Il tuo ciondolo è un po' spento oggi… - Sì, bè, mi sorprende anche solo che te ne sia accorto Semàn. Non credevo che a voi ragazzi interessassero i gioielli! - Non so a noi ragazzi cosa dovrebbe interessare, ma io l'ho sempre trovato molto bello il tuo ciondolo. È particolare e poi visto da vicino, sembra molto diverso, sembra davvero magico. - È tutta una scusa per guardarmi il décolleté, ammettilo! - Ahahah! Sì, forse è vero! Ma lo è anche che lo trovo davvero speciale quel ciondolo, non so…
[ Photo by Cassie Boca on Unsplash ]
- Ah, sì? A cosa ti fa pensare? Vediamo, parla a mente libera… - Mi fa pensare…al mare. Quando ero piccolo mia madre mi portava spesso al mare, anche in inverno a guardare le onde. Mi ricordo che faceva un freddo cane, mi gocciolava il naso, ma…il colore delle onde in inverno. Quel grigio cangiante, e blu, e verde…ecco, mi ricorda quei colori! - E perché ti portava al mare tua madre anche quando era freddo? - Perché era una romantica, credo. Come me. Le piaceva il rumore delle onde quando c'era silenzio e il cielo plumbeo che si fonde all'orizzonte. - Non ti facevo un romantico, Semàn. Però è davvero un bel ricordo. Sarà contento il mio ciondolo di richiamarti certe immagini. - In effetti era tanto che non ci pensavo. Guarda, adesso sembra anche più luminoso! - Sì, lo fa quando viene a contatto con le emozioni degli uomini. È come se si ricaricasse. - … è per questo che mi hai chiesto quelle cose sul mare e su mia madre? - Oddio, no! Te l'ho chiesto perché mi interessava. Tu mi interessavi. Mi sei sempre sembrato un tipo interessante. Mi sono sempre chiesta cosa ci fosse dietro a quella maschera magenta che indossi in battaglia. - Magari non c'è niente. - Magari c'è tutto.
---
Qualche giorno dopo Igiko stava preparandosi per la prossima battaglia. Era nelle stalle a preparare i cavalli e poco prima era stata in consiglio a studiare la strategia nella quale lei avrebbe avuto un ruolo fondamentale. Era indaffarata e concentrata, ma in fondo anche un po' annoiata. In quel momento comparve Semàn. - Ti ho portato una cosa - Per me? - Sì, sono stato a Terracquen in missione esplorativa e ne ho prese un po'. Semàn tirò fuori dalla tasca un sacchetto con un gruzzolo di conchiglie. - Questa è la migliore, senti. Igiko avvicinò la conchiglia all'orecchio. - Oddio! Si sente proprio il mare!! - Senti meglio… - …ma…è il canto delle sirene questo in lontananza? - Esatto! A Igiko batteva fortissimo il cuore. Era tantissimo che non sentiva una sirena. Pensava fossero tutte morte. - Ma come è possibile?! - Pere che a Terracquen ce ne siano ancora molte, sono sopravvissute perché hanno trovato un nascondiglio segreto, invisibile agli uomini. La leggenda narra che solo colui che riuscisse a raccontare ciò che veramente ama riuscirebbe a scoprirlo. - Vabbè!! Allora è come se fossero tutte morte!! Ahahah! - … - Perché fai quella faccia?! - Perché pensavo…che almeno tu…saresti riuscita a trovarlo… fa niente! Illusioni da ultimo dei romantici! Comunque mi faceva piacere dartela. Credo che sia una conchiglia molto bella. Ne ho una anche io, guarda! È molto simile alla tua, anche il suono è lo stesso. Credo ci sia un messaggio, ma non riesco a capirlo… Va bene! Ciao Igiko! Buona luce! Parti domani, non è vero?
---
[ Photo by Nathan Anderson on Unsplash]
Igiko era un po' turbata. Ascoltava il suono di quella conchiglia e sentiva vibrare il ciondolo. Ascoltava le voci delle sirene e ripensava alla leggenda. La battaglia era stata un successo, aveva ricevuto complimenti da tutti; era molto fiera di sé stessa, ma quella sera aveva avuto bisogno di cercare una radura isolata, accendere un fuoco e lasciarsi la battaglia alle spalle. Fissava il fuoco scoppiettante davanti a sé mentre ascoltava rapita e leggermente intorpidita il suono del mare e la voce delle sirene quando sentì dei passi alle sue spalle. - Non voglio disturbarti - Tu non disturbi mai, Semàn. - Vedo che il regalo ti è piaciuto. - Già.. - Dì la verità: tu capisci cosa dicono, non è vero? Le sirene intendo. - Ripetono solo una cosa in realtà
Senti tutto quello che il mondo ti dà. Vivi spinto dalla passione. Scorri. Esplora. Brucia. Uccidi. Crea. Lascia la paura. La morte è il solo modo per rinascere.
- Pesantine le ragazze, eh? - Ahaahhaa! Si! …se non fosse che hanno una voce così… - Sì, lo so. Anche io non riesco più a staccarmene. Sono come ipnotizzato. Il tuo ciondolo però sta molto bene!...a differenza tua! Igiko che cos'hai? - Ti ho deluso, Semàn? - Per l'altro giorno? È per questo che stai male? No! Certo che no! Scherzavo con la storia che tu avresti potuto trovare le sirene! - Non è proprio per quello di per sé. Ma per quello che significa. Sai perché non ho il coraggio di raccontare ciò che amo? Perché non ho idea di ciò che amo. - Ma il tuo ciondolo lo sa? Perché se si nutre di emozioni se la cava molto bene ultimamente! È incantevole. - Se la cava molto bene quando ci sei tu.
Igiko fissava la conchiglia fra le sue mani, il volto scaldato dal calore del fuoco era rigato da lacrime pesanti, amare. Era talmente inerme, mentre il pianto le bagnava il ciondolo senza che lei potesse fare nulla per contrastarlo. Era immobile, concentrata solo sul suo dolore. Si era quasi dimenticata che Semàn fosse ancora lì di fianco a lei. E la fissava. Con il fiato sospeso.
Ad un certo punto fu proprio fu proprio il suo profondo sospiro a farla tornare presente, e in quel momento lui le disse: - Igiko, non faccio altro che pensare a te, nelle ultime settimane sono in crisi mistica. Mi hai incantato, non mi sento così vivo da tantissimo tempo. Quando sei nella stanza mi sento in grado di salvare il mondo e distruggere draghi. Tu non meriti di piangere, non meriti di stare da sola mentre gli altri festeggiano 500mt più in là, non meriti la tristezza di un cuore che non ama. Ama me. Igiko guardò negli occhi Semàn per tutto il tempo. Il cuore le batteva così forte che non sentiva bene nemmeno il suono della sua voce. Ma capì benissimo ogni sua parola.
In quel momento il ciondolo risplendeva alla luce della luna con un'intensità piena, calda. Nuova. Igiko abbassò lo sguardo e fissò per qualche istante il ciondolo. Poi se la sfilò dal collo e lo porse a Semàn.
- Il mio ciondolo è la cosa più preziosa che ho. È la cosa migliore che abbia mai fatto. Contiene l'essenza di ciò che sono e molto altro. È uno strumento potente. Immensamente potente. Vorrei che lo avessi tu. Nelle ultime settimane nemmeno io riesco a smettere di pensarti. Sono completamente annebbiata. L'unico modo con cui riesco a sopravvivere in battaglia nonostante tutto è grazie al ciondolo. Ma ho paura che questo lo sia rovinando. Il modo in cui ti stai prendendo cura delle mie emozioni ora è così speciale. È esattamente quello di cui vorrei essere capace io. E non lo so se lo sarò mai. Sono una guerriera in fondo…e forse una strega. Ma tu sì, lo sei. Tu sei immenso. Ti prego. Custodisci tu il mio ciondolo. È tutto quello che ho.
Igiko rimase con il braccio teso, il ciondolo che le scendeva dalla mano e lo sguardo emozionato e commosso rivolto verso Semàn che fissava il ciondolo con aria stupefatta.
"Tu pensi che io sia sotto l'effetto del ciondolo vero?" disse Semàn "Che provi queste cose e che quindi ti abbia detto quel che ti ho detto per via del ciondolo…"
Igiko abbassò lo sguardo. "Sì. Purtroppo non riesco ad immaginarmi un mondo in cui il ciondolo non abbia avuto la meglio sugli eventi e le emozioni degli uomini. Ma me ne voglio liberare Semàn. È un potere che non voglio, che mi imprigiona. È un potere che voglio donare a te. Anche lui ti ha scelto."
Semàn allungò la mano verso il ciondolo titubante e di tutta risposta il ciondolo iniziò ad emettere una luce via via più chiara, ma anche profonda. Cangiante. Liquida. Come il mare.
Semàn strinse con una mano il pendente, ma con l'altra afferrò la mano di Igiko. In quel momento tutto intorno a loro era luce. Sembrava che non ci fosse nulla di sbagliato in tutto il mondo, che i sorrisi di mille bambini fossero esplosi tutti insieme e che la pioggia d'estate battesse fuori da una finestra da cui entrava aria fresca. Anche Igiko era sorpresa da quella curiosa reazione del ciondolo. Si sentiva strana in quella situazione. Era emozionata, ma tranquilla e provava un'eccezionale sensazione di…pienezza come mai prima.
Cosa stava succedendo al ciondolo? Era per via di Semàn? Ma soprattutto, cosa stava succedendo a lei?
Non riuscì a lasciare la mano di Semàn nemmeno quando lui iniziò a parlare. - È davvero strabiliante. Effettivamente ha un potere enorme, lo sento sulla pelle, lunga la schiena, nel petto. E si sente anche che è parte di te. È un'energia splendida, profonda…morbida e profumata!. Poi si fermò un attimo fissando negli occhi Igiko e quasi studiando qualcosa che vedeva solo lui. - Non ti porterei mai via una parte di te. Sono sicuro che tutti la vorrebbero, devi esserne orgogliosa. Ma io non la prenderò. Ce ne prenderemo cura insieme se vorrai.
Così dicendo lasciò il ciondolo e tirò fuori dal borsone uno scrigno di legno nero. - Qui è dove nascondo la mia maschera quando non sono in battaglia. È un posto speciale perché scherma qualunque cosa contenga anche dagli occhi indiscreti e soprattutto permette a te e al tuo oggetto di "riposare" l'uno lontano dall'altra.
Igiko osservò lo scrigno aperto e un brivido freddo le corse lungo la schiena. Era così scuro che sembrava potesse assorbire qualunque luce; sembrava profondo ma anche accogliente… Più lo fissava in realtà e più sentiva come una vertigine, un misto di eccitazione e…paura.
Per tutto il tempo Semàn e Igiko non si erano lasciati la mano e insieme stringevano la catena con il ciondolo.
- Lo possiamo fare insieme, Semàn? Ho molta paura. Non ho quasi mai vissuto senza il potere del ciondolo. - Ti terrò la mano in ogni momento, Igiko
Così fecero, insieme, sollevarono le mani intrecciate e fecero scivolare il ciondolo dentro allo scrigno e lentamente o chiusero.
Improvvisamente la luce scomparve e tutto intorno a loro divenne nero come l'inferno. Le braci del fuoco erano ormai spente e anche la luna era coperta dalla foschia. In cielo non si vedeva nemmeno una stella.
Igiko iniziò a tremare per il freddo e per la sensazione che la colpì come una lama alla bocca dello stomaco. La profonda e terribile paura di essere ora completamente incapace ed impotente. Si sentì piccola e per niente degna di stare di fianco a Semàn, di cui percepiva solo la presenza accanto a sé e di cui stringeva ancora la mano.
Passarono istanti di silenzio interminabili. Igiko era completamente avvolta nelle sue tenebre e rimaneva immobile cercando di recuperare il controllo e riprendere almeno a respirare. Era così buio che non si era nemmeno accorta che semàn si fosse avvicinato tanto a lei, ma ad un certo punto sentì chiaramente il suo respiro vicino all'orecchio e il suo petto caldo davanti a sé. Dopo qualche istante Igiko si accorse che stava di nuovo respirando a ritmo regolare. Insieme al ritmo di Semàn. E che aveva smesso di tremare. In quel momento erano come due montagne, immobili a pochissimi centimetri di distanza e l'unico contatto tra loro era ancora la mano con le dita intrecciate leggermente. Il rumore del respiro. Il battito del cuore. Il silenzio della radura. L'odore della terra fresca e delle foglie bagnate. Fu impercettibilmente lento come lo sbocciare di un fiore, ma anche veloce come il vento, il movimento con cui Igiko si sporse per cercare le labbra di Semàn con le sue. Quel bacio era per lei come aria pura. Semàn la strinse in un abbraccio irruento come il tuono che in quel momento squarciò il cielo e mentre la pioggia iniziava a cadere su di loro, sciogliendo e fondendo ogni loro carezza, ogni sospiro, nulla sembrava più poter fermare quel fuoco che ora divampava aggressivo.
I due ragazzi erano lì, perfettamente presenti a loro stessi. E l'uno per l'altra. Così impetuosamente cercando di dirsi che il mondo stava finendo, così come le illusioni di essere invincibili e che in tutto questo sceglievano di affidarsi agli abissi del loro stesso mistero.
0 notes
Text
8/12/2017
Partendo dal fatto che non so nemmeno più come si scriva e più mi sforzo, più esce una cagata, perciò scriverò ciò che mi viene e basta.
Mi ricordo quando ho aperto questo blog, ormai due anni e mezzo fa, e devo dire che mi sembra solo ieri. Avrò condiviso migliaia e migliaia di post, considerando che quando sto male il disagio lo porto a far festa qui, lol.
In questi anni sono cambiate moltissime cose, concetto che alla fine si potrebbe riassumere in “sono cambiata io”. Negli ultimi quattro anni della mia vita ho provato così tante emozioni, che quando ho iniziato il liceo manco credevo che sarei riuscita a farmi degli amici, e questo già la dice lunga su che tipo di persona fossi, e invece ho conosciuto persone che mi hanno fatto scoprire loro stesse, ma soprattutto me stessa. Ora, sarò onesta, dirò che ad oggi alcune (molte) cose di me non mi piacciono, possano essere aspetti del mio carattere o miei modi di fare, o difetti che oramai mi porto dietro da un po’: dico parolacce a non finire, in ogni buco vuoto metto una bestemmia, sembro un sacco aggressiva e stronza, e quando faccio un complimento o sono dolce mi sento dire “ma allora non hai un cuore di pietra, un cuore ce l’hai anche tu”. La prima volta che ho sentito una frase del genere non ricordo nemmeno più quando sia stata, mi han detto cose simili così tante volte che ho perso il conto. Ho scritto “aspetti del mio carattere”, ma in realtà fa un po’ tutto cagare. A turno, le uniche persone delle quali mi sia mai importato e mi interessi l’opinione mi hanno fatto notare che tendo ad essere troppo, troppo+aggettivo che adesso non trovo. Ho rischiato di perderle tutte in pratica, e so che “se una persona ti ama, amerà anche i tuoi difetti”, ma spesso le combino così grosse che la gente preferisce allontanarsi. Se fossi una mia amica, mi manderei a fanculo, lol.
In prima superiore non conoscevo nessuno, ma poi ricordo di avere iniziato a conoscere una persona che forse, non ricordo bene, mi piaceva pure, ma alla “veneranda” età di 14 anni non sapevo manco cosa fosse l’amore, e poi non avevo messo in conto che oltre all’universo maschile esistesse pure quello femminile. È strano, perché a questa cosa ho ripensato e riflettuto solo quando poi mi sono innamorata di una ragazza così tanto che ho detto “forse allora mi era già piaciuta una ragazza”. Questo accadeva alla ancora più “veneranda” età di 14 anni, ma in estate (devo dire che sì, l’intervallo di tempo è proprio molto lol). Pensavo a lei e più i giorni e i mesi passavano, più io non facevo altro che innamorarmene.
Arriviamo alla seconda superiore, che oltre ad essere l’anno per eccellenza che ricorderò sempre per il mio primissimo 3 in assoluto (pale, io sto ancora ridendo, grazie per non avermela messa sotto), è stato l’anno più concentrato di tutto. Il gruppo dagga andava già delineandosi, non ricordo bene le dinamiche ma non fa niente. È stato l’anno in cui ho dato e avuto più amore di quanto ne avessi mai concesso e ricevuto. È stato l’anno in cui ho detto il mio primo sincero “ti amo” ad una persona (vitto, scusami), in cui ho dato il mio primo bacio, l’anno in cui mi sono sentita realmente apprezzata. Non si direbbe, ma ero una ragazza piuttosto insicura, non di ciò che provassi per lei, ma di me. Non sapevo se stessi amando nel modo giusto, come se ci fosse un modo giusto di amare qualcuno. Avevo bisogno di sentirmi protetta, lei era l’unica in grado di farmi sentire così. Ogni volta che la guardavo, dentro di me crollava tutto. Baciarla era come rimanere in apnea, ma senza sentire mai la mancanza di ossigeno. Forse all’epoca ero sensibile, forse troppo, ma per me era una cosa nuova, non l’ho gestita poi molto bene. Quando mi ha lasciata, disperazione. Ricordo ancora tutte le pare che mi ero fatta, che ridere. E ci ho messo un po’, ci ho messo un po’ ad elaborare il tutto, ma si sa, la prima volta è sempre così. Non comprendevo come e perché qualcosa del genere fosse finito da un giorno all’altro, letteralmente. Solamente che poi non mi sono più innamorata di nessun’altra.
Passiamo al terzo anno, indubbiamente il mio preferito, devo proprio ammetterlo. Dagga era ormai diventato un gruppo di disagiate, una più dell’altra, ed il mio sogno (proibito) di ritrovarmi in una classe di merda si era finalmente avverato, ma questo lo capirò meglio l’anno successivo. Avevo passato l’estate struggendomi, poi me ne ero uscita con “mi è passata”, ma poi, me lo ricordo come fosse ieri, tempo gennaio ero punto a capo. Maro’, se c’è qualcosa che odio di più del mio carattere è l’essere troppo sentimentale, rimanere sempre attaccata alle cose anche se non c’è più nulla a cui restare aggrappati. Lo so, sono una sfigata, evito tutto il resto perché sennò si fanno le cinque. È quasi passato un anno, mese più mese meno. Si mise con un’altra, e devo dire che la mia prima reazione non fu una delle più belle. Poi però capii, era giusto così. In terza mi è anche piaciuta una mia compagna di classe, ma che ridere, questa è un’altra storia ancora. L’estate non è stata una delle migliori di tutta la mia vita. Passare più di due mesi senza la mitica maps si è rivelato più complicato di quanto mi aspettassi.
Ed ecco la quarta, che è appena iniziata ma già mi fa cagare: scuola di merda (questo lo sapevo dalla prima), compagni (più) di merda. Il mio tempo lo passo a stressarmi, e a dis-stressarmi guardando Netflix. Ho dato fiducia a due persone, con le quali pensavo avrei costruito un bel rapporto, ma anche questa intenzione è andata in fumo lol. Non mi apro molto facilmente con le persone, ma quando lo faccio sono capace di dare tutto, anche quello che non ho. All’età di quasi 17 anni ho capito che al mondo esiste gente di merda che vuole solo farti stare male, che ha bisogno di denigrare gli altri, altrimenti la sua vita sarebbe troppo noiosa. Non so se sia io ad essere stata graziata da qualsiasi entità domini il mondo e l’universo o cosa, ma ringrazio il cielo di avere delle amiche (tranne quando faccio la scema e mi ritrovo senza, lol) delle quali posso fidarmi in tutto e per tutto, non delle false che (s)parlano alle mie spalle, ma poi fanno la bella faccia come se niente fosse. Mancano ancora 6 mesi a giugno… penso di volere andare in letargo.
La cosa emozionante è che manca ancora tutta la quinta, aaah, che felicità.
Eh niente, so di sembrare una grandissima menefreghista, in generale, ma non è così. Tengo alle mie amiche in una maniera allucinante, senza di loro non saprei che fare, a volte faccio la stronza, ma so di essere fortunata. Poi c’è Aurora, che mi è entrata così nel profondo che è diventato impossibile vivere senza. Avessi il potere di farlo, le eviterei tutto il dolore che ha provato e prova ancora adesso. È una di quelle persone che quando le incontri sai già che perderai la testa, tanto le vuoi bene. Ne è passato di tempo, ma la costante rimane l’affetto incondizionato, tutta la felicità che provo stando con lei. Mi diverto un sacco, quando sto con lei non ho preoccupazioni. Ci sarò sempre, e per sempre, qualsiasi cosa accada. Quando starà male e avrà bisogno di qualcuno che la ascolti, di una spalla su cui piangere, quando sarà così felice da non riuscire a contenere l’emozione, quando avrà bisogno di un consiglio. Si merita più di quanto le sia mai stato dato, anche se lei questo non lo sa.
0 notes
Text
A proposito della neve fradicia 06
...Da qualche parte dietro il tramezzo, come per una forte pressione, come se qualcuno lo strangolasse, rantolò un orologio. Dopo un rantolo innaturalmente lungo seguì un trillo acuto, sgradevole e inaspettatamente frequente, come se a un tratto qualcuno fosse scappato avanti. Suonarono le due. Mi ridestai, benché non dormissi, ma giacessi soltanto semiassopito. Nella stanza stretta, angusta e bassa, ingombra di un enorme armadio e disseminata di cappelliere, stracci e vecchi vestiti di ogni genere, era quasi completamente buio. Il moccolo di candela che bruciava sul tavolo in fondo alla stanza si stava spegnendo del tutto, e mandava appena qualche scintilla di tanto in tanto. Di lì a qualche minuto doveva sopraggiungere il buio completo. Non impiegai molto a tornare in me; a un tratto, senza alcuno sforzo, mi ritornò alla memoria tutto quanto insieme, proprio come se fosse stato in agguato per assalirmi di nuovo. E, del resto, anche quando ero assopito mi era rimasto costantemente nella memoria come un punto che non riuscivo a dimenticare, intorno al quale ruotavano pesantemente le mie torpide fantasticherie. Ma era strano: ora, dopo il risveglio, tutto quel che mi era accaduto quel giorno mi sembrava lontanissimo, come se fossi sopravvissuto a tutto ciò tanto, tanto tempo prima. La mia testa era stordita. Qualcosa pareva volare sopra di me e mi urtava, mi eccitava e turbava. L'angoscia e la bile ribollivano nuovamente e cercavano sfogo. A un tratto accanto a me vidi due occhi aperti, che mi osservavano con curiosità e ostinazione. Lo sguardo era freddamente distante, cupo, come completamente estraneo; metteva a disagio. Un pensiero cupo nacque nel mio cervello e mi passò per tutto il corpo come una sgradevole sensazione, simile a quando scendi nel sottosuolo umido e muffoso. Mi sembrava innaturale che proprio allora quei due occhi avessero deciso di cominciare a osservarmi. Ricordai anche che per due ore non avevo scambiato neppure una parola con quell'essere e non l'avevo affatto ritenuto necessario; anzi, la cosa poco prima mi era piaciuta, per qualche motivo. Adesso invece mi si disegnò chiaramente l'idea assurda, ripugnante come un ragno, della dissolutezza, che senza amore, in modo brutale e impudico, comincia proprio da ciò che è il coronamento dell'amore vero. Ci guardammo a lungo così, ma lei non abbassava i suoi occhi davanti ai miei e non mutava il suo sguardo, tanto che alla fine provai una specie di raccapriccio. «Come ti chiami?», domandai a scatti, per finirla al più presto. «Liza», rispose quasi in un sussurro, ma in modo assolutamente scostante, e distolse gli occhi. Tacqui per un po'. «Oggi il tempo... la neve... è schifoso!», dissi quasi fra me, piegando tristemente il braccio dietro la testa e guardando il soffitto. Lei non rispondeva. Tutto era orribile. «Sei di qui?», domandai un minuto dopo, quasi adirato, volgendo appena la testa verso di lei. «No». «Di dove?» «Di Riga», disse controvoglia. «Tedesca?» «Russa». «Sei qui da molto?» «Dove?» «In questa casa». «Due settimane». Parlava sempre più a scatti. La candela si era spenta completamente; non potevo più distinguere il suo viso. «Hai padre e madre?» «Sì... no... ce li ho». «Dove sono?» «Là... a Riga». «Chi sono?» «Così...» «Come così? Chi, di che condizione?» «Piccoli borghesi». «Hai sempre vissuto con loro?» «Sì». «Quanti anni hai?» «Venti». «E perché te ne sei andata di casa?» «Così...». Questo così significava: lasciami in pace, mi nausea. Tacemmo. Dio sa perché non me ne andai. Io stesso mi sentivo sempre più nauseato e angosciato. Le immagini di tutta la giornata trascorsa cominciarono a sfilare disordinatamente nella mia memoria, da sole, senza la mia volontà. A un tratto ricordai una scena che avevo visto la mattina per strada, mentre trotterellavo indaffarato verso l'ufficio. «Oggi hanno portato fuori una bara e per poco non l'han fatta cadere», a un tratto dissi ad alta voce, senza alcun desiderio di attaccare discorso, ma così, quasi per caso. «Una bara?» «Sì, in piazza Sennaja; la portavano fuori da uno scantinato». «Uno scantinato?» «Non da uno scantinato, ma da un piano seminterrato... sì, sai... là sotto... da una casa di malaffare... C'era una tale sporcizia intorno... Bucce, immondizia... puzzava... uno schifo». Silenzio. «È brutto seppellire oggi!», ricominciai, pur di non tacere. «Perché brutto?» «La neve, l'umido...» (Sbadigliai.) «Fa lo stesso», disse lei a un tratto dopo un breve silenzio. «No, è ignobile... (Sbadigliai di nuovo.) I becchini certo imprecavano, perché la neve li bagnava. E nella fossa c'era certo dell'acqua». «E perché acqua nella fossa?», domandò con una certa curiosità, ma pronunciando ancor più sgarbatamente e a scatti di prima. A un tratto qualcosa cominciò a stuzzicarmi. «Sicuro, acqua, sul fondo, più di un palmo. Qui non si riesce a scavare una sola fossa asciutta, al cimitero Volkovoj». «Perché?» «Come perché? Un posto così acquitrinoso. Qui è palude dappertutto. Così ti calano direttamente nell'acqua. L'ho visto io stesso... molte volte...». (Non l'avevo visto neppure una volta, e d'altronde non ero mai stato al Volkovoj, ma l'avevo solo sentito raccontare.) «Forse per te fa lo stesso, morire?» «E perché dovrei morire?», rispose mettendosi sulla difensiva. «Un giorno o l'altro morirai pure, e morirai altrettanto sicuramente di quella poveretta di oggi. Era... era anche lei una ragazza... Morta di tisi». «Una che fa la vita sarebbe morta all'ospedale...» (Questo lo sa già, pensai io, e ha detto: "una che fa la vita", e non "una ragazza".) «Era in debito con la padrona», obiettai, sempre più stuzzicato dalla discussione, «e l'ha servita fin quasi alla fine, pur essendo tisica. Lo raccontavano dei vetturini parlando con dei soldati, lì intorno. Probabilmente suoi vecchi conoscenti. Ridevano. Anzi, si preparavano a commemorarla all'osteria». (Anche qui avevo lavorato molto di fantasia.) Silenzio, profondo silenzio. Lei non si muoveva neppure. «Perché, morire in ospedale sarebbe meglio?» «Che differenza fa?... E poi perché dovrei morire?», aggiunse stizzosamente. «Se non adesso, dopo?» «Ma anche dopo...». «Per forza! Tu adesso sei giovane, carina, fresca, quindi ti valutano tanto. Ma fra un anno di questa vita non lo sarai già più, sarai sfiorita». «Fra un anno?» «In ogni caso, fra un anno varrai di meno», continuavo con gioia maligna. «Passerai da qui a un'altra casa, un gradino più in basso. Ancora un anno e in una terza casa, sempre più in basso, e fra sei o sette anni arriverai allo scantinato della Sennaja. E ti andrebbe ancor bene. Ma ecco, il guaio è se oltre a questo ti si manifesterà qualche malattia, che so, una debolezza di petto... o ti prenderai un'infreddatura, o qualcos'altro. Con questa vita la malattia fatica a passare. Si attacca, e magari non si stacca più. E così morirai». «E va be', morirò», rispose ormai rabbiosamente e fece un movimento rapido. «Certo che dispiace». «Per chi?» «Dispiace per la vita». Silenzio. «Avevi un fidanzato? Eh?» «A lei che importa?» «Mica voglio farti l'interrogatorio. Che m'importa. Perché ti arrabbi? Naturalmente hai potuto avere i tuoi guai. Fatti tuoi. Ma così, rincresce». «Per chi?» «Rincresce per te». «Non è il caso...», sussurrò con un fil di voce e di nuovo si mosse. Ne fui subito indispettito. Ma come! Io ero stato così tenero con lei, e lei... «Ma che ti pensi? Di esser su una buona strada, eh?» «Io non penso niente». «E proprio questo è il guaio, che non pensi. Svegliati, finché sei in tempo. E sei in tempo. Sei ancora giovane, graziosa; potresti amare, sposarti, essere felice...» «Non tutte quelle sposate sono felici», troncò nel solito modo sgarbato, parlando come una macchinetta. «Non tutte, naturalmente: e tuttavia è molto meglio che qui. Incomparabilmente meglio. E con l'amore si può vivere anche senza felicità. Anche nel dolore la vita è bella, è bello stare al mondo, comunque si viva. Mentre qui che c'è, a parte... il fetore? Puah!». Mi voltai con ribrezzo; ormai non disquisivo più freddamente. Cominciavo io stesso a sentire quel che dicevo, e mi infiammavo. Ormai ero ansioso di esporre le mie ideuzze segrete, sofferte nel mio cantuccio. Qualcosa a un tratto si accese in me, "era apparso" uno scopo. «Tu non guardare me, se mi vedi qui: non sono un buon esempio. Io, forse, sono ancor peggio di te. Del resto, sono entrato qui ubriaco», mi affrettai tuttavia a giustificarmi. «Inoltre l'uomo non può essere un esempio per la donna. La faccenda è diversa; anche se qui mi infango e insudicio, non sono schiavo di nessuno; ci sono stato e me ne vado, e chi s'è visto, s'è visto. Me lo scrollo di dosso e sono nuovamente un altro. Ma prendiamo solo il fatto che fin dall'inizio tu sei schiava. Sì, schiava! Tu cedi tutto, tutta la tua volontà. E poi vorrai spezzare queste catene, ma ormai no: ti legheranno sempre più saldamente. È una catena maledetta. Io la conosco. D'altro non parlo neppure, e poi tu non capiresti, forse, ma ecco, dimmi un po': certo ti sei già indebitata con la padrona, vero? Ecco, vedi!», aggiunsi, anche se non mi aveva risposto, ma ascoltava soltanto in silenzio, con tutto il suo essere. «Eccoti la catena! Non ti riscatterai mai più. Fanno così. È come vender l'anima al diavolo... ...E inoltre io... forse sono altrettanto infelice, che ne sai, e anch'io mi immergo apposta nel fango, per l'angoscia. Non si beve forse per la disperazione? Ebbene, io sono qui per la disperazione. Ma dimmi, che c'è qui di buono: ecco, io e te... ci siamo incontrati... poco fa, e per tutto il tempo non ci siamo detti una parola, e tu, come selvaggia, solo dopo hai cominciato a osservarmi; e io te. Si ama forse così? Si devono forse incontrare così due esseri umani? È tutto un orrore, ecco cosa!». «Sì!», si affrettò ad acconsentire bruscamente. Mi meravigliò perfino la fretta di quel sì. Dunque anche a lei, forse, vagava nella testa quello stesso pensiero, quando prima mi studiava? Dunque anche lei era già capace di certi pensieri?... "Al diavolo, è curioso, questa è - affinità", pensavo, quasi fregandomi le mani. "E del resto, come non aver ragione di un'anima così giovane?...". Soprattutto mi appassionava il gioco. Lei volse il capo e l'avvicinò a me e, mi parve nell'oscurità, si appoggiò alla mano. Forse mi studiava. Come mi dispiaceva di non poter distinguere i suoi occhi. Sentivo il suo respiro profondo. «Perché sei venuta qua?», cominciai con un tono già quasi imperioso. «Così...». «Eppure come sarebbe bello vivere nella casa paterna! Al calduccio, in libertà; nel tuo nido». «E se fosse peggio di così?». "Bisogna azzeccare il tono", mi balenò in testa, "con il sentimentalismo, forse, non si ottiene molto". Del resto fu solo un attimo. Lo giuro, lei mi interessava davvero. E poi ero rilassato e nella giusta disposizione. D'altronde, l'impostura convive così facilmente col sentimento. «Chi lo dice!», mi affrettai a rispondere. «Tutto può essere. Infatti sono sicuro che qualcuno ti ha offesa e che sono gli altri colpevoli nei tuoi confronti, piuttosto che tu nei loro. Certo io non so nulla della tua storia, ma una ragazza come te, probabilmente, non capita qui dentro di sua volontà...». «E che ragazza sarei io?», sussurrò in modo appena percettibile; ma io sentii. "Al diavolo, ma la sto adulando. È disgustoso. O forse è anche bene...". Lei taceva. «Vedi, Liza, ti dirò di me! Se avessi avuto una famiglia fin dall'infanzia, non sarei quello che sono adesso. Ci penso spesso. Perché per quanto si stia male in famiglia, sono pur sempre il padre e la madre, e non dei nemici, non degli estranei. Almeno una volta all'anno ti dimostreranno affetto. Saprai pur sempre che sei in casa tua. Io invece sono cresciuto senza una famiglia; forse per questo sono venuto su così... insensibile». Aspettai di nuovo. "Forse non capisce nemmeno", pensavo, "e poi è ridicolo: la morale!". «Se fossi un padre e avessi una figlia mia, credo che amerei la figlia più dei maschi, davvero», cominciai alla lontana, come se cambiassi argomento per distrarla. Confesso che arrossivo. «E perché?», domandò. Ah, dunque ascoltava! «Così; non so, Liza. Vedi: conoscevo un padre che era un uomo severo, rigido, ma dinanzi alla figlia stava in ginocchio, le baciava le mani e i piedi, non poteva saziarsi di ammirarla, davvero. Lei balla a una festa, e lui sta fermo nello stesso posto per cinque ore, non le stacca gli occhi di dosso. È impazzito per lei; io questo lo capisco. Lei di notte, stanca, si addormenta, e lui si sveglia e va a baciarla mentre dorme e a darle la benedizione. Lui gira con un soprabitino bisunto, per tutti è avaro, ma per lei spende il suo ultimo rublo, le fa regali preziosi, ed è una gioia per lui se il regalo le piace. Il padre ama sempre le figlie più della madre. Come è allegro per certe ragazze vivere in casa! E io, credo, mia figlia non vorrei neppure darla in sposa». «E perché mai?», domandò lei, sorridendo appena. «Sarei geloso, quanto è vero Dio. Be', è mai pensabile che si metta a baciare un altro? Ad amare un estraneo più del padre? È penoso perfino immaginarlo. Naturalmente sono tutte sciocchezze; naturalmente chiunque finisce con l'intender ragione. Ma io, credo, prima di cederla, sarei assillato da un solo pensiero: scartare tutti i pretendenti. E comunque finirei col darla a colui che ella stessa ama. Infatti, quello di cui la figlia s'innamora al padre sembra sempre il peggiore. È proprio così. E questo genera molto male nelle famiglie». «Altri invece sono felici di venderla, la figlia, altro che maritarla onorevolmente», disse lei a un tratto. Ah! Ecco di che si trattava! «Questo, Liza, in quelle famiglie maledette dove non c'è né Dio né amore», ripresi con calore, «e dove non c'è l'amore, non c'è neppure il buon senso. Esistono delle famiglie così, è vero, ma non è di quelle che parlo. Si vede che dalla tua famiglia non hai avuto nessun bene, se parli così. Sei veramente disgraziata. Hmm... Il più delle volte è la povertà la causa di tutto». «E dai signori è forse meglio? La gente onesta vive bene anche in povertà». «Hmm... sì. Forse. Di nuovo, Liza: all'uomo piace calcolare soltanto il suo dolore, e la felicità non la calcola. Ma se facesse bene i conti, vedrebbe che a ogni destino ne è riservata una parte. Ebbene, e se nella famiglia le cose van bene, se Dio manda la sua benedizione, capita un bravo marito che ti ama, ti vezzeggia e non si allontana da te! Si sta bene in quella famiglia! Talvolta anche condividere un dolore è bello; e poi dove non c'è dolore? Forse ti sposerai, lo saprai da te. In compenso, se prendiamo magari i primi tempi dopo aver sposato chi ami: quanta felicità arriva talvolta! È una felicità continua. Nei primi tempi perfino i litigi col marito finiscono bene. Alcune quanto più amano, tanto più litigano col marito. Davvero; ne conoscevo una così: "Ecco", pareva dire, "ti amo, e per amore ti tormento tanto, e tu capiscilo". Lo sai che per amore si può tormentare apposta una persona? Lo fanno soprattutto le donne. E lei stessa pensa fra sé: "In compenso poi ti amerò tanto, ti accarezzerò tanto, che non è un peccato farti penare un po' adesso". E nella casa tutti si rallegreranno per voi, e ci sarà la serenità, e l'allegria, e la pace, e l'onestà... Altre magari sono gelose. Se lui se ne va da qualche parte (ne conoscevo una così), lei non lo sopporta, e nel cuore della notte si precipita fuori, e corre di nascosto a spiare: non sarà là, in quella casa, con quella tale? E questo è male. E lo sa anche lei che è male, e il cuore le resta sospeso, e si tortura, eppure ama; tutto per amore. E com'è bello dopo la lite far la pace, riconoscersi colpevole per prima davanti a lui oppure perdonare! E come stanno bene entrambi, come diventa improvvisamente bello, quasi si fossero incontrati di nuovo, si fossero sposati di nuovo, il loro amore fosse iniziato di nuovo. E nessuno, nessuno deve sapere quel che accade fra il marito e la moglie, se si vogliono bene. E qualunque litigio nasca fra loro, neppure la madre, neppure lei devono chiamare a giudicare, o raccontarle l'uno dell'altra. Sono solo loro i giudici di se stessi. L'amore è un mistero divino e dev'essere celato a tutti gli occhi estranei, qualunque cosa succeda. Così è più sacro, più bello. Si rispettano di più, e molto si basa sul rispetto. E se l'amore c'è stato una volta, se per amore si sono sposati, perché l'amore dovrebbe finire? Non lo si può forse sostenere? È raro il caso in cui non lo si possa sostenere. E poi, se si ha la fortuna di un marito buono e onesto, come può finire l'amore? Il primo amore del matrimonio finirà, è vero, ma allora subentrerà un amore ancor più bello. Allora le loro anime si incontreranno, ed essi metteranno in comune ogni cosa; non avranno segreti l'uno per l'altra. E quando arriveranno i figli, ogni momento, anche il più difficile, sembrerà felicità; purché si ami e si sia coraggiosi. Allora anche il lavoro è allegro, allora qualche volta rinunci anche al pane per i figli, eppure lo fai con gioia. Perché essi ti ameranno poi per questo; dunque accumuli per te stesso. I figli crescono: senti che sei un esempio, che sei un sostegno per loro; che anche se morrai, loro porteranno in sé per tutta la vita i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri, così come li hanno ricevuti da te, assumeranno la tua immagine e somiglianza. Significa che questo è un grande dovere. Come possono non sentirsi più uniti il padre e la madre? Dicono che è faticoso avere dei figli? Chi lo dice? È una felicità celeste! Ti piacciono i bambini piccoli, Liza? A me piacciono da morire. Sai: un bimbetto tutto roseo che ti succhia il seno: ma a quale marito il cuore si rivolgerà contro la moglie, guardandola tenere in braccio il suo stesso bambino! Il bambinello roseo, paffutello, si allunga, si coccola; i piedini e le manine di burro, le unghiette pulitine, piccole, così piccole che è buffo guardarle, gli occhietti come se capisse già tutto. E succhia: con la manina ti tira il seno, gioca. Si avvicina il padre: si stacca dal seno, si piega tutto all'indietro, guarda il padre, ride - proprio come fosse Dio sa quanto divertente - e di nuovo, di nuovo riprende a succhiare. O altrimenti prende e morde il seno alla madre, se gli spuntano già i dentini, e con gli occhietti le lancia uno sguardo: "Vedi, ti ho morso!". Ma non è forse la felicità, quando loro tre, il marito, la moglie e il bambino, sono insieme? Per questi momenti si può perdonare molto. No, Liza, prima dobbiamo noi imparare a vivere, e soltanto dopo incolpare gli altri!». "Quadretti, proprio con questi quadretti bisogna accalappiarti!", pensai fra me, anche se avevo parlato con sentimento, quanto è vero Dio, e a un tratto arrossii. "E se a un tratto lei scoppierà a ridere, dove andrò a nascondermi?". L'idea mi fece infuriare. Verso la fine del discorso mi ero veramente infervorato, e adesso il mio amor proprio soffriva. Il silenzio perdurava. Ebbi perfino voglia di darle uno spintone. «Lei però...», cominciò a un tratto e si fermò. Ma avevo già capito tutto: nella sua voce vibrava già qualcosa di diverso, non brusco, non sgarbato e scontroso come poco prima, bensì qualcosa di dolce e pudico, così pudico che a un tratto io stesso mi vergognai dinanzi a lei, mi sentii colpevole. «Che cosa?», domandai con tenera curiosità. «Ma lei...» «Che cosa?» «Lei... parla proprio come un libro stampato», disse, e a un tratto nella sua voce risuonò di nuovo una nota di derisione. Quell'osservazione mi punse dolorosamente. Non era quello che mi aspettavo. E non capii che il sarcasmo era una maschera, che era la tipica, ultima scappatoia delle persone pudiche e caste di cuore, a cui tentino di insinuarsi brutalmente e insistentemente nell'anima, e che fino all'ultimo momento non cedono per orgoglio, timorose di esprimere il loro sentimento dinanzi a voi. Già dalla timidezza con cui era arrivata, in diverse mosse, alla sua battuta sarcastica, decidendosi solo alla fine a pronunciarla, avrei dovuto indovinare. Ma non indovinai, e un sentimento malvagio mi sopraffece. "Aspetta un po'", pensai.
0 notes