#e se lo merita anche daniele!!!!!
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themhac · 3 months ago
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@ trentinovolley fabio è il nuovo capitano della lube, read the room!!
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scienza-magia · 1 year ago
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Annals of Improbable Research, i premiati dell'IgNobel per il 2023
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IgNobel 2023, i vincitori dei premi più pazzi della scienza tra geologi che leccano le pietre e sessualità delle acciughe. E ancora, wc superintelligenti, persone che parlano al contrario, ragni morti robotici… Siamo arrivati alla trentatreesima edizione. Non possono vantare la storia e il pregio dei Nobel, ma di sicuro anche loro, gli IgNobel sono destinati a una certa popolarità. Il motto rimane sempre quello: la scienza che prima fa ridere e poi pensare. Bizzarro è tutto quello che ruota intorno ai popolari premi che precedono di qualche giorno i Nobel. Per dire, quest’anno, durante la cerimonia ci sono state interessanti lecture da parte di esperti e ricercatori della durata di 24 secondi e di 7 parole. Ma a tener banco durante la cerimonia dell’Annals of Improbable Research ideata da Marc Abrahams e sono stati, soprattutto, loro, i premi. E qual è la migliore ricerca improbabile premiata nel 2023? Ve la mostriamo di seguito (spoiler, quest’anno, purtroppo, l’Italia torna a casa a mani vuote a differenza delle precedenti edizioni). Geologia gourmet Jan Zalasiewicz arriva dalla University of Leicester, nel Regno Unito, e si incassa il premio per Polonia e Regno Unito per aver spiegato sapientemente “perché ai geologi piace leccare le rocce”. Raccontava infatti egli stesso nel 2017 in un articolo dal titolo abbastanza eloquente (Eating fossils) come leccare le rocce - ma all’occasione anche bruciarle, bollirle - fosse una parte, forse un po’ datata e non esente da rischi, di un vecchio modo di fare ricerca, uno strumento analitico scrive. Zalasiewicz ricorda come leccare una roccia consenta subito di vedere in maniera più chiara di cosa è fatta, mettendone in luce le caratteristiche, magari anche assaporandola. Lo ha fatto egli stesso, ricorda, arrivando alla scoperta di uno splendido nummulite (un protozoo fossile). Ma lo hanno fatto anche i grandi del passato, come Giovanni Arduino, il padre della stratigrafia, e, a quanto pare, anche degustatore di rocce. Letteratura, vince l’arte della ripetizione Premio internazionale per la letteratura, con Chris Moulin, Nicole Bell, Merita Turunen, Arina Baharin, e Akira O’Connor che se lo aggiudicano con la seguente motivazione: “per lo studio delle sensazioni che le persone provano quando ripetono una sola parola molte, molte, molte, molte, molte, molte, molte volte”. Questo team franco-malesiano-britannico-finlandese ha infatti studiato le sensazione di alcuni partecipanti chiamati a scrivere e riscrivere determinate parole, fino al punto da trovarle strane, come mai viste o sentite (in un fenomeno chiamato, in contrapposizione al déjà vu, come jamais vu, a indicare la sensazione di estraneità di qualcosa di noto però). Un fenomeno che si ottiene, pare, dopo aver scritto la stessa parola trenta volte o per un minuto e che stimola riflessioni su ortografia e significati. E che è più frequente in chi sperimenta anche il suo opposto. Ingegneria ai ragni robot, morti Si premia la necrobiotica, sì avete capito bene: come suggerisce il nome è una branca della robotica (se così potremmo dire) che utilizza parti morti di animali. In questo caso ragni: il team di Te Faye Yap, Zhen Liu, Anoop Rajappan, Trevor Shimokusu, e Daniel Preston, che arriva da India, Cina, Malesia, e Usa, si è aggiudicato il premio per aver “rianimato ragni morti come strumenti meccanici da presa”. D’altronde, spiegano, senza creare ex novo, si può sfruttare quanto presente in natura: e così, un ragno morto, con il suo fantastico sistema di locomozione, può anche diventare un abile strumento da presa, capace di acciuffare oggetti delicati e dalle strane geometrie, spiegano i ricercatori nelle presentazioni ufficiali. Super-smart toilet per la salute pubblica Un unico vincitore in questa categoria è il sudcoreano Seung-min Park della Stanford University School of Medicine, premiato per lavorare da anni alla messa a punto di un wc da far impallidire i famosissimi wc tecnologi giapponesi. Cita la motivazione ufficiale: “per aver ideato la toilet di Stanford, ​un dispositivo che utilizza una gran varietà di tecnologie – tra cui una striscia reattiva per l’analisi delle urine, un sistema di visione artificiale per l’analisi della defecazione, un sensore per l’impronta anale abbinato a una telecamera di identificazione e un sistema di telecomunicazioni – per monitorare e analizzare rapidamente le sostanze che espellono gli esseri umani”. Park è convinto infatti che i wc digitali siano uno strumento preziosissimo per l’analisi della salute delle persone a distanza, che potrebbe essere utile persino nelle sperimentazioni cliniche. E, ovviamente, promette, anche per l’identificazione di eventuali malattie. Premio di comunicazione per chi parla al contrario Ci sono persone capaci di parlare al contrario, leggendo le parole dalla coda alla testa. Sono casi senza dubbio particolari, e possono diventare oggetto di studio. Lo sono stati: il team premiato nella sezione comunicazione degli IgNobel ha infatti studiato le caratteristiche neurocognitive di due persone capaci di pronunciare le parole leggendo i fonemi al contrario. E qualche differenza, raccontano, è stata trovata in alcune regioni cerebrali, sia per quanto riguarda una maggiore connettività che materia grigia. I premiati sono María José Torres-Prioris, Diana López-Barroso, Estela Càmara, Sol Fittipaldi, Lucas Sedeño, Agustín Ibáñez, Marcelo Berthier, e Adolfo García e arrivano da Argentina, Colombia, Spagna, Usa, Cina e Cile. La medicina ai peli del naso Il bello degli IgNobel è che permettono di rispondere a domande che non ci saremmo forse mai fatti. Per dirne una, il numero dei peli del naso nelle narici è lo stesso? Christine Pham, Bobak Hedayati, Kiana Hashemi, Ella Csuka, Tiana Mamaghani, Margit Juhasz, Jamie Wikenheiser, e Natasha Mesinkovska sono stati premiati proprio per aver risposto a questa annosa questione, conducendo un’analisi sui cadaveri. A quanto pare sì, o meglio quasi: in media ce ne sono 120 a sinistra e 122 a destra. Lo studio però serviva soprattutto a ottenere informazioni utili per i pazienti con alopecia areata, che riportano più allergie e infezioni respiratorie associate alla perdita di peli nel naso. Il premio va a , Canada, Macedonia, Iran e Vietnam. Nutrizione “elettrica” Non fate mai quello che Homei Miyashita e Hiromi Nakamura proponevano ormai diversi anni fa. Il lavoro ripescato per la sezione nutrizione quest’anno agli IgNobel arriva direttamente dal 2011 ed esplora il mondo del gusto aumentato grazie all’elettricità. La motivazione ufficiale per il premio al Giappone cita: “per esperimenti per determinare come le bacchette e le cannucce elettrificate possono cambiare il gusto del cibo”. I ricercatori infatti spiegavano come fosse possibile utilizzare il gusto elettrico e dei sensori per aumentare l’esperienza del gusto, percependo qualcosa che sarebbe impossibile forse percepire (e magari meglio così). Premio per l’educazione alla noia A scuola può capitare anche di annoiarsi. Ma lungi dall’essere un’emozione da accantonare, anche la noia va studiata. Lo hanno fatto Katy Tam, Cyanea Poon, Victoria Hui, Wijnand van Tilburg, Christy Wong, Vivian Kwong, Gigi Yuen, e Christian Chan, che sono stati premiati proprio per questo. I ricercatori hanno scoperto che anche solo aspettarsi che una lezione sarà noiosa la renderà noiosa, ma anche che se gli studenti vedono i loro insegnanti annoiati o li percepiscono come tali saranno meno motivati. Insegnanti, è il vostro momento, fate tesoro di questo IgNobel. Dividono il premio Canada, Cina, Regno Unito, Paesi Bassi, Irlanda, Usa e Giappone. Psicologia, le dinamiche dello sguardo verso l’alto Va agli Usa e arriva niente meno che dalla fine degli anni Sessanta il lavoro che si aggiudica il premio per la psicologia. La motivazione cita: “per esperimenti su una strada cittadina per vedere quanti passanti si fermano a guardare verso l'alto quando vedono degli estranei che guardano in alto”. Quanti più lo fanno, scrivevano, tanti più si fermeranno e lo faranno. Premio a Stanley Milgram, Leonard Bickman, e Lawrence Berkowitz. Fisica, quelle strane relazioni tra correnti e sesso delle acciughe
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Ciliegina sulla torta, il premio della fisica va a un folto gruppo di ricercatori per “per aver misurato quanto la miscelazione dell'acqua dell'oceano è influenzata dall’attività sessuale delle acciughe”. Radunandosi in massa durante la stagione riproduttiva, scrivevano gli autori, possono infatti generare delle turbolenze, innescando la miscelazione delle acque, potenzialmente influenzando anche la crescita del fitoplancton. Premiati Bieito Fernández Castro, Marian Peña, Enrique Nogueira, Miguel Gilcoto, Esperanza Broullón, Antonio Comesaña, Damien Bouffard, Alberto C. Naveira Garabato, e Beatriz Mouriño-Carballido, provenienti da Spagna, Galizia, Francia, Svizzera e Regno Unito. Read the full article
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jordi-pilskog · 3 years ago
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Capitolo Quattro.
Mi svegliai. Piccoli rumori dalla strada, il mondo che riprendeva vita senza di me. Quel giorno era domenica ed ero a casa mia nel mio letto e di sotto, in cucina, mi aspettava un mega cornetto farcito per colazione.
Ero sveglio.
Nessuno in cui rispecchiarmi. Mi mancavano le forze. Non sarei riuscito né a seguire le cure né a ribellarmi, figurarsi alzarsi. Fissavo l’oscurità, come fosse un baratro nero, pregandolo di divorarmi in quel momento, era uno dei tanti baratri neri a cui mi affacciavo durante la giornata e in cui avrei voluto gettarmi, e mi sentivo stizzito perché, cazzo, ero sveglio, e non potevo andare a parare da nessuna parte neanche quel giorno.
La sveglia del mio cellulare suonò
“E’ un altro giorno!
porco Dio!...”
Una canzone dei NeroOrgasmo che quando la mia ex ragazza me li fece sentire la prima volta le dissi che non mi piacevano giusto per provare a farla arrabbiare. Ma Angus non si arrabbiava mai.
Avevo una ragazza che chiamavo Angus con affetto, ma poco dopo essere stato ricoverato, la lasciai. Ero già malato di anoressia quando ci mettemmo insieme, ma a lei poco importava.
Era una ragazza minuta e magra, anzi magrissima, indossava felpe della Drop Dead e ascoltava musica rock alternativa. Aveva i capelli rossi che le arrivavano alle spalle, sembrava un piccolo fiammifero pronto ad incendiare il mondo, ma in realtà era timida e taciturna. Mi piacque da subito.
Uscivamo insieme a due altri miei amici, Lindsay e Daniel, con i quali avevo frequentato le scuole medie ed erano i miei unici amici e la mia unica ancora ai tempi di una gioventù costellata di bullismo e frustrazioni. Dopo le medie, presi strade diverse dai due, iscrivendomi al liceo Artistico per realizzare il mio sogno di diventare fumettista, mentre Angus era in classe con loro, al liceo Scientifico.
La mia infanzia l’avevo trascorsa disegnando. Non sopportavo le ragazze con le loro bambole e i loro pettegolezzi e e loro non sopportavano me, e in assenza di amichetti della mia età con cui giocare a pallone o scambiare figurine, disegnavo storie.
Erano tutte storie molto tristi. Mia madre, quando gliele mostravo orgoglioso, me lo faceva sempre notare e ci rimanevo sempre un po' male, come mi avesse fatto una bruttissima critica.
Mi sentivo molto solo e diverso già da quell’età.
Angus era stata la mia prima ragazza e le tenevo la mano con orgoglio per strada, ma anche con paura di essere scoperto da mia madre o da mio padre, che non sapevano nulla del mio orientamento sessuale.
Ci mettemmo insieme in autunno, io e i nostri amici ci incontravamo sulla Villa Rossa vicino a casa di Daniel e ricevetti la chiamata di mio padre che mi diceva che si era fatto tardi e di tornare a casa.
Mi stavo incamminando ed ero già piuttosto lontano, Lindsay, Daniel e Angus già non si vedevano più, quando ricevetti un messaggio da lei:
“Ilaria, tu mi piaci”
le risposi subito
“Anche tu mi piaci” senza pensarci troppo e ci mettemmo insieme.
Rimpiansi quella sera, fantasticavo sul tornare indietro correndo da lei come nei film romantici e abbracciarla, baciarla, quando invece continuai semplicemente per la mia strada con un lieve sorriso sulle labbra.
Daniel diceva che eravamo una bella coppia. Lindsay che era preoccupata per me.
A poco a poco, iniziai ad invidiare la magrezza di Angus e a sentirmi a disagio con me stesso.
Quando le raccontavo dei miei digiuni, Angus faceva sempre una faccia triste.
Uscivamo insieme ai suoi amici a volte. Aveva tantissimi amici, così tanti che non riuscivo neanche a contarli. A loro mi presentavo come Andrea, un nome generalmente maschile ma in realtà unisex. Quelli facevano una faccia stranissima e indecifrabile perché quel nome, per le ragazze, dalle nostre parti non era molto usato. Un giorno Angus mi chiese perché mi presentassi così. Io le risposi che era così, per scherzo, senza un motivo in particolare. Avevo paura di essere giudicato e ignorato, se gliene avessi parlato.
A volte mi capitava di guardarla e pensare che lei fosse solo un’altra illusione d’amore, una di quelle illusioni dove ti capita di pensare d’amare veramente quando, in realtà, non è così. Ma altre volte la guardavo pensando “Come potrei mai dirti addio?”.
Fatemi iniziare con come lei fosse una bellissima persona con me, e finire con che tipo di storia tragica siamo stati.
L’amore a volte è tragico. E’ decidere di dare un pezzo di te ad una persona, quando non hai nessuna idea se quella persona ti lascerà o ti amerà. E la cosa peggiore è, non saprai mai quando smettere di dare te stesso alla persona che speri t’amerà, ma ti lascerà, invece.
Decidere di amarmi, per Angus, venne con la consapevolezza di dover dire al suo cuore di prepararsi a rompersi, ne sono consapevole.
Quella mattina dopo essermi alzato con fatica, svenni in bagno. In quel periodo, quando andavo in bagno, i miei erano sempre dietro la porta proprio per paura che accadesse. Era estate e faceva un gran caldo. Ai miei prese un gran spavento e chiamarono l’ambulanza e mi fecero bere succo di frutta per farmi riprendere. Litri e litri di succo di frutta. All’arrivo dell’ambulanza, ero già in cucina, seduto sul tavolo, a mangiare il mio cornetto tranquillamente.
I miei genitori mi impedirono di andare in bicicletta a trovare Angus, che abitava piuttosto lontano da casa mia, così lei venne a trovarmi la sera. Suonò il campanello e i miei le dissero che mi avrebbero concesso di fare solo un giro dell’angolo. Mi sentivo oppresso e arrabbiato.
Svoltato l’angolo, Angus mi disse piangendo che dovevo guarire, che anche lei avrebbe tentato di mangiare di più, se mi metteva a disagio il suo corpo. Non avevamo mai fatto l’amore.
Continuò a parlare e parlare e a pregarmi.
Tentate solo di immaginare il mio livello di irritazione quando la mia ragazza mi disse che dovevo mangiare, e che da quel giorno in poi glielo avrei dovuto dimostrare.
E si, magari prima di cadere in anoressia, vedendo coppie come la nostra pensavo “Questo è estremamente carino” ma odiavo invece quel sentimento, quella consapevolezza di avere qualcuno che ci tiene a te, non volevo persone che ci tenessero a me o parlassero di me, o delle mie malate abitudini alimentari. Sotto sotto amavo che lei ci tenesse a me, ma “per favore” pensavo, mentre la rabbia saliva “ti prego letteralmente di non aiutarmi. Lasciami vivere la mia vita e non commentare su di me che mangio o non mangio, di me che muoio di fame, semplicemente non commentare su di me che esisto.” la rabbia salì e le diedi uno schiaffo. Angus scoppiò in lacrime. Scioccato e inorridito da me stesso, scappai tremando.
Non mi scusai mai. Non per orgoglio, ma perché, probabilmente, non riuscivo a perdonarmi neanche da solo. La lasciai invece, con uno stupido messaggino. Lei meritava di meglio.
Recentemente, a distanza d’anni, abbiamo provato a riallacciare i rapporti, come amici. Andò tutto bene per un po' e siamo addirittura andati ad un concerto degli Slipknot insieme ma ci siamo allontanati di nuovo, come fosse la cosa più naturale del mondo, e inizialmente non ce ne siamo neanche accorti. Certe cose non si possono emulare a distanza d’anni. Parlo di cose come la sintonia che avevamo, il bisogno l’uno dell’altra, l’amicizia vera. Ora sarebbe tutto troppo forzato.
Le auguro il meglio, perché si merita meglio di me, Angus ora è un fiore in fioritura, quando era con me, per colpa della mia malattia, la sua corona rossa era sempre bassa e perdeva i petali uno alla volta. La facevo appassire.
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allefoglie · 4 years ago
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La mia playlist SHOEGAZE
“Guardarsi le scarpe” Cosa si intende per Shoegaze? in buona sostanza questo affascintissimo termine negli anni 90 si riferisce all’atto di guardarsi le scarpe per utilizzare i pedali della chitarra e degli altri effetti sonori. Un genere musciale in cui chi suona è più intento a guardarsi i piedi che il pubblico. Nato in Inghilterra questa piccola nicchia musicale prevede suoni distorti, forti riverberi e distorsioni. La parte vocale è di solito molto melodica, i riff ripetitivi e spesso suonati in monocorda; le atmosfere di sogno create avvicinano molti gruppi al dream pop.
Voglio aprire con la traduzione della canzone che apre la playlist, ovvero The Same Thing Happening to me all the time, even in my Dreams, dei Teen Suicide: LE STESSE COSE SUCCEDONO SEMPRE ANCHE A ME, ANCHE IN SOGNO Ho sognato che morivo / E mi sono visto diventare di nuovo un’ombra/ Proprio come mi succedeva quando ero piccolo./ Ho visto le mie ossa spezzarsi ed aprirsi e tutte le cose che ti ho tenuto nascoste uscirne. / Tutti i segreti che non pensavo avrei mai rivelato a nessuno. Sono caldo e annoiato e vago in questo posto. / Non è meglio o peggio di qualsiasi cosa mi sia mai successa / Ma vorrei non aver mai incontrato molte delle persone che ho incontrato. / Non perché non mi piacciono, ma perché non faccio che deluderle. / E quando deludi sempre tutti è difficile non aver voglia di morire. Ho sempre questa sensazione strana di vergogna / Come se stessi venendo guardato da mille occhi brillanti, vendicativi / Dietro a finti specchi in bagni pubblici e vagoni della metropolitana. / E so che, ovunque io vada, non sono il benvenuto. 1- Teen suicide - the same things happening to me all the time, even in my dreams
i have dreamt about what it's like to die and i saw myself becoming shadows again just like i did when i was a kid
Gruppo con sonorità Lo-Fi e Minimali, nato da Sam Ray, mente di altri gruppi che troveremo nella playlist. Testi veramente introspettivi, malinconici e accompagnati da riff allegri e suoni dolci e soffusi. Questa band di Philadelphia, Pennsylvania, che adesso ha cambiato nome in "American Pleasure Club" per ragioni che ignoro, ha pubblicato svariati dischi e secondo me meritano più di un’ascolto, per l’atmosfera surreale e molto particolare che riescono a creare
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2- salvia palth - girl Adoro questa canzone, ma tutto l’album Melanchole in generale. Questo progetto che proviene dalla Nuova Zelanda è opera di Daniel Johann, un ragazzo che ha messo in piedi questa opera all’età di 15 anni. Credo che per questo motivo l’album sia ancora più sincero, reale e meritevole di ascolto che mai, perchè la finzione è zero e le emozioni e i testi parlano sul serio di un adolescente. Voglio dedicare a questo artista un approfondimento a parte, perchè secondo me lo merita. 
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3) Crywank - Memento Mori Voliamo dall’altra parte dell’Oceano e arriviamo in Europa (o quello che si considerano insomma), cioè Manchester, UK. I membri sono solo due: James Clayton e il batterista Dan Watson i quali dichiarano di sciogliersi dopo il tour del 2020. Fatto sta che scoppia una pandemia mondiale (ah si giusto, lo sapete) e la band deve troncare il tour a metà, e al momento non so dirvi se si siano sciolti o meno. Ascoltare questa roba in questo periodo credo che in qualche modo possa farcela apprezzare in pieno.
4) Elvis Depressedly - Pepsi/Coke Suicide Canzone di assoluto spessore, che ti entra in testa e non se ne va più. Pensate alle notti passate sveglie da adolescenti, in cui si ha paura di qualsiasi cosa, nonchè a quella malinconica gioia di vivere che accompagna quel periodo, fondamentale, della vita. Gli Elvis Depressedly sono una band della Carolina del Nord.
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5) I Don't Love · Have a Nice Life Questa è una delle band che viene riconosciuta come padre fondante di questo genere. Il muro di suoni distorti e le sovrapposizioni prodotto dal duo di Dan Barrett e Tim Macuga è ipootico e tendente alle atmosfere di sogno. Questa band si è formata nel 2000 ed è ancora attiva, alcuni pezzi, nonstante fossero pioniristici, ha ottenuto un successo (per questo genere) molto alto.
6) Dandellion Hands - Lonely è veramente difficile sapere qualcosa su Nick Heck, la persona che sta dietro questo progetto che si colloca geograficamente a Philadelphia. Tutto ciò che serve sapere è alzare il volume e godersi l’ascolto.
7) Carissas Wierd - Unfailable Leggendaria band di Seattle, di cui ho parlato in un approfondimento (ma in realtà ho detto poco e niente, pur rimanendo uno dei pochi pezzi buoni che credo di aver scritto) QUI Qualcuno potrà dire che non sono realmente shoegaze, ma solo in parte e stronzate del genere, tuttavia ritengo che, il modo di cantare dei due cantanti, ma in particolare di Jenn Champion, che poi è il progetto autonomo della prossima canzone e della band S li possano tranquillamente far includere in questa playlist. Che dire, ho demolito il viniile a forza di ascoltarlo, secondo me uno dei migliori della storia della musica (che conosco io)
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7) S - White House Come stavo giusto dicendo prima, questo è il progetto solista di Jenn Champion (per un pò si è fatta chiamare Jenn Ghetto, salvo poi cambiare nome in quanto ritenuto da molti offensivo). Questa ragazza di Seattle riesce a mettere in campo delle emozioni che nessun altro, secondo me, è mai riuscito prima. Ho provato a contattarla per provare a organizzargli un concerto qui in Italia, ma senza successo. Le sonorità e la consapevolezza di questa ragazza hanno un’impronta indelebile del Pacific Northwest americano e sono uno degli svariati motivi per cui mi piacerebbe chiudere gli occhi e risvegliarmi lì, e viverci per sempre.
8) Julia Brown - An Abundance Of Strawberries Band da Baltimora, nata dalle ceneri dei Teen Suicide nel 2013.
9) Ricky Eat Acid - Hey ltro progetto di Sam Ray, ragazzo di Baltimora: ovvero colui che sta dietro sia a Julia Brown che ai Teen Suicide. Altro da dire?
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10) Slowdive - Catch the Breeze Non potevo non inserire un pezzo degli Slowdive, a cui prima o poi dedicherò un articolo a parte. Band unica, irripetibile, che ha saputo portare un’influenza indelebile per molte altre band venute dopo di loro, sia nel dream pop che soprattutto nell’emo. La registrazione, che risulta volutamente fatta in modo grossolano è un viaggio unico, che ognuno di noi dovrebbe concedersi almeno una volta nella vita. posto questo video chiaramente più recente, con l’audio rivisto (è del 2018). Il meglio di Reading, UK. https://www.youtube.com/watch?v=JVUot9vF9X4
11) Swirlies - Pancake Direttamente da quella realtà musicalemente pazzesca e più unica che rara che è Boston, questa band è una di quelle che ha saputo creare qualcosa di nuovo, mischiando sonorità punk al lo-fi e suoni semplici, oltre a una grande sperimentazione. Questa è una di quelle canzoni che bene o male tornano con prepotenza nelle mie cuffie.
I get headaches from time to time It's kind of foggy and I can't hardly see right
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12) Leave the Planet - Surrender Ancora una volta Inghilterra, questa volta meno suoni Lo-Fi di bassa qualità e un pò più di pop.
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13) DIIV - Taker Dalla città di Brooklyn, New York, I DIIV nascono dal poliedrico Zachary Cole Smith (batteria nei Beach Fossil e chitarra nei Soft Black) nel 2011 circa dalla canzone Dive dei Nirvana, salvo poi modificare il nome nel 2012 perchè uguale a quello di una band dal Belgio. I membri di questa band fanno largo uso di droghe, il che provoca grossi problemi, tali per cui Colby Hewitt venne allontanato e sostituito da Ben Newman, nel 2015. Il problema dell’eroina però non è solo del bassista, ma anche dello stesso Zachary Cole Smith che tra ricadute, riabilitazioni e altre ricadute nella roba riesce si a produrre molta musica, ma è spesso incapace di esibirsi e dare continuità al progetto, che sembrerebbe aver trovato consistenza solo qualche anno fa. Una band favolosa, che merita l’ascolto dei loro LP interi, e che speriamo non venga completamente offuscata dalla roba (e i casini che ne derivano) e faccia piomabre Zachary nell’oblio.
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Trovate tutta la playlist cliccando SU QUESTO LINK
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curiositasmundi · 5 years ago
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A 50 anni dalla strage, secondo lo storico Carlo Fumian, non è corretto continuare a parlare di misteri: “Sappiamo chi mise le bombe, adesso lo Stato chiarisca i dettagli”.
Intervista di Daniele Mont D'Arpizio Riprese e montaggio di Elisa Speronello
L’attentato di Piazza Fontana non fu isolato né in un certo senso inatteso: tutto il 1969 era stato punteggiato da attentati dinamitardi, a cominciare da quello che a Padova il 15 aprile devastò lo studio del rettore Enrico Opocher. 10 giorni più tardi, festa della Liberazione, una bomba esplose presso lo stand Fiat della fiera campionaria di Milano causando 20 feriti, e nello stesso giorno venne devastato l’ufficio cambi della stazione. Il 12 maggio ad essere colpiti furono i palazzi di giustizia di Roma e di Torino, mentre tra l’8 e il 9 agosto si registrarono dieci attentati sui treni in altrettante località del centro e del nord Italia, che fecero complessivamente 10 feriti. Lo stesso 12 dicembre, oltre a quello di piazza Fontana, si verificarono altri quattro attentati: tre a Roma (uno alla filiale Bnl in via san Basilio, che ferì 14 dipendenti, e due all’Altare della Patria), e un altro a Milano, presso la Banca Commerciale di piazza della Scala, dove l’ordigno rimase inesploso.
Una ragnatela di violenza e di sangue si spiega giorno dopo giorno su tutto il nord Italia. Ma chi è il ragno? Come è noto tra i primi sospettati c’è Pietro Valpreda e gli altri anarchici del circolo romano “22 marzo”. Il seguito è una storia di trentacinque anni di indagini e depistaggi. I principali imputati per l’attentato, i padovani Franco Freda e Giovanni Ventura, appartenenti al gruppo neofascista Ordine Nuovo, vennero assolti nel 1987 per insufficienza di prove; successivamente nel 2005 la Cassazione ricostruì le loro responsabilità nella vicenda, dichiarandoli allo stesso tempo non più imputabili in quanto già processati e assolti per lo stesso reato.
Una vicenda quindi complessa dal punto di vista giudiziario, anche se secondo Carlo Fumian è scorretto continuare a parlare di misteri: “Negli ultimi 50 anni molto è stato portato alla luce, sia dal punto di vista dei risultati processuali che dell'analisi storica. Oggi sappiamo benissimo chi è stato: le bombe furono messe dal gruppo veneto di Ordine Nuovo di Freda e Ventura, che si è macchiato anche di altri gravissimi crimini e stragi. Basta vedere il processo della strage di Brescia, che si è concluso con l’ergastolo a Maggi e Tramonte, uomini rispettivamente di Ordine Nuovo e dei servizi segreti”.
Anche sul movente ormai le idee sono sempre più chiare: “La ricostruzione storica oggi ci suggerisce di ripensare a quel periodo senza sottovalutare la potenza della variabile anticomunista. In quegli anni all'interno del mondo politico, di quello dei servizi e dei vari fronti extraparlamentari di estrema destra, riuscire a sconfiggere il comunismo era più importante di difendere la costituzione”.  Quella che rimane in parte ancora avvolta nell’ombra sono i contorni e i dettagli della strategia: “L'unico modo per celebrare in modo non rituale la strage di piazza Fontana sarebbe che lo Stato dicesse finalmente tutto ciò che al suo interno avvenne in ragione di questa strategia di ‘guerra non ortodossa’ al comunismo. Al momento però non lo vedo molto probabile”.
Via IlBo
Sono 12 minuti in cui viene detto moltissimo, guardatevelo perché merita.
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paoloxl · 5 years ago
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Per la morte di Stefano Cucchi condannati a 12 anni di reclusione i due carabinieri picchiatori. Punito per falso il militare testimone delle torture e il maresciallo che ha coperto i depistaggi. La verità dieci anni dopo. Ma Salvini non chiede scusa
Dodici anni ai due carabinieri, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, che pestarono Stefano Cucchi la notte del 16 ottobre di dieci anni fa dando inizio a un calvario che si concluse con la morte sei giorni dopo, all’alba del 22 ottobre in letto d’ospedale, “repartino” penitenziario. Tre anni e otto mesi al maresciallo che organizzò i depistaggi e gestì «la linea dell’Arma» (parole sue, di Roberto Mandolini, condannato anche a 5 anni di interdizione.
Stefano Cucchi fu pestato da due carabinieri. Ad ucciderlo sono stati loro. E’ la verità processuale di primo grado sancita dalla Corte d’assise di Roma pronunciata attraverso una sentenza di tre pagine lette nell’aula bunker del carcere capitolino di Rebibbia, dal presidente della Corte d’Assise. Tra 90 giorni le motivazioni. Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo, i carabinieri della stazione Appia che durante il fotosegnalamento picchiarono Stefano, arrestato per droga, tanto violentemente da portarlo una settimana dopo alla morte. Sono stati condannati ciascuno a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale. La stessa accusa cade invece per Francesco Tedesco, l’imputato che nel 2018 decise di parlare e di raccontare quanto aveva visto nella caserma Casilina, dove ci fu il pestaggio. Tedesco è stato comunque condannato a due anni e mezzo per l’accusa di falso. Restano le responsabilità del maresciallo Roberto Mandolini per la falsificazione del verbale di arresto, condannato a tre anni e otto mesi di reclusione. Per Tedesco, Mandolini e Vincenzo Nicolardi, il quinto militare imputato, la contestazione di calunnia è stata riqualificata in falsa testimonianza. Una verità oggi più forte perché in pochi minuti è diventata doppia. Quasi in contemporanea, è stato definito in Appello, per la terza volta, il processo che vedeva imputati cinque medici: per quattro è stato dichiarata la prescrizione del reato di omicidio colposo e il quinto è stato invece assolto.
In una bolgia di telecamere, di fronte ai giudici dopo la lettura della sentenza, Ilaria Cucchi si è stretta commossa in un abbraccio ai suoi genitori, Rita e Giovanni, e al legale Fabio Anselmo. Con loro, fin dal 2009, la sorella di Stefano ha percorso la lunga strada processuale che li ha portati al verdetto. «Mio fratello è stato ucciso, questo lo sapevamo e lo ripetiamo da dieci anni. Forse ora potrà risposare in pace», ha detto con gli occhi lucidi. Per la mamma sono stati «anni di dolore e di processi non veri». Anche per Francesco Tedesco, unico imputato in aula, rimasto impassibile di fronte alla lettura della sentenza nonostante la tensione si leggesse sul suo volto, «è finito un incubo». Dopo qualche minuto è arrivata anche la voce ufficiale dell’Arma. «Abbiamo manifestato in più occasioni il nostro dolore e la nostra vicinanza alla famiglia – ha detto il comandante generale Giovanni Nistri – un dolore che oggi è ancora più intenso dopo la sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Roma che definisce le responsabilità di alcuni carabinieri venuti meno al loro dovere, con ciò disattendendo i valori fondanti dell’Istituzione». Una frattura che forse proprio oggi, nel giorno della dura sentenza per alcuni esponenti dell’Arma, viene ricucita con un gesto semplice in pochi istanti. Un carabiniere si avvicina a Ilaria per baciarle la mano – un episodio molto enfatizzato dai giornali “normali” – quasi per chiederle scusa, viene scritto, a nome di un’intera istituzione. «Chi sbaglia paga e doppiamente se porti la divisa – ha detto – quei due colleghi hanno infangato 200 anni di storia». Ma da 200 anni sono troppi gli episodi di malapolizia al punto che un’associazione, Acad, sempre presente nelle udienze e nelle campagna per verità e giustizia, ha istituito da quasi sei anni un numero verde per la loro segnalazione in tempo reale. Sarebbe sbagliato pensare che, senza una vera legge contro la tortura, senza codici alfanumerici sulle giubbe di chi agisce travisato, senza una formazione del personale ai valori costituzionali e al rispetto dei diritti umani, senza diritti sindacali spendibili, si possa ristabilire l’armonia tra società e lavoratori in divisa. Uno dei supertestimoni di questa storia, Riccardo Casamassima, lamenta da mesi il mobbing da parte dell’Arma e su fb, dopo la sentenza scrive così: La giustizia è arrivata .. Siamo arrivati a questo risultato tutti insieme con tutta la gente che ci ha sostenuto …con i nostri avvocati Serena Gasperini Daniele Fabrizi Fabio Anselmo. Oggi il mio pensiero va a tutte quelle famiglie che cercano la verità per i loro cari…. Va al poliziotto Antonino Agostino ammazzato dalla mafia.
Ad Attilio Manca, A Marco Vannini Serena Mollicone. Giuseppe Uva . Marcello Lonzi.
Al marinaio Nasta a tutti e sono tanti . Spero di ritornare a fare il mio lavoro e sono fiducioso nelle decisioni del Comandante Nistri. Riposa Stefano …riposa in pace frate..».
Probabilmente mastica amaro Giovanardi Carlo, ex carabiniere, poi ex ministro, girovago nella diaspora democristiano ma sempre nell’ambito del centrodestra. Il suo nome è legato alla legge proibizionista in gran parte anticostituzionale che ha riempito le galere ed è uno degli ingredienti del mix che ha ucciso, tra gli altri, Stefano Cucchi contro il quale lo statista s’è più volte scagliato provando a costruire una narrazione alternativa su una morte dovuta alla sua presunta sieropositività o alla sua magrezza dovuta sempre allo stile di vita. E’ convinto di avere «sempre detto la verità, ha fatto riferimento ad atti giudiziari, ha sempre usato un linguaggio temperato, moderato, senza mai offendere nessuno». La verità «emergerà solo col verdetto definitivo». E niente scuse. «Per cosa?».
«Dieci anni sono tanti per avere una piccola giustizia, anche se questa ora è al I° grado di giudizio – scrive su fb Lino Aldrovandi, il papà di Federico – E tu Ilaria insieme ai tuoi genitori siete stati forti e grandi.  Quel che succede dice la canzone, è nelle mani del destino, ma non sempre è così. Sono gli uomini, ognuno nel proprio ruolo, che fanno e che faranno sempre la differenza, e che magari non accetteranno mai l’orrore criminale di altri. Ma c’è ancora tanto per crescere in questo sistema malato, per garantire quella piccola giustizia a tutti, anche agli ultimi. Buona notte Federico. Buona notte Stefano…  Buona notte… con un abbraccio tutto particolare, intriso di dolcezza, a Rita, a Giovanni e a Ilaria, con un pensiero fisso di amore, rivolto al cielo, ai nostri ragazzi uccisi, colpevoli di niente. Nient’altro».
«È finito un incubo», dice Francesco Tedesco, il carabiniere assolto dall’accusa di omicidio preterintenzionale. «Spero che questa sentenza cominci a far togliere la divisa a chi non la merita – fa sapere il padre di Riccardo Magherini, morto mentre subiva un violento fermo da parte di carabinieri – via subito la divisa per i condannati. I capi inizino subito a dare l’esempio». «Le mele marce vanno cacciate subito- continua Guido Magherini – noi siamo delusi, ma il fatto che hanno accolto l’ammissibilità del nostro ricorso è già tanto. Sappiamo che i tempi sono lunghi e siamo fiduciosi». I suoi legali hanno infatti presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo dopo che i giudici della quarta sezione penale della Corte di Cassazione, nel novembre del 2018, avevano assolto i tre carabinieri accusati di omicidio colposo e condannati nei primi due gradi di giudizio a 7 e 8 mesi, disponendo l’annullamento della sentenza d’appello perché «il fatto non costituisce reato». «Noi abbiamo trovato un muro di gomma – conclude il papà di Magherini – ma la IV sezione della Cassazione ce l’ho sempre negli occhi».
Qui il muro di gomma è caduto ma ci sono voluti anni dieci anni, 23 giorni e nove ore, per arrivare di nuovo in aula bunker a Rebibbia, la stessa location del primo processo, quello farlocco che escluse a priori ogni responsabilità dei militari dell’Arma, assolta a priori dal governo Berlusconi, di cui facevano parte Giovanardi e La Russa. Ma il teorema cucito addosso a tre uomini della penitenziaria aveva le gambe corte e ora quegli agenti sono tra le parti civili assieme alla famiglia Cucchi.
A dicembre 2017 l’avvio di questo Cucchi-bis con i carabinieri finalmente nell’occhio del ciclone grazie ad alcuni carabinieri supertestimoni a cui, nell’ottobre 2018, si aggiunse uno dei tre colleghi imputati per il pestaggio. Si tratta di Francesco Tedesco che raccontò sia la scena del pestaggio da teppisti, come lo definirà il pm Musarò, sia le pressioni del suo maresciallo a seguire «la linea dell’Arma», regista dei primi pestaggi e artefice del clima da far west di quel periodo nel quartiere in cui si verificò l’arresto di Stefano Cucchi. Mandolini, s’è detto nel processo, premeva per realizzare il massimo degli arresti per mettersi in buona luce con i suoi superiori. Dalle rivelazioni di Tedesco è partita una indagine parallela che ha portato all’apertura di un processo specifico per i depistaggi con 8 tra carabinieri e alti ufficiali fra gli imputati.
Con la statura morale per cui è noto nel mondo nemmeno Salvini chiederà scusa: «Scuse? Perchè, io ho ucciso qualcuno? Ho invitato la sorella al Viminale, in Italia chi sbaglia, paga. Però non posso chiedere scusa per eventuali errori altrui». «Ma io devo chiedere scusa anche per il buco dell’ozono?». Per quello no ma per le offese a Ilaria un essere umano ci farebbe un pensiero. Salvini è lo stesso che, quando finalmente fu chiaro che i carabinieri c’entravano, eccome, con la morte di Stefano, si permise di dire a Ilaria che si sarebbe dovuta vergognare, che certi suoi post gli facevano schifo. No, non chiederà scusa. E probabilmente non è così importante. Sarebbe meglio se pezzi di società riescano a disintossicarsi dalla fantomatica emergenza sicurezza, se la solidarietà riuscisse a prendere il posto del razzismo e della paura, se il superamento del proibizionismo tagliasse il Pil delle narcomafie e smorzasse le ambizioni di far west in certi ambienti di politica e forze armate.
In questi anni c’è stata la fila di politici che si sono messi in fila per un selfie con Ilaria Cucchi, senza comportamenti conseguenti, altri si sono fatti i selfie con i vertici di polizia e carabinieri sotto la dettatura dei quali sembra essere scritta la pessima legge sulla tortura (governava il pd, ricordiamolo quando mai lo dovessimo credere un “porto sicuro”) stigmatizzata dalla stessa Corte europea per i diritti umani.
Sette processi, tre inchieste, due pronunciamenti della Cassazione. Cucchi è una delle tante vittime di abusi di polizia come Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Dino Budroni, Carlo Giuliano, Massimo Casalnuovo e Federico Aldrovandi. La complessità della sua vicenda lo rende anche simbolo della battaglia per i diritti umani dei carcerati e contro ogni sopruso del potere sugli ultimi. Una battaglia che non si può sdraiare sugli allori di una sentenza di primo grado.
Le tappe della vicenda
– 15 ottobre 2009: Stefano Cucchi viene fermato dai carabinieri al Parco degli Acquedotti a Roma perchè trovato in possesso alcuni grammi di droga. Cucchi viene portato nelle celle di sicurezza di una caserma dei carabinieri. – 16 ottobre 2009: Stefano appare all’udienza di convalida del fermo con ematomi e difficoltà a camminare. Parla a stento: una registrazione diffusa successivamente testimonierà dello stato di Cucchi all’udienza. L’arresto è convalidato e Cucchi viene portato a Regina Coeli. – 22 ottobre 2009: Cucchi, dopo una settimana di detenzione, muore nel reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini. Inizia la battaglia giudiziaria della famiglia che una settimana dopo diffonde alcune foto choc del cadavere in obitorio che mostrano ematomi e segni ‘sospettì. – 25 gennaio 2011: vanno a processo sei medici e tre infermieri del Sandro Pertini e tre guardie carcerarie. – 5 giugno 2013: Vengono condannati quattro medici del Pertini. Assolti gli infermieri e le guardie carcerarie. – 31 ottobre 2014: In appello tutti i medici vengono assolti. – gennaio 2015: viene aperta l’inchiesta bis dopo che la Corte d’appello trasmette gli atti in procura per nuove indagini. – settembre 2015: i carabinieri entrano per la prima volta nell’inchiesta: 5 vengono indagati. – dicembre 2015 La Cassazione annulla con rinvio l’assoluzione dei 5 medici del Pertini. Vengono nuovamente assolti nel 2016 ma la Procura ricorre in Cassazione che dispone un nuovo processo d’Appello. – gennaio 2017: la Procura di Roma chiude l’inchiesta bis quella per la quale sono ora a processo 5 carabinieri. Nel luglio 2017 vengono rinviati a giudizio: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, accusati di omicidio preterintenzionale e di abuso di autorità. Tedesco è accusato anche di falso e calunnia insieme con il maresciallo Roberto Mandolini, mentre della sola calunnia risponde il militare Vincenzo Nicolardi. – 11 ottobre 2018: il pm Giovanni Musarò rivela che l’imputato Francesco Tedesco per la prima volta parla di un pestaggio subito da Cucchi da parte dei colleghi Di Berardo e D’Alessandro. Le indagini sul pestaggio erano state riaperte grazie alle parole di un altro carabiniere, Riccardo Casamassima. Nel corso del processo emergono anche presunti depistaggi con la sparizione o l’alterazione di documenti di servizio. Si apre l’inchiesta. – 16 luglio 2019: Nell’ambito dell’inchiesta sui depistaggi vengono rinviati a giudizio il generale Alessandro Casarsa e altri 7 carabinieri tra cui Lorenzo Sabatino, all’epoca dei fatti comandante del reparto operativo di Roma. Il processo inizierà a novembre. – 3 ottobre 2019: il pm chiede la condanna a 18 anni per i due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro accusati del pestaggio che viene, per la prima volta, associato alla morte di Cucchi.
Checchino Antonini
da Popoff
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Stefano Cucchi è stato ucciso. Condannati i due carabinieri
Dodici anni di reclusione per omicidio preterintenzionale. Pene per falso agli altri due militari. Sentenza anche per i medici: reato in prescrizione, responsabili solo civilmente.
Quando il presidente della prima Corte d’Assise di Roma, Vincenzo Capozza, finisce di leggere la sentenza che condanna per omicidio preterintenzionale Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, i due carabinieri che la notte del 15 ottobre 2009 pestarono Stefano Cucchi spezzandogli la schiena, ci si sarebbe potuto aspettare di sentire, nell’aula bunker di Rebibbia, un qualche suono di giubilo. E invece no: com’è nello stile di Rita Calore, di Giovanni e Ilaria Cucchi, e dell’avvocato Fabio Anselmo, non una parola, non un gesto, e neppure un sorriso. Solo lacrime, a sciogliere la tensione di questi lunghissimi anni. E il pensiero di Stefano nei loro occhi.
IL PM GIOVANNI MUSARÒ – stesso rigore, stesso comportamento – aveva chiesto 18 anni di carcere per i due militari che non erano presenti in aula. Il collegio giudicante, composto anche di giudici popolari, li ha invece condannati a 12 anni, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e al risarcimento pecuniario della famiglia Cucchi da stabilirsi in sede civile. Assolto dall’omicidio preterintenzionale, «per non aver commesso il fatto», il carabiniere Francesco Tedesco (presente in aula), l’imputato che nel corso del processo bis è diventato il testimone chiave del pestaggio e l’accusatore dei suoi due colleghi, condannato però per falso a due anni e sei mesi di reclusione. Secondo questo primo grado di giudizio, anche se ha compilato un falso verbale, non è lui ad aver orchestrato il depistaggio.
Diversa la posizione del maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della stazione Appia, condannato per falso a 3 anni e 8 mesi di reclusione e interdetto dai pubblici uffici per 5 anni. Entrambi, Tedesco e Mandolini, sono stati invece assolti dall’accusa di calunnia, reato andato in prescrizione e perciò riqualificato in falsa testimonianza. Entrambi però dovranno risarcire i tre agenti penitenziari che hanno subito il primo processo e che ieri erano seduti nei banchi in attesa della sentenza. Infine assolto il carabiniere Vincenzo Nicolardi, accusato di calunnia, perché «il fatto non costituisce reato».
ENTRO 90 GIORNI si avranno le motivazioni della sentenza. E forse allora capiremo se è vero quanto sostenuto da uno dei legali di parte civile, l’avvocato Stefano Maccioni, che ha accolto con sollievo la sentenza arrivata da piazzale Clodio pochi minuti prima della condanna per omicidio preterintenzionale dei due carabinieri. A qualche chilometro di distanza, infatti, la Corte d’assise d’Appello presieduta da Tommaso Picazio ha giudicato i cinque medici dell’ospedale Pertini, dove Stefano Cucchi morì una settimana dopo il pestaggio, assolvendo «per non aver commesso il fatto» solo la dottoressa Stefania Corbi (era in ferie nei due giorni precedenti la morte del ragazzo) mentre ha stabilito per il primario del Reparto di medicina protetta, Aldo Fierro, e per gli altri tre medici, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo, il non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Erano accusati di omicidio colposo e i giudici hanno comunque confermato la responsabilità civile dei quattro sanitari, da stabilirsi in separata sede, nei confronti dell’unica parte civile rimasta in quel processo, il Comune di Roma. Secondo l’avvocato Maccioni, questa sentenza dimostra una volta di più «che sussiste ed è evidente il nesso causale tra le percosse e la morte».
Evidentemente se ne è convinta anche la Corte. E ora, quando la selva di fotografi si fa intorno alla famiglia Cucchi, Ilaria si rivolge al suo avvocato e compagno, Fabio Anselmo: «Forse ora Stefano potrà risposare in pace», dice. «Ci sono voluti dieci anni e chi è stato al nostro fianco ogni giorno sa benissimo quanta strada abbiamo dovuto fare». Anche il padre Giovanni e la madre Rita ricambiano gli abbracci, e asciugano le lacrime. «Ringraziamo tutti quelli che non ci hanno abbandonato». Il loro pensiero va in particolare ai magistrati Pignatone e Musarò, al carabiniere Riccardo Casamassima, che era in aula, e alla moglie Maria Rosati (tra i primi a rompere il muro di omertà), «per tutto quello che stanno passando». «Grazie anche a Tedesco che, seppur in ritardo – puntualizza Giovanni Cucchi – ha permesso il corso della giustizia».
È a questo punto che un carabiniere in servizio nell’aula bunker di Rebibbia, un volto conosciuto a chi ha seguito tutte le udienze, si avvicina a Ilaria e le bacia la mano: «Finalmente dopo tutti questi anni è stata fatta giustizia», dice accompagnando i genitori Cucchi fuori, lontano dai microfoni.
E, COME HANNO FATTO in aula in tanti, a cominciare dal Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, anche a chilometri di distanza c’è chi si stringe idealmente a loro. «Questa sentenza rende giustizia anche per quelli che non sono riusciti ad ottenerla», commenta Patrizia Moretti, mamma di Federico Aldrovandi. Il mondo della politica invece come al solito si spacca: si congratulano tra gli altri il presidente della Camera Roberto Fico, il ministro Luigi Di Maio e molti esponenti della sinistra, mentre Matteo Salvini, che più volte ha attaccato Ilaria, si è rifiutato di chiedere scusa: «Se qualcuno ha usato violenza, ha sbagliato e pagherà ma questo dimostra che la droga fa male. Io combatto la droga sempre e comunque». Polemiche che Giovanni Cucchi rifiuta di commentare: «Nessuno ci restituisce Stefano ma questa sentenza farà luce su tutto il resto».
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darthreset-blog · 6 years ago
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Grammy 2019
Ed eccomi, con il solito ritardo che mi contraddistingue, a cercare di non essere noioso e soporifero parlando dei Grammy due settimane dopo la loro assegnazione. Non potrò parlare di tutte le categorie ma discuterò solo delle principali/quelle che credo possano essere più interessanti.
RECORD OF THE YEAR - “This Is America” - Childish Gambino: si sapeva che fosse tra i favoriti, complice l’importante messaggio sociale della canzone. Tuttavia questo premio va al brano con la miglior produzione, quindi riguarda più l’ambito tecnico, e questo rende, a mio parere, un po’ discutibile quest’assegnazione. Per fare due nomi, “God’s Plan” e “Rockstar” secondo me avrebbero meritato di più.
ALBUM OF THE YEAR - “Golden Hour” - Kacey Musgraves: dire che è stato spiazzante è riduttivo. Dire che è stato un errore è sbagliato. Album acclamatissimo dalla critica, inserito in tutte le classifiche di fine anno ai primi posti, vincitore di tutti i Grammy a sua disposizione (questo, Best Country Album e altri due premi per i suoi singoli), merita un ascolto anche da chi solitamente non ascolta musica country: è piacevolissimo.
SONG OF THE YEAR - “This Is America” - Childish Gambino: questo lo capisco: questo premio è assegnato agli autori per la scrittura del brano, e su questo aspetto Donald Glover e soci hanno fatto centro.
BEST NEW ARTIST - Dua Lipa: quanto sono felice. Possiamo dibattere sulla definizione di Dua Lipa come “new artist” dato che il suo primo singolo è del 2015, ma nell’ultimo anno è definitivamente entrata nel gruppo delle grandi popstar mondiali. Non ha sbagliato un colpo in tutto l’anno, e il sostanzioso numero di premi vinti tra il 2018 e il 2019 lo dimostra.
BEST POP SOLO PERFORMANCE - “Joanne (Where Do You Think You're Goin'?) - Lady Gaga: sono convinto che si fosse presentata ai Grammy solo per ricevere gli ovvi premi che sarebbero stati assegnati a “Shallow” (e che poi ha effettivamente vinto), ma questo per “Joanne” viene quasi dal nulla: terzo singolo dall’album omonimo, rilasciato ad inizio 2018, non avrei scommesso un centesimo sulla sua vittoria contro mega-hit come “Havana” e “God Is A Woman”. Ma quando Gaga decide di scrivere una canzone di qualità, lo fa e basta. Complimenti a lei, che riesce ogni volta a reinventarsi, risultando sempre tra le prime della classe.
BEST POP DUO/GROUP PERFORMANCE - “Shallow” - Lady Gaga & Bradley Cooper: appunto. Questa vittoria era prevista e prevedibile, visto l’enorme successo del brano e il favore della critica. Destinato a vincere, non ha deluso, forse anche per mancanza di alternative che potessero avvicinarsi a quel livello.
BEST POP VOCAL ALBUM - “Sweetener” - Ariana Grande: Ariana ha confezionato un buon album in cui tutto, dalla voce alla produzione, funziona come dovrebbe. Viene premiata di conseguenza in una delle categorie più in evidenza e contro sfidanti del calibro di Camila Cabello, Shawn Mendes, P!nk e Taylor Swift. Fino all’anno prossimo potrà vantarsi di essere la principessa del pop.
BEST DANCE RECORDING - “Electricity” - Silk City & Dua Lipa Featuring Diplo & Mark Ronson: questa canzone fa ballare come matti? Sì. Questo basta per assegnarle il premio? Sì. La produzione di Diplo e Ronson è ottima, quello che ci si aspetterebbe da questi due, e Dua è convincente come ci ha abituati. Il brano fa quello che deve portando l’ascoltatore a tenere il tempo, alzarsi, scuotersi e trovarsi alla fine a saltare in giro senza sapere come. Molti hanno criticato la scelta di non assegnare il premio a Virtual Self solo per non essere abbastanza pop, ma la vera ragione è che “Electricity” è un pezzo ben costruito e che ha meritato il successo ricevuto.
BEST DANCE/ELECTRONIC ALBUM - “Woman Worldwide” - Justice: no. No e no. No e no e no. La loro peggiore versione di tutti i loro brani (anche quelli già deboli in partenza, e sto parlando della quasi totalità di “Woman”) non può ricevere il premio come miglior album dance/elettronico. Di tutto quello che si trova in questo disco, si salvano solo un paio di cose. Sostengo quello che sostengono i loro fan. La loro carriera è in continuo peggioramento da un album all’altro. Rischiano di diventare irrilevanti. In questa categoria c’era SOPHIE che avrebbe sicuramente meritato maggiormente il premio.
BEST ROCK PERFORMANCE - “When Bad Does Good” - Chris Cornell: un premio alla memoria per un artista apprezzato moltissimo dai colleghi e le cui capacità sono state spesso riconosciute anche dalla critica. Ci mancherà.
BEST ROCK SONG - “Masseduction” - St. Vincent: di tutte le canzoni candidate, è quella con meno views su YouTube. Stavolta all’Academy non hanno guardato i numeri ma hanno ascoltato: un brano di qualità da un album di qualità per sovvertire tutte le aspettative.
BEST ROCK ALBUM - “From The Fires” - Greta Van Fleet: discutissimi per essere soltanto dei copioni dei Led Zeppelin, possono alzare il dito medio ed essere soddisfatti per il premio portato a casa. E’ un riconoscimento del buon lavoro fatto ma non fermerà le critiche.
BEST ALTERNATIVE MUSIC ALBUM - “Colors” - Beck: per essere un album registrato in quattro anni è brevino e non ha colpito il 100% della critica. Tuttavia viene apprezzato dalla giuria dei Grammy, e questo è quello che conta. Complimenti a Beck, che se la doveva vedere con gente non proprio qualunque: Arctic Monkeys, Bjork, David Byrne, St. Vincent.
BEST R&B PERFORMANCE - “Best Part” - H.E.R. Featuring Daniel Caesar: era tra le favorite per il premio e non ha deluso le aspettative. Dopo questa cerimonia la sua carriera è definitivamente decollata e le aspettative per lei si alzano.
BEST URBAN CONTEMPORARY ALBUM - “Everything Is Love” - The Carters: la supercoppia Beyoncé/Jay-Z si porta a casa il premio che forse conta di più tra i tre per cui sono stati nominati. L’album è piaciuto (non a tutti, a dire il vero) ed ha avuto successo. Sottolineati soprattutto i testi, completamente autoreferenziali e che rivelano come questo sia un album che i due hanno scritto soprattutto per loro stessi.
BEST R&B ALBUM - “H.E.R.” - H.E.R.: valgono le considerazioni fatte sopra: era la favorita ma ora non ci accontentiamo e vogliamo sentire le sue prossime uscite nella speranza che siano buone quanto quello che ci ha fatto ascoltare finora.
BEST RAP PERFORMANCE - “King’s Dead” - Kendrick Lamar, Jay Rock, Future & James Blake / “Bubblin” - Anderson .Paak: ex-aequo per questi due brani. Il primo proviene dalla colonna sonora di “Black Panther”; il secondo è un ottimo esempio di come Anderson .Paak stia acquisendo visibilità, parzialmente testimoniata dal favore del suo ultimo album. In un certo senso erano considerabili come gli outsider della categoria, dovendosi scontrare con Cardi B, Drake e Travis Scott.
BEST RAP SONG - “God’s Plan” - Drake: brano fortissimo e dominatore di classifiche, le vendite hanno sicuramente fatto la loro parte per indirizzare questo premio verso Drake, e non penso che qualcuno possa lamentarsene.
BEST RAP ALBUM - “Invasion Of Privacy” - Cardi B: grandissimo successo per lei, il suo album e i suoi singoli, riconosciuto dall’Academy con il premio. Ora è in cima al mondo con il suo album di debutto ed è una delle maggiori star musicali del momento. E’ una nuova diva, un nome di punta, e adesso l’obiettivo è non cadere. Ma sono convinto che lei sappia perfettamente come fare per rimanere in cima alle classifiche. Il suo 2018 non può essere stato un caso.
BEST COUNTRY ALBUM - “Golden Hour” - Kacey Musgraves: ci tengo a ribadire che quest’album è magnifico, e il riconoscimento come miglior album non solo nel suo genere, ma in assoluto, deve essere un invito per tutti ad ascoltarlo. Consigliato, e Kacey Musgraves vincitrice assoluta di questi Grammy.
BEST COMPILATION SOUNDTRACK FOR VISUAL MEDIA - “The Greatest Showman”: abbiamo già visto come questa colonna sonora sia riuscita ad arrivare nella top 5 degli album più venduti negli USA, ora arriva anche il riconoscimento per la sua qualità.
BEST SCORE SOUNDTRACK FOR VISUAL MEDIA - “Black Panther” - Ludwig Goransson: la colonna sonora del film Marvel ha ricevuto molti pareri positivi, confermati da questo premio che funge da ottimo biglietto da visita per gli Oscar.
BEST SONG WRITTEN FOR VISUAL MEDIA - “Shallow” - Lady Gaga, Mark Ronson, Anthony Rossomando & Andrew Wyatt: premio per gli autori del brano, una delle assegnazioni più prevedibili, e proprio per questo particolarmente meritata.
BEST RECORDING PACKAGE - “Masseduction” - Willo Perron: premio puramente estetico per come si presenta l’album. Premio discutibile, a mio parere, anche se le alternative non erano chissà cosa.
PRODUCER OF THE YEAR, NON CLASSICAL - Pharrell Williams: cosa non ha fatto quest’anno. The Carters e Ariana Grande sono passati dalle sue mani, e mi sento di dire che quasi tutto quello che tocca diventa oro.
BEST MUSIC VIDEO - “This Is America” - Childish Gambino: prevedibile e meritatissimo, un video bello e impegnato, tra i migliori degli ultimi anni.
Da me, questo è tutto. Spero che la lettura non sia stata faticosa, anche se capisco che passare in rassegna questo elenco di premiati e non avere a che fare con un testo scorrevole può essere fastidioso. Visto che non lo dico da molto tempo, appuntamento alla prossima tappa della nostra odissea musicale!
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levysoft · 6 years ago
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Daniele Silvestri al Festival di Sanremo 2019 porta un brano, Argentovivo, che è una sorta di inno generazionale per i più giovani che trovano nelle sue parole l’urlo che in molti non riescono a far uscire dalla propria voce. Durante la conferenza stampa di presentazione di ArgentoVivo a Sanremo 2019, Silvestri ha raccontato un po’ il pensiero che sta dietro a questa canzone e ciò che ha imparato da quando è diventato genitore. Vediamo insieme!
Daniele Silvestri, Argentovivo a Sanremo 2019: “Non è il mio punto di vista”
Ecco cosa ci ha raccontato Daniele Silvestri su Argentovivo, il suo brano in gara a Sanremo 2019 che parla di un giovane sedicenne che sembra quasi “urlare” alla vita.
La musica cos’è per te?
C’era una passione che mi guidava da giovane. Ce ne sono state tante nella mia vita, ma una quella della musica era un faro illuminante. Era la cosa che mi faceva svegliare di buon umore la mattina e quella roba lì non si è ancora spenta, quindi finché continuerà magari ci vedremo a Sanremo.
In base a cosa decidi se venire o meno al Festival di Sanremo?
Ne ho fatti già un bel po’ questo è il sesto, non mi sento un personaggio di quelli eterni che ci saranno sempre là su quel palco. Quindi se ci torno è perché la canzone che in quel momento ho per le mani merita.
Che ruolo ha Rancore sul palco con te a Sanremo 2019?
Su quel palco c’è una sorta di passaggio di testimone con Rancore, io lo sveglio proprio e lui parte con una energia che gli è propria e che forse io non ho neanche mai avuto in quella esatta forma.
Come ti senti rispetto al passato?
Mi sento un po’ più poetico rispetto al passato. Guardo le cose sempre pensando alla mia età che non è più la stessa e non è neanche di quella del sedicenne di cui parliamo nel brano ArgentoVivo. Le guardo con un po’ più di distacco, ma anche se sto un po’ coi piedi per terra ho la voglia di sporcarmi le mani.
È chiaro che essendo padre di tre figli, da genitore ho visto succedere qualcosa. Mi sono confrontato con l’incapacità di essere sempre il padre giusto, quindi in quel senso il brano è molto autobiografico però c’è anche uno sguardo sul mondo attorno ai miei figli e sul mondo che gravita attorno alle persone a cui voglio bene. Il mondo è pieno di giovani e grazie al mestiere che faccio per fortuna spesso li sento anche vicini.
Sei vicino al protagonista del tuo brano o no?
Non sono molto d’accordo con quello che dice il ragazzo della canzone! Vorrei che questo progetto fosse chiaro: non è il mio punto di vista, è proprio uno schiaffo che voglio dare mostrando quel modo di pensare le cose che è di un ragazzo. Se mio figlio mi dicesse che le cose che faccio dire al protagonista della mia canzone io me lo mangio o meglio… cerco di capire. Un figlio devi ascoltarlo.
La scuola che ruolo ha in questo mondo cangiante in cui vivono i giovani?
Se ci fosse un contraddittorio, una voce opposta dentro la canzone, sarebbe probabilmente non quella di un genitore ma quella proprio di un insegnante che fa quel lavoro sul campo, ci sbatte la faccia e ci mette magari il cuore. La scuola ha tentato di adeguarsi al mondo che cambia, cambiando alcuni dei suoi sistemi. L’ultimo dei miei pensieri è che la scuola possa essere una prigione però sarei stupido a non vedere quanti di questi ragazzi la considerano così. Oggettivamente c’è comunque qualcosa di innaturale nello stare seduto e fermo ore e ore di seguito a scuola.
Qual è lo scopo, se c’è, di questa canzone?
Questa generazione non trova spesso una risposta alle proprie domande l’obiettivo ultimo è quello di avere qualcosa da offrire, una soluzione per i ragazzi, un aiuto per trovare qualcosa che sblocchi questo meccanismo. Da genitori dobbiamo imparare ad ascoltare, questa è una grande verità.
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onlinediarykindathing · 2 years ago
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3 ottobre 2022
Pensavo di dover avere più disagi nel portare la valigia grande più la busta più lo zaino più la borsa. Meno male che il viaggio è stato relativamente veloce. Alle 12 stavamo già spostando gli armadietti nel dormitorio e riorganizzando i tavoli. Daniele nel giorno in cui è rimasto da solo qui ha portato di tutto tra pc fisso, fornellino a gas e pentole. Sembra davvero che siamo in campeggio ora (ma rispetto alla prima settimana siamo super pronti stavolta a qualsiasi evenienza) (serve una prolunga? We have it! Cuffie per la doccia? Anche! Bollitore per la pasta e sgrassatore per i bagni? Ovvio!). Dopo neanche 20 minuti che siamo arrivate ci siamo messi in 3 a pulire il bagno (nel frangente ovviamente il prof chiama per farci aggiornamenti vari). Pranzo super veloce con cibi preparati dalla madre di ile e poi subito in aula studio a disegnare le facciate degli isolati. Tra test stupidi sul lavoro che dovresti fare e bestemmie sul fatto di dover disegnare anche i cavi elettrici, ile chiede di nuovo a Daniele come va con la tipa e lui risponde che per ora sono poco più che amici e che sono troppo diversi (secondo me a lei questo dettaglio non è arrivato perché prima di fare la doccia ile mi dice che le ha scritto (si conoscono e si salutano per strada ma non è che sono amiche e hanno tutta sta confidenza) chiedendo se per caso Daniele sta solo nella stanza e di non dirgli niente di questo messaggio? Girl is in her stalker era ig) (non so se le ha risposto ma io sono qui per questo gossip). Per pausa io e lui andiamo a fare una mini spesa che a prima vista sembra inutile ma che intanto ci è già costata 20 euro. Quando torniamo recuperiamo i pc e li riportiamo in camera e ci mettiamo a cenare (io con una triste yocca e ile con taralli) (Daniele si era preso una birra e ha aperto un sacchetto di patatine). Nel frattempo il vino che avevamo lasciato qua è stranamente migliorato, incredibile. Dato che poi lui è un tipo particolare leggermente impulsivo, aveva messo della pasta in acqua a temperatura ambiente con la convinzione che entro un tot numero di ore si sarebbe cucinata senza dover bollire l’acqua. Decidiamo prima di giocare ad un gioco di carte nel frattempo, che si è portato (qualcosa con navi e tesori, non mi viene più il nome, può essere tortuga??). Assaggia la pasta ed è come se ti stessi mangiando della pasta fresca direttamente dalla busta appena aperta, lo sfottiamo un sacco e subito dopo si decide a cucinare la pasta per bene bollendo l’acqua. Io però evidentemente gli ho dato troppa fiducia infatti il ragazzo mette nel bollitore sia acqua sia la pasta e ormai li lasciamo bollire così. Ovviamente il risultato è terribile e ci rinuncia a mangiarla tutta. Io e ile ci siamo fatte troppe risate per questa cosa. Dopo facciamo una passeggiata così gli passa questa sensazione di vomito e arriviamo fino al bar con le vetrate a vedere le stelle (c’è poco altro da fare in città, ma il cielo merita). Ora sto nel letto a scrivere, penso di leggere qualche pagina di Damien prima di dormire. Almeno finché uno dei miei due coinquilini temporanei ritorni in camera dalla doccia (ile) o da chissà dove (daniele).
Ps. Nel pomeriggio abbiamo chiamato Rambo come da lui richiesto per aggiornarlo un po’ e inviargli i file nuovi. A fine chiamata quei due iniziano una nuova conversazione sul fatto che lui pensa che Rambo è come se fosse il progetto di ile (è ancora convinto che lei lo difenderebbe in possibili litigi/discussioni) e lei giustamente dice ma che stai a dire? In tutto ciò non potevano non tirarmi in mezzo, Ile dice ‘anche lei è la mia protetta allora’ e lui se ne esce con un ‘lei non ha bisogno di nessuno per proteggerla, ti mangia vivo’. I mean, I really liked that maybe (maybe) he stopped seeing me like a kid. O meglio, sta capendo che sono indipendente al punto tale da stare bene con me stessa. Per una volta non sono più la ragazza dolce e gentile che ti rassicura ma quella che ti dice le cose come stanno e ti mette al suo posto. Dunno I liked that they view me like this, it’s very princess Mononoke to me which is goals if I’m gonna be honest. Bho è stata una sensazione soddisfacente.
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fotopadova · 2 years ago
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Il fotogiornalismo a Padova
di Andrea Scandolara
 --- Collezionare qualcosa può essere un’attività che meriti l’attenzione della psichiatria? E chi fotografa i collezionisti? Anche questi meriterebbero di essere analizzati? Sono domande che sorgono legittime nel visitare la mostra di Gabriele Galimberti, Ameriguns, lavoro sui collezionisti di armi da fuoco degli Stati Uniti, tema quanto mai attuale dopo la recente ed ennesima strage avvenuta in una scuola del Texas nella quale sono morte 21 persone. Di certo il fotografo di collezionisti non merita l’attenzione degli specialisti della mente, egli documenta e con gli strumenti del suo linguaggio è inevitabile che esprima anche un suo giudizio sulla realtà. Ma andiamo oltre.
La mostra in questione fa parte dell’IMP, International Month of Photojournalism - Festival Internazionale di Fotogiornalismo, in corso a Padova fino al 26 giugno 2022, e porta in città ben 15 mostre di fotogiornalisti professionisti provenienti da tutti i continenti suddivise in cinque sedi espositive. Il Festival prevede inoltre visite guidate e talk con gli autori, una mini rassegna cinematografica sul tema e quattro workshop. Si aggiunge anche un circuito Off nel quale otto autori emergenti espongono i loro lavori in altre sette sedi espositive sparse per la città.
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Il fotogiornalismo ci induce a porci delle domande, l’abbiamo visto in questi ultimi 100 giorni di guerra nei quali dall’Ucraina ci sono giunte migliaia di immagini: il reporter documenta (si spera il vero) e noi che guardiamo le immagini ci diamo una risposta unitamente alle emozioni che la fotografia sa trasmetterci. Il fotogiornalismo non è impegnato solo nelle guerre, e ce ne sono tante purtroppo che nemmeno sappiamo dove, l’editoria legata al potere non lo fa sapere. Ci sono le situazioni di disagio, di violenze, di povertà endemica, di follia, di disastri ambientali da pressione antropica, di carestie. Dove ci sono queste cose il fotogiornalista c’è, anche se a volte i suoi lavori non verranno pubblicati. È un impegno sociale il suo che nella peggiore delle ipotesi avrà sbocchi nelle rassegne come quella di Padova di questi giorni.
IMP è una rassegna da non perdere, e sono da non perdere gli incontri con gli autori che ci sveleranno con quale atteggiamento svolgono il loro lavoro non certo facile, con quale bagaglio culturale e di conoscenze partono per mete disagiate e difficili, pericolose e faticose per portarci a casa immagini di una realtà a noi distante.
Per saperne di più si veda il link qui sotto; mi si permetta però di elencare gli autori dei lavori esposti:
Krisanne Johnson, Marco Gualazzini, Nicolo’ Filippo Rosso, Darcy Padilla, Olga Kravets, Maria Morina, Oksana Yushko, Gabriele Galimberti, Monika Bulaj, Gideon Mendel, Massimo Sciacca, Andrea Star Reese, Mattia Vacca, Guia Besana, Francesca Volpi, Covid Latam Collective, Oleksandra Horobets, Karim El Maktafi, Danielle Souza Da Silva.
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www.impfestival.com   -   [email protected]
sedi espositive:
Galleria Cavour (con biglietteria)
Cattedrale ex Macello (con biglietteria)
Loggia della Gran Guardia
Palazzo Moroni
Palazzo Angeli
Orari: da martedì a domenica – dalle 10:00 alle 19:00
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anybodybutlebron · 3 years ago
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1. RASTA SUPERSONICS: Nemmeno era quotata la vittoria alla prima settimana, 1 vs 14 chettelodicoafà?, Giacomo vince in scioltezza, si accanisce sullo zio dopo averlo già abbandonato la notte del draft; l’unico rischio? il solito: innamorarsi dei suoi giocatori e portare avanti una relazione senza speranza con dei pesi morti.
2. DARK SIDE: Stefano millanta di non essere contento della sua armata, sottovoce mi permetto di dissentire ma senza farlo notare ai suoi giocatori: mai fare arrabbiare chi è un’artista della palla rubata (che frutta sempre un proficuo +2), non sai mai cos’altro ti possa sfilare di tasca.
3. CREMONA BIG CREAMERS: Lore guadagna 4 posizioni, ma in tutta onestà avevo già ammesso che il piazzamento iniziale era tutto di facciata: PG13 è semplicemente troppo dominante (durante la regular season) per continuare ad affossare questa franchigia.
4. CREMONA 3TITANS: Quarto era, quarto rimane, anche se finora la scaramanzia non è servita; vittoria di giustezza con il minimo sforzo, inutile fustigare eccessivamente la ciurma quando lo scopo è ottenuto, però lo scatto felino sui 51 di Cole Anthony ha dimostrato che la zampata del campione è sempre pronta a colpire.
5. LAGUNARO MARISCOS: Miglior punteggio della settimana, uno sforzo corale sinfonico, una compattezza adamantica che si è tramutata in un dominio a rimbalzo semplicemente stratosferico che non può che istigare Curry, come se ce ne fosse bisogno, ad armare la mano per sparare sempre da più lontano.
6. TEAM GUARNERI: Miglior difesa della settimana, anche perché l’intimidazione è di casa: l’impressione è che ogni tiro avversario tentato sia stato rimandato con ferocia in faccia al mittente, e se domini con le stoppate poi è un attimo che Lonzo Ball ti faccia partire il contropiede vincente.
7. FRANCOFORTE LINCI: La causa della sconfitta di Daniele ha un nome ed un cognome: Palle Perse; primo per distacco negli assist, nella parte alta di tutte le altre statistiche, ma menomato pesantemente dalle mani di pietra dei suoi giocatori che si sono letteralmente fatti scivolare la vittoria tra le dita.
8. MILAN HOOKERS: Solo la partenza sottotono di Doncic ha costretto Maffo alla sconfitta di misura. C’è troppo talento in questa squadra per posizionarla fuori dalla zona playoff dopo una singola sconfitta. Holmes al quinto giro ha già avanzato la sua candidatura a steal of the draft.
9. NEW YORK KNICKERBOCKER: Non posso non apprezzare l’attivismo sul mercato di Andrea, già 5 mosse di mercato effettuate ma probabilmente serviranno tutte per controbilanciare il calendario cinico e baro: dopo lo scoring leader della prima settimana lo attende il reuccio del power ranking.
10. READY FOR GO HOME: Ok, il campionato è iniziato così come la scalata al trono della regular season. Ferro incassa la prima vittoria nonostante la partenza sotto quota .500 di Boston (da cui dipendono in larga parte le sorti di questa franchigia) e la sequela degli infortuni che sempre sembra voler accanarsi contro la Dottore: già due OUT dopo nemmeno una settimana intera.
11. DEPORTIVO LA CORUNA: Forse dovremmo sospendere il giudizio su questa squadra fino al ritorno di Klay Thompson, ma mi dispiacerebbe non scrivere il power ranking della franchigia di Ciccio fino al prossimo campionato. Embiid è partito forte-fortissimo, gli altri? Not so much!
12. BEOGRAD JUGOSLAVIA: Ma vogliamo parlare di uno che è partito ancora meglio? Il suo nome è KD ed è un marziano, non lo scopriamo certo oggi, il dubbio non è mai stato il talento e Roberto si sta mangiando le mani per avere sprecato una settimana in cui il fenomeno dei Nets ha giocato 3 partite su 3.
13. G FORCE: Siamo troppo punitivi con Dario? La sua franchigia si merita davvero l’ultimo gradino tra le compagini effettivamente in lotta per il titolo? Forse no, ma abbiamo individuato un vulnus che ci da da pensare: solo 47 liberi tentati, certo è ancora presto ma i giocatori del Barone devono essere più aggressivi e più coinvolti in attacco.
14. CHEZ CHAMOIS: Che dire? È triste sparare su una banda di reietti, certo l’avversario era improbo, e certo l’impegno è stato lodevole, ma tra infortuni e carenza di talento la risalita è imponderabile.
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garkissimo · 6 years ago
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Eh, sì, ho fatto il gugol alert che mi dice ogni volta che esce un articolo di spessore sul nostro beneamino. Così non  mi  sono persa neanche una riga di questo pezzo graffiante di Gaetano Perrotta che ci regala due passaggi di poesia:  
Lo stesso direttore Daniele Cesarano ha spiegato che saranno protagonisti (della stagione televisiva in arrivo a settembre, n.d.r.) Barbara D’Urso ed il cantante Gianni Morandi. Ha continuato dicendo che laddove c’era Gabriel Garko ora c’è Morandi: queste parole hanno posto delle riflessioni.
Ma quali riflessioni? Gaetano è reticente in merito. Di certo una riflessione sul nuovo che avanza è d’uopo. Gianni sei in formissima ma a 73 anni non puoi di certo accendere tu questo sole che è spento come il nostro garkissimo. Fatti mandare da Anna a prendere il latte e lascia il posto sul palinsesto a chi se lo merita! 
Ma anche
Il pubblico avverte una sensazione strana nel sapere dell’assenza di Garko, ma la speranza è di rivederlo presto al cinema. 
Chissà, magari in fila a prendere i pop corn o nelle poltronissime con gli occhiali per il 3D. 
Intanto a Sirenuse cresce l’attesa per il “film documentario”. 
Non avvertite anche voi una strana sensazione? Io sì.
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giancarlonicoli · 4 years ago
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21 dic 2020 13:15
PADRI, FIGLI, DONNE E MILIARDI - MARCO BENEDETTO: ''AGNELLI FECE PUBBLICARE UN PEZZO CONTRO GHEDDAFI CHE AVEVA APPENA SALVATO LA FIAT, MATTIA FELTRI DOVEVA PUBBLICARE LA BOLDRINI CONTRO IL PADRE. CHE COME ERODOTO PENSA CHE LE DONNE SE LA VANNO A CERCARE. LA BOLDRINI USA IL FEMMNISMO D'ACCATTO PER CELARE LA SUA INETTITUDINE (COPY SILVIA TRUZZI), MA IL SUO ARTICOLO DOVEVA APPARIRE SU 'HUFFPOST'…
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Marco Benedetto per www.blitzquotidiano.it
Vittorio Feltri come Erodoto di Alicarnasso. Per entrambi, le donne se la cercano. Erodoto è stato meno brutale e più accorto di Feltri, attribuendo il pesante e bieco giudizio ai “saggi persiani”. Erodoto è considerato il padre della storia. In realtà è il primo di cui ci siano rimasti gli scritti.
Le Storie di Erodoto hanno inizio con la guerra di Troia e colloca in una serie di rapimenti mitici, Io, Europa, Elena, le cause dei difficili rapporti fra europei e asiatici.
Ecco le sue parole: “Se rapire donne deve considerarsi atto di uomini ingiusti, darsi la pena di vendicare simili rapimenti – dicono – è cosa da sciocchi; i saggi non se ne danno alcuna cura; è infatti chiaro che, se esse non lo avessero voluto, non sarebbero state rapite”. (Erodoto, Le Storie, I, 4, tradotto da Virginio Antelami, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori).
Sono parole scritte più di 2.500 anni fa. A quei tempi le donne stavano chiuse nel gineceo ed erano considerate poco più di mucche, capre o, in Medio Oriente, cammelli. Oppure, quando davano il meglio di sé, figure crudeli e tragiche, dalla mitica Medea in qua.
Leggendo le parole di Erodoto mi è venuta in mente la recente polemica fra Laura Boldrini e Mattia Feltri, figlio di Vittorio e, da qualche mese, direttore dell’edizione italiana del sito Huffington Post. Non mi trovo in sintonia né umana né di idee né con Boldrini né con Vittorio Feltri. Ho letto qualche articolo del figlio di quest’ultimo con interesse, spesso concordando.
Tutto ha inizio da un articolo di Vittorio Feltri
La polemica è stata originata da un articolo di Vittorio Feltri, secondo il quale se una donna subisce violenza la colpa è della donna stessa. La tesi ha trovato sponda fin nella corte di Cassazione, molti la pensano così oggi E la pensavano cosi migliaia di anni fa.
Laura Boldrini, che scrive sul sito Huffington Post penso dai tempi di Lucia Annunziata, mandò al direttore un articolo in cui criticava Vittorio Feltri. Mattia, buon figlio, pensò bene di non pubblicarlo e correttamente ne informò in anticipo l’autrice. Che, in questo bravissima, denunciò l’oltraggio.
Considero Vittorio Feltri un buon giornalista, non della grandezza di un Montanelli e, meno che mai, di uno Scalfari. Infatti la diffusione dei suoi giornali si è sempre collocata a una frazione di quella di Repubblica. A suo onore va detto che ha il coraggio di sfidare i luoghi comuni del politicamente corretto. Ma lo fa scivolando spesso nella volgarità, cosa che limita molto l’efficacia del suo giornalismo. L’ho incrociato di persona solo una volta e non c’è stato feeling.
L’ho visto in video seguendo questa polemica, intervistato da Peter Gomez del Fatto Quotidiano. Mi si è un po’ stretto il cuore nel constatare l’effetto sul fisico del tempo e degli anni. Ma la precisione delle idee e la coerenza del giornalista erano sempre ferree. Onore a Peter Gomez, che conosco e apprezzo da anni come eccellente giornalista e uomo di equilibrio, per la provocatoria intervista. Il Fatto, anche se ha ospitato un sequel di articoli anti Mattia Feltri di Daniele Luttazzi, non si è risparmiato in passato contro la Boldrini. Silvia Truzzi, firma di punta, fu autrice di un intervento purtroppo poco seguito dai colleghi dei quotidiani, sulla patetica voga imposta proprio dalla Boldrini di volgere al femminile il nome di attività nel passato tipicamente maschili.
“Femminismo d’accatto”, nella definizione di Silvia Truzzi
Silvia Truzzi definì papale papale il femminismo di personaggi cone Boldrini e Fedeli ” femminismo da accatto, quando non è un’arma per celare la propria inettitudine”. Tipico esempio di questa nouvelle vague linguistica: la donna ministro è ministra, la donna sindaco è sindaca. Non siamo arrivati ancora e forse non ci arriveremo mai a chiamare il soprano la soprana o il giornalista uomo, per differenza, giornalisto.
Memorabile è la piccata risposta di Valeria Fedeli, ministro della Istruzione col curriculum un po’ rabberciato, a un giornalista che le si rivolse chiamandola ministro. “Mi chiami ministra” lo aggredì. Quando, un paio d’anni dopo, Lucia Azzolina ne prese il posto, esordì dicendo: “Io sono il ministro dell’Istruzione”. La frase della Azzolina è stata un segnale di rinnovamento. E infatti, io che detesto i grillini come ideologia devastatrice e degna dell’Uomo Qualunque  (e di farne anche la fine), devo riconoscere le qualità di Azzolina, che tutti attaccano perché donna e nemmeno sindacalista.
Laura Boldrini, una sua idea della sinistra
Laura Boldrini è per me un bell’esemplare di quello che fa male alla sinistra. E che per me di sinistra, quella vera, non quella del birignao, ha ben poco. Non porò mai perdonarle la violenza che esercitò contro la libertà di stampa appena eletta presidente della Camera. Il che avvenne non per sue particolari qualità, e nemmeno per effetto di una dura gavetta politica, ma per accordi fra partiti e correnti. Fece sequestrare le pagine dei siti che avevano riportato un fotomontaggio che la faceva passare per nudista. L’effetto era assai lusinghiero ma il senso di umorismo scarseggiò. Ci fu un pm che ignorò la Costituzione ordinando una raffica di sequestri in conseguenza di una diffamazione che la Costituzione esclude esplicitamente dalle cause di sequestro preventivo. Ci furono degli imbarazzatissimi poliziotti che non sapevano dove guardare eseguendo l’ordine, peraltro virtuale.
Seguirono, nelle cronache di quei mesi, resoconti sul suo difficile rapporto con le forze di polizia addette alla sua tutela. Il culmine fu toccato nell’agosto del 2013 quando riaprì la Camera e costrinse i Deputati a tornare dalle ferie per approvare una legge sul femminicidio i cui effetti si faticano a vedere. Una legge diciamo pleonastica, se si considera che il codice penale provvede debitamente a quello che quand’ero cronista era noto come uxoricidio. E che da decenni è stata abolita l’attenuante del delitto d’onore.
Tanto cinema sul femminicidio, ma pochi effetti per le donne
Non risulta che la legge sul femminicidio, tanto voluta da Laura Boldrini abbia contenuto la scelleratezza maschile. Né risulta una successiva attività a tutela delle donne vittime non solo e non tanto della violenza estrema dei maschi. Quanto di quelle forme di violenza diciamo intermedie, prime le botte, che possono trasformare la vita in famiglia in un inferno per una donna.  Non credo che nemmeno in questo caso si possa applicare il principio del “se la sono cercata”. Le scelte d’amore, di convenienza, di indomabili appetiti, di famiglia sono frutto di complesse e contrastanti spinte individuali. Vale semmai la prima parte dell’assunto di Erodoto. Adattato: chi esercita violenza su una persona più debole, e in generale su un altro essere umano, è indegno e merita il sommo disprezzo.
Si tenga presente che la violenza sulle donne non è circoscritta a un preciso ambito sociale. Anzi. Ricordo una esperienza diretta, di quando, giovane redattore dell’ufficio Ansa di Londra, mi documentai sul campo per un articolo per la rivista Grazia. Mi aveva spinto la notizia del Daily Mirror su un rifugio per le “battered wives”, le mogli pestate.
Aiutare le donne a liberarsi dai mariti violenti
Mi recai in quella palazzina di mezzo centro pullulante di bambini, dove si aggiravano donne malconce. Era il 1973. In quei tempi là definizioni erano forse più elementari di oggi. Per me valeva l’equazione povertà = violenza in famiglia. Fui smentito. I ricchi in famiglia danno sfogo alla propria innata violenza con maggiori forza e crudeltà delle classi povere.
Tutto questo è premessa a una considerazione. Che piuttosto che al cinema della approvazione con fanfara di una legge sostanzialmente inutile, sarebbe stato preferibile orientare l’impegno del Parlamento verso la tutela delle donne non da morte ma da vive, non solo quelle vittime di violenza maschile ma tutte. Esempi. Dalla destinazione di maggiori risorse alla protezione preventiva delle donne, in modo non da vendicarle defunte, ma proteggerle prima dell’irreparabile. Alla definizione di una rete di asili nido e varianti, con annessi e connessi, per consentire alle madri di lavorare.
Essendo il lavoro l’unica fonte di dignità per un essere umano. E per una donna senza risorse di famiglia l’unico modo per sottrarsi alla soggezione al maschio.
Credo che in Italia ci sia un pulviscolo di istituzioni locali che si dedicano alle donne in questa particolare situazione. Ma, a giudicare da rivendicazioni e proteste ancora recentissime, il cuore del dramma nemmeno è sfiorato.
Passiamo alla famiglia Feltri. Mattia Feltri è un bravo giornalista di scrittura. Non posso giudicarlo come direttore. La storia dell’articolo della Boldrini non depone sulla capacità di scelte difficili. Certo è un bravo figlio, non avendo avuto il coraggio di pubblicare un pezzo ostile al padre. Anche se non gli ha reso un buon servizio. Pochi avrebbero letto il blog della Boldrini sul sito Huffington Post. Tutti, su siti e giornali, hanno conosciuto la vicenda del figlio leale ma direttore timoroso.
Agnelli, Gheddafi e Arrigo Levi
Ricordo sempre un episodio che risale all’autunno del 1976. All’epoca lavoravo all’ufficio stampa della Fiat. Gheddafi era da poche ore diventato azionista della Fiat mettendo nelle esangui casse torinesi 450 miliardi di lire. La Fiat era in crisi in conseguenza, fra altre cause, della crisi petrolifera che aveva fatto crollare il mercato. E del blocco dei prezzi delle auto, mentre l’inflazione annuale aveva superato il 20%. Il blocco fu la punizione inflitta dalla Dc guidata da Amintore Fanfani alla Fiat e agli Agnelli, nella convinzione che il capo famiglia, Giovanni, fosse socio occulto del cognato Carlo Caracciolo, editore dell’Espresso. Ogni numero dell’Espresso, in quegli anni di giornali di poche pagine e ancor meno notizie, faceva tremare gli occupanti delle stanze del potere, di tutti i poteri, in Italia.
Direttore della Stampa era Arrigo Levi. Appena fu diffusa la notizia del nuovo azionista libico, Levi scrisse un articolo che definiva Gheddafi come terrorista internazionale. E lo mandò ad Agnelli chiedendo il via libera alla pubblicazione. In quei tempi, Gheddafi non era ancora diventato il simpaticone amico di Berlusconi. Erano tempi di rivoluzione globale e di terrorismo come punta avanzata e nel suo piccolo Gheddafi si dava da fare per contribuire. Ad esempio, riforniva di armi i guerriglieri irlandesi dell’Ira. Ancora nel 1988 i libici fecero saltare un aereo americano nel cielo della Scozia, provocando 259 morti. E ancora oggi gli americani cercano di fare estradare dalla Libia la mente dell’attentato.
“Questo articolo si deve pubblicare”
Ricevuto l’articolo, l’avv. Agnelli riunì un po’ di dirigenti nel suo ufficio all’ottavo piano di Corso Marconi 8 a Torino. Tutti erano per cestinarlo. Agnelli lasciò parlare tutti, poi chiese: “Se non avessimo la Fiat ma fossimo solo l’editore della Stampa lo pubblicheremmo?”. Ci fu un coro di “certamente”. “Allora lo pubblichiamo”. Alzò il telefono e comunicò a Levi la decisione. Fu una grande lezione da grande editore. Degna dell’Espresso di Caracciolo. All’altezza, fossimo stati inglesi, del libro di Hugh Cudlipp, “Publish and be Damned”, pubblicato nel 1953, documento fondamentale del giornalismo. Ne ho una copia che mi regalò Carlo Caracciolo. Ne conservava una scorta. Il titolo deriva da una frase del duca di Wellington. Ricattato da una sua ex amante il vincitore di Napoleone rispose appunto “Publish and be damned”, pubblica e sarai dannata.
Vittorio Feltri, cosa doveva fare un figlio giornalista
La Boldrini non è Arrigo Levi e Vittorio Feltri non è Gheddafi. Però la morale, su scala diversa, è la stessa. Mattia Feltri non avrebbe dovuto telefonare all’ex presidente della Camera per annunciarle che non avrebbe pubblicato l’articolo. Avrebbe dovuto telefonare al padre: “Sorry papi, ma devo pubblicarlo”.
Cosa che ha fatto invece proprio Feltri vecchio, sul suo giornale, Libero, con una zampata da giornalista di una volta. Umiliando un po’ il figlio, con le parole sprezzanti buttate lì come sciabolate nell’intervista a Peter Gomez. Di una sciabola un po’ arrugginita se guardate il video. Aveva ragione la contessa di Castiglione, che compiuti 30 anni coprì tutti gli specchi del suo castello e non si mostrò più in pubblico. E Feltri credo che ormai abbia abbondantemente superato il doppio di quell’età.
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viaggiatricepigra · 7 years ago
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Opinione: La Quinta Sally, di Daniel Keyes
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Sally Porter apre gli occhi in un letto d'ospedale. Non ha nessun ricordo della sera precedente, né di come sia finita lì. Di una cosa però è certa: non è possibile che abbia tentato il suicidio, come le hanno riferito i medici, né che abbia quasi ucciso i due uomini che l'hanno salvata, per poi cercare di violentarla. Eppure i medici non mentono, ed è così che Sally scopre di soffrire di un grave disturbo dissociativo dell'identità. Infatti era Nola, l'artista che possiede uno studio al Greenwich Village, che voleva morire, ed è stata Jinx, la violenta assassina, a difendersi dagli aggressori. Tuttavia in Sally albergano altre due personalità, che prendono di volta in volta il sopravvento e la spingono a comportarsi in maniera bizzarra: Derry, la cameriera gentile e affabile con tutti, e Bella, la seduttrice. Sconvolta da quella rivelazione, Sally chiede aiuto al dottor Roger Ash, un esperto di personalità multipla. Per il dottor Ash, l'unica soluzione è fondere le diverse personalità per dare vita alla «quinta Sally», una Sally fnalmente unita e completa. Si tratta di un procedimento complesso e doloroso, in cui Sally dovrà rivivere i traumi che hanno causato la scissione e accettarli come parte integrante del suo passato. Ma non sarà facile nemmeno per Roger Ash, perché le ombre nascoste nel labirinto della psiche di quella donna così tormentata ed enigmatica lo costringeranno ad affrontare anche i suoi demoni...
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Mi sono lasciata prendere dalle sensazioni, per quanto riguarda la prima impressione a questo romanzo, che mi hanno spinta alla curiosità di leggerlo. Adoro tutto quello che riguarda la psiche umana e questo genere romanzi psicologici, quindi non potevo farmelo scappare. Il blocco del lettore si è fatto da parte e in due giorni l'ho chiuso con enorme soddisfazione e un vuoto nel cuore: davvero un bel romanzo, intelligente e coinvolgente, che conquista il lettore. Prima di iniziare vorrei fare una piccola premessa, di cui mi sono accorta solo aprendo il libro. E' stato pubblicato da noi da pochissimo, fine febbraio, mentre questo romanzo in realtà ha ben 38 anni di vita. Eh si, è stato pubblicato nel 1980, ma li porta davvero bene perché anche senza saperlo mi sarei potuta godere appieno tutto ciò che viene narrato, senza sentire la differenza temporale. Credo sia fra quei libri che restano "immortali" (o quasi). Un peccato che sia arrivato in Italia da così poco, ma mi rallegro che lo abbia fatto perché merita moltissimo di esser scoperto e di invitare molti lettori a perdersi fra le sue pagine. La protagonista della storia è Sally, ma non sarà proprio e sempre lei la voce narrante, perché questa giovane donna ha un problema di cui non si è ancora resa conto: dentro di lei la sua mente si è scissa in altre quattro personalità che, a turno, saltano fuori prendendo il controllo del suo corpo. Per lei sono solo blackout senza senso, ma ormai la situazione è arrivata ad essere insostenibile poiché ha già tentato il suicidio (senza ricordarsene) più volte e dopo l'ultimo risveglio in un ospedale, chiede aiuto per riuscire a guarire e capire cosa le stia accadendo. Verrà presa in cura da Robert Ash che, lentamente, cercherà di farle accettare questa malattia e di capire come curarla al meglio, trovando come soluzione meno dolorosa (anche per le altre personalità che, ovviamente, non vogliono scomparire) quella di fondere tutte con Sally, per unire questi frammenti e creare, appunto, una "Quinta Sally", più forte e con le caratteristiche di ognuna di loro, come già avrebbe dovuto essere. Per la maggior parte del romanzo la narratrice sarà Derry, la personalità "cardine" fra tutte, che permette alle altre di restare aggiornate sulla vita di Sally (tranne la stessa Sally, che non vuole sapere nulla di tutto questo) facendo da tramite, essendo l'unica sempre sveglia. Conosceremo lei, la più dolce ma anche tenace fra le cinque; incontreremo Nora, la cervellona con doti artistiche e con la voglia di farla finita; ci stupirà Bella, la star che vuole stare al centro dell'attenzione e sedurre il suo pubblico; e per ultima Jinx, la più pericolosa, un concentrato di odio che lascia sulla sua strada solo violenza. Ognuna nata in un momento particolare nella giovane vita di Sally in cui aveva bisogno di qualcosa che dentro di lei si è creato ma rompendola in tanti frammenti. Sarà un lavoro lungo e difficile, perché Sally non vuole essere pazza e rifiuta questa teoria, ma sa che qualcosa non va e che se non fa nulla, le cose peggioreranno. Dovrà scontrarsi più volte con la verità dei fatti prima di iniziare ad accettare questa cosa come "reale" e procedere verso la guarigione.
Un romanzo davvero davvero bello!
Scorrevole ed interessante, riesce a rendere questo tema alla portata di tutti e di metterci nei panni della protagonista, facendoci spesso agitare per lei, in certe situazioni. Capiremo lentamente cosa ha dato vita a queste personalità e cosa le fa uscire allo scoperto, andando avanti fino alla fine restando senza fiato e col cuore pesante, quando chiuderemo il libro. Sicuramente leggerò altro di Keyes, ha uno stile molto sciolto e per nulla pesante di scrivere, che fa vivere dentro le sue storie con empatia e trascinandoti dentro. Un romanzo inventato, ma creato da studi su questa patologia. Ve lo consiglio tantissimo! from Blogger https://ift.tt/2qCzdhp via IFTTT
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sarahfelberbaumarchive · 4 years ago
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Daniele De Rossi e la dichiarazione d’amore per Sarah Felberbaum
Daniele De Rossi, capitano della Roma, ha scritto via Whatsapp una dedica alla moglie Sarah Felberbaum. Lei ha deciso di condividerla sui social.
Si è scoperto che il calciatore Daniele De Rossi è in realtà un grande romanticone. A farlo sapere a tutti, la sua attuale moglie, l’attrice Sarah Felberbaum. Come? Tramite i social. La Felberbaum infatti ha deciso di condividere con i followers di Instagram uno screenshot molto particolare.
Si tratta di uno scambio di messaggi con il famoso marito in cui lui le fa una vera e propria dichiarazione d’amore. Conferma che, anche con il passare degli anni, la coppia è veramente affiatata e il loro grande amore che li ha portati a sposarsi nel 2015 non conosce crisi.
La dichiarazione di Daniele De Rossi
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“Ti amo Sarah Felberbaum” ha scritto Daniele De Rossi via Whatsapp. Ha poi inviato il messaggio alla moglie.
Forse per essere sicuro che l’avesse ricevuto e che lo leggesse subito, ha deciso di rincarare la dose con un secondo messaggio. A distanza di meno di un minuto infatti il calciatore ha scritto ancora “Ti amo” e glie l’ha inviato. Il calciatore a quanto pare ha voluto fare una dedica speciale alla consorte e ricordarle quanto sia felice di stare con lei e di aver deciso di creare una famiglia con lei.
Di tutta risposta l’attrice ha condiviso lo screenshot con i suoi followers di Instagram, che sono 164 mila, e commentato “Follemente“.
In poche ore il post della Felberbaum con la dedica di De Rossi ha raggiunto 25 mila likes.
Anche i commenti sono tantissimi, perché la coppia piace a tanti. Si va dai “Che belli che siete” a “Ognuno merita l’altro, coppia fantastica, vi auguro di amarvi per tutta la vita. Tifo per voi“, “Io amo Daniele, ma se lui ti ama, amo anche te, quindi amo entrambi, voi mi amate anche solo perché vi amo? Amiamoci!!!“, “Anche noi amiamo De Rossi“, “Vi adoro ragazzi siete unici“. Qualcuno commenta simpaticamente quello che forse in tanti pensano, ma non osano scrivere: “Dovresti amarlo solo perché non sbaglia a scrivere il tuo cognome“, “Anche solo per aver imparato a scrivere il tuo cognome“, “Quanto c’ha messo per scrivere bene il cognome? Io amo DDR“.
Sarah Felberbaum, Noah e Olivia
Quello di Sarah Felberbaum è il primo matrimonio. Nel 2015 ha sposato il fidanzato calciatore Daniele De Rossi ed è diventata mamma dei loro due figli Noah e Olivia. Il calciatore invece, ha un matrimonio precedente alle spalle con Tamara Pisnoli, durato dal 2006 al 20096, e una figlia con lei, Gaia. Oggi De Rossi è il capitano della squadra di calcio della Roma, in cui gioca dal 2001. Motivo per cui è molto amato dagli appassionati di questo sport, grandi tifosi anche della vita privata del calciatore, che con la seconda moglie ha trovato quella serenità che gli permette di dare il meglio anche sul campo da gioco.
In realtà il futuro prossimo di De Rossi non è ancora chiaro, non si sa se continuerà a giocare o passerà ad allenare. La moglie invece, che ha 3 anni in più di lui, perché Sarah è del 1980, mentre Daniele è del 1983, continua a gonfie vele la sua carriera, soprattutto nel cinema. In questo periodo è infatti al cinema con ‘Bentornato Presidente’. Una curiosità sul suo cognome, così particolare: la Felberbaum ha la madre inglese e il padre americano. Il padre, che porta questo cognome così stano da ricordare, ha origini russo-ungheresi.
(Donne Magazine 07/05/2019)
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girlfromtube · 4 years ago
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QUOTES: https://girlfromtube.tumblr.com/post/630521539417309184 EPISODIO 9 Rebecca Nora Bunch: Non so come amare qualcuno senza esserne ossessionata. Nathaniel Plimpton: Non sapevo della cosa della maglietta ma, te lo ripeto, è una cosa tenera. Rebecca Nora Bunch: Ok è tenero, sì. Inizia così, ma poi peggiora. Diventano brutte cose come bruciare delle case, rapire le mamme di qualcuno e andare a letto coi padri degli altri. Nathaniel Plimpton: Cosa? Rebecca Nora Bunch: Non tuo padre. Anche se è un bel volpone, è molto negativo e mi piace. Il punto è che in questo momento non posso stare con te o con nessun altro. Nathaniel Plimpton: Ok, non voglio intromettermi nella tua terapia, ma la cosa principale non è essere felici? Siamo felici ed è questo che conta! Rebecca Nora Bunch: Sono felice, ma non è una cosa reale. E' uno sballo, una infatuazione. Dr. Daniel Shin: Pensa a tutto il tempo e all'energia che impieghi, nella tua vita, per le relazioni sentimentali. Rebecca Nora Bunch: Ho contato un sacco di ore. Dr. Daniel Shin: Ok. Puoi prendere quella passione, quella intensità e concentrarle e utilizzarle in qualcosa di più produttivo. Rebecca Nora Bunch: Ho una laurea, un master, un dottorato in ossessione e ora mi ritrovo a chiedermi perché! #L'amore è uno spreco di energie, ti fa fare un sacco di follie, pensi a cose banali e più tardi ti chiederai: perché? Tipo "Quando mi scriverà?" o "Vedendomi che faccia farà?". E all'improvviso i laghi si sono prosciugati ed è colpa tua!!!# #L'amore è cieco sai, ma senza amore i ciechi aiutar potrai!# Josh Wilson: Allora, io e Darryl abbiamo deciso che dovremmo essere amici, ma poi gli ho scritto un paio di volte e non mi ha risposto per tutto il giorno. E' solo... Io... Credo che gli amici debbano rispondersi. Joshua Felix Chan: Certo, ma voi due non siete amici. Ti ha mollato, amico. Josh Wilson: Di cosa stai parlando? Non sono stato mollato. E' stato consensuale. Joshua Felix Chan: Si certo. "Consensuale". Josh Wilson: Riprenditi quelle virgolette. Joshua Felix Chan: Lo sanno tutti che non esiste una rottura consensuale. Josh Wilson: Sì, esiste!!! Ok, forse lui ha detto quelle parole tecnicamente prima che le dicessi io, ma è come quando parli al telefono e stai facendo conversazione e vuoi che quella conversazione finisca. Qualcuno deve dire la parola "ciao" prima che lo faccia l'altra persona, ma lo fate insieme. Joshua Felix Chan: Chi parla al telefono? Quanti anni hai, cento? Darryl Whitefeather: I miei spermatozoi sono troppo attivi. Ho una malattia chiamata super-sperma. Paula Proctor: Chi l'ha chiamata così? Un medico di dieci anni? Tim: La danza dei cappelli rossi è a mezzanotte. Jim: Incontriamoci qui alle 2:00 in punto. Darryl Whitefeather: Ma tu hai detto mezzanotte. Tim: E' un modo di dire. Rebecca Nora Bunch: Ho pensato di fare volontariato alla mensa dei poveri, ma non mi piacciono i poveri. Poi pensavo di insegnare agli adulti, ma se non sanno leggere da adulti, cioè hanno qualcosa che non va e non posso occuparmene. Poi ho pensato di sistemare i vestiti per i poveri, ma se vedo una strana macchia non mangio più per settimane. Heather Davis: Wow, il tuo altruismo è incredibile. Rebecca Nora Bunch: Grazie. Josh Wilson: Anche se le rotture erano consensuali, ci sentiamo un pochino giù! Siamo umani! Nathaniel Plimpton: Lo siamo davvero? Insomma, la gente come te e me non mangia cibo spazzatura per sentirsi meglio. Non funziona nemmeno, tra l'altro. Josh Wilson: Hai ragione, non funziona. Ti fa sentire peggio. Ti senti un inutile, patetico bambino cicciottello che corre al parco con gli altri bambini che ridono di lui, e lo indicano e lo rincorrono, chiamandolo "ciccione". Cosa che... Non mi è mai successa. L'ho solo sentita in giro. Ally: Cioè, io sono la manager del pane al mercato, quindi guadagno più di Marty. Rebecca Nora Bunch: Quindi tu porti la pagnotta a casa! Ally: No. Le conto al mercato. Fra tutti e due non abbiamo molta grana. Rebecca Nora Bunch: Hahahahahaha!!! E' divertente! Ally: Perché divertente? Io penso che sia una rottura. Ally: Non è che siamo i manager della carne. Rebecca Nora Bunch: Quindi nessuno di voi porta a casa la pancetta! Ally: No. A me non piace la pancetta, quindi lui non la porta a casa. Rebecca Nora Bunch: Oh ragazza, così mi uccidi. Rebecca Nora Bunch: Sono certa che lei non ami Marty. Valencia Maria Perez: Punto primo, non me ne sono accorta. Ma anche se avessi ragione, spero che si sposino e che organizzeremo il matrimonio, e poi le loro feste di divorzio e poi il loro secondo matrimonio! Così si fanno affari! Josh Wilson: Sono come Zac Efron! Nathaniel Plimpton: Sei come Efron, ma in "Baywatch". Non l'Efron molliccio di "High School Musical"! Joshua Felix Chan: Tutti intorno a me, sembrano sapere cosa voglio essere, tranne me. Mi fa sentire uno schifo. Nathaniel Plimpton: Bello. Josh Wilson: No, per niente! E' orribile. Le ragazze etero rovinano la cosa migliore di essere gay. L'unico posto solo nostro. Heather Davis: Odio stare benissimo con questo outfit. Nathaniel Plimpton: Allora perché non lo voglio? Josh Wilson: Non lo so. Non voglio nemmeno io. Nathaniel Plimpton: Pensi che sia per via delle nostre rotture assolutamente consensuali? Josh Wilson: Chi vogliamo prendere in giro, amico? Siamo stati mollati. Nathaniel Plimpton: Già. E' vero. Josh Wilson: Già. Josh Wilson: Questo bar non è per te, ci sono bar per etero dappertutto!!! Nathaniel Plimpton: Già, si chiamano "bar"! Sherry: Loro non hanno problemi. Non vedi quanto sono fighi?! I ragazzi come loro non hanno dei veri problemi! Nathaniel Plimpton: Nessuno ci capisce. Josh Wilson: Nessuno ci capisce. #Anche i ragazzi muscolosi e sexy hanno dei problemi!# #Quasi non abbiamo grasso corporeo, ma siamo troppo depressi per parlare del nostro fisico scultoreo. Sappiamo di essere molto meglio di te, ma anche i ragazzi muscolosi e sexy hanno dei problemi.# #Abbiamo pettorali stupendi, ma anche giornate no! Non rendeteci un oggetto con i vostri sguardi, però. Abbiamo traumi infantili proprio come te, perché anche i ragazzi muscolosi e sexy hanno dei problemi!# Rebecca Nora Bunch: Non se lo merita. E' una persona! Josh Wilson: Amico, perché non mi hai detto che fai la lap dance? Joshua Felix Chan: Non sono uno spogliarellista, sono un cubista. Non c'è nessun palo. In realtà vorrei che ci fosse, renderebbe molto più credibile tutta la questione del pompiere. Rebecca Nora Bunch: L'amore puo' farti soffrire e puo' essere molto, molto pericoloso. Marty: Io la amo e mi accontento. Lei mi rende felice ed è questo ciò che conta. E non sono affari tuoi! Darryl Whitefeather: Sai perché si chiama "la fortuna del principiante"? Perché non funziona la seconda volta che ci provi. A te come va? Anche tu non hai una bella cera. Rebecca Nora Bunch: Il solito. Sono depressa e orribile.
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