#e mai avrei pensato di reagire così
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#oggi ho dovuto brevemente parlare davanti a circa cento persone e ho cominciato a tremare#non era un intervento previsto#volevo solo far presente delle cose che erano state ignorate#e mai avrei pensato di reagire così#aggiungiamo pure questa alla lista delle difficoltà#alla fine conoscersi fa sempre bene
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Non ho voglia di rispondere al gruppo perché non ho niente da dire, non riesco a parlare e non parlo nemmeno ai miei genitori. Non ho più voglia di niente, non ho voglia di mangiare, di uscire, nemmeno di andare a lavoro. Non ho voglia di creare un legame con i bambini e nemmeno con la nuova ragazza che ho come collega. Mi sto limitando ad andarci facendo solo i doveri e spesso delego a lei le cose che sono più da contatto umano con i bambini, perché non ce la faccio. Spesso mentre lavoro non mi sento bene, mi gira la testa. A volte mangio solo un biscotto per non svenire e poi mi sento in colpa perchè ho mangiato.
A casa mio padre fa finta che non mi stia succedendo nulla, quindi si comporta come se fosse tutto normale, anche se non vado a tavola, anche se non ci parliamo.. mia mamma invece soffre ma lo fa aggredendomi, così cerco di chiudermi in camera e non parlare. Perchè probabilmente è difficile capire che non è quello il modo giusto di prendermi
L’ultima volta abbiamo discusso del fatto che dovrebbero capire che se me ne vado prima di loro per me sarebbe una salvezza perché sto male e sono infelice da morire e non ce la faccio più. E vivere solo perchè ci sono loro ancora qui non ha comunque senso.
Gli ho detto che loro almeno avrebbero l’un l’altro accanto, mentre io ad aspettare che loro muoiano mi logora soltanto e quando succederà saró comunque da sola a differenza loro e comunque la faró finita.. vorrei solo risparmiare al mio corpo ancora tanta sofferenza perchè non ne posso più.
Mi dispiace immagino non ti aspettassi di discutere scrivendomi. Nemmeno io avrei voluto discutere con te anzi, perché ho solo bisogno di amore e pace e ho apprezzato che tu mi abbia pensato. Ma questo è l’inferno che sto vivendo, alternando conflitti e accuse all’indifferenza, oltre a tutto quello che provo dentro di me, e non riesco a sentirmi dire che dovrei fare qualcosa, perchè solo io so quanto ho fatto in questi anni e cosa ho passato e sto passando da sola, completamente da sola e fa male, e le cose non si sistemano mai, e io non so come altro reagire ..
17:35
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Mia madre oggi, ancora una volta, ha preteso di conoscermi, di definirmi, mi ha dato della pessimista, negativa sempre e comunque, una stronza senza cuore, senza cuore. Non ha la minima fiducia in me, non l’ha mai avuta, sono sempre stata così per lei e lei non ci può fare nulla, poverina. Me lo ripete da quando ho 6 anni che non ho cuore. E io da allora mi sono tagliata le braccia e le gambe in mille pezzettini, ho pensato alla morte svariate volte e infinite altre a tutti i modi in cui avrei potuto raggiungere quel buio che dura per sempre. Una signora, prima, mentre stavo guidando, mi è passata affianco e mi ha sorriso entusiasta e fatto il gesto del pollice in su. E io l’ho mandata a cagare, non capivo e mi sono chiusa a riccio: perché è vero, sono così, negativa, me l’ha insegnato mia madre che non ci si può mai fidare degli altri e del mondo. Eppure io mi sento cambiata, l’ho capito oggi che avrei dovuto (e voluto) reagire in maniera diversa, ma non mi sono sentita senza speranza per questo, anzi, voglio perdonarmi e essere migliore ogni giorno. Non sono più quella che ha creato mia madre, soprattutto non sarò mai come lei, me lo sono promessa tanto tempo fa, non subisco più la sua influenza nelle mie scelte, Rebecca ne è la prova. Vedo il nostro amore, vedo come riesco ad affidarmi a lei, a baciarla e abbracciarla, vedo lei con me, quanto mi dà, anche se ogni tanto l’ombra di mia madre torna a odiarmi, giudicarmi e schifarmi, ma ho deciso di non ascoltarla più. Voglio solo essere felice. Se potessi dirle qualcosa se ne avessi il coraggio, tornerei bambina e le direi che volevo tanto un cane perché so che lui mi avrebbe dato tutto l’amore che lei non è mai stata in grado di avere per me ed era anche l’unico modo che conoscevo per chiederle aiuto, ma lei mi ha negato anche quello, non mi ha mai capita né ascoltata e io non sarò mai in grado di perdonarla per questo
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Come sarò io e come sarai tu (con qualche giorno in più)
Personaggi: OC, Damiano David, Ethan Torchio, Victoria de Angelo's, Thomas Raggi
Genere: Romantico
Trama: E se dopo quindici anni il passato che volevi dimenticare ti venisse a trovare a lavoro? Tu cosa faresti?
~`~`~`~
PROLOGO
Giugno 2005
Faceva terribilmente caldo per essere inizio giugno e mi trovavo in mezzo a una baraonda di gente. Sembrava quasi che la maggior parte degli studenti del Manzoni avessero avuto la mia stessa brillantissima idea di rifocillarsi prima del concerto dei Måneskin. La mia pazienza raggiunse il limite quando venni avvolta da una puzza di ascelle micidiale. Dio, ma perché i ragazzi hanno così tanta paura di lavarsi?
"Permesso... Permesso…" dissi, cercando di divincolarmi tra gente sudata e appiccicaticcia.
"Lasciatela passare che tra poco c'è il suo fidanzato che si esibisce. Non vedrà l'ora di lanciare il reggiseno sul palco."
Li sentii chiaramente perché, dopotutto, loro non fecero nulla per non farsi sentire e non avevo nemmeno bisogno di girarmi, perché sapevo esattamente chi fossero. Mariani e Russo del quarto, due sfigati che avevano poca voglia di studiare, ma tanta voglia di rompere le palle. Ormai succedeva da un po' di tempo, ma cercavo di non farci troppo caso, anche perché tra poco più di un mese avrei finito il mio esame di maturità e questi stronzi non li avrei mai più visti.
"Che poi, hai capito chi il suo ragazzo? Secondo me se li fa tutti, pure la tipa dell'internazionale!"
Mentre loro scoppiarono a ridere, io finalmente arrivai al tavolo. Presi un piatto e arraffai una manciata di patatine al formaggio e chiesi anche un bicchiere di Fanta. Ringraziai e mi voltai, le patatine in una mano e il bicchiere pieno fino all'orlo nell'altra. Non feci nemmeno in tempo di fare un passo che qualcuno alla mia destra mi spinse e la mia aranciata finì sulla camicia bianca di Russo.
"Porca puttana!"
Il mio sguardo passò dalla macchia arancione, che si faceva largo sulla camicia, alla faccia furente di Russo e non riuscii a trattenermi nel ridere. Più lui mi guardava con odio e più io non smettevo di ridere.
"Cazzo ti ridi cogliona? Guarda cos'hai fatto. Dove pensi di andare? Puttana, rimani qui!"
Ma io mi ero già intrufolata tra la gente con il dito medio ben alzato in alto cosicché quei due poveri sfigati potessero vederlo bene.
Mi misi seduta davanti al palco, che il comitato della festa di fine anno aveva posizionato proprio al centro del cortile della scuola, e presi il cellulare dalla mia tracolla. Due chiamate di mamma. Le feci uno squillo perché ovviamente avevo poco credito e, dopo pochi minuti, il cellulare iniziò a vibrare.
"Ciao mami! È successo qualcosa?"
"No, volevo solo sapere se venivi a pranzo."
"Non saprei… dipende da cosa fanno i ragazzi dopo il concerto," le dissi, mordicchiando le labbra, "ma stasera ci sono di sicuro. Vorrei parlarvi di una cosa."
"Va bene, amore! Allora ci vediamo a cena. Mi raccomando, puntuale. Buon concerto e salutami Ethan!"
"Ok! Ciao, ciao, ciao!" e riattaccai.
Quindi questa sera avrei raccontato ai miei che mi sarebbe piaciuto iscrivermi all'università qui a Roma e non tornare a Torino. Ero pronta? Assolutamente no, ma sicuramente non era quello il momento di preoccuparmi. Ci avrei pensato più tardi.
Gli altri alunni del Manzoni incominciarono ad accalcarsi e io dovetti alzarmi. Stavo per rimettere il cellulare nella tracolla quando vibrò. Era un messaggio.
Da: Damiano
<3
Senza pensarci due volte gli feci uno squillo e poi mi ritrovai a fissare come una scema quel cuoricino. Cazzo, sono proprio senza speranze, pensai mettendo via il cellulare e prendendo la mia preziosissima macchina fotografica digitale, regalo di compleanno dei miei genitori.
Damiano mi piaceva, anzi, mi piaceva un sacco e, inspiegabilmente, anche io gli piacevo. Non ero ancora riuscita a capire come fosse potuto succedere un miracolo del genere, ma era successo e la miglior cosa che potessi fare era viverla giorno per giorno.
Il preside salì sul palco e, dopo le solite raccomandazioni ("Non si poga, non si tirando cose sul palco e nessun comportamento inappropriato."), presentò la band.
"E ora facciamo un grande applauso ai Måneskin!" esclamò, facendo segno ai miei amici di salire sul palco, "Buon divertimento a tutti!"
I primi a salire sul palco furono Thomas e Victoria con la chitarra e il basso già a tracolla. Poi toccò a Ethan. Il suo sguardo si muoveva freneticamente fra la folla fino a che non si fermò su di me. Mi sorrise prima di sedersi dietro alla sua batteria. Infine, arrivò il turno di Damiano. Passò davanti a me e mi fece l'occhiolino, non riuscii a fare o dire nulla talmente ero incantata. I capelli lunghi sulle spalle, la camicia aperta che faceva intravedere gli addominali asciutti. Proprio gli stessi addominali che avevo accarezzato qualche sera fa.
"Hey-yo this is Måneskin! La prima canzone è per te Malibù." disse Damiano al microfono e le inconfondibili note di Luna dei Verdena iniziarono a volare in alto.
Sì, Malibù ero io. No, Malibù, ovviamente, non era il mio nome. Era solamente il soprannome che Damiano mi aveva dato una della prima volte che ci eravamo visti. E lui in questo momento mi stava dedicando una delle mie canzoni preferite. Dire che ero al settimo cielo era poco. La cantai tutta, a squarciagola, e solamente quando iniziarono a cantare altre canzoni mi decisi a fare qualche fotografia. Cercai di fare del mio meglio, ma ero praticamente sicura che sarebbero venute tutte mosse perché quei maledetti si muovevano peggio delle bisce. Che fotografa ufficiale ero se non riuscivo a fare nemmeno una foto a fuoco?
Quando il concerto terminò (troppo presto per i miei gusti), mi fiondai verso la classe che era stata adibita a backstage. Volevo congratularmi con i ragazzi e soprattutto, volevo saltare in braccio a Damiano, dirgli che era stato bravissimo e poi baciarlo per il resto dei miei giorni.
La porta della classe era socchiusa. Invece di aprirla, sbirciai nella fessura e quello che vidi mi gelò il sangue. Senza nemmeno accorgermene, iniziai a piangere. Mi coprii la bocca con la mano per attenuare il rumore dei singhiozzi, ma ormai era troppo tardi. Victoria, le sue labbra ancora su quelle di Damiano, aprì gli occhi e mi vide.
Iniziai a correre veloce. Gli occhi mi bruciavano terribilmente e il mio cervello non riusciva a reagire a quello che avevo appena visto.
Non feci in tempo ad uscire da scuola che mi sentii afferrare per un braccio. Quando mi voltai, nonostante avessi la vista completamente annebbiata dalle lacrime, mi accorsi che era Ethan.
"Cos'è successo?" chiese. La sua voce mi sembrava terribilmente lontana, come un brusio, "Vuoi dirmi cos'è successo?". Il suo solito aplomb era sparito. Mi divincolai e, senza nemmeno guardarlo negli occhi, corsi via.
Uscii dalla scuola senza sapere che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei visto Damiano.
#oc#damiano david#ethan torchio#thomas raggi#victoria de angelis#maneskin#maneskin fanfic#fanfic#my writing#come sarò io e come sarai tu#csi&cst
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ognuno di noi, nel profondo del suo cuore, ha pensato e sperato come me che il 2021 iniziasse in modo diverso, che potesse essere un anno pieno di rinascita, che potesse portarci alla normalità che da un anno a questa parte ci è mancata.
anche io ho iniziato il 2021 con tutti questi piccoli desideri che si sono sgretolati nel giro di pochissime settimane.
un’altalena, lo descriverei: i miei 20 anni, il mio nuovo lavoro, i 30L all’università.
e poi fine gennaio, fine gennaio ho perso mia nonna, la mia pazza nonna: non me l’hanno fatta vedere, non ce l’hanno fatta vedere.
l’abbiamo salutata un po’ così, con un misero funerale e siamo tornati alle nostre vite, portando sul petto il peso di non averle mai detto addio.
febbraio è volato come non mai, si è mangiato tutti i giorni come il tumore che cresceva nei polmoni di mio zio si è iniziato a nutrire del suo corpo.
mio zio, 64 anni, una vita davanti, migliore amico di mio padre, non ricordo un giorno della mia vita in cui lui non c’è stato.
mio zio ci ha lasciati ieri, dopo che il tumore l’ha reso incapace di parlare e riuscire a mangiare.
da questo 2021 ho capito che la vita è fin troppo breve per potersi aggrappare alle sciocchezze, al rancore, alle persone che non ti danno nulla.
ho capito che non serve a nulla accontentarsi, non serve a nulla crucciarsi nel proprio dolore senza reagire.
per quanto possa far male, a tratti lacerante, ho promesso a mio zio che avrei fatto esattamente tutto ciò che volevo dalla e nella mia vita.
basta stronzate, solo cose belle, solo quello che voglio, che piaccia agli altri o meno.
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ma ci pensi mai? ci pensi mai a quando ho incrociato i tuoi occhi,a quando io con te mi sentivo protetta. Quando in un momento buio forse il peggiore,sei riuscito a farmi sorridere. E io e te in quel momento non eravamo nulla se non degli ‘sconosciuti’,ricordi quando mi hai guardato e mi hai detto ‘beh tu sei bella’ io ero spiazzata completamente,perché non sapevo ne cosa dirti ne come reagire. Io e te eravamo così distanti,eri così distante,certo sicuramente eravamo in una situazione molto complicata,certo tu a me non ci avresti mai pensato,e io non avrei pensato a te ma c’ho pensato! Eccome se c’ho pensato,mi ricordo esattamente il colore dei tuoi occhi,mi ricordo le tue mani,mi ricordo la tua risata. Mi ricordo esattamente il tuo sguardo quando mi hai rivisto,avevo un vestito nulla di particolare ma mi ero completamente spogliata pur di farti vedere i miei demoni dietro alle spalle. Mi ricordo quel drink al tramonto in estate,e i tuoi occhi,io che non ti toglievo neanche un attimo lo sguardo da dosso. Io che avevo voglia di abbracciarti,di baciarti ma mi sono tirata indietro sempre per le solite mie paure che fondamentalmente sapevi che ne avevo e anche troppe forse. E poi? poi di solito il mio istinto non sbaglia mai,ed ero stata bene tu mi avevi ascoltata,tu mi avevi tenuta stretta a te. Ci siamo rivisti,sono stata con te tutta la sera e tutta notte,che tornassi indietro pagherei per ritornare,per me quel bacio ha fatto un grande effetto,non chiedermi perché non chiedermi che tipo di sensazione mi ha dato perché non me lo so spiegare neanche io ma ero in braccia sicure,mi sentivo a casa e in quel momento casa non sapevo neanche dov’era,mi sentivo persa,non riuscivo a trovare la strada giusta,ero incasinata ma tu sei riuscito a calmarmi. Per me non è stato sesso,per me è stato amore e non che io fossi innamorata di te ma perché per me era amore,ero protetta,ero in mani sicure e ci sarei stata lì per almeno altre infinite notti. Mi hai baciato mentre stavo per addormentarmi,mi hai toccato nei punti deboli,mi sono spogliata completamente da tutto. ma queste erano le mie sensazioni, e le tue? ma tu mi pensi mai? ti viene mai voglia di rivivere quel momento? ti viene mai voglia di toccarmi? ti viene mai voglia di spogliarmi? ti viene mai voglia di guardarmi di nuovo negli occhi? ti viene ancora voglia di scrivermi? vuoi ripetere? che io mi spoglio di tutto.
(l’ho scritto io per me stessa)
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Sacrifice, Chapter 27
Pairing: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
"Oh ma guarda chi si rivede!"
Appena sentì la voce di Sam, James sorrise andando ad abbracciare sia lui che Steve che erano vicino al cancello principale della scuola.
"Ciao ragazzi mi siete mancati anche voi..."disse lui una volta che si staccò da loro due.
"Dai vieni, così ci racconti cosa succede"disse Sam.
Evidentemente lui non sapeva la questione a fondo ma intuiva che c'era qualcosa che non andava specie riguardo i genitori di James e da bravo amico che si rispetti lo avrebbe aiutato a qualsiasi costo. Proseguirono verso l'entrata della scuola e camminavano tutti e tre insieme, James al centro con Steve e Sam ai suoi lati. Roba da attirare l'attenzione a chiunque ma nessuno dei tre voleva questo. Piuttosto a James serviva qualcuno che lo ascoltasse e chi se non i suoi perfetti migliori amici?
"Quindi quella che lui aveva con sé, non era chi pensavi che fosse?"chiese Steve.
"No..."
"E tua madre come sta?"chiese Sam.
"Dice di stare bene ma per quante volte me l'abbia detto non so se crederle"
"Vedrai che tutto si risolverà..."disse Steve poggiandogli una mano sulla spalla e insieme entrarono nella classe della signora Van Dyne.
James si sedette in mezzo con Sam al suo fianco e con Steve dietro di lui, presero il loro libro e quando la professoressa di storia entrò, dietro di lei entrarono anche Natasha e Wanda con dei sorrisi sulle loro labbra. Anche se la seconda sembrava più terrorizzata che sorridente al massimo. La signora Van Dyne iniziò a fare l'appello e quando finì Wanda iniziò ad alzarsi e James rimase sopreso. Ma era ovvio che lo fosse, non la vedeva da tre giorni ed è stato davvero un duro colpo rivederla. Non che fosse successo qualcosa, almeno non fra loro due. Piuttosto nella testa di James regnava ancora quel sogno strano di questa notte, ma per quanto strano fosse non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine della ragazza che era sopra di lui. Anche se era stato un sogno, poteva sentire perfettamente le mani di lei su tutto il suo corpo e come muoveva i fianchi su di lui.
"Allora ragazzi..."
"Oh, grazie al cielo signora Van Dyne! Se non fosse stato per lei James sarebbe ancora nel mondo dei sogni ad immaginare di fare l'amore con..."disse il suo cervello.
"Oh, perfavore..."gli rispose lui dentro di sé.
"Sai che non mento mai"gli rispose invece il suo subconscio rimanendo zitto per tutto il resto del tempo.
"...non so se ve ne ricordate ma la scorsa settimana avevamo deciso tutti insieme che ognuno di voi avrebbe esposto, come lezione, un argomento di storia. Ed oggi tocca alla signorina Maximoff. Prego Wanda..."
La signora Van Dyne lasciò il posto a Wanda a cui bastò fare un respiro profondo e iniziò a parlare.
"Nel 1941 gli Stati Uniti decisero di restare fuori dal conflitto mondiale che vedeva protagonista l'Europa, scegliendo così l'isolazionismo ma il presidente Roosevelt inviava del materiale militare sia agli inglesi che ai russi. Nell'agosto dello stesso anno in accordo con Churchill firmò la Carta Atlantica una dichiarazione di principio contro il Nazifascismo. Il 7 dicembre 1941 l'aviazione giapponese bombardò la base militare di Pearl Harbor alleata con Hitler..."
James non smetteva di guardarla, non le toglieva gli occhi di dosso un secondo. Era così preso ad osservarla che non sentì Sam chiamarlo al suo fianco.
"Ho una scorta se vuoi..."
"Che cos'hai?"chiese lui non capendo.
"Aspetta ora te li prendo, saranno tutti tuoi..."
James non capiva fin quando Sam tirò fuori una confezione da sei di fazzoletti, piena di motivi molto carini e la maggior parte di questi erano fiori, e li poggiò sul suo banco.
"Cosa vuoi che me ne faccia?"
"Come cosa voglio che ne fai, ti serviranno...non smetti di guardarla"
"Non è vero! Riprenditi i tuoi fazzoletti e poi sono adatti per Rebecca non per me..."
"Vedi, in un modo o nell'altro comunque ti serviranno..."
James li prese e li lanciò addosso a Sam che sorrise mentre Steve li guardava da dietro ridendo con una mano davanti alla bocca. Intanto Wanda continuava a parlare nonostante l'attenzione dei tre fosse un po' scostante, ma mai quella di James.
"Il Giappone credeva di poter creare un'alleanza con l'America in modo da potersi espandere in Cina e nell'Asia Sud Orientale, proprio per questo Roosevelt ruppe l'isolazionismo e dichiarò guerra al Giappone cambiando così l'andamento del conflitto. Fra maggio e giugno del 1942 gli americani sconfissero i giapponesi nelle battaglie navali delle Midway e Guadacanal..."
"Okay, Wanda così può bastare...credo che una A è quello che ti meriti"
"Una A?"chiese lei sottovoce e la signora Van Dyne la rassicurò con un sorriso.
Ritornò al suo posto con un sorriso sulle labbra e con Natasha che sorrideva insieme a lei. James si godette quella scena, fin a quando la lezione di storia non finì e tutti e cinque uscirono fuori.
"Ti sei preoccupata per nulla, visto? Dovresti avere più fiducia in te stessa..."
"Natasha è quasi impossibile farle credere di più in se stessa, ci ho provato ma..."
"James!"disse Wanda entusiasta appena lo vide e si avvicinò di poco per poterlo abbracciare.
James rimase completamente sorpreso da questo gesto e l'unica cosa che fu capace di fare è stata quella di avvolgere le sue braccia attorno alla schiena. Rimasero alcuni minuti così sotto gli occhi curiosi di Sam, Natasha e Steve.
"Oddio, scusa non avrei dovuto..."
"Tranquilla, va tutto bene"
"Allora Wanda, hai pensato di lavorare come guida nei musei? Potresti veramente incartare tutti quanti con la tua voce..."disse Sam e James gli rivolse un'occhiataccia.
"Beh, non è proprio il mio forte...preferisco più i libri"disse lei dando uno sguardo di sfuggita a James.
"Oh, quindi ancora meglio...sappi che a qualcuno qui farà molto piacere ascoltare la tua voce"disse lui con un braccio attorno alle spalle di James.
"Va bene Sam nel caso Wanda ti informerà riguardo il suo lavoro, okay? Per ora noi andiamo nella classe del signor Barton...ci vediamo dopo"disse Natasha trascinando Wanda con sé che non smetteva di guardare James.
"Sei un'idiota"disse Steve che non smetteva di ridere a Sam.
"Quanto hai ragione Steve"disse James rassegnandosi di fronte alle mille prese in giro che gli faceva Sam.
"Non solo Steve ha ragione ma anche io! Non negare che sia così, ti ho guardato tutto il tempo e fin quando non ha smesso di parlare tu non le toglievi gli occhi di dosso...se non ne sei innamorato allora cosa devo pensare?"
James sbuffò mettendosi le mani nei capelli e poi da lì iniziò a nascondere tutto quello che aveva dentro.
"È complicato..."
Durante l'intervallo...
"Io credo che tu gli piaccia, insomma è vero. Non è la prima volta che ti guarda così, ma non ti guarda solo, ti fa sentire bene e questo da quando ti ha cercato dopo quella discussione che hai avuto con Sharon..."
"Può essere"disse Wanda rispondendo alla mega supposizione di Natasha.
Ma in fondo, ovviamente, era vero.
"No, non può essere o è così oppure no"
Stanca delle mille supposizioni e dei mille dubbi che le sarebbero venuti poi, Wanda decise di tirare fuori tutto e non perché si sentiva costretta in quel momento e neanche per zittire Natasha ma perché sapeva che così, in un modo o nell'altro, avrebbe sentito dentro di sé un peso in meno.
"Si, è cosi"
"Che intendi?"
Wanda prese un respiro profondo e decise di affidarsi alla completa fiducia di Natasha.
"Intendo dire che mi piace, che...che mi fa sciogliere il cuore quando si avvicina a me e quando mi guarda con quelle sue pozze blu e..."
"Okay, devo dire che sei innamorata e anche troppo direi!"
"Si, ma è complicato..."
"Hai paura di dichiararti?"
"No, non è questo..."
"E allora cosa?"
Wanda non poteva dirle tutto, non poteva dirle che era complicato per lei stare con James per colpa di un tumore che le stava portando via i migliori anni della sua vita.
Come avrebbe potuto reagire Natasha? Forse bene, perché Wanda era l'unica vera amica che lei aveva avuto e viceversa? Quindi tutto sarebbe andato bene? Oppure male perché non gliel'aveva detto dall'inizio? E poi James? Come avrebbe reagito? Sarebbe stato lo stesso con lei nonostante i mille controlli da fare e le mille paure che le attanagliavano il cuore?
"Se non vuoi dirmelo non fa nulla, okay? Va tutto bene...prenditi il tuo tempo"disse la bionda stringendo la mano di Wanda che come al solito era fredda.
"Intanto potresti fare la stessa cosa..."disse Wanda rivolgendosi a Natasha.
"A che ti riferisci?"
"A Steve, potresti dichiararti tu..."
A quell'affermazione la bionda fece un'espressione spaventata, l'avrebbe fatto si ma forse ci voleva più tempo del previsto però di meno di quello che serviva a Wanda per potersi dichiarare a James. Lei rise all'espressione della bionda e continuarono a rimanere sul quel muretto fin quando non tornarono in classe insieme, una che teneva l'altra e viceversa.
#alternative universe#black widow#brock rumlow#captain america#falcon#james barnes#maria hill#marvel#natasha romanoff#pairing#writing#wanda maximoff#sam wilson#the winter soldier#sharon carter#scarletwitch#stevenat#romanogers#scarlet soldier#winterwitch
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Violentemente
Parole: 1295
No beta, we die like men
Fandom: Sanremo RPF
Ship: Cesarotti
Avvertimenti: ci sono discorsi sullo stare in quarantena se la cosa può rendervi emotivi meglio evitare, è quasi tutto dialogo, Zanotti parla davvero tanto.
Note autore: Ad un certo punto c’è un “a te ti” che è una forma sbagliatissima in italiano ma nel linguaggio colloquiale capita di usarla quindi l’ho messa di proposito... Qualsiasi cosa abbiate pensato a partire dal titolo, vi sbagliate, non fatevi ingannare...
Da Riki: Ehi
Da Eugi: Ehi. Sono le quattro del mattino, tutto okay?
Da Riki: Sì, credo si sì… Posso chiamarti?
In videochiamata intendo…
Non ti forzerei mai a fare una telefonata…
Da Eugi: Sì, sì, okay
«Ehi.» risponde Eugenio in un sussurro assonnato, mentre accende una luce per farsi vedere meglio «Tutto bene?» aggiunge subito mal celando la sua preoccupazione. Riccardo sforza un sorriso «Io… Sì… Solo… Stavo pensando a delle cose e non riuscivo a dormire… Quindi… Non so, speravo fossi ancora sveglio per parlare… Se ti va… Se non stavi dormendo… Se-» Eugenio lo interrompe con una lieve risata «Sì, mi va bene parlare… Stavo finendo un pezzo del montaggio comunque, però qualsiasi sia quello di cui volevi parlare è certamente più importante.» dice con tono sicuro mentre si siede più comodamente per prepararsi ad ascoltarlo. «Io… Non credo sia importante… Non è che stessi pensando a qualcosa di preciso… Solo sensazioni sparse.» spiega Riccardo e sembra confuso dalle sue stesse parole. «Ho visto la tua live.» aggiunge poi quasi di sfuggita ed Eugenio spalanca gli occhi «La mia live ti ha fatto pensare a queste “sensazioni sparse”? So di essere la tua musa, ma fino a questo punto…» scherza riuscendo a far sorridere Riccardo «No… Ovviamente non sei nemmeno la mia musa… La mia musa è Paolo Di Gioia, scherzi? A te ti sopporto soltanto…» ribatte Riccardo con un sorriso furbetto ed Eugenio si rilassa un attimo. Questo è più il solito Riccardo. «Ah se la tua musa è Paolo allora puoi chiamare lui alle quattro del mattino… A cosa ti servo io?» risponde Eugenio con un sorriso. «Beh, tu servi per i benefici ovviamente…» ridono entrambi prima che Eugenio torni subito serio per chiedere «Allora vuoi parlarmi di queste cose che ti sei messo a pensare invece di dormire?»
Riccardo abbassa lo sguardo. È strano che mostri segni di imbarazzo in una situazione simile, senza neanche essere veramente faccia a faccia «Io stavo pensando a te.» comincia e subito deve fare una pausa per respirare. Eugenio vorrebbe fare una battuta, scherzarci su, ma non si aspettava un’apertura diretta del discorso. Riccardo ricomincia a parlare, prima lentamente e poi sempre più veloce come se temesse di non avere il tempo di dire tutto quello che pensa «Stavo pensando a te. Perché ho visto la tua live e… Sarà perché sono solo qui in casa, ma un po’ mi sono sentito come se fossi stato lì ed ho cantato con te… Per un attimo ho davvero pensato che tu potessi sentirmi, che ovviamente è stupido però… Lo schermo è diventato una finestra accanto alla tua e poi ti ho visto sorridere ed ho sorriso anche io… È stato… Strano… Ma bello. Ho pensato: com’è possibile che mi senta così vicino da poterlo toccare anche se so perfettamente che al massimo potrei far scivolare le dita sullo schermo del telefono? Perché ci insegnano che il contatto è impossibile a distanza, ma è davvero così? So che gli esseri umani hanno bisogno della presenza fisica dei loro simili per poter sopravvivere e non contesto assolutamente questa cosa, ma una volta garantito quel minimo necessario per non impazzire… Puoi sentirti vicino a qualcuno senza esserlo veramente? Ovviamente deve essere qualcuno che almeno un po’ conosci… Io so la sensazione che lascia la tua pelle al tatto e se chiudo gli occhi posso quasi sentirla, ma solo quasi… Riesco a riprodurre l’idea, ma non riesco ad ingannare il mio cervello a pensare che io ti stia veramente toccando perché è una cosa che non si può fingere… Però il mio cervello è riuscito ad auto-ingannarsi a pensare, anche solo per pochi istanti, che io stessi cantando con te… Contro ogni logica possibile!» Riccardo finalmente si ferma per un attimo ed Eugenio lo guarda confuso, prova a parlare anche se non sa cosa dire, ma subito lui riprende con la voce che trema leggermente.
«È possibile che mi manchi tanto? Non è passato molto tempo, anzi ci sono stati periodi in cui non ci siamo visti per molto più tempo, ma… Immagino che sia diverso perché non possiamo proprio uscire… Abbiamo contatti limitati con chiunque… Quindi mi rendo conto di più della tua assenza… E mi voglio illudere che tu mi possa sentire dalla tua finestra mentre canto con te… Però il pensiero che ho di te non è fisso… Arriva ad ondate, cresce e si ritira lasciando qualche strascico che si unisce alla piena successiva… Ti ho visto ridere e la tua risata mi ha fatto stare bene, ma mi ha anche dato la sensazione di essere trafitto dal suo suono… Abbiamo parlato in questi giorni e la tua voce mi sembra il suono più dolce e la canzone più triste… E quando canti… Quando canti potrei smettere di respirare e i polmoni che scoppiano mi sembrerebbero un sollievo, però il tuo canto è anche… Anche come l’acqua… Quando bevi e riesci a sentire la sensazione di fresco e… Quando nuoti e poi ti metti a fare il morto e la senti che ti accarezza il corpo… E… E mi manchi.» Tutta la foga del discorso di Riccardo sembra sparire via di colpo. Eugenio è scosso, ma colpito. È rimasto ad ascoltare in completo silenzio, rapito dal discorso, dalle parole, dalla voce di Riccardo. Non sa esattamente come rispondere o come reagire «Riccardo…» comincia dolcemente come se stesse approcciando un animale ferito «È una situazione complicata, ma non è permanente… So che è difficile, lo è anche per me, ma bisogna avere pazienza e farsi forza. Pensa a quanto stiamo riuscendo a fare con qualche live e due canzoni cantate alla finestra… Stiamo riuscendo a farci compagnia e darci coraggio a distan-» Riccardo lo interrompe «Pensavo anche io che il mio problema fosse la quarantena, ma no… Sei tu.» dice con calma ed Eugenio sembra immediatamente più preoccupato, confuso da quali dovrebbero essere esattamente le implicazioni di quella affermazione.
«Sei tu perché mi sono reso conto che queste sensazioni le avevo già prima… Momenti in cui avrei voluto stringerti fino a spezzarmi le ossa, morderti fino a farmi male o baciarti fino a soffocare. Momenti in cui era doloroso starti vicino perché era troppo e non abbastanza allo stesso tempo e… Non è una cosa negativa, è perché provo dei sentimenti così forti e basta che tu faccia così poco perché io mi senta esplodere. Sono così… Così… Violentemente innamorato di te.» Riccardo sembra perdere il fiato e si ferma a riflettere su quello che ha appena detto. Probabilmente se non fosse così assonnato e non fosse così tardi, si sentirebbe imbarazzato. «Oh, ti odio.» si lascia sfuggire Eugenio ed improvvisamente il sonno non ha più importanza per Riccardo che, preso dal panico, si sento molto sveglio «Come?» chiede sperando di aver sentito male. Eugenio ridacchia, rilassato, contento, sereno «Ti odio.» ripete «Io sono qui, con il cervello in pappa per tutte queste ore passate a montare il video e tu sei qui a farmi questi discorsi quando io a malapena mi ricordo come mi chiamo e quando sai benissimo che non posso ricoprirti di baci… Sembra che lo fai apposta, ti odio.» spiega continuando a sorridere. Riccardo sente la tensione sciogliersi e sorride anche lui «Beh, come dice Conte “ci abbracceremo più forte domani”, quindi potrai fare di me quello che vuoi quando ci rivedremo, caro Eugenio Cesaro.» scherza Riccardo come se niente fosse «Adesso non mi dirai che fai parte delle bimbe di Conte? Potrei diventare geloso…» commenta Eugenio alzando un sopracciglio «No, no… Conte è un gran bell’uomo, ma io ho occhi solo per Paolo di Gioia.» ribatte Riccardo con tranquillità ed uno dei suoi soliti sorrisi furbetti. Eugenio afferra un cuscino e finge di lanciarlo nella sua direzione, quasi colpendo il telefono.
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Horror Night Halloween
NIGHTMARE – 1
Luogo: Tetto
Qualche giorno dopo
Tsukasa: ...E quindi questa è la situazione finora, o meglio, le sue premesse. Hai qualche domanda, Leader?
Leo: ~♪~♪~♪
Tsukasa: Ah, sì. Non stavi ascoltando perché eri intento a comporre, ma certo. Ho sprecato il mio tempo.
Leader tende a perdere il telefono, ma non volevo che restasse indietro...
...Perciò ogni tanto vengo qui a raccontare le cose, e invece-
Leo: ~...♪
Tsukasa: (sottovoce) ...sceemo, sceeemo. Maniaco della musica. Bimbo di letteralmente tre anni.
Leo: Che hai detto?! Non posso lasciare correre! Se mi chiami scemo sei scemo tu, chi lo dice lo è!
E se mi chiami psicopatico, sei psicopatico tu!
Perché non ti fermi neanche a pensare che magari mi ferisci...!
Tsukasa: Di cosa stai parlando? Ma allora mi stai ascoltando, Leader. Se è così, apprezzerei almeno una risposta.
Ogni volta che provo a parlare con te, mi sembra sempre di parlare da solo!
Leo: Fufu. Però non sei il tipo che si fa fermare da questo, no?
Per dirlo in modo carino, sei egocentrico! Per dirlo in modo cattivo, non sai capire l'antifona...!
Tsukasa: E quale sarebbe il problema, esattamente?
Leo: Wahaha. Ti stavo facendo un complimento, Novellino. È proprio perché sei un marmocchio fastidioso e che non sa nulla, che sei riuscito a toccare finalmente il mio cuore.
Tsukasa: Davvero, di cosa stai parlando...? E a proposito, potresti chiamarmi con il mio nome, invece che “tu” o “Novellino”?
Ormai lo devi avere imparato, no? Se te lo sei dimenticato per davvero, allora penserò sul serio che tu sia un idiota, sai?
Leo: Ngh... Ma ormai sarebbe imbarazzante.
Tsukasa: Che cosa vorrebbe dire...? Sinceramente, sei davvero una persona incomprensibile.
Leo: Me lo dicono spesso. Comunque... per la mia routine ho finito, e la mia canzone sta uscendo bene, perciò adesso hai la mia attenzione.
Wahaha. Vi siete cacciati in un altro casino, huh?
Tsukasa: Parli come se il problema non ti riguardasse... Ma allora, posso immaginare che stessi ascoltando quello che dicevo?
Leo: Be', circa. Hai una voce proprio bella, sai. Riesco a comporre davvero bene quando la ascolto ♪
Tsukasa: Huh... Ultimamente mi stai facendo tanti complimenti... vero, Leader?
Leo: Che? Preferisci quando ti insulto allora? Sono sempre stato abbastanza severo con te, perciò ho pensato che forse avrei dovuto provare a farti più complimenti, ma...?
Che fatica... Sei proprio difficile, lo sai!
Tsukasa: Non quanto lo sei tu, Leader.
A parte questo, se stavi ascoltando, allora non c'è bisogno che io mi dilunghi oltre. Perciò, sapendo questo... Leader, ci potresti aiutare coi preparativi per Halloween Party?
Leo: Huh, che cos'è? Ahh, volevi dire Halloween Party! A volte la tua pronuncia è così buona, che poi non si capisce!
Un po' come quando uno ha una calligrafia talmente elegante, che poi è difficile da leggere!
Wahaha! Che cosa buffa! Ahh, è arrivata, è arrivata, l'ispirazione... ☆
Scriverò una canzone su di una principessa talmente bella, che nessuno avrebbe potuto amarla- come un fiore su di una cima lontana!
Tsukasa: Per favore non ricominciare a comporre. Su, ora confischerò i tuoi fogli.
Leo: Wah, che credi di fare?! Bambino demone! Saccheggiatore a sangue freddo privo di pietà!
Oddio, se pensi alle loro origini, i cavalieri all'inizio erano quasi quello- ma non è di questo che voglio parlare ora!
Tsukasa: Certo. ….Umm, fino a dove avevo spiegato?
Leo: Hm. Allora, questi tizi che si chiamano Trickstar o quello che è si sono creduti chissà chi e hanno sparlato di noi nell'intervista di un magazine, no?
E allora voi vi siete incavolati e siete andati tutti insieme a menarli?
Tsukasa: Non li abbiamo menati, siamo semplicemente andati a sollevare le nostre giuste obiezioni.
Leo: Giusto giusto. I Knights sono proprio cambiati, eh. Un tempo, saremmo andati da questi Trickstar e li avremmo distrutti.
Quindi siete andati a mostrare la vostra comprensione, avete trovato un compromesso, detto qualcosa tipo “state attenti la prossima volta, okay?” e li avete assolti dai loro crimini? Ma che bambini bravi che siete! Wahaha ☆
Tsukasa: ...Peggiorare la situazione non avrebbe portato alcun beneficio. In ogni caso, è quello che Sena-senpai e gli altri hanno pensato fosse la soluzione migliore. Comunque, a livello emotivo continuo a trovarlo difficile da accettare.
In realtà, alla fine non è stato risolto nulla. Anche adesso, quell'articolo sta gettando un'ombra sul nostro cammino, Leader.
Leo: Davvero? Vuoi dire che quei Trickstar non hanno fatto nessuna dichiarazione?
Tsukasa: No, l'hanno fatta. Per quanto arroganti possano sembrare, sono sorprendentemente onesti.
Anche dopo aver fatto delle scuse pubbliche, sono stati... molto insistenti per aiutarci in qualunque modo.
E dubito anche che abbiano tanto tempo libero per permetterselo.
Leo: Ohh, sono dei bravi ragazzi! Mi piacciono!
Avevo sentito che si scontravano sempre con voi, perciò pensavo che fossero solo un branco di schifosi talmente pessimi da dare la nausea!
Ma ora capisco, mentre io non ero qui... sembra che anche i Knights abbiano fatto cose che li hanno allontanati dalla retta via.
L'altro giorno mi sono fatto raccontare tutto da Naru e Rittsu, in segreto.
Se quello che mi hanno detto è vero, siamo noi i cattivi, huh. E se i Trickstar sono i nostri arcinemici, allora loro sono i buoni.
Tsukasa: Mm... Non possiamo essere divisi in buoni e cattivi in modo così semplice.
Leo: Perché non fare le cose semplici? Che scocciatura...
Se siamo noi quelli pessimi, sarebbe divertente metterci contro di loro, sai~ In effetti, mi sono divertito così tanto a essere nei Knights Killers! Oh sì voglio rifarlo ♪
Tsukasa: Se mai scatenassi di nuovo una tale pazzia, perderò davvero ogni pazienza con te... Ma a parte quello, torniamo al discorso.
Forse lo ha sentito dire da Ritsu-senpai, con cui frequenta lo stesso club, o forse ha deciso di intervenire dopo aver scoperto la situazione, ma... Tenshouin Oniisama ha già preso le dovute misure per limitare i danni.
Leo: ...Tenshouin Oniisama?!
Tsukasa: ? Leader, lo conosci?
Ah, ora che ci penso, lo avevi invitato ad esibirsi in quell'irritante unit dei Knights Killers, vero?
Leo: Be', un tempo eravamo amici... Ma se ci ha messo mano lui, allora tutto sarà a posto. Allora è stato tutto risolto, no? Perciò qual è il problema?
Tsukasa: Be', più precisamente, sembra che sia ancora... in fase di risoluzione.
È difficile da spiegare, perciò vorrei che ora venissi con me, se ti è possibile.
Un'immagine vale più di mille parole. Penso che capirai subito in che situazione fastidiosa siamo stati infilati.
Leo: Mm~ No, passo. Sembra abbastanza interessante, ma se dobbiamo stare con quei tizi Trickstar, allora non voglio esserci.
Tsukasa: (Hm? Che reazione inaspettata. Pensavo che, tra tutti, Leader sarebbe stato il tipo da cogliere al volo l'occasione, una volta interessato.)
Leo: Andrò se mi verrà voglia... O meglio, se sarà assolutamente necessario che io intervenga e dica qualcosa, verrò a raggiungervi di corsa.
Mi dispiace davvero, ma lasciamene fuori, solo per questa volta.
Tsukasa: Di sicuro intendi più di una volta. Ti prego di prendere questa faccenda più seriamente.
...O nei Trickstar c'è qualcuno che non vuoi vedere?
Leo: Sì. Nei Trickstar c'è un ragazzo chiamato “Yuu-kun”, vero?
Se lo vedessi non so come potrei reagire, perciò voglio restarne fuori.
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Un altro giorno, ma non domani
Quando ti vidi così indifferente, pensai subito che ci fosse qualcosa di strano. Tu, che hai sempre portato il sole in cielo con un sorriso, che non ti si è mai vista con quella mezzaluna capovolta, avevi la bocca dritta e chiusa. Non capii subito, non ebbi nemmeno alcun sospetto lì per lì. Inutile chiederti come stessi, però. Era piuttosto ovvio che avresti mentito. “Niente, tutto normale” - dicesti. Iniziai a dirmi che se avessi scavato troppo a fondo avrei potuto trovare uno scheletro che non cercavo, ma dovetti lottare con me stesso per trattenermi dall’investigare. “Presto tutto si risolverà” fu una conferma che qualcosa ci fosse. E la certezza non fu un sollievo, anzi: in quel momento la paura di aver sbagliato o di poter sbagliare divenne una presenza costante in ogni mio gesto. Mi preparai a tutte le eventualità, per reagire con coraggio, con rispetto, con giustezza, con orgoglio. Giorno dopo giorno i miei discorsi prendevano forma, diventando quasi battute di un attore, da anticipare alle parole che pensavo mi avresti detto. Non pensai mai che avresti potuto sorprendermi, spiazzarmi. Le avevo immaginate tutte, valutate per filo e per segno. A quel punto non avevo più cognizione di chi fosse dalla parte del torto. L’istinto di autodifesa prese il sopravvento e a mia volta diventai freddo, distaccato. Tu, dal tuo canto, non cambiasti atteggiamento. Nemmeno mi accorgevo più del passare del tempo: due settimane volarono tra la nostra grigia routine. Ci fu un giorno in cui decisi di porre fine a questo dramma piatto e ti chiesi di parlarmi dritto in viso, di dirmi faccia a faccia né più né meno di ciò che sentivi - perché entrambi sapevamo che avrei capito qualsiasi tipo di menzogna. Avrei pensato dopo alle conseguenze, c’erano delle priorità. Sono sempre stato convinto di averti in pugno, o meglio di capire ogni tuo pensiero prima ancora che lo esprimessi. E invece mi spiazzasti. “Non domani. Un altro giorno, ma non domani”. Perché no? Avevi bisogno di tempo, altro tempo? Dovevi fare quello che io ho fatto dal primo momento: prepararti? Dovevi cercare le tue certezza prima di risolvere i miei dubbi? Non potrai mai capire il dolore che provai nel sentirti dire che tutto quello che avevi fatto fino a quel momento, che l’indifferenza dietro cui celavi con difficoltà il vero motivo di comportamenti così assurdi era per nascondere il mio regalo. Mi pesa ancora come mi hai detto buon compleanno.
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In catene
Non mi sono mai sentita così annullata, abbattuta, sovrastata dalla persona che dice di amarmi. Sono una testarda del cazzo, sapevo dall'inizio he non era cosa da mandare avanti, ma sembrava tanto innamorato da viverci insieme. Non ho più un fottuto amico, non conosco più la mia famiglia e questa casa é la mia prigione. Non avrei mai e poi mai pensato di cadere così giù, di non riuscire più a reagire neanche sentendomi dire che sono una steonza, puttana, che l'ho tradito quando non ho neanche avuto il pensiero lontano di guardare altri uomini. Ho letteralmente buttato via i miei 20 anni, doveva essere l'anno della mia rivoluzione e della mia maturazione ma sono solo riuscita a farmi venire altri complessi e basta. Non sono più quella sicura di una volta. Non sai quanto vorrei dire di no e quanto glielo ho detto ma sembra proprio che o affondo solo io o mi trascinerà con lui. Non lasciare che la persona che ti sta affianco ti manchi di rispetto anche solo una volta, se ha delle idee per te troppo bigotte non perdere tempo a fargli cambiare idea erche non accadrà mai. E ricordati cara mia di tutte quelle volte che ti ha delusa, insultata, che urlava, che una discussione non riesce ad affrontarla senza rompere qualcosa, che ha messo in crisi te e chi ti sta affianco. Sono stanca stanca stanca.
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The one where they come out
"Sono ancora convinto che non sia una buona idea."
Ermal, seduto accanto a Fabrizio, sbuffò e appoggiò la testa al finestrino. "Eppure stai guidando verso Bari. Chissà come mai."
"Lo sto facendo perché me l'hai chiesto. Il fatto che abbia deciso di farti un favore, non vuol dire che io sia d'accordo" rispose Fabrizio mantenendo lo sguardo fisso sulla strada.
Ermal si voltò verso di lui.
Era teso, lo vedeva dall'espressione sul suo viso.
"Perché pensi che non sia una buona idea?" chiese.
Fabrizio aveva continuato a ripeterglielo da quando Ermal gli aveva chiesto di andare a Bari con lui per qualche giorno, approfittando della presenza di tutta la famiglia, per passare un po' di tempo tutti insieme. E per rivelare a tutti che Fabrizio non era solo un amico.
"Perché credo che sia meglio che tu faccia questa cosa da solo."
"Non posso farlo da solo, Bizio."
Fabrizio sospirò. "Ermal, è la tua famiglia. Io sono di troppo."
Ermal appoggiò una mano su quella di Fabrizio - appoggiata sul cambio - e disse: "Anche tu sei la mia famiglia."
Fabrizio sorrise rivolgendo per un breve attimo lo sguardo verso di lui. Poi tornò a guardare la strada e disse: "Per la tua famiglia, sarà una novità enorme. Dico solo che forse reagirebbero meglio se io non fossi presente. Si sentirebbero più liberi di farti domande, di capire la situazione."
"Io ti amo e tu ami me. Che altro c'è da capire?"
Già, che altro c'era da capire?
In realtà niente, ma Fabrizio c'era già passato e sapeva che ci sarebbero state domande e che magari non tutti avrebbero capito subito la situazione. E soprattutto, che una situazione del genere era troppo intima per essere affrontata in coppia.
***
Era successo un pomeriggio di febbraio, appena dopo il Festival di Sanremo.
Fabrizio era tornato a casa felice come non mai. Troppo felice, per essere uno che nemmeno aveva partecipato al Festival.
La prima ad accorgersene era stata Giada ma, almeno all'inizio, aveva attribuito quella felicità al fatto che Fabrizio fosse entusiasta di aver cantato con Niccolò alla serata dei duetti. Poi però i giorni erano passati e la felicità di Fabrizio invece no, così Giada aveva iniziato a farsi qualche domanda.
A Fabrizio però, non aveva detto nulla.
Qualche giorno più tardi - in un pomeriggio di febbraio, appunto - Fabrizio era andato a trovare i suoi genitori e a quel punto anche loro avevano notato quanto fosse allegro e quanto i suoi occhi si fossero illuminati quando gli avevano chiesto come fosse andata l'esperienza a Sanremo.
Fabrizio aveva esitato un attimo prima di rispondere, come se ci fosse qualcosa di cui avrebbe voluto parlare ma si sentisse bloccato.
"C'è qualcosa che vuoi raccontarmi?" chiese sua madre a un certo punto, quando ormai erano rimasti soli.
Fabrizio sospirò. "Vorrei. Ma non so come potresti reagire."
"Alla tua età ti preoccupi ancora di cosa penso?"
Fabrizio sorrise. In effetti, non si era mai preoccupato molto del parere degli altri e nella sua vita aveva fatto cose ben peggiori che innamorarsi di un uomo.
"Fabrizio, che succede?"
Fabrizio sollevò lo sguardo e in un attimo trovò il coraggio di dire tutto. Sua madre lo stava guardando in quel modo tipico delle mamme, come se qualsiasi cosa facesse il proprio figlio non fosse mai così grave da farle smettere di amarlo.
"A Sanremo è andata bene soprattutto perché c'era anche una persona con cui mi frequento da un po'. Purtroppo non riusciamo a vederci spesso, quindi sono stato felice di passare un paio di giorni in sua compagnia" disse Fabrizio senza sbilanciarsi troppo.
"E chi è?" chiese sua madre curiosa.
"Ermal."
Sua madre lo guardò stupita per un attimo. "Ermal?"
Fabrizio annuì con un cenno, poi disse: "Stiamo insieme da qualche mese ormai."
"Beh, mi sembra un bravo ragazzo" disse sua madre. Il tono era piatto, quasi privo di emozioni.
"Tutto qui?"
"Che devo dirti? Che mi spiace che frequenti qualcuno da mesi e me l'hai detto solo ora?! Fabrizio, che pensavi? Che avrei reagito male?"
"Non lo so che pensavo. Forse avevo solo paura che se te lo avessi detto, poi tu lo avresti detto a papà. E ci ho messo anni per recuperare un rapporto con lui, non voglio che si rovini ora" disse Fabrizio, sentendosi quasi ridicolo per mostrarsi così debole davanti a sua madre.
"Tuo padre ti vuole bene e, esattamente come me, vuole solo che tu sia felice. E non gli dirò niente di questa cosa, ma tu invece dovresti farlo."
A quella frase, Fabrizio ci aveva pensato ininterrottamente per una settimana e alla fine era arrivato alla conclusione che sua madre aveva ragione.
Aveva sempre avuto un rapporto difficile con suo padre e solo dopo la nascita di Libero le cose tra loro erano migliorate, quindi il timore di rovinare ciò che erano riusciti a costruire era sempre lì, in agguato.
Ma d'altra parte, sapeva che suo padre avrebbe solo voluto la sua felicità e in quel momento - e Fabrizio sperava anche per gli anni a venire - la sua felicità era Ermal.
Così, dopo una settimana di elucubrazioni mentali che lo avevano portato quasi sull'orlo di una crisi di nervi, aveva preso la sua decisione. Avrebbe parlato di Ermal alla sua famiglia.
L'occasione giusta arrivò una domenica pomeriggio.
Fabrizio era andato a pranzo dai suoi genitori insieme a Libero e Anita. Appena finito di mangiare, mentre erano ancora tutti seduti a tavola, Fabrizio si schiarì la voce e disse: "Dovrei parlavi di una cosa."
Sua madre sorrise, consapevole di ciò che il figlio avrebbe detto da lì a poco, mentre suo padre e i suoi figli lo guardavano curioso.
Si era preparato un discorso - anche grazie all'aiuto di Giada, che aveva cercato di consigliargli le parole migliori per spiegare ai loro figli quella situazione - eppure in quel momento gli sembrò di non ricordare più nulla.
"Che c'è, papà? Stai male?" chiese Anita preoccupata, allungando una mano verso suo padre nel tentativo di toccarlo.
Fabrizio sorrise. "No, amore, sto bene. Molto bene, in realtà."
Poi si voltò verso suo padre, rivolgendogli la sua completa attenzione. Anche se il discorso era rivolto anche ai suoi figli, gli sembrava più semplice parlare direttamente con suo padre che con due bambini.
"Sto frequentando una persona."
"Che vuol dire?" chiese Anita curiosa, inclinando la testa di lato.
"Vuol dire che ha una fidanzata" mormorò Libero, rispondendo alla sorella.
Fabrizio sospirò, cercando di raccogliere il coraggio necessario a continuare il discorso, poi disse: "Un fidanzato, in realtà."
Anita aggrottò la fronte, come se non riuscisse a capire la differenza, mentre Libero rimase a fissarlo senza dire niente.
Suo padre, d'altro canto, si irrigidì contro lo schienale della sedia. Non sembrava stupito, forse solo un po' contrariato.
"Chi è? Lo conosciamo?" chiese Libero dopo qualche secondo.
Fabrizio annuì. "Sì, è Ermal."
Anita sorrise e disse: "Ermal mi sta simpatico."
"Quindi sei contenta se stiamo insieme?" chiese Fabrizio, scompigliandole affettuosamente i capelli.
La bambina annuì con un cenno e Fabrizio sorrise, felice dell'approvazione di sua figlia.
Poi guardo Libero e chiese: "E tu, Lì? Che ne pensi?"
"Anche a me sta simpatico" rispose il bambino accennando un sorriso.
Fabrizio sospirò di sollievo, rendendosi conto solo in quel momento che in realtà il giudizio di cui aveva sempre avuto paura era quello dei suoi figli, non di suo padre.
Suo padre che, oltretutto, non aveva ancora detto una parola.
"Papà?" lo chiamò Fabrizio. Voleva comunque sapere cosa pensava, anche se ormai era certo di aver affrontato lo scoglio più grande.
L'uomo si alzò e afferrò il pacchetto di sigarette appoggiato sul ripiano della cucina. Poi lanciò un'occhiata a Fabrizio e disse: "Ne vuoi una?"
Fabrizio annuì, capendo che quella della sigaretta non era altro che una scusa per affrontare il discorso da soli.
Uscirono in balcone, sentendo improvvisamente il freddo di febbraio entrargli nelle ossa. Ma in quel momento Fabrizio aveva altri pensieri e il freddo non sembrava preoccuparlo.
Suo padre si accese una sigaretta, poi porse il pacchetto al figlio. Aspettò che anche Fabrizio avesse acceso la sua, e poi disse: "Lo sapevo già."
"Te l'ha detto mamma?" chiese Fabrizio.
Suo padre scosse la testa. "No. L'avevo capito da solo."
Fabrizio lo guardò stupito e suo padre si fece sfuggire una risata notando la sua espressione.
"Ti conosco meglio di quanto credi, Fabrizio. Magari a volte sembra che non sto attento alle cose che fai, ma in realtà non è così. Faccio attenzione a tutto, semplicemente poi non ne parlo. Il tuo modo di sorridere cambia quando c'è Ermal, l'ho notato fin da subito. E tu sei più felice quando passi del tempo con lui. Basta guardarvi per capirlo."
"Perché non me l'hai mai detto?" chiese Fabrizio.
"Perché volevo che lo facessi tu."
Fabrizio era rimasto in silenzio mentre finiva la sua sigaretta, riflettendo sulle parole di suo padre. Era stato preoccupato per la sua reazione, quando in realtà lui aveva capito tutto molto prima di chiunque altro.
"Com'è iniziata?" chiese suo padre a un certo punto.
E a quella domanda ne seguirono molte altre.
Suo padre sembrava essere interessato a ogni aspetto di quella storia: com'era iniziata, chi tra i due aveva fatto il primo passo, cos'aveva Ermal di così speciale da fare innamorare suo figlio...
E Fabrizio fu felice di rispondere a ognuna di quelle domande e di raccontare a suo padre quel pezzo della sua vita che, fino a quel momento, aveva sempre tenuto nascosto.
***
"Bizio?"
"Eh?"
"Ti eri incantato, non rispondevi più."
Fabrizio sospirò guardando per un secondo lo specchietto retrovisore e poi mise la freccia verso destra, entrando nel parcheggio dell'area di servizio.
Parcheggiò in uno dei pochi posti liberi e spese il motore, poi si voltò verso Ermal e disse: "Mio padre mi ha fatto un sacco di domande, quando gli ho parlato di noi. Ho risposto a ogni cosa senza problemi, anzi ero felice che lui mi facesse domande sulla mia vita. Ma non sono sicuro che, se tu fossi stato con me, avrei reagito allo stesso modo."
"Che vuoi dire?"
"Mi sono sentito libero di parlare di ogni cosa, di come mi sono innamorato di te, di come mi fai sentire... Se tu fossi stato presente, forse mio padre non mi avrebbe fatto tutte quelle domande e forse io non mi sarei sentito così libero di raccontargli tutto" disse Fabrizio. Poi afferrò la mano di Ermal e aggiunse: "Io sono con te, sempre e comunque. Però continuo a pensare che dovresti affrontare questo discorso con la tua famiglia in un momento in cui io non sarò presente. Per loro potrebbe essere già abbastanza difficile accettare la situazione, immagina se dovessero farlo mentre io sto lì davanti a loro. Si sentirebbero giudicati, messi sotto pressione, come se io fossi attento a ogni loro reazione. E sarà così, perché non posso evitare di stare attento a come reagiranno. Fidati, Ermal, è meglio per tutti se questo discorso lo affronti senza di me."
Ermal non rispose.
In fondo, sapeva che Fabrizio aveva ragione e sapeva che sarebbe stato meglio parlare con la sua famiglia in un altro momento. Eppure, da solo non era certo di farcela.
Era stata una novità enorme per lui. Quando si era accorto di essersi innamorato di Fabrizio, si era sentito prima di tutto spaventato.
Non aveva idea di come gestire la cosa, di come fosse anche solo possibile che si fosse innamorato di un uomo. Aveva impiegato mesi ad accettarlo - nonostante non avesse problemi a farsi baciare ogni volta che c'era l'occasione - e, quando Fabrizio gli aveva chiesto di stare insieme davvero, aveva impiegato altrettanto ad abituarsi all'idea di loro due insieme.
Era stato difficile per lui, poteva solo immaginare come sarebbe stato per la sua famiglia.
In teoria non doveva essere così difficile accettare quella situazione. Si era semplicemente innamorato, cosa c'era di così difficile? Ma la pratica è qualcosa di diverso, nella realtà le cose sono diverse.
Razionalmente era consapevole che sarebbe stato meglio affrontare il discorso in un altro momento, mentre Fabrizio non era con lui. Ma una parte di lui era convinta che, senza Fabrizio al suo fianco, non sarebbe riuscito nemmeno ad iniziare il discorso.
"Lo so, Bizio. Hai ragione. Ma ho comunque bisogno che tu sia lì."
Fabrizio annuì e gli strinse la mano.
Continuava a pensare che non fosse una buona idea, ma di certo non lo avrebbe lasciato solo.
Prima di quel giorno, Fabrizio non era mai stato a casa della famiglia di Ermal.
Anzi, in realtà a parte Rinald - che aveva avuto modo di incontrare piuttosto spesso - non conosceva nessun altro membro della famiglia.
Certo, aveva incontrato la madre di Ermal l'anno precedente al Festival di Sanremo, ma non si erano praticamente rivolti parola se non un breve saluto.
Quel giorno invece, nella casa in cui Ermal era cresciuto, era presente tutta la famiglia, compresa la sorella di Ermal con il marito e la figlia.
Fabrizio - il quale si sentiva intimorito già solo dal fatto di essere nella casa in cui Ermal era cresciuto, circondato dalle sue cose e da pezzi della sua vita che lui non conosceva - aveva cercato di apparire tranquillo, ma a giudicare dallo sguardo che la madre di Ermal continuava a rivolgergli non credeva di esserci riuscito.
Effettivamente, il semplice fatto che Ermal avesse deciso di portare con lui un amico a un pranzo di famiglia il giorno della festa della mamma, appariva abbastanza sospetto ed era più che normale che la sua famiglia si stesse ponendo delle domande.
L'unico che sembrava tranquillo era Rinald. Scontato, visto che era anche l'unico ad essere a conoscenza della verità.
Ermal glielo aveva detto un paio di mesi prima quando, dopo un litigio con Fabrizio, aveva sentito il bisogno di sfogarsi con qualcuno. Rinald era lì per lui, come sempre, ed Ermal si era fatto coraggio e gli aveva confessato tutto.
Rinald, d'altra parte, aveva sempre sospettato che tra suo fratello e Fabrizio ci fosse qualcosa di più profondo di una semplice amicizia, ma aveva ascoltato Ermal in silenzio, promettendogli di non parlarne con nessuno fino a quando non fosse stato lui stesso a decidere di farlo.
E quel momento, alla fine, era arrivato.
Per tutto il pranzo, l'atmosfera era stata leggera.
Sabina si era congratulata con Fabrizio per il nuovo album, dicendo di averlo comprato senza esitazione perché Ermal le aveva assicurato che le sarebbe piaciuto e in effetti era stato così. Fabrizio l'aveva ringraziata, seppur leggermente imbarazzato.
Mira gli aveva chiesto come stessero i suoi figli e Rinald aveva cercato di alleggerire le conversazioni riportando a galla aneddoti divertenti risalenti alle volte in cui aveva avuto modo di vedere Fabrizio.
Solo verso la fine del pranzo la tensione iniziò a farsi a sentire.
Ermal stava giocando con la sua nipotina, tenendola seduta sulle sue ginocchia e facendole il solletico sulla pancia, quando Sabina disse: "Ermal, smettila di farla agitare così."
"Non sto facendo niente" rispose lui, quasi senza degnare sua sorella di uno sguardo.
"Quando tu avrai dei figli e io sarò la zia che li fa agitare e loro non dormiranno per colpa mia, poi ne riparleremo" rispose Sabina.
Ermal si bloccò all'istante, consapevole che quella visione del futuro che Sabina aveva appena espresso non si sarebbe mai avverata.
Lui amava Fabrizio, contava di passare con lui il resto della vita e questo voleva dire che non avrebbe avuto figli.
Si voltò lentamente verso Fabrizio, il quale lo stava fissando in attesa di una sua reazione, poi sospirò e disse: "Devo parlarvi di una cosa."
Tutti gli sguardi furono subito puntati su di lui, escluso quello di Fabrizio che, consapevole di ciò che Ermal stava per dire e ancora convinto che non fosse una buona idea che lo facesse in sua presenza, aveva convinto la nipotina del suo fidanzato ad andare a guardare la televisione con lui in salotto.
Appena Fabrizio e la bimba uscirono dalla cucina, Ermal sospirò mentre sua madre preoccupata disse: "Che succede?"
Ermal lanciò un'occhiata a Rinald, l'unico seduto a quel tavolo che non sarebbe rimasto stupito dalla notizia che stava per dare, e suo fratello gli sorrise incoraggiandolo.
"Si tratta di Fabrizio. Cioè, di me e Fabrizio" disse Ermal.
Sabina lanciò un'occhiata stupita a suo marito, non capendo cosa stesse succedendo, e poi tornò a fissare suo fratello.
Lo sguardo di Ermal però era puntato su sua madre, come se fosse l'unica persona di cui gli importava davvero la reazione.
Mira sorrise e allungò una mano sul tavolo, prendendo quella del figlio e incitandolo a continuare il discorso.
"Stiamo insieme" disse Ermal a voce bassa, guardando prima sua madre e poi sua sorella.
"Da quanto?" chiese Sabina curiosa e un po' perplessa.
Lei era stata la prima a fare ipotesi su una presunta cotta di Ermal nei confronti di Fabrizio, era stata la prima ad aver creduto alle voci che giravano su di loro e ad avere dei dubbi quando suo fratello diceva di volergli bene ma non così tanto.
Eppure Ermal aveva sempre negato ogni coinvolgimento emotivo che andasse oltre l'amicizia, quindi scoprire che in realtà le sue ipotesi erano sempre stata giuste la stupiva parecchio.
Ermal abbassò la testa per un attimo - consapevole che la risposta che avrebbe dato avrebbe sicuramente fatto arrabbiare sua sorella - poi risollevò lo sguardo verso di lei e disse: "Quasi un anno."
Sabina aggrottò la fronte. Non poteva credere che suo fratello avesse una relazione da così tanto tempo e che non glielo avesse mai detto.
"E in tutto questo tempo, non hai mai pensato di dirmelo?" chiese lei. Non era arrabbiata, solo un po' delusa.
Aveva sempre raccontato tutto a Ermal e sapere che lui non riponeva in lei la stessa fiducia, la feriva più di quanto le costasse ammettere.
"Certo che ho pensato di dirtelo, ma non è facile" rispose Ermal.
Sua madre gli strinse la mano, facendogli capire che non c'erano problemi, che aveva fatto bene a non parlarne prima se non si era sentito pronto.
Sabina scosse la testa scocciata e si voltò verso Rinald. "E tu? Non sei arrabbiato perché non ce l'ha detto prima?"
Rinald guardò Ermal, indeciso se dire o no la verità a sua sorella, ma non ci fu bisogno di dire altro. Sabina aveva già capito.
"Tu lo sapevi" mormorò lei.
Rinald annuì. "Sì, ma non da molto. Un paio di mesi."
Sabina sospirò.
Si sentiva tradita, non poteva negarlo.
Aveva sempre saputo che Ermal e Rinald avevano un rapporto diverso da quello che avevano con lei. Non sapeva se fosse dovuto al fatto che lei era una femmina o che era la più piccola, ma era così.
Lei era sempre quella da proteggere, da difendere, da tenere lontana dai casini, mentre loro due nei casini ci finivano sempre insieme.
E per l'ennesima volta, Sabina si era sentita esclusa.
"Hai trovato il tempo di dirlo a Rinald e non a me" disse qualche attimo dopo. Poi si alzò e, appena Ermal cercò di fermarla, aggiunse: "Ho bisogno di stare sola."
Ermal la guardo uscire dalla cucina, sentendo gli occhi inumidirsi sotto il peso del senso di colpa.
Odiava discutere con sua sorella, anche quando era fermamente convinto di non avere colpe.
"Lasciale un po' di spazio. Ha solo bisogno di quello" disse Mira.
Intanto il marito di Sabina si era alzato e l'aveva raggiunta, lasciando in cucina solamente Ermal, sua madre e Rinald.
Ermal sollevò lo sguardo su sua madre, aspettandosi una reazione da parte sua per ciò che aveva detto. A parte rassicurarlo per la reazione di Sabina, non aveva detto altro. Ancora.
"Mami...?"
Lei sorrise e disse: "Non sono cieca, tesoro. Vedo come vi guardate. Me lo aspettavo, ma volevo che me lo dicessi tu."
"Quindi a te sta bene?"
"Certo! E anche se non mi stesse bene, chi sono io per dirti cosa devi fare? È la tua vita, devi sentirti libero di amare chi vuoi. Però una cosa te la devo dire."
Ermal la guardò interrogativo.
"Fabrizio mi piace e so che è una brava persona. Ma se ti farà soffrire, allora non mi interesserà più tutto il discorso del: questa è la tua vita e te la gestisci tu. Se ti farà soffrire, mi metterò in mezzo anche se ormai sei adulto."
Ermal sorrise e si alzò, facendo il giro del tavolo e andando ad abbracciare sua madre.
La sua approvazione contava più di qualsiasi altra cosa e sapere che lei sarebbe sempre stata pronta a proteggerlo nonostante tutto, gli scaldava il cuore come se fosse ancora un bambino.
Qualche attimo dopo Ermal uscì dalla cucina ed entrò in salotto, andando a sedersi sul divano accanto a Fabrizio.
"Com'è andata?" chiese il più grande, tenendo un tono di voce abbastanza basso da non svegliare la nipotina di Ermal che si era addormentata sulla poltrona.
"Poteva andare meglio. Sabina non ha preso molto bene il fatto che gliel'abbia tenuto nascosto per così tanto e che lo abbia detto a Rinald prima che a lei" rispose Ermal appoggiando la testa sulla spalla di Fabrizio.
Fabrizio gli circondò le spalle con un braccio e lo strinse a sé. Voleva fargli capire che non era solo, che in quella situazione c'era anche lui, e qualsiasi problema lo avrebbero affrontato insieme.
Anche se all'inizio non era stato d'accordo, anche se aveva pensato che fosse una pessima idea essere presente quando Ermal avrebbe deciso di dire tutto alla sua famiglia, ora non riusciva a pensare a un posto migliore in cui stare.
In fondo, era colpa sua se erano in quella situazione. Era stato lui a iniziare tutto.
Era stato lui il primo a baciare Ermal, la sera della vittoria a Sanremo. Era stato lui a dire che era stato solo un gesto dettato dall'euforia, la mattina seguente.
Ed era stato sempre lui a baciarlo dopo il concerto al Forum, ad andarsene senza dire nulla e poi a mandargli un messaggio strappalacrime in cui, tra le altre cose, gli confessava che l'euforia quella volta non c'entrava nulla. L'aveva baciato perché voleva farlo, perché non riusciva a smettere di pensare a lui.
E poi, meno di due settimane dopo, era stato sempre Fabrizio a invitare Ermal nella sua stanza con la scusa di bere qualcosa, finendo poi per fare l'amore sul letto della sua camera d'albergo.
E alla fine, era stato lui a dire a Ermal di volere qualcosa di più il giorno della Partita del Cuore. Era stato lui a dirgli che si stava innamorando e che non voleva più solo dei baci rubati nei camerini o nelle camere degli alberghi.
Ermal lo aveva semplicemente assecondato, ma era sempre partito tutto da lui.
"So cosa stai pensando" disse Ermal.
Fabrizio abbassò lo sguardo verso di lui e sorrise. "Ah, sì? Che sto pensando?"
"Ti stai colpevolizzando. Pensi che questa situazione sia solo colpa tua, ma in realtà ci siamo dentro insieme fin dall'inizio. Ho ricambiato ogni bacio che mi hai dato, anche il primo. Non è mai stata una cosa partita solo da te. Se c'è qualcuno che deve farsi delle colpe, quello sono io. Avrei potuto parlarne prima e magari ora Sabina non sarebbe così arrabbiata con me."
"Non credo sia arrabbiata. Un po' dispiaciuta, magari" disse Fabrizio.
Ermal sospirò, sistemandosi meglio tra le braccia di Fabrizio.
Sperava solo che la situazione con sua sorella si risolvesse al più presto.
A pomeriggio inoltrato, Sabina era ancora chiusa nella sua vecchia cameretta.
Dario, suo marito, aveva cercato di convincerla a parlare con Ermal e a non comportarsi da bambina - anche se con lei aveva usato altri termini, per evitare che se la prendesse anche con lui - ma Sabina era stata irremovibile.
Per un paio d'ore, Ermal aveva lasciato perdere. Le aveva lasciato il suo spazio, sapendo che in quelle situazioni Sabina preferiva restare sola.
Ma a un certo punto non aveva più resistito.
Era passato troppo tempo ed Ermal iniziava ad essere stanco di essere trattato in quel modo da sua sorella, quando l'unica cosa di cui aveva bisogno era il suo supporto.
Così, ignorando la vocina nella sua testa che gli diceva di lasciarla stare, bussò alla porta della sua stanza e senza aspettare il suo permesso abbassò la maniglia aprendo la porta.
Sabina era sdraiata sul suo letto, aveva gli occhi chiusi e sembrava stesse dormendo, ma Ermal sapeva che non era così. Lo vedeva dal torace che si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro irregolare, lo vedeva nei muscoli che si erano irrigiditi nel momento in cui era entrato in camera.
Anche se aveva gli occhi chiusi, Sabina si era accorta che qualcuno era entrato nella stanza e si era accorta di chi fosse quel qualcuno.
"Possiamo parlare?" chiese Ermal chiudendo la porta dietro di sé.
Sabina sbuffò scocciata, ma si spostò sul bordo del letto per lasciare spazio a Ermal.
Lui sorrise e le si sedette accanto.
"Mi dispiace non avertelo detto prima."
"Non è quello che mi infastidisce, Ermal" rispose Sabina, aprendo finalmente gli occhi e tenendosi leggermente sollevata sugli avambracci. "Io l'ho sospettato fin da subito che tra voi ci fosse qualcosa ma ogni volta che te ne parlavo, tu non facevi altro che dirmi che non era vero, che mi stavo sbagliando. E io ti ho creduto perché sei mio fratello e non ci siamo mai detti bugie. E invece oggi scopro che, non solo mi hai mentito guardandomi negli occhi più di una volta, ma ne hai parlato con Rinald prima che con me. Non pretendo di essere la prima persona a cui racconti ciò che ti succede, ma io con te l'ho sempre fatto e mi sono sentita messa da parte."
Ermal rimase in silenzio ad ascoltare lo sfogo di sua sorella, rendendosi conto di quanto lei stesse male per una cosa che all'apparenza sembrava una banalità.
Si sdraiò accanto a lei e, appena finì di parlare, la attirò a sé stringendola in un abbraccio.
Sabina gli circondò i fianchi con un braccio e appoggiò la testa sul suo petto, mentre sentiva le dita di Ermal incastrarsi tra i suoi capelli e cercare di tranquillizzarla.
"Scusa, so di avere esagerato" disse lei dopo qualche minuto di silenzio.
"Avrei dovuto parlartene" rispose Ermal. "Solo che non sapevo come fare. Nemmeno io sapevo come comportarmi all'inizio, era tutto nuovo anche per me."
"Mi prometti che non mi nasconderai mai più nulla?"
"Sabina..."
"Lo so che tu non fai promesse, ma questa non è tanto difficile da mantenere" disse lei, con il tono che ricordava vagamente quello che usava da bambina quando cercava di convincere Ermal a giocare con lei.
Ermal sorrise. "Va bene, te lo prometto."
Non amava fare promesse. Aveva il terrore di non riuscire a mantenerle e lui, meglio di chiunque altro, sapeva come ci si sentiva di fronte all'illusione di una promessa non mantenuta.
Ma sua sorella aveva ragione. Quella promessa non era poi tanto difficile da mantenere.
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06.12 VEN 20:22
Non scrivevo qualcosa di mio da tanto, troppo tempo. Questo social per me è sempre stata una valvola di sfogo, un posto sicuro in cui tutto quello che potevo condividere rimane lì impresso forse senza far male a nessuno senza ferire nessuno, un posto in cui le maschere si riducono al minimo, forse si tolgono anche. Non so il motivo per cui sono così tanto diversa, è un po come se fossi due persone, una che è la classica stronza che ha il mondo sotto i suoi piedi, e l’altra l’opposto, che si fa schiacciare da tutto ciò che la circonda. In questo momento, come facilmente si potrebbe presupporre, siamo nella seconda situazione. Ogni cosa mi ferisce, ogni cosa mi fa dire ‘non vado bene’, ogni cosa mi porta a pensare che forse per me e per gli altri sia meglio allontanarmi da tutto ciò che mi circonda. Ferisco spesso chiunque, chiunque ami, chiunque stia con me, chiunque conosca. Mi parto sempre col non voler ferire, ma poi bho lo faccio. Credo che nella vita mia non ci sarà mai nessuna persona che dirà che non le ho fatto del male, che non l’abbia ferita. Anche lei, la donna più importante della mia vita, mia madre, è stata ferita spesso da me, mi vergogno tanto di questo, mi vergogno tanto che la donna più importante sia stata insultata e abbia preso delle sberle da me. Potevo anche essere nella ragione, beveva, ma non è il modo più opportuno per reagire. Ho sempre però amato le persone con tutto il mio cuore, le ho sempre protette però mai da me, che forse ero la persona da cui si dovevano proteggere. Adesso, non lo so, è un periodo strano. Le mie emozioni sono discordanti, amo follemente una ragazza, ed era l’ultima persona che avrei creduto e pensato di poter amare. Sono la classica sottana, una gelosa della madonna, mi da fastidio pure l’aria che respira. Penso sia la lontananza, il fatto che non possa vivermela come voglio, o penso pure che il fatto che io mi faccia “schiacciare” da alcune situazioni, soprattutto quelle sentimentali, mi metta in una difficoltà assurda. Un anno fa mi trasferivo, a quello che definirò il mio “amore folle”, ma se penso come sia finita, insomma la paura si fa sempre più presente. Si, ho paura. Si dice di me che sono una egoista, una persona saccente, una persona poco responsabile e molto montata, che non dovrebbe aver paura di nulla perché d’altronde quando coi tuoi modi puoi far prendere chiunque, che problema c’è? va male con una c’è quell’altra. Ma non è proprio così, ho paura perche dopo ore innumerevoli a piangere, tra un attacco d’ansia e un altro, sento qualcosa di bello. Sento di amare forte, come non facevo da tempo, sento che una persona riesca a cambiarmi l’umore, sento che forse va così, sento di esser innamorata, sento di vivere. Ma lì piuttosto che pensare “ok wow, vivitela”.. NO, lì vengono fuori gli scheletri. Perche la paura di star di nuovo male, di non vivere ciò che mi aspettavo, la paura di non essere all’altezza della situazione, la paura delle litigate, dei “vai via”, dei “non ti voglio parlare”, dei “mi sono pentita di averti conosciuto” si fanno sempre più forti, e sono cazzi. Sono pugni allo stomaco, sono pianti per delle sciocchezze, sono nevrosi per paura. Insomma, sentirsi sbagliati con le persone giuste, questo è!
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Non avrei mai pensato di scriverti , è da un bel po’ che leggo quello che scrivi è molto spesso mi ci ritrovo, non credo sia positivo. Sto male ma mi sta bene così, in realtà no ma non ho le forze per provare a migliorare e continuo a provare a convincermi che sto bene anche se vorrei solo morire e mi danno perché non sono capace a uscirne. Mi sento bloccata , non riesco a reagire e non so che fare. Se leggerai scusa per la perdita di tempo
Okay, ora sei bloccata, sei dentro a delle sabbie mobili e non riesci a muoverti e magari sembra tutto inutile, ogni cosa è nulla se comparata al tuo dolore. Ma devi iniziare da qualcosa, anche se piccola, devi riuscire a toglierti da questa situazione che ti tiene inchiodata sul fondo. La gente dice che le cose cambiano, ma secondo me non è vero. Non sono come le ore che da sole trascorrono, non sono stagioni che passano, giorno dopo giorno. Siamo vittime del cambiamento e non delle cose. Le cose cambiano se sei tu a farlo. Concentrati solo sul presente, vivi giorno per giorno senza pensare a nient’altro. Non ti dico di non mollare mai e andare avanti come un cyborg, puoi stare male e cadere ogni tanto, è un percorso lungo e doloroso… ma ricordati di riprovarci. Cos’hai da perdere? Anche se sei stanca e sfinita, anche se hai perso la speranza, fallo, riprovaci ancora. La vita può prendere svolte che nemmeno immagini. Smuovi le cose, cambia le cose, trovati degli obiettivi, dei piccoli obiettivi, fatti uno schema da seguire, un piano, un progetto, raggiungi la meta e poi festeggiati. Hai le capacità, sono sicura che riuscirai a uscire da questo inferno. Abbraccia il dolore che provi, accettati, la sofferenza ti rende una persona migliore fidati. Lo stare male amplifica la tua parte umana e ti fa vedere il mondo da una prospettiva diversa, ti fa maturare, ti fa capire quali sono le cose che contano davvero. Ce la fai. Sei una persona bella.
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Dal Tavolo Antisessismo Nei Movimenti:
Ormai più di un anno fa, in Umbria, mi sono ritrovata in un rapporto sessuale in un momento in cui ero completamente sbronza. Solo dopo mesi e mesi di inferno sono riuscita a riconoscere quell’episodio per quello che era: una violenza sessuale. Si è trattato di uno stupro molto vischioso da riconoscere perché perpetuato da un compagno anarchico che conoscevo da 16 anni, con il quale avevo condiviso affetti, lotte, fiducia ma soprattutto un progetto politico.
Già era capitato di dormire nello stesso letto sia solo noi che con altre persone a casa mia (ho una stanza in affitto fuori dall’Umbria) e sapeva che da parte mia non c’era disponibilità sessuale nei suoi confronti. Ma quando è stato lui ad ospitare me, come già ci eravamo accordati per non tornare al mio paese umbro da bevuta che erano giornate di festa, le cose sono andate diversamente. Si tratta del classico copione di stupro di quando lei è molto ubriaca (mi ha svegliata dal collasso post-vomito) e lui si approfitta viscidamente per fare sesso. E senza preservativo. Ho scritto una lettera rispetto a questo episodio con analisi e richieste. Ero certa che fosse chiaro ed evidente che se ero così ubriaca non poteva esserci consenso e che quell’atto sessuale era un umiliante atto di dominio. Ma le cose sono andate di male in peggio. La violenza sessuale non è stata riconosciuta. Sono stata processata, insultata e minacciata. Ancora una volta la linea di difesa adottata per proteggere chi stupra è stata quella di screditare la persona che si ritrova violentata. Sono state dette e si diranno cose orribili. Ancora una volta la reputazione di un maschio è più importante della vita di una femmina. Di fatto sono stata tagliata fuori dal branco. Poco male. Non possono essere mie compagne e compagni chi commette violenza sessuale, chi ancora non ha ben chiaro che se lei è ubriaca vuol dire semplicemente no, chi sceglie di stare dalla parte di chi abusa e contro chi denuncia (informalmente) l’abuso.
Il patriarcato picchia forte proprio laddove non te lo aspetti, e infatti mai avrei pensato che mi sarebbe potuto succedere una cosa del genere proprio in ambito anarchico. Scrivo queste righe per due motivi. Il primo è per rompere il circolo vizioso di omertà che regge la cultura dello stupro, conseguenza necessaria della sessualità patriarcale che erotizza e sessualizza il potere. Fare finta di niente rispetto a una violenza sessuale significa rendere questi comportamenti sempre più praticabili, e sarà sempre più difficile reagire e addirittura “vedere” uno stupro. Saranno sempre più le persone che potranno subire una violenza sessuale e che si sentiranno costrette a far finta di niente. Saranno sempre più le persone che praticano violenza sessuale e che quindi avranno qualche scheletro nell’armadio da nascondere e preferiranno essere solidali e complici nella cultura dello stupro. Il secondo motivo è perché amo l’anarchia come progetto politico, e spero che parlare di queste cose sia un contributo per fare della lotta anarchica qualcosa di rivoluzionario e non reazionario.
Mi sono illusa che l’ideale anarchico portasse con sé la messa in discussione reale di qualsiasi forma di potere. Ma questa è stata un’ingenuità che ho pagato a caro prezzo. Non si può pensare di distruggere il potere senza fare ferocemente i conti con il patriarcato, un potere oggettivo che fonda la famiglia, l’accumulo, il capitalismo e lo Stato e che si basa sulla cultura dello stupro. E questi conti si fanno nell’azione e nella teoria. Negli episodi di stupro o di qualsiasi violenza sessuale sarebbe già qualcosa se si agisse prendendo una posizione politica contro chi commette queste cose, sovvertendo la tradizionale solidarietà patriarcale. Quella notte, prima di essere un’”individualità”, una compagna, un’amica non eterosessuale, sono stata una femmina e come tale questo anarchico si è sentito in potere di permettersi di fare sesso con me che ero sbronza, cioè senza che ci fossi veramente anch’io. Le definizioni e i concetti credo siano utili se servono ad una liberazione. Se il concetto d’”individualità” serve per omettere dei nodi reali di potere quali, ad esempio, la classe sociale, la questione dei generi, ecc…, rischia di negare un’oppressione reale e non serve all’oppresso ma all’oppressore. La femmina, fin dagli albori del patriarcato, è stata considerata una proprietà privata del maschio. E dunque la relazione maschio-femmina non è un rapporto umano, ma un rapporto di proprietà che nega alla femmina la propria autodeterminazione e il proprio desiderio. Ancora oggi il consenso sessuale femminile è prerogativa del maschio.
Se frequentavo questo gruppo di persone era per affinità politica. Tuttavia ho vissuto sulla mia pelle come dietro un gruppo politico possa nascondersi la riproduzione di dinamiche da clan o familiari più che politiche. La famiglia è esattamente il nucleo che perpetua e genera il patriarcato, tramite una prole partorita dalla madre e a cui viene insegnato il nome e la legge del padre. A sua volta la prole metterà su famiglia, e così via, per millenni (ma non da sempre né per sempre, siamo animali storici). Le relazioni umane che si allacciano a partire dalla condivisione di un progetto politico sono politiche. La differenza tra fare sesso e stuprare e la differenza tra libertà e potere partono dalla stessa questione: il rapporto dialettico tra sé e l’altr*. Il potere sminuisce l’altro come soggetto fino a oggettificarlo. Nondimeno un’affinità che perde il suo connotato politico corre il rischio di basarsi su un riconoscimento dell’altro perché uguale a sé. In entrambi i casi l’Altr* è negato come soggetto, che invece sarà sempre irriducibilmente “altro” da se stessi. Una relazione liberata probabilmente non è una relazione risolta e piena di risposte, ma una relazione che si fa carico della domanda sempre aperta verso l’Altr*. Nel clan e nella famiglia tutti gli elementi si riconoscono uguali in virtù della condivisione dello stesso “sangue” e della stessa legge del maschio o di chi ne fa le veci.
Questo sangue e questa legge si reggono a partire dallo sfruttamento della forza lavoro e del corpo delle femmine, la prima “classe” di oppressi. Il retaggio familiare nella militanza politica si può riflettere sia nella lotta in tutte le sue fasi e forme che nella relazione umana tra le varie compagne e compagni. Decidere di fare sesso con una femmina molto ubriaca è un atto politico. Patriarcale; reazionario. Portare a galla questi episodi è sempre destabilizzante per una famiglia, la quale si sentirà tradita non dal loro “patriarca” ma dalla persona che rifiuta queste dinamiche patriarcali. A monte c’è l’idea che una persona femmina vale meno di una persona maschio ed è “normale” sfruttare le sue risorse e il suo corpo; è un soggetto politico meno importante. Un gruppo politico realmente rivoluzionario e con relazioni umane alla pari prenderebbe le dovute misure politiche rispetto a chi riproduce dinamiche di oppressione. Tuttavia non posso pensare di chiedere e delegare la distruzione del patriarcato a chi gode dei privilegi che il patriarcato gli offre. E questo credo valga per ogni forma di oppressione, sebbene la solidarietà e la complicità siano uno strumento di lotta irrinunciabile tra oppresse e oppressi. Se anche all’interno dell’”avanguardia anarchica” è “normale” fare sesso con una persona non lucida in quanto femmina, e se la sessualità del maschio è più importante di qualsiasi persona, lotta, amicizia e fiducia, è chiaro che il femminismo è un’oggettiva necessità storica per un progetto politico rivoluzionario anarchico.
Una persona che è capace di una cosa del genere e che preferisce poi mantenere pulita la propria reputazione borghese invece di mettersi realmente in discussione, è una persona pericolosa per le femmine. Quindi il suo nome sta già girando a livello informale in circuiti femministi come autotutela. Se dovessi incontrare questa persona in momenti di lotta, non esiterò a manifestare il mio disprezzo. Citando a memoria una grande scrittrice, “è degno di nota che tanto più le donne mangiano merda tanto più saranno stimate dagli uomini”. Fortunatamente non mi interessa della stima di nessuno e della mia reputazione mi ci pulisco il culo. Continuo nel mio percorso di lotta femminista, anarchica, di classe e internazionalista, nella mia vita personale e nelle lotte condivise, quando amo e quando odio. Con il tempo valuterò come regolare il conto in sospeso con questo maschio di merda. Per chi è arrivat* fin qui, grazie per l’attenzione.
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DF - All’università Episodio 8 Guida
- Risultato negativo / Risultato neutro + Risultato positivo / o + Significa che il mio Lov’o’metro con quel personaggio è al massimo, ciò vuol dire che il risultato può essere sia neutro che positivo.
Punti Azione: 1.200 - 1.300 massimo
Illustrazioni: 5 in totale, una per ogni ragazzo. E’ possibile prendere 4 illustrazioni per giocata. Quella di Castiel la si prende anche dando tutte le risposte negative, per le altre c’è bisogno del colpo di fulmine o lov’o’metro più alto. Vi consiglio di cambiare il colpo di fulmine durante il gioco. Per quelle con Priya e Hyun, inoltre, bisogna confidarsi con uno dei due.
La zia: La possiamo trovare al dolce amoris, prima di andare a pranzare con Nathaniel. I due si incontreranno per la prima volta!
Soldi: - 145 $ per tutti
~ E’ Lunedì mattina e dobbiamo andare a lezione.
Yeleen: A. Yeleen? Non vieni a lezione? + (dialoghi in più) B. (La lascio dormire)
Chani: A. Il Gondor? / B. Non sapevo che fossi fan del signore degli Anelli! + A. (Ho risposto che quella sera sarei venuta, ma che non ero sicura di poter venire le altre sere.) + Chani B. (Ho risposto che ero d’accordo.) - Chani Lebarde: A. Un’icona è una personaggio che simbolizza una corrente. + B. Vi parlerò del personaggio di Ripley, nel film Alien - C. Per creare un’icona, bisogna avere un’idea precisa di cosa rappresenti un personaggio femminile forte… /
A. Sì, sì, è così, è lo stress! - B. Se devo essere sincera, l’ho scritta da poco ma… / ~ Usciamo per ritrovare Chani Chani: A. Ha fatto pressione su di me per spingermi a lavorare alla tesi. B. Ha cercato d’incoraggiarmi. + C. Esagera un po’ , non mi sembra di essere poi così in ritardo col lavoro.
Yeleen: A. Sì… è vero che con alcuni amici in comune abbiamo preso un drink insieme, ma è tutto. / B. Sono pettegolezzi! / C. Quello che fa dei suoi week-ends sono affari suoi. -
Rayan: A. Dovresti chiudere il becco! Chi ti credi di essere? Sei fortunato che Rayan non ti abbia sentito! (più dialoghi con Rayan)(verrete sbattute fuori e avrete + interazioni con Priya) B. (Non ho detto niente e sono rimasta al mio posto senza protestare.) /
Se scegliete A:
Priya: A. Pare che disturbassi la lezione, il professore mi ha chiesto di uscire dall’anfiteatro… B. Ero a lezione… ma sono uscita, avevo bisogno di respirare un po’. + C. dimmi… anche tu hai sentito delle voci su Raya… il professor Zaidi?
A. Non ho tempo per questo! Dovrei approfittarne per lavorare… - B Inciti alla procrastinazione? E’ una cosa nuova, da parte tua. /
Chani: A. No! / B. I-io… Non lo so! / ~ Uscite fuori dall’edificio. Melody: A. Sono sciocchezze. E non so se sia legato al fatto che io e lui abbiamo preso un drink insieme. Ma questi, sono affari miei, e sono pronta a difendermi! - B. Non capisco perché se ne parli tanto! Al di là del fatto che è professore, è un essere umano. / C. Quello che fa della sua vita sono affari suoi e basta. -
A. Detto tra noi, non avresti un’idea di cosa possa essere? Voglio dire… la gente parla di una studentessa… l’hai già visto frequentare qualcuno? - B. Credi che non sia il suo modo di fare? Non farebbe mai cose del genere? /
A. Sì lo so, è questo appunto che temo. / B. Credi? Non ci avevo pensato! (è meglio fare l’innocente.) / A. Sei sicura che sia sposato? L’hai già visto con sua moglie? / B. Che sia sposato o meno, non sono affari miei… /
Chani: A. Ti va di pranzare con me prima che io vada? / B. Ne approfitto per pranzare da sola… ho bisogno di riflettere. / ~ Andate per lavorare al Bar Nath: A. Ma no, sto benissimo! + B. Diciamo che non è proprio il giorno giusto… / C. Ma sì, è solo che ho fame… -
A. Non avresti potuto mandarmi un SMS? Come qualsiasi persona normale… / B. Sei sicuro che non eri qui per vedere qualcun altro e che, incontrandomi, hai deciso di inventare questa scusa? +
Nath: A. Nath, mi inviti in un bel ristorantino di quartiere… è un appuntamento? + B. Ad ogni modo grazie per l’invito, è gentile da parte tua… /
A. Ho esitato varie volte a farlo. - B. Posso sempre scappare, se voglio. / C. Ti conosco Nathaniel, so che la persona che ho conosciuto al liceo esiste ancora… non ho motivo di scappare. +
A. Allora così, io dovrei parlare, mentre tu continui a non dirmi niente sulle tue attività? + B. Sono stressata per la tesi, il mio lavoro come cameriera non è di tutto riposo e, come se non bastasse, all’università girano voci ed è probabile che siano su di me! / C. Non è niente di grave… posso superarlo. -
A. Preferisco non parlarne… / B. Pare che il professor Zaidi abbia una relazione con una studentessa… /
Se scegliete B A. Sì, è vero…/ B. Esageri un po’, ha trentatrè anni! +
A. Il Nath di una volta non avrebbe mai parlato così. B. Non hai sentito quello che ti ho detto? Non posso. + C. E’ questo il tuo segreto? Mandare tutto all’aria? È così che agisci tu? / ~ Si torna a lavorare Hyun: A. Non riesco a credere che sia così sfrontata con te! B. Fai bene a reagire, non è normale. / C. Ti ringrazio di appoggiarmi davanti a lei. +
Priya: A. Ho fatto così tanto rumore? - B. Già… e tu, come stai? +
Clementina: A. No… mi dispiace Clementina, ma questa settimana non sono libera. / + Hyun B. (Non voglio che la cosa si ritorca contro di me, posso sfare uno sfrozo.) Sì, cercherò di organizzarmi in modo da poter venire tutta la settimana. + Clementina - Hyun C. Ho ancora bisogno di un po’ di tempo per riflettere.
Priya: A. (Ma non me la sento di parlarne con Priya… so quello che mi dirà… I-io preferisco parlarne a qualcuno di neutrale…Hyun mi ha proposto il suo aiuto prima, vado a parlargli) + Hyun (Verso illustrazione) B. Priya, mi è capitata la stessa cosa… con la stessa persona. + Priya (Verso illustrazione)
Se scegliete A.
Hyun: A. Credo che non sappiamo come stanno le cose davvero… se non fa niente, è sicuramente per una buona ragione. / B. La prossima volta che lo vedo, ho l’intenzione di avere delle risposte, sono stufa di accettare i suoi misteri così facilmente. / C. Già, non so che pensarne.
A. Avrai dei problemi per colpa mia, non voglio che tu sia licenziato. + B. Grazie di cuore, Hyun…
Se scegliete B.
Priya: A. No, non sappiamo esattamente cosa ci sia tra loro. Non ho detto che sono amici, non conosco la natura dei loro scambi… e poi Nath mi ha salvata in quel momento. B. Non so che pensarne… vado a parlargliene. C. Occupiamoci di un’ aggressione alla volta… prima il tipo… vedremo dopo per l’assassinio di Nathaniel. +
~ Tornate al campus dopo il pessimo pomeriggio Chani: A. No, non molto bene… / B. Credo che andrò a dormire, ne ho proprio bisogno. / C. Ho troppe cose a cui pensare oggi, me ne occuperò domani.
Yeleen: A. Ne sono già al corrente. / B. Beh allora, venga pure domani. + C. Cosa ti ha detto esattamente? –
Castiel: A. Oh ciao, sì, siediti qui. Scusa, oggi temo di non essere di grande compagnia. / B. Non c’è niente di meglio del cantate dei Crowstorm per tirarmi su di morale. - C. E io che volevo un posto discreto, che passasse inosservato… con te accanto, è finita. + A. Niente (Ho nascosto la scritta a Castiel, non me la sento di raccontargli cosa succede.) / B. Se sei tu, non mi fa ridere per niente. C. (Gliel’ho messo in mano.) +
A. Ma no! B. Sì è vero, non te l’avevo detto? - C. Non ne posso più, va sempre peggio… devo uscire da qui. + ~ Dopo aver passato le giornate in infermeria. Rayan: A. Un amico, Rayan. - B. Il professore della mia materia principale, il professor Zaidi. + C. E’ solo un professore. /
Raphael: A. Hmm… è obbligatorio? Perché non vado matta per le punture. + B. No grazie, preferirei farne a meno. / C. Sì, non ci sono problemi. /
A. Grazie Raphael… + B. Non ho sentito niente quando mi ha fatto la puntura perché lei è un buon infermieri, tutto qua. C. (Mi sono limitata a sorridergli, poi ho cercato una posizione migliore per dormire.)
Rosa: A. E’ vero che eri molto cambiata… / B. Smettila di buttarti giù da sola, non è colpa tua se sono svenuta a lezione. + C. Accetto le tue scuse. / A. Sì, ci sono un sacco di cose che non ti ho detto… + B. Già, non so cosa sia successo. Se scegliete A.
A. C’è un tipo… Nath lo frequenta… questo tipo una sera mi ha molestata, e ieri ha molestato Nina… bisogna fermarlo. + B. E’ tutto… sono queste preoccupazioni che mi hanno fatta esplodere.
Priya: A. Sì, molto meglio. / B. Ieri ho avuto una giornata orribile… + (illustrazione se vi siete confidate con lei)
Castiel: A. Va tutto bene, non fa niente. + B. Non sono ancora né vestita, né pettinata, possiamo vederci dopo, Castiel? A. Sono secoli che non vedi un lettore MP3! L’hai trovato in un mercatino dell’antiquariato? + B. Magari un giorno avrai l’opportunità di salire sul palco con loro… / C. Avrei potuto trovarlo su Youtube, ma è originale così! -
Raphael: A. Grazie ancora per tutto, Raphael. / B. Altrimenti, potremmo magari cercare di incontrarci al di fuori dell’infermeria… andare a bere qualcosa, o cenare insieme. / ~ Finalmente usciamo dall’infermeria e passiamo la giornata con i genitori. Rayan: A. (Però vorrei esserne sicura.) Della tesi? Perché? Il professor Lebarde le ha parlato di me? / B Non so se avrò tempo. C. Va bene, le farò sapere. /
Genitori: A. Dovevi proprio fare amicizia con il mio direttore di studi? / B. Sono un po’ sorpresa di vedervi così. /
Rayan: A. So che è sposato. / B. Lei osa, a fior di labbra, confessarmi questo tipo di sentimenti ambigui, anche se ha un’altra vita? È disgustoso. -
A. Sono dispiaciuta… B. Avrebbe dovuto restare lì… anche se lei non c’è più, è sempre sua moglie. - C. Non volevo obbligarla a dirmi tutto questo… io… +
A. (Preferisco non continuare a parlarne… sarebbe una mancanza di tatto.) ( - dialoghi) B. (Sono presa dalla commozione… ho la sensazione che abbia voglia di continuare a parlarmene.) (Verso Illustrazione)
Se scegliete B
A. (Non riesco a riprendere fiato, sono come pietrificata di fronte alle sue parole, alla sua sincerità. Continuo ad ascoltarlo con attenzione.) B. (E’ stato più forte di me… mi sono gettata di slancio nelle sue braccia.) (illustrazione)
A. Io… sono contenta di aver potuto chiarire le cose. Ma credo che a partire da adesso, dovremmo limitarci a una relazione normale tra studentessa e professore. / B. Credo… di avere ancora voglia di conoscerti meglio, Rayan. /
Se scegliete A.
A. Io… non posso permettermi di rischiare di perdere l’ultimo anno. / B. Io…
~ dopo la lunga chiacchierata con Rayan, finalmente pace. Chani: A. E’ una grande idea, Chani! + B. Non saprei… alcuni preferiscono uscire il venerdì. C. Credo che preferirei studiare da sola.
Se vi siete confidate con Priya
Nath: A. Non peggiorare le cose, Nath! Smettila! B. Lascia perdere, Priya… vado a parlare con lui, e torno subito. C. Smettetela tutti e due! Andiamo a parlare, e poi torno. /
Se vi siete confidate con Hyun
Nath: A. Non rivolgerti a lui in questo modo! B. In effetti, volevo parlarti / C. Lascia perdere Hyun… Vado a parlare con lui e torno subito.
Nath: A. Cosa intendi quando dici che hai “bisogno di lui”? - B. Perché eri con lui? + (Illustrazione) C. Perché vuoi che sporgiamo denuncia? Pensavo che l’avresti difeso… dopo tutto, è tuo amico. /
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