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#e chi colpevolizza le vittime
alephsblog · 2 months
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Per sgomberare il terreno da malintesi, vorrei innanzitutto ricordare che le donne, fino agli anni ‘70 e per talune cose addirittura fino agli anni ‘90, non avevano gli stessi diritti legali degli uomini e che gran parte delle donne della mia generazione, in famiglia, non erano trattate allo stesso modo dei fratelli, né per noi esistevano le stesse aspettative e libertà. Qualunque donna italiana che oggi abbia più di 50 anni è nata in una posizione subordinata. Lo imponeva la cultura e lo diceva la legge.
Chi scrive aveva un padre che era una gran brava persona ed aveva un gran cuore. Eppure, nel corso della mia infanzia era un patriarca a tutti gli effetti: era lui a sedere a capotavola, a battere il pugno sul tavolo e ricordarci a tutti che il capo famiglia era lui e che in casa comandava lui. Amava nostra madre ma spesso la trattava come una serva; voleva bene a noi figlie femmine, ma il futuro a cui guardava era soprattutto quello di nostro fratello. Frasi come “quando ti sposerai, a queste cose ci penserà tuo marito” erano all’ordine del giorno perché per quanto ci spronasse a studiare, il “futuro” era sempre e solo percepito attraverso quello di un marito, non il nostro.
Era un despota da colpevolizzare? No. Non si possono giudicare comportamenti passati estrapolandoli dal contesto. Nostro padre agiva in un contesto culturale e sociale, sulla base dell’educazione ricevuta (famiglia patriarcale del Meridione e scuole fasciste) e cercava di rispondere alle aspettative della società e del ruolo che essa gli imponeva.
‪La cultura patriarcale è esistita come struttura sociale, una struttura che poneva gli uomini ai vertici. Questo non significa che tutti gli uomini erano “colpevoli”. Al suo interno molti uomini erano essi stessi vittime di quella struttura e del ruolo che dovevano ricoprire, volenti o nolenti.‬
Negli anni ’80, quando ero adolescente, le leggi erano state modificate, la cultura stava cambiando e, al passo con i tempi, la trasformazione di nostro padre fu radicale. Posso dire di avere avuto due padri: il patriarca della mia infanzia e il femminista della mia adolescenza. E certo, non è che si fosse sbarazzato del suo retaggio dall’oggi al domani, ma ci provava, a volte lo faceva goffamente ma ci provava.
Come ci si era arrivati? Grazie alle battaglie femministe e sociali che avevano imposto una virata culturale; che avevano fatto anche cambiare le leggi. Nel giro di uno o due decenni, la mia generazione (di uomini e donne), nata in pieno patriarcato, si ritrovò ad agire in un nuovo scenario.
E ora torniamo al punto di partenza. Fanatismo è quello che crea una lotta tra i sessi e colpevolizza facendo di un’erba un fascio; è quello che non cerca di analizzare i fenomeni, ma si ferma alla superficie; è quello che giudica senza comprendere; è quello che offre la scappatoia ad altri nel negare le basi di una problematica. Quello, appunto, è fanatismo, ed è sempre e solo stata la frangia più radicale.
Ridurre delle lotte reali alle frange più radicali è al tempo stesso una forma di fanatismo. Un po’ come chi riduce la sinistra al comunismo (anche quella socialdemocratica) e la destra al fascismo (anche quella liberista). Non è che se in un movimento ci sono alcune frange radicali che colpevolizzano, tutto il movimento è nato per colpevolizzare. Cerchiamo di essere un po’ più razionali e più profondi di così e soprattutto proviamo a non cercare di sfruttare il fanatismo per liquidare una questione ancora molto reale.
Condannare il femminismo come un movimento illiberale e sessista è una scappatoia, anche se alcuni gruppi femministi sono così. È un modo per liquidare una questione con il classico: “oggi il patriarcato non esiste più, c’è la parità dei sessi e abbiamo anche un PdC donna, cosa vogliono le donne di più?” La pietra tombale sulle problematiche.
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kritere · 2 years
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Naufragio migranti a Cutro, Cecilia Strada: “Chi colpevolizza le vittime è il peggio dell’Italia”
DIRETTA TV 6 Marzo 2023 L’attivista e portavoce di ResQ – People saving people Cecilia Strada ha parlato della strage di Cutro e di come il pubblico ha reagito al naufragio dei migranti. “Ha mostrato il meglio e il peggio dell’Italia”, ha detto. 8 CONDIVISIONI “Mi sembra che questo naufragio abbia tirato fuori il peggio e il meglio di questo Paese. Il peggio è la reazione di colpevolizzare le…
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chiarasolems · 2 years
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Reposted from @freeda Victim blaming: cercare di trovare giustificazioni a violenze, molestie e abusi, facendo ricadere parte della colpa sulla vittima. Quante volte ci capita di sentire frasi di questo genere? Anche i semplici commenti sui social o le frasi pronunciate con leggerezza fanno parte di un sistema che ancora oggi non riconosce il problema della violenza di genere e colpevolizza chi la subisce: prendiamo consapevolezza di questa tendenza e, la prossima volta che sentiamo queste parole, parliamo •⁠ •⁠ •⁠ •⁠ #Freeda #VictimBlaming #Vittime #ViolenzaDiGenere #Awareness #Consapevolezza #SocialMedia #Giustificazioni (presso MondoSole anoressia bulimia binge disturbi alimentari (dipendenze)) https://www.instagram.com/p/ClWG3BeotIp/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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ninocom5786 · 2 years
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A questo punto dovremmo istituire il reato di goliardia.
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asterargureo · 3 years
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Dopo lo schifo che ho visto ieri in senato,stavo ripensando al fatto che quel parlamento è lo specchio di un paese dove i giovani sono continuamente colpevolizzati perché non vogliono essere sfruttati, dove chi è diverso viene deriso e inviato a sorriderne,dove chi rimane indietro( anche nello studio,per vari motivi) è guardato con disprezzo, dove a chi esterna il suo disagio psicologico viene dato del rammollito, dove a chi non ha gli occhi per piangere viene detto, spesso dal figlio di papà ricco di famiglia, che non si è impegnato abbastanza o che non ha avuto ambizioni. Sono stanca di un paese bigotto e moralista che colpevolizza molti,ma assolve pochi privilegiati( eh vabbè sono ragazzi; uno a casa sua può fare quello che vuole, ma mica spacciava cedeva stupefacenti).Sono stufa di sentire uomini che si dicono contrari all'abbassamento dell'Iva sugli assorbenti perché inquinanti ( ma certo,solo ora ci preoccupiamo dell'ambiente!),di dover ancora combattere per una legge (la194) sacrosanta quanto imperfetta ( obiettori di coscienza). Stanca della chiesa che si intromette costantemente nelle nostre vite...ama il prossimo tuo a meno che non sia diverso. Stanca di sentire che le donne vittime di violenze in fondo se la sono cercata o peggio perché è stato un raptus( ma certo!). Stanca di politici conigli,che si nascondono dietro voti segreti per i loro giochetti e le loro alleanze. Sono stufa di vedere continuamente ciarlatani in TV ( spesso sulle TV del futuro [speriamo di no] Presidente della Repubblica)e sui giornali che soffiano sull'ignoranza e vedere attaccati medici e scienziati
stanca di vedere in TV la Mussolini che ora passa per progressista.
Stanca anche di componenti della mia famiglia che ridacchiano e fanno allusioni su ragazzi che hanno conosciuto sin dall'infanzia(" dice di essere fidanzato,ma io lei non l'ho mai vista,secondo me è f*****...ma non ho niente contro di loro,sai? Si fa per ridere")
Stanca di essere giudicata da familiari e gente del paese,perché dai 18 anni non metto piede in una chiesa ( salvo funerali o messe in suffragio per cui sono costretta).
Letteralmente ieri ero svuotata, nemmeno arrabbiata.
Ecco,ora mi sono sfogata...ne avevo bisogno.
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paoloxl · 4 years
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La vetrina di Gucci, il pacco di Amazon, il regalo di Natale
Mentre si alleggeriscono le misure anti-Covid solo per permettere i consumi natalizi, sui quotidiani serpeggia un moto di indignazione dato che le vie delle shopping e i centri commerciali si stanno riempendo (come era ovvio).
La vetrina di Gucci, il pacco di Amazon, il regalo di Natale
Tra i capofila di questa indignazione i politici del variegato teatrino dell'ipocrisia che tanto hanno spinto per le riaperture natalizie.
Fra tutti poi spicca il sempre lungimirante Cirio, presidente della Regione Piemonte, che dopo essersi stracciato le vesti per uscire dalla zona rossa (più con strepiti e urla che con politiche sanitarie e sociali efficaci: solo la responsabilità, tutto sommato, degli abitanti del Piemonte ha permesso che si alleggerisse la pressione sugli ospedali) adesso afferma a gran voce che lo struscio per le vie del centro è "inaccettabile".
Già si parla di "vigilantes", aumento dei controlli, numeri chiusi per le vie dello shopping e molte altre varie forme di militarizzazione dei consumi.
La solfa è la stessa che veniva propagandata nella fine della scorsa primavera con la squallida caccia giornalistica all'assembramento da "movida", con la colpevolizzazione dei giovani e tutto il resto. Ma sono passati sei mesi da allora, gli effetti delle riaperture estive e della troppa avventatezza nel considerare la situazione sotto controllo ci hanno condotto direttamente nella seconda ondata e il paradigma della convivenza con il virus con il suo portato di vittime ha preso il sopravvento. Ora è ipocrita pensare che a queste aperture natalizie non seguirà una recrudescenza del virus, tutti lo sanno, è un cosiddetto "rischio calcolato". Peccato che questo calcolo vede sotto il segno meno le vite dei più deboli e di chi è maggiormente esposto al rischio contagio.
E' limitante però fermare la riflessione a queste considerazioni, che possono condurre a varie reazioni riduttive e semplificatorie. Una su tutte è quella che colpevolizza la gente che ha approfittato del via libera per farsi una passeggiata in centro o affollare i templi del consumo. Il corredo di esternazioni che si accompagnano a questa reazione è anch'esso piuttosto consunto seppure naturalmente muove da una giusta critica, quella al consumismo, alla mercificazione delle relazioni sociali e al ruolo che rivestono dentro il sistema di sviluppo in cui viviamo le feste comandate. Ma è l'obbiettivo di queste critiche ad essere controproducente. Contribuire alla canea mediatica contro chi si sta dando alle spese natalizie ci fa perdere di vista il vero punto, cioè la stretta connessione, attraverso proprio la mercificazione, tra consumo di massa e riproduzione sociale sotto l'attuale regime capitalista.
In quanti abbiamo notato negli anni il progressivo trasmigrare degli anziani dai circoli ricreativi (sempre meno) e dai parchi cittadini (mentre sparivano panchine e fontane in giro per le città con la scusa del decoro) ai bar dei grandi centri commerciali? In quanti abbiamo visto che di fronte a una sempre maggiore penuria di eventi sociali e culturali a carattere pubblico questi si siano moltiplicati tra le mura di note catene multinazionali? Quanto le grandi concentrazioni del consumo hanno frammentato i rapporti di vicinato?
Tutti questi esempi banali e autoevidenti sottolineano dei meccanismi più complessivi che hanno a che fare con la privatizzazione degli spazi, la sussunzione della "socialità" e dell'affettività alla valorizzazione capitalistica, con l'emergere del lavoro di "consumo" come una vera e propria attività ordinata, organizzata e incorporata.
Il nodo del lavoro di "consumo" è tutt'altro che privo di ambivalenze a partire dall'alienazione che genera. La relazione tra questo e la riproduzione sociale è anch'essa evidente ma non scontata negli effetti e nelle conseguenze. Per esempio: è giusto e ha senso fare delle campagne contro le catene della GDO dal lato del consumatore, ma per i soggetti che sono più coinvolti nella riproduzione sociale (soprattutto le donne) fare la spesa in un grande centro commerciale piuttosto che in piccoli negozi o botteghe vuol dire un risparmio di tempo non indifferente che si può spendere nello svolgere altre mansioni o nel ritagliarsi uno dei pochi momenti di relax. Questo risparmio nel tempo di lavoro di "consumo" nell'esperienza individuale diventa tanto più necessario tanto più si è soggetti a sfruttamento ed altre forme di dominio. In un modo simile si può guardare alle campagne che lanciano il boicottaggio di Amazon e altri siti di e-commerce: sono campagne sacrosante, ma devono sfuggire dalla logica della colpevolizzazione di chi utilizza questi mezzi perché risparmia o perché spreca meno del proprio tempo.
Per ragionare su questi piani è anche necessario uscire dalle logiche delle efficienze primarie: considerazioni del tipo "Non è che si stanno comprando il pane, ma lo smartphone" oppure "per una volta si può rinunciare ai regali di Natale" naturalmente sono di buon senso, ma non colgono un aspetto fondamentale. Occorre considerare anche queste attività in maniera più complessiva come nodi della riproduzione sociale sotto il regime capitalista. Come ci si veste, cosa si regala, come si consuma in poche parole fanno parte del modo in cui ci si costruisce una legittimità sociale, si contribuisce a costruirsi delle possibilità di ascesa sociale e purtroppo anche si socializza attraverso la mediazione della merce.
Ovviamente tutti questi aspetti della riproduzione sotto il capitalismo fanno i conti con enormi contraddizioni. La pandemia ne ha evidenziate molte: la distanza tra il valore d'uso e il valore di scambio della merce, il nodo dell'assenza di reddito di fronte all'insistenza della retorica della realizzazione nel consumo, la resistenza delle relazioni umane a farsi unicamente funzionali alla valorizzazione, la contraddizione tra il consumo infinito di qualsiasi materia con un potenziale di messa a profitto ed i limiti ecologici.
In queste contraddizioni tocca immergersi per provare a costruire degli itinerari di lotta contro la mercificazione che vadano oltre alla sostituzione di scarpe alla moda e spumante con monopattini elettrici e borracce ecocompatibili.
In questo senso bisogna evitare che la giusta avversione verso il consumismo (tanto più in questo momento) si trasformi nel rafforzamento delle retoriche antipopolari del potere che senza mezzi termini ci dice che è fondamentale continuare a consumare, ma non continuare a vivere. I responsabili delle nostre condizioni di vita, dei ricatti a cui siamo sottoposti sono chiari ed evidenti, cerchiamo di non renderci strumenti del loro teatrino, ma di costruire le possibilità per cui queste contraddizioni maturino e diventino orizzonte di una prospettiva di massa per farla finita con questo ingiusto e necrogeno sistema di sviluppo.
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corallorosso · 5 years
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Violenza sulle donne, il vicesindaco scherza sullo stupro. Ma non fa ridere per niente di Nadia Somma, attivista presso il Centro antiviolenza Demetra C’è una lotteria di Paese per la festa di Santa Viola e lui sale sul palco con scritto sulla maglietta “se non puoi sedurla puoi sedarla”. Lui si chiama Loris Corradi, 35enne, geometra, vicesindaco di Roverè Veronese e tesserato di Fratelli d’Italia. Fa parte di un partito che tuona contro lo stupro delle donne, soprattutto se commesso da immigrati, e pensa di poter scherzare sullo stupro. La rete nazionale D.i.Re. chiede “le sue dimissioni subito” perché “in un paese civile le istituzioni non possono tollerare una palese istigazione allo stupro che non fa ridere per niente” e mentre altre proteste si uniscono a quelle dei centri antiviolenza, la sindaca Alessandra Caterina Ravelli resta in un silenzio imperdonabile e tace anche la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Che cosa aspettano a chiederne le dimissioni? Chissà con quale spirito Loris Corradi ha scelto di indossare quella maglietta. Chissà con quale autocompiacimento. Si sarà sentito spiritoso e macho il vicesindaco? Ogni giorno in Italia ci sono donne vittime di stupri commessi anche quando non sono coscienti, perché sotto l’effetto dell’alcol o di sostanze come la droga dello stupro. Lo scorso mese di aprile Francesco Chiricozzi e Riccardo Licci, due consiglieri di CasaPound, altra formazione politica di estrema destra pronta a condannare lo stupro solo se commesso da immigrati, vennero arrestati con l’accusa di aver stuprato una donna. Si erano anche filmati mentre facevano la “prova del braccio” sulla vittima, una donna di 36 anni stordita e inerme. Due uomini coerenti con la sottocultura dello stupro che colpevolizza le vittime e fa della violenza sessuale una questione di potere e spartizione di donne tra uomini. Per costoro non si deve disporre delle donne altrui ma si può, anzi si deve, in nome del machismo, esercitare il dominio sui corpi delle “proprie” donne. Quale civiltà si può costruire quando chi ricopre cariche istituzionali promuove pubblicamente la goliardia sullo stupro? Loris Corradi ha strizzato l’occhio al sessismo e alla sottocultura violenta e misogina, e ha trovato la complicità maschile sia tra gli stupratori che tra gli uomini che non commetterebbero violenze, ma che su un invito allo stupro riescono a ridere. @nadiesdaa
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pleaseanotherbook · 6 years
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Te la sei cercata di Louise O’Neill
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Il mio corpo non mi appartiene più. Ci hanno marchiato sopra i loro nomi.
“Te la sei cercata” è la traduzione italiana di “Asking For It” di Louise O’Neill uscita da pochi giorni per Il Castoro. Una storia di denuncia che colpisce dritto al cuore del lettore, senza lasciargli scampo. Il ritratto di una società che si accartoccia sulle sue debolezze, i suoi pregiudizi, le sue ridicole scusanti. Perché è più facile tirarsi indietro che lottare davvero per cambiare le cose.
In una cittadina di provincia dove tutti si conoscono, Emma O’Donovan è diversa. Lei è speciale: diciotto anni, bellissima, popolare, potente. È sempre perfetta e ama essere desiderata. Tutte le ragazze vorrebbero essere sue amiche, e tutti i ragazzi vorrebbero uscire con lei. Fino a quella notte. A quella festa d’estate, Emma era troppo ubriaca per rendersi conto di cosa stava accadendo, troppo ubriaca per dire basta, troppo ubriaca per ricordare. Ma quelle immagini, quelle fotografie che tutti hanno visto online, significano che non potrà mai dimenticare. E dopo la violenza comincia un nuovo incubo: Emma era speciale, ma ora è solo una fonte di imbarazzo. è sulla bocca di tutti, assurdamente additata e accusata. Davvero se l’è cercata? Davvero è sua la colpa? Senza punti di riferimento, Emma comincia a dubitare persino di se stessa. 
Leggere questo libro non è facile, non è riposante, non lascia scampo alle riflessioni più acute, alle pugnalate più profonde. Perché non è mai una questione semplice, pulita, che va dal punto A al punto B. Perché in mezzo ci sono mille recriminazioni che mi lasciano interdetta. La O’Neill non si ferma, non si oppone, non si lascia intimorire e mette a nudo tutte le brutture che si annidano in seno alla nostra società. Perché in fondo ci fregiamo del titolo di una cultura avanzata, di una tecnologia che fa passi da gigante, eppure, siamo ancora pieni di contraddizioni, ci facciamo ancora trascinare da un mondo atroce, che si perde in seno a propensioni, maschilismi, quel tanto proclamato patriarcato che distrugge i tentativi di fuga. Ogni apparente passo in avanti è accompagnato da dieci passi indietro, in lasciti sempre più negativi, in ritratti sempre meno lusinghieri. Emma O’Donovan vive nella provincia irlandese, in una cittadina, Ballinatoom, come ce ne sono tante, la fotocopia di sobborghi perduti in ogni angolo del mondo. Emma è l’icona della popolarità, è bella, benvoluta, insediata nella sua scuola in cima alla scala sociale, circondata dal rispetto di ogni ragazza della sua scuola, corteggiata da ogni ragazzo del circondario. Invidiata da tutti, desiderata dai ragazzi, invidiata dalle ragazze. Con un carattere difficile, gelosa della ricchezza di una delle sue migliori amiche, sembra quasi che tutto le sia dovuto, in un omaggio alla sua bellezza. Tutto sembra perfetto, sembra che Emma abbia il mondo ai suoi piedi, e poi arriva il momento in cui tutto cambia, in cui tutto il suo mondo sfavillante va in frantumi. Emma O’Donovan viene violentata ad una festa. L’evento apre le porte per una spirale che la porterà in un pozzo senza fondo. Emma passa in varie fasi, ma senza scampo viene dichiarata colpevole di tutto ciò che accade. Trasformata in un oggetto, in parti del corpo, etichettata come una “facile”, una poco di buono, diventa il simbolo di una colpa, di un qualcosa da nascondere sotto il tappeto. Nessuno le offre il suo appoggio o la sua solidarietà, tutti, sia chi le crede, che chi inneggia al “te lo sei cercata”, tutti, la trattano come se non esistesse. Emma perde di personalità, di spessore ed è solo la ragazza di Ballinatoom nel bene e nel male. La O’Neill mostra tutta la bruttura che circonda un evento del genere, senza affievolire nulla. Ogni istante siamo nella testa di Emma, nella condizione insopportabile di vivere le conseguenze dello stupro, delle azioni di un gruppo di adolescenti che mai riesce a rendersi conto della gravità delle loro azioni. Quelli erano il fiore della cittadina, una promettente stella della squadra di calcio, gente per bene, bravi ragazzi, che si nascondono dietro la facciata pulita del “loro non hanno fatto niente”. Ed è questo il problema, siamo in una società che colpevolizza le vittime, in cui nessuno è al sicuro, perché piuttosto che ammettere che un uomo non riesce a concepire il no, che non si rende conto che l’incoscienza non è una giustificazione agli atti mostruosi che perpetrano, saremo tutti in pericolo. Ed è questo che la O’Neill cerca di mettere in luce, un mondo che si scaglia contro le vittime, che non protegge gli innocenti, che condanna senza lasciare scampo. La gogna mediatica che si scatena intorno ad Emma la porta in una spirale sempre più negativa, in una perdita di voglia di vivere e di intenzioni. Ogni sua scelta viene condizionata da quell’evento, tutta la sua famiglia viene distrutta da quella singola azione, ogni aspetto della sua esistenza diventa inconsistente nei confronti di chi non ha mosso un dito per proteggerla, per sostenerla. Emma è sola a combattere una battaglia per la sua vita che sembra sempre più inutile. Ed è sconvolgente come alla fine sia la negazione e quel senso spietato di solitudine a dettare ogni azione. È desolante rendersi conto che la nostra società giustifichi tutto quello che capita a Emma, anzi sembra quasi sostenerlo.
 Il particolare da non dimenticare? Un trampolino…
 La scrittura spietata della O’Neill sottolinea l’impotenza di una ragazza che si credeva in cima al mondo e si ritrova in un baratro da cui è impossibile uscire. Sei libri possono ferire, “Te la sei cercata” ne è la dimostrazione, una pugnalata, un grido disperato di aiuto, per una presa di coscienza che dovrebbe aiutare a cambiare il mondo.
Buona lettura guys!
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