#droga leggera
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Perché rendere legali le droghe leggere.
Legalizzare la droga leggera significa sottoporla a controllo di laboratorio, produrre sostanze di qualità, senza agenti nocivi. Si crea una filiera, fra produzione e controllo, che aumenta le opportunità lavorative e toglie tali sostanze alla malavita e alla politica corrotta.
Sono favorevole alla legalizzazione delle droghe leggere, consapevole che a costituire enorme danno sociale (morti, incidenti, malattie, violenza domestica e su minori, risse in luoghi pubblici) è l'alcool, non le droghe leggere.
Si fa già uso di cannabis in Italia, quanto di alcool: o si legalizzano tutte, creando Cultura e informazione corretta sull'uso di sostanze (alcool compreso, che è tossico), oppure si proibiscono tutte - facendo felice la malavita, che non aspetta altro.
Se la politica, se i governi italiani non prendessero tangenti dalle organizzazioni criminali, avrebbero già da tempo reso la Cannabis Legale, dato che in Italia si muore parecchio per alcool, non per uso di cannabis. La malavita ha bisogno di proibizionismo.
#cannabis legale#droga#droga leggera#legalizzare#controllo#laboratorio#sostanza#qualità#nocivo#filiera#produzione#opportunità#malavita#politica#corruzione#favorevole#danno#danno sociale#alcool#morti#incidenti#violenza#italia#alcol#Cultura#informazione corretta
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La Cannabis Legale è 'pericolosissima': aumenta il rischio di malattie coronarie per le associazioni a delinquere e la politica italiana corrotta.
Attualmente, in Italia, l'alcool è un grosso problema sociale - causa di incidenti, molestie anche a minori, risse in locali pubblici, decessi per l'abuso... - ma viene demonizzata, ridicolmente, la droga leggera, solo per fare un piacere alle associazioni a delinquere.
Un comune cittadino di Amsterdam, smette di lavorare e può andare a ricrearsi coi colleghi in uno dei molti locali dove si vende cannabis certificata (che non comporta danni alla salute) e poi prendere un mezzo pubblico, fra i tanti a disposizione, per tornare a casa.
In Italia, l'alcool (che è DROGA e sostanza ALTAMENTE tossica) è venduto liberamente, ma NON sono state apportate le DOVUTE modifiche urbane NECESSARIE affinché chi decide di consumarlo in un locale possa poi usufruire, ovunque, di un ECONOMICO mezzo di trasporto PUBBLICO.
E' giusto fare informazione, anche a scuola, sui pericoli da uso di 'sostanze'? Si: i più giovani vengono a contatto con alcool, tabacco, e pure caffè in famiglia: spesso i familiari non hanno adeguati argomenti per educare un ragazzo ad una Libertà Consapevole.
NON POSSIAMO vietare alle persone di ricavare PIACERE, Relax dall'uso di sostanze - soprattutto in una realtà esistenziale COMPLESSA per i molti (per chi non è nato privilegiato), dove hai bisogno di staccare la spina dai quotidiani problemi per non cadere in depressione.
L'uso di sostanze è trasversale: può farlo un comune cittadino, quanto un intellettuale; la ricerca del Piacere è connaturata negli esseri umani: gli ESSERI UMANI cercano il Piacere, non il sacrificio, non il dolore, non il martirio - che sono distorsioni morali.
#Cannabis#Cannabis Legale#associazioni a delinquere#politica italiana corrotta#corruzione#alcool#droga leggera#molestie#risse#incidenti#morti#droga#sostanza tossica#mezzo pubblico#locale pubblico#Italia
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@meriadocco (il meglio)
https://twitter.com/meriadocco
------------------------------------------------------------------------------Il consumo di sostanze psicotrope non ha nulla a che fare col divenire fortemente irrazionali: col non saper quello che si dice, come ci si comporta: con non avere il pieno controllo delle conseguenze relative alle proprie azioni (soprattutto verso terzi).
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#comefosseantani#@meriadocco#420day#Spini Nel Fianco#cannabis legale#cannabis#droga leggera#Spinelli d'Italia
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11 giungo 2011
I nomi degli artisti che si sono esibiti al gay pride di Milano non me li ricordo. È una grossa differenza con l’ultimo gay pride a cui sono stata nel lontano 2011, anno in cui io stavo per compierne 30 e decisi di andare da sola a percorrermi l’ultimo tratto perché volevo, anche, sentire Lady Gaga al circo massimo. Sì perché nel 2011 vivevo a Roma e adesso, 2023, vivo a Milano, o quasi.
L’11 giugno del 2011 abbiamo festeggiato i 30 anni del mio migliore amico in campagna dai suoi, a Rieti. Bellissimo posto, bellissima cascina, bellissima compagnia. Eravamo già abbastanza grandi da essere ognuno in un posto diverso del mondo, infatti Nando era tornato da Grenoble, Manu dalla Svizzera, Tommaso da Berlino, Riccardo da Cambridge e io stavo per andare via, dopo 13 anni di vita, dalla città che mi aveva cresciuto. Il 2011, io ero già alla terza o quarta vita, avevo già vecchi amici che non avrei più rivisto, avevo cambiato già 15 case, due continenti, diversi paesi e stavo per compiere 30 anni, non ero felice. L’11 giugno del 2011 non avevo una casa in cui tornare a dormire, ero una vagabonda, tre anni di convivenza finiti, lavoro precario, sottopagato e frustrante, una vita sessuale randagia, poligamica e insoddisfacente. Finita la festa me ne sono andata al pride, volevo sentire Lady Gaga, presentava il suo secondo album e mi sa che cantò The edge of Glory? Possibile, ho questo ricordo, il circo massimo era stracolmo e i carri del sound erano quelli dei centri sociali e delle organizzazioni non profit sul territorio, qualche partito esponente dei diritti umani. Io ero da sola e fu un momento catartico. Quella sera, me ne andai dal circo massimo e mi chiamò Nando che era in giro, ci trovammo a Monti a bere birra, ad un certo punto ci raggiunsero anche Riccardo e Tommaso e Daria e ce ne siamo andati in giro a bere birra dei bangla e sederci sui gradini per il rione, una calda sera quasi estiva a Roma ho deciso di mollare tutto a andarmene da quella città soffocante e decadente, lontana e diversa da quella che mi aveva accolto. Quella notte restammo con Nando ad aspettare il bus con cui tornava a casa e poi a Grenoble, non l’ho più rivisto, se non in video call. Adesso vive negli USA. Riccardo era andato via poco prima. L’ho rivisto al concerto di Manuchao, qui a Monza, qualche anno fa. È tornato a Roma adesso. Tommaso, Daria ed io passammo la notte insieme, a casa di Daria, in tre nello stesso letto. La mattina prestissimo (poche ore dopo esser tornati) prima di partire per Berlino, lui ci diede un bacio sulla guancia ad entrambe, con delicatezza per non svegliarci e se ne andò in silenzio. Lo ricordo ancora adesso. Lui non è più a Berlino, fino prima della guerra credo fosse in Russia, adeso non saprei. Non l‘ho più rivisto. Io avrei lasciato Roma da lì a poco.
Sabato scorso sono stata al gay pride di Milano, dodici anni dopo.
Sono andata con i mio compagno, una coppia di amici e il loro bambino. Non avevo un goccio di alcol in corpo e nemmeno della droga leggera. Pulita. Ero comunque vestita da zoccola.
I carri col sound non erano più quelli dei centri sociali e delle organizzazioni, ma c’erano quelli degli sponsor, senza i quali oggi la parata sarebbe impossibile, c’era quello della CocaCola, che ai miei tempi si boicottava perché ammazza(va) i sindacalisti in Colombia, c’erano le banche e le corporation.
È anche perché, a scopo di marketing, queste realtà si espongono che la comunità LGBTQI+ ha una voce con una cassa di risonanza, come dice un mio amico.
È anche perché il mercato si è accorto di “loro” che le cose sono cambiate e stanno cambiando in meglio per “loro”, anche, non solo.
Mi da fastidio vedere il carro della CocaCola? All’inizio ero perplessa, ma poi ho pensato che ognuno ha le proprie lotte da vincere, avremo sempre delle lotte da vincere, perderemo dei pezzi, non sapremo a volte quando un saluto è stato effettivamente l’ultimo saluto, cambieremo pelle e chissà se la vita dei sindacalisti ammazzati non sia valsa un passo in più nella lotta, io non posso sapere tutto, non voglio sapere tutto.
Ogni processo tende a complicarsi, se il flusso porta miglioramento allora credere nel flusso.
Devo per forza credere nel flusso.
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- Immaginiamo che io venga da te e ti dica ciao. Tu rispondi?
-- Ciao.
- Esatto. E immaginiamo che me ne esco con una frase stupida che neanche un primate userebbe.
-- Tipo?
- Tipo che ne so, tipo “Fa freschetto eh?”
-- Ma siamo a luglio!!
- Infatti, per questo neanche un primate la userebbe.
-- Non fa una piega.
- Supponiamo che ti offra da bere, ma una cosa leggera sennò pensi male.
-- Penso male?
- Tipo che voglio farti ubriacare.
-- Potrei pensarlo.
- Una coca-cola dunque.
-- Con ghiaccio.
- Se volessimo esagerare, sì.
-- E fetta di limone, toh!
- Un carnevale di Rio proprio.
-- E poi? Che supponiamo?
- Supponiamo che parliamo tutta la sera e scopri che sono simpatico.
-- Sì...
- E che forse saresti disposta a uscire insieme.
-- Sì...
- Supponiamo che ti porto in un piccolo locale in un vicoletto di Trastevere, con le sedie un po’ scricchiolanti e le porzioni di carbonara abbondanti.
-- E il vino in brocche scheggiate.
- Con le piante rampicanti che salgono fino agli appartamenti sopra di noi.
-- Si.
- Supponiamo che poi facciamo una passeggiata e ci ritroviamo al ponte, davanti tipo a Castel Sant'Angelo con qualche tizio che suona “Wish you were here” seduto per terra, l'aria un po’ umida appiccicosa perchè mi pare di aver capito che non può fare freschetto giusto?
-- Giusto!
- E stiamo lì, insomma s'è mangiato bene, s'è riso, sei bellissima, la grattachecca di Sora Lella ci ha ghiacciato il cervello e ci sono pure i grilli che fanno un live tipo come al Circo Massimo
-- Si...
- Eh, metti caso che ti bacio.
-- Mh??
- Quante probabilità ci sono che io poi abbia il profumo dei tuoi capelli riccissimi addosso?
-- Beh, non saprei... Qualcuna...
- E supponiamo che nei giorni seguenti io ti chiamo, tu mi chiami, ci chiamiamo insomma, e scopri che oh, in fondo capisci che mi piace farti ridere perché quel sorriso è tipo la droga più pericolosa mai scoperta dagli scienziati premi Nobel.
-- Si...
- Quante probabilità ci sono che da lì in poi tu cominci a innamorarti di me?
-- Più di qualcuna direi...
- Bene, perché altrimenti eravamo davvero nella merda sai?
-- Perché?
- Perché io ho cominciato a innamorarmi già dal “ciao”.
Tommaso Fusari
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Storia Di Musica #271 - New Order, Power, Corruption & Lies, 1983
4 ragazzi di Manchester fecero una promessa, una volta creata la loro band: se uno di noi fosse andato via, la band sarebbe finita. Probabilmente non pensavamo che l’abbandono di uno dei componenti fosse definitivo. L’infausto 18 Maggio 1980, Ian Curtis, cantante dei Joy Division, viene trovato morto nella sua casa al numero 77 di Barton Street a Macclesfield: suicidio. La band si scioglie in quell’esatto momento, mentre l’album testamento, finito da poco, Closer, regala al mondo l’ultima perla oscura di quella band formidabile. Bernard “Albrecht��� Dicken, nome d’arte Bernard Sumner (voce e chitarra), Stephen Morris (basso e voce) e Peter Hook (batteria) cambiano subito nome, e diventano New Order. Sono passati pochi mesi, siamo nel settembre del 1980, quando esce con questa sigla Ceremony \ In A Lovely Place, scritte in precedenza come Joy Division. Ancora confusi, scelgono una tastierista, Gillian Gilbert, e registrano un nuovo singolo, Everything’s Gone Green, che anticipa il primo disco, Movement. Legati a doppio filo all’esperienza precedente, con Sumner che cerca invano di somigliare a Curtis nel canto, idee lasciate allora e riprese con confusione, l’ancora irrisolto problema della presenza-assenza del cantante, decisamente imponente. Eppure il seme viene già gettato: seguendo i nuovi ritmi elettronici, diffusi anche dalla loro leggendaria etichetta, la Factory, che non era solo una casa editrice musicale, ma una comune artistica che segnerà l’estetica britannica e non solo, decidono di virare sui suoni dance, e Dreams Never End, Truth e Denial segnano la strada. Visto l’insperato interesse, dovuto anche all’emozione dei reduci, la Factory piazza subito una antologia di singoli, e c’è più tempo e idee da sviluppare per il secondo disco. Che arriva nel 1983, fresco e originale, spazzando via l’idea che i New Order fossero i fratelli poveri dei Joy Division. È un disco dove il basso di Hook è il gancio (proprio il caso di dirlo) con la ritmica meccanica e oscura dei Joy Division, profetizzata dal loro produttore Martin Hannet, che però si apre a riff ariosi, al canto “naturale” e non più scimmiottato di Sumner, alla batteria che si divide con la drum machine, al tappeto delle tastiere della Gilbert. Nasce un suono che farà scuola, e che segnerà la new wave. Power, Corruption & Lies sono tre parole che Gerhard Richter, un artista tedesco, scrive a bomboletta fuori da una mostra a Colonia nel 1981 come atto di vandalismo. Inizia con l’aria scanzonata e fresca di Age Of Consent, primo grande brano del gruppo, una cavalcata leggera di chitarra e voce, sorprendente. La canzone finisce così: Do you find this happens all the time\Crucial point one day becomes a crime\And I'm not the kind that likes to tell you\Just what I want to do\I'm not the kind that needs to tell you\I've lost you, I've lost you, I've lost you, I've lost you. Il gruppo sperimenta la disco (The Village), le lunghe introduzioni (We All Stand), sperimenta anche nella lunga 5 8 6, intricata e manifesto del synth pop. Altre canzoni meravigliano: Your Silent Face, con arrangiamento orchestrale, verrà citata persino da Bret Easton Ellis nel suo famoso romanzo Le Regole Dell’Attrazione (che è del 1987). Ecstasy è il lato chimico della Manchester del periodo, capitale indiretta della diffusione dell’Mdma come droga delle discoteche. Ultraviolence e soprattutto Leave Me Alone, magnifico strumentale, senza macchina ma fatta solo “dagli uomini”, sono il sigillo di un disco che attraversa il dolore con la passione dei Kraftwerk innestata sull’oscura magia del suono Joy Division, che rimarrà sempre nel loro animo. Il disco passa alla storia anche per la leggendaria copertina, opera di un grande artista e animatore della Factory, Peter Saville (che è l’autore dei quelle eccezionali dei Joy Division). Saville trova per caso una cartolina della National Gallery, che rappresenta una natura morta floreale, A Basket of Roses, opera del pittore francese Henri Fantin-Latour del 1890. Di lui, in un passaggio de Alla Ricerca Del Tempo Perduto, dirà Marcel Proust: “‘Molte mani di giovani donne sarebbero incapaci di fare ciò che ho visto là’ disse il principe indicando gli acquerelli iniziati da Madame de Villeparisis. E le chiese se aveva visto il quadro di fiori di Fantin-Latour esposto alla recente mostra”. Saville dirà sempre che “I fiori suggerivano come potere, corruzione e menzogne si infiltrano nelle nostre vite. Sono seducenti” e sceglie il quadro per la copertina. Ci aggiunge un tocco dadaista: nell’angolo in alto a destra ci sono una serie di quadratini colorati, sequenza che si può decifrare grazie a una ruota cromatica messa sul retro della copertina. Una volta risolto, il codice cromatico restituisce la scritta “FACT 75”, cioè la 75esima release di Factory Records. I New Order continueranno a suonare, e Low-Life del 1985 saluta il post punk e con Subculture e The Perfect Kiss aprono la strada al technopop. Rimangono una band che ha saputo saltare l’ostacolo, un ostacolo gigantesco, sulla cui lapide c’è scritto il suo verso più famoso: L’amore ci farà pezzi.
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" La cannabis è uno stupefacente "
Quando sei evidentemente tossicodipendente, ma non sai bene di cosa ti fai.
A definire la cannabis uno stupefacente è la stessa associazione Meglio Legale, in un tweet del 3 giugno 2003; coloro che vogliono la droga libera per scopo ludico, però, non sanno nemmeno di cosa parlino: ciò prova che la droga leggera, tanto leggera non sia affatto, visto che non concede a chi ne faccia uso nemmeno di sapere di cosa parli.
Qui, il post per intero:
Per essere solo una pianta, la cannabis, ne fa di danni, però.
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Non ho bisogno di alterare la mia coscienza con una droga leggera: se e come mi senta triste, sono capace di far fronte al brutto periodo facendo leva sulle mie risorse: attraverso l'ironia.
Marijuana a scopo ludico? No, grazie.
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- Immaginiamo che io venga da te e ti dica ciao. Tu rispondi?
- Ciao.
- Esatto. E immaginiamo che me ne esco con una frase stupida che neanche un primate userebbe.
- Tipo?
- Tipo che ne so, tipo “Fa freschetto eh?”
- Ma siamo a luglio.
- Per questo neanche un primate la userebbe.
- Non fa una piega.
- Supponiamo che ti offra da bere, ma una cosa leggera sennò pensi male.
- Penso male?
- Tipo che voglio farti ubriacare.
- Potrei pensarlo.
- Una coca-cola dunque.
- Con ghiaccio.
- Se volessimo esagerare, si.
- E fetta di limone, toh!
- Un carnevale di Rio proprio.
- E poi? Che supponiamo?
- Supponiamo che parliamo tutta la sera e scopri che sono simpatico.
- Si.
- E che forse saresti disposta a uscire insieme.
- Si.
- Supponiamo che ti porto in un piccolo locale in un vicoletto di Trastevere, con le sedie un po’ scricchiolanti e le porzioni di carbonara abbondanti.
- E il vino in brocche scheggiate.
- Con le piante rampicanti che salgono fino agli appartamenti sopra di noi.
- Si.
- Supponiamo che poi facciamo una passeggiata e ci ritroviamo al ponte, davanti tipo a Castel Sant'Angelo con qualche tizio che suona “Wish you were here” seduto per terra, l'aria un po’ umida appiccicosa perchè mi pare di aver capito che non può fare freschetto giusto?
- Giusto.
- E stiamo lì, insomma s'è mangiato bene, s'è riso, sei bellissima, la grattachecca di Sora Lella ci ha ghiacciato il cervello e ci sono pure i grilli che fanno un live tipo come al Circo Massimo
- Si?
- Eh, metti caso che ti bacio.
- Mh?
- Quante probabilità ci sono che io poi abbia il profumo dei tuoi capelli riccissimi addosso?
- Non saprei. Qualcuna?
- E supponiamo che nei giorni seguenti io ti chiamo, tu mi chiami, ci chiamiamo insomma, e scopri che oh, in fondo capisci che mi piace farti ridere perché quel sorriso è tipo la droga più pericolosa mai scoperta dagli scienziati premi Nobel.
- Si?
- Quante probabilità ci sono che da lì in poi tu cominci a innamorarti di me?
- Più di qualcuna direi.
- Bene, perché altrimenti eravamo davvero nella merda sai?
- Perché?
- Perché io ho cominciato a innamorarmi già dal “ciao.
Tommaso Fusari - Calcolo delle probabilità
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Arrestato in Spagna l'uomo sfuggito all’operazione “Perseverant”
Arrestato in Spagna l'uomo sfuggito all’operazione “Perseverant” Sebastian Ionut Gutuman, 23 anni, aveva trovato rifugio a Pamplona, la città spagnola famosa per la corsa dei tori, sfuggendo così all’operazione “Perseverant”, la retata del 29 febbraio scorso condotta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria che, coordinati dal Procuratore Emanuele Crescenti e dal Sostituto Procuratore Davide Lucisano della Procura di Palmi, avevano fatto luce sui flussi di droga fra i giovani della Piana di Gioia Tauro. A dare avvio alle investigazioni dei militari dell’Arma, in quella occasione, era stata la denuncia sporta dal padre di una giovane assuntrice di sostanze stupefacenti che, vista la brutta china che stava prendendo la figlia, aveva deciso di deporre l’orgoglio di genitore e confidare la dipendenza della ragazza ai Carabinieri delle Stazioni di Taurianova e di San Martino di Taurianova. Gli approfondimenti successivi fatti dagli investigatori, avviati nel marzo del 2020 e conclusi anni dopo, accertavano i timori dell’uomo, riscontrando l’esistenza di un florido mercato della droga leggera e pesante, con base a Taurianova e ramificazioni a Rosarno, Platì e Gerocarne, dove avevano base i fornitori del narcotico. Sottrattosi fortuitamente all’arresto e convinto di essere ormai fuori dal raggio di azione dei militari dell’Arma, il catturato e la sua famiglia conducevano a Pamplona una vita normale, in totale anonimato. Non immaginavano, distanti migliaia di chilometri dalla Calabria, di avere comunque il fiato dei Carabinieri sul collo. Già prima delle catture, infatti, gli investigatori erano riusciti a bucare il circuito di telefoni “citofoni” utilizzato dal Gutuman e dai suoi correi e ne monitoravano la quotidianità. Non è così sfuggito loro quando la madre dell’odierno arrestato, parlando con un parente, ha rivelato di aver lasciato l’Italia e di essere in Spagna. Immediata l’attivazione del Servizio di Cooperazione Internazionale del Ministero dell’Interno, che, presi contatti con la controparte spagnola, ha permesso lo scambio di informazioni fra Carabinieri e i gendarmi della Guardia Civil. Ed è così che, in forza del Mandato di Arresto Europeo emesso dal Tribunale di Palmi, per il ricercato 23enne sono scattate le manette. Ritornato ora in Italia, attende il processo sottoposto a misura cautelare. Con Gutuman, i Carabinieri hanno assicurato alla giustizia tutti gli indagati dell’operazione “Perseverant” colpiti da provvedimento restrittivo del GIP di Palmi. Il procedimento è attualmente pendente in fase di indagini e l’effettiva responsabilità della persona destinataria della misura cautelare, in uno con la fondatezza delle ipotesi d’accusa mosse a suo carico, saranno vagliate nel corso del successivo processo. Non si escludono ulteriori sviluppi investigativi e probatori, anche in favore della persona sottoposta ad indagini. ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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26. (Lo zoo)
Il gorilla era stanco. Poggiava le chiappe sul cemento. Forse cercava il fresco. In generale non era un granché, lo zoo. Lo avevo visitato qualche volta quando ero piccolo, e poi basta. Ad una certa età mi aveva messo malinconia. La stessa cosa mi era successa con il circo. La tromba di pierrot, lo sguardo annacquato dell’elefante. Allo zoo ci ero tornato solo oggi, in attesa dell’orario di apertura dell’ufficio. Al circo c’ero andato un’altra volta qualche tempo prima, ma ogni speranza era crollata sull’esibizione di un acrobata di mezza età, insostenibilmente pingue, che avrebbe potuto essere mio padre.
Più che altro, qui, erano gli odori a darmi fastidio. Il mio olfatto non è molto acuto, ma mi da una serie di stimoli da non credere. Il profumo dei capelli di una donna: è subito una storia. Il marcio da un bidone della spazzatura e rivivo i pomeriggi afosi del servizio militare. E così via.
Ero appena uscito dal rettilario trattenendo il respiro. Un ambiente chiuso e piccolo e sicuramente non molto ben tenuto. Tra l’altro mi sono sempre chiesto se ai serpenti ed ai gechi bastino, come dimensione vitale, quei parallelepipedi di vetro. C’è il fatto che i rettili non si lamentano, non sentiamo voci, urla, gemiti. Se ci fossero, queste cose, potrebbero avere il loro effetto. Se un gorilla mugugna continuamente, o peggio, strazia coi suoi versi, di sicuro gli cambiano posto, o fanno qualcos’altro. Il pubblico si muove, si emoziona. Il geco invece soffre come meglio può.
Il gorilla si rinfrescava le terga. E io uscivo dallo zoo per respirare un po’ d’aria fresca.
Al bar avevano il solito caffè freddo. Io avrei voluto la granita, di caffè. Anche questo era un ricordo dell’infanzia, quando potevo mangiare la panna, sì, ma il caffè mi era concesso a gocce. Era nero, quel caffè, aveva tutto l’aspetto di una cosa abbastanza tabù, e a me dava l’impressione di una droga cui i grandi erano quasi costretti. Ma con un certo piacere.
Un caffè normale, allora. Mi sono seduto al tavolino rotondo a guardare la fauna che c’era lì fuori. Qualcuno odorava peggio che allo zoo e forse erano anche più stronzi. Mancava un quarto d’ora. L’ufficio era aperto al pomeriggio per due ore. Mi ero deciso ad andarci, ma non è che stessi così male.
“Ufficio persone smarrite”- III° piano. Strano. Mi era capitato più di una volta di trovare gli uffici che cercavo al terzo piano dei palazzi. Chissà perché. Qualcosa di cabalistico. Avevo finito di leggere da poco “La donna della domenica” e così andavo fantasticando se in quegli uffici non stessero succedendo cose strane. Se ci fossero investigatori gay o complici involontari di un omicidio.
I pensieri che si stavano tingendo di rosso si sciolsero arrivando davanti alla porta. Sulla panchina del corridoio lunga tipo ospedale c’era una ragazza dall’aria persa, non una tossica. Almeno non lo avrei detto, ben vestita, senza cerchi blu, solo lo sguardo con qualcosa di indefinito, come se fosse altrove. Mi sono seduto, l’ho ignorata. Appena seduto per fortuna s’è affacciata una signora dalla voce acuta, cordiale, chiedendo di chi fosse il turno, la ragazza è entrata, il prossimo sarei stato io. Meno male. Ciondolavo le gambe nell’attesa, ma non dovetti aspettare molto. La porta si aprì di nuovo, toccava a me.
“Buongiorno!”- fece la donna. “Buongiorno.” “In che cosa posso esserle utile?” “Veramente non so se sono nel posto adatto. Questo è l’ufficio persone smarrite, giusto?” “E-sat-ta-men-te!!! E mi dica, chi cerca, lei?”
La signora era occhialuta. Una leggera montatura rossa. Bionda, sulla quarantina. Grassoccia, ma piacente. Sembrava che la vita non le desse fastidio. Avrei voluto farmi invitare a cena da lei, sembrava una col gusto del mangiare. Prima di darmi il tempo di rispondere si alzò. Prese da un piccolo frigorifero una bibita e la versò in un bicchiere di plastica.
“Ne vuole? Fa così caldo!” “No, grazie.” “Allora mi scusi. Ne bevo solo un sorso. Lei arriva in un momento di calma, ma sapesse che traffico c’è, qui, di solito. Adesso con le vacanze un po’ meno, ma quando ricomincia il tran tran è uno spettacolo. Da non credere, le dico. Tipi di tutti i tipi, non so se mi spiego. Il nostro ufficio serve a tutti!”
Che entusiasmo. Mi domandavo come mai potesse lavorare ed essere così brillante. La bibita è drogata, ecco. O ci deve essere qualcos’altro.
“Immagino cosa stia pensando. Lei è venuto qui col suo cruccio e si chiede perché io me la rida. Credo sia l’abitudine, sa? Un po’ come capita alle infermiere. Se non si anestetizzano un po’, non potrebbero reggere al dolore che incontrano. Per carità, qui è molto meglio, ma insomma, se uno sta lì a pensarci, ecco la tristezza che ti rotola addosso come un’onda, sembra piccola, e poi … ti travolge. E’ già successo, sa? Molti miei colleghi hanno mollato. Io ancora no. Deve solo farmi bere un po’ di succo di frutta, tutto qui.”
Cominciava a starmi sui nervi, ma la sua parlantina mi aveva temporaneamente azzerato. Le lasciai bere il succo giallastro. Quasi quasi m’era venuta voglia anche a me.
“Ecco fatto, mi dica.” “Beh, ecco … la persona che sto cercando … sono io. Credo di essermi smarrito.” “Sì.” “E’ un problema?” “Per carità! Non mi permetterei mai, sono qui per fare il mio lavoro, come le dicevo, e quindi lei ha ogni diritto di cercare chi vuole. D’altronde lei è capitato nel posto giusto. Per fortuna - credo non l’abbia letto sulla porta - questa è la sezione B, proprio quella che cerca lei. La sezione A, che è due porte più in là, si occupa per l’appunto di coloro che cercano altre persone che non siano se stesse. Che so, una donna, il nonno, il cognato. Le cognate veramente non le cerca nessuno! ... Era una battuta, mi scusi. Ci sono anche le sezioni per gli animali e gli oggetti … ma non divaghiamo. In realtà è molto semplice. Vede la porta alle mie spalle? Deve solo entrarci ed il resto è fatto. Poco fa ci è entrata la ragazza che era qui prima di lei.” “Cioè, mi sta dicendo che dovrei solo entrare là dietro e.. potrei ritrovarmi?” “Beh, veramente non proprio. Quella è la porta per le persone che vengono qui perché non si trovano più. Mi pare sia il suo caso, vero? Di sicuro non si muore, là dentro, se è questo che la preoccupa. Oddio, potrebbe succedere, ma d’altronde potrebbe succedere anche se restasse qui. E poi, mi scusi, ma il mio lavoro non si svolge oltre quella porta. Io lo faccio da questa parte. Pensi che una volta avrei voluto diventare una cantante lirica, ma tant’è, il lavoro è lavoro. Canto ancora qualche volta … a casa mia, si intende. Ad essere sincera domani ho le prove per un coro, sono emozionatissima!!! Speriamo che mi prendano. Quindi, le dicevo, se lei ritiene che la sua vita sia smarrita, non ha che da entrare.”
Beh, era un discorso strano, ma mi piaceva. Finalmente un posto dove andare, e poi, era chiaro, era proprio il posto per me. Non sarei morto. Forse. Di sicuro c’era almeno una ragazza e forse tanti altri, a quanto pareva. Le scorte dell’inverno. Quello che mi interessava più di tutto era entrarci e smetterla di aggirarmi come un grumo di fango senza aver trovato qualche sapore nei miei giorni. La mia vita non mi piaceva, era sciapa come una zuppa riuscita male, di quelle che preferisci mettere da parte piuttosto che ingoiare.
“Ha ragione.” – le dissi – “E’inutile che le faccia perdere tempo. Buongiorno.” “Arrivederla.”
La porta si aprì su una superficie sconfinata. Era come essere entrati in un gigantesco hangar. L’aria era leggera, non odorava di nulla. C’era tantissima gente, come in una fiera di paese, ma parlavano tutti a bassa voce. E tutti si muovevano in cerchio, lentamente, anche se forse era una mia impressione. C’erano persone di tutti i tipi e di tutte le età. Anche qualche bambino. Non ci avrei giurato, ma l’aria sembrava opaca. Le persone più lontane, infatti, camminavano in un velo lattiginoso. Non c’era altro da fare e mi misi a camminare in cerchio anch’io. Una domenica mattina. La passeggiata al centro. Una certa indifferenza. Sì. La cosa mi colpì. Questa gente non era felice. Ma nemmeno infelice. Era … eh, già. Era smarrita. I discorsi che si facevano erano uguali a quelli che si sentivano fuori, tanto che dopo un po’ m’ero quasi dimenticato di arrivare da un ufficio, da un altro mondo. E quel fatto di camminare così sommessamente, che, devo dire, non dava capogiri, alla fin fine era pur sempre qualcosa.
Poi mi venne un prurito al naso ed ebbi la sensazione di essere dentro ad un qualche inganno, senza poter dire di più. Mi girai allarmato. La porta da cui era entrato si distingueva appena. Avevo camminato abbastanza, in così poco tempo, da averla già quasi persa di vista? Non volevo più restare lì. Beh, era un posto orribile. L’aria non odorava di nulla, ma non era fresca. Non mi andava bene. Non mi andava ancora bene. Provai a correre, ma facevo fatica. Sì. Si faceva fatica a muoversi velocemente, in quel posto, specialmente al contrario. Era come risalire una scala mobile nel verso opposto, con la folla premuta addosso. Comunque mi misi a correre, spaventato. Corsi anzi come un pazzo, per quanto possibile. La porta era ancora lì. Nessuno mi fermò.
“Oh, bentornato!!!” – m’accolse lei. “Gra.. .grazie.” “Come è andata? Qualcuno ritorna, sa? Dicono che non è male, ma insomma …” “Già …”
Ci fu un silenzio fermo, d’attesa, lei mi fissava come se io avessi da dire ancora qualcosa. E infatti:
“Mi dica … perché c’è quella porta?” “Uh, che domanda. L’importante è che ne sia uscito, non trova? Vuole un po’ d’acqua?”
Lo zoo era ancora aperto. Avevo i sensi spalancati, non so perché. Dovetti farmi forza per non aprire tutte le gabbie.
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Credo di avere già confessato qui la mia passionaccia per le grandi battaglie del Codacons e –quando ne ho letto l’appello per la messa fuori commercio delle canzoni di rapper e trapper con testi violenti, incitanti al femminicidio, all’uso di armi, al consumo di droga – mi ero ripromesso di scandagliare la memoria alla ricerca di poco raccomandabili hit dei tempi miei. Per fortuna ho perso tempo e mi ha preceduto Michele Bovi, impareggiabile enciclopedia umana della musica leggera. Per fortuna perché, a differenza sua, non avrei saputo citare un Elvis Presley del 1955: «Ragazzina, preferirei vederti morta piuttosto che con un altro uomo», verso poi ripreso né più né meno dai Beatles in Run For Your Life. E neppure conoscevo il Piero Ciampi sinceramente pentito d’aver sferrato un pugno sul naso della fidanzata, ma in fondo ebbro nel guardarglielo e riguardarglielo perché «l’ho fatto io e non Dio». Tuttavia gorgoglio di autocompiacimento nel rifilare una chicca trascurata da Bovi, dal repertorio di Edoardo Bennato: «Conterò fino a venti / e se tu non ti arrendi / dopo io ti sparerò / però però / dopo anch’io mi sparerò». Spero così si sia data una mano al Codacons, sebbene l’impresa si prometta mastodontica: credo in tre quarti della produzione italiana sia rintracciabile qualcosa che non va (c’è chi trova maschilista pure Bocca di Rosa di Fabrizio De André). Forse si farebbe prima a mettere fuorilegge le radio, i dischi, lo streaming e persino le schitarrate in spiaggia per dare finalmente ragione a Massimo Troisi: la rovina dei giovani è cominciata coi capelloni, la minigonna e pure un po’col grammofono. (Mattia Feltri) post scriptum per gli affetti da dissonanza cognitiva: è un editoriale ironico.
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L'analfabetismo sul mondo virtuale di chi ti scriva qualcosa sotto un tuo tweet e poi ti blocchi, pensando che non ci sarà altro modo di leggere ciò che è stato pubblicato, è l'ennesima prova che la droga renda incapaci alcune persone, più di quanto lo siano già da sobrie.
Se lo scopo è dimostrare come la droga "leggera" faccia male alle persone, se consumata a scopo ludico, spini nel fianco ha trovato il modo giusto per farlo - e così la legalizzazione delle droghe leggere difficilmente verrà approvata da un governo civile.
Questa è la "capacità di argomentare" (e di avere comportamenti civili, che non possano ledere terzi), di chi fa uso di "droghe leggere" e fa "attivismo" affinché la cannabis diventi "droga legale".
La droga non ti rende poeta, scrittore, persona civile, se non lo sei già.
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Non ho bisogno di alterare la mia coscienza con una droga 'leggera': se e come mi senta triste, sono capace di far fronte al brutto periodo facendo leva sulle mie risorse: attraverso l'ironia.
Cannabis Legale a scopo ludico? No, grazie.
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Non basta legalizzare una droga, renderla sicura per chi la consumi: è fondamentale che chi la consumi abbia caratteristiche mentali per gestirla.
Considerata la preoccupante situazione mentale del gruppo denominato spini nel fianco (l'aggressività e la compulsività con la quale ogni giorno, costantemente, non fanno altro che chiedere droga legale - senza altro interesse personale (un film, un libro, un aforisma - non è possibile più considerare quale droga leggera il consumo di cannabis.
Quanto leggera possiamo considerare una droga per la quale gruppi di persone, passano ore e ore e ore, a non fare altro che chiederne la legalizzazione - e non da malati, da giustificati, ma da persone che non fanno altro nella vita: niente hobby e spesso manco un lavoro?
Il fattone che si espone a fare campagne per la legalizzazione, essendo aggressivo, e mosso da un impulso al consumo non cosciente, offre solo l'idea, a chi da fuori osserva, guarda, ascolta e poi si ritrova dentro coinvolto, che va bene legalizzare, ma va tolta subito a lui.
Non basta legalizzare una droga, renderla sicura per chi la consumi: è fondamentale che chi la consumi abbia caratteristiche mentali per gestirla - e questo vale per tutte le sostanze che alterino sensibilmente la coscienza, non permettendo quel controllo che sia ha da sobri.
La legalizzazione delle droghe leggere, se fatta bene, non porta a danni alla salute: le sostanze sono controllate nei principi attivi ed esiste corretta informazione: sai che non devi usare sostanze quando ti senti triste, perché l'effetto psicotropo acuisce tale stato.
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La cannabis uccide chi impone ai terzi di vivere una vita da martiri, lodando morte, crocifissione e sofferenza.
La droga leggera è nemica di chi ha bisogno di persone che soffrano e soffrano a lungo, per vivere nel privilegio di non lavorare, speculando sull'altrui dolore.
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