#dopo lavoro lisbona
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ti spiego....
COME FUNZIONA (Far nascere un'emergenza che non esiste) IL FINE Se lo scopo è (esempio) impedire che venga mangiata carne bovina, bisogna creare una realtà virtuale, simulare gli eventi e poi dettare un'agenda che consenta di arrivare allo scopo (iniettare un finto vaccino per ridurre la popolazione mondiale). IL MODUS OPERANDI 1) Tramite i media viene divulgata una notizia assolutamente inventata, ma plausibile, in modo che gli imbecilli che guardano i telegiornali inizino a provare i primi brividi. " A Lima sono stati ricoverate 10 persone (di cui una subito deceduta) con sintomi simili alla meningite batterica fulminante. Le 10 persone, di nazionalità ghanese, si sono sentite male dopo aver consumato tre giorni prima, durante un battesimo, una cena a base di carne cruda di manzo mantecata con ananas e spezie del luogo. Le notizie sono frammentarie, possiamo solo confermare che la carne bovina del locale è stata posta sotto sequestro per verifiche di laboratorio" Poi il giorno dopo "Si estende l'EPIDEMIA di meningite batterica da carne bovina (ECCO CREATA LA CORRELAZIONE), 287 (numero a cazzo) casi si sono verificati sempre a Lima, ma anche 142 (a caso) in argentina ed 1 caso sospetto a Lisbona (ECCO CHA ARRIVA LA PAURA). NOTA In questa fase tutti i casi di meningite batterica del mondo devono essere correlati alla carne bovina (ordini Gates & C) in modo che la pandemia (fake) sembri diffondersi a macchia d'olio con il relativo terrore nelle popolazioni. Poi il giorno dopo IN ANTEPRIMA TG MONDO "Non si ferma la pandemia da meningite da carne bovina, le autorità peruviane ne hanno vitato il consumo ed anche il Cile, la Colombia ed il Portogallo hanno deciso di limitarne consumo, solo cotta. (si fa così vedere che si cerca di mantenerne il consumo, LA NORMALITÀ). Riunione d'urgenza all'OMS e la Commissione Europea sta vigilando sugli sviluppi. DURANTE IL TG Non si ferma l'ondata di meningite batterica da carne bovina, 1784 contagiati ed 11 morti in Perù, ai quali si aggiungono i 175 contagiati e 18 morti in Portogallo e 12 casi in Francia, tutti letali. Il primo sospetto caso in Italia è seguito dallo Spallanzani di Roma, sentiamo ora cosa ci dice il prof Bassoni nel merito: "Esiste una pandemia fuori controllo di meningite batterica da carne bovina, consiglio il non consumo della stessa, di lavarsi le mani al contatto della carne e di non recarsi al lavoro con la febbre. Questa meningite è contagiosissima, ma a breve sarà pronto un vaccino per arginare il contagio, vaccino realizzato sull'anomala variante di questa meningite che, dalle prime ricerche risulta avere una tasso di mortalità altissimo. Consiglio comunque di farsi il vaccino tradizionale contro la meningite, disponibile, per fortuna, in tutta Italia, ma dobbiamo aspettarci queste nuove mutazioni perché il #CambiamentoClimatico sta agendo anche sui batteri. Ora il panico è fra la gente. In questo esempio ho dimenticato il MIO FINE, Sostituite la parola meningite batterica con COVID e l'ordine di Gates & C di ricondurre tutti i morti d'influenza al COVID stesso. AVETE CAPITO COME VI HANNO FOTTUTO iniettandovi merda purissima già pronta prima dell'epidemia ? Svegliamoci e riprendiamoci la nostra libertà.
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sarà...ma a me quelli che -ti spiego- stanno sulle palle....:-)
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Justine Triet
Justine Triet, regista e sceneggiatrice, è tra le figure più interessanti e premiate del nuovo cinema francese.
Col suo film Anatomia di una caduta, ha vinto l’Oscar alla miglior sceneggiatura originale, la Palma d’oro al Festival di Cannes, due Golden Globe, un Critics Choice Award e un Premio BAFTA.
Le sue sono piccole storie che si agitano dentro la Storia. Nei suoi film cortocircuitano finzione e realtà, pubblico e privato, video arte e performance.
Nata a Fécamp, in Normansia, il 17 luglio 1978, si è laureata all’École nationale supérieure des beaux-arts di Parigi, nel 2003.
Dopo la laurea, si è fatta presto notare con le sue prime opere che hanno partecipato a diversi concorsi cinematografici. Il cortometraggio Trasverse (2004) è stato selezionato ai Rencontres Internationales Paris/Berlin e L’amour est un chien de l’enfer (2006) è stato proiettato alla Biennale d’arte contemporanea di Lione. Entrambi i film affrontano aspetti legati all’attualità sociale e politica, concentrandosi sulla “coreografia” delle manifestazioni politiche e degli assembramenti pubblici.
Sur Place, del 2007, che ha ricevuto la menzione speciale al Festival di Brive è stato inserito nelle collezioni del Centre Pompidou e del Museu Berardo di Lisbona. Girato da una finestra durante le proteste studentesche anti CPE a Parigi nel 2006, il suo sguardo è sul conflitto e sul ruolo dell’individuo all’interno di un gruppo, l’ambiguità e la visione stereotipata che i media rilanciano di questi eventi. La cittadinanza diventa protagonista pur restando una massa compatta e uniforme.
Nel 2009 ha diretto il cortometraggio-documentario Des ombres dans la maison, ambientato nella periferia di San Paolo, in Brasile, che racconta la storia del quindicenne Gustavo, della madre alcolista e dell’assistente sociale, pastore della chiesa evangelica, che deve deciderne o meno l’affidamento. Questo film rappresenta una svolta nel suo lavoro, perché pur confermando il suo interesse per i fenomeni di massa, come quelli che hanno al centro i predicatori, introduce una più marcata attenzione e un’intimità con i personaggi di cui narra la storia.
Vilaine fille, mauvais garçon, il suo primo cortometraggio di finzione ispirato nel titolo a una canzone di Serge Gainsbourg, è la storia di due trentenni che la solitudine fa incontrare per caso a una festa, Thomas e Laetitia. Tra dramma e leggerezza, per loro è l’inizio di una notte “fuori orario” sulla strada della felicità. Il corto, nominato ai César nel 2012 ha vinto numerosi premi in vari festival francesi e internazionali, candidato all’Orso d’oro per il miglior cortometraggio, ha vinto il Prix UIP Berlin.
Il suo primo lungometraggio è stato La Bataille de Solférino del 2013, candidato ai César per la migliore opera prima, selezionato all’ACID di Cannes, Premio del Pubblico al Festival Paris Cinéma, considerato dai Cahiers du cinéma uno dei dieci film più belli dell’anno, è la storia di una giornalista che affronta la giornata delle elezioni vinte da François Hollande in Rue de Solferino, storica sede del Partito socialista francese. Girato in presa diretta tra i sostenitori che aspettano il risultato delle urne, il film si immerge nella realtà di un grande evento nazionale facendo rimbalzare la “guerra” politica con quella famigliare della protagonista che, per assicurare i servizi alla rete ha lasciato a casa le sue bambine, proprio il giorno in cui il padre separato vuole vederle. Un pezzo di metatelevisione e metacinema che fotografa angosce private e pubblici conflitti.
Anche Victoria, commedia sofisticata presentata in anteprima mondiale alla Settimana della Critica del Festival di Cannes 2016 è il ritratto di una donna complessa, contesa tra vita professionale e personale. Un film cinico e romantico sulla spirale emotiva di una donna che cade, sbaglia e si rialza, e sulle ossessioni della regista: le difficili relazioni tra i sessi, la solitudine, i figli, la giustizia, i soldi, il sesso.
Sempre a Cannes, in concorso, ha presentato Sibyl – Labirinti di donna nel 2019 a cui è seguito il pluripremiato Anatomia di una caduta del 2023, un legal drama che ha come protagonista una scrittrice sospettata della morte del marito in una remota località di montagna.
Un film appassionante, femminista, sfaccettato, intimista e pieno di colpi di scena. Un’opera di alto livello sull’ambiguità del reale. Un grande lavoro sull’infanzia rubata, violentata, sulla lotta estrema di un adolescente per riappropriarsi il più possibile di quanto stanno cercando di sottrargli. L’opera era stata anche candidata agli Oscar per la miglior regia.
Justine Triet non smette di sorprendere e di collezionare critiche positive per il suo sguardo che penetra nel profondo delle cose e delle persone, per la grandezza nel mostrare i diversi punti di vista. Un’artista che si dà tanto e che in ogni sua fatica riesce a sorprendere e incantare il pubblico.
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Ciao, scusami se ti disturbo, ho visto un tuo post dove parli di Lisbona, ci hai vissuto? Potresti raccontare la tua esperienza? Mi ci vorrei trasferire e sto cercando pareri qua e là☺️🙏🏻
Ciao!
Non ho vissuto a Lisbona, sono stata lì in vacanza (per 5 giorni), appoggiandomi da mia cugina (che ai tempi viveva lì).
Quindi ti dirò un po' di opinioni mie e di mia cugina.
Lisbona a livello estetico è stupenda, offre anche tante opportunità di divertimento per i giovani (tra serate, organizzazioni erasmus ecc..), l'unica cosa che non è propriamente efficiente a livello di mezzi: i treni che collegano "la periferia" di Lisbona sono intervallati da tempi lunghi (del tipo che da Belem al centro fai prima a fartela a piedi) e discorso simile vale per la metro (generalmente la metro passa ogni 3/5minuti, no? A Lisbona non è così).
Per i mezzi di superficie quali: tram, il discorso è diverso. Ce ne sono oggettivamente di più (perché sono caratteristici) e ti permettono tutti di vederti qualche chicchetta della città.
Stesso discorso dei tram vale per i bus (specialmente dopo le 23/24 perché i treni smettono di circolare).
A livello lavorativo, la situazione è un po' tragica. Non c'è molto lavoro e per di più gli stipendi sono molto bassi (calcola che fanno quasi ogni settimana uno sciopero dove richiedono stipendi più alti), però onestamente da quel che mi è parso di capire, parlando con i coinquilini di mia cugina, per chi non è portoghese, la situazione è diversa in base all'azienda, ma il più delle volte positiva. È come se ci fosse un occhio di riguardo per il lavoratore straniero ma europeo.
Per il resto la mia esperienza di Lisbona è positiva, ma è molto positiva quella di mia cugina (che probabilmente conta di più, dato che ci ha vissuto per sei mesi), al punto tale che non le dispiacerebbe tornarci e viverci.
Poi Lisbona e i dintorni sono stupendi. 🥹
Ti lascio qui sotto delle foto che ho fatto quando ero lì in vacanza!
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.movie time.
.after everything.
. t r a m a .
A due anni dalla rottura con Tessa, Hardin non si dà pace per il modo in cui si è comportato con lei. Decide di andare a Lisbona per rimediare ai suoi errori con una sua ex ragazza dove anni prima Hardin aveva accidentalmente pubblicato un video dove stavano avendo un rapporto sessuale. Nel frattempo il libro After sta già avendo successo ma Hardin non riesce a dimenticare Tessa e così scrive un secondo romanzo: Before. Durante la vacanza il ragazzo vuole riconciliarsi con Tessa ma la ragazza non è intenzionata a rimettersi con lui. Nel frattempo Landon, fratello di Hardin, sta per sposarsi; e così Hardin torna in America per poter assistere alla cerimonia del fratello. Qui incontra Tessa; la ragazza si rende conto che Hardin è cambiato, e così i due giovani, dopo un ballo romantico, fanno l'amore. Hardin inconsapevolmente dice che vuole sposarla e così le fa la proposta che Tessa accetta.
Anni dopo vediamo Hardin rientrare a casa dal lavoro, con sua figlia che lo aspetta e Tessa incinta del loro secondo figlio.
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Fernando Pessoa, uomo dalle mille vite
Lo scrittore che raccontò il magico mondo del Portogallo… Fernando António Nogueira Pessoa nacque a Lisbona il 13 giugno 1888 da Madalena Pinheiro Nogueira e Joaquim de Seabra Pessoa, critico musicale d'un quotidiano cittadino. Il padre morì nel 1893 e la madre si risposò nel 1895 con il comandante Joào Miguel Rosa, console portoghese a Durban, così Fernando passò la giovinezza in Sudafrica, dove seguì tutti gli studi fino all'esame d'ammissione all'Università di Città del Capo. Pessoa tornò a Lisbona nel 1905 per iscriversi al corso di Filosofia della facoltà di Lettere e, dopo una disastrosa avventura editoriale, trovò lavoro come corrispondente di francese e inglese per varie aziende commerciali, impiego che mantenne senza obblighi di orario per tutta la vita. Intorno al 1913 iniziò a collaborare a varie riviste, come A Aguia e Portugal Futurista, avendo al suo attivo letture significative, come i romantici inglesi e Baudelaire, scrivendo prose e poesie in inglese. Intorno al 1914 cominciò ad usare gli eteronimi di Alberto Caeiro, Ricardo Reis e Álvaro de Campo, autori fittizi che posseggono una loro personalità e il loro creatore viene chiamato ortonimo. Pessoa da piccolo ideò il suo primo personaggio di fantasia, il Chevalier de Pas, attraverso il quale scrisse lettere a se stesso, come disse in una lettera dell'eteronomia a Casais Monteiro. Nel 1915 con Mário de Sá-Carneiro, Almada Negreiros, Armando Córtes-Rodriguez, Luis de Montalvor e Alfredo Pedro Guisado, Pessoa fondò la rivista d'avanguardia Orpheu, che riprende esperienze futuriste, pauliste e cubiste, suscitando varie polemiche nell'ambiente letterario portoghese, aprendo una serie di prospettive inedite fino ad allora all'evoluzione della poesia portoghese. Seguì poi un periodo in cui Pessoa fu attratto da interessi esoterici e teosofici che ebbero dei riscontri profondamente influenti nella sua opera. Al 1920 risale l'unica avventura sentimentale della vita del poeta, con Ophelia Queiroz, impiegata in una delle ditte di import-export per le quali Fernando lavorava ma, dopo una pausa di alcuni anni, il rapporto cessò definitivamente nel 1929. In un'intervista rilasciata a un giornale della capitale nel 1926, successivamente al colpo di stato militare che mise fine alla repubblica parlamentare e portò all’avvento del regime salazariano, Pessoa espose le sue teorie del Quinto Impero, consistenti nell'attualizzazione delle profezie di Bandarra scritte nella prima metà del XV secolo che raccontano di come il re Don Sebástian, dato per morto nel 1578 nella battaglia di Alcazarquivir, sarebbe tornato per instaurare un regno di giustizia e di pace, di carattere culturale e non militare o politico come gli imperi del passato. Mensagem fu l'unica raccolta di versi in lingua portoghese curata personalmente dal poeta, pubblicata nel 1934 ed ebbe un premio governativo di 5 mila escudos, con una serie di scritti di teologia, occultismo, filosofia, politica, economia nonché altre discipline. A seguito di una crisi epatica, causata dall'abuso di alcool, Fernando Pessoa morì in un ospedale di Lisbona il 30 novembre 1935. Mentre in vita la poesia di Pessoa ebbe poca influenza, fu poi ampiamente imitata dai poeti delle generazioni successive, grazie anche al lavoro di traduzione di Antonio Tabucchi, traduttore, critico e grande studioso dell'opera del poeta portoghese. Read the full article
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Emilia Romagna: Si conclude "Come devi immaginarmi" dedicato a Pier Paolo Pasolini
Emilia Romagna: Si conclude "Come devi immaginarmi" dedicato a Pier Paolo Pasolini. Come devi immaginarmi è un progetto dedicato a Pier Paolo Pasolini, ideato da Valter Malosti insieme al critico d’arte, scrittore e accademico Giovanni Agosti, che si inscrive nelle celebrazioni per il centenario della nascita dell’autore (Bologna, 1922). Il titolo è tratto dalla sezione Gennariello in "Lettere luterane", raccolta di saggi uscita postuma, l'anno dopo la morte di Pasolini. Gennariello è un trattato di pedagogia sui generis in cui ci sono, tra l'altro, pagine bellissime su Bologna e gli anni giovanili del poeta. La ricerca parte proprio da questo: come le nuove generazioni "immaginano" Pier Paolo Pasolini? Pasolini è tra i pochi autori del Novecento di cui i più giovani sanno ancora che è esistito: non è stato travolto dall’eclisse di conoscenza che ha portato alla sparizione di un gran numero di voci. Questa sopravvivenza è dovuta – in gran parte – a una leggenda biografica, che ha permesso d’includere il poeta in un pantheon, ristretto e transgenerazionale, che annovera artisti, musicisti, scrittori. Il progetto di ERT aspira a condurre un confronto diretto con l’opera di Pasolini, sfuggendo alle più facili e corrive mitologie del maledettismo. Per la prima volta sono state presentate sulle scene, in una sola stagione, contemporaneamente, l’intero corpus dei testi teatrali che Pasolini ha scritto, pur in alcuni casi rielaborandoli anni dopo, in un ristretto giro di mesi, nella primavera del 1966. I sei spettacoli sono stati affidati, quanto alla regia, soprattutto a giovani registe e registi, mentre gli attori coinvolti non hanno limiti anagrafici. Si è partiti da Calderón, diretto dal regista Premio Ubu Fabio Condemi, che ha incontrato nuovamente le parole di Pier Paolo Pasolini. Lo spettacolo è una delle 9 coproduzioni internazionali prodotte nell’alveo della rete europea PROSPERO Extended Theatre di cui ERT è partner insieme a Théâtre De Liège, Schaubühne (Berlino), Odéon-Théâtre de L’Europe (Parigi), Teatro São Luiz (Lisbona), Göteborgs Stadsteater (Svezia), Croatian National Theatre of Zagreb, Teatros Del Canal (Madrid), Teatr Powszechny (Varsavia) e con la collaborazione del canale culturale| ARTE (Francia) per la promozione digitale. Il progetto è proseguito con Pilade diretto da Giorgina Pi e con Porcile nella versione di Michela Lucenti e il suo Balletto Civile, in una collaborazione inedita con Nanni Garella e i suoi preziosi attori del progetto Arte e Salute. Si arriva ora alle ultime tre tragedie: il parigino Stanislas Nordey, tra i maggiori registi e pedagoghi europei, nonché direttore del Teatro Nazionale di Strasburgo, rilegge Bestia da stile, che Pasolini stesso definì la sua “autobiografia”, identificando nella figura di Jan Palach il suo alter ego, condividendo con il ragazzo del dramma ideali, vita, resistenza, spirito politico e rivoluzionario. Nordey guida in questo progetto gli allievi attori della Scuola Iolanda Gazzerro di ERT. Federica Roselllini e Gabriele Portoghese lavorano su Orgia: questa creazione prosegue idealmente il lavoro di ricerca che ha preso avvio al Centro Teatrale Santacristina nell’estate 2021. Le parole di Pasolini, nella voce di due giovani e già affermati interpreti della scena, risultano nuove e sorprendenti, restituendo la forza visionaria di questo ruvido apologo in versi ma anche la sua concretezza. A chiudere il cerchio è Affabulazione: Marco Lorenzi, che lo dirige, convoca gli archetipi della famiglia di oggi attorno alle ombre delle vicende di Edipo re, in quella che lo stesso Pasolini definì una «tragedia che finisce ma non comincia». È lo sguardo di una nuova gioventù dunque, a fornire una risposta all’attualità inesausta di una lezione etica e politica, che ha segnato più di una generazione. Il carattere del progetto si lega strettamente alla preoccupazione pedagogica di Pasolini, che informa la sua intera attività, dalla scuoletta di Versuta, creata all’indomani della guerra, fino alle lettere a Gennariello, poco prima della morte: l’ossessione per la perdita e la necessità di tenere in vita la memoria e la tradizione (“sono una forza del passato”). Questo ambizioso progetto rappresenta una sfida nel paesaggio della cultura italiana di oggi: una sfida sui contenuti e sulla lingua, anche per le dimensioni, così fuori misura rispetto ai formati correnti. Programma di maggio: 11 -14 maggio 2023 BOLOGNA / Teatro delle Moline Orgia a cura di Federica Rosellini e Gabriele Portoghese 18 - 21 maggio 2023 BOLOGNA / Sala Leo de Berardinis Affabulazione regia di Marco Lorenzi 25 – 28 maggio 2023 MODENA / Teatro Storchi Bestia da stile regia di Stanislas Nordey... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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IL PORTOGALLO ABBANDONA DEFINITIVAMENTE IL CARBONE
Il Portogallo esce ufficialmente dal carbone e diventa il 4° Paese in Europa a portare a termine l’abbandono del combustibile fossile per la produzione di energia elettrica, dopo Belgio, Austria e Svezia.
Il produttore elettrico nazionale Endesa ha spento per sempre la centrale di Pego a circa 150 km di Lisbona, l’ultimo impianto nello stato a fare uso di questo combustibile fossile. La centrale rappresentava la seconda fonte di emissioni di gas serra a livello nazionale e produceva un inquinamento di 4,7 milioni di tonnellate di diossido di cabonio all’anno. La decisione presa alla COP23 di Bonn nel 2017 dall’allora governo portoghese fu quella di uscire definitivamente dal carbone entro il 2030. Il processo è stato realizzato più in fretta del previsto e si è concluso con 9 anni di anticipo.
Altri Paesi europei si stanno realizzando lo stesso impegno con ritmi diversi tra loro e sono ora 21 gli stati che hanno avviato le procedure, con in testa Gran Bretagna, Grecia, Ungheria e Danimarca. L’Europa ha superato la metà delle chiusure nello scorso mese di marzo con lo spegnimento del 162° impianto a carbone d’Europa sui 324 totali esistenti.
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Fonte: Reuters - 22 novembre 2021
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ACCADEVA OGGI
23 LUGLIO 1920 nasceva AMALIA RODRIGUES
"Sono nata così, alta un metro e cinquantotto, né brutta né bella, un tipo così così, con questo modo di essere triste, senza speranza e solitaria, come il fado".
Amalia Rodrigues è ricordata come la maggior esponente del genere musicale "fado": a livello internazionale è riconosciuta come la più nota cantante portoghese di sempre. Nasce nella regione delle Beira Baixa (Portogallo) il 23 luglio del 1920. La sua data di nascita resta incerta e misteriosa, perché Amalia è solita festeggiare il suo compleanno non il ventitre, ma il primo luglio. La famiglia della futura cantante e attrice, è povera e molto numerosa: ha due fratelli e quattro sorelle. Proprio a causa delle ristrettezze economiche, i genitori la mandano a vivere a Lisbona dalla nonna, Ana do Rosario Bento. Ma anche la nonna non vive in condizioni migliori: ha infatti ben sedici figli e almeno un numero doppio di nipoti.
Amalia non riceve, dunque, l'affetto necessario ad educare alla gioia il suo spirito malinconico. Presto le doti canore della piccola vengono notate da parenti e amici, davanti ai quali si esibisce per riceverne in cambio caramelle e qualche spicciolo. Canta soprattutto canzoni popolari e i tanghi di Gardel che impara al cinema. Frequenta la scuola in maniera regolare fino a dodici anni. Poi la nonna la costringe a trovarsi un lavoro.
Il primo impiego è in una fabbrica di caramelle, dove incarta caramelle e sbuccia frutta. Dopodiché passa, a quindici anni, a lavorare in una bancarella sul molo di Lisbona da cui dispensa frutta, vino e souvenir ai turisti. Nel 1940, a soli vent'anni sposa un chitarrista amatoriale, il cui vero lavoro è quello di meccanico tornitore. Si tratta in realtà di un matrimonio riparatore, perché è incinta.
L'uomo inizialmente non vuole saperne e Amalia è così disperata da tentare il suicidio con del veleno per topi. Il matrimonio dura appena tre anni. Quel bambino non verrà mai alla luce, né in seguito la sua vita sarà rallegrata da alcuna nascita. Troverà però la stabilità amorosa accanto ad un industriale brasiliano, Cèsar Séabra, che sposerà dopo quindici anni di vita comune nel 1961.
Nel 1938 Amalia Rodrigues partecipa ad un concorso, la cui vincitrice sarebbe stata incoronata come nuova Regina del Fado portoghese. Non vince il concorso, ma la sua voce si fa notare: entra così in una delle maggiori Case di Fado di quel periodo: "O retiro da Sevra".
Da questo momento ha inizio la carriera di cantante, che si ritrova a dividere il palcoscenico con i maggiori cantanti e musicisti di fado portoghese, tra cui Armando Augusto Freire, Jaime Santos, José Marque. Purtroppo si ritrova, allo stesso tempo, a dover lottare contro l'opposizione della sua famiglia, convinta che quel mondo sia fatto esclusivamente di perdizione e degrado. Solo il fratello Felipe e la fidata zia Idalina, che le sarà sempre vicina nei momenti di difficoltà, appoggiano la sua scelta.
Amalia intanto riesce anche a stabilire un rapporto di lavoro con un impresario, José de Melo, che però, dato il grande successo dei suoi spettacoli, le impedisce inizialmente di incidere dischi temendo che questo avrebbe comportato una minore partecipazione di pubblico alle serate dal vivo. Incide il primo disco solo nel 1945, ottenendo da questo momento la collaborazione di grandi chitarristi e parolieri tra cui i poeti: Linhares Barbosa e Amadeu do Vale. Il fado diventa la sua ragione di vita e con questa musica trova sfogo la sua anima tormentata, inquieta e malinconica. Lei stessa afferma che è il fado a cantare attraverso di lei e non viceversa.
Il primo vero concerto risale al 1945 a Rio de Janeiro, presso il Casinò di Copacabana. A contribuire a renderla ancora più famosa è il film di Henri Verneuil "Les amants du Tage". Il successo del film le apre le porte del teatro Olympia di Parigi consacrandola a livello internazionale. Dopo il matrimonio pensa di ritirarsi dalle scene, ma due anni dopo ritorna con un disco su misura creato per lei da Alain Oulman. La sua carriera la porta anche all'estero: in Spagna, in Brasile, Negli Stati Uniti e in Italia, dove rifà alcune canzoni della tradizione popolare del Bel Paese, tra cui la calabrese "Vitti na crozza" e la napoletana "La tarantella", oltre a due duetti con Roberto Murolo sulle note di "Dicintincello vuje" e "Anema e core".
A metà degli anni settanta a seguito della "Rivoluzione dei garofani" vive un periodo di declino per l'identificazione con la dittatura di Salazar, da lei non voluta e non cercata. In questo periodo intensifica le tournée all'estero fino a quando non scopre di essere malata di cancro.
Muore il 6 ottobre del 1999, all'età di 79 anni.
#noisiamoquellichecredonoancoraaquesteemozioni
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Meri, il suo album "Feelings" fuori il 21 maggio 2021
Il 21 maggio 2021 esce "Feelings", il nuovo album di Meri, cantautrice italo-inglese sospesa tra folk, indie rock e pop. Da qualche tempo, grazie alla collaborazione con il produttore del disco Luca Guerrieri, ha scoperto pure l'elettronica.
"Feelings" è un album dedicato a sentimenti contrastanti, in cui la voce e la chitarra di Meri sono sempre protagoniste, così come la sua lunga esperienza come performer in giro per il mondo, tra Gran Bretagna e Portogallo soprattutto.
"E' un disco prodotto 'alla vecchia maniera', nel senso che le canzoni sono state scritte prima di entrare in studio", racconta Meri. "Tuttavia la fase di produzione e arrangiamento mi ha fatto uscire di parecchio dalla mia 'comfort zone' di performer. E credo si sentano bene la sensibilità e l'attenzione alle melodie di Luca Guerrieri, con cui ho trovato una sintonia non comune".
Visti i buoni risultati raggiunti dai primi singoli estratti dal disco, durante l'estate 2021 Meri, nonostante la pandemia, Meri sarà tra l'altro protagonista di diversi concerti in giro per l'Italia.
"Feelings'" si apre con "Tonight", di cui il team Deorb (Gianluca Procaccini e Alex Marton) ha girato anche un intenso video (https://youtu.be/ip6iDhSDIIs). E' uno dei brani più immediati del dell'album, già programmato dalla BBC, forse la radio più in influente del mondo in ambito musicale. "E' una canzone dedicata alla magia della notte, a quegli istanti di felicità che il giorno dopo sembrano così lontani", racconta Meri.
Meri non canta solo d'amore. Ad esempio, "Stand Up" è dedicata all'autostima, a quell'istinto di sopravvivenza che a volte deve prendere il sopravvento. "A 19 anni non avevo un centesimo e per questo suonavo ogni sera o quasi, nei pub e non solo", racconta Meri. "Volevo provare a me stessa che potevo farcela da sola. Per la musica ho fatto tanti sacrifici. E come è naturale che sia, sono cresciuta".
Alcuni dei brani di "Feelings", ad esempio "Fighting with this Earth", sono nati dalle difficoltà della pandemia con cui stiamo ancora combattendo, ma più in generale le canzoni dell'album parlano di relazioni tra le persone. "Stop Talking" racconta di come a volte sia meglio mettere da parte l'ego e iniziare a camminare, invece di parlare.
Il 'trattamento elettronico' a cura di Luca Guerrieri si sente forte e chiaro in "Losing Control", il brano che chiude l'album e nell'Original Mix di "Show me Love". "Quella versione è inclusa anche in 'Timeless', l'album di Luca che esce anch'esso il 21 maggio", racconta Meri. "In 'Feelings' però ho voluto includere anche una versione acustica del brano. 'Show me Love' è nata in pochi minuti, usando un'accordatura folk. Volevo raccontare la paura di amare e soffrire che a volte ci prende".
"Feelings" non è solo frutto dal lavoro di Meri con Luca Guerrieri. Il produttore e multi strumentista svedese Henrik Kemkes ha curato produzione ed arrangiamenti di "Stand Up", "Stay" e "Be Alone".
Hanno dato un notevole contributo all'album anche tanti eccellenti musicisti: Alex Golini (archi su "Fighting with this Earth", "Stop Talking" e "Tonight"); Vítor Carvalho (basso su "Stop Talking" e "Tonight"); Daniele Nannini (basso su "Change"); Jacopo Castrucci (solo di chitarra elettrica su "Change"); Stefano Salvucci (pianoforte in "Losing Control Sunset Mix"). Mix e mastering, infine, sono stati curati da Alex Marton nel suo Firstline Studio.
CHI E' MERI
Meri, cantautrice italo-inglese, vive tra Bristol, dove oggi frequenta il secondo anno del BIMM (The British and Irish Modern Music), tra i più importanti college musicali al mondo e la Maremma.
La voce di Meri, calda e senza tempo, canta di problemi, passioni e vita vissuta, come succede sempre o quasi nei classici soul anni '60 che ascoltava da bambina. Cittadina del mondo, Meri da bambina viveva in Inghilterra, mentre l'adolescenza l'ha passata in Italia. A soli 19 anni però eccola a Lisbona, in Portogallo, dove era arrivata per una vacanza diventata poi sei anni di vita e di musica. "Suonavo ogni sera o quasi, nei locali e spesso pure ai matrimoni dei tanti britannici che frequentano da sempre il Portogallo", racconta Meri, le cui canzoni nascono sempre alla chitarra acustica.
Il suo album "Feelings", prodotto da Luca Guerrieri, con cui è nata una sinergia non comune, esce il 21 maggio 2021 su DVS Records Deluxe. Contiene "Tonight", canzone che nell'aprile 2021 è stata proposta da BBC Radio, una delle emittenti più importanti al mondo.
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Joana Vasconcelos
L’ironia? Fa parte del mio lavoro. Come della vita
Joana Vasconcelos, artista portoghese nota per le installazioni monumentali che spaziano dal video fino al tessile, riadattando l’artigianato in chiave contemporanea. Incorpora oggetti quotidiani con ironia e umorismo, intavolando discussioni sulla condizione femminile, la società dei consumi e l’identità collettiva.
Nata l’8 novembre 1971 a Parigi da genitori portoghesi in esilio, è tornata in patria dopo la Rivoluzione dei Garofani. Ha studiato al Centro de Arte & Comunicação Visual di Lisbona dove ha sviluppato un linguaggio proprio, caratterizzato da una inconsueta sperimentazione che affonda le radici nella cultura popolare così come nel barocco lusitano.
Il successo internazionale è arrivato nel 2005, quando ha partecipato alla prima edizione curata da donne della Biennale di Venezia con l’installazione A Noiva (The Bride), un lampadario alto 20 piedi composto da oltre 14.000 assorbenti interni.
Nel 2012 è stata l’artista più giovane e unica donna ad esporre alla Reggia di Versailles.
Nel 2013 ha rappresentato il Portogallo con una personale alla Biennale di Venezia con l’opera Trafaria Praia, installata in una barca ancorata che è diventata una galleria d’arte galleggiante.
Nel 2018 è stata la prima portoghese a esporre al Guggenheim di Bilbao con una grande retrospettiva che è stata tra le più visitate di sempre del museo.
Nel 2020 c’è stata sua prima personale negli Stati Uniti, al Massachusetts College of Art and Design Museum di Boston, dove ha creato un’enorme opera site specific, Valkyrie Mumbet in omaggio a donne che con la loro ribellione hanno fatto la storia.
Il lavoro di Joana Vasconcelos è attraversato dalla passione per il paradosso. I temi affrontati sono spesso ribaltati concettualmente dall’uso dei materiali. La sua passione sono i tessuti coloratissimi, spesso ricamati a mano, materiale caldo, avvolgente, flessibile. La scala delle opere è sempre monumentale e l’haute couture viene rappresentata in dimensioni architettoniche.
Sono cresciuta in mezzo a culture diverse e questo mi ha resa capace di navigare nel mondo dell’arte assimilandone le varie declinazioni. Il mio lavoro è anche femminista, certo. Tratta tematiche gender ed è anche molto politico. Dipende da chi ne fruisce, da background, provenienza, età, cultura e sesso. A seconda di chi sei, vedrai qualcosa di diverso. Ciò che ho fatto è usare alcune qualità portoghesi per essere multiculturale e toccare molti livelli di pensiero. Non potrei esistere come artista, senza il barocco, il surrealismo, il Nuoveu Réaslime, il pop. Sono il risultato di una linea di tempo che inizia, probabilmente, con l’idolo cicladico.
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Ogni viaggio che ho aspettato
Gli anni 2018 e 2019 sono tra i peggiori. Ma i viaggi che ho fatto sono stati dei momenti in cui ho veramente vissuto, fatto esperienze, provato emozioni. Sono stati belli e importanti. Non sempre sono stati entusiasmanti, non tutto è stato piacevole, non sempre mi sono sentito veramente nel luogo, però c’ero e ricordo con nostalgia.
Ho sempre avuto il desiderio di viaggiare e ben poche possibilità. La prima volta che ho varcato i confini è stato soltanto nel 2006, era più simbolico che altro perché il confine era quello con la Città del Vaticano in Piazza San Pietro. Non pensavo sinceramente che avrei viaggiato davvero, rimaneva tutto lontano dalla concretezza.
Sono passati altri cinque anni per un vero viaggio all’infuori dei confini, qualche giorno a Londra per l’università. Non vedrò quasi nulla di quello che volevo, mancava il tempo e ciò che volevo vedere io agli altri non interessava. Però è stato bello.
L’anno dopo in Spagna, a Madrid solo di passaggio. Si va a Burgos, sempre per l’università. Non sarà un bel viaggio, mi sentirò male e la compagnia non sarà piacevole. Ma riesco a trovarne qualcosa di positivo, Burgos è una bella città.
Arriviamo al 2018, finalmente posso decidere per conto mio, Nei limiti del non poter spendere più di tanto. Mi organizzo per Parigi e per Londra, pochi giorni, ma va bene così.
A Parigi capito nei giorni più freddi dell’anno, una perturbazione di origine artica porterà un gelo tremendo. Gran parte degli spostamenti sarà in metropolitana, a piedi farò il meno possibile. Vedrò alcuni dei musei più importanti e Notre-Dame prima dell’incendio. Scopro una cosa che reputavo superficiale e invece è importante: è bello scoprire la cucina del luogo. Per fortuna avevo studiato il francese a scuola, è stato veramente utile.
A Londra sarà già primavera, finalmente vedrò molte cose rimaste in sospeso dal viaggio precedente. Ho ancora tanto da vedere in realtà. Andrò pure a Oxford per vedere alcuni luoghi dei libri che ho apprezzato. Avevo timore che il mio pessimo inglese mi potesse creare problemi, me la caverò.
In autunno il viaggio più lungo e complesso che ho organizzato: Porto, Lisbona e ritorno da Madrid. La prima volta in un paese di cui non conosco la lingua e che lingua incomprensibile è il portoghese. È stato il viaggio più bello di tutti e non me l’aspettavo. Saranno state le belle giornate di sole, novembre è il mese più piovoso in Portogallo, sarà stata quell’atmosfera nostalgica che mi ricordava gli anni ‘90 che ho vissuto, sarà stata quella luce particolare di cui mi avevano parlato e che pensavo fosse solo la solita frase da emotività facile, ma è stato davvero molto bello. In Spagna la fine del viaggio, a Madrid vedrò le cose che mi interessavano, non molte. Un giorno l'ho passato a Toledo, una bellissima lunga passeggiata.
Nel 2019 il viaggio in Irlanda, una settimana complessa da organizzare perché le cose belle non stanno nelle città. È stato il viaggio in cui ho interagito di più con la gente del luogo, l’inglese che parlano è difficile da capire, ma ci si abitua.
Quell’anno anche due brevissimi viaggi in Italia, in primavera nelle tre V del Veneto e quasi a fine anno a Roma per un concorso, riesco a fare una breve passeggiata anche qui.
Sapevo che dopo questo non era detto che avrei fatto altri viaggi a breve, il problema è il solito: il lavoro. Il resto non potevo immaginarlo. Per cui si torna ai viaggi immaginari che aspetterò e desidererò, ma questa volta sono fiducioso di riuscire a farli, prima o poi.
https://www.youtube.com/watch?v=TVlMO-5TE9c
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RIFLESSIONI SULLA SOLIDARIETÀ: DUE PUNTI DI VISTA
L’Europa che ci piace: l’UE funziona solo se è solidale. Parola di volontario europeo
Vito Poredoš
La “solidarietà” è una parola che sentiamo spesso di questi tempi. è una delle prime reazioni dopo che qualcosa di terribile accade. Pensiamo ad un disastro naturale oppure ad una catastrofe come la distruzione di un paese. In ogni caso, le persone che soffrono diventano incredibilmente dipendenti dall’aiuto degli altri. In questi giorni, quando sentiamo le notizie su ciò che sta succedendo a causa della crisi, fino a poco fa impensabili nel mondo, abbiamo l’occasione di vedere il meglio, ma anche il peggio dell’uomo: lo stoccaggio di beni essenziali, i furti di attrezzatura sanitaria, l’egoismo… Al di là della tristezza per questi episodi, si riesce a comprendere tali comportamenti perché in caso di pericolo il nostro corpo attiva istinti naturali del tipo “si salvi chi può”. Ma quando questi modelli di comportamento si spostano a livello nazionale o internazionale e quando gli Stati si comportano nella stessa maniera, c’è davvero ragione di preoccuparsi. I primi stati membri dell’odierna Unione Europea volevano assicurare la pace nel Vecchio Continente e dopo due terribili guerre crearono un’unione che si fonda sul mercato unico, sulla comprensione e sulla vicinanza tra culture diverse. Dobbiamo tenere presente che la creazione di questa formazione politica, con le sue istituzioni e le sue regole, è stata un lungo processo, cominciato negli anni Quaranta e basato sempre sul consenso totale. Quindi ogni trattato che viene implementato deve avere il sostegno di tutti gli Stati membri. E dobbiamo ricordarci che viviamo in democrazia, dove ogni voce – per fortuna o purtroppo – conta. Il Trattato di Lisbona del 2007 ha instaurato la solidarietà come uno dei principi fondamentali che regolano i rapporti nell’Unione. Una sua clausola dispone che gli Stati membri agiscano insieme, “in uno spirito di solidarietà”, quando uno Stato membro in difficoltà chiede assistenza. In particolare, l’UE utilizza tutti i mezzi di cui dispone per prestare assistenza allo Stato che l’ha richiesta. Le modalità di attuazione della clausola di solidarietà sono decise dal Consiglio dell’Unione Europea a maggioranza. Ma la solidarietà, non va data per scontata. La si deve anche imparare già da piccoli, insieme all’empatia e alla comprensione degli altri. Una delle cose che ci porta fuori dal nostro paese e dall’orizzonte limitato è la conoscenza delle lingue e delle culture straniere. Dobbiamo ammettere che l’UE ha fatto grandi passi in questa direzione, ad esempio con il progetto Erasmus oppure con i servizi volontari. Uno dei progetti che ha avuto un grande effetto sulla vita sociale è stato il Servizio Volontario Europeo, fondato nel 1998, nel frattempo sostituito da un altro progetto, il Corpo europeo di solidarietà. Gli scopi di tale programma sono sviluppare la solidarietà, promuovere la tolleranza, rafforzare la coesione sociale all’interno dell’Unione, migliorare la comprensione e migliorare le competenze dei giovani in modo che possano accedere più facilmente al mercato del lavoro. In vent’anni circa, 20mila volontari e volontarie tra i diciassette e i trent’anni d’età hanno partecipato a questo progetto e hanno avuto la possibilità di viaggiare, vivere in un altro paese, ricevere un piccolo contributo ed essere assicurati in caso di malattia. Ma soprattutto hanno avuto la possibilità di fare conoscenze e di lavorare in un nuovo ambito. Dopo il termine del progetto, il bilancio ha mostrato che gli effetti più importanti per i giovani di tutta Europa sono il perfezionamento della conoscenza delle lingue straniere, il miglioramento della competenza interculturale, la consapevolezza che i volontari hanno arricchito le comunità locali e che il volontariato ha aumentato la consapevolezza dei valori europei. Ingredienti fondamentali per creare una vera solidarietà europea, che non rimane sulla carta per poi essere dimenticata quando emerge una crisi. Il progetto che porta avanti il servizio volontario oggi si chiama Corpo Europeo di Solidarietà e dispone di un budget di 375,6 milioni euro per il periodo 2018-2020. Dal 2016 fino a oggi più di 30mila giovani volontari hanno intrapreso il proprio servizio. I paesi che in questi anni hanno accettato più volontari e sono stati più attivi in quest’ambito sono Italia, Spagna, Romania e Polonia. Cosa fanno questi giovani in giro per l’Europa? Lavorano ad esempio nell’Italia centrale, dove aiutano a ricostruire i paesi colpiti dal terremoto; in Grecia danno aiuto e lezioni ai migranti fuggiti dalla guerra; in altri paesi assistono persone disabili e svolgono aattività che sostengono le comunità locali. Per i prossimi anni la Commissione Europea vorrebbe destinare ancora più soldi a questo progetto, complessivamente 1,26 miliardi di euro per dare la possibilità a 350mila giovani di tutta Europa di partecipare a questo progetto comune. Non è tutto oro quel che luccica, soprattutto stando al numero dei giovani che si sono registrati, ma che non sono stati necessariamente accettati nel Corpo Europeo di Solidarietà. La maggior parte delle registrazioni, dal 2016 in poi, proviene da paesi come la Turchia, la Spagna e l’Italia. Se pensiamo agli eventi accaduti in Turchia nel 2016, quando tantissime persone sono state arrestate e accusate di partecipare a un presunto colpo di stato contro il regime di Erdogan, e al peggioramento della situazione politica ed economica da allora in poi, dobbiamo prendere in considerazione che i motivi per cui si partecipa a progetti di volontariato deriva forse anche dalla possibilità di allontanarsi da situazioni difficili nel paese di origine. Frequenti anche le registrazioni provenienti da paesi europei meridionali e orientali, nei quali i giovani non trovano facilmente lavoro. Al di là delle speculazioni, la solidarietà in ogni caso è una cosa reciproca e viene in aiuto quando le istituzioni non possono oppure non vogliono fare niente per chi ha bisogno di aiuto o chi ha buone idee per migliorare il mondo. Perciò, nonostante le politiche sbagliate di alcuni paesi in questo momento, la traccia segnata con i progetti come quello del Corpo Europeo di Solidarietà rimane giusta e ci porta verso l’Europa in cui vogliamo vivere.
Ma cosa è davvero la solidarietà? Una volontaria europea cerca di definire l’atto dell’aiuto
Barbara Sanieres
Le riflessioni del mio collega di volontariato Vito riflettono una visione ottimistica sul tema della solidarietà. Quello che scriverò io, invece, potrebbe suonare più critico e cinico. Vorrei iniziare parlando del termine “solidarietà”. Quando mi sono resa conto di non essere in grado di definirlo, ho cercato la sua definizione sul dizionario: “Rapporto di fratellanza e di reciproco sostegno che collega le singole componenti di una collettività nel sentimento, appunto, di questa loro appartenenza a una società medesima e nella coscienza dei comuni interessi e delle comuni finalità” (Treccani). Le parti di questa definizione che hanno innescato in me una riflessione sono “il sentimento di appartenenza” e la “coscienza dei comuni interessi”. Mi sembra di capire che la solidarietà non sia un concetto universale, ma relativo, a seconda della persona. Infatti, ognuno e ognuna definisce la propria appartenenza ad una categoria in maniera diversa: sono umana, francese, italiana, europea, volontaria, giovane, laureata…? Secondo me, definire un’appartenza vuol dire escluderne altre. Infatti, per esistere, ogni persona ha bisogno di sapere a quale gruppo appartiene, ma soprattutto a quale gruppo non appartiene. Cioè, per definire la nostra identità abbiamo bisogno di un “Altro” o “Altra”, che ci permetta di rivelarci: sono francese perché non sono inglese, sono giovane perché non sono vecchia… L’uno deve escludere l’altro. Ovviamente le nostre identità sono complesse e composte da diverse categorie, ma ogni categoria ha il suo contrario. Questa premessa mi sembrava importante perché “solidarietà” è un termine che utilizziamo molto, senza veramente sapere cosa significhi. Secondo me, fa parte delle cosidette “parole ombrello”, cioè delle parole conosciute da tutti, ma che abbiamo difficolta a definire. Questo provoca un problema, ossia che la parola diventa facilmente utilizzata in retorica perché nessuno sa definirla molto bene e quindi la sua sostanza resta sfumata. Dopo essermi soffermata sulla forma, vorrei affrontare il cuore dell’argomento. Vito ha menzionato il legame tra crisi e solidarietà e questo mi sembra essere un potente rivelatore, che pone l’accento sulla mia difficoltà con tale parola. L’esistenza stessa della parola “solidarietà” significa, per me, che non si tratta di un atto “naturale”, quotidiano, bensì di un’azione che prevede uno sforzo. Mi sembra più o meno di ritrovare la stessa dialettica dell’aiutare: una persona che prende la sua energia, il suo tempo, la sua voglia eccetera per dare una mano ad un’altra persona. Dal punto di vista grammaticale, tra le due parti coinvolte nel rapporto della solidarietà o dell’aiuto, l’accento è sulla persona che compie l’azione, che è solidale: “Sam ha aiutato…” nella forma diretta; “Sam è stato aiutato da…” nella forma passiva. Non esiste neanche una parola per rappresentare la persona che riceve solidarietà. Da questa relazione deriva una forma di gerarchia. Le due parti non sono uguali perché tra le due nasce un “dovere” sociale di gratitudine della persona aiutata nei confronti della persona che aiuta. Ma anche una forma di decisione: chi aiuta lo fa attraverso i suoi occhiali, attraverso quello che trova giusto. Tanto per fare un esempio, è meglio dare una moneta o comprare cibo ad una persona senzatetto? In altre parole, se diamo un valore ai comportamenti di solidarietà mettendoli in luce, significa che si tratta di cose fatte “in più”, e che quindi le persone fanno uno “sforzo” – che non intendo in senso negativo -. Perché non è semplicimente naturale fare tutte queste cose? Perché non diamo una moneta ad una persona senzatetto che incontriamo? Perché non compriamo produzioni locali, invece di arrichire le grandi multinazionali? Perché non doniamo un po’ del nostro tempo ad un’associazione ? Perché rifiutiamo di accogliere persone bisognose? Io ritengo che tutte queste azioni rappresentino forme di solidarietà. C’è una sorta di tacita gerarchia tra i diversi modi di essere solidale. Prendiamo l’esempio del coronavirus: decidere di fare la spesa per le persone anziane o con disabilità, prestare le camere del proprio albergo per le infermiere e gli infermieri che devono lavorare lontano da casa… Sono tutte cose dovute e di forte impatto sociale. Ma chi è solidale verso i lavoratori e le lavoratrici in nero, che non hanno più niente per vivere ? Chi è solidale verso i prigionieri che vivono nella paura della contaminazione perché non riescono a rispettare la distanza di sicurezza di un metro? Sono solo alcuni esempi che, secondo me, mostrano che la solidarietà non è solo un bel valore ma che nasconde anche delle dinamiche sociali. Semplicimente perché non abbiamo abbastanza soldi, energia, voglia per essere solidali verso tutte le cause, dobbiamo scegliere. Ma mi sembra che questa scelta si appoggi su una costruzione sociale già disuguale. Alla fine credo che, se il senso di solidarietà non è così “naturale” per le persone, è semplicimente perché non viviamo in un mondo in cui questa è uno dei valori principali. Anzi, il capitalismo, il liberismo ci insegnano ad essere persone individualiste. Tutta la nostra vita è una lotta perpetua per essere migliori degli altri, avere uno stipendo più alto, una casa più grande, un lavoro con più vantaggi, dei bambini di cui andare orgogliosi… Come potremmo essere in grado di passare dall’individualismo nel quale nuotiamo ogni secondo della nostra vita, ad una forma di solidarietà disinteressata, altruista e giusta? Per me la risposta è semplice: non si può fare. La solidarietà ci permette di valorizzare una parte della nostra personalità, del nostro impegno a livello sociale. Per questo, non tutti gli atti di solidarietà hanno lo stesso valore: i prigionieri e le prigioniere, i lavoratori e le lavoratrici illegali sono già invisibili nella nostra società. Quindi, se vogliamo davvero essere solidali, forse dovremmo pensare a ricostruire un mondo più colletivo, più giusto, nel quale l’umano avrà più importanza dell’economia. Prima di concludere, vorrei chiarire che riconosco l’aspetto positivo della solidarietà e delle azioni fatte finora. Ciononostante, voglio proporre una riflessione sulle modalità di attuazione di questa solidarietà. Anche perché, mi sembra che le cittadine e i cittadini abbiano il compito di alleviare le mancanze dello Stato che dovrebbe proteggerci. E questo non è altro che l’origine del “contratto sociale” di Hobbes: rinunciamo ad alcune libertà individuali per costruire lo Stato che dovrebbe proteggerci (a volte da noi stessi).
#europeansolidaritycorps#esc#corpoeuropeodisolidarietà#solidarietà#solidarity#buildingbridgesjumpingwalls#costruirepontiscavalcaremuri
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The one with writer’s block
"Ma vaffanculo!"
Ermal smise immediatamente di prestare attenzione al messaggio che gli aveva appena scritto Marco, sentendo Fabrizio imprecare e sbattere la porta dello studio.
L'aveva visto chiudersi lì dentro circa tre ore prima e non aveva voluto disturbarlo, consapevole che avrebbe avuto bisogno di concentrarsi per iniziare a lavorare al nuovo album, ma a quanto pareva le cose non stavano andando bene.
"Bizio?" lo chiamò affacciandosi sul corridoio.
Fabrizio se ne stava seduto sul pavimento, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa tra le mani.
"Stai bene?" chiese Ermal improvvisamente preoccupato, avvicinandosi a lui.
"Non voglio più entrare dentro quella stanza almeno per i prossimi mille anni" rispose Fabrizio, indicando la porta dello studio.
Ermal sospirò e si sedette accanto a lui sul pavimento. "Sta andando male?"
"Non ho scritto una sola parola. Nemmeno una, in tre ore! Sono totalmente bloccato."
Dirlo ad alta voce, se possibile, lo rendeva ancora più frustrato. Lo faceva sentire un fallito.
Lui, con le parole, ci lavorava e ora non era più in grado di far uscire nemmeno quelle.
Però quella era la verità e doveva farsene una ragione.
Era bloccato. Non riusciva a scrivere, a pensare. Non riusciva nemmeno a farsi venire un'idea qualsiasi per un pezzo.
Lui, che aveva scritto pezzi per chiunque, era completamente a corto di idee. E la cosa lo faceva impazzire, lo faceva sentire un incapace.
E lo faceva sentire debole, perché sentiva che si stava sgretolando sotto le proprie insicurezze e, cosa ancora più importante, sotto lo sguardo di Ermal.
Si era sempre mostrato a Ermal per ciò che era, senza filtri e senza nascondergli nulla, ma odiava mostrarsi così... inadatto.
Ecco, forse inadatto era la parola giusta.
Perché Ermal era sempre una fonte inesauribile di idee. Scriveva canzoni in mezza giornata, a volte, e lui invece non riusciva a mettere giù nemmeno mezza nota.
Quindi si sentiva totalmente inadatto accanto a lui.
Ermal, d'altra parte, vedeva in lui ogni cosa tranne tutti quei difetti che in quel momento Fabrizio si sentiva cuciti addosso.
Vedeva semplicemente un uomo stressato dal troppo lavoro, che si metteva addosso troppe pressioni e che pretendeva troppo da sé stesso.
Ma più di tutto vedeva un uomo innamorato del suo lavoro, esattamente come lo era lui, e quella era una cosa che aveva sempre amato di Fabrizio.
Gli lasciò una carezza affettuosa sul braccio e poi gli disse: "È solo il blocco dello scrittore. Capita a tutti."
Fabrizio sospirò. "A me capita un po' troppo spesso."
"Devi provare a distrarti, a pensare ad altro almeno per qualche ora."
"Fosse facile."
Ermal rimase a fissarlo per un attimo, mentre sentiva il proprio cuore incrinarsi alla vista del suo compagno così sconsolato per quella situazione.
Doveva fare qualcosa. Qualsiasi cosa affinché Fabrizio si distraesse almeno per qualche ora.
"Ti va di vedere Rocky?"
Fabrizio si voltò verso di lui e lo guardò sorpreso. "Ora?"
Ermal annuì. "Così per un po' non pensi a questa nuova canzone che non riesci a scrivere."
Fabrizio parve pensarci un attimo. Effettivamente, staccare la spina non avrebbe potuto fargli che bene.
Si erano sistemati in camera da letto, Ermal seduto sul materasso e con la schiena appoggiata alla testiera del letto, Fabrizio accoccolato su di lui e con un braccio a stringergli la vita.
Non avevano parlato - fatta eccezione per il momento in cui Fabrizio aveva chiesto quale film avrebbero visto ed Ermal gli aveva proposto di vederli tutti - ma ad entrambi andava più che bene. In certi momenti, le parole non erano necessarie.
Fabrizio si era visibilmente tranquillizzato - se fosse per merito del film, del fatto che fosse tra le braccia di Ermal o di entrambe le cose, in realtà non lo sapeva - ma non aveva smesso di pensare alla canzone che avrebbe voluto scrivere e che sembrava non volerne sapere di uscire.
Si lasciò sfuggire un sospiro affranto e cercò di concentrarsi sul film, ma Ermal abbassò lo sguardo su di lui e disse: "Sei ancora teso."
Non era una domanda, non aveva bisogno di chiederglielo.
Lo conosceva bene, sapeva che era così.
"Lo so, scusa."
Ermal afferrò il telecomando e mise in pausa il film, poi rivolse la sua attenzione totalmente al compagno e disse: "Non devi chiedere scusa. Non ce n'è motivo. Vorrei solo vederti più tranquillo."
Fabrizio si scostò da lui rotolando sulla schiena e rimase a fissare il soffitto per un attimo. Poi disse: "Sei convinto che sia solo il blocco dello scrittore? Che passerà?"
"Che altro dovrebbe essere?"
"Non lo so, magari all'improvviso ho perso tutte le mie capacità di scrivere canzoni decenti."
Ermal evitò di prenderlo in giro dicendo che non erano in una favola in cui una strega gli aveva fatto qualche maledizione per togliergli il suo dono di brillante cantautore. Si limitò a scivolare sul materasso, ritrovandosi sdraiato accanto a lui e disse: "Sono sicuro che sia solo un blocco e che passerà, Bizio. Sai qual è il tuo problema?"
"Quale?" chiese Fabrizio voltandosi verso di lui.
"Il tuo problema è che invece di scrivere ciò che ti passa per la testa, pensi al risultato finale. Pensi alla canzone, a come sarà quando sarà finita. Invece dovresti solo scrivere ciò che ti viene in mente, e poi più avanti riordinarlo e farlo diventare una canzone. È come quando ti viene l'ansia da prestazione quando vai a letto con qualcuno perché, invece di goderti il momento e basta, pensi solo a provocare alla persona con cui stai un orgasmo misurabile in termini di scala Richter. E succede la stessa cosa: ti blocchi e non concludi un cazzo" rispose Ermal.
Fabrizio rimase a fissarlo con la fronte aggrottata, senza capire davvero per quale motivo Ermal avesse fatto quel confronto ma allo stesso tempo rassicurandosi.
In fondo, Ermal aveva ragione. Quel blocco non era dovuto ad altro se non alla sua assurda mania di farsi venire a tutti i costi un'idea, di scrivere a tutti i costi qualcosa, quando in realtà sarebbe bastato aprire la mente e lasciare che le parole uscissero da sole.
Però ancora non capiva tutto quel paragone con il fare sesso.
"Orgasmo misurabile in termini di scala Richter?"
Ermal sbuffò. "Ma dai, è l'unica cosa che ti è rimasta impressa di tutto il mio discorso?"
"Mi stavo solo chiedendo come ti fosse venuta in mente una cosa del genere" disse Fabrizio curioso.
Si sentiva finalmente più tranquillo, più leggero, nonostante l'ansia che ancora gli attanagliava lo stomaco. Quindi accantonò per un attimo tutti i pensieri, lasciandosi andare a quell'assurda chiacchierata con Ermal, curioso di scoprire da dove fosse partito quel suo ragionamento.
Era sempre curioso quando Ermal parlava. Aveva sempre voglia di ascoltarlo e di scoprire cose nuove.
Ermal intanto arrossì leggermente imbarazzato e ammise: "In realtà non è proprio farina del mio sacco. L'ho letto una volta in un libro."
"Ah, e quindi per farmi stare meglio ricicli le frasi dai libri? Non ti impegni nemmeno un po'?" lo prese in giro Fabrizio, senza però ammettere che quel discorso - anche se preso da un libro - lo aveva fatto davvero sentire meglio.
Ermal lo spintonò leggermente senza riuscire a spostarlo di un millimetro, e si mise a ridere.
"Dai, Bizio, che avrei dovuto fare? Farti un discorso filosofico inventato su due piedi? Questo era molto meglio" disse un attimo dopo.
Fabrizio rimase in silenzio per qualche minuto, completamente assorto nei suoi pensieri, finché Ermal lo guardò e disse: "A che pensi?"
"Stavo pensando che, in effetti, la prima volta che siamo stati a letto insieme un po' di ansia ce l'avevo. Ed era esattamente per il motivo di cui parlavi tu. Volevo a tutti i costi che tu stessi bene, che non mi stavo godendo il momento come avrei dovuto e ho rischiato di bloccarmi."
"Però alla fine non l'hai fatto."
"Non l'ho fatto solo perché tu mi hai fatto passare l'ansia. Come sempre" disse Fabrizio, sorridendo al ricordo di quella notte a Lisbona, in cui avevano fatto l'amore per la prima volta.
Fabrizio aveva finto per tutto il tempo di essere sicuro di sé, quando in realtà era solo ossessionato dal pensiero che Ermal stesse bene. Si era rilassato solo quando Ermal aveva preso il controllo della situazione, invertendo le posizioni e piazzandosi tra le sue gambe.
Ermal sorrise e si avvicinò a Fabrizio, lasciandogli un bacio tenero sulla punta del naso. Poi, ancora pericolosamente vicino a lui, sussurrò: "Sono qui per questo. Per farti stare meglio."
"Lo so" rispose Fabrizio.
"Allora dimmi cosa posso fare per farti stare meglio, perché lo vedo che sei ancora teso."
Fabrizio sorrise. Ancora non riusciva a rendersi conto del tutto di cosa volesse dire avere accanto una persona come Ermal, che era in grado di capire ogni suo stato d'animo senza che lui parlasse.
Era un po' inquietante a volte e si sentiva terribilmente messo a nudo, ma era anche piacevole poter contare su qualcuno che lo capiva in quel modo.
"Niente, sto bene così. Mi sentirei in colpa a chiederti favori sessuali per tranquillizzarmi" scherz�� Fabrizio.
E, per una volta, stava davvero scherzando.
Ermal aveva già fatto così tanto per lui, standogli vicino in un momento di crisi, proponendogli di guardare insieme il suo film preferito. Semplicemente stando lì accanto a lui.
E il sesso era l'ultima a cosa a cui Fabrizio pensava in quel momento.
Ma Ermal non era della stessa opinione.
Si sporse verso di lui e gli baciò il collo, poi gli sussurrò all'orecchio: "Non sentirti mai in colpa a chiedermi di fare l'amore con te."
"Io non ti ho chiesto niente" cercò di difendersi Fabrizio. In fondo, era la verità.
"Facciamo che te lo sto chiedendo io, allora" disse ancora Ermal.
Poi, senza aggiungere altro, si appropriò delle sue labbra.
Fabrizio gemette appena sentì la lingua di Ermal tracciargli il contorno delle labbra e poi infilarsi nella sua bocca.
Se fino a quel momento il sesso era stato l'ultimo dei suoi pensieri, di certo quel bacio e il corpo caldo di Ermal premuto sul suo cambiavano le cose.
Si sistemò meglio, lasciando che Ermal prendesse posto tra le sue gambe e si spalmasse completamente su di lui, e non poté evitare di gemere nella sua bocca sentendo la crescente erezione del compagno sfiorargli la coscia.
"Questo, in effetti, è un ottimo modo per distrarmi" disse Fabrizio, interrompendo il bacio per un attimo.
Ermal sorrise e prese a baciargli il collo, mentre infilava una mano oltre l'orlo della sua maglietta.
Fabrizio sospirò sentendo le dita di Ermal sulla sua pelle.
Ermal aveva sempre le dita gelide, troppo fredde rispetto al calore naturale che emanava la pelle di Fabrizio, eppure il più grande amava la sensazione delle sue dita fredde su di lui. Amava i brividi che sentiva - sicuramente provocati non solo dal freddo - e amava la delicatezza con cui Ermal lo toccava.
"Toglimela" sospirò Fabrizio, riferendosi alla sua maglietta che ormai era diventata solo un intralcio.
Ermal non se lo fece ripetere. Gliela sfilò in un attimo e, poco dopo, anche la sua camicia finì a fare compagnia alla maglia di Fabrizio sul pavimento della camera.
Ermal tornò a baciare il collo di Fabrizio, questa volta spostandosi lentamente verso il basso, tracciando una scia di baci verso la spalla, il petto, passando in rassegna ogni tatuaggio, soffermandosi qualche secondo in più su un capezzolo.
Fabrizio, sotto di lui, continuava a sospirare e a desiderare di più ma non voleva mettergli fretta. Ermal stava facendo tutto quello per lui, per farlo stare meglio, ed era giusto che fosse lui a dettare le regole.
Arrivato al bordo dei pantaloni, lanciò un'occhiata maliziosa al compagno - una di quelle che Fabrizio odiava, perché era il tipico sguardo che Ermal aveva ogni volta che aveva il controllo della situazione - e poi abbassò con un solo gesto i pantaloni e i boxer, sfilandoglieli e lasciandolo finalmente nudo sotto di sé.
Fabrizio sospirò sentendo finalmente la sua erezione libera da costrizioni, mentre Ermal se ne stava inginocchiato tra le sue gambe a guardarlo.
"Che c'è?" chiese Fabrizio.
Ermal scosse la testa. "Niente, è che ogni volta sembri più bello."
Fabrizio arrossì e si coprì la faccia con le mani, cercando di nascondere l'imbarazzo che i complimenti di Ermal gli provocavano ogni volta.
Ancora con il viso coperto, si rese conto di ciò che stava facendo Ermal solo quando sentì la sua lingua percorrere la sua lunghezza e poi le sue labbra circondarlo interamente, mentre le sue dita massaggiavano lentamente la sua apertura.
Gemette sentendo la bocca e le dita di Ermal su di sé e gemette ancora di più un attimo dopo quando, aprendo gli occhi e puntando lo sguardo verso il basso, vide Ermal fissarlo con gli occhi lucidi e carichi di eccitazione.
Allungò una mano verso di lui, infilandogli le dita tra i capelli e accompagnando i suoi movimenti.
Ermal mugolò sentendo le dita di Fabrizio tra i suoi capelli.
Aveva sempre odiato che qualcuno lo toccasse in quel modo, che infilasse le dita tra i suoi capelli, che li tirasse, che ci giocasse. Ma Fabrizio no. A lui aveva concesso anche quello, a Fabrizio aveva permesso ciò che nessun altro aveva mai potuto fare.
E a dire il vero, non solo glielo aveva permesso ma lo eccitava sentire le dita di Fabrizio insinuarsi tra i suoi ricci, massaggiargli lo scalpo e poi tirargli leggermente i capelli quando le cose si facevano più passionali.
"Quando fai così mi viene il dubbio che piaccia più a te che a me" lo prese in giro Fabrizio, ormai a corto di fiato.
Ermal, in risposta, iniziò a succhiare avidamente mentre senza alcun preavviso inseriva un dito nella sua fessura, come a dimostrargli che effettivamente Fabrizio non era l'unico a divertirsi in quella situazione.
Fabrizio si lasciò sfuggire un lamento dovuto alla sorpresa per quella improvvisa intrusione, ma poco dopo iniziò a gemere senza ritegno mentre Ermal continuava ad occuparsi attentamente di lui.
Solo quando Ermal lo sentì implorare di avere di più, si decise a interrompere la sua meticolosa preparazione.
"Passami il lubrificante" disse scostandosi da lui e asciugandosi un rivolo di saliva che si era fatto strada lungo il suo mento.
"Non ce n'è bisogno."
"Bizio..."
"Ho detto che non ne ho bisogno. Ti prego, Ermal" piagnucolò Fabrizio, bisognoso di sentire Ermal dentro di sé.
Ermal lo guardò titubante, ma si fece convincere dallo sguardo implorante del compagno.
Si tolse velocemente i pantaloni e i boxer che ancora indossava e, in mancanza del lubrificante che Fabrizio non voleva usare pur di non perdere tempo, cercò di arrangiarsi con il suo stesso liquido preseminale.
Fabrizio intanto continuava a lamentarsi e a supplicare Ermal di tornare da lui.
Se fino a poco prima il sesso era stato l'ultimo dei suoi pensieri, in quel momento non riusciva a pensare ad altro che ad avere Ermal su di sé, dentro di sé.
"Sei così bello quando fai così" disse Ermal ritornando su Fabrizio e allineando la propria erezione con la sua apertura.
"Così come?"
"Quando mi vuoi così tanto che arrivi addirittura a supplicarmi" disse Ermal.
Poi lo penetrò con un'unica spinta, facendogli sfuggire un lamento e spezzandogli il fiato per un attimo.
Rimase immobile per qualche attimo, permettendo a Fabrizio di abituarsi all'intrusione e cercando di resistere alla tentazione di spingersi in lui.
Solo quando sentì Fabrizio muoversi sotto di lui, nel tentativo di andargli incontro, Ermal iniziò ad affondare nel corpo del compagno.
Fabrizio iniziò a gemere e a dimenarsi sotto di lui, affondando la testa nel cuscino e supplicando Ermal di toccarlo.
Ermal non poté che accontentarlo. Fece scivolare una mano tra loro e impugnò l'erezione del compagno, iniziando a masturbarlo velocemente al ritmo delle sue stesse spinte.
Appena sentì il più grande tendersi sotto di lui e il suo rilascio inondargli la mano, Ermal si lasciò andare venendo copiosamente dentro Fabrizio.
Si accasciò su di lui per un attimo, per poi rotolare su un fianco e cercare di riprendere fiato, mentre Fabrizio accanto a lui non si era mosso di un millimetro, incurante dello sperma che gli colava tra le cosce e che avrebbe reso quel letto un vero e proprio disastro da lì a poco.
"Stai bene?" chiese Ermal voltandosi verso di lui dopo qualche minuto, rendendosi conto che Fabrizio non aveva detto una sola parola da quando aveva finito di fare l'amore.
Fabrizio annuì con un cenno, tendendo lo sguardo puntato sul soffitto. Poi disse: "Stavo pensando una cosa."
"Cosa?"
"Sarebbe tanto brutto se scrivessi una canzone sugli orgasmi che mi fa provare il mio fidanzato? Perché è l'unica cosa a cui riesco a pensare."
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Espumantaria, a Lisbona l'aperitivo ha le bollicine
Espumantaria, a Lisbona l’aperitivo ha le bollicine
ENGLISH – PORTUGUÊS – FRANÇAIS – ESPAÑOL – DEUTSCH Lisbona non si ferma mai e propone sempre novità interessanti per tutti i gusti. Oggi, voglio svelarvi un’altra novità per gli amanti degli aperitivi, come me: l’aperitivo con lo spumante portoghese presso la Espumantaria di Cais do Sodré. Sulla strada rosa della capitale, non per nulla da tutti conosciuta come la Pink Street, al n. 39 troverete…
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La Febbre Del Sabato Sera, ma non Quella Buona
Mi chiamo Milena e anche se in teoria avrei kose da fare per la patente, mi sono ammalata come Ermal, per cui mi è partita una cosina. Con un po’ di Rindrea di sottofondo e un ospite a sorpresa manco fossi Maria de Filippi, eccoci qua.
Ermal si è ammalato.
Ok e grazie al cazzo direte voi: con tutto lo sbollattamento subito da Febbraio, prima o poi il suo corpo doveva cedere.
Non che negli ultimi tempi non abbia dato prova di alcuni piccoli segnali: il polso infiammato, il cortisone, la voce fuori uso. Tutte cose che, però, era riuscito bene o male a superare con un po’ di salti mortali e fin troppi convinti “sto bene” che quasi nessuno si era bevuto.
Solo che questa volta, la grande differenza è che si è ammalato per bene.
Febbre a trentanove, mal di gola, tosse, indolenzimento, mal di testa, nausea. Insomma tutti i bellissimi sintomi che stanno a indicare un’influenza bella potente.
Indi per cui, è dovuto rimanersene a letto.
Ci ha provato fino all’ultimo, a non mancare. Ha preso più tachipirina di quanto fosse umanamente consigliabile, eppure il termometro è ostinatamente rimasto ad oscillare tra i numeri 38 e i 39.
Ha perfino chiamato l’autista che l’ha raggiunto sotto casa, ma quando alzandosi per cercare di rendersi presentabili si è ritrovato con le orecchie che fischiavano e ha rischiato di dare un poco gentile e delicato bacio al pavimento con la faccia, ha capito che sì, per una volta la risposta doveva essere “no, non ce la faccio a venire, mi dispiace”
Quindi, una volta che ha barcollato di nuovo verso il letto e si è rimesso dentro alle coperte tipo avocado nel sushi roll, ha chiamato, disdetto, scritto un tweet di scuse, e poi ha collassato.
Si risveglia soltanto quando sente delle voci nell’ingresso
Infastidito, si rigira nel letto, la testa che gli duole come non mai
I suoi neuroni ci mettono qualche secondo di troppo a collegare che non dovrebbero esserci delle voci nel suo ingresso, ma quando ci arrivano apre gli occhi lucidi, sforzandosi di tirarsi su nonostante tutte le sue articolazioni siano in full mood Albano urla AAAA per dieci minuti
Tendendo le orecchie doloranti e mezze tappate, riesce a sentire qualcuno parlare
“... detto che non lo so, ma non posso” “Solo per qualche ora, davvero”
Riconosce, nelle voci che sente a stento, quello che sembrerebbe il tono di Rinald.
“Rinald?” si sforza di chiamare, dubbioso, la voce che suona roca e impastata per il sonno e il dolore che la attraversa quando parla.
Le voci si fermano. Poco dopo, la porta si apre e sì, sbuca suo fratello. Suo fratello dietro al quale, timidamente, sbuca anche Andrea, che sembra voler fare di tutto per strizzarsi nello spazio occupato dalle sue spalle per non farsi vedere
Li osserva qualche istante, rintronato come non mai, prima di dire stupidamente “Che cosa ci fate in casa mia?”
I due si scambiano una lunga occhiata che ha la forma di un breve litigio interiore e poi Rinald fa un passo avanti, sospirando “Siamo passati per darti una mano. Ti abbiamo ritirato la posta e sistemato un po’ le cose che erano rimaste in giro. Io devo andare a lavoro adesso, ma Andrea rimarrà qui con te, ok?”
Ermal li guarda, più perplesso di prima
Non tanto per loro, ma perché nella sua mente ottenebrata dalla febbre sta comparendo il ricordo sfocato di Pastorino sulla porta della sua stanza che lo guarda in silenzio e quando si accorge che è sveglio proclama un “Ero passato a vedere come stai. Non entro per non ammalarmi. Buona guarigione, ciao”
“Ma per caso avete visto pastorino?” chiede
Rinald e Andrea si guardano come se non fossero del tutto sicuri che il suo cervello non sia stato fritto dalla febbre.
Nella testa di Ermal, i dettagli riaffiorano e compongono una visione piuttosto inquietante dato che se lo ricorda in penombra, quindi era probabilmente sera tarda. Deve essere mattino, ora.
“Che ore sono?” chiede infatti poi o, per meglio dire, gracchia, tossendo
“Le sette e mezzo” risponde Rinald, scrollando le spalle “Siamo venuti appena svegli”
Ermal non commenta la cosa. Lo sa che ormai i due passano più tempo insieme che da soli. E poi, non gli interessa di commentarla. Sta troppo male. Si sente la testa scoppiare mentre, con un sospiro, si riaccascia sul cuscino, recuperando un fazzoletto ormai freddo e inutilizzabile dal comodino per soffiarcisi il naso
Non commenta nemmeno che devono essere venuti la mattina a casa sua perché la sera erano impegnati a venire in altro modo. Lui vuole solo che gli venga una botta di sonno che lo faccia dormire fino a quando la febbre non scende
“Senti” dice Rinald guardandolo “Ti porto una tachipirina, ok? Poi tu riposi. Andrea magari ti fa un te o qualcosa da mangiare, va bene? E ci vediamo stasera”
Annuisce, perché non ha nient’altro da fare
I due si baciano per salutarsi. Un bacio rumoroso, che prende più tempo di quanto Ermal vorrebbe
Potrebbe vomitare
Ma non per loro, perché sta proprio male
Solo che così gli verrà pure il diabete cazzo e ci manca solo quella
Alla fine Rinald esce e Andrea rimane a guardarlo con un sorrisino imbarazzato, lo stesso da “what the actual fuck” che aveva a Lisbona quando stavano comprando il deodorante
Ermal si chiede quanto Rinald faccia una scelta giusta, ma altro non può fare
Effettivamente, Andrea gli porta una tachipirina. Gliela fa prendere, guarda l’orologio, e gli assicura che tornerà a dargliene un’altra tra qualche ora. Gli fa provare la febbre, ostinatamente fissa su 38.8, e gli chiede se se la sente di alzarsi
Ermal gli rivolge lo stesso sguardo che rivolgerebbe a qualcuno che gli ha chiesto se vuole andare sulla Luna a piedi nel weekend e lui desiste. Gli lascia quindi il bicchiere d’acqua e gli porta un nuovo pacchetto di fazzoletti, evitando accuratamente di toccare gli altri lasciati sul comodino e sul pavimento
Alla fine scappa in cucina e se ne ritorna con un tè che gli posa sul comodino, suggerendogli di berlo.
“Ci ho messo un po’ di zucchero, così ti ridà le forze” spiega, tormentandosi le mani
Il po’ di zucchero si rivela essere un quantitativo tale che dopo un sorso Ermal rischia di rimettere pure il pranzo pasquale di quando era un feto
Perciò, lo ringrazia con un sorriso che gli fa male alla faccia quanto all’anima e torna a sdraiarsi a letto.
Prende il telefono, ma ha un mal di testa talmente forte che dopo un “starò presto meglio, non preoccuparti” mandato a Fabrizio, deve mettere giù
Anche perché i commenti che ha intravisto sulla sua assenza gli hanno fatto di nuovo salire la voglia di rovesciare l’inesistente contenuto del suo stomaco sul pavimento
Leggere non se ne parla nemmeno. Per cui, sceglie di attendere che la tachipirina gli porti via un po’ di mal di testa per dormire, ancora
Si sente così debole e spossato che altro non può fare
“Ermal”
Viene riscosso dalla voce di Andrea che, sulla porta della stanza, si tiene in mano un piatto
“Ho pensato che potesse andarti di mangiare qualcosa” dice, entrando
L’occhiata sospettosa che rivolge al piatto, di solito scambiata per un gesto da persona schizzinosa, in quel caso è più che giustificata: nella fondina galleggia qualcosa che dovrebbe essere una sorta di minestrone, ma che somiglia più a una poltiglia dal colore malaticcio e dall’odore di morte liquida che gli causa un crampo allo stomaco
“Andrea” mormora piano “non credo che mi vada di mangiare”
“ma devi recuperare le forze, Ermal” insiste lui, avvicinandosi ancora. La consistenza della cosa è indubbiamente sospetta e Ermal si chiede cosa cazzo ci abbia messo. Al che, gli viene un gran dubbio
“Che cosa...è quella cosa?” chiede, sforzandosi per far uscire la voce, che comunque appare roca e nasale
“Emmm... tipo... una zuppa? Era l’unica cosa che avevi nel freezer di decente, cioè, hai il frigor vuoto e negli armadietti ho trovato solo cose che non vanno bene ora come ora... solo che non sono sicuro di averlo fatto nel modo giusto e... quando l’hai comprato”
“Buttalo” è la sola risposta che riesce a dargli “non ricordo quando l’ho preso, buttalo via” dice, storcendo il naso
Alla fine, Andrea si convince a portarlo via dato che lo vede che è sull’orlo dello sbocco
Ermal lo sente trafficare con il lavandino. Si chiede quanto resisterà in quel modo. Però la tachipirina deve aver fatto un po’ effetto, perché si sente un po’ meglio
Intendiamoci, un po’ meglio significa solo che convince Andrea ad aiutarlo ad alzarsi per fare pipì e poi si schianta sul divano, non per volontà sua, ma perché si sente sul punto di svenire e non crede di riuscire a raggiungere il letto
Il fatto è che rimane bloccato lì per tipo diverse ore, avvolto in un rotolo di coperte e costretto a guardare uomini e donne, programma che l’amico sembra molto entusiasta di vedere
Amico che si è messo il più lontano possibile da lui e gli passa i fazzoletti praticamente tirandoglieli
Stronzo.
Non che non capisca la sua paura di ammalarsi, ma non è mica un appestato.
Ermal ci prova, a fare conversazione. “Come va con Rinald?” chiede, la voce graffiante e bassa. Non vuole impicciarsi dei fatti loro, solo sapere. “Bene” gli risponde Andrea con un sorriso
Sembra felice della cosa. Non può che essere contento anche lui per loro, in fondo.
Il punto è che mentre dice “Sono contento per voi” arriva a malapena alla metà di contento che scoppia in un attacco di tosse da cui impiega cinque minuti a riprendersi e che gli fa passare la voglia di parlare
E vaffanculo, deve tornarsene a uomini e donne, programma che odia, ma fa niente
Alla fine, stanco e indolenzito peggio di prima, si fa aiutare per tornare a letto, zoppicando come un vecchietto, e ingolla di malavoglia un’altra tachipirina prima di tornare a rotolarsi nella lenzuola lamentandosi come una balena spiaggiata nella speranza che la guarigione sopraggiunga presto
Dal salotto, sente Andrea parlare al telefono con quello che suppone debba essere Rinald dato che lo chiama “amore”
sorride al pensiero, e si allunga a recuperare il telefono
Scarico
E allora vita, che cazzo vuoi.
Finisce che, poco dopo, si riaddormenta di nuovo, sperando che il ritorno di Rinald non significhi che si risveglierà con la casa in fiamme
Non che non creda nelle capacità del fratello, ma con Andrea vicino l’ha visto sbrodolarsi con l’acqua mentre parlava, quindi non è tanto sicuro che sia in pieno possesso delle sue facoltà mentali quando l’altro è lì
Quando si risveglia, la prima cosa che sente è una mano fresca e appena ruvida premuta sulla sua fronte calda
Si sente andare a fuoco e nonostante sia così caldo sta tremando
Eppure, le coperte gli sembrano più pesanti e non sente tanto freddo quanto la notte prima.
In casa, oltretutto, c’è un profumo caldo e piacevole, che non identifica ma che gli fa brontolare la pancia vuota ormai da troppe ore
Andrea ha provato, prima, a fargli ingollare qualche pavesino che si era portato dietro-e non sapeva perché e nemmeno voleva saperlo-ma masticare e mandare giù gli faceva dolere la gola troppo perché potesse sopportarlo e quindi si era arreso. Erano troppo secchi per lui.
Il profumo di cibo gli ricorda Fabrizio.
E’ abituato che, quando sta da lui, ad un certo punto ci sia sempre l’odore del cibo che proviene dalla cucina e questo gli fa muovere una sorta di moto di speranza nel petto
Forse è venuto per lui
Non rimane però nemmeno troppo deluso quando, aprendo gli occhi, si rende conto di aver sperato un po’ troppo, è vero, ma che comunque in cambio ha avuto “Dino”
Gracchia il suo nome con fatica, deglutendo poi con una smorfia. Ha la gola secca e riarsa e si sente la testa che scoppia
Dino è seduto accanto a lui, sul letto, e lo guarda con preoccupazione, anche se concentrato. Sul letto è comparsa una nuova coperta, i fazzoletti sono spariti.
E poi gli sorride appena, alzando le labbra e la barba
“Ho fatto il prima che ho potuto. Hai la febbre alta, comunque” gli annuncia, scuotendo appena la testa “Ti sto facendo un po’ di brodo caldo, va bene? E ho portato delle medicine decenti, non quelle che hai tu. Sempre che tu le abbia, certo. Quini tachipirine, spray per la gola, sciroppo per la tosse, la crema per il naso irritato e a proposito, ho buttato via lo schifo di fazzoletti che c’erano qui attorno, e insomma Ermal, perché non mi hai chiamato quando hai capito di stare così male?” sciorina, guardandolo
Ermal sospira, tirando su con il naso
“Non volevo disturbarti” gracchia, accettando il fazzoletto pulito che l’altro gli tende.
Dino alza gli occhi al cielo
“E io non voglio che tu muoia, quindi la prossima volta magari evita di far venire Andrea. Che, a proposito, sta dormendo sul divano in sala con tuo fratello. Cercava aiuto per disfarsi del cadavere?”
Un sorrisino si dipinge sulle labbra secche dell’altro
“Probabile” dice, prima di leccarsele e ridendo rocamente quando Dino gli passa del burrocacao
“Grazie” dice, tossendo, cosa che fa sbucare nelle mani altrui uno spray “Parli come una cornacchia. Tieni” dice, e poi notando quanto lentamente si muove sospira “Apri, faccio io”
“Non ho due anni” rimbecca, offeso, aprendo poi la bocca per lasciarlo fare
“Guarda che è amaro” dice Dino e già lui sta sentendo il sapore atroce della medicina in bocca e una smorfia gli piega il viso, cosa che fa ridere l’altro “Dai che ti fa bene, signor non ho due anni” dice, passandogli una mano tra i ricci “Sei tutto sudato. Ti devi cambiare” dice poi, alzandosi “Dove tieni i pigiami?”
“Il cassetto...non quello...sì. Quello lì in fondo” lo guida Ermal, ancora muovendo la bocca come un bimbo disgustato
Lascia che l’amico recuperi un pigiama pulito e glielo porti, sospirando quando deve tirarsi su, le giunture che cigolano e scricchiolano
“Aspetta” mormora l’altro, alzandosi e uscendo dalla stanza. Torna dopo qualche minuto con una salvietta umida, che gli tende “Sistemati un po’, così almeno ti metti a letto un po’ più fresco” dice, cosa che fa sorridere Ermal mentre lo aiuta a levare la maglia
“Grazie. Avrei dovuto sposarti io, a questo punto. San Dino”
Dino si limita a sorridere, scuotendo il capo “Non diciamo cazzate dai”
“Lo consideri il divorzio per me?” gracchia scherzosamente, passandosi la salvietta sul collo madido di sudore
“Ti piacerebbe” ride l’altro, aiutandolo poi a rivestirsi prima di fargli un cenno “Cambia lato del letto” dice, aiutandolo poi a spostarsi
“Meglio?” gli chiede quando lo guarda riadagiarsi sul cuscino fresco e pulito mentre gli tende dell’acqua fresca e una tachipirina
“Meglio” risponde lui, accettando le cose
“Vado a prenderti da mangiare, allora” sussurra Dino, passandogli di nuovo una mano tra i ricci
Sorride Ermal, annuendo appena
Ne hanno passate tante, lui e Dino, eppure l’altro è sempre rimasto
“Ah Ermal? Ti ho messo il telefono in carica. Ti converrà sentire Fabrizio, ti ha chiamato tipo nove volte” lo avverte l’altro prima di sparire accostandosi la porta dietro le spalle
Ermal sospira, allungandosi a prendere il telefono. Gli fa ancora male la testa, ma non abbastanza questa volta perché non riesca a premere il tasto della chiamata
Squilla a vuoto per qualche secondo prima che una voce preoccupata dall’altra parte risponda “Pronto Erma?”
In automatico, il sorriso gli si allarga sul viso.
“Bizio” gracchia piano
“Erma. M’hai fatto morì, non riuscivo a chiamarti” “Si scusa, lo so” bisbiglia, il tono preoccupato di fabrizio che gli fa male e gli scalda il cuore insieme “Mi si è scaricato il telefono e poi mi sono addormentato” spiega
“Ah. Capito. Che brutta voce che c’hai. Come stai ora?” gli chiede, la voce bassa e più tranquilla
“Meglio, dai. Cioè, no, sto ancora una merda ma è arrivato Dino quindi meglio. Almeno so che non morirò avvelenato per colpa del brodo di Andrea” ride, anche se la risata viene stroncata a metà da un colpo di tosse, cosa che fa sospirare Fabrizio
“Sta al caldo. E mangia. E prendi ‘e tachipirine, eh. E qualcosa pe a gola. Verrei a Milano, se potessi, ma sto co’ Anita che pure c’ha ‘a febbre” gli spiega, contrito, cosa che fa scuotere il capo a Ermal anche se non può vederlo
“Non fa niente. Spero che si riprenda presto anche lei. Dille che la saluto” mormora, schiarendosi la voce più che può e tirando però su con il naso.
“Comunque so contento che ci sta Dino” dice poi Fabrizio, il tono più dolce “Che almeno si prende cura di te. Per una volta lascia che ‘o facciano gli altri, per favore. Che te devi riprendere e se te sento di che dai fastidio guarda che mi arrabbio”
Di rimando Ermal ride appena “Per una volta, credo che farò così, grazie. Non ho chiamato Dino subito” ammette “Ma effettivamente mi serve che sia qui” dice, sospirando poi “Mi manchi” soffia “Ma ci vediamo presto, ok? Appena guarisco” gli promette, tossicchiando
“Ma certo. Mo vado che Anita sta a piagnere, scusa. Ci sentiamo dopo” mormora Fabrizio
“A dopo” sospira Ermal chiudendo la chiamata con un sospiro.
Salvo poi ridere quando sente che, dal salotto, Andrea deve essersi svegliato dato che sente un tonfo e poi un urlo
Probabilmente è caduto dal divano
E mentre si riaccomoda tra le coperte pensa che sì, può lasciare che gli altri si prendano cura di lui per una volta
Anche perché senza Dino, dubita che sarebbe sopravvissuto un altro giorno in balia di quei due che, fortunatamente, passano a salutarlo e poi decidono di andarsene, tenendosi la mano
Sono carini, insieme
Quando Dino si presenta in camera con una fondina piena di brodo caldo e profumato, Ermal giura che potrebbe piangere dalla gioia
Mentre lo mangia, con Dino seduto accanto a lui che gli da una mano a non sbrodolarsi come un bambino, si ricorda della cucina della nonna, dove aleggiava sempre un profumo caldo e avvolgente, che ti faceva brontolare la pancia e sognare di pane e dolci e tanti altri buoni piatti che cucinava
“Grazie” mormora quando finisce, lasciandosi ricadere a letto tra le coltri calde e morbide con un sospiro
Si sente già meglio, così
Alla fine si ritrova steso vicino a Dino, che ha scelto di sdraiarsi accanto a lui nel letto nonostante le proteste sul fatto che sarebbe finito ad ammalarsi a sua volta
Finisce che, come anni e anni prima, si ritrova accoccolato vicino a lui, uno sbadiglio che soffoca vicino al suo collo mentre sospira appena
“Ti voglio bene” mormora piano, nel silenzio della stanza
“Anche io ti voglio bene” replica l’altro, carezzandogli appena la schiena
Se ci ripensa, Ermal quasi non crede a quanta strada hanno fatto negli ultimi anni e di quante ne abbia fatta anche da solo, personalmente, negli ultimi tempi
Sa solo che è grato, grato di avere Dino, grato di avere Marco e Andrea e Pace e Emiliano e tutte le altre persone che gli sono accanto in quel momento
Grato di avere Fabrizio, che è come arrivato dal nulla e che si è guadagnato nel suo cuore uno spazio enorme, incontenibile, e che nella sua anima ha lasciato più di un’impronta indelebile
E mentre scivola nel sonno, seppur malato e stanco, si sente più sereno che mai.
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Hola amigos!!! Mi presento…Mi chiamo Martina, ormai ho 28 anni…e il grande problema che affligge, da sempre, la mia vita è che ho troppi hobbies! E non parlatemi di cose nuove perchè ho la tendenza a voler fare tutto…ma far troppe cose, porta a farle tutte poco e male. Al momento le mie passioni vanno dall’inglese e la musica, che sono le più antiche, nonchè collegate tra loro: a 5 anni ho iniziato a suonare il pianoforte e suonavo, cantando come una pazza, le hit delle Spice Girls, ai viaggi, lo yoga, lo snowboard e il surf.
Sono stata iniziata alla pratica del viaggiare dai miei genitori, che erano considerati dei pazzi da un po’ tutti i parenti perchè prendevano su me e mio fratello (di due anni più giovane) e ci portavano all’avanscoperta del mondo anche due volte l’anno. Tornando alle Spice Girls fu in Scozia, dopo un’avventura in bungalow completamente isolati, tra le Highlands, che, approdati ad Edimburgh, tornati nella civiltà, scoprii giornali, gadgets e vhs sulle mie amate (avevo 6 anni) dunque, sfoderando i miei migliori occhioni, mi feci comprare di tutto e di più senza calcolare, però, che chiaramente era tutto in lingua originale…e fu così che, intestardita più che mai a capire il “making of the video” di wannabe, mi appassionai all’inglese.
Come potreste già aver intuito devo gran parte di quella che sono oggi, o meglio, gran parte della mia follia ai miei genitori, che non sono proprio ordinari ma li amo proprio per questo!! Sono entrambi agronomi ma mio padre, al momento, è in prepensionamento, infatti ha riiniziato a viaggiare con la sottoscritta (il che è mooooolto bene!) mentre madre sta diventando insegnante di yoga e frequenta corsi quotidianamente in ben 2 scuole diverse (per non farsi mancare nulla) così mi ha trascinata in questo magico mondo da un paio d’anni e l’avesse mai fatto….non sapete quante volte alla settimana penso di mollare tutto e andare a fare un corso intensivo in India!! Alla mia età, ormai non proprio più giovanissima, purtroppo, me tocca lavorà per campà…convivo con il mio morosino Jacopino, ovviamente non me ne sono trovata uno troppo normale, col quale, dopo pochi mesi che ci frequentavamo, abbiamo subito fatto un viaggio estremo, nell’arco del quale, il vocabolo che ripeteva più spesso era “hardcore dude!!!”. Io stavo finendo l’università mentre lui, in seguito ad un mese di mutua per via di un’operazione, veniva lasciato a casa dal lavoro…così allegramente disoccupato ed io, ancora felicemente studentessa, siamo partiti in macchina da Piacenza (dove viviamo) e ci siamo sparati 6.500 km per un mese e mezzo di viaggio con il tendino da 50€ di dechatlon (col senno di poi un piccolo investimento per la tenda potevamo farlo…)
Del viaggione hardcore ve ne voglio parlare separatamente per darvi eventualmente anche qualche consiglio onde evitare di commettere i nostri errori (sbagliando s’impara), vi anticipo, però, le tappe: Piacenza - Barcellona - San Sebastiàn - Zarautz - Salamanca - Porto - Nazarè - Ericeira - Lisbona - Huelva - Cadìz - Tarifa - Malaga - Granada - Alicante - Barcellona (Floresta) - Piacenza - Overjam Festival Tolmin (Slovenia) - Piacenza.
Purtroppo non posso parlarvi dei super viaggi del passato coi miei genitori (forse di uno si…vedremo…) perchè, ormai, troppo lontani nel tempo, ma a partire da quello che vi ho poc’anzi menzionato (scusate sono laureata in giurisprudenza….eheheh vi ho stupiti è??? Ebbene si…e il poc’anzi mi fa scompisciare!) Cmq dicevo…dal poc’anzi menzionato in poi ho tante cose da dirvi!! A presto amigos!!!
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