#domina paris
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zaritarazi · 7 months ago
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kendra was supposed to be cured before she could turn into a vampire — so why is ser thomas haunting her dreams, lingering out of the corner of her eye? how is she supposed to help stop st. roch when she's so endlessly hungry? and what is she going to do when carter finds out, if she can only think about draining him dry? hawkman (2002) post #26 au: kendra's a baby vampire. carter has no idea, and ironically, he's trying to push her away for her own good. domina doesn't understand what she's seeing. combined with an alleged avenging angel on the loose only one thing is certain: the city of st. roch is about to lose a lot of blood.
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morgantheblue · 18 days ago
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Meet (Some Of) My OCs!
I have a lot of them. Too many. The ones posted here are but some the ones that @transgwenderart has done art for. (You should commission her. Cause she's fucking great.)
In this post you'll see OCs from:
CYBERPUNK WORLD OF DARKNESS WARHAMMER 40K and FFXIV
BLUE-A Cyberpunk thief with an AI hitching a ride in their head.
Age:25 Pronouns: She/They An anarchist, pirate, thief and host to a highly illegal AI, Blue has the mind of a cynic and the soul of a poet. Desperately yearning for a better world they think may never come. Their cyberware is chosen to reject a sterile "Silicon Valley" aesthetic.
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Arisander White-A Malkavian Seer and accidental Cult Leader
Age: 20 (Physical) 64 (Actual) Pronouns: They/Them A member of Clan Malkavian with a particularly strong connection to the Cobweb. Ari tried to start an information sharing network for Malkavians. Unfortunately one of the first attendees quickly convinced the others that Ari speaks with the voice of Malkav itself. Ari has tried to persuade them otherwise. It doesn't work.
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Flavia Rossi-A Lasombra who loves to wrap her shadows around her servants.
Age: 45 (Physical) 126 (Actual) Pronouns: She/Her Flavia, or to her many servants, Domina was a member of the Italian Resistance in World War 2, wherein her prospective sire did her very best to utterly ruin her. Flavia stood strong through it all and earned the Embrace. A recent defector to the Camarilla, she is seductive, beautiful and utterly ruthless. Attended to be a stable of masked, nameless Ghouls, she wants to wrap the nightlife of Paris around her little finger.
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The Many Faces Of Mina Amariyo- Mina is, to be blunt, the OC that means the most to me. She crops up in many settings, and I love her in each and every one.
First, she was a Warrior Of Light.
Age: 27 Pronouns: She/Her Born in the Twelveswood to the Amariyo clan, Mina was troubled by a body that didn't feel like hers and a name she had no love for. Given how aggressively gendered Miqo'te Society could be, Mina ran away from home and set out across Eorzea with a song in her heart and adventure on her mind. Friendly, excitable and an utter adrenaline junkie, she seeks new challenges, new monsters and new experiences with every passing day.
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In the Grim Darkness of the 42nd Millenium, she was a Rogue Trader.
Age: 26 Pronouns: She/Her The only child of Lord Captain Alezander De Amarius. Mina was raised among the towering spires of the Imperium's elite. An Abhuman by technicality, her mother being a Felinid, Mina became a Rogue Trader by Birthright following the passing of her father. Even more addicted to adventure than her Eorzean counterpart, Captain De Amarius strides into the void from her ship the Invictrix Anima.
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And most recently, she has become an Agent of the Technocratic Union.
Age: 26 Pronouns: She/Her Agent Mina Amari is something of a rising star in the Technocracy. Following the Week of Nightmares, she is part of a new generation of Technocratic Agents who see that the Union is in dire need of internal reform. To this end, she has welcomed the Ascension Truce and works tirelessly to protect whichever city she is sent to from Reality Deviants and worse. She still however, believes the Technocratic line that she is not a mage. Magic is reality deviance. Her Enlightened Science is different. Calling her a mage is a good way to get on her bad side.
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Thank you again to the wonderful @transgwenderart for all of the art seen on this post. She's brought my characters to life in ways I never could. If any of these characters interest you, I'm more than happy to answer questions about them! Thanks for taking the time to read about them and have a lovely day!
All the best
-Morgan
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crazy-so-na-sega · 6 months ago
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Lettera aperta - Olimpiadi
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La cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Parigi è la rappresentazione plastica di come certi eventi di caratura internazionale siano un’operazione di indottrinamento delle masse, volta ad attuare una riformattazione dei costumi, se non antropologica, delle cosiddette società occidentali.
Malgrado il dietro front di chi lancia il sasso per poi nascondere la mano con l’incalzare delle polemiche, alludendo a margine delle scuse ufficiali che la disposizione attorno a un tavolo di transessuali agghindati ad arte per l’occasione, manco le Olimpiadi siano il Carnevale di Rio de Janeiro, non sia una caricatura blasfema dell’Ultima Cena rappresentata dal Da Vinci, ma secondo la direttrice della comunicazione delle Olimpiadi Anne Descamps e Thomas Jolly, il direttore artistico (se così possiamo definirlo) della cerimonia, si voleva invece educare alla tolleranza e alla comunione.
Le Olimpiadi quali giochi che si svolgevano in Grecia iniziavano con celebrazioni religiose in favore di Zeus e si concludevano con la premiazione degli atleti vincitori, vennero riprese in epoca moderna a fine ‘800, ma sempre hanno conservato un universo estetico e simbolico arcaico proprio di quella civiltà ellenica che ha permeato l’Europa: dalla fiamma olimpica alla traslazione in altre nazioni a testimoniarne l’universalità.
E con la competizione insita nella natura dell’essere umano di confrontarsi con avversari al proprio pari, si veicolava un’immagine di sé salubre, forte ed atletica. E quindi indiscutibilmente bella. Perché nonostante le infezioni culturali contemporanee che propinano un relativismo tout court, esiste un canone oggettivo della bellezza, che la classicità ci suggerisce da tempi immemori che è rappresentato dall’armonia delle forme e da un ordine che è sintesi dell’unità che domina la diversità.
Bellezza, ordine, sostanza e FORMA. Ciò che abbiamo interpretato e riprodotto in tutti gli ambiti e in ogni epoca. Fino ad oggi. Perché noi siamo europei e proveniamo da una Civiltà.
Di contro, ciò che più di ogni altra cosa mina l’esistenza di una civiltà è l’informe. Perché l’assenza di Forma genera una sostanza malata. E là dove la sostanza è malata, la bellezza non può trovare posto e si finisce inesorabilmente per imbruttirsi. Prima nel singolo, poi nella moltitudine e infine nella società. E quindi si avvia il declino di una civiltà in decadenza.
E quando una società è decadente si può arrivare ad assistere all’esibizione della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi con un personaggio come Barbara Butch investita dal ruolo di frontman. 
Conferitole recentemente il premio di personalità LGBT dell’anno per via della moltitudine di battaglie coraggiosissime a difesa delle minoranze arcobaleno condotte temerariamente al fianco di pressoché tutte le multinazionali, dei magnati della finanza e del mainstream globale. Allora comprendiamo perfettamente che il concetto di Forma quale riflesso di bellezza e di un ordine superiore suggeritoci dalla classicità dei greci, quegli europei che hanno dato vita alle Olimpiadi nel 776 a.C., difficilmente possa attecchire su chi come Barbara Butch conduce audacemente crociate in difesa de “l’accettazione dei grassi”. 
Perché l’immagine della cerimonia inaugurale in salsa woke è la più fulgida rappresentazione di come sia ripugnante l’esaltazione delle devianze promosse da chi essendo informe per natura, ha in spregio tutto ciò che essendo bello e giusto secondo natura, costituisce saldezza e ancoraggio: la famiglia e la Nazione, la Cultura e l’identità.
L’agenda cosmopolita della società aperta in fase di consolidamento mira alla distruzione di questi cardini e opera attraverso il condizionamento sociale di una propaganda che si fa sempre più spinta e pervasiva.
Nell’industria dell’intrattenimento, quella cinematografica, musicale o sportiva come in questo caso, ormai è prassi ordinaria rendere espliciti aspetti occulti di un certo misticismo sinistro: dall’ostentazione di modelli devianti per giungere all’esposizione di immagini sempre più spesso esplicitamente sataniste.
Ci chiediamo se eventi come Eurovision, Berlin Fashion Show e Super Bowl ad esempio attraverso performance altamente simboliche, non siano rivelatrici di un retroterra “esclusivo” che rappresenta egregiamente Sodoma e Gomorra: costumi BDSM, ballerini vestiti da donna in perizoma, cantanti che si esibiscono nudi, sesso omosessuale di gruppo praticato in un bagno sporco, croci rovesciate, streghe e demoni che si accoppiano al centro di un pentagramma, adulti che posano davanti alle cineprese con genitali esposti in presenza di bambini.
Vorremmo esimerci anche solo dal pronunciare certe oscenità per via della natura scabrosa di certi contenuti, se non fosse che vengono trasmesse in mondovisione sintonizzando centinaia di milioni di ascoltatori, sdoganando e normalizzando un passo alla volta le più infime degenerazioni dell’uomo mascherate da creatività, arte e inclusività.
Una poderosa macchina di propaganda mondiale che aspira a cancellare le identità nazionali e sovvertendo le religioni, i costumi e le tradizioni dei popoli, mira a scalzare ciò a cui siamo profondamente legati con lo squallore di una “cultura” globale indifferenziata che si esibisce in tutta la sua ripugnanza.
Ferocemente
-Kulturaeuropa
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pettirosso1959 · 1 month ago
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L'idrogeno è letteralmente la sostanza più soggetta a perdite sulla Terra, le molecole di idrogeno sono così piccole che, usando un termine non consono ma chiarissimo, scivolano attraverso le fessure ove nient'altro può sfuggire. E' la molecola più piccola e leggera, la più volatile, la più penetrante e permeante. Non è nemmeno possibile aggiungere in modo affidabile odorizzanti all'idrogeno per rendere le perdite più evidenti: le sostanze chimiche maleodoranti che vengono aggiunte alla maggior parte dei gas per fornire un avviso tempestivo di perdite rimangono intrappolate nel tubo, le molecole di odore, più "grandi" e pesanti a livello chimico, non possono passare attraverso le minuscole fessurazioni nei tubi, ma l'idrogeno può passarvi attraverso liberamente.
E, naturalmente, le perdite di idrogeno sono un grave pericolo per la sicurezza. Quando l'idrogeno perde in quantità, satura rapidamente l'ambiente e prende fuoco quasi istantaneamente. Anche se assolutamente letali, tali incendi sono quasi invisibili, perché l'idrogeno nell'aria libera "brucia" (ok, si ossida violentemente) così generando talmente e tanto calore, che gran parte dell'energia viene irradiata sotto forma di luce blu pallida, viola e ultravioletta. C'è un motivo per cui nell'industria è necessaria una licenza speciale per gestire l'idrogeno industriale: maneggiare idrogeno è incredibilmente pericoloso. Che dire? Esiste una soluzione "verde" che su larga scala non causerebbe un disastro umanitario o ambientale? --------------------------------------------------------
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"Dipartimento di Scienze Atmosferiche e Planetarie della Terra, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, MA, Stati Uniti:
L'Idrogeno (H2) è considerato un combustibile promettente per contribuire all'obiettivo di zero emissioni nette di carbonio. Sebbene l'idrogeno in sé non sia un gas serra, la perdita di combustibili a idrogeno provoca un riscaldamento indiretto a causa dell'influenza dell'idrogeno sul metano, sull'ozono troposferico e sul vapore acqueo stratosferico, con il termine metano che domina l'impatto. Alcuni studi prendono in considerazione un semplice modello di quattro equazioni per esplorare le conseguenze climatiche delle perdite dovute all'uso di idrogeno rispetto al metano, mentre altri hanno impiegato modelli fotochimici globali molto più dettagliati. Qui utilizziamo un modello fotochimico completo che include 66 reazioni per mostrare e quantificare come l'analogo sistema a quattro equazioni manchi di un feedback OH critico, portandolo a sovrastimare la risposta del metano integrata nel tempo a un impulso di idrogeno di oltre il 100%. Stimiamo un potenziale di riscaldamento globale dell'idrogeno (GWP) rispetto all'anidride carbonica di 28-11+18 sull'orizzonte temporale di 20 anni e 10-4+7 sull'orizzonte temporale di 100 anni sulla base del modello a 66 reazioni e delle informazioni della letteratura. I GWP forniscono una misura dell'impatto relativo al riscaldamento globale dell'emissione di un gas rispetto a un gas di riferimento selezionato per unità di massa emessa. Mentre il CO2 è generalmente scelto per il riferimento, qualsiasi gas può essere utilizzato. Vi presentiamo il GWP di H2 utilizzando CH4 come riferimento, in quanto questa scelta annulla alcune incertezze che sono comuni sia agli H2 e CH4. Il GWP per H2 rispetto a CH4 da fonti di combustibili fossili è 0,35-0,06+0,13 su orizzonti temporali oltre i 15 anni; in altre parole, troviamo che rispetto a una massa equivalente di emissione di CH4 fossile, le emissioni di idrogeno hanno un impatto sul clima circa 3 volte inferiore. Questi potenziali di riscaldamento globale sottolineano che le perdite di idrogeno contribuiscono al cambiamento climatico, sottolineando l'importanza di limitare le perdite di idrogeno e metano se si vogliono raggiungere le emissioni nette di gas serra pari a zero entro il 2050."
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awesomeredhds02 · 1 year ago
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_marinadallacosta_
#prodottooffertodaalexandredeparis La stagione del Flower Power è la mia preferita, lo sapete già! 🥳🌸🌻 In queste fredde giornate autunnali voglio portare un po’ di vibes della bella stagione vestendomi e indossando accessori super colorati🌷🌺🌷 Un maglione caldo dai colori sgargianti a cui ho abbinato un cerchietto @alexandredeparis_official con fiorellini arancio e fucsia che profumano di positività e nuovi inizi, illuminati da cristalli Swarovski incastonati nel pistillo 🤩💎✨ . #fashionisinthehair con ALEXANDRE DE PARIS!  Accessori 100% #handmadeinFrance 🇫🇷 da oltre 50 anni. 👑 . #Ginger #gingerhair #gingermodels #redheadsdoitbest#glamouruivo #goddess_redhead #howtobearedhead#irishstyle #love #naturalredhair #naturalredhead #paleskin#redhair #redhead #redheadgirl #redheadroyalty#redheadsrock #rockitlikearedhead #ruiva #ruivanatural#stunning #domina #gingersofinstagram
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sottileincanto · 8 months ago
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Berenice
- Edgar Allan Poe -
La sventura ha molti aspetti; la miseria sulla terra è multiforme. Domina il vasto orizzonte come l’arcobaleno e i suoi colori sono altrettanto variati, altrettanto distinti eppure strettamente fusi. Domina il vasto orizzonte come l’arcobaleno. In che modo ho potuto trarre un carattere di bruttezza da un esempio di bellezza? Dal sogno dell’amicizia e della pace una similitudine di dolore? Ma come, in morale, il male è la conseguenza del bene, ugualmente, nella realtà dalla gioia nasce l’affanno; sia che il ricordo del passato felice crei 1’angoscia dell’oggi, sia che le agonie reali traggano la loro origine dalle estasi che sono state possibili.
Io ho da raccontare una storia la cui essenza è piena di orrore. La sopprimerei volentieri se non fosse piuttosto una cronaca di sentimenti che di fatti.
Il mio nome di battesimo è Egeo, il mio nome di famiglia non lo dirò. Nella regione non c’è castello più carico di gloria e d’anni che il mio vecchio e melanconico maniero avito. Da molto tempo la nostra famiglia aveva nome di una razza di visionari; il fatto è che in molte particolarità notevoli- nel carattere della nostra casa padronale- negli affreschi della gran sala- negli arazzi delle camere- nei fregi dei colonnini della sala d’armi- ma più specialmente nella galleria dei vecchi quadri, nell’aspetto della biblioteca e finalmente nella natura peculiare del contenuto di questa biblioteca- si può trovare di che giustificare ampiamente questa persuasione.
I ricordi dei miei primi anni sono legati unicamente a quella sala e a quei volumi dei quali non parlerò più. Quivi morì mia madre; quivi nacqui io. Ma sarebbe ozioso dire che non ho mai vissuto prima d’allora- che l’anima non ha un’esistenza anteriore. Lo negate?- non discutiamo su questa materia. Io son convinto ma non cerco di convincere altri. C’è, del resto, una rimembranza, di forme eteree, di occhi spirituali e parlanti, di suoni melodiosi e melanconici, una rimembranza che non vuole andarsene; una specie di memoria pari a una ombra,- vaga, trasmutabile, indeterminata, vacillante; e di questa ombra essenziale non potrò mai disfarmene, finché brillerà il sole della mia ragione.
Io nacqui in quella stanza là. Emergendo così di mezzo alla lunga notte che sembrava essere ma non era la, non esistenza, per cadere ad un tratto in una regione fantasmagorica, in un palazzo fantastico- negli strani domini del pensiero e dell’erudizione monastica- non è meraviglia che io guardassi intorno a me con occhio ardente e sbigottito- che abbia consumato l’infanzia fra i libri e prodigato la mia gioventù in fantasticherie; ma quel che è strano- quando gli anni passarono e il meriggio della mia virilità mi trovò vivo ancora nella dimora dei miei antenati- quel che è strano è quel ristagno che si produsse nelle sorgenti della mia vita, quella completa inversione che si produsse nelle qualità dei miei pensieri più abituali. Le realtà del mondo agivano su me come delle visioni e solo come visioni, mentre che 1’idee folli del mondo dei sogni divenivano, in compenso, non solo il pascolo della mia esistenza quotidiana, ma effettivamente la mia stessa unica, la mia intera esistenza.
Berenice ed io eravamo cugini e crescevamo insieme nella casa paterna. Ma crescemmo disugualmente: io malaticcio e sepolto nella mia melanconia, essa agile, graziosa, esuberante di energia; a lei il vagabondare per le colline- a me gli studi da monaco io vivevo nel mio cuore stesso e mi votavo, anima e corpo, alla più intensa, alla, più ingrata meditazione- essa errava traverso alla vita, noncurante, senza pensare alle ombre del suo cammino né nella fuga silenziosa delle ore alla nere piume Berenice!- io invoco il suo nome – e dalle grigie rovine della mia memoria su levano a questo nome mille ricordi tumultuosi. Ah, La sua immagine è là, vive dinanzi a me come nei giorni primi della sua spensieratezza e della sua gioia! Oh, magnifica e insieme fantasiosa bellezza! Oh silfide nei boschetti di Arnheim! Oh naiade di quelle fontane! Poi- poi tutto diviene mistero e terrore storia che non vuole esser raccontata. Un male- un male tragico piombo sul suo corpo come il simoun; anzi mentre la contemplavo, lo spirito trasformatore passava su di lei e la rubava a poco a poco, impossessandosi della sua mente delle sue abitudini, del suo carattere, perturbando perfino la sua fisionomia in modo sottilissimo e terribile. Ahimé! il distruttore veniva e se ne andava; ma la vittima- la vera Berenice- che è diventata? Quella lì non la conoscevo o almeno non la riconoscevo più quale la Berenice di un tempo. Nel corteo numeroso di malattie apportate da quel fatale e principale attacco che produsse una rivoluzione così orribile nell’essere fisico e morale di mia cugina, la più tormentosa e la più ostinata era una specie di epilessia che spesso finiva in catalessi- catalessi che rassomigliavano in tutto alla morte, da cui essa, certe volte, si risvegliava in un modo brusco e improvviso. Nel tempo stesso il mio male- perché mi hanno detto che non potevo denominarlo altrimenti- il mio male aumentava rapidamente i sintomi erano aggravati dall’uso dell’oppio; e finalmente prese il carattere di una monomania di nuovo genere e mai vista. Ogni ora, ogni minuto, guadagnava in energia e alla fine conquistò su me il più strano e il più incomprensibile potere. Questa monomania se devo servirmi di questo vocabolo consisteva in una morbosa irritabilità delle facoltà dello spirito che il linguaggio filosofico comprende sotto il nome di “facoltà di attenzione”. È più che probabile che non sia capito; ma in verità, temo di non poter dare in nessun modo alla più gran parte dei lettori un’idea esatta di questa intensità d’interesse per la quale, nel caso mio la facoltà meditativa- eviterò il linguaggio tecnico – si applicava e si sprofondava nella contemplazione delle cose le più banali di questo mondo.
Riflettere infaticabilmente per ore ed ore, inchiodando l’attenzione su qualche puerile citazione in margine o nel testo di un libro- restare assorto per quasi tutta una giornata d’estate per un’ombra bizzarra che si allungava obliquamente sugli arazzi o sul pavimento- dimenticare tutto per una intera notte nel sorvegliare la fiammella diritta di un lume o la brace del caminetto- sognare giorni interi sul profumo di un fiore- ripetere in una maniera monotona qualche parola volgare fino a che il suono a forza d’esser ripetuto, non rappresenti più allo spirito nessuna idea- perdere ogni coscienza di movimento e di esistenza fisica in un assoluto riposo prolungato ostinatamente- queste erano alcune delle più comuni e perniciose aberrazioni delle mie facoltà mentali, aberrazioni che certamente non restano del tutto senza esempi, ma che certamente sfidano ogni spiegazione e ogni analisi. Anzi mi spiego meglio. L’anormale, intensa, morbosa attenzione eccitata così da oggetti in se stessi frivoli, non e di natura tale da confondersi con quella inclinazione al fantasticare che è comune a tutta umanità, a cui si abbandonano sopratutto le persone di ardente immaginazione.
Non solamente non era, come si potrebbe supporre a prima vista, un termine remoto, un’esagerazione di quell’inclinazione, ma anzi n’era differente per origine e per qualità. Nell’un caso il sognatore, l’uomo immaginativo occupato da un oggetto generalmente non frivolo, perde a poco a poco di vista il suo oggetto attraverso un’ infinità di deduzioni e suggestioni che ne scaturiscono fuori, cosicché in fondo ad una di queste meditazioni spesso piene di voluttà si accorge che l’incitamentum o causa prima delle sue riflessioni è completamente svanito e dimenticato. Nel caso mio invece il punto di partenza era sempre banale sebbene assumesse un’ importanza immaginaria e di rifrazione, traversando il campo della mia visione malata. Io facevo poche deduzioni- se pure ne facevo, e nel caso, esse tornavano ostinatamente all’oggetto principale come a un centro. Le meditazioni non erano mai piacevoli; e alla fine del sogno la causa prima lungi dall’essere fuori questione aveva raggiunto quell’importanza straordinariamente esagerata che era il tratto dominante del mio male. In poche parole la facoltà dello spirito in modo speciale acuita in me era, come dissi la facoltà, dell’attenzione, mentre che nel sognatore comune quella della meditazione.
In quel tempo i libri se non mi servivano proprio a irritare il male, partecipavano ampiamente come si può capire, nel loro carattere imaginativo e irrazionale, delle qualità peculiari del male stesso. Mi ricordo bene, fra gli altri del trattato del nobile italiano Celio Secondo Curione, Della grandezza del felice regno di Dio; la grande opera di S. Agostino, La Città di Dio e Della carne del Cristo di Tertulliano, il cui inintelligibile detto: credibile est quia ineptum est; sepultus resurrexit, certum quia est quia impossibile est– assorbì esclusivamente tutto il mio tempo, per più settimane di una laboriosa e infruttuosa investigazione.
Senza dubbio più d’uno concluderà che la mia ragione, scossa nel suo equilibrio da certe cose insignificanti, offriva una certa somiglianza con quella rocca marina di cui parla Tolomeo Efestio che resisteva immutabilmente a tutti gli attacchi degli uomini e al furore più terribile delle acque e dei venti e che fremeva al tocco del fiore chiamato asfodelo. A un giudice superficiale parrà semplicissimo e fuor di dubbio che la terribile alterazione prodotta della condizione morale di Berenice dalla sua malattia dovesse fornirmi più di una occasione ad esercitare questa intensa e anormale meditazione di cui a grave fatica ho potuto definirvi la qualità. Ebbene le cose non stavano punto in questo modo. Nei lucidi intervalli della mia infermità, la sua sventura mi cagionava è vero molto dolore; quella rovina totale della sua bella e dolce esistenza mi pungeva acutamente il cuore; io riflettevo spesso e amaramente sul modo misterioso e strano nel quale aveva potuto prodursi una sì rapida trasformazione. Ma queste riflessioni non avevano il colore proprio al mio male ed erano uguali a quelle che in circostanze analoghe si sarebbero presentate alla massa comune degli uomini. Quanto alla mia malattia, fedele al suo carattere, si faceva un pascolo dei cambiamenti meno importanti ma più visibili, che si manifestavano nell’organismo fisico di Berenice- nella strana e spaventevole distorsione del suo aspetto. È certissimo che nei giorni più luminosi della sua incomparabile bellezza io non l’avevo amata. Nella strana anomalia della mia esistenza, i sentimenti non mi sono mai venuti dal cuore e le mie passioni mi son sempre venute dallo spirito. Traverso alla pallidezza del crepuscolo- a mezzogiorno fra le ombre intrecciate della foresta- e la notte nel silenzio della mia biblioteca- essa mi era passata oltre gli occhi e io 1’avevo vista, non come la Berenice vivente e respirante, ma come la Berenice di un sogno, non come un essere della terra, un essere carnale, ma come l’astrazione di un tal essere; non come una cosa da ammirare, ma da analizzare non come oggetto di amore, ma come il tema di una meditazione tanto astrusa quanto anormale. E ora, ora tremavo al suo cospetto, impallidivo al suo avvicinarsi; intanto sebbene lamentassi amaramente la sua triste condizione di deperimento, mi ricordai che essa mi aveva amato lungamente e, in un momento infelice, le parlai di matrimonio. Il tempo fissato per le nostre nozze si avicinava quando un pomeriggio d’inverno- una di quelle giornate nebbiose che preparano la febbre al cuore- mi sedei credendomi solo nella stanza della biblioteca. Ma, alzando gli occhi, vidi Berenice dinanzi a me.
Fu la mia immaginazione sovreccitata, o l’influsso dell’atmosfera brumosa o la veste oscura, che avvolgeva la sua persona, che le diede quel contorno così tremante e indeciso? Non potrei dirlo. Forse dopo la sua malattia era cresciuta. Essa non disse una parola; e io non avrei pronunziato una sillaba per nulla al mondo. Un brivido gelato mi corse il corpo; una sensazione di angoscia insopportabile mi opprimeva; una curiosità divorante s’introdusse nel mio animo; e appoggiandomi riverso sulla poltrona rimasi un po’ di tempo senza moto e senza respiro cogli occhi inchiodati sulla sua persona. Ahimé era estremamente smagrita; dell’essere di una volta non era sopravvissuto vestigio né era rimasto neppure un lineamento. Finalmente i miei sguardi caddero sulla sua faccia. La fronte era alta, pallidissima e supremamente serena; i capelli, una volta di un nero corvino la coprivano in parte e ombravano le tempie incavate colle fitte anella, ora di un biondo caldissimo; e quel tono capriccioso di colore stonava dolorosamente colla malinconia dominante sulla sua fisionomia. Gli occhi erano senza vita e senza splendore, come senza pupille, e involontariamente io distornai lo sguardo da quella vitrea fissità, per contemplare le labbra affinate e aggrinzite. Esse si aprirono e in un sorriso stranamente espressivo i denti della nuova Berenice si rivelarono lentamente alla mia vista. Non li avessi mai guardati o fossi io morto subito dopo averli guardati.
Una porta chiudendosi mi scosse e, alzando gli occhi, vidi che mia cugina era uscita dalla camera. Ma nella camera sconvolta del mio cervello lo spettro bianco o terribile dei suoi denti restava e voleva andarsene più. Non una scalfittura, sulla superficie di quei denti, non un’ombra sul loro smalto, non una punta sul quel sorriso passeggero non fosse bastato a imprimere nella mia memoria. Anzi li vidi allora più nettamente che non poco prima. Quei denti! quei denti!- Essi erano qui- poi là, per tutto- visibili palpabili, dinanzi a me; lunghi stretti e bianchissimi, colle labbra pallide che si torcevano intorno, orribilmente tese, com’erano poco prima. Allora sopraggiunse la furia piena della mia monomania ed invano lottai contro la sua irresistibile influenza. Nella massa infinita degli oggetti del mondo esteriore, non avevo pensiero che per i denti. Tutte le altre cose, tutte le alterazioni diverse furono assorbite in quella unica contemplazione. Essi, essi soli, eran presenti all’occhio del mio spirito e la loro esclusiva individualità divenne il fulcro della mia vita intellettuale. Io li guardavo sotto tutte le luci; li volgevo in tutti i sensi; studiavo le loro qualità; osservavo i loro segni particolari; meditavo sulla loro conformazione. Riflettevo sull’alterazione della loro natura. Rabbrividivo attribuendo loro nella mia immaginazione una facoltà, di sensazione e di sentimento e anche, senza neppure il concorso delle labbra, una potenza d’espressione morale. Fu detto eccellentemente della signorina Sallé che tutti i suoi passi erano dei sentimenti e di Berenice io pensavo seriamente che tutti i denti erano delle idee.- Delle idee!- ah! ecco il pensiero assurdo che mi ha perduto!! Delle idee! ah! ecco dunque perché li desideravo così pazzamente! Sentivo che solo il loro possesso poteva restituirmi la pace e ripristinare la mia ragione. E la sera così discese su di me- e le tenebre vennero, si fissarono e poi se ne andarono- e una luce nuova comparve e le nebbie di una seconda notte si agglomerarono su di me- ed io ero sempre immobile in quella camera solitaria, sempre seduto, sempre sepolto nella mia meditazione, o sempre il fantasma dei denti manteneva la sua influenza terribile a tal punto che io la vedevo fluttuare qua e là e traverso la luce e le ombre cangianti della camera, colla più viva e la più orrida limpidezza. Finalmente in mezzo ai miei sogni scoppiò un gran grido di dolore e di spavento al quale successe dopo una pausa, con suono di voci desolate, intramezzato da gemiti sordi di dolore e di lutto. Io mi alzai e aprendo una delle porte della biblioteca trovai nell’anticamera un servo piangente che mi disse che Berenice non viveva più! Era stata presa dall’epilessia nella mattinata; e ora, sul cader della notte, la fossa aspettava la futura abitatrice e tutti i preparativi del seppellimento erano terminati.
Il cuore grave di angoscia, oppresso da sbigottimento, mi diressi con una certa ripugnanza nella camera da letto della defunta. La camera era vasta e oscura e ad ogni passo inciampavo nei preparativi della sepoltura. Le cortine del letto, mi disse un domestico, erano chiuse intorno alla bara, e dentro a questa bara, aggiunse o, voce bassa, giaceva tutto quel che restava di Berenice. Chi fu dunque che mi domandò se volevo rivedere il corpo? – Io non vidi che nessuno muovesse le labbra; eppure la domanda era stata proprio fatta e l’eco dell’ultime sillabe strascicava ancora nella camera. Era impossibile opporsi e con un senso di oppressione mi trascinai accanto al letto. Sollevai adagio il cupo panno dello cortine, ma nel lasciarle ricadere discesero sulle mie spalle e separandomi dal mondo vivente mi chiusero nella più stretta comunione colla defunta. Tutta l’atmosfera della camera sapeva di morte; ma l’odore particolare della bara mi faceva male, e mi pareva che un odore deleterio esalasse già dal cadavere. Avrei dato l’oro del mondo per scappare, per fuggire il pernicioso influsso della morte per respirare ancora 1’aria pura dei cieli immortali. Ma non avevo più la forza di muovermi; i ginocchi mi vacillavano; avevo preso radice nel suolo, guardando fissamente il cadavere rigido, steso in tutta, la sua lunghezza nella bara aperta. Dio del cielo! è mai possibile? Il mio cervello delira? o il dito della defunta si è mosso sotto la tela bianca che lo chiude? Tremando di un terrore indescrivibile alzai gli occhi lentamente per vedere la faccia del cadavere. Avevano messo una benda intorno alle mascelle, ma non so come si era sciolta. Le labbra livide si torcevano in una specie di sorriso e traverso alla loro melanconica cornice i denti di Berenice bianchi, lucenti terribili mi guardavano ancora con una realtà troppo viva. Io mi scostai convulsamente dal letto e senza dir parola mi slanciai come un maniaco fuor di quella camera di misteri, di orrore e di morte.
Mi ritrovai nella biblioteca, ero e solo. Mi sembrava di uscire da un sogno confuso ed agitato. Vidi che era mezzanotte ed io avevo preso le mie precauzioni perché Berenice fosse sepolta subito dopo il tramonto. Ma di quel che accadde durante quel lugubre intervallo non ho conservato memoria certa né chiara. Pure la mia mente era ingombra di orrore, tanto più orribile quanto più vago, di un terrore che l’ambiguità rendeva più spaventoso. Era come una pagina paurosa nel registro della mia esistenza scritto interamente con ricordi oscuri, orrendi e inintelligibili. Mi sforzai di decifrarli, ma invano. Pure di tanto in tanto simile all’anima di un suono fuggevole, un grido sottile e penetrante- come voce di donna- mi sembrava che si ripercuotesse nelle mie orecchie. Io avevo fatto qualche cosa, ma che cos’era mai? Io mi rivolgevo la domanda ad alta voce e gli echi della camera mi bisbigliavano per tutta risposta: Che era mai?
Sulla tavola accanto a me ardeva una lampada e accanto c’era una piccola scatola di ebano. Non era una scatola di stile notevole e 1’avevo già vista più volte perché apparteneva al medico di famiglia; ma come mai era venuta lì, sulla tavola, e perché mi venivano i brividi a guardarla? Eran cose che non valeva la pena di attrarre l’attenzione; ma gli occhi mi caddero alla fine sulle pagine aperte di un libro e su una frase sottolineata. Erano le parole bizzarre, ma molto semplici del poeta Ebn Zaiat: Mi andavan dicendo i compagni miei che se avessi visitato il sepolcro dell’amica i miei affanni sarebbero alquanto allievati.
Perché mai dunque a leggere quelle linee mi si rizzarono i capelli sulla testa e il sangue mi si ghiacciò nelle vene? Un colpo fu battuto alla porta, e un servo, pallido come un cadavere, entrò sulla punta dei piedi. Aveva gli occhi sconvolti dallo spavento, e mi parlo con voce bassissima, tremante, soffocata. Che mi disse? Io sentii qualche frase qua e là. Mi raccontò, sembra, che un grido spaventoso aveva turbato il silenzio della notte, che tutti i domestici si eran riuniti, e che avevan cercato nella direzione del suono, poi la sua voce bassa divenne chiara in modo da darmi i fremiti parlandomi di violazione di sepoltura, d’un corpo sfigurato, spogliato del lenzuolo, ma che ancora respirava e palpitava, che viveva ancora.
Mi guardò i vestiti; erano imbrattati di fango e di sangue aggrumato. Senza far parola mi prese dolcemente per mano; la mia mano aveva delle impronte di unghie umane. Poi richiamò la mia attezione sopra un oggetto appoggiato al muro, 1o guardai qualche minuto. era una vanga. Mi gettai con un grido sulla tavola ed afferrai la scatola di ebano, ma non ebbi la forza di aprirla e nel tremito mi sfuggì di mano, cadde pesantemente e andò in pezzi; ne uscirono rotolando con fragore di terraglia degli strumenti da dentista e con essi trentadue piccole cose bianche, simili ad avorio, che si sparpagliarono qua e là sul pavimento
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renaissancefailmarriage · 1 year ago
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intro post
on this blog you'll find mostly historical hetalia, maybe occasionally other things that catch my interest. i mostly stick to medieval and early modern stuff because that's the period i know, but i try to have a broad range of interests.
i draw and write for this fandom! art will be posted here, fic is on my ao3
i have one primary OC that i focus on and often draw and post about friend's OCs (credit will always be given!) I'll post an OC directory later but for now here is a quick rundown of the ones that appear most often on this blog
florence (fiora/flora/fiorella depending on the spelling) is my creation, my material girl
pisa, mopey scholar™ belongs to my dear friend who isn't online very much
papal states (pietro) kind of emerged from several people but i am indebted to @grapeautumn primarily
i shamelessly use all of @absolvtely-barbaric's OCs but in terms of art there will be a lot of fem!rome on this blog. mamma mia domina
should probably say here that i mostly disregard canon whenever i want. most commonly this comes up as:
italies are not children during the renaissance but roughly the same age as the other characters in their proximity! HRE is usually stuck as a child because of geopolitical circumstances, but increasingly I've been considering adult!HRE, just because it's interesting.
germania does not exist. there are like, 48574958 different germanias
generally adjusting ages and sometimes order of events to fit a more historical narrative
ships you'll find on this blog
spaus (thanks to them for my url+color scheme+all my bad decisions. they were married for 195 slutty slutty years and made it everyone else's problem)
fruk (waterloo.mp3)
prufra (i've been getting into this for the last year and it's ruined my entire life thanks for asking.)
pruhun (nfwmb.mp3)
spamano (roma suffered being the side piece for two centuries but he came out on top. so to speak)
hre/veneziano (karl has been feli's problem since the 900s. love wins.)
hre/all italies except milan and papal states (except actually totally with papal states)
rome/ancient greece (helen/paris-coded in the streets, ulysses/penelope-coded in the sheets)
veneziano/turkiye (feli went from "omg noooooo he destroyed constantinople!" to "haha so you'll give me a discount on silks? really? wow you're so handsome" real quick)
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littlesparklight · 1 year ago
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A friend showed me screencaps of a scene from Domina, and I knew what I had to do, because it was perfect for Helen and Paris.
The screencaps this was based on under the cut!
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morgantheblue · 17 days ago
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City of Light: Domina. A Vampire the Masquerade Short Story.
Rating: R/M/18+
Minors DNI
CW: Blood, Dehumanization, BDSM, Discussions of Death, Lasombra attitudes toward Ghouls. Shadow-Play. Choking Dubcon. World of Darkness
This is the first part of a project I'm calling "City of Light." A Series of VtM short stories set in and around Paris in the year 2025. Some, like this first one, will be Horror. Some will be smutty. Some will be both. Some won't be either. I will endeavour to tag everything I can. But these stories will not be for everyone.
I will be posting these to Ao3 as well.
This first story features a Lasombra punishing one of her ghouls. It features heavy themes of dehumanisation, BDSM and also a scene involving rotten food. If any of that is too much for you, please move on.
City of Light: Domina
In which, a Lasombra punishes her Ghoul.
She looks down at the mud tracked in through the door. A tiny brown smear on the white marble, less than an inch from the mat. It is almost imperceptible. Almost. She sees it and her hands curl against her side. She turns her head, slowly. Her eyes track along the entry hall. The flicking tongues of flame that dance in their glass prisons cast strange shadows over everything, but she sees it, on hands and knees, scrubbing the floor with a black handle brush. She sees it’s naked arms shake with the effort of the task. She sees it shivering against the cold of her haven. She sees it keep its head bowed low. Obedient. Servile. Her eyes track back to the speck of mud. Imperfect.
It has no name; It lost the right to one years before. It has no face, its head is hidden behind a latex mask. It is locked with a heavy padlock at the back of its head. It has no voice unless she permits it. It toils in silence. It has only one mark of identification. An intricate number tattooed down the length of its naked back. It is number Three.
Her name is Flavia. But to Three, she is the Domina. And the Domina is displeased.
She relaxes her hands and takes a deep breath. She closes her eyes and feels the beast rouse, feels the gnawing unending hunger grow yet deeper. She feels the beast’s eyes in her mind. Feels its teeth at her ear. In her mind she almost sees it. A creature of shadow and blood snarling and snapping and, for now, forced back. The Beast retreats to the shadowy miasma at the edge of her soul.
She opens her eyes as her shadow convulses. It jitters. It fits. It bursts. She stands as still as stone as her erupting shadow curls into tendrils of inky black. She watches as the tendrils creep along the floor, she smiles as they climb lizard-like up the walls. She licks her lips as they slither forward. One after another the flames die. One after another the lights go out. Her eyes close again. When they reopen they are abyssal in depth and colour. She sees clearly. The darkness holds nothing from her.
She sees Three still scrubbing the floor. She wonders if it knows it has displeased the Domina. That its continued work is a feeble attempt to avoid what is to come. Or perhaps it is simply well trained. That it knows it has not been given the privilege of rest. She wonders how long it will scrub and clean and toil for her. She licks her lips and decides to test the theory another night.
The shadow tendrils retreat to her. Her eviscerated shade knits itself back together. She walks toward Three. Her footsteps ring on the marble, sharp and clear against the scraping of the brush. She stands two paces behind the naked Ghoul. She speaks.
“Stop.”
Its hands cease their work in an instant.
“Kneel”
It rises to its knees. It places its hands palm down on pale thighs. The brush between their parted legs.
She steps closer. She leans down over it. She whispers ice into its ear.
“Do you know why I snuffed out the lights, Three?”
“No, Domina” It said, in a voice louder and yet infinetly smaller than hers.
“In the dark I can hide your failure” She hisses. “You don’t even know you had failed me, do you?”
“No, Domina” It shakes as it speaks.
“Ignorance is no excuse, but don’t worry, you will learn.”
Before Three can reply, her arm wraps around its throat. Her elbow squeezes, she feels it go rigid. She hears it choke. She shushes, she coos. She fixes her black eyes on the bulging vein in its neck. It throbs against the skin.
She reaches down and picks up the brush. She turns it over in her hand, presses it against the smooth skin of Three’s stomach. The bristles are made of coarse hair, for scouring stains from the expensive marble. In Her hands they carve deep scratches that bubble with crimson rivulets. The scent hits her nose, she feels the beast lick its lips. Three shakes in her grasp.
“Stay still, or I’ll break your pretty neck.” She speaks with a voice as smooth as silk.
She squeezes with her elbow, it stops shaking. It locks up. She can smell its sweat, she can smell its blood as she drags the brush up toward its chest, slowly. Slowly. It lets out a strangled whimper, she runs her tongue over her teeth and feels the sharpness of her fangs. Her eyes fix on the bulging vein.
“I could feed, I could sink my fangs into you, drink deep of your blood. It would be so easy, so easy to drain you. Let those little thoughts slip away, let whatever remains of you fade into sweet oblivion…But even that would be too good for you. You failed me, tonight and before. That moment of perfect ecstasy will forever be beyond your reach, Three…”
“Please…Mercy…Mercy Domina…” It chokes out. Spittle runs down its mask, drips down onto the marble, pooling with the blood from its scratches.
“Mercy? I am Lasombra. I am the Abyss. Mercy is not a word I know…”
“Please” It gurgles pathetically.
She can hear it struggle for each breath. Struggle to stay still. Struggle not to cry out as the brush makes a carven mess of its torso. She presses deeper, blood weeps down its stomach, stains its skin. A canvas for the Domina. She lets the brush fall from her hands, it clatters to the floor.
What relief it brings is short lived, her fingers dig deep into the scratches. Sharp nails rake the Ghoul.
It can’t help itself. It Screams.
The Domina laughs.
She feels its warm blood coat her hand. She rips it back, crimson arcs into the dark, splatters on the ground with small, wet sounds. She releases her grip on it’s throat, but seizes its arm, drags it back.
It gasps, it whimpers, it squeezes its eyes shut. But there is no release. No freedom.
Not over. Not yet.
Her bloody hand traces a line down its bleeding torso, down to the crux of its legs. Dips between stained thighs. Stops.
She begins to laugh.
She raises her bloody hand to Three’s nose.
She lets them smell its blood.
She lets them smell its arousal.
“Was it the brush? The choking? The fear?”
Its words die in its throat. It just whimpers. She places a hand on its back, shoves it away from her and smirks as it cries out. She watches it whimper in the darkness. She stands over it and licks its shame from her hand.
The Beast purrs.
“Clean yourself up, then find me in the kitchen. You have twenty minutes. Do not disappoint me again.”
She walks away, tasting the blood on her lips. Stopping only once. Only when she hears two words, like the bleating of a sheep, in the darkness behind her.
“Yes, Domina…”
*********
The Domina places the apple amid the cornucopia of fruit in the bowl. It stands like the magnificent centerpiece of a gallery. It is surrounded by the bounty of her estate. They are the culmination of a decade of work. Tended to by loving, yet fearful hands. Her orchards and groves would make a Toreador blush given their beauty.
Apples and strawberries of beautiful ruby red, shining and ripe. Oranges that remind her of breakfasts in a life lived by another woman. Grapes that could make the finest vintages. Plums and peaches that make even her dead mouth water.
It almost makes her sad, knowing what she is about to do to them. Almost.
She stands, naked, in front of the counter. Her back to the door. She wants Three to see her as it enters. Wants it so see what she so often denies it. An eternal reminder. What it could have had, had it not fallen so short.
She hears the bell attached to the white door ring and allows herself a smirk. She hears two footsteps, a small gasp. A stop. She doesn’t turn to look.
“You may look, Three.”
“Thank you, Domina.”
She says nothing, picks up the bowl and turns. Three stands in the door, it is still naked save for its mask. Its body has been cleaned, its wounds no longer bleed, but the marks are clear. They will not fade for some time yet. Good. Let it wear them as a badge of shame. Let it remember the price of failure.
It doesn’t matter how small the failure is. How tiny the speck of dirt on their record. She has been tested just the same and she has excelled. She has gained all that she denies to her servants. There can be no second chances among the Magisters. Three and its companions will pay for their failure until she finally tires of them. It is lucky she finds scars beastly. It is lucky she does not decorate its face with more than a mask.
“Hands and knees.” She says and gestures with her head.
It obeys.
She snaps her fingers, points to a spot in front of her and watches it crawl. A half smile forms on her red-wine lips. It crawls toward her thinking what, she wonders? That all is forgiven? That she will treat it to the fruits of the estate? To the taste of her body? To pleasure? To bliss?
Foolish.
She holds the bowl out in front of her, fingers curled over the edges, brushing against the fruit. Moonlight spills through the windows, her shadow fractures into four. She smiles a smile so sweet it can rot teeth. She looks down, Three stares up. Its eyes visible through the mask. They are wet with fear, exhaustion, need. The teeth of its mouth zipper press into its trembling lips.
“Are you hungry?”
It nods.
“Your words, use them.” Ice edges her voice.
“Yes, Domina.”
She closes her eyes and once more the beast stirs, but this time she feels its gaze and nothing more. Her divided shadow splits yet further. It curls around her in thick ropes of darkness. She lets a sigh escape her lips and a shiver run up her spine. They crawl up her legs, they tickle. They tease. She feels a heat, she feels sparks across her deadened nerves. She lets the shadows play. She lets herself moan. She knows the torment it must bring, to watch and be denied.
She opens her eyes, they are black as the shadows embracing her. Her grin widens, widens, her mouth hangs open and her slick tongue plays over her bottom lip. The shadows slither and crawl down her arms. They dance over her fingers, they swarm over the bowl.
They touch the fruit.
She laughs.
Red fades to brown, orange rots to green. Skins shrivel, dry and crack open. Mold blooms The sickly sweet miasma of decay hangs in the air. She knows the scent and knows it well.
She places the bowl down, the beautiful display a rotten half-soup now. As her shadows pleasure her, she watches the hope die in Three’s eyes. She pushes the bowl toward them with her left foot.
“Eat” She orders.
It obeys.
It dips its head into the fetid soup. It slurps filth and chews rot. It chokes on mold and gags on decay. Its hands squeeze closed. She can smell when its nails break the skin. She places her foot on the back of its head, presses its head down into the bowl. Its cry is drowned out by the muck.
“You are a failure. You were a failure the day you said you’d never betray me. You’d never be strong enough to survive. You are a Ghoul. Your only job is to serve and survive on the refuse of your betters.”
She lets out another long moan as a shadow finds a deliciously sensitive spot.
“I’m sure you lie to yourself, you say this is for your own good. That you will be happy like this. Free from choice. Free from hunger. A fiction. You exist because I find you amusing, Three. But one day? One day I shall tire of you, and you will feed my orchards.”
She presses down further. It squeals like a stuck pig. She leans down. She can smell its fear, above the stench of decay and rot.
“You aren’t a pet, you aren’t a workhorse. You’re a toy. My Rose? She is something to be treasured. You? You are to be used then discarded. And if you fail me again? You’ll find out just how quickly toys can be broken.”
She lifts her foot from its head and steps back. She watches.
It keeps eating.
She smiles.
The shadows dance.
When the meal is done, it raises its head from the bowl, but it does not look at her.
“Thank you, Domina.”
“What for, Three?”
“For the meal and for the lesson. I won’t fail you again Domina.” Its voice is weak, nauseous.
“Yes you will. But you are welcome.”
Before she can speak again, the bell rings once more. She turns her gaze to the kitchen door. Another Ghoul stands there. She has no idea which one it is. It is also naked. Also masked. It clutches a sheet of paper in its hands. It shakes with fear.
“Domina, please forgive the intrusion…” It stops. Only now seeing the shadows pleasing its Domina.
“Continue.” She hisses.
“Your Rose, she sends a message, something terrible is happening in the city. Infernalism, Domina.”
She sighs. She snaps her fingers. She feels the shadows retreat. So it seems the City of Light had more on its plate than Thin Bloods and Hunters. She glares at the trembling Three, then at the Ghoul in the door.
“Have Five prepare my outfit, have Twelve bring the car. Lock this one in the Cage, then clean up the mess. And when I return? If I find a speck of filth anywhere in this house, you’ll all be punished.”
She steps past Three. She strides through the door.
Behind her, two voices echo the same words.
“Yes, Domina.”
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giovanna-dark · 2 years ago
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Tradizionalmente, non a torto, l’alpinismo è visto come una pratica aristocratica di destra. Lo scalatore è un solitario che riconosce i suoi pari soltanto nel numero ristretto di fortunati che salgono in vetta come lui (cfr. Evola, “Meditazioni delle vette”). In questo ambiente ultraselettivo, incentrato sull’abnegazione e sul coraggio domina l’estetica della giovinezza: leggeri, magri come gatti, con uno zaino piccolissimo, gli scalatori praticano una frugalità ostentata, portano a termine in poche ore quello che a voi richiederebbe due giorni. C’è in loro un ascetismo che combina l’eleganza con la potenza e li si immagina come stambecchi saltellanti di cui si invidia la grazia. 
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maitressemorgane-donjon · 1 year ago
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Agenda de novembre au donjon le 9 novembre apt 14h le munch de Waterloo
Le bar du donjon organise un spectacle transformiste avec miss Sovanja
#belgique #bruxelles #maitressemorgane-donjon #donjon #morgane #travesti #fashion #anal #pied #photooftheday #domination #sissy#style #fetiche #domina #soumise #soumis#girls #photography #follow #k #beauty #maitresse #girl #belgiquehairstylist #belgiquefestyle #like #dominatrice #portrait ##travesti #crossdresser #ladyboy #transgender #dragqueen #tranny #sissy #trans #paris #love #europe #travestis #legs #xdress #crossdressing #nylonfeet #france #crossdress #tran #gibraltarpostcard #mtf #rencontre #makeupartist #colors #shemalepornstar #crossdressers #highheels #l4l #dragqueenshow #beard#BDSM
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alephsblog · 1 month ago
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Se in molti siamo qui a commentare le insulsaggini che scrive Telese, dovremmo arrenderci all’idea che il nostro abbia già vinto. La sua visibilità pubblica, al pari di altri fenomeni che infestano il baraccone della televisione italiana, d’altra parte lo rende degno di attenzione. Un post del genere, scritto da uno di quegli account pieni di oscure iconcine, lo avremmo archiviato come l’ennesima perla che fa di X Twitter la più grande antologia di cialtronate disponibile al mondo.
Nel merito il post di Telese fornisce anche una summa, come sempre malscritta, del pensiero buono per ogni occasione che domina la scena mediatica (attribuisco il tag #ilsilenziodelloccidente ad un divertissement beffardo):
1. Il male è sempre Israele e in second’ordine l’Occidente.
2. I peggiori criminali che hanno messo il mondo a ferro e fuoco hanno sempre delle attenuanti che provengono dalle precedenti responsabilità oggettive di Israele e dell’Occidente.
3. La storia del conflitto in Siria, che ha ha causato mezzo milione di morti e milioni di profughi, viene letteralmente ignorata e ridotta ad una macchietta complottista in chiave, neanche a dirlo, antisraeliana.
4. Tra l’Occidente e i criminali che lo combattono si parteggia per i criminali russi, iraniani, siriani, palestinesi, yemeniti, libanesi in attesa di altri che si dovessero unire alla combriccola.
Questo elenco parzialissimo di fanghiglia compone la dieta che il sistema mediatico italiano ammannisce al proprio pubblico, riempiendo le tasche di questi mestieranti multimediali che, leggiadramente, amano flirtare con dittatori e tagliagole. Ma sempre in prime time. Non ce la possiamo fare. (Filippo Piperno)
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iltorosiamonoi · 4 months ago
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Il Toro domina a Verona,con brivido finale.Granata capolisti per una notte
Pesante vittoria del Torino che passa 3-2 a Verona. In gol Sanabria (che sbaglia anche un rigore), Zapata e Che Adams, in mezzo il pari provvisorio di Kastanos, tardiva la rete di Mosquera sul gong. Decisiva, però, l’espulsione di Dawidowicz al 21′ che condiziona il resto della partita. Almeno per una notte i granata si godono la vetta della classifica di Serie A. Verona-Torino, cronaca del…
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hotnew-pt · 5 months ago
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Paraolimpíadas de tênis em cadeira de rodas de 2024: o dominador Tokito Oda #ÚltimasNotícias #Suiça
Hot News – O japonês Tokito Oda, de 18 anos, domina o tênis em cadeira de rodas Aos 15 anos ele era profissional e aos 17 era o mais jovem vencedor desde o início do tênis em cadeira de rodas. Tokito Oda reivindica ouro em Paris. Thomas Hahn Publicado hoje às 8h23 Tokito Oda, tenista em cadeira de rodas de 18 anos do Japão. Foto: Christophe Ena (Keystone) Assine agora e aproveite a função de…
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juarezesdeporte · 6 months ago
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OSMAR OLVERA GANA MEDALLA DE BRONCE EN TRAMPOLÍN INDIVIDUAL
Paris, Francia., jueves 8 de agosto de 2024.-El mexicano Osmar Olvera consiguió su segunda medalla en París 2024, tras lograr el Bronce en el trampolín individual de 3 metros
Como un avión, Osmar desplegó sus alas y voló del trampolín hacia el Bronce olímpico. Se dice que el trampolín está diseñado del material con el que se elaboran las alas de un avión. Osmar voló alto en París para convertirse en doble medallista olímpico 40 años después del último mexicano que ganó dos preseas en una misma edición de Juegos Olímpicos: Raúl González en Los Ángeles 1984. Con tan solo 20 años logró su segunda presea olímpica en París. Solo abajo del 1-2 de China, en la prueba de trampolín individual de 3 metros. Osmar no había nacido cuando Fernando Platas había ganado medalla olímpica en esta prueba hace 24 años. Hoy es el nuevo rey del aire.
Sus puntas no son simples puntas, son las puntas de un clavadista que practica ballet para mejorar sus saltos. Son las puntas de un clavadista bailarín dotado de elegancia que se ayuda del viento. Su tercer clavado, dos vueltas y media hacia atrás, recibió calificaciones de 6.0, pero aún se mantuvo en la pelea por el Bronce debajo de los chinos Wang Zongyuan y Xie Siyi, que tiraron arriba de los 90 puntos. Un salto que provocó angustia del público en el Centro Acuático, pero que no lo sacó del podio. El grado de dificultad comenzó a subir, la atmósfera en el público se calentó y la presión en el trampolín se intensificaba. Los aficionados mexicanos ya no tenían uñas ni garganta. En la cuarta ronda tiró un clavado de 98.80, de casi 100 puntos. A Osmar no le gustan el camino fácil, su entrenadora, la china Ma Jin, le ha sugerido bajar su grado de dificultad y hacer clavados más sencillos, pero el mexicano se ha negado, por lo que su lista de saltos es una de las de mayor grado de dificultad. La estrella mexicana fue uno de los afectados por el retiro de becas deportivas de la Conade. En torneos internacionales compitió sin su entrenadora. A pesar de esto ha logrado tres metales dorados en Juegos Panamericanos, cuatro medallas en Mundiales y ahora dos preseas en los Olímpicos. Con su último clavado sabía que estaba en el podio, agitaba los brazos, bebía de su propia confianza. Osmar es el nuevo genio que domina el viento.
(Agencia Reforma)
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cinquecolonnemagazine · 6 months ago
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Napoli in testa: le città più amate per le vacanze
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