#diritto di parola
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“ Per fare dell’ironia bisogna avere una certa padronanza del linguaggio, o del gesto. Diciamo pure del linguaggio in senso lato. E quindi la cultura è essenziale. Una cultura ristretta fa sì che le regole del gioco, qualunque sia il gioco, vengano intese in un modo così rigido da cancellare ogni aspetto coraggiosamente innovativo. In ambito scolastico, per esempio, può essere significativo, mentre un professore fa lezione, che uno degli allievi si alzi per dichiarare: «Però, io la penserei diversamente». Ecco, il pensare diversamente può essere conseguito in modo ironico, e guai se la scuola non è più la zona dove l’ironia ha questo diritto di cittadinanza. E non è comunque bene che l’ironia venga riutilizzata da coloro che rimangono delusi della rigidità delle istituzioni? Allora, il legame con la cultura è essenziale: l’ironia su cosa gioca? Sul fatto che una parola, che noi solitamente impieghiamo in una certa accezione standard, venga usata in una accezione un po’ diversa. E questa è una cosa divertente, o no? «Oggi il tempo è perverso» uno dice. Oddio, che visione pessimistica! «Veramente, io mi stavo riferendo al tempo atmosferico.» La padronanza del linguaggio e dei significati è ineliminabile. È cruciale per tutte le situazioni in cui rigidità vuol dire morte dell’istituzione di cui ci stiamo occupando. La rigidità nella scuola, per esempio, è letale; la rigidità nella ricerca scientifica alla fine uccide la ricerca stessa; la rigidità in campo artistico vuol dire solo stanchezza e noia. Possibile che Antoni Gaudí o Pablo Picasso non fossero ironici? E poi ci sono i grandi umoristi. Qui sarebbe adeguato indicare qualche grande ironista che è stato al tempo stesso un maestro. Un candidato ce l’avrei: Achille Campanile. E poi si può essere ironici perfino in una situazione drammatica, in letteratura o nelle arti. Pensiamo al teatro di Shakespeare. È un sommo artista che in mezzo ai più torbidi massacri spinge Amleto a pronunciare una miriade di battute ironiche. “
Giulio Giorello, La danza della parola. L'ironia come arma civile, Mondadori (collana Orizzonti), 2019¹. [Libro elettronico]
#Giulio Giorello#La danza della parola. L'ironia come arma civile#filosofia contemporanea#leggere#letture#ironia#saggistica#cultura popolare#libri#saggi#linguaggio#gioco#innovare#intellettuali italiani#imparare#anticonformismo#istituzioni#diritto di cittadinanza#scuola#vita#parola#divertimento#padronanza del linguaggio#Antoni Gaudí#ricerca scientifica#semiotica#arte contemporanea#Achille Campanile#artisti#Pablo Picasso
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🇷🇺 VYACHESLAV VOLODIN, CAPO DELLA DUMA DI STATO RUSSA: COSA STA SUCCEDENDO AD ASSANGE?
🔴"La situazione intorno a quest'uomo è un esempio della meschinità, delle bugie e dei doppi standard di Washington, Londra e Bruxelles.
⚫️Assange ha pubblicato documenti sulle uccisioni di civili in Iraq da parte di soldati USA e documenti che provano il coinvolgimento degli Stati Uniti in colpi di stato e nell'istigazione alle guerre. Ha raccontato al mondo delle torture nella prigione americana di Guantanamo Bay e del fatto che la National Security Agency degli Stati Uniti ascoltava le conversazioni telefoniche di capi di Stato, tra cui Merkel e Sarkozy.
⚡️Se le rivelazioni di Assange avessero riguardato la Russia o la Cina, piuttosto che gli Stati Uniti, sarebbe stato etichettato come un "combattente per la verità e la libertà". Ma ha denunciato i crimini di Washington. E l'egemone mondiale non tollera queste cose al suo indirizzo, distruggendo tutti i dissidenti.
⚫️Per più di 12 anni Assange è stato tenuto in condizioni di assenza di libertà e di tortura: prima nell'edificio dell'Ambasciata Ecuadoriana in Gran Bretagna, poi tra le mura di un carcere di massima sicurezza.
🔴Pensateci: 12 anni di detenzione senza prove di colpevolezza. È a dir poco scandaloso.
⚫️In questo periodo, la sua salute è peggiorata drasticamente: dopo aver subito un micro-ictus, Assange non è in grado di difendersi nemmeno in videoconferenza.
⚫️Nonostante ciò, Biden sta facendo di tutto per far estradare il fondatore di WikiLeaks negli Stati Uniti, dove rischia fino a 175 anni di carcere. Vuole ucciderlo davanti al mondo intero.
⚫️Nel 2016, le Nazioni Unite hanno riconosciuto la detenzione di Assange come illegale. La sua estradizione sarebbe una grave violazione della Convenzione Europea dei Diritti Umani, compreso il diritto alla libertà di parola.
🔴Se la deportazione di Assange negli Stati Uniti avverrà, i Paesi che la sostengono cesseranno di esistere come Stati legali."
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Questo uomo no, #141 - Quello che secondo lui il patriarcato non esiste più
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Premessa importante: questo testo non è "contro" un ministro ignorante che dice ingiuste e violente inesattezze in una sede istituzionale intervenendo neanche di persona a sproloquiare di cose che non sa, in modo quantomeno inopportuno. Quanto successo alla presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin in Senato è già successo innumerevoli volte, e succederà ancora per molto tempo. Questo testo è l'ennesima ripetizione di cose già sapute e stabilite scientificamente da chi studia le questioni di genere e i femminismi da decenni, e che ripete a ogni occasione perché questo è il suo lavoro: la ricerca e l'azione volte a dare strumenti per risolvere problemi sociali gravi e inderogabili e a puntualizzare concetti importanti per quella ricerca e quell'azione.
"Il patriarcato è finito nel 1975, con la riforma del diritto di famiglia" non è una opinione nuova, è una vecchia ignoranza che in molte forme diverse va in giro appunto dal 1975, sostanzialmente per due motivi. 1) Un punto temporale indietro nel tempo - il '75 è cinquant'anni fa! - fa sembrare questo argomento vecchio, datato, superato, e insieme a lui i femminismi che lo combattono. La realtà è che se intendiamo il patriarcato come modello politico-sociale che informa le leggi del nostro paese, è nel 1981 che viene abolito il delitto d'onore, è nel 1996 che lo stupro è classificato reato contro la persona e non contro l'onore. In più, se anche per le questioni di violenza possiamo fermarci al 1996, il patriarcato è presente nelle leggi del nostro paese in molti altri luoghi dei codici: le leggi sulla cittadinanza basate sul sangue sono leggi patriarcali, le leggi che regolano l'eredità sono patriarcali, la presenza nei nostri codici dell'espressione "buon padre di famiglia" con valore regolativo è patriarcato. Nel '75 sono finite tante cose nelle leggi italiane, ma il patriarcato no. 2) Il secondo motivo riguarda la strumentalizzazione del termine patriarcato, che da questione culturale si cerca di chiuderlo a questione legislativa. Questo è l'esempio di uno dei modi tipici di invalidare le critiche femministe e gli studi di genere: delimitare la complessità della parola patriarcato a un significato, a un solo ambito disciplinare. Si usa l'antropologia per dire che il patriarcato è un modello familiare ormai scomparso dalle nostre società; si usa la storia per rinchiuderlo in tempi lontani e civiltà remote; si usa l'etimologia per sostenere la sua inconsistenza, dato che la figura paterna ha perso potere rispetto a quella materna, la maschile rispetto a quella femminile; si usa la linguistica per sostenere che il termine è inadeguato alla complessità e alle trasformazioni della famiglia e della società contemporanee. E così via, pur di limitarne l'unico uso sensato in queste questioni: l'uso che ne fanno, da qualche secolo, i femminismi e gli studi di genere.
Il patriarcato è il nome di una relazione di potere tra esseri umani o tra istituzioni umane basata su valori sociali comunemente e tradizionalmente associati a ciò che, in una determinata cultura, viene considerato maschile. Questo è il motivo per cui: - il patriarcato non è un modo di "attaccare" o "accusare" gli esseri umani maschi, perché come forma di potere può essere usato (e nei fatti viene usato) da persone di qualsiasi genere; - il patriarcato non è il nome di una struttura sociale, di una relazione o di una forma espressiva (parola, locuzione, testo, opera d'arte), ma il nome del potere che viene usato - anche insieme ad altri - in quelle situazioni o in quelle espressioni. Quindi non esistono parole o azioni "patriarcali" da vietare, ma usi patriarcali di espressioni e situazioni che andrebbero evitate. - il patriarcato non è la "causa" della violenza di genere subita dagli esseri umani, ma il potere usato in tutte le forme di violenza di genere subite dagli esseri umani in maniera differente a seconda dei loro corpi e del loro genere. A questo proposito varrà la pena ricordare che questo è il motivo per cui non esiste alcuna "simmetria" tra la violenza di genere subita dalle donne rispetto a quella subita dagli uomini, e poi tra etero e non etero, e così via. Ogni particolarità di genere subisce forme di violenza di tipo patriarcale; 350 anni e più di femminismi permettono oggi di identificare e parlare con certezza di quelle subite da qualsiasi genere non sia l'uomo eterocis, mentre quest'ultimo genere continua, in tantissimi casi che capitano nella vita dei suoi membri, a non saperla neanche riconoscere, data l'assenza di una competenza diffusa proprio su questo aspetto specifico degli studi di genere: la maschilità. Ecco anche detto il perché in nessun senso il patriarcato è una ideologia, o può essere assimilato a un atteggiamento ideologico: il patriarcato è un fatto sociale esistente e funzionante nelle nostre società, e la sua esistenza è oggetto di studi e ricerche scientifiche da moltissimi anni, in tutte le sue forme (linguistiche, sociali, filosofiche, economiche, storiche). Può essere certamente ideologica, e di fatto lo è, la scelta di non occuparsene oppure sì, di non riconoscerlo oppure sì, di discuterne come fatto sociale del quale occuparsi nelle proprie vite oppure no.
Oppure ancora, come è stato fatto di recente seguendo un andazzo molto in voga tra le persone ignoranti e schierate contro i femminismi di ogni tipo, si può dichiarare che il patriarcato è finito e che ci sono in giro "solo" forme di maschilismo - ignorando il legame tra i due, che non sono sinonimi - e che la violenza di genere diffusa è dovuta anche all'immigrazione.
Dalle mie parti fare così si chiama "buttàlla in caciara", ed è il tipico atteggiamento di chi è ignorante e/o vuole ottenere credibilità e consenso spostando le argomentazioni altrove. Questo uomo no.
Probabilmente anche io, che studio queste cose a livello accademico dalla metà degli anni '90 e che da più di un decennio ne ho fatto un lavoro apprezzato e un'opera di divulgazione che ha aiutato moltissime persone, vengo considerato "ideologicamente schierato". Evidentemente, sapere le cose e usarle per il bene comune anche professionalmente adesso qualcunə preferisce chiamarlo così, sperando che ne possa rimanere fuori. Invece, anche se da diversi posizionamenti, o si conosce e affronta il problema, o si è parte del problema. Buon patriarcato a tuttə. P.S. per chi è più esigente, qui una mia bibliografia aggiornata a fine '23. Ci metto solo quello che leggo, studio e ho usato con risultati, quindi non ci sono pubblicazioni troppo recenti.
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Tim Walz, il finto democratico scelto da Kamala come vice, ha detto: "NESSUN DIRITTO ALLA LIBERTÀ DI PAROLA se il governo decide che è disinformazione"
Via Imolaoggi
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Per l'ennesima volta...
Ricevo una richiesta d'amicizia su Facebook. Controllo il profilo, che si rivela spudoratamente farlocco. La foto ritrae una ragazza giovane e appariscente. E il primo post rappresenta in pratica l'invito a unirsi a un presunto gruppo Telegram con chiari intenti pruriginosi. Lo segnalo immediatamente. Dopo qualche giorno, ricevo un aggiornamento relativo alla segnalazione. Non abbiamo rimosso la foto. Il che, tradotto, sta a significare che per il social va tutto bene. (E non è la prima volta che succede, almeno per quanto mi riguarda). Aggiungono: Se ritieni che abbiamo commesso un errore, puoi chiedere di riesaminare questa decisione entro 180 giorni. Cosa che io non farò. Perché non servirebbe a nulla. Quello che mi infastidisce non è la censura in sé, ma la sua palese parzialità. Perché non colpisce tutti. Se l'utente effettua una segnalazione di questo tipo, non muovono un dito. Però si arrogano il diritto di cancellare il suo profilo senza nemmeno avvisarlo. Foorse dovrebbero controllare sul dizionario il significato della parola coerenza. Per propria crescita culturale. Non per altro.
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Ghali riaprirà il discorso sullo ius soli ma nessun governo continuerà a fare niente. Quel pezzo di carta costa anni di attese e di problemi: io l'ho richiesto a 18 anni e l'ho ottenuto dopo tre anni e mezzo. Per non parlare della sensazione di avere la dignità continuamente calpestata ogni volta che rinnovi il permesso o rinnovi la domanda di cittadinanza come se dovessi supplicare in ginocchio qualcuno per un diritto inequivocabile. Cresco in un quartiere popolare come tanti, la mia gente è per lo più magrebina; arrivo comunque all'università tra tanti sacrifici, supportata da genitori che non hanno mai studiato, sempre senza quel pezzo di carta. Inizio a dare esami senza quel pezzo di carta, conosco studenti stranieri con origini italiane: cittadini italiani pur non parlando una parola di italiano. Loro italiani sulla carta e io no.
Ad oggi neanche "l'opposizione" ha in programma riforme in merito. Un paese senza ius soli nel 2024 è un paese ridicolo.E a ricordarvelo un ragazzo che sino ai 18 anni e oltre non è stato cittadino italiano, e per quanto te lo puoi sentire che sei italiano, quel pezzo di carta mancante pesa. Ti fa rabbia ed è una rabbia che non si sana. Sono dolori (traumi veri e propri, sinceramente) che non si sanano e a questi dolori e a questi traumi irrisolti non ci pensa nessuno.
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Cosa faccio qui? Cosa sto facendo? Sono in auto, parcheggiata, alcuni metri fuori da scuola. E sto aspettando …lui. Che esca da scuola. Già questo dovrebbe spingermi a mettere in moto e andare via. Non lo faccio. Ho perso la testa. Mi sono invaghita di un ragazzo più giovane di mio figlio. Un ragazzo che va ancora a scuola la mattina. E io, qui ad attenderlo.
Tra le gambe sento un fremito. Già l’attesa, il pregustare di vederlo mi fa bagnare. Sei proprio impazzita. Che ti ha preso?
Lo conosci da sempre. Sei amica del cuore della sua mamma. Poi, ti sei accorta di come ti guardava. E anziché riderne e non pensarci hai cominciato a giocare. Sguardi, sorrisi, accavallamenti di gambe, scollature generose, qualche sfioramento solo in apparenza innocente sotto il tavolo. Un gioco di provocazioni che ha portato il ragazzo a cadere nella tua rete. Finché non lo hai sedotto e te lo sei fatto.
Un capriccio. Ma lui è così dolce….e mio dio come ti fa godere Margi.
Così, sei qui, che lo aspetti.
Mi controllo il trucco. Passo le mani sulle gambe, eccitata. Ho messo le calze e il reggicalze stamattina. E senza mutandine. Porca, per andare a prendere un ragazzo adolescente davanti scuola….
Eccoli che escono. Anche lui. Gli accordi sono chiari. Guai a farci notare. L’auto parcheggiata nell’angolo, ad alcune decine di metri dal portone. Lui che cammina, cerca con gli occhi la mia ufo, sorride quando la vede. Ma deve fare finta di camminare diritto. Solo all’ultimo momento aprirà lo sportello e si infilerà nel posto accanto al guidatore. Accanto a me.
Lo guardo. Che voglia di pomiciarlo subito. Anzi, di farmelo subito, qui in macchina, sbottonargli i pantaloni, salirgli di sopra e scoparmelo sul sedile.
Non si può, controllati ancora per qualche minuto.
Metto in moto e sorrido senza dire una parola. Allungo la mano, gli tocco la patta. Poi prendo la sua, e la guido sotto la gonna, sulle cosce. Riporto la mano sul voltante. Lui mi accarezza le gambe, indugia sul reggicalze, poi si spinge in mezzo.
“Devo guidare…” gli dico.
Lo sto portando nella casa appena fuori città rimastami dopo il divorzio. Il mio ex marito neanche sospetta che la usi. Avremo un paio d’ore prima che debba riportarlo a casa, dalla sua mamma. Gli toglierò i vestiti appena chiusa la porta alle nostre spalle. Lo spingerò sul letto. Non ho mutandine, non ho neanche bisogno di spogliarmi. Di sprecare nemmeno un secondo …..
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La verità è che nessuno si regge più in piedi da solo, sulle proprie gambe. Nessuno regge più il dolore, la perdita, la frustrazione, l’attesa.
Insomma, le cose della vita.
Abbiamo bisogno di normalizzare i processi della vita: nascere, crescere, ammalarsi, ferirsi, invecchiare, morire.
Un tempo si moriva sazi di vita, appagati, senza rimpianto alcuno, in modo del tutto naturale.
Oggi si muore insoddisfatti, delusi e stanchi.
Il lutto non rientra più nelle categorie del vivente.
Abbiamo inventato questa parola: “elaborazione”, dimenticando che i lutti non si elaborano, ma si accolgono, come parti integranti dell’esistenza, tutt’al più si contemplano come espressioni mutevoli del flusso continuo della vita.
“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore
e cerca di amare le domande,
che sono simili a
stanze chiuse a chiave
e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte
che possono esserti date
poiché non saresti capace
di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa.
Vivere le domande ora.”
Aveva ragione Rilke.
Abbiamo disimparato il valore del piangere insieme, di condividere il pasto, dono gentile e premuroso gesto della vicina di casa, la sera, quando si raccontava ai bambini dove sta il nonno adesso, e si passava la carezza della mano piccola sul suo viso freddo e immobile, disteso sul letto.
I sogni facevano il resto, perché si aveva tempo per dormire e per sognare. E al mattino, appena svegli, per raccontare.
Così chi non c’era più continuava ad esserci, a contare, a suggerire, a consolare.
I morti stavano insieme ai vivi.
Complicato allora non è il lutto, ma il modo di viverlo, di trattarlo, come se fosse una malattia in cerca di una cura. Ma la vita non è un problema da risolvere.
Ancora Rilke. Piuttosto un mistero da sperimentare. Una quota di ignoto inevitabile che spinge lo sguardo oltre la siepe.
Chi ha ancora desiderio di quell’infinito che solo l’esperienza del limite può disvelare?
Oggi tutti reclamano il diritto alla cura della psiche, forse perché i medici del corpo non riescono a guarire certe ferite dell’anima.
Ma così si sta perdendo il valore della psicoterapia. Così si confonde la patologia con la fisiologia dell’esistente, che contempla nel suo lessico le voci: malattia, solitudine, sofferenza, perdita, vecchiaia, morte.
Qual è l’immagine del nostro tempo, che rappresenta il senso estetico dominante? Una enorme superficie levigata, perfetta, specchiante.
In questo modo, privata delle increspature, delle imperfezioni, del negativo, della mancanza, l’anima ha smarrito il suo luogo naturale, la sua origine, il respiro profondo della caducità, della provvisorietà, della fragilità del bene e del male.
Perché alla fine, tutto ciò che comincia è destinato a finire e l’unica verità che rimane è questo grumo di gioia che adesso vibra ancora nel cuore, qui e ora, in questo preciso istante, nonostante la paura, il disincanto, la sfiducia.
Non c’è salute dunque che non sia connessa alla possibilità di salvezza.
Alle nostre terapie manca quel giusto slancio evolutivo, che spinga lo sguardo oltre le diagnosi, i funzionamenti, i fantasmi che abitano nelle stanze buie della mente.
Un terapeuta non può confondere la luna con il dito che la indica.
Può solo indicare la direzione e sostenere il desiderio di raggiungerla.
Per questo ogni sera mi piace chiudere gli occhi del giorno con una poesia, ogni sera una poesia diversa, per onorare la notte con il canto dei poeti.
Perché la notte sa come mantenere e custodire tutti i segreti.
Perché le poesie assomigliano alle preghiere.
Dicono sempre cose vere.
Stanotte per esempio ho scelto questa:
“Si è levata una luna trasparente
come un avviso senza minaccia
una macchia di nascita in cielo
altra possibilità di dimora. E poi.
Siamo invecchiati.
Il volume di vecchiaia
è pesato sul tavolino delle spalle,
sugli spiccioli di salute.
Cos’è mai la stanchezza?
Le cellule gridano
chiamano l’origine
vogliono accucciarsi
nel luogo prima del nome
nello spazio che sta tra cosa e cosa
e non invade gli oggetti
li accarezza e li accalora.
Non smettere di guardare il cielo
ti assegna la precisa misura
fidati della vecchiaia
è un burattino redentore.
Dopo tanta aritmetica
la serenità dello zero.”
Chandra Candiani
Testo di Giuseppe Ruggiero
foto dal seminario " In Quiete". Introduzione alle costellazioni Familiari con Anna Polin
Gloria Volpato
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🍀
[...] Tu sei il mio fabbricante di lacrime, Ognuno di noi ha il suo fabbricante di lacrime… È quella persona in grado di farci piangere, di renderci felici o di straziarci con un’occhiata. È quella persona che dentro di noi ha un posto talmente importante da farci disperare con una parola, o emozionare con un sorriso.
E non puoi mentirle… Non puoi mentire a quella persona, perché i sentimenti che ti legano a lei vanno al di sopra di qualsiasi menzogna [...]
[...] narrava di un luogo lontano, remoto...
Un mondo dove nessuno era capace di piangere, e le persone vivevano con anime vuote, spoglie di emozioni.
Ma nascosto da tutti, nella sua immensa solitudine, c'era un uomo vestito di ombre. Un artigiano solitario, che dai suoi occhi profondi era capace di confezionare lacrime di cristallo.
Andava da lui, la gente, chiedendo di poter provare un briciolo di sentimento , perché nelle lacrime si cela l'amore e il più compassionevole degli adii.
Sono la più intima estensione dell'anima, ciò che, più di gioia e di felicità, fa sentire veramente umani.
E l'artigiano li accontentava...
Infilava negli occhi delle persone le sue lacrime con ciò che contenevano, ed ecco che piangeva la gente: era rabbia, disperazione, dolore, angoscia.
Erano passioni laceranti, disillusioni e lacrime, lacrime, lacrime - l'artigiano infettava un mondo puro, lo tingeva dei sentimenti più intimi e logoranti.
[...] "Ricorda: non puoi mentire al fabbricante di lacrime" ci dicevano alla fine." [...]
[...] Gli avevano detto che l’amore vero non finisce.
Non gli avevano detto però che ti dilania fino alle ossa, l’amore vero, quando ti si radica dentro senza più lasciarti andare [...]
[...] Avevo sempre sentito dire che solo un grande potere aveva la forza di cambiare il mondo.
Io non avevo mai voluto cambiare il mondo, ma avevo sempre pensato che, invece, non fossero i grandi gesti o le manifestazioni di forza a fare la differenza.
Per me erano le piccole cose. Le azioni quotidiane. Semplici atti di gentilezza compiuti dalla gente comune [...]
[...] ma la verità è che... le persone che amiamo non ci lasciano mai veramente, sai? Restano dentro di noi, e poi un giorno ti accorgi che sono sempre state lì, dove potevi trovarle solo chiudendo gli occhi [...]
[...] Non importa se sei distrutto.
Non importa se lo sono io.
Anche i mosaici sono fatti di cocci spezzati.
Eppure guarda che meraviglia [...]
[...] Ti amo come solo le stelle sanno amare: da lontano, in silenzio, senza spegnersi mai.[...]
[...] Non voglio il lieto fine,
voglio il gran finale.
Come quelli dei prestigiatori,
quelli che ti lasciano a bocca aperta
e ti fanno credere, per un istante,
che le magie possano esistere [...]
[...] Chi ha la primavera nell'anima vedrà sempre un mondo in fiore [...]
[...] Chiusi il libro e vi posai un bacio
Ringraziandolo per le emozioni
Che mi aveva regalato
E gli promisi di mettere in pratica
Il consiglio che mi aveva dato
Quello che nonostante le ferite
Non bisogna arrendersi mai
Ma continuare a provare
Anche se si soffre e si piange
Perché piangere è umano
E non è segno di debolezza
Ma significa che " siamo vivi,
Che il nostro cuore batte,
Si preoccupa e brucia di emozioni".
Per questo esiste il " Fabbricante
Di lacrime" perché il pianto è Vita
E tutti hanno il diritto di piangere
Non solo gli adolescenti
Come erroneamente qualcuno crede [...]
Erin Doom,
citazioni tratte dal libro
"Fabbricante di lacrime"
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Cos'è davvero l'uguaglianza? È come una chimera, un ideale che sfugge, un concetto che ognuno interpreta a modo suo. Da una parte, c'è chi grida al merito, alla gerarchia, a una sorta di legge della giungla dove vince il più forte. Ma il merito è davvero così oggettivo? Non è che spesso è il frutto di un gioco di carte truccato, dove alcuni nascono già con un asso nella manica? E poi, c'è chi, all'opposto, sostiene che siamo tutti uguali, punto e basta. Ma se siamo tutti uguali, che senso ha valorizzare le differenze? È come dire che un Picasso e un bambino di tre anni che scarabocchia un foglio sono sullo stesso piano.
Io credo che l'uguaglianza sia il fondamento di una società sana, ma non nell'accezione di un livellamento che annulla le individualità. È il diritto di ogni essere umano a partire da una linea di partenza equa, a poter sviluppare i propri talenti, a non essere giudicato per l'origine, il colore della pelle o le preferenze sessuali. Ma questo non significa che tutti debbano fare lo stesso lavoro o raggiungere gli stessi traguardi. Un medico e un poeta hanno ruoli diversi, ma entrambi sono essenziali per la nostra società.
Il problema nasce quando confondiamo l'uguaglianza con l'uniformità. È come se volessimo tutti indossare la stessa taglia di scarpe, senza renderci conto che ognuno ha un piede diverso. Certo, possiamo creare delle scarpe standard, ma poi ci saranno sempre quelli a cui stringono e quelli a cui sono larghe.
La meritocrazia, se intesa nel modo giusto, può essere un motore di crescita. Ma deve essere una meritocrazia inclusiva, che non lasci indietro nessuno. È illogico pensare che un bambino cresciuto in un ambiente privo delle risorse fondamentali possa, senza alcun supporto, raggiungere gli stessi risultati di un suo coetaneo cresciuto in un contesto privilegiato. Dobbiamo creare delle reti di sostegno, delle rampe di lancio per chi parte svantaggiato.
E poi c'è la questione della libertà di espressione. Certo, ognuno ha diritto a dire la sua, ma non tutte le opinioni hanno lo stesso valore. Un'idea ben argomentata, frutto di una profonda riflessione, è diversa da un'opinione buttata lì tanto per dire. E non dimentichiamo che la libertà di espressione ha dei limiti. Non possiamo gridare al fuoco in un cinema, né diffondere notizie false che possano danneggiare gli altri.
Per costruire una società più giusta ed equa, dobbiamo prima di tutto affrontare le contraddizioni e le sfide che ci troviamo ad affrontare. Come possiamo conciliare il principio di uguaglianza con quello di meritocrazia? Viviamo in un'epoca contraddittoria, dove si invocano i valori di pace e fratellanza, ma si perpetuano le disuguaglianze. Più parliamo di uguaglianza, più il divario tra ricchi e poveri sembra allargarsi.
Ci chiediamo allora: vogliamo davvero una società più equa? E se sì, perché le nostre azioni non corrispondono a questo desiderio? Siamo disposti a mettere in discussione i nostri privilegi per costruire un futuro più giusto? Le risposte a queste domande sono fondamentali per definire le azioni concrete che dobbiamo intraprendere.
Insomma, la strada verso l'uguaglianza è lunga e tortuosa. È un percorso che richiede impegno, dialogo e soprattutto onestà intellettuale. Dobbiamo essere disposti a mettere in discussione le nostre convinzioni, a uscire dalla nostra comfort zone e ad ascoltare le ragioni degli altri. Solo così potremo costruire una società più giusta e più equa, dove ognuno possa realizzarsi e trovare il proprio posto.
Questo blog è il mio piccolo angolo creativo. Ogni parola e ogni immagine presente in questo post è frutto della mia immaginazione. Se ti piace qualcosa, condividi il link, non copiare.
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Che buffonata la vita: questa misteriosa combinazione di logica impietosa per un futile scopo. Tutto quello che ci si può aspettare, è una qualche conoscenza di se stessi - che viene troppo tardi - e un mucchio di inestinguibili rimpianti. Ho lottato con la morte. È il combattimento meno eccitante che si possa immaginare. Si svolge in un grigiore impalpabile, con niente sotto i piedi, niente intorno, senza testimoni, senza clamore, senza gloria, senza il gran desiderio di vincere, senza il gran timore della sconfitta, in una insalubre atmosfera di tiepido scetticismo, senza una ferma convinzione nel proprio diritto, e meno ancora in quello dell'avversario. Se è questa la forma suprema della saggezza, allora la vita è un enigma più grande di quanto alcuni di noi pensano che sia. Ero a un passo dalla mia ultima occasione di pronunciare una parola, e ho scoperto con umiliazione che probabilmente non avevo niente da dire.
Joseph Conrad - Cuore di tenebra
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La replica degli studenti sulla contestazione a Molinari:
- nessuno gli ha tolto il diritto di parola - è stato Molinari che ha deciso di non presentarsi all’iniziativa e di non sentire le ragioni del nostro dissenso - chi viene all’Università non può pretendere un pubblico ammaestrato - quelli a cui è stata tolta la parola siamo noi che al posto del dialogo abbiamo ricevuto calci e schiaffi dalla polizia.
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Forse l’errore (l’illusione) più grande è aspettarsi di essere amati come amiamo. Forse è più complicato, ma veritiero, accettare che ognuno ami a suo modo, con i suoi gesti, le sue parole, quella modalità unica e particolare che è il risultato di una storia, di una vita, di un cuore.
Forse la salvezza è desistere dall’ideale della favola, per accogliere la verità dell’Essere Due in tutte le sue complicate contraddizioni, dove le due parti della mela non coincidono quasi mai ed è, giorno dopo giorno ,un laborioso tentativo di capirsi, venirsi incontro, accettarsi, un po’ sopportarsi. Qualsiasi nome abbia la relazione, di qualsiasi forma d’amore si tratti, non è mai un continuo “e vissero felici e contenti”, è più un “e vissero cercando di essere felici e impegnandosi a farsi contenti”, tra una lacrima, un errore, un tentativo fallito, una parola sbagliata.
Ognuno di noi sa per certo ciò che lo rende infelice, ciò che non potrebbe sopportare (nemmeno per amore), ciò che segna il confine tra la comprensione e il venire a meno dell’amore per se stessi,allora lì decade anche l’impegno a volere a tutti i costi che la combinazione funzioni. Allora bisogna solo accettare che Altrove è l’unica salvezza.
E che se la vita non è una favola e l’amore ancora meno c’è un piatto della bilancia che deve sempre pesare più del resto e si chiama “amarsi”. Abbiamo tutti diritto a una vita il più possibile felice...
Fin dove possiamo scegliere, cerchiamo chi, a suo modo, contribuisca ad accrescerla e non a boicottarla. Qualcuno che le lacrime ce le asciughi e non ce le faccia versare. Qualcuno che magari non sia perfetto, ma sia perfetto per noi, in ogni sua imperfezione. Qualcuno che, insieme a noi, viva l’amarsi in ambedue i suoi significati: connubio perfetto di infinite fragilità..
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L'idea della democrazia targata DEM
Su Strisciarossa Nadia Urbinati scrive: «Infine, ma questo tema richiederebbe una riflessione a parte, i territori e gli amministratori hanno dimostrato di contare e di rendere il Pd concretamente presente e capace di buon governo. Un dato importante, tenendo anche conto di come era nata la candidatura Schlein alla guida del Pd, con una lacerazione tra dentro e fuori del partito, tra partito degli amministratori e della leader. La lacerazione è stata superata e ricomposta. Nel senso che gli amministratori hanno dimostrato di essere una componente aggregativa sul territorio che Schlein ha intelligentemente valorizzato e sostenuto. Dopo il voto europeo, al Pd resta l’arduo compito di preparare con sistematica ragionevolezza un’alleanza contro la destra, con l’obiettivo di raddrizzare la politica del paese, riportando lo stato di diritto e la democrazia al centro».
La Urbinati scrive cose ragionevoli sul rapporto tra riformisti e radicali nelle file del Pd che potrebbe ridare capacità di movimento alla sinistra. Poi però concentra la sua attenzione non sulla sfida tra proposte liberalconservatrici e socialiste-liberal, ma sulla “difesa della democrazia”, parola d’ordine che in questo trentennio ha sempre determinato una guida politica dall’alto dell’Italia, cioè a una diminuzione della democrazia.
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Su Startmag, a proposito di un’intervista corrierista al cardinal Camillo Ruini, Francesco Damato scrive: «Invitato dall’intervistatore a dire se davvero nell’estate del 1994, come raccontato in un libro edito dallo stesso Corriere della Sera, Scalfaro lo avesse invitato a cena con il cardinale Angelo Sodano e monsignor Jean-Louis Tauran per chiedere loro di essere “aiutato a far cadere il governo Berlusconi” raccogliendone un “silenzio imbarazzato”, Ruini ha testualmente risposto: “Effettivamente andò così. La nostra decisione di opporci a quella che ci appariva come una manovra – al di là della buona fede di Scalfaro – fu unanime”».
Un Quirinale che trama con i vescovi per far cadere un governo scelto degli elettori, sarebbe questo l’esempio di quella “difesa della democrazia” che invoca la Urbinati?
Via tempi.it
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C'è questo termine appartenente alla "cultura pop", MILF, che è un acronimo inglese che sta ad indicare il trasporto emotivo sessuale per le madri di famiglia, una sottocategoria del mature, ma più calibrata sui mammoni. Quale sorpresa nell'accorgermi di essere ormai entrato a pieno diritto, almeno per età e fase della vita, nella categoria dei FILF, termine attestato nientemeno che dall'enciclopedia Treccani:
Da oggi niente più uomini di mezza età quindi, solo FILF, ricordando sempre che da FILF a granny il passò è breve, "tors rancura" (mantovano): spicciarsi, darsi da fare.
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Ho imparato molto da un social come FB : ho imparato a diffidare di chiunque, ho imparato a misurare ogni parola, ho conosciuto l'invidia e la cattiveria gratuita, ho scoperto che il vivi e lascia vivere non esiste,che pur di affossarti le studiano tutte,nemmeno ci dormono la notte .Ma ho imparato anche cose positive. Come dare il giusto peso alle cose che leggo,senza fare nascondi post o altro , passo oltre perchè giustamente ognuno ha il diritto di scrivere o postare ciò che vuole e nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di impedire a nessuno di leggerlo.Ho imparato che si possono trovare persone splendide anche qui,sono poche molto poche ma ci sono. E faccio passare solo cose positive, il resto, tutto il resto, si spegne insieme al mio cellulare
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