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#decreto sicurezza di Minniti
paoloxl · 5 years
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Nell’ultimo anno si è parlato di CPR ( Centri per i rimpatri) soltanto per sottolineare il “disagio” delle forze di polizia incaricate della sorveglianza, criminalizzare gli “ospiti” di queste strutture detentive, o per creare allarme ipotizzando una “regia esterna” delle numerose proteste che nei casi più gravi sono culminate con incendi e danneggiamenti. Mai un accenno alle condizioni disastrose delle strutture, all’abbattimento dei costi e quindi dei servizi di assistenza e consulenza garantiti dagli enti gestori, alla eterogeneità della popolazione detenuta, che per effetto del decreto sicurezza, poi convertito nella legge n.132 del 2018, annovera sempre più spesso richiedenti asilo denegati e soggetti vulnerabili rimasti privi di un permesso di soggiorno per la cancellazione della protezione umanitaria.
Di fronte ad una situazione che in passato era stata denunciata con interventi e Rapporti assai dettagliati, non è stata concessa alcuna possibilità di ingresso ai rappresentanti della società civile, come gli attivisti della Campagna LasciateCientrare, e sotto questo profilo l’avvicendamento al Viminale non ha cambiato nulla. Da ultimo questa “continuità” di governo della detenzione amministrativa è denunciata in un volume divulgativo edito dal settimanale Left dal titolo “Mai Più”.  Anzi, si è puntato soltanto su comunicazioni propagandistiche per mettere in risalto un aumento irrisorio delle persone soggette al trattenimento amministrativo e quindi dei conseguenti rimpatri. Che comunque rimangono solo una frazione molto modesta dei casi di espulsione o respingimento per cui i questori dispongono l’accompagnamento forzato in frontiera, in assenza di qualsiasi possibilità di regolarizzazione successiva all’ingresso o al soggiorno irregolare. Soprattutto per coloro che provengono dal circuito carcerario, magari senza neppure avere riportato una condanna definitiva, il meccanismo delle espulsioni con accompagnamento forzato porta inesorabilmente al trattenimento nel CPR in tutti i casi in cui al momento della scarcerazione non siano ancora pronti i documenti necessari per il rimpatrio. E spesso si tratta di persone presenti in Italia da molti anni.
Dal CPR di Torino ( via Brunelleschi) al CPR di Ponte Galeria a Roma, fino ai CPR siciliani di Trapani (Milo) ancora lo scorso 3 gennaio e di Caltanissetta ( Pian del lago), oggi, non è passato mese senza che si registrassero proteste che in qualche caso si sono trasformate in gravi danneggiamenti delle strutture. Dopo queste proteste si è innescata una girandola di trasferimenti da un centro all’altro, su disposizione del ministero dell’interno, che hanno contribuito ad estendere a tutti i centri un clima di rivolta contro un regime detentivo e condizioni di trattenimento che si traducevano assai spesso in deprivazione totale della dignità della persona e dei suoi più elementari diritti fondamentali, dal diritto alla salute al diritto alla difesa. Il raddoppio dei termini di trattenimento amministrativo (da 90 a 180 giorni), previsto dal Decreto sicurezza 1 ( legge n.132 del 2018) ha contribuito ad elevare i livelli di tensione all’interno di queste strutture, da Torino a Caltanissetta, da Gradisca D’Isonzo a Lamezia,a Palazzo S.Gervasio, Bari, Brindisi,Lecce, Crotone, Milano, Modena, Bologna, anche se non ha inciso in misura significativa sul numero delle persone effettivamente rimpatriate. Nel corso degli anni sono stati diversi i casi in cui hanno perso la vita “per cause naturali”, persone migranti trattenute nei CPR in condizioni di privazione di una tempestiva assistenza.
Come riporta Mediterraneo Cronaca nella giornata di domenica 12 gennaio, si è verificata l’ennesima morte di un “ospite” trattenuto all’interno di un CPR, questa volta nel centro di Pian del lago a Caltanissetta. Anche in questo caso mancano notizie ufficiali, non si ha certezza sulle cause del decesso, né si conosce dove sia stata trasferita la salma del ragazzo, sembra un tunisino, che ha perso la vita, dopo essersi sentito male nei giorni precedenti, come sembra, ma dopo essere andato a letto “normalmente”, come ha subito precisato la questura di Caltanissetta.
Quello che è certo è che dopo questa ennesima morte all’interno di un centro di detenzione, è scoppiata una protesta che è culminata con l’incendio di alcune parti della struttura, un incendio poi sedato dall’intervento di due grossi mezzi dei vigili del fuoco. Non si conosce invece la sorte degli “ospiti” del centro di Pian del lago, che tra pochi giorni avrebbe comunque chiuso i battenti, per lavori di ristrutturazione che erano stati già appaltati. E’ del resto noto che la domenica è un giorno “particolare”, almeno per i migranti trattenuti di nazionalità tunisina, perché il lunedì ( ed il giovedì) si organizzano i voli di rimpatrio, e coloro che vengono imbarcati sugli aerei apprendono generalmente all’alba dello stesso giorno la notizia del proprio rimpatrio, anche in casi nei quali sono ancora pendenti ricorsi giurisdizionali contro l’espulsione o procedure per il riconoscimento della protezione umanitaria o internazionale. Si registrano anche casi di rimpatrio di richiedenti asilo per effetto della nuova prassi delle cd. “procedure accelerate in frontiera”, subito dopo gli sbarchi, e per l’adozione di una “lista di paesi terzi sicuri” che riduce la possibilità, per chi proviene da questi paesi, di trovare protezione in Italia.
Non vi sono ancora garanzie effettive che nel caso di rimpatri forzati effettuati verso paesi che hanno stipulato con l’Italia accordi bilaterali che prevedono procedure “semplificate”, come nel caso della Nigeria, siano effettivamente rispettati i diritti fondamentali della persona, come imporrebbe l’art. 19 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/1998. Il Centro di permanenza per i rimpatri di Ponte Galeria è diventato uno snodo finale prima dell’imbarco da Roma.
Quanto continua a verificarsi all’interno dei centri di detenzione italiani , e da ultimo i fatti di Pian del lago a Caltanissetta, dimostrano una totale continuità nell’azione dei vertici del Viminale nella gestione del sistema dei rimpatri con accompagnamento forzato e dei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) in particolare. Se è fallito il piano originario proposto dall’ex ministro dell’interno Minniti, che voleva aprire dieci nuovi CPR, si assiste al continuo peggioramento delle condizioni di trattenimento, tanto in quelli esistenti da tempo, quanto in quelli di più recente apertura o riconversione, come a Macomer, in Sardegna, di Gorizia in Friuli e di Trapani Milo in Sicilia.
Occorre intensificare le visite nei CPR del Garante nazionale per le persone private della libertà personale e restituire alle organizzazioni non governative, ed alle campagne come LasciateCientrare, la possibilità di svolgere attività di monitoraggio periodico per verificare che i diritti fondamentali delle persone trattenute non siano indebitamente negati, e che i rapporti di appalto siano conformi alle prescrizioni di legge ed ai capitolati predisposti dal ministero dell’interno.
Si tratta di verificare la conformità delle prassi attualmente applicate nella gestione dei CPR rispetto alle garanzie costituzionali (in particolare gli articoli 13, 24 e 32 Cost.) accordate a qualunque straniero presente in Italia, anche se si trova in condizione irregolare, come prescrive l’art. 2 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/1998. Occorre ricostruire una rete sul territorio che possa verificare l’attuazione effettiva dei diritti di difesa ed il rispetto delle garanzie procedurali accordate agli “ospiti” dei CPR,
Occorre poi verificare la compatibilità delle modalità di trattenimento amministrativo in Italia con la direttiva europea 2008/115/CE ( Direttiva rimpatri) e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che richiama il divieto di trattamenti inumani o degradanti ( art. 4) già previsto dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguarda dei diritti dell’Uomo.
Ribadiamo infine l’urgenza dell’abrogazione delle norme criminogene del “decreto sicurezza uno”, poi convertito nella legge 132 del 2018 che prolungano i termini del trattenimento amministrativo, lo estendono anche ai richiedenti asilo e cancellano la protezione umanitaria. Norme e prassi conseguenti che, se non interverrà una abrogazione da parte del Parlamento, occorrerà portare all’esame della Corte Costituzionale e degli organi della giustizia europea ed internazionale.
Fulvio Vassallo Paleologo
da Associazione Diritti e Frontiere – ADIF
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3nding · 5 years
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Tumblr media
Ecco il succo di cosa è successo in piazza oggi a Roma!
Il punto è tutto qui, e non è un problema di sfumature linguistiche. E' sostanziale.
Abdel El Mir, portavoce delle Sardine Nere (che non hanno permesso di soggiorno, che subiscono le politiche di Salvini ogni giorno), è riuscito dopo mille proteste a salire sul palco a manifestazione chiusa, nonostante gli avessero promesso un intervento prima...
E' tutto documentato. Mentre chiedeva l'ABROGAZIONE dei Decreti Sicurezza, gli hanno spento il microfono e alzato il volume della musica.
Eppure la piazza applaudiva. Il fatto è che, pochi minuti prima, Santori aveva chiesto il CAMBIAMENTO dei decreti. E dalla piazza si era levata una voce: "No, abrogazione!". Santori era stato costretto a dire "sì, ok", poi nelle interviste dopo ha ritrattato: "Abbiamo chiesto il CAMBIAMENTO di un decreto. Noi vogliamo che venga RIVISTO, NON ABROGATO, perché c'è qualcosa del Decreto Sicurezza che va bene...".
Ora, vi rendete conto della follia? Questo è il momento clou di un mese di piazze, ci sono decine di migliaia di persone, e tu, rispetto al tema-bandiera del tuo nemico politico, che dici? Che tutto sommato qualcosa di buono nel Decreto Sicurezza c'era, e che la misura va solo ritoccata!
Immaginate a parti rovesciate: Salvini lo direbbe mai? Ecco, Santori è il tipico politico del PD, con posizioni deboli, che già configurano una sconfitta.
(Lasciando stare il fatto che con tutti i problemi che ci sono in Italia - il lavoro, l'ambiente etc - il programma delle Sardine è di "togliere l'uso dei social ai ministri!")
Ma, al di là di questo, sapete perché Santori non dice la parolina magica "abrogazione"? Perché il PD non vuole abrogare quei Decreti. La parte "buona" è quella infatti di Minniti!
D'altronde non ci vuole una laurea per sapere che sulle questioni migratorie il PD è stato sempre in linea con la destra: negli anni '90 continuità fra la Turco-Napolitano e la Bossi-Fini, ora fra Minniti e Salvini.
Per un semplice motivo: perché entrambi gestiscono i flussi secondo gli interessi dell'imprenditoria e di quanto conviene regolarizzare o no la forza-lavoro.
Per questo la questione immigrazione è la cartina al tornasole di ogni progetto politico. Da come la gestisci e da cosa proponi si capisce il contenuto sociale del tuo governo.
Grazie alle Sardine Nere che oggi hanno platealmente fatto cadere la maschera. Grazie ai soggetti che si autorappresentano anche senza bianchi caritatevoli e ci svegliano!
Non ci serve l'antirazzismo a parole, ci servono fatti! - Salvatore Prinzi
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corallorosso · 5 years
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Mentre quelli trattano, Salvini continua a fare il bullo coi deboli. E i 5 Stelle sono complici
Forse sarà davvero il canto del cigno, le ultime operazioni (come sempre più di propaganda che di sostanza) di un quasi ex ministro dell'interno che si prepara a buttarsi su ciò che sa fare meglio, la propaganda spiccia utile a infiammare i cuori e a disegnare nemici immaginari, ma che Salvini ora si sia incollato al suo ufficio del Viminale dopo averlo lasciato scoperto per mesi per lasciare fuori dalle acque territoriali italiane la nave Eleonore della ONG Mission Lifeline con i suoi 101 migranti che stavano annegando su un gommone mezzo sgarrupato al largo della Libia è sicuramente un pessimo segnale in riferimento all'auspicata discontinuità che il segretario del Partito Democratico Zingaretti continua a ripetere come un mantra. Un governo di più di un anno che ha visto Salvini impegnato solo nella sua guerra ai disperati senza mai cercare veramente una soluzione di continuità e che anche nella sua coda riesce a mostrare il suo lato peggiore pronto a rivenderlo nel caso in cui andasse all'opposizione. Ciò che stupisce però non è solo la solidarietà del centrosinistra che ora sembra impegnato in altro (come se salvare le vite umane sia qualcosa che ha a che fare con l'opportunità politica) ma che l'ordine di Salvini (in linea con quel Decreto Sicurezza bis che è una delle vergogne più vergognose dell'ultimo governo) sia stato controfirmato anche dalla ministra Trenta e dal ministro Toninelli come se qui fuori non sia accaduto nulla, come se la discontinuità sia una questione che si pratica solo a bocce ferme e non sia una reale caratteristica delle anime in campo. Sempre a proposito di sensibilità stupisce anche che il deputato PD Fiano si affretti a dirci che Toninelli e Trenta avrebbero "solo applicato la legge" ma che l'orientamento del Movimento 5 Stelle sarebbe "diverso". Come ci si potrebbe fidare di una sensibilità promessa è uno dei tanti punti oscuri di questo matrimonio che potrebbe avvenire: la sensazione è che sul tema dell'immigrazione ci sia una gran paura da parte di tutti di toccare i nervi scoperti dell'elettorato e il nome di Minniti al Viminale che è circolato nelle scorse ore sembra un'ulteriore conferma. Come giustamente twitta il dem Pierfrancesco Majorino: «Ma i ministri #5stelle che ostacolano le #ong e i soccorsi son quelli per cui e con cui dobbiamo fare l'accordo di governo? O fan così finchè stanno con #Salvini e poi cambiano musica? E #Conte?». È una bella domanda. Senza risposta. di Giulio Cavalli per www.fanpage.it/
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italian-malmostoso · 5 years
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«Il decreto, emesso dal Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico, porta la data del 14 settembre e ha come oggetto “il trattamento speciale delle organizzazioni internazionali e non governative nella zona libica di ricerca e salvataggio marittimo”. E’ stato inviato anche in Italia ed è un grottesco quanto pericoloso tentativo di ostacolare ancor di più l’operato delle navi umanitarie ma soprattutto di aggredirle con operazioni di polizia con la minaccia di condurle e sequestrarle nei porti libici. Un decreto che, alla vigilia della scadenza del patto tra Italia e Libia, desta ulteriori preoccupazioni anche perché alle Ong, che continuano ad operare in zona Sar libica, non è mai stato sottoposto. Ma è già, almeno sulla carta operativo. E, per assurdo che sembri, prevede che i naufraghi salvati non possano essere portati in Libia.Il decreto, che Repubblica ha consultato tradotto dall’ufficio immigrazione Arci, consta di 19 articoli ed esordisce così: “Si applicano le disposizioni del presente regolamento a tutte le organizzazioni governative e non governative impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo”. Alle Ong “interessate a collaborare nella ricerca e salvataggio marittimo” è imposto di presentare una preventiva domanda di autorizzazione alle autorità libiche a cui sono obbligate “ a fornire periodicamente tutte le informazioni necessarie, anche tecniche – relative al loro intervento.Ed ecco le condizioni che vengono imposte alle navi umanitarie: “lavorare sotto il principio di collaborazione e supporto, non bloccare le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo esercitato dalle autorità autorizzate dentro l’area e lasciare la precedenza d’intervento”. “Le Ong si limitano all’esecuzione delle istruzioni del centro e si impegnano a informarlo preventivamente su qualsiasi iniziativa anche se è considerata necessaria e urgente”.E poi gli articoli che più preoccupano le Ong perché preludono ad un intervento di tipo poliziesco e autorizzano la Guardia costiera libica a salire a bordo delle navi. “Il personale del dispositivo è autorizzato a salire a bordo delle unità marittime ad ogni richiesta e per tutto il tempo valutato necessario, per motivi legali e di sicurezza, senza compromettere l’attività umana e professionale di competenza del paese di cui la nave porta la bandiera”. L’articolo 12 è il più contraddittorio perché a fronte di una rivendicazione di coordinamento assoluto degli interventi di soccorso nella sua zona Sar, prescrive che “i naufraghi salvati dalle organizzazioni non vengono rimandati nello stato libico tranne nei rari casi eccezionali e di emergenza”. La Libia invece vuole “le barche e i motori usati”.Alle Ong è richiesto di “non mandare alcuna comunicazione o segnale di luce per facilitare l’arrivo d’imbarcazioni clandestine verso di loro.Infine le sanzioni: “ tutte le navi che violano le disposizioni del presente regolamento verranno condotte al porto libico più vicino e sequestrate. E non verrà più concessa alcuna autorizzazione”.   “Il "codice Minniti libico" per le Ong è, come quello dell’ex Ministro italiano, un atto che punta ad ostacolare e criminalizzare i salvataggi in mare - commenta Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci -Per di più è illegittimo, essendo stato emanato non da uno stato sovrano, ma da una delle parti in causa nella guerra civile in atto. Le ragioni che dovrebbero spingere verso la chiusura degli accordi con la Libia sono tali ed evidenti che chi si rifiuterà di farlo si renderà complice di questi criminali.Il "codice Minniti libico" conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, le ragioni che ci spingono a chiedere la cancellazione degli accordi con la Libia e l’azzeramento del Memorandun. Per cambiare pagina si ponga fine a questa follia e si metta subito in campo un piano straordinario di evacuazione delle persone detenute.”»
Più seri loro dei quaquaraquà nostrani.
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senzabarcode · 7 years
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Da Mario Assirelli Segretario SULPL, Polizia Locale
Da Mario Assirelli Segretario SULPL, Polizia Locale
Pubblichiamo lettera del Segretario pro tempore del sindacato di Polizia Locale SULPL, Mario Assirelli “Abbiamo pensato, nei limiti delle nostre possibilità, di tutelare il bene supremo: la vita”.
Una domenica di ottobre u.s. decidiamo di pubblicare sulla nostra pagina Facebook SULPL Nazionaleun post contenente un documento di fonte istituzionale, riguardante la necessità di intensificare la…
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soldan56 · 5 years
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Ferrajoli: «Salvini fa un uso demagogico del diritto. Il suo è populismo penale»
Il caso Sea Watch. «Il ministro sta promuovendo un abbassamento del senso morale a livello di massa. Sta ricostruendo le basi ideologiche del razzismo», intervista al filosofo del diritto
  Luigi Ferrajoli, Salvini ha sostenuto che Carola Rackete è una «pirata», dunque una «nemica dell’umanità», e per questo una «criminale». Che senso ha attribuire questa definizione a chi salva i migranti in mare per senso di dovere verso l’umanità?
Sono tutte insensatezze gravissime. Sul piano giuridico non ci sono dubbi. Carola Rackete non ha commesso nessun reato, come ha stabilito il giudice delle indagini preliminari Alessandra Vella. Ha agito nell’adempimento di un dovere: portare in salvo le persone salvate, imposto dal diritto del mare e comunque in stato di necessità. Semmai sono le autorità italiane che per 17 giorni si sono rese responsabili del reato di omissione di soccorso. Francamente è intollerabile che Salvini chiami «criminale» una persona appena prosciolta senza incorrere nel reato di ingiuria. Fatto per cui spero che Carola vorrà querelarlo. Ma, a questo punto, la questione giuridica è secondaria.
Perché?
Questi “sovranisti” stanno distruggendo l’onorabilità dell’Italia che fino a qualche anno fa si era distinta, con Mare Nostrum, per avere salvato 150 mila persone nel Mediterraneo. Oggi il loro comportamento è assolutamente illegittimo perché viola tutte le norme del diritto del mare, oltre la nostra Costituzione, e deturpa l’identità civile del nostro paese. Non è solo una violazione dei diritti fondamentali ma la distruzione dei presupposti sociali della convivenza civile. La costruzione del consenso sulla disumanità e l’immoralità ha un effetto distruttivo sulla democrazia.
Qual è la loro strategia?
Costruire la percezione degli altri come nemici solo perché stranieri, poveri e disperati. Su questa base hanno ottenuto un consenso di massa per le politiche securitarie. Tutto questo in un paese che è tra i più sicuri al mondo. Nel 2017 gli omicidi sono stati 357, di cui ben 123, purtroppo, femminicidi dei quali la politica neppure parla. Gli omicidi erano circa 1.500 solo nei primi anni Novanta.
Ritiene che sia solo responsabilità di questo governo?
Nient’affatto. Salvini non ha inventato nulla, ha solo proseguito le politiche contro gli immigrati e la costruzione dell’emergenza del precedente ministro Minniti e degli altri governi europei. Ci sono però gravissime differenze.
Quali sono?
Il carattere criminogeno delle leggi in tema di sicurezza. Il primo decreto sicurezza di Salvini ha soppresso di fatto il permesso di soggiorno per motivi umanitari ed espulso migliaia di richiedenti asilo e rifugiati dai centri di accoglienza. Una misura stupidamente persecutoria con la quale persone integrate sono state trasformate in persone illegali e virtualmente devianti. Senza dimenticare l’estensione dei presupposti della legittima difesa. La soppressione del requisito della proporzionalità tra difesa e offesa potrebbe portare all’aumento anche da noi del numero delle morti violente com’è accaduto negli Stati uniti.
Vede un parallelo tra il governo Conte e Trump nelle politiche sull’immigrazione?
Lo stesso Salvini non lo nasconde. La differenza con le politiche dei Minniti o dei Macron è questa: se prima in Italia la violazione dei diritti umani era occultata, ora è sbandierata come fonte del consenso. Salvini sta promuovendo un abbassamento del senso morale a livello di massa. Non si limita a interpretare la xenofobia, la alimenta. La sua politica sta ricostruendo le basi ideologiche del razzismo.
Come definisce questo uso del diritto?
È il populismo penale. Consiste nell’uso demagogico e congiunturale del diritto penale diretto ad alimentare la paura con misure tanto anti-garantiste quanto inefficaci alla prevenzione della criminalità.
I governanti di Italia, Francia e Germania dovrebbero essere perseguiti per avere deciso di sacrificare la vita dei migranti in difficoltà nel Mediterraneo. Lo ha sostenuto un rapporto legale depositato alla Corte penale internazionale che parla di 40 mila vittime di reati di competenza del tribunale negli ultimi tre anni. Lei ha definito questi atti «crimini di sistema». Che cosa sono?
I crimini di sistema sono violazioni massicce del diritto internazionale e dei diritti fondamentali. Non sono reati perché non sono imputabili alla responsabilità di singole persone, ma a interi sistemi economici e politici. Ciò non toglie che siano violazioni gravissime dei diritti stabiliti in tutte le carte costituzionali e internazionali. Sono politiche criminali, che provocano ogni anno decine di migliaia di morti, oltre all’apartheid mondiale di due miliardi di persone. Verrà un giorno in cui questi atti saranno ricordati come crimini, e non potremo dire non sapevamo, perché sappiamo tutto. Dei campi di concentramento in Libia, dei naufragi, della fuga causata dai cambiamenti climatici, dalla fame e dalle crisi economiche prodotte dalle politiche del capitalismo di rapina.
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radheidiloveme · 6 years
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Chi ha letto il ‘decreto sicurezza’ racconta cose allarmanti: o è anticostituzionale, o il governo afferma di aver preso provvedimenti che in realtà non esistono nel decreto. Fuori dalla legalità (come al solito) o bugiardi ( come al solito)? L’atmosfera politica, confermata da enti internazionali e da istituzioni tecniche competenti, assomiglia a quella di un bar di provincia dove sono entrati dei teppistelli bocciati in seconda media. Intanto i vecchi, seduti a giocare a carte, continuano a giocare. Con la pretesa di far dare il mazzo a Minniti, che è stato il professore di ripetizioni private dei ragazzini. Come diceva Benni, al bar sport solo se entra un cinese si accorgono della novità.
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paoloxl · 5 years
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Da diversi anni si discute sull’apertura di un centro di detenzione per il rimpatrio in Sardegna, da quando il cd. decreto Minniti-Orlando (D.l. 13/2017) aveva previsto di istituirne uno in ogni Regione.
Dopo le false partenze annunciate negli ultimi mesi, lunedì 20 gennaio 2020 è prevista l’apertura ufficiale del Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) a Macomer, il nono in Italia (otto sono già operativi, il decimo è in progetto di apertura a Milano).
In Sardegna l’apertura del Cpr ha trovato il pieno consenso politico degli amministratori regionali e locali coinvolti, presentato come strumento di deterrenza per lo sviluppo della rotta Algeria-Sardegna, attraverso la quale per lo più algerini, ma anche tunisini e libici, salpano dalla zona di Annaba per giungere sulle coste sud-occidentali dell’isola a bordo di piccole imbarcazioni.
A sostegno di tale tesi ha giocato la narrazione mediatica puntualmente orientata alla costruzione di una “emergenza sbarchi”. Sebbene dall’inizio del 2020 siano già arrivate 172 persone dall’Algeria, gli sbarchi del 2019 (circa 750) erano già in forte calo dal 2017, quando arrivarono in Sardegna quasi 2 mila persone. L’isola non è la destinazione finale per la maggior parte di loro, ma è territorio di transito, dato che vi rimangono giusto il tempo di ricevere il decreto di espulsione con accompagnamento al porto per lasciare il territorio (il cd. foglio di via). Negli anni, solo alcuni di loro sono stati trasferiti in Centri per il rimpatrio già attivi. Ma da oggi tale procedura potrebbe divenire la nuova prassi, e non solo per chi dall’Algeria giunge irregolarmente nell’isola, ma per tutti coloro che per vari motivi si trovano in condizioni di non poter rinnovare il proprio permesso di soggiorno senza aver commesso alcun reato (fattispecie molto comune ormai dopo l’entrare in vigore del primo decreto sicurezza che ha impedito il rinnovo di numerose tipologie di permesso di soggiorno) o chi, dopo avere già scontato un periodo di reclusione sarà nuovamente privato della libertà per essere identificato in vista del rimpatrio.
La struttura individuata a Macomer per essere adibita a Cpr è un ex carcere, chiuso perché non possedeva neppure i requisiti minimi previsti dalla legge per la detenzione, ma ora, dopo una prima fase di ristrutturazione sarà destinato a trattenere 50 persone e si giungerà a 100 alla conclusione dei lavori. La notizia dell’imminente apertura del Cpr è stata accompagnata dalle dichiarazioni degli amministratori locali che l’hanno accolta con favore, considerandola come occasione di sviluppo per il territorio, aggrappandosi ai pochi posti di lavoro derivanti dai servizi di cui avranno necessità le persone trattenute nel Centro e nelle possibili ricadute positive per l’arrivo delle forze dell’ordine.
Per il territorio del Marghine si tratta dell’ennesima servitù dello Stato italiano che lascia briciole nella ex zona industriale del centro Sardegna. Briciole per sfamare pochi lavoratori il cui scopo è quello di trattenere in prigione altri disperati senza un documento di soggiorno ma che combattono la stessa guerra per i diritti, la dignità e il lavoro.
Il sistema di affidamento a privati della gestione dei Centri di detenzione amministrativa per stranieri comporta il prevalere delle logiche di mercato, traducendosi nella riduzione della qualità dei servizi erogati e nella frequente violazione del rispetto dei diritti fondamentali delle persone ristrette.
In questo caso è stata la società Ors Italia, filiale del Gruppo Ors che gestisce centri per migranti in Svizzera, Austria e Germania ad aggiudicarsi l’affidamento per la gestione del Cpr di Macomer. Pare che la decisione di espandere le attività in Italia derivino dalla imminente inversione di rotta del governo austriaco che ha annunciato la chiusura del sistema degli appalti privati. La società è stata, inoltre, al centro di polemiche sulla mala accoglienza di un megacentro austriaco (gestito secondo il modello delle carceri private statunitensi: taglio dei costi e massimizzazione del profitto) ed è stata oggetto di un’inchiesta giornalistica sull’intreccio globale di politica e finanza che si cela dietro il gruppo Ors e la filiale Italiana.
Quindi, se per gli amministratori locali l’obiettivo dell’apertura del Cpr è il risveglio economico del territorio, attenzione! Perché la realtà sarà ben diversa. Infatti, queste strutture rappresentano notoriamente un pesante costo sociale ed economico per le collettività e di sofferenza per chi vi è trattenuto. Inoltre, i rappresentati della comunità macomerese dovrebbero porre l’attenzione non solo sulla sicurezza dei propri concittadini, rassicurandoli sulla natura carceraria del nuovo centro, che, quindi, manterrà in stato di reclusione le persone che vi saranno rinchiuse, ma dovrebbero invece essere consapevoli di quanto accade all’interno dei Cpr, delle continue violazioni di diritti segnalate e accertate anche dai monitoraggi istituzionali e ritenersi responsabili per quanto accadrà nel centro che hanno accettato di attivare nel proprio territorio.
A riprova dei danni prodotti ai territori, ricordiamo che la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’interno sono stati condannati per avere danneggiato l’immagine della città di Bari a causa dei “trattamenti inumani e degradanti praticati in danno dei detenuti” nel Cie (ora Cpr) di Bari e per essere rimasti inerti di fronte alle numerose segnalazioni di verifica sulle le condizioni in cui versavano le persone trattenute nel Centro, considerato non idoneo all’assistenza dello straniero e alla piena tutela della sua dignità in quanto essere umano. “Il danno all’immagine si giustifica alla luce di quella che è una normale identificazione, storicamente provata, tra luoghi ove si perpetrano violazioni dei diritti della persona e il territorio che li ospita” (Tribunale di Bari, sentenza n. 4089 del 10 agosto 2017).
Nei Cpr i cittadini stranieri irregolarmente presenti sul territorio sono reclusi in attesa dell’espulsione, misura che dovrebbe essere una eccezione, ma che invece si è trasformata in regola, tanto che da oltre 20 anni questi centri sono luoghi di privazione della libertà in cui vengono perpetrati soprusi, violenza fisica e psicologica.
Dall’apertura dei CPT (Centri di permanenza temporanea), creati dalla Legge Turco-Napolitano nel 1998, non si sono fatti passi in avanti. Tali centri hanno cambiato nome, passando da Cpt a Cie a Cpr, ma la sostanza non è cambiata. Le condizioni del trattenimento continuano a essere inumane e la loro funzione resta comunque fallimentare, visto che meno della metà delle persone trattenute sono effettivamente rimpatriate, il 43% nel 2018. Dato che conferma l’inopportunità di mantenere aperte tali strutture anche dal punto di vista dei costi economici oltre che sociali.
La Campagna LasciateCIEntrare riceve costantemente richieste di aiuto dalle persone recluse nei Cpr operativi: Torino, Palazzo San Gervasio (Potenza), Brindisi-Restinco, Bari, Trapani, Ponte Galeria (Roma), Caltanissetta, Trapani e Gradisca d’Isonzo (Gorizia), riaperto da circa une mese. Vengono segnalate violenze, abusi, trattenimento in isolamento, negazione di varie forme di assistenza, anche sanitaria e del diritto alla difesa. Alle ripetute richieste di accesso della società civile sono seguiti altrettanti rifiuti, tanto è vero che ormai è praticamente impossibile far accedere giornalisti e attivisti per accertare le condizioni all’interno de centri. La situazione è costantemente critica.
Il 18 gennaio a Gradisca d’Isonzo si verifica l’ennesima morte. Un giovane georgiano muore in seguito al pestaggio delle forze dell’ordine avvenuto all’interno del Centro, secondo quanto riportato dai compagni del centro. Una settimana prima a Caltanissetta, a Pian del Lago, si è verificata la prima morte di Cpr del 2020. Aymed, tunisino di 34 anni, trattenuto da oltre 9 mesi, è deceduto “di cause naturali” secondo il medico legale, ma secondo quanto raccontato dai testimoni, invece, Aymed non avrebbe ricevuto cure adeguate. Alla sua morte è inevitabilmente esplosa la rabbia dei compagni reclusi, fino a causare l’incendio di buona parte del centro.
Ma già in precedenza erano state segnalate le condizioni inumane in cui versava la struttura.
Il 2020 si era già aperto con le rivolte nei Cpr di Milo (Trapani) e di Torino, tentativi disperati di lotta per la libertà e per far giungere all’esterno la voce dei trattenuti.
Rabbia, rivolte, fiamme, disperazione, atti di autolesionismo, tentativi di suicidio, scioperi della fame, violenze subite e perpetrate contro sé stessi e contro l’ambiente circostante. Questa è la condizione di vita permanente all’interno dei Cpr.
Dal Cpr di Torino le proteste e gli atti di autolesionismo proseguono dallo scorso luglio dopo la morte di Faisal, trentaduenne bengalese, ma non si tratta della prima morte avvenuta nel centro in vent’anni di attività. Più volte ne è stata chiesta la chiusura.
Le carenze strutturali dei centri nonché il raddoppio dei termini di trattenimento amministrativo (ora 180 giorni) previsto dal Decreto sicurezza 1 (L. 132/2018) e l’impossibilità di un trattamento dignitoso contribuiscono a elevare i livelli di tensione, alimentando lo scoppio di proteste, puntualmente represse pesantemente dalle forze dell’ordine, cui segue ciclicamente l’inagibilità di alcune aree e, come spesso accade, se va bene, si viene trasferiti in centri di altre città, se va male, si continua a vivere nella stessa struttura stipati nelle aree “rimaste agibili”, rendendo ancora più precarie le condizioni del trattenimento. Situazione che accomuna i diversi centri.
Le varie forme di protesta si susseguono ininterrottamente in tutti i Cpr, da Torino a Caltanissetta, da Bari, a Trapani, Gradisca, Brindisi, Ponte Galeria. Anche se salgono alla ribalta mediatica solo sporadicamente, si tratta di una condizione permanente. Centinaia i casi di autolesionismo, diversi i morti, quotidiane le violenze. Non sono eventi isolati.
Sulle numerose testimonianze degli abusi viene tempestivamente inviata documentazione dettagliata al Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, che nei suoi rapporti ha segnalato le diverse criticità per lo più rimaste inascoltate.
Nel corso degli anni, lo stesso Garante ha rilevato la situazione indegna in cui si vive nei Cpr, nei quali non sono garantite neanche le condizioni di vivibilità e del rispetto dei diritti delle strutture di tipo penitenziario “classico”.
Il decreto legge 13/2017, che ha allargato la rete dei Centri per il rimpatrio prevedendo l’apertura di un Cpr in ogni regione, ne ha delineato, sulla carta, la nuova configurazione di luoghi in cui garantire il rispetto della dignità umana, ribadendo anche il ruolo di verifica del Garante − a tal proposito, in vista dell’apertura del Cpr a Macomer è importante ricordare che il Consiglio Regionale della Sardegna non ha ancora provveduto a nominare il Garante regionale, nonostante sia previsto dalla legge regionale n. 7 del 2011. Ma come ha rilevato il Garante nazionale in seguito alle visite effettuate nei Cpr, l’impegno per il rispetto dei diritti fondamentali degli individui è rimasto solo dichiarazione di principio al quale “non è seguito un reale miglioramento delle condizioni di vivibilità e/o una diversa impostazione organizzativa delle strutture”. Il Garante ha anche evidenziato che il Ministero dell’Interno non ha mostrato alcuna attenzione alle criticità rilevate nei rapporti e alle raccomandazioni formulate per il loro superamento.
Alcuni dei nodi critici segnalati dal Garante tuttora persistenti riguardano “le scadenti condizioni materiali e igieniche delle strutture, assenza di attività, mancata apertura dei Centri alla società civile organizzata, scarsa trasparenza a partire dalla mancanza di un sistema di registrazione degli eventi critici e delle loro modalità di gestione, non considerazione delle differenti posizioni giuridiche delle persone trattenute e delle diverse esigenze e vulnerabilità individuali, difficoltà nell’accesso all’informazione, assenza di una procedura di reclamo per far valere violazioni dei diritti o rappresentare istanze” (Garante nazionale, Relazione al Parlamento 2019).
Appare chiaro come, dopo oltre 20 anni di esperienza, il sistema della detenzione amministrativa per i migranti non funzioni. È di fatto un sistema irriformabile e rappresenta il fallimento di una politica migratoria totalmente sbilanciata nell’ambito securitario, incapace di gestire gli ingressi e le presenze di cittadini stranieri nel territorio italiano ed europeo nel rispetto dei diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti a ciascun individuo.
Nessun altro Cpr deve vedere la luce. Tutti i Cpr devono chiudere definitivamente.
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corallorosso · 5 years
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Gino Strada perde la pazienza: "Salvini un bullo fascista che racconta balle" Quando i grillini si presentavano come forza davvero alternativa e innovativa lo volevano presidente della Repubblica o pensavano che lui potesse avere un ruolo istituzionale.
Ora che sono sfacciatamente di destra e sono complici di tutte le nefandezze politiche di Salvini (il caso Diciotti, il decreto sicurezza, la criminalizzazione delle Ong, il legittimo omicidio) il fondatore di Emergency è considerato un nemico. Del resto Strada criticava Minniti, figuriamoci questo governo reazionario: "Basta andare dietro a Salvini, basta parlare e commentare quel vulcano di cazzate che escono da un cervello poco strutturato". 
Queste le parole che Gino Strada ha affidato all'Adnkronos commentando il fatto che il vicepremier avesse detto che dalla Libia arrivano i terroristi. 
Il fondatore di Emergency dalla sede della Giudecca ha aggiunto: "E un bulletto fascista che racconta palle da un sacco di tempo. Il problema è però anche di chi gliele pubblica e le commenta. Si potrebbe anche smettere di andargli dietro". globalist
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Migranti e promesse mancate
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Migranti e promesse mancate
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Pochi giorni fa al termine dei lavori informali dei leader del G7, il capo del governo Gentiloni ha ribadito che il memorandum con la Libia per ridurre i flussi migratori “è l’apertura di una finestra di opportunità sulla quale l’Italia lavorerà e investirà, ma è molto importante che lavori e investa anche l’Ue, e lo farà anche con risorse aggiuntive di cui hanno parlato esplicitamente Juncker e Mogherini”.
Pochi giorni fa, il Consiglio dei Ministri su proposta dei ministri Minniti e Orlando ha approvato un decreto legge che “introduce disposizioni urgenti per l’accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di protezione internazionale, per l’introduzione di misure volte ad accelerare le operazioni di identificazione dei cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea e per il contrasto dell’immigrazione illegale”. La norma prevede l’apertura di ben “14 sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea”. Tali sezioni avranno competenza relativamente a procedure come il “mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore di cittadini Ue; impugnazione del provvedimento di allontanamento nei confronti di cittadini Ue per motivi di pubblica sicurezza; riconoscimento della protezione internazionale; mancato rilascio, rinnovo o revoca del permesso di soggiorno per motivi umanitari; diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari; accertamento dello stato di apolidia”. Inoltre “si introducono misure per la semplificazione e l’efficienza delle procedure innanzi alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e di integrazione dei richiedenti, nonché per la semplificazione e l’efficienza dei procedimenti giudiziari di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e degli altri procedimenti giudiziari connessi ai fenomeni dell’immigrazione”.
A leggere questi documenti e a sentire le promesse del premier si direbbe che finalmente si stia facendo qualcosa di concreto per risolvere il problema migranti.
Un dubbio più che legittimo che non viene risolto, anzi, dopo aver letto i numeri dell’ultimo rapporto dell’UNHRC l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati e dei migranti, (del 25 gennaio scorso). A cominciare dalle dichiarazioni fatte fino ad ora. La famosa rilocalizzazione promessa nel 2015 non è stata rispettata praticamente da nessuno stato europeo (ad eccezione solo della Norvegia). I dati sono incontrovertibili: a fronte di una promessa formale di trasferire circa 100mila persone (66.400 dalla Grecia e le restanti dall’Italia) negli altri paesi europei, ad oggi sono stati trasferiti solo poco più di diecimila persone (7900 dalla Grecia pari al 12% di quanto previsto, e 2900 dall’Italia un misero 7%). Paesi come Austria, Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca non hanno “accolto” nessuno di quelli che erano giunti via terra o via mare in Grecia e in Italia. Altri paesi come la Germania, il Belgio, la Bulgaria, la Slovacchia, la Svezia e altri si sono fermati intorno al 5% di quanto avevano promesso.
E mentre i nostri governi, dopo l’ennesimo incontro internazionale, si ostinano nel credere che l’UE manterrà le promesse e accoglierà i migranti, la situazione continua a peggiorare. A dirlo sono sempre i numeri dell’UNHRC. In Italia sono quasi ormai un numero incalcolabile i migranti che sono stati accolti: solo nel 2016 ne sono stati accolti 176.554 in modo temporaneo (un eufemismo….). Quasi il venti per cento in più rispetto all’anno precedente (diversamente da quanto detto da alcuni che avevano affermato che questi flussi erano in calo).
E i problemi non mancano: mentre si continua a parlare di rifugiati e richiedenti asilo la verità è tutt’altra. Di quelli che sono giunti in Italia, sono sempre meno quelli che richiedono (e ancora meno ottengono) il riconoscimento di rifugiato politico o di profugo. Nel 2016, solo 120mila persone hanno presentato una qualsiasi domanda di accoglienza. Di queste a 18mila è stato concesso asilo, per 11mila circa è stata prevista protezione umanitaria e solo 4900, ovvero il 5% circa, ha ricevuto il riconoscimento di rifugiato (dati UNHRC). Tutti gli altri, e sono tanti, anzi tantissimi, pare non debbano rientrare nelle nuove misure introdotte dal governo.
Il motivo? Semplice come ormai sono stati costretti ad ammettere anche i più ostinati, la maggior parte dei quelli che giungono nei centri di prima accoglienza proviene da paesi in cui non è in atto nessuna guerra e nessuna persecuzione razziale. Sono semplicemente persone che provengono da aree dove è in atto una crisi prima di tutto economica ma anche ambientale e sociale (quasi sempre sono correlate tra loro) e che cercano di migrare in un altro paese dove trovare un lavoro. Molti vengono dalla Nigeria (21%), dall’Eritrea (11%), dalla Costa d’Avorio, dalla Guinea, dal Gambia (7% ciascuno), dal Senegal, dal Mali, dal Sudan, dal Bangladesh o dalla Somalia.
Ma non basta. Anche la decisione di chiedere ai richiedenti asilo di lavorare in attesa della valutazione della loro istanza potrebbe non essere una buona idea. Non solo perché utilizzare come lavoratori profughi e richiedenti asilo non sarebbe previsto dagli accordi internazionali, anzi (ma, a questo, i legislatori hanno risposto parlando di “lavori volontari”). Ma il problema è che tale norma non sarebbe attuabile in molti altri casi (oltre che ai non richiedenti asilo). Ciò che sorprende (e invece nessuno ne parla), infatti, è l’elevatissimo numero di bambini non accompagnati specie da alcuni paesi. Oltre metà dei migranti provenienti dall’Egitto, ad esempio, sono minori non accompagnati da un genitore o da un parente. Questa percentuale è alta anche per i migranti provenienti da paesi come Eritrea, Nigeria, Gambia e Somalia (circa il 20%). Mediamente di un quarto quelli che attraversano il Mediterraneo in cerca di una nuova terra sono bambini.
Un dato, questo, che richiederebbe norme ad hoc per risolvere il problema. A cominciare da strutture idonee e servizi e iniziative per consentire ai “porti di attracco” di accogliere un così elevato numero di bambini. Invece anche qui la superficialità generale regna sovrana. È facile parlare di territorio italiano: dei 176mila migranti giunti lo scorso anno, oltre 123mila persone sono sbarcate in Sicilia (dati UNHRC). E qui poco o niente è stato fatto per rendere i servizi migliori e più adeguati alle esigenze dei bambini o dei minori.
Numeri e dati che al governo centrale non sembrano interessare molto. Così come sembrano non interessare i burocrati di Bruxelles e gli altri capi di stato europei (almeno stando ai numeri). A tutti loro basterà fare una promessa, un incontro (informale o formale poco importa: basta che se ne parli sui media), per far credere che si sta facendo qualcosa. E mentre i politici italiani ed europei riempiono le prime pagine dei giornali di promesse e belle parole, la Camera libica dei rappresentanti (ovvero il Parlamento di Tobruk) ha detto che il famoso memorandum sbandierato dal governo italiano è (tanto per cambiare) da considerare nullo e non vincolante. A renderlo noto è stato un comunicato ufficiale diffuso dal sito Al Wasat, secondo cui “il consiglio presidenziale ed il suo presidente non hanno qualità giuridiche nello stato libico sulla base della Dichiarazione costituzionale”. Ma non basta nel comunicato si legge che l’Italia “tenta di sbarazzarsi dei pesi e dei pericolosi problemi provocati dall’immigrazione clandestina a livello della sicurezza, economico e sociale in cambio di un po’ di sostegno materiale che è costretta ad offrire per ridurre il numero dei migranti illegali”. Come dire siamo stufi di belle parole e di “aiutini” da parte degli italiani. Ma questo, come ormai abitudine, i leader politici hanno evitato di dirlo, sia a Malta che altrove….
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disordinedeisogni · 8 years
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Renzi, il lavoro e la Costituzione
Renzi non sapendo bene che dire suggerisce "il lavoro di cittadinanza" in quanto unica risposta costituzionalmente valida alle proposte di reddito di cittadinanza. [Disclaimer: non sono una redditista e la discussione è più lunga di un breve post.]
La questione è che Renzi che si appella all'art.1 della Costituzione è lo stesso che:
- se ne infischia di tutti gli altri diritti costituzionali a tutela dei lavoratori e del lavoro, tipo l'art. 36.
- ha approvato il Jobs Act,
- ha approvato il decreto Poletti,
- ha approvato la Naspi che è un assegno di disoccupazione che discrimina proprio chi sta peggio, chi è più precario,
- non ha smontato la riforma fornero sulle pensioni,
- ha regalato 20 miliardi dei lavoratori che pagan le tasse alle imprese,
- ha approvato una riforma delle politiche attive che è la fotocopia conmaggiore discriminazione del fallimento del decennio, cioè la Garanzia GIovani,
- non ha (insieme ai suoi sodali) nessuan idea su come si crea lavoro e di qualità e infatti:
- ha approvato alternanza scuola-lavoro in cui centinaia di migliaia di studenti vengono fatti lavoare gratis in grandi multinazionali della ristorazione, del commercio al dettaglio, a raccogliere cozze o pulire giardinetti,
- non ha un piano industriale, perché alla creazione di lavoro ci pensano le imprese, che poi sono le stesse che domandano più lavoro a voucher che con un contratto di lavoro, perché tanto la formazione, la sicurezza, i diritti previdenziali ed assistenziali non sono di loro competenza,
- ha approvato il pacchetto Minniti dove si obbligano gli immigrati al lavoro gratuito
- NON ha ancora fissato al data dei referendum sul lavoro!
- e se volete continuo.
Però per favore, il lavoro è una cosa seria, ma soprattutto se non ricominciamo a parlare di produzione, chi come quando e perché allora il diritto del lavoro rimarrà appannaggio di questo capitalismo straccione.
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soldan56 · 5 years
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"Decoro e degrado" sono entrati come termini all’interno della normativa italiana nel 2017, con il Decreto Sicurezza 14/2017 del ministro PD Marco Minniti, giustificando un’insieme di misure securitarie e repressive.Salvini le estende, dividendo la fruizione della città tra buoni e cattivi. *ricchi buoni e *poveri cattivi, ça va san dire
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paoloferrario · 7 years
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Politiche per la SICUREZZA e decreto Minniti? - da TPI
Politiche per la SICUREZZA e decreto Minniti? – da TPI
Lo scorso 12 aprile il Senato ha trasformato in legge il provvedimento sulla sicurezza urbana voluto dal ministro dell’Interno Marco Minniti. Tra le novità introdotte dalla legge figurano: la possibilità di arresto in “flagranza differita” per i reati commessi durante le manifestazioni pubbliche; maggiori poteri ai sindaci; ordinanze di allontanamento per l’occupazione delle strutture pubbliche;…
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tmnotizie · 5 years
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SAN BENEDETTO – Istituire a San Benedetto il Daspo Urbano anche alla luce degli ultimi fatti di cronaca e per dare un segnale forte contro la movida molesta. Questa la mozione presentata dal consigliere comunale di Forza Italia Valerio Pignotti.
“Prima Minniti poi a due riprese Salvini con i decreti legge sicurezza -spiefa l’espionente azzurro- hanno messo in campo lo strumento del DASPO Urbano. Molti comuni virtuosi lo stanno applicando. A San Benedetto del Tronto, nonostante la continua emergenza sicurezza, nulla si muove. Per questo ho scelto di non restare indifferente ed ho protocollato una mozione per far si che si possa fornire rapidamente anche questo strumento alle nostre forze dell’ordine. Non c’è più tempo da perdere, a difesa dei sambenedettesi perbene vanno utilizzati tutti i mezzi a disposizione”.
Questo il testo presentato da Valerio Pignotti.
Oggetto: mozione per il recepimento nel Regolamento di Polizia Municipale di San Benedetto del Tronto quanto previsto dal DL 20 febbraio 2017 n. 14, convertito con Legge 18 aprile 2017 n 48 come modifica dal DL 4 ottobre 2018 n 113 convertito con legge 1 dicembre 2018 n 132 e successive modifiche.
Premesso
che la sicurezza dei cittadini è di primaria importanza sia per questa Amministrazione che per l’intero Consiglio Comunale che con delibera C.C. N 59 ha istituito la 9° Commissione Permanente denominata “SICUREZZA” con competenza in materia di sicurezza ed ordine pubblico;
che in data 14 novembre 1970 è stato approvato con delibera di G.C. n. 197 il Regolamento di Polizia Urbana che disciplina, in conformità ai principi generali dell’ordinamento giuridico ed in armonia con le norme speciali e con le finalità dello Statuto del Comune, comportamenti ed attività comunque influenti sulla vita della comunità cittadina al fine di salvaguardare la convivenza civile, la sicurezza dei cittadini, la più ampia fruibilità dei beni comuni e di tutelare la qualità della vita e dell’ambiente;
Visto
il D.L. 20 febbraio 2017 n. 14 (c.d. Decreto Minniti), convertito con Legge 18 aprile 2017 n. 48; come modifica dal D.L. 4 ottobre 2018 n. 113 (c.d. Decreto Salvini) convertito con Legge 1 dicembre 2018 n. 132; come modificato dal D.L. 14 giugno 2019 n. 53 e convertito, con modificazioni, con Legge 8 agosto 2019 n. 77;
Considerato
che i citati Decreti trasformati in Legge hanno introdotto una serie di nuove norme in materia di sicurezza al fine di poter garantire al massimo il decoro urbano e la tutela dell’ordine pubblico;
che il c.d. “DASPO urbano” permette al Sindaco, tramite gli organi competenti, di multare ed emettere un primo ordine di allontanamento da alcune zone della città nei confronti di persone che mettono a rischio la salute dei cittadini o il decoro  urbano, aggiungendo ulteriori aree a cui si può proibire l’accesso;
Tutto ciò premesso,
si impegna il Sindaco e la Giunta
a recepire nel citato regolamento di Polizia Urbana quanto previsto dal  D.L. 20 febbraio 2017 n. 14 (c.d. Decreto Minniti), convertito con Legge 18 aprile 2017 n. 48; come modifica dal D.L. 4 ottobre 2018 n. 113 (c.d. Decreto Salvini) convertito con Legge 1 dicembre 2018 n. 132; come modificato dal D.L. 14 giugno 2019 n. 53 e convertito, con modificazioni, con Legge 8 agosto 2019 n. 77 ed in particolar modo l’istituzione del c.d. DASPO urbano;
a formulare una proposta per l’individuazione delle zone di applicazione dello stesso da poter discutere in Commissione Sicurezza e poi approvarlo con propria delibera in Consiglio Comunale.
Si impegna altresì ad approvare tale recepimento prima e non oltre il 31.12 del presente anno.
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calabriawebtvcom · 6 years
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Accoglienza e integrazione, prima e dopo il Decreto sicurezza se n’è discusso a Soverato
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Accoglienza e integrazione, prima e dopo il Decreto sicurezza se n’è discusso a Soverato
“Sul tema dell’accoglienza e dell’integrazione c’è bisogno di discutere e ascoltare. Una discussione che sia propositiva, senza posizioni preconcette. Piuttosto serve un dialogo imperniato sulla disponibilità a venirsi incontro, a cambiare posizione, a trovare una mediazione”. E’ stata l’assessore regionale al Lavoro e Welfare Angela Robbe a tirare le somme di un lungo incontro-dibattito, articolato, vivace a tratti acceso in un crescendo di interrogativi, dubbi, ma anche auspici e speranze con l’intento di coniugare umanità e sicurezza, svolto ieri mattina al teatro comunale di Soverato sul tema “Accoglienza e integrazione, prima e dopo il decreto sicurezza”. L’iniziativa è stata organizzata dal Comune di Soverato, guidato dal sindaco Ernesto Alecci, ed in particolare dall’assessore alle Politiche sociali Sara Fazzari, alla presenza di numerosi studenti dell’Istituto alberghiero e dell’Istituto ‘Maria Ausiliatrice’. Al dibattito, concluso dall’assessore Robbe e moderato dal giornalista Francesco Pungitore, hanno partecipato il sindaco Ernesto Alecci, i parlamentari Wanda Ferro e Antonio Viscomi; i consiglieri regionali Arturo Bova e Sinibaldo Esposito, il segretario provinciale della Lega Antonio Chiefalo. Assente il Movimento Cinque Stelle, poiché il deputato Pino D’Ippolito invitato dagli organizzatori non ha partecipato. L’assessore Fazzari ha rimarcato che l’intento dell’amministrazione comunale è stato quello di promuovere un confronto aperto sul tema “per offrire soprattutto ai giovani, un quadro articolato, oltre le retorica e le mistificazioni, su questo fenomeno complesso per tentare di separare i luoghi comuni dalla realtà. Quando parliamo di Immigrazione – dice ancora Sara Fazzari – non dobbiamo mai perdere di vista quello che è il valore umano, una realtà fatta di uomini, donne e bambini, di 49 migranti in mari per giorni: parliamo sempre di rispetto dei diritti umani”. Il sindaco di Soverato, Ernesto Alecci, rivolgendosi agli studenti ha voluto ricordare che “i flussi migratori sono sempre esistiti: gli uomini migravano per trovare più pascoli o zone più sicure, spostarsi era naturale allora come oggi, alla ricerca di maggiori opportunità. Il nostro Paese ha fallito perché non è riuscito a gestire i flussi migratori facendo incrociare le richieste di chi arriva con le esigenze di chi accoglie”. Alecci ha anche richiamato il fatto che in Italia lavorano circa un milione di persone tra colf e bandanti che si prendono cura dei residenti di un Paese sempre più vecchio. “Accoglienza e integrazione si coniugano se riusciamo a lavorare in due direzioni – dice ancora Alecci – dobbiamo far condurre una vita normale ai migranti che arrivano e nello stesso tempo sostenere i Paesi di provenienza per aiutarli a progredire”. Questo significa, quindi, incrociare domanda e offerta. Fermo restando che l’Italia ha bisogno dei migranti: “Il nostro è un Paese dove il tasso di natalità è crollato, questo significa che la forza lavoro è destinata a diminuire, il sistema pensionistico rischia di saltare se il numero dei lavoratori non è sufficiente. Il sistema Paese viene definito ‘bara’ proprio per la figura che richiama il rapporto di crescita tra lavoratori e pensionati”. Siamo in una piena emergenza che doveva essere pianificata venti anni fa, poiché i segnali di urgenza non erano mancati. All’avvocato Vincenzo Vaiti è toccato approfondire l��aspetto legislativo, vale a dire come si arriva dal testo unico dell’immigrazione del 1998, che disciplinava il fenomeno prima del decreto Minniti-Orlando del 2017, al decreto sicurezza varato a ottobre 2018 e convertito in legge a dicembre, senza tralasciare il fondamento di ogni disciplina in materia quell’articolo 10 della Costituzione, e il cuore del principio: “Lo straniero al quale sia impedito l’esercizio delle garanzie democratiche deve essere tutelato, cosa che il decreto non garantisce. Così come non si calcolano le conseguenze negative determinate dalla chiusura dei Centri di accoglienza straordinaria che lascerà senza lavoro circa 40 mila operatori”. Secondo l’avvocato Vaiti il decreto sicurezza ha dei profili di incostituzionalità proprio perché regolamenta una materia come i flussi migratori – che con Minniti erano diminuiti – con un decreto privo dei requisiti della necessità e dell’urgenza che giustificherebbero tale strumento normativo. Coinvolgenti le testimonianze di Pino De Lucia, presidente della cooperativa Agorà e dell’imprenditrice Sonila Alushi. “L’accoglienza è concretezza. Quando abbiamo iniziato eravamo semplici cittadini che si davano da fare, anche solo portando la spesa. Ci chiamano buonisti – racconta De Lucia – invece siamo quelli che hanno fatto una scelta di vita, dalla parte dei più deboli, che oggi sono gli immigrati, prima del 1998 erano i tossicodipendenti, specie in una città come Crotone. Noi aiutiamo le persone: quando arrivano da noi non chiediamo il documento, al di là delle ideologie, chi lascerebbe morire un bambino in mare? Il mondo del terzo settore – sostiene – oggi è fatto dai partigiani del sociale”. Sonila racconta di essere arrivata in Italia per studiare grazie ad un zio che è arrivato su un barcone. Uno zio arrivato clandestino e rimasto come italiano, come bravissimo elettricista perfettamente integrato nella sua comunità. “Clandestino molto spesso diventa sinonimo di criminale, e questo è un limite per la nostra integrazione. E ogni volta che riceviamo un no questo diventa un limite che grava su chi arriva e su chi accoglie, e crea insicurezza negli autoctoni. L’esclusione crea rancore – spiega Sonila – e il rancore crea problemi, come la criminalità e il terrorismo, la vera integrazione porta ad essere tutti uguali nei diritti, ma liberi di essere diversi”. I migranti producono 130 miliardi di euro l’anno, il 9 per cento del Pil: “Se il flusso migratorio viene gestito come si deve i migranti sono una risorsa, quindi mi capito necessità di parlare dell’immigrazione. La mia storia non è l’unica, è la stessa di milioni di noi, e la stessa che hanno vissuto milioni di italiani. L’Italia rimane uno dei paesi più sensibili e accoglienti, l’animo italiano deve essere salvato”. E ai ragazzi chiede di non prendere le distanze dalla politica, anzi: la politica significa scegliere per il meglio, per il bene della comunità. “Immagino che in questo contesto la posizione di Fratelli d’Italia rispetto alle novità in materia di immigrazione introdotte dal decreto sicurezza sia la più impopolare, la meno politicamente corretta – dice la deputata Wanda Ferro, neo commissario provinciale di Fratelli d’Italia a Catanzaro -. Ma io penso che si debba combattere una vera e propria battaglia di civiltà contro l’ipocrisia di chi agita strumentalmente il tema del razzismo in un Paese che è invece civile ed accogliente. Razzista non è chi vuole il controllo dei flussi migratori, ma chi in questi decenni ha favorito la partenza dei barconi della morte e chi ha speculato e si è arricchito sulla pelle dei migranti. Ritengo che siano il mancato controllo dei flussi migratori e la cattiva accoglienza ad ostacolare una positiva integrazione e generare diffidenza e deprecabili fenomeni di intolleranza. Noi di Fratelli d’Italia abbiamo contestato il decreto sicurezza, ritenendolo ancora poco efficace e coraggioso. Ma certamente rappresenta un piccolo passo avanti rispetto a ciò che c’era prima, perché si muove nella direzione di migliorare la sicurezza dei cittadini: ricordo che questo è stato uno dei punti cardine del programma con cui il centrodestra si è presentato agli elettori ottenendo la maggioranza dei consensi. Abbiamo giudicato il decreto insufficiente, incompleto, ma perfettamente in linea con le posizioni poco chiare di un governo che per settimane si è smarrito davanti alla possibilità di formare il Global Compact, un documento scellerato che avrebbe costretto l’Italia a rinunciare ad ogni sovranità sui propri confini e ad ogni diritto a gestire e limitare i flussi migratori”. “Quello che è successo a Torre Melissa, il grande esempio di accoglienza a cui abbiamo assistito ci ha riconciliato con la nostra umanità – afferma Antonio Viscomi –. Di fronte questi fenomeni il rischio è di ragionare troppo, mettere insieme cuore, pancia e testa. Il Decreto sicurezza ci spinge a ragionare solo con la pancia. Wanda Ferro ha parlato di blocco navale, cuore strappato, mafia nigeriana, dando una manifestazione negativa del fenomeno. Dall’altro lato c’è Sonila che ci racconta come i suoi parenti sono diventati imprenditori e Pino che lavorare nel sociale dimostrando che non è business. Dobbiamo decidere cosa fare del futuro: non ragioniamo per avere un voto in più ma che tipo di paese dobbiamo costruire”. Secondo Viscomi prima di tutto è necessario “distinguere, perché quando parliamo di immigrazione mettiamo insieme l’immigrazione economica con quella umanitaria”. Si continua a parlare di sicurezza, che secondo Viscomi il decreto Salvini non garantisce: e qual è il termine medio tra accoglienza e sicurezza? “Coesione sociale, c’è sicurezza quando c’è il senso della comunità, e il modo per dare coesione è prendere consapevolezza dei problemi”. E’ anche il modello di scegliere tra i modelli di accoglienza-integrazione da attuare: da un lato c’è la tendopoli di San Ferdinando, dall’altro Riace, Camini, Stigliano, “eliminando il modello Sprar abbiamo eliminato un modello di integrazione. Quello che dobbiamo garantire con il diritto migrare riconosciuto dalla Costituzione è il diritto alla felicità”. “L’accoglienza per noi calabresi è la normalità. Se nel caso di Torre Melissa arriva un plauso – dice il consigliere Baldo Esposito – allora c’è un problema. La mediazione da garantire è quella tra il diritto degli uomini e l’equilibrio di chi governa, non si può parlare di buoni e di cattivi su questo tema, dobbiamo partire dal senso di insicurezza che viene sentito anche in queste zone. Il decreto sicurezza può essere affrontato dal punto di vista ideologico o tecnico, ma purtroppo prevale il primo”. Esposito rimarca che il Decreto sicurezza garantisce il diritto alla protezione internazionale e il permesso per motivi umanitari è stato circoscritto, così come la protezione speciale salvaguarda i diritti inalienabili di chi mette piede in Italia, tipo tutela di diritto alla saluta, gli Sprar funzionano per un numero minore. Quindi “non è vero che si abbandona il migrante che arriva”. Quello che manca è un maggiore finanziamento per l’integrazione e una moderazione politica con paesi di provenienza. Bisogna abbassare i toni, dice ancora: “Tenetevi lontano dalla politica che litiga e che in questo modo ha creato l’antipolitica”. Il Decreto sicurezza, per il presidente della Commissione regionale antimafia è una “mortificazione anche dalla tradizione legislativa italiana, si distrugge lo spirito della vecchia Europa che tanto ha insegnato con valori e principi che hanno fatto scuola, oggi ci state relegando nella barbarie del diritto. Se avessimo approvato lo ius soli, questo non sarebbe successo. I Cinquestelle parlavano di democrazia, invece arriviamo a legiferare in un argomento così importante attraverso un decreto”. “La Costituzione parla anche di lavoro, non solo del diritto di migrare e di lavoro non si è parlato affatto in questa tavola rotonda – ha esordito il coordinatore provinciale della Lega Lino Chiefalo -. In questo momento cerchiamo di tamponare i danni creati dal governo della sinistra. Il Decreto Salvini è una necessità nata dal fatto che ci sono state politiche migratorie gestite male”. La cosa importante per Chiefalo è “dare la possibilità ai giovani di scegliere se restare o partire. E piuttosto che concentrarsi sul decreto che non mette in discussione i flussi migratori, sarebbe meglio canalizzare la nostra forza contro tutte le mafie. Il Paese che voglio – conclude Chiefalo – è quello dei giovani, nessuno è contro dell’immigrazione, ma all’interno di controlli”. “Sul tema dell’accoglienza e dell’integrazione c’è bisogno di discutere e ascoltare – ha concluso l’assessore Robbe -. Una discussione che sia propositiva, senza posizioni preconcette. Piuttosto serve un dialogo imperniato sulla disponibilità a venirsi incontro, a cambiare posizione, a trovare una mediazione”. “Solo il dialogo – ritiene l’assessore regionale al Lavoro – può portarci a trovare soluzioni per chi è accolto e per chi accoglie, l’atteggiamento da tenere è quello dell’accortezza dei Padri Costituenti”. “A fronte di un problema così complesso, non si possono dare risposte semplificate: è necessario il contributo di tutti, non sono possibili soluzioni con la testa di una o poche persone. Questa è una grande responsabilità per chi ha un ruolo soprattutto in Parlamento – dice ancora la Robbe -. Il fine della politica è trovare un momento di sintesi”. Sul tema dell’accoglienza “la Calabria può dare una lezione: nel 2009 il consiglio regionale calabrese ha varato all’unanimità la prima legge in Italia che non parla di Cas, Sprar e sicurezza ma di accoglienza. Una legge equilibrata che tiene conto di tutte le esigenze, quelle di chi è accolto e quelle di chi accoglie. Abbiamo il dovere non solo di fare leggi e provvedimenti, ma di portare avanti il dialogo per arrivare a quelle soluzioni anche educando al confronto per il raggiungimento di alcuni obiettivi, perché è lo Stato che fa la qualità dell’uomo, come diceva Platone”.
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salvo-love · 6 years
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E' "insensata" per Bruno Vespa la rivolta dei sindaci. Matteo Salvini, scrive il direttore di Porta a Porta nel suo editoriale su il Giorno, "aveva già vinto la sua battaglia riducendo a 22mila gli sbarchi nel 2018 contro i 119mila del 2017, limitati anche grazie alla cura Minniti rispetto ai 181mila del 2016", per questo "l'attacco di alcuni sindaci è tanto più sorprendente perché il famigerato decreto sicurezza si limita ad evitare che il permesso di soggiorno per i richiedenti consenta l'iscrizione anagrafica, pur costituendo documento di riconoscimento". Iscrizione anagrafica, sottolinea Vespa, "significa rilascio della carta d'identità che ha valore decennale. Quale persona di buonsenso può immaginare il rilascio di un documento di permanenza definitiva a persone che in gran parte si vedranno bocciata la richiesta di asilo?".
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Forse, spiega, "i cittadini non sanno è che il mancato rilascio dell'iscrizione anagrafica non impedisce agli immigrati di ricevere i servizi essenziali: servizio sanitario nazionale, scuola per i figli, accesso al lavoro se dopo sessanta giorni dalla presentazione della domanda di asilo la pratica non si è esaurita". Il vero dramma è un altro: "Su 40mila persone che negli ultimi anni si son viste riconoscere il diritto di asilo, solo 3200 hanno trovato un lavoro".
E Luigi Di Maio che inizilamente ha sposato la linea dura del ministro dell'Interno, ora ha cambiato idea visto che "insieme con il premier Conte si è detto disponibile ad ospitare donne e bambini a bordo della Sea Watch", "scontrandosi duramente con Salvini, ma coprendosi con la sinistra interna. Noi italiani abbiamo il cuore grande, ma poi saranno gli uomini a raggiungere le loro donne in Italia (e questo sarebbe un precedente scivoloso) o le donne a raggiungere gli uomini chissà dove?".
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