#dare un giudizio
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mutamentocostante · 9 months ago
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Le dimensioni contano x te
se dovessi rispondere seriamente a questa domanda, nonostante io non porti un certo cont nel mio blog proprio perché non è questo il mio obbiettivo di discorso da affrontare, direi in principio che per me non è una cosa "rilevante", poi penso che esprimersi al riguardo sarebbe solo un giudizio in quanto parti del nostro corpo che non possono essere da noi modificate a nostro piacimento, come ad esempio l'altezza; poi ovviamente si possono esprimere preferenze, questo ovviamente non significa che qualcosa di differente non possa non piacere. (questo in tutti i contesti, tranne se si parla di librerie, quelle sempre grandi.)
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tqngled · 1 year ago
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Domande.
Come ti chiami
Percentuale batteria del telefono?
Ti piace leggere?
Ti piace scrivere?
Cosa che tutti amano fare ma a te non piace?
Cosa tutti odiano fare ma tu ami?
Hai amicizie a distanza?
Hai tanti amici?
Hai mai letto libri in inglese?
Guardi mai film in inglese?
Pratichi qualche sport?
Se no, che sport ti piacerebbe?
A casa hai il calendario dell'avvento?
Ami fare le foto?
Ami farti le foto?
Hai tanti amici, o sei più una persona solitaria?
Ti piace cucinare?
Sei ordinat* o meno?
Che cellulare hai?
Hai mai scritto una lettera?
Pregi e difetti del posto in cui vivi?
Vivi lì da tutta la vita?
Che lavoro fai?
Ti piace il tuo lavoro?
Se non ti piace, quale vorresti fare?
Frequenti l'università?
Se studi all'università cosa studi?
Hai conoscenti all'estero?
Hai mai pensato di lasciare il tuo paese/città?
Cosa ne pensi della frase "gli amici sono una seconda famiglia?"
Che rapporto hai con la tua famiglia?
Guardi mai film in streaming?
Ti reputi una persona tecnologica?
Preferisci thè o caffè
Preferisci dolce o salato?
Preferisci fare allenamenti a casa o in palestra?
Stagione preferita?
Cosa diresti a te stess* di 10 anni fa?
Vai spesso in discoteca?
Ti hanno mai ricoverato in ospedale?
Descrivi il tuo stile d'abbigliamento abituale.
Colore preferito?
Di che colore è la tua camera da letto?
Descrivi la tua camera da letto
Parli ancora con le stesse persone che hai conosciuto 5 anni fa?
Perché hai deciso di aprire un blog di Tumblr?
Da quanto tempo hai Tumblr?
Come sei venut* a conoscenza di questo social?
Ti reputi una persona molto social?
Sei fidanzat*
Se non sei fidanzat* quali caratteristiche la tua persona del cuore dovrebbe assolutamente avere?
Film Disney preferito?
Preferisci comprare online o in negozio?
Quale regalo di Natale vorresti ricevere?
Sei molto unit* alla tua famiglia?
Vivi nella regione in cui sei nat*
Cosa ami di più delle festività natalizie?
Cosa odi di più delle festività natalizie?
Cibo che tutti amano, ma tu odi?
Cibo che tutti odiano ma tu ami?
Vorresti dei figli?
Se si, che nomi daresti a loro?
Hai animali?
Se si, come si chiamano?
Se non possiedi animali, li vorresti?
Numero fortunato?
Hai qualche brutto vizio?
Cosa ami di te stess*
Cosa odi di te stess*
Programma preferito?
Serie TV preferita?
Hai un paese/nazione nel cuore?
Intraprenderesti mai un viaggio da sol*?
Un gioco che hai sempre voluto da piccol* e che poi è finalmente arrivato?
C'è una lingua straniera che vorresti assolutamente imparare?
Ascolti molto i consigli degli altri?
Ti piacciono i giochi da tavolo?
Come trascorri la giornata di natale?
Vivi da sol*
Sito che visiti più spesso durante la giornata.
Che effetto ha su di te il giudizio altrui?
Hai degli hobby?
Esci tutti i sabati sera?
Ultimo posto in cui sei andat* in vacanza?
Ultima volta che sei andat* al cinema? Che film hai visto?
Pesce o carne?
Segui una dieta particolare?
Senti di avere difetti particolari?
Fai amicizia subito con le persone?
Ti piacciono le leggende?
Paese che hai sempre voluto vedere?
Hai i buchi alle orecchie?
Hai tatuaggi?
Se si, hai in programma di farne altri?
Canzone preferita?
Consiglia 4 canzoni
Consiglia 4 film
Consiglia 4 serie TV
Dove pensi incontrerai l'amore della tua vita?
Sei sposat*
Sei mai stat* in campeggio?
Film che tutti amano ma tu non capisci perché?
Film che tutti odiano e ma tu non capisci perché?
Hai mai fatto un falò?
Festeggerai Capodanno?
Hai dei buoni propositi per il nuovo anno?
Hai mai inviato un SMS alla persona sbagliata?
Sei brav* a dare consigli?
Sai dipingere?
Qualcosa che hai sempre voluto fare, ma che non hai mai fatto per paura?
La tua più grande paura?
La tua più grande passione?
Porti gli occhiali o le lenti a contatto?
Porti l'apparecchio ai denti?
Descrivi la tua casa dei sogni
Hai mai pensato di aprire un canale YouTube?
Oggetto che ti ricorda la tua infanzia?
Cibo che ti ricorda la tua infanzia?
Ultimo messaggio inviato?
Ultimo messaggio ricevuto?
Cosa stai facendo adesso?
Cosa stai aspettando adesso?
Ti piace il sushi?
Un piatto tipico della tua regione?
Che ore sono adesso?
Vivi in una regione dove c'è il mare?
La tua colazione tipo?
Ti piace stare in pigiama a casa?
Usi pantofole o calzini a casa?
Hai un animo infantile?
Ti senti soddisfatt* di ciò che hai ottenuto dalla vita fino a ora?
Che cosa cambieresti della tua vita ora?
Che cosa diresti al te adolescente?
@tqngled (Mar 12.12.23 h 01:00)
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worldofdarkmoods · 23 days ago
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Mi disturba profondamente l’ignoranza, ma non quella che riguarda i libri mai letti, i film mai visti o i viaggi mai fatti. Quella non mi interessa. Mi infastidisce un’altra forma di ignoranza, più silenziosa ma altrettanto tagliente: quella di chi si sente in diritto di giudicare senza sapere, di chi parla come se conoscesse ogni sfumatura della mia vita, ogni ferita che porto addosso, ogni lacrima che ho nascosto.
È strano come certe persone si sentano autorizzate a costruire castelli di parole su fondamenta fatte di niente. Non sanno nulla delle notti insonni, dei giorni in cui anche alzarmi dal letto era una battaglia. Non sanno dei silenzi che mi hanno consumata dall’interno, delle volte in cui ho urlato nel vuoto senza che nessuno sentisse. Eppure parlano. Parlano come se fossero stati lì, come se avessero vissuto ogni passo, ogni caduta, ogni risalita.
C’è qualcosa di crudele in tutto questo, non trovi? Come se le persone ignorassero il fatto che dietro ogni volto c’è un’intera vita, un groviglio di esperienze, di dolori, di gioie rubate. Come se pensassero che ciò che vedono basti per capire, per giudicare, per dare sentenze.
Non sopporto questa leggerezza. La leggerezza con cui qualcuno può dire: “Ma perché sei così?” senza sapere quanto sia costato diventare così. Non sanno nulla delle fratture che ho cercato di ricomporre, dei pezzi che ho incollato insieme, anche se non combaciavano più. Eppure si permettono il lusso di puntare il dito, di mettere etichette che mi stanno strette, di cucirmi addosso storie che non sono le mie.
Ci sono persone che non si fermano mai a chiedersi cosa ci sia dietro. Guardano una superficie e si convincono che sia tutto lì, che non ci sia profondità, che non ci siano abissi nascosti sotto quel mare apparentemente calmo. Ma non sanno che ci sono stati giorni in cui quel mare era una tempesta, in cui non c’era un solo pezzo di me che non fosse in frantumi.
E la cosa peggiore? Non è solo il giudizio. È che questo giudizio arriva da chi non ha mai avuto il coraggio di tendermi una mano, di chiedere: “Come stai davvero?” Preferiscono costruire storie nella loro testa, perché è più facile così. È più comodo immaginarmi come vogliono loro, piuttosto che fare lo sforzo di vedermi per quella che sono veramente.
Ma io sono stanca. Stanca di difendermi, di spiegarmi, di giustificarmi. Non devo a nessuno il racconto delle mie battaglie. Non devo a nessuno la lista delle mie cicatrici. Se qualcuno vuole capire, deve avere la pazienza di guardare oltre, di ascoltare senza parlare, di accettare che non tutto può essere compreso con un’occhiata superficiale.
E sai cosa c’è di peggio? Quando queste persone riescono a farti dubitare di te stessa. Quando inizi a chiederti se forse hanno ragione, se forse sei tu a sbagliare, se forse la tua vita, con tutto il suo peso, non vale quanto quella degli altri. È un veleno lento, quello delle loro parole. Ma io ho deciso che non lo lascerò più entrare.
Perché la verità è questa: non importa quanto qualcuno cerchi di parlare al posto tuo, di riscrivere la tua storia con le loro parole. La tua storia è tua, e nessuno potrà mai capirla fino in fondo. Nessuno conosce il peso che hai portato, i passi che hai fatto, le decisioni che hai preso per arrivare dove sei ora.
E allora, sai cosa ho deciso? Ho deciso di non dare più potere a chi parla senza sapere. Perché le loro parole sono solo eco vuote, prive di significato. Non possono toccarmi, non possono ferirmi, non possono definirmi.
Forse non posso fermare l’ignoranza. Forse non posso impedire che la gente parli. Ma posso scegliere di non ascoltare, di non lasciare che le loro parole diventino il mio specchio. Posso scegliere di proteggere la mia verità, di custodirla come qualcosa di prezioso, qualcosa che appartiene solo a me.
E se qualcuno vuole davvero capire, dovrà avere il coraggio di chiedere, di ascoltare, di guardarmi negli occhi senza giudizio. Perché non ho bisogno di chi parla senza sapere. Ho bisogno di chi sa stare in silenzio e, in quel silenzio, mi accetta per quella che sono.
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un-mei-no-akai-ito · 6 months ago
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Flusso di pensieri.
Vorrei solo dare una svolta alla mia vita.
Vorrei riuscire a capire cosa fare, come proseguire in questa vita.
Mi piacerebbe avere le giornate super piene.
Avere la possibilità di uscire fuori regione, ed esplorare posti nuovi.
Non avere paura del giudizio e di sguardi altrui, ma essere serena fuori casa, dopo tanto tempo.
Vorrei imparare a fare cose nuove, vivere emozioni nuove, conoscere gente nuova, senza aver paura dei giudizi.
Vorrei essere una persona diversa, andare in un posto dove nessuno mi conosce, dove nessuno mi trova diversa, perché alla fine poi, non sono così tanto.
Vorrei perdermi dentro le viuzze di una città sconosciuta, fino ad arrivare davanti ad una libreria.
Vorrei prendere la metro come tutti gli altri e viaggiare, senza una destinazione ben precisa.
Vorrei esplorare senza fermarmi mai.
Vorrei sconvolgere totalmente la mia vita. Ma non posso farlo. Psicologicamente, mentalmente e fisicamente.
@un-mei-no-akai-ito // (Gio 15.08.24 h 00:21)// @un-mei-no-akai-ito
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susieporta · 6 months ago
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La mancanza d'amore genera sempre una mancanza d'essere.
Quando non siamo amati, o non ci sentiamo amati, abbiamo la netta percezione di non valere nulla. Soprattutto se questo accade quando siamo piccoli con i nostri genitori.
Se l'altro ci ama, se soddisfa le nostre aspettative di essere riconosciuti, di ricevere affetto, cure, gratificazioni, noi ci sentiamo visti.
Sentendoci visti, ci riflettiamo nei suoi occhi come in uno specchio, nel quale vediamo, finalmente, noi stessi.
È l'atteggiamento di cura, di amore, di interesse da parte dell'altro importante nei nostri confronti, a creare in noi la convinzione di essere qualcosa.
Qualcosa che è degno di essere amato.
Il valore che ci viene dato dall'altro, ci incoraggia a dare valore a noi stessi, e a considerarci come delle persone che hanno il diritto di esistere.
E proprio grazie a questa convinzione, che viene rinforzata attraverso l'atteggiamento dell'altro e mediante le interazioni tra noi e lui, che noi creiamo in noi stessi una nostra identità.
Il nostro io.
Se tutto questo viene a mancare, oppure risulta zoppicante, intermittente, o ambiguo; se l'amore dell'altro e il valore di cui ci investe risultano a corrente alternata, noi cominciamo a dubitare di noi stessi.
Avviene nel nostro intimo, nella nostra interiorità, quello che Claudio Naranjo chiama obnubilamento dell'essere.
Questa perdita del nostro essere, intesa come vuoto d'essere, non può essere messa da parte.
Da adulti, infatti, proviamo questo vuoto d'essere che ci spinge ad una ricerca spesso drammatica, tormentata e angosciante.
Potremmo dire che tutta la nostra esistenza si avvita di continuo all'interno di un labirinto invisibile rappresentato da questa assenza.
Il nostro stesso carattere non è altro che una formazione reattiva compulsiva, drammatica e spesso inconsapevole, alla mancanza del nostro essere o alle parti mancanti di esso, che sentiamo come tormento diffuso e indefinito nella nostra anima.
Ora, il problema è che noi andiamo a cercare la conferma di queste nostre parti mancanti, o del nostro essere stesso, servendoci di aspetti fallaci, maschere comportamentali e illusioni cognitive, che in qualche modo possono ricostruire in noi, anche attraverso il feedback degli altri, un'immagine compensatoria di quella presenza d'essere che, a qualche livello, sentiamo mancarci.
Alcuni lo fanno attraverso il perfezionismo perché in questo modo ottengono un qualche tipo di riconoscimento, dagli altri e da loro stessi.
Altri lo fanno attraverso il servire indefessamente le altre persone, fino allo sfinimento.
Altri ancora attraverso il dominio, il controllo, la rabbia esplosiva o implosiva.
Altri ancora attraverso il senso di colpa, il giudizio di sé, il vittimismo, il tutto ricoperto dalla patinata vernice rinforzante della virtù morale.
Questi atteggiamenti sono tutte modalità compensative attraverso le quali noi cerchiamo il nostro essere laddove non c'è.
E più lo cerchiamo attraverso queste modalità compensative, più ce ne allontaniamo.
Il trucco è comprendere che dietro alle nostre paure, mancanze e bisogni esistenziali negati, si nasconde quell'essere che tanto cerchiamo all'interno di comportamenti stereotipati, di formalità vuote e di astrazioni.
Se ne sta acquattato nel vuoto, pronto a farsi scoprire e al tempo stesso a lasciarsi costruire da noi, se ci dedichiamo a noi stessi con amore, gratitudine e semplicità.
Il nostro essere, come un seme cui viene data la possibilità di germogliare se piantato nel terreno giusto, emergerà da sé.
Dobbiamo solo avere fiducia nella potenza realizzativa della vita stessa.
©Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
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beautymaleform2 · 23 days ago
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Censura
La rappresentazione artistica del nudo ha oscillato più volte nella storia dell'arte dal permissivismo e dalla tolleranza di quelle civiltà e culture che lo vedevano come qualcosa di assolutamente naturale, perfino incoraggiandolo in quanto ideale di bellezza (questo nell'antichità greca) fino al rifiuto e al divieto emesso dalle culture più moraliste e puritane, giungendo fino alla persecuzione e distruzione delle opere incriminate.
In particolare, il cristianesimo è una religione che non ha mai permesso facilmente la rappresentazione del corpo umano nudo, fatta eccezione per quelle immagini di contenuto più fortemente religioso e giustificate da un intento teologico, come nei casi di Adamo ed Eva o della crocifissione di Gesù, o ancora la rappresentazione delle anime dannate sofferenti nel profondo dell'inferno.
Con la rivalutazione della cultura classica ed un ritorno all'antropocentrismo nell'arte avvenuto durante il Rinascimento, giustificato da motivi sia allegorici che mitologici, si è avuta una netta contrapposizione con la Chiesa la quale ne ha rigettato in toto il pensiero: il Concilio di Trento (1563), che ha attuato tutte le teorizzazioni della Controriforma, ha postulato un ruolo di primo piano da dare all'arte come mezzo di diffusione dell'educazione religiosa, vincolandola inoltre alla rigorosa interpretazione delle Sacre Scritture, dando al contempo al clero il compito di controllare la corretta osservanza dei precetti cattolici da parte degli artisti.
La nudità nel mondo cattolico cominciò così a venire sempre più censurata. Un chiaro esempio di ciò è l'ordine dato dal Papa Paolo IV nel 1559 a Daniele da Volterra di coprire con dei pantaloni le parti intime delle figure del Giudizio universale michelangiolesco della Cappella Sistina; il Volterra per questo fatto è stato da allora in poi chiamato "il braghettone".
Tumblr media
Fuente del Genio Catalán (1856) a Barcellona. Le donne andavano in processione davanti alla statua per ammirarne la bellezza delle forme, scrive un cronista. Il vescovo locale pertanto pensò bene di sottoporla a evirazione e farla coprire con una specie di perizoma: solo nel 1980 il panno è stato rimosso esponendone così i genitali mutilati.
Poco dopo un altro papa, Pio V, affidò lo stesso compito a Girolamo da Fano ma, non contento del risultato ottenuto, a Clemente VIII nacque il desiderio di rimuovere completamente la vernice dall'intera Volta della Cappella Sistina: fortunatamente per la storia dell'arte venne dissuaso dal far ciò dai membri dell'accademia nazionale di San Luca.
Da allora in poi si sono viste ricoprire accuratamente le nudità di numerose opere d'arte, con tessuti pregiati o col disegno del vitigno, la pianta con cui Adamo ed Eva si sono nascosti i genitali per la vergogna a seguito del peccato originale. Un altro esempio di rifiuto del nudo nell'arte è stato quello in principio subito dalla famosa stata del David: appena fu installata in piazza della Signoria subì un tentativo di lapidazione pubblica, prima di conquistarsi il pieno affetto dei fiorentini.
Esempi di censura e persecuzione di nudi artistici abbondano in tutta la recente storia dell'arte occidentale; nel XVIII secolo Luigi di Borbone-Orléans (soprannominato il pio) aggredì con un coltello il quadro rappresentante Leda con il cigno di Correggio in quanto considerato troppo sfrenato e lascivo. La testa di Leda, irrimediabilmente distrutta, venne ridipinta solo in seguito.
Il regime inquisitorio ha toccato anche un artista come Francisco Goya, che venne denunciato al Sant'Uffizio per la sua "Maja desnuda"; il quadro arrivò ad essere sequestrato dal tribunale nel 1814 quando l'inquisizione spagnola lo definì osceno. L'assoluzione dell'artista giunse grazie all'intervento provvidenziale del cardinale spagnolo Luis María de Borbón y Vallabriga[51][52][53]; tuttavia l'opera rimase fuori dagli occhi del pubblico fino all'inizio del '900.
Nella seconda metà dell'800 l'artista statunitense Thomas Eakins si è visto respinto dalla Pennsylvania Academy of Arts di Filadelfia per aver introdotto nella pratica accademica lo studio del nudo preso dal naturale. In Belgio ancora nel 1865 Victor Lagye fu incaricato dei coprire le figure di Adamo ed Eva dal trittico mistico presente nella Cattedrale di San Bavone a Gand. Per finire in Gran Bretagna, su espressa richiesta della Regina Vittoria venne applicata un'enorme foglia di fico per coprire il sesso di una replica del David di Michelangelo a tutt'oggi conservata al Victoria and Albert Museum.
Anche nel XX secolo vi sono stati numerosi casi di censura e attacchi al nudo artistico; nel 1914 una suffragetta inglese di nome Mary Richardson aggredì a colpi di mannaia la Venere Rokeby di Diego Velázquez accusandola d'offrire un'immagine distorta della donna, considerata come mero oggetto di sensualità: il vandalismo provocò sette profondi tagli, causando i danni maggiori nella zona delle spalle della figura, ma riparati con successo dal restauratore capo della National Gallery Helmut Ruhemann. La Richardson è stata condannata a sei mesi di carcere, il massimo consentito per la distruzione di un'opera d'arte.
Nel 1917 la polizia fece chiudere una mostra di Amedeo Modigliani nella galleria Berthe Weill il giorno medesimo dell'inaugurazione per aver esposto nudità che mostravano il pelo pubico.
Nel 1927, durante la dittatura di Miguel Primo de Rivera (1923-30), vi è stata una grande polemica sul posizionamento delle varie sculture di nudi in Plaça de Catalunya a Barcellona durante le opere di ristrutturazione per l'Expo 1929; mentre nel 1931 (durante la Seconda Repubblica) si svolse un'esposizione di nudo organizzata dal Cercle Artístic de Sant Lluc alla quale parteciparono i migliori artisti provenienti da tutta la Spagna.
Ancora in pieno XXI secolo, anche se solitamente il nudo viene visto in modo naturale dalla maggior parte della popolazione, si sono verificati casi di censura artistica: nel 2001 il procuratore generale degli Stati Uniti John Ashcroft ha ordinato di nascondere la statua intitolata "Spirito di Giustizia" che presiede la sala delle conferenze del dipartimento di giustizia di Washington, la sua colpa era quella di mostrare i seni nudi.
Nel 2008 vennero ritirati dalla metropolitana di Londra i cartelloni pubblicitari che riproducevano una Venere nuda dipinta da Lucas Cranach il Vecchio; serviva per annunciare una mostra sul pittore rinascimentale tedesco presso la Royal Academy: la motivazione è stata che "potrebbe ferire e offendere la sensibilità degli utenti della metropolitana."
Sempre nel 2008 l'allora premier italiano Silvio Berlusconi ha imposto di far coprire le mammelle nude mostrate nell'allegoria de La Verità svelata dal Tempo di Giambattista Tiepolo, in quanto era l'immagine centrale della sala delle conferenze stampa date dal governo ed appariva sullo sfondo delle apparizioni televisive del capo del governo, proprio a lato della sua testa.
5/n
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kon-igi · 1 year ago
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VITTIMA DEL MATRIARCATO
Dovevano essere i primi anni ottanta e credo di essere stato in quinta elementare o al massimo in prima media, quando un pomeriggio di Agosto in spiaggia a Viareggio mentre tra amici guardavamo una partita di calcetto tra nuvole di sabbia, qualcuno vicino a me indicò una ragazza in bikini bianco, di uno o due anni più grande di noi e mi chiese a bruciapelo 'Quella lì te la tromberesti?'.
Io rimasi un po' spiazzato dalla domanda ma visto che si trattava di una risposta per forza dicotomica e comunque dell'argomento sapevo giusto giusto le basi teoriche, ovviamente risposi di sì.
Il tipo (che non era proprio un amico ma piuttosto una di quelle conoscenze estive estemporanee) sghignazzò e in men che non si dica si avvicinò alla suddetta ragazzina e indicandomi le disse qualcosa a bassa voce.
Dobbiamo dire che allora (come ora) io per le cose mondane non ero certo il più sveglio della cucciolata e quindi non riuscii a collegare quanto avevo detto al tipo poco prima con l'espressione furiosa e sconvolta della ragazza, che con le lacrime agli occhi corse verso il gruppo dei genitori sotto gli ombrelloni, tra cui c'era anche mia madre.
Dovevano essere le tre del pomeriggio ma io posso ancora ricordare che a un certo punto era sera (c'era la mezza luna in cielo) e mia madre non smetteva ancora di urlarmi contro PER LA COSA SCHIFOSA CHE AVEVO DETTO A QUELLA RAGAZZA E CHE MI DOVEVO VERGOGNARE PERCHÉ LEI DI SICURO DI VERGOGNAVA DI AVERE UN FIGLIO COSÌ.
Quando mio padre rientrò a casa ricominciò tutto da capo ma in stereo, con lui a braccia conserte che scuoteva la testa e mi diceva che ERO STATO UNA GROSSA DELUSIONE E CHE QUELLA RAGAZZA AVREBBE SOFFERTO MENO SE LE AVESSI DATO UN PUGNO NELLO STOMACO.
La cosa strana è che non provai nemmeno a difendermi spiegando che in realtà non le avevo detto proprio nulla... ho accettato il fatto di essere stato beccato mentre ballavo il tip tap in un campo minato e il giorno dopo continuai a fare quello che facevo fino al giorno prima ma diffidando di più della gente che faceva le domande stupide.
Vedete, il fatto è che io sono stato cresciuto in un ambiente familiare davvero molto aperto e inclusivo, dove c'era poco spazio per il giudizio frettoloso verso il diverso, il fragile e l'emarginato, quindi quell'episodio più che ingiusto mi parve strano... davvero c'era gente che andava in giro a dire alle donne che le voleva trombare? Ma dov'erano i genitori di queste persone?
E più tardi capii che erano proprio loro a dire queste cose e i figli semplicemente imparavano.
E ne ho conosciuto davvero tanti di figli così (che, per inciso, sono i genitori di oggi da cui altri figli imparano) e a volte non c'è nemmeno stata una responsabilità genitoriale diretta nell'aver insegnato loro certi comportamenti... a volte basta non dare peso, sorridere a certe battute e derubricare certi comportamenti a scherzi presi troppo sul serio.
Perché poi, alla fine, è sempre questione di saper stare allo scherzo, no?
E fatevela 'na bella risata invece di stare sempre a pensare a cose macabre tipo che una donna viene uccisa ogni quattro giorni!
No?
No.
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kyda · 18 days ago
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ho finito il primo libro dell'anno (con le pagine attentamente razionate per assicurarmi di avere il secondo di sevenwaters già in casa prima di finire il primo)!! ma che momenti di tormento spirituale quando finisco un libro e non so se dargli 4★ o 5★ e devo chiamare a raccolta tutte le mie forze e tutta la mia concentrazione per fare i giusti calcoli e dare il giusto giudizio mentre scrivo su notion cosa penso
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angelap3 · 10 months ago
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Chi liberò veramente l’Italia
25 aprile liberazione
Si può celebrare in tanti modi la Liberazione dell’Italia nel 1945 ma ci sono dati, numeri e vite che non si possono smentire e che sono la base necessaria e oggettiva per dare una giusta dimensione storica all’evento. Dunque, per la Liberazione dell’Italia morirono nel nostro Paese circa 90mila soldati americani, sepolti in 42 cimiteri su suolo italiano, da Udine a Siracusa. Secondo i dati dell’Anpi, l’associazione dei partigiani, furono 6882 i partigiani morti in combattimento.
Ricavo questi dati da una monumentale ricerca storica, in undici volumi raccolti in cofanetto, dedicata a La liberazione alleata d’Italia 1943-45 (Pensa ed.), basata sui Report of Operations di diversi reggimenti statunitensi, gli articoli del settimanale Yank dell’esercito americano e i reportage dell’Associated press. E naturalmente la ricerca storica vera e propria. Più un’ampia documentazione fotografica. L’autore è lo storico salentino Gianni Donno, già ordinario di Storia contemporanea, che ha analizzato i Reports of Operations in originale, mandatigli (a pagamento) da Golden Arrow Military Research, scannerizzati dall’originale custodito negli Archivi nel Pentagono. L’opera ha una doppia, autorevole prefazione di Piero Craveri e di Giampiero Berti e prende le mosse dallo sbarco di Salerno.
Secondo Donno, non certo di simpatie fasciste, il censimento dell’Anpi è “molto discutibile” ma già quei numeri ufficiali rendono le esatte proporzioni dei contributi. Facciamo la comparazione numerica: per ogni partigiano caduto in armi ci furono almeno 13 soldati americani caduti per liberare l’Italia. Senza considerare i dispersi americani che, insieme ai feriti, furono circa 200mila. E il conto risuona in modo ancora più stridente se si comparano i 120mila militari tedeschi caduti in Italia, soprattutto nelle grandi battaglie (Cassino, Anzio e Nettuno) contro gli Alleati e sepolti in gran parte in quattro cimiteri italiani.
Naturalmente, diverso è parlare di vittime italiane della guerra civile, fascisti e no, di cui esiste un’ampia documentazione, da Giorgio Pisanò a Giampaolo Pansa, per citare le ricerche più scomode e famose. Ma non sto parlando di fascismo e guerra civile, bensì di Liberazione d’Italia, ovvero di chi ha effettivamente liberato l’Italia dai tedeschi o se preferite dai “nazifascisti”.
Pur avendo un giudizio storico molto diverso dalla vulgata ufficiale e istituzionale, confesso una cosa: avrei voluto dire il contrario, che l’Italia fu liberata dalla Resistenza, dalla lotta di liberazione, dall’insurrezione popolare degli italiani contro l’invasore. Avrei preferito, da italiana, dire che furono loro a battere i tedeschi, fino a sgominarli, come suggerisce la narrazione ufficiale e permanente del nostro Paese. Ma non è così; e se non bastassero i giudizi storici, la conoscenza di eventi e battaglie, le sottaciute testimonianze della gente, bastano quei numeri, quella sproporzione così evidente di morti, di caduti sul campo per confermarlo. Furono gli alleati angloamericani, sul campo, a battere i tedeschi; senza considerare il ruolo decisivo che ebbero i bombardamenti aerei degli alleati sulle nostre città stremate e sulle popolazioni civili per piegare l’Italia e separarla dal nefasto alleato tedesco. Si può aggiungere che la liberazione d’Italia sarebbe avvenuta con ogni probabilità anche senza l’apporto dei partigiani; mentre l’inverso, dati alla mano, è impensabile. Dunque la Resistenza può conservare un forte significato sul piano simbolico e si possono narrare singoli episodi, imprese e protagonisti meritevoli di essere ricordati; ma sul piano storico non si può davvero sostenere, alla luce dei fatti e dei numeri, che fu la Resistenza a liberare l’Italia. Nella migliore delle ipotesi è mito di fondazione, pedagogia di massa, retorica di Stato. Il mito della resistenza di cui scrisse uno storico operaista di sinistra radicale come Romolo Gobbi.
Per essere precisi, la Liberazione non si concluse il 25 aprile a Milano come narra l’apologetica resistenziale, ma l’ultima, aspra battaglia tra alleati e tedeschi, sostiene Donno, si combatté nel comune di San Pietro in Cerro, nel piacentino, tra il 27 e 28 aprile. A San Pietro c’era anche il regista americano John Huston, inviato col grado di Capitano, a girare docufilm. Ma i filmati erano così duri che gli Alti comandi americani decisero di non diffonderli fra le truppe se non in versione edulcorata.
Sulle lapidi dei cimiteri di guerra disseminati tra Siracusa e Udine, censiti da Massimo Coltronari, ci sono nomi di soldati e ufficiali hawaiani, australiani, neozelandesi, perfino maori, indiani e nepalesi, francesi e marocchini, polacchi, greci, anche qualche italiano del Corpo italiano di liberazione, e poi brasiliani, belgi, militi della brigata ebraica; ma la stragrande maggioranza sono americani, caduti sul suolo italiano. Molti erano di origine italiana: si chiamavano Ferrante, Lovascio, Gualtieri, Rivera, Valvo, Pizzo, Mancuso, Capano, Quercio, Colantuonio, Barrolato, Barone…
“È stata e continua ad essere – dice Donno – una grande opera di mascheramento della “verità” quando non di falsificazione… i miei volumi hanno l’ambizione di rompere questa cortina di latta (che, ammaccata dappertutto, tuttora sopravvive nella discarica del tempo) facendo emergere dati e fatti oscurati ed ignorati”. Naturalmente possono divergere i giudizi tra chi considera gli alleati come benefattori e liberatori, chi come occupanti e nuovi invasori; chi avrebbe preferito che fossero stati i sovietici a liberarci; e chi si limita a considerarli combattenti, soldati in guerra e non eroi, soccorritori o invasori. La memorialistica sulla liberazione d’Italia minimizza e trascura l’apporto americano; invece, sottolinea Craveri, è evidente che furono loro i protagonisti della liberazione d’Italia.
La verità, vi prego, sull’onore.
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succhinoallapesca · 3 months ago
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Nessuno ne parla ma quando soffri di depressione ti sono concesso solo due ruoli: la vittima o l'eroe. Caso 1, sei costretto a subire sfighe più grandi di te, la vita è proprio ingiusta, per cui meriti la compassione altrui. Caso 2, nonostante la grandezza delle sfighe riesci a tenere duro, magari anche a rialzarti, e oltre che la compassione hai il bonus ammirazione: sei "quellx che vince la malattia", perché tanto le cose le normalizziamo ma sempre e comunque col nostro caro sguardo individualista.
Comunque il punto è che invece le emozioni cattive non sono concesse. Le vittime sono innocenti, gli eroi mossi da valori puri. Se provi emozioni cattive torni ad essere un malato mentale nel senso sporco del termine, agli occhi della società non meriti più quella compassione e quel diritto alla cura. Ti sei macchiato, sei uscito dal ruolo, se non rientri per bene nella casella il problema sei sicuramente tu.
A me questa cosa sta sul cazzo. Io sto male e le mie ferite bruciano ancora di più quando provo invidia. E ne provo. Invidia per la mia coinquilina che ha un rapporto con sua madre e una serenità nello stare con lei di cui non ho mai goduto con nessun membro della mia famiglia, saperlo è un conto ma vederlo brucia, appunto. Invidia per chi ha problemi meno gravi, sì, ed ha gli strumenti per comunque dare ad essi lo spazio che meritano e mette al centro il suo malessere, perché è cresciuto avendo almeno qualcuno che desse un minimo di importanza al modo in cui stava. Invidia per mi chi parla di un aspetto doloroso della sua vita come se fosse enorme, e io da una parte mi ritrovo ad empatizzare, ma al tempo stesso ho almeno dieci problemi della stessa portata, anche senza via d'uscita, e nessunx disposto nemmeno a vedere che esistono. Invidia e rabbia per chi ha tutto, soffre come un cane e trova preoccupazioni e mano tese dalla sua famiglia o da altri. Sentire dire "non so perché mi ero ridotta a star così male, io avevo tutto, compresa una famiglia che mi amava e si è subito attivata per aiutarmi e ha sofferto per me" è doloroso. E la rabbia si scatena quando sai che se questi "privilegi non materiali" non li hai, nonostante tanti bei discorsi a te andrà sempre peggio, perché non avrai una rete né tante possibilità quante ne incontrano queste persone.
Io non voglio dire che queste persone non si meritino aiuto e compassione, anzi. Non sostengo affatto la regola del "fatti da parte perché c'è chi sta peggio" , per principio e per esperienza: mi ha danneggiata tanto ed è tra le cose che mi hanno portata così in basso. Ma voglio il diritto di provare e nominare tutte le emozioni, pure quelle squalificate dal giudizio morale. Quelle considerate infantili, inadeguate, cattive. Perché esistono e fanno un male tremendo.
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stregamorganablog · 11 months ago
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"Una strega non... .
Una strega non si inginocchia davanti agli dei, ma cammina fianco a loro.
Una strega non implora gli dei di favori, ma chiede di dare forza e discernimento per conquistare i suoi obiettivi.
Una strega non crede nel peccato, è libera e appartiene solo a se stessa.
Una strega non dorme, viaggia verso altri piani.
Una strega non si vergogna del suo corpo, anzi questo è il suo tempio e non esiste nulla di più sacro.
Una strega non giudica, anzi accoglie gli esclusi e difende la minoranza, poiché conosce il dolore della fiamma del giudizio.
Una strega non nasconde i suoi sentimenti, lei vive ognuno con intensità e impara a dominarli per il proprio bene.
Una strega non sa cosa sia una via di mezzo, è un vulcano calmo, ma al punto da esplodere, se ne avesse bisogno.
Una strega non rinnega mai la sua arte, è orgogliosa di essere diversa, di sentire diversa e di vedere il mondo diverso.
E nel caso ti adatti a una di queste caratteristiche, la strega che abita in me, saluta la strega che vive in te! " - Renan Ryan
Fonte Witch Clubhouse
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libero-de-mente · 3 months ago
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Spesso si ha un problema nella propria vita, a volte anche più di uno. Quello che potrebbe aiutarci è l'avere a fianco una persona, un'anima che vuole aiutarci nel risolvere questi problemi. Non a condannarci come spesso accade, per farci sprofondare. Questo avviene quando una persona con noi vuole condividere, comprendendo la solitudine che spesso una persona può avere nell'affrontare i problemi della vita.
Diversamente si è soli. La solitudine, alla lunga, accende il bisogno primario di avere qualcuno che ci ascolti. Anche se si vive in una società di "sordi". Quelli peggiori, quelli che non vogliono ascoltare.
Un "io ci sono per te" può essere uno dei doni più belli che si possa avere.
Anche quando la tua nomea non è la migliore. Ecco, questo è un punto fondamentale che fa la differenza. Quella che ci sta tra chi crede nel giudizio altrui e chi, invece, vuole conoscere veramente una persona. Così da comprendere se la cattiva reputazione è reale oppure una calunnia. Sapendo che oggi il principio secondo cui una persona è innocente, fino a prova contraria, è stato sostituito dall'opinione certa di colpevolezza.
Ci sono momenti della vita, poi, in cui le certezze crollano. Come quelle che si hanno su se stessi. Ecco allora l'importanza di avere vicino qualcuno che aiuti a ritrovare se stessi. A comprendersi e a non perdere il lume della ragione. Altrimenti si può passare per pazzi, per deboli o per degli incapaci.
Avere dei sogni nel cassetto, voler realizzare un'idea. Immaginate se, nel voler intraprendere una nuova strada, non fossimo soli. Se al nostro fianco ci fosse qualcuno disposto a seguirci e, importante, a fare parte del sogno. I progetti di vita condivisi credo siano quelli più appaganti. Perché a ogni traguardo raggiunto ci si può fermare per abbracciarsi.
Una persona così al proprio fianco, però, necessita a sua volta di un aiuto. Quello di non fargli passare mai la voglia di restare al nostro fianco. Anzi, di rendere questa persona sempre grata della condivisione e del ritorno che può avere da noi.
Perché tutto quello che di buono si può ricevere da una persona, gli va restituito con tutta la nostra anima. Do ut des: io do (a te) perché tu dia (a me). Diversamente de nihilo nihilum, con il nulla non si fa nulla. Può sembrare cinico e speculativo, vero, ma credetemi, per esperienza personale, quando vi dico che dopo tanto dare senza niente chiedere ti svuoti. Rimanendo senza energie.
Nessuno è perfetto, d'accordo, per questo secondo me bisogna imparare ad accettare alcune imperfezioni, a comprenderle e a conoscerne la natura. Già l'ammettere i propri difetti è un passo importante per agevolare chi ci sta vicino, perché spesso quelli definiti "difetti" in realtà sono delle fragilità. Le fragilità vanno rafforzate e protette, così che non si vedano e percepiscano più.
Così si imparerà davvero ad amarci e amare.
P.S. tranquilli, questi pensieri mi capitano una o due volte all'anno. Siete salvi per quest'anno.
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ilcercatoredicolori · 4 months ago
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Le donne devono sentirsi libere, a tutte le età, di vivere la passione. Per questo nella mia serie Tv ho esposto il corpo senza filtri: non ho voluto Photoshop, penso di poter essere un veicolo per il pubblico femminile e un’apripista per le colleghe cinquantenni a cui si chiede sempre di avere il viso da trentenni. Interpreto Gabriella, proprietaria di un albergo sulla costiera amalfitana, che incontra Elia (Giacomo Gianniotti) e riscopre la passione e il sesso. I figli, preoccupati che sia un approfittatore, provano a farla interdire. La trama è popolare, poggia sugli archetipi: i figli, la famiglia, il benessere. Lei è madre e nonna, ma in questo nucleo è la scheggia impazzita e fa esplodere tutto. Si libera del giudizio, non le interessa lo sguardo altrui. I figli invece restano ingabbiati da quello che pensano gli altri. Mi piacerebbe che le ragazze, anche le mie figlie, vedessero che una donna può prendersi quello che vuole. Si può dare il proprio viso, il proprio corpo, a un racconto. Per me anche nella vita è così: la prima è stata la Magnani. Non è una questione di rughe, è imporre la propria faccia, il proprio modo di recitare, unico e inimitabile. Sulle scene intime nessuna disinvoltura, anzi ho provato un certo imbarazzo quando ho dovuto mostrare la mia bellezza sfiorita rispetto a quella che il pubblico conosceva. Il coraggio l’ho trovato nel mestiere, è giusto alzare l’asticella per tutte le donne: devono essere quello che sono realmente. A 60 anni non hai il corpo di una di trenta, ma può suscitare desiderio. Io volevo mostrare la stessa intensità passionale, anche con l’umiliazione e l’imbarazzo. Se stai con un uomo giovane esiste: c’è il mio corpo e c’è il suo. Le donne cambiano. Prima hanno le mestruazioni, fanno i figli, poi c’è la menopausa. Diventano adulte e a un certo punto tutto si ferma. Ma chi l’ha detto? Non è così. Le donne hanno desideri, e si sa, l’amore è pericoloso. Monica Guerritore 
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non-essere-cattivo · 5 months ago
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penso alla persona che l’altro giorno mi ha scritto che sono come una delle tante “lesbiche” che ha trovato uno e ha lasciato la ragazza. non so come le persone possano usare determinate parole per descrivere dinamiche o situazioni a loro completamente estranee. non è tanto il contenuto, è proprio il gesto, il modo. credere di poter avere un giudizio ed esplicitarlo. la scelta di lasciare qualcuno può essere dolorosa o rassegnata, può essere straziante o liberatoria, può essere tante cose e magari esserlo contemporaneamente anche se cozzano fra di loro ma non spetta agli altri trarre le conclusioni, così come non spetta agli altri scriverla dall’inizio alla fine. gli altri se invitati possono essere spettatori, silenziosi o meno se viene chiesto loro di esprimere un’opinione. un’opinione è diversa da un giudizio e non ci vuole un genio per capirlo, a due parole diverse corrispondono due significati diversi. non c’è alcuna superiorità nel dare un’opinione, quando si tratta di giudicare si. qualsiasi sia la mia storia, nello specifico in questo caso la fine della mia relazione non spetta a un estraneo raccontarla.
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canesenzafissadimora · 10 days ago
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La cultura non è avere un cervello pieno di date, nomi o cifre, è la qualità del giudizio, l’esigenza logica, l'appetito per la prova, la nozione della complessità delle cose e della difficoltà dei problemi. È l'abitudine al dubbio, il discernimento nella diffidenza, la modestia di opinione, la pazienza nell’ignorare, la certezza che non avremo mai tutta la verità. È avere una mente ferma senza che diventi rigida, è essere armati contro la vacuità e anche contro la falsa precisione, è rifiutare i fanatismi, persino quelli fondati sulla ragione, è diffidare dei dogmatismi ufficiali ma senza dare retta ai ciarlatani, è venerare il genio senza fare di lui un dio, è preferire sempre ciò che è a ciò che noi vorremmo che fosse.
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bibliotecasanvalentino · 11 days ago
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Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: Sellerio
Buona lettura a tutti!
UNA GIURIA DI SOLE DONNE di Susan Glaspell
Durante la mia ultima visita a Più Libri Più Liberi, la fiera romana della piccola e media editoria indipendente, “Una giuria di sole donne”, della scrittrice americana Susan Glaspell, ha subito attratto la mia attenzione per la bellezza della copertina e per l’eloquenza del titolo. Dopo aver letto la sinossi non ho potuto fare a meno di acquistarlo.
Ambientato in una piccola contea dell’America rurale d’inizio Novecento, il libro appartiene al genere del racconto poliziesco, e si presenta come un vero e proprio enigma della camera chiusa. All'interno di una fattoria viene rinvenuto il cadavere di un uomo morto nel proprio letto con una corda al collo.
Il procuratore distrettuale e lo sceriffo hanno già arrestato l’unica sospettata: la moglie della vittima, che sostiene di non essersi accorta di nulla. Tuttavia mancano le prove, gli indizi e il movente, e gli inquirenti sono costretti a tornare di mattina presto sul luogo del delitto per ricostruirne la dinamica con l’aiuto di un testimone: il primo a scoprire il cadavere e a dare l’allarme.
I tre uomini si recano sul posto in compagnia di due donne, la signora Peters, moglie dello sceriffo e la signora Hale, moglie del testimone, le vere protagoniste del racconto, il cui unico compito è quello di prendere gli effetti personali della donna arrestata da portare in prigione.
Gli investigatori esperti svolgono il loro lavoro con molta professionalità, ma non vengono a capo di nulla, mentre le due signore, caratterizzate da un acuto spirito di osservazione e da una profonda empatia, riescono a cogliere gli indizi che sfuggono ai loro mariti, incapaci di intrepretare quei piccoli segnali, quelle inezie, che sono parte integrante del mondo femminile.
Compiuta l’indagine, le due signore assumono anche il ruolo di giudici e amministrano la giustizia secondo il loro personalissimo metro di giudizio.
COSA MI È PIACIUTO
Ho amato moltissimo “Una giuria di sole donne” per l’approfondimento psicologico con cui l’autrice delinea il carattere delle due protagoniste e per il modo in cui fa riferimento alla vita dura e difficile delle donne, mogli di contadini, in alcune zone impervie degli Stati Uniti, dove bisogna imparare a fare a meno delle più piccole comodità.
COSA NON MI È PIACIUTO
Come sempre quando un libro mi piace enormemente, mi trovo in difficoltà a evidenziarne gli aspetti negativi. Sinceramente, in questo caso, non ne ho trovato nessuno.
L’AUTRICE
Susan Glaspell (Davenport, 1876-Pro-vincetown, 1948), scrittrice, considerata la più importante autrice drammatica americana del Novecento (Premio Pulitzer per il teatro nel 1931), impresaria teatrale, è stata una pioniera del femminismo.
LA CASA EDITRICE
La Sellerio è nata nel 1969 a Palermo da Elvira Giorgianni e suo marito Enzo Sellerio su ispirazione di Leonardo Sciascia e dell’antropologo Antonino Buttitta. La casa editrice ottiene visibilità nazionale (e internazionale) con la pubblicazione nel 1978 de L'affaire Moro di Sciascia. Cresce il numero delle collane, a cominciare da La Memoria, oggi simbolo della produzione selleriana. Fra gli scrittori che hanno collaborato con la casa editrice: Gesualdo Bufalino, lanciato nel 1981, vincitore del Premio Campiello e del Premio Strega, e Andrea Camilleri ("padre" della serie TV Montalbano).
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