#dai ci sono voluti solo 15 anni
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After 15 years I drew him again 😅🎉
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2010
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#dai ci sono voluti solo 15 anni#in these 15 years Oda hasn't finished drawing One piece yet🤣🤣🤣#akimao#my art#one piece#sketch#killer#kid pirates#digital painting#art#illustration#massacre soldier killer
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(English version below) => PRE-ORDER "Emisferi" digiCD at https://shorturl.at/chryG
EVA CAN'T: che il viaggio abbia inizio!
Ci sono voluti 5 anni di duro lavoro, 4 diversi studi di registrazione, innumerevoli ore a provare e limare quanto partorito in termini musicali e lirici, ma alla fine "Emisferi", quinto e nuovo album degli EVA CAN'T, in uscita il 20 Settembre, si avvia ad essere una incredibile realtà. Ne parliamo con Simone Lanzoni, chitarrista e cantante della band che meglio di ogni altro può permetterci di entrare nell'universo unico e poetico della band bolognese e del loro nuovo album "Emisferi".
1. Ciao ragazzi. Partiamo da dove eravamo rimasti, ovvero dall'uscita dell'EP "Febbraio" del 2019 dopo l'album "Gravatum". Sono passati ben 5 anni che hanno visto la band impegnata sia sul fronte live ma soprattutto negli ultimi tempi alla realizzazione di questo concept album "Emisferi" che vi ha particolarmente impegnato. Parlaci un po' del modo in cui vi siete approcciati alla composizione di questo nuovo album.
Il tutto è partito dall’idea di strutturare l'album come una somma di quattro parti differenti nello stile, ma che fossero comunque i quattro aspetti che caratterizzano il nostro percorso artistico (progressive, metal estremo, musica acustica e post rock strumentale); questo ci ha obbligati a focalizzarci su una sezione alla volta portando a casa composizione e poi registrazione di ciascuna. Solo alla fine abbiamo potuto guardare il lavoro nella sua interezza e completare la produzione. Dal punto di vista compositivo è stata quindi una sfida perché ci ha permesso di vedere l'album come una serie di quattro mini dischi che dovevano però avere una conseguenza ed un senso comune.
2. Come abbiamo anticipato "Emisferi" è un concept album che parla di un viaggio non solo fisico. Vogliamo entrare nelle pieghe di questo concept?
Il tema centrale è quello della solitudine e del viaggio, partire alla ricerca di qualcosa senza la certezza di trovarla attraverso un mondo disabitato, morente e bellissimo. Come solitamente accade nella scrittura dei nostri testi i piani di lettura sono diversi e amiamo lasciare che siano gli ascoltatori a trovare la loro strada.
3. Una delle particolarità di "Emisferi" è il fatto di essere stato registrato in località e studi di registrazione diversi, quasi a dare ad ogni singolo capitolo dell'album una sua identità anche sonora oltre che concettuale. Perché questa scelta?
La scelta è legata proprio al concept del disco: due emisferi, ciascuno con la propria parte di acqua e terra. Le quattro parti dovevano essere caratterizzate non solo da un concept stilistico di scrittura diversificato ma anche di registrazione. La grande difficoltà è stata la fase di post-produzione: oltre al grande numero di brani, il bisogno di dare un senso unico a canzoni che erano state registrare in anni e luoghi diversi con strumentazione e approcci diversi ha richiesto sicuramente un grande sforzo.
4. Ascoltando l'intero album si ha quasi la sensazione di essere parte di questo viaggio. Le atmosfere, le dinamiche, le pause, i tratti anche lirici dell'album ti portano a viaggiare con la band e ciò porta l'ascoltatore a conoscere meglio anche il mondo degli EVA CAN'T. Cosa mi puoi dire a tale proposito?
Sicuramente il nostro suono, che ha avuto un percorso preciso durato oltre 15 anni, ha sempre messo in primo piano l’esigenza di ricercare una maggiore emotività possibile nella musica (a discapito di eccessivi tecnicismi) il tutto supportato dalla lingua italiana che ha una sua identità artistica e che senza dubbio, per chi la comprende, porta un forte impatto comunicativo.
5. Da sempre, fin dai loro esordi, vedo gli EVA CAN'T come una personificazione del concetto di precisione e complessità, nel senso che tutto viene trattato sia a livello musicale che a livello lirico senza lasciare nulla al caso, con una cura dei singoli dettagli a volte davvero maniacale. È un qualcosa che nasce spontaneamente nelle vostre composizioni o è un qualcosa che vi eravate preposti fin dall'inizio?
Abbiamo sempre cercato di migliorare la nostra proposta e noi stessi, come la maggior parte di chi fa arte siamo costantemente insoddisfatti e questa è senza dubbio la molla che ci ha sempre permesso di rimetterci in gioco cercando di alzare volta per volta l’asticella; diciamo quindi che ci si propone sempre il massimo impegno ma ci si accorge ogni volta che la strada rimane sempre interminabile.
6. Senza ombra di dubbi "Emisferi" è il vostro lavoro più complesso. Si passa dal Metal estremo, al Progressive, dal Post Metal a tratti Folk e Rock, ma alla fine ciò che convince di più è l'omogeneità del lavoro. Quale emozione provate oggi che il lavoro è stato ultimato ed è pronto ad essere accolto, e quindi valutato, dai vostri fan?
Estremamente emozionante perché rappresenta il completamento di un percorso lungo e che in molti momenti ci ha messo in grande difficoltà; rilasciare un disco non solo deve essere il raggiungimento di un obiettivo ma anche la concretizzazione di tutta la storia di una band.
7. Un cenno va fatto alla copertina dell'album estremamente significativa nella sua semplice complessità. Ce ne parli?
L'idea è nata a seguito di un brain storming con Helios Pu (conosciuto come Porz dei nostri conterranei e fratelli Malnàtt); volevamo mantenere i due concetti chiave di questo disco (eleganza e minimalismo) anche nella copertina, al costo di allontanarci dalle coordinate tipiche del metal (esteticamente). Alla fine è uscito questo collage che sostanzialmente è la sovrapposizione di tutti i testi del disco che vanno quindi a formare una sfera tagliata a metà (appunto due Emisferi).
8. "Emisferi" uscirà il 20 Settembre prossimo. Cosa ci volete dire nell'attesa della sua uscita?
Ci teniamo a ringraziare di cuore My Kingdom Music per la grande fiducia, tutti coloro che ci stanno supportando con i pre-order assieme a chi ascolterà l’album nei prossimi mesi; è stato un percorso lungo e difficile ed è una grande emozione incontrarvi tutti alla meta.
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(English version)
EVA CAN'T: let the journey begin!
It took 5 years of hard work, 4 different recording studios, countless hours of rehearsing and refining what was born in musical and lyrical terms, but in the end "Emisferi", the fifth and new album by EVA CAN'T, out on the 20th September is starting to be an incredible reality. We talk about it with Simone Lanzoni, guitarist and singer of the band who better than anyone else can allow us to enter the unique and poetic universe of the Bolognese band and their new album "Emisferi".
1. Hi guys. Let's start from where we left off, that is, from the release of the EP "Febbraio" in 2019 after the album "Gravatum". 5 years passed and we have seen the band busy both on the live front but especially in recent times in the creation of this concept album "Emisferi" which has particularly engaged you. Tell us a little about the way you approached the composition of this new album.
It all started from the idea of structuring the album as a sum of four parts that were different in style, but which were nevertheless the four aspects that characterize our artistic path (progressive, extreme metal, acoustic music and instrumental post rock); this forced us to focus on one section at a time, carrying out the composition and then the recording of each one. Only at the end we were able to look at the work in its entirety and complete the production. From a compositional point of view it was therefore a challenge because it allowed us to see the album as a series of four mini records which however must have a common sense.
2. As we anticipated, "Emisferi" is a concept album that talks about a journey that is not just physical. Do we want to get into the depths of this concept?
The central theme is the solitude and the journey, starting it searching for something without the certainty of finding it through an uninhabited, dying but still beautiful world. As usually happens in the writing of our lyrics, the reading levels are different and we love to let the listeners find their own way.
3. One of the peculiarities of "Emisferi" is the fact that it was recorded in different locations and recording studios, almost as if to give each single chapter of the album its own sonorous as well as conceptual identity. Why this choice?
The choice is linked precisely to the concept of the album: two hemispheres, each with its own share of water and land. The four parts had to be characterized not only by a diversified stylistic concept of writing but also of recording. The great difficulty was the post-production phase: in addition to the large number of songs, the need to give a unique meaning to songs that had been recorded in different years and places with different instrumentation and approaches certainly required a great effort.
4. Listening to the entire album we almost have the feeling of being part of this journey. The atmospheres, the dynamics, the pauses, the lyrical aspects of the album lead you to travel with the band and this leads the listener to also get to know the world of EVA CAN'T better. What can you tell me about this?
Surely our sound, which has had a precise path lasting over 15 years, has always put in the foreground the need to seek the greatest possible emotionality in music (at the expense of excessive technicalities) all supported by the Italian language which has its own artistic identity and which undoubtedly, for those who understand it, brings a strong communicative impact.
5. I have always, since their early days, seen EVA CAN'T as a personification of the concept of precision and complexity, in the sense that everything is treated both on a musical and lyrical level without leaving anything to fortuity, with attention to details sometimes very obsessive. Is it something that arises spontaneously in your compositions or is it something that you had in mind from the beginning?
We have always tried to improve our proposal and ourselves, like the majority of those who create art, we are constantly dissatisfied and this is undoubtedly the driving force that has always allowed us to get back into the game by trying to raise the bar from time to time; let's say that we always give ourselves the maximum effort but we realize every time that the road always remains interminable.
6. Without doubts "Emisferi" is your most complex work. We move from extreme Metal, to Progressive, from Post Metal to Folk and Rock, but in the end what convinces most is the homogeneity of the work. What emotion do you feel today that the work has been completed and is ready to be welcomed, and therefore evaluated, by your fans?
Extremely exciting because it represents the end of a long journey which in many moments has put us in great difficulty; releasing a record must not only be the achievement of a goal but also the realization of the entire history of a band.
7. A mention must be made of the album cover which is extremely significant in its simple complexity. Can you tell us about it?
The idea was born following a brain storming with Helios Pu (known as Porz to our fellow countrymen and brothers Malnàtt); we wanted to maintain the two key concepts of this album (elegance and minimalism) also in the cover, at the cost of moving away from the typical coordinates of metal (aesthetically). In the end this collage came out which is essentially the superposition of all the lyrics on the album which then form a sphere cut in half (precisely two Hemispheres).
8. "Emisferi" will be released on September 20th. What do you want to tell us while waiting for its release?
We would like to sincerely thank My Kingdom Music for their great trust, all those who are supporting us with pre-orders together with those who will listen to the album in the coming months; it has been a long and difficult journey and it is a great emotion to meet you all at the finish line.
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#evacant#PostMetal#PostRock#Progressive#BlackMetal#dramaticmetal#avantgarde#Alcest#ExplosionsInTheSky#Agalloch#CultofLuna#DevilDoll
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ORA VI SVELO PERCHÉ È MEGLIO CHE PROSSIMAMENTE VI VACCINIATE CONTRO L’INFLUENZA STAGIONALE
(questo è un post pensato e scritto sulla mia pagina FB, per il numeroso e variegato pubblico che ignoro perché mi segua, visto che il 97% di loro non capisce le mie battute nerd e il mio oscuro citazionismo. Se volete seguirne gli sviluppi - temo granguignoleschi, visto l’argomento spinoso - potete farlo QUA).
Breve storiella simpa.
Qualche anno fa c’era un tizio inglese che dava sempre noia alle contadine quando mungevano le mucche e mentre loro erano sveglie dalle quattro del mattino a farsi il culo nella stalla, lui ciondolava in giro a fare il ganzo e a riempirle di complimenti: Che belle gambe! Che bei capelli! Che begli occhi! Che belle man... No! Le mani fanno schifo! Che sono quelle pustole? Sembrano di vaiolo... ma voi però non state morendo di vaiolo! Sarà mica che vi siete abituate al vaiolo delle mucche? Aspetta... laggiù, tu con il cu... il cuore grande! Siccome incidentalmente sono pure un dottore e ti stavo per chiedere se ti potevo palpare il cu... il cuore, posso mica prendere con la mia siringa il contenuto delle pustole schifose sulle tue mani e iniettarlo a tutti i bambini di Inghilterra così magari vediamo se non si beccano più il vaiolo?
E così Edward Jenner inventò il vaccino per il vaiolo, che si chiama così non perché pensava che le contadine fossero delle vacche ma perché le vacche - quelle vere - con la loro variante specifica di malattia gli avevano dato l’idea che questa potesse essere utilizzano per stimolare il sistema immunitario contro il vaiolo umano.
MUCCHE --> VACCHE --> VACCINO ba dum tss!
Ora, sono passati più di DUECENTO ANNI anni da questa scoperta, quasi gli stessi che ci sono voluti perché questa terribile malattia fosse eradicata dalla faccia del pianeta terra grazie a vaccinazioni sempre più massicce nel numero e nella diffusione... molti tra quelli che mi leggono nemmeno sanno che noi vecchi c’abbiamo una o due cicatrici rotonde sul braccio che ce lo ricordano (io a 18 anni, ubriaco, ci ho inciso sopra uno smile con un coltello rovente) ma sono felice che nessuno di voi abbia mai vissuto con questa paura.
Oggi i vaccini sono una cosa mille anni luce lontana da quelli che si usavano un tempo e hanno raggiunto un tale livello di sicurezza ed efficacia che non c’è nessun bisogno che i Rettiliani Massoni Sionisti Rosacrociani di Bigdelberg Pharma mi paghino per dirvelo...
VI CONSIGLIO DI FARLI E DI FARLI FARE ALLE PERSONE A CUI VOLETE BENE SENZA CHE NEMMENO MI RICOMPRINO LA TASTIERA CHE STO CONSUMANDO A FORZA DI CERCARE DI FARVELO CAPIRE.
Tra tutti i vaccini (argomento che ho già trattato altrove e che riprenderò nelle inevitabili domande che salteranno fuori) però a me interessa quello contro
L’INFLUENZA STAGIONALE
Prima di tutto è UN SOLO vaccino ma solitamente con QUATTRO ceppi virali assieme (due dell’influenza A e due ceppi della B) cioè TETRAVALENTE e a differenza di altri tipi in cui si usa un virus attenuato (morbillo, rosolia etc), il vaccino anti-influenzale sfrutta solo il materiale di superficie del virus - che quindi non è presente - e l’immunizzazione avviene tramite la stimolazione da antigeni purificati cioè nello stesso modo in cui ai poliziotti (gli anticorpi) viene fornita la foto di un criminale (il virus) per poterlo riconoscere e arrestare prima che commetta il crimine (infezione). Purtroppo il virus ogni anno si fa la plastica facciale (antigenic drift cioè mutazione di superficie) e quindi c’è bisogno di un nuovo identikit (vaccinazione annuale)
È BIOLOGICAMENTE, FISICAMENTE E SCIENTIFICAMENTE IMPOSSIBILE CHE VI VENGA L’INFLUENZA DOPO L’INOCULAZIONE DI QUESTO VACCINO.
Sarebbe come sanguinare con un buco nella pancia perché qualcuno v’ha sussurrato ‘coltello’ nell’orecchio... NON SUCCEDE, nonostante sia sicuro che qualcuno mi stia per spiegare quanto io mi sto sbagliando in cattiva fede e pure col conto corrente pieno di soldi in nero ma rossi di sangue (magari, stronzi).
MIO FIGLIO È DIVENTATO AUTISTICO DOPO IL PRIMO VACCINO! No, lo era anche prima di uscire dalla vagina solo che i vaccini si fanno nel momento in cui la condizione comincia a essere più facilmente diagnosticabile. MIO FIGLIO HA FATTO IL PRIMO VACCINO E ORA SI AMMALA SEMPRE. Benvenuti nella vita di genitori e ringraziate ché senza vaccini si sarebbe ammalato il triplo. DOPO IL VACCINO MIO FIGLIO BESTEMMIA E MIA FIGLIA TROIEGGIA! Questo perché non esiste ancora il vaccino contro la stupidità dei genitori.
Il vaccino risveglia il sistema immunitario e dopo l’inoculazione si potrebbe presentare febbricola, dolori articolari e stanchezza (NON INFLUENZA!) o potreste anche beccarvi una delle decine di altri virus PARAinfluenzali (NON INFLUENZA!) che ammorbano l’inverno di tutti oppure, infine, essere così sfigati da prendervi l’influenza vera e propria prima dei 10-15 giorni in cui il vaccino impiega a stimolare completamente la risposta anticorpale (fatelo per tempo).
Il vaccino antinfluenzale NON indebolisce il vostro sistema immunitario (anzi, lo risveglia con un calcio nel costato), da tanti anni non contiene più mercurio (che comunque era THIOMERSALE, una forma biologica e pisciabile via di etilmercuio... mica il metilmercurio del pesce con cui ingozzate i vostri fiocchi di neve) e per sintetizzarlo non si usano pulcini vivi e pigolanti strappati a mamma chioccia per torturarli... si usano UOVA non fecondate e sterili che costano millemila euro l’una.
E ora c’è un’ulteriore buona ragione per farlo.
Quando quest’inverno si intensificheranno inevitabilmente i contagi da Sars-Cov2, AVRETE UN MOTIVO IN MENO PER ROMPERE IL CAZZO A TUTTO IL MONDO PERCHÉ C’AVETE LA FEBBRE E VI SENTITE MORIRE.
Vi giuro che in una situazione di emergenza questo fa una differenza vitale.
Tanto temo che romperete lo stesso anche per un semplice raffreddore ma quella linea telefonica non occupata o quell’ambulanza non chiamata per una banale influenza potranno così servire a qualcuno che ne ha davvero bisogno.
Moriremo tutti, prima o poi, ma voi intanto cercate di farne morire il meno possibile prima del tempo.
Per concludere. CONTATTATE IL VOSTRO MEDICO PER AVERE INFORMAZIONI sui tempi e i modi di quella che - presumibilmente a Ottobre - diventerà una vaccinazione allargata alla maggior parte della popolazione e non più solo indirizzata ad anziani e soggetti a rischio per malattie o professione.
Grazie dell’attenzione e sempre a vostra disposizione per chiarimenti chiesti in modo gentile su dubbi leciti, vista la complessità dell'argomento. Oppure per dirvi di smettere di rompere i coglioni con le vostre fantasie sfrenate di antivaccinisti analfabeti funzionali con cui mi pulirei il fondoschiena se non fossero così tanto sottili e inconsistenti da rischiare di avere un altro dito nel culo oltre voi.
<3
Grazie dell’eventuale gentile reblog e della calorosa e per me vitale claque sponsorizzata dai già citati Rettiliani Massoni Sionisti Rosacrociani di Bigdelberg Pharma.
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[...] Da anni si allena sulla velocità insieme all’amico John Carlos, duecentista e newyorkese come lui, che insiste: il segreto è la rincorsa. «Lo sai come fanno gli aeroplani a volare, Bob? Prendono velocità». Lo sa bene Bob Beamon, che è tranquillamente in grado di correre i 100 metri in 10 secondi. Ma la potenza è nulla senza controllo, dirà una famosa pubblicità di qualche decennio dopo, e allo stesso modo Beamon finisce spesso per andare lungo oppure regalare 20-30 centimetri alla pedana. Ciononostante, anche senza allenatore, rimane il lunghista più forte del Paese, capace di vincere quasi tutte le gare del 1968 e arrivare da favorito ai Trials, previsti dal 6 al 16 settembre.
Com’è noto, a Città del Messico si gareggerà in condizioni atmosferiche eccezionali, dettate dall’altitudine di 2.248 metri che minaccia di incidere molto nell’atletica e nel nuoto. Gli americani ritengono che le Olimpiadi si preparino meglio se le selezioni avvengono a Echo Summit, località ignota al confine tra Nevada e California, sulle sponde del Lago Tahoe, là dove l’altitudine è quasi identica alla capitale messicana, in una coreografia naturale irripetibile, in cui l’anello dei 400 metri di pista gira letteralmente intorno a un bosco di pini. I saltatori in lungo gareggiano in condizioni che rendono le misure del tutto irrilevanti: Beamon vince arrivando fino a 8 metri e 39, che sarebbe record del mondo, ma non con 3,2 metri di vento a favore… Ma il Messico è realtà, per lui e per i suoi compagni Boston e Charles Mays.
L’altitudine è un altro degli aspetti che rendono i Giochi di Città del Messico unici nel loro genere. Col senno di poi si tratta di una follia, peraltro ripetuta due anni dopo con i Mondiali di calcio che anche per questo daranno vita a partite indimenticabili (su tutte la massacrante semifinale che ben conosciamo). L’ossigeno è inferiore del 20% rispetto a una città pianeggiante; la stessa quantità di aria respirata satura l’emoglobina del 7% in meno e il battito cardiaco accelera con esiti nefasti per le gare di lunga distanza. A domanda precisa, «quanto ci metterà un atleta medio ad abituarsi ai 2.200 metri?», il dottor Roger Bannister (mezzofondista britannico anni Cinquanta e poi affermato neurologo) risponde lapidario: «Venticinque anni».
Breve compendio medico di Città del Messico 1968: la nigeriana Olajiunmoke Bodunrin finisce in ospedale dopo la batteria dei 400 metri; la nuotatrice australiana Karen Moras, 14 anni, si sente male in acqua e viene prontamente ricoverata; l’americano Mike Burton, oro nei 400 e 1500 stile libero, sviene in ascensore; l’australiano Ron Clarke, tra i favoriti nei 10mila metri, letteralmente si pianta a tre giri dalla fine, arrivando al traguardo solo per onor di firma.
Bob Beamon
Il mistero Beamon tiene banco tra i professori statunitensi già da qualche anno. È un totale autodidatta, salta di puro istinto, ha doti naturali prodigiose ma nessunissimo autocontrollo, diametralmente opposto allo stile raffinato di Boston o ai salti del marpione ucraino Ter-Ovanesyan, progettati in laboratorio. La sua vita ne giustifica la tecnica artigianale: [...] Il dubbio che la vita l’abbia condannato a essere un buono a nulla serpeggia minaccioso fino al 1962, in quello che deve sembrargli il giorno più bello dell’esistenza passata e futura: a 15 anni salta 7 metri e 34, vince la gara del salto in lungo alle Junior Olympics di New York e scopre di poter combinare qualcosa di utile. È un buon proposito che mantiene regolare negli anni successivi, quando arriva al metro e 89 di altezza e diventa il portento della natura ammirato in tutti gli States
[...] Alle 15:49 Bob Beamon ripassa meccanicamente il protocollo di ogni buon salto della sua vita. Chiude gli occhi per un istante, un bel respiro e si parte. Prima di staccare sono necessari diciannove passi ben calibrati, lunghi, a velocità crescente – l’aereo di John Carlos, no? – ma trentotto chilometri all’ora sono una punta mai raggiunta da nessun saltatore in lungo della storia, neanche da Jesse Owens. Beamon – l’ha ripetuto più volte lui stesso – non pensava a nulla durante la corsa: se ci fosse riuscito, si sarebbe spaventato lui per primo.
Userà un giro di parole efficace: «Mi sentivo come in un episodio di Twilight Zone», la famosa serie televisiva di storie verosimili che sconfinano nel fantascientifico, un Black Mirror degli anni Sessanta (in Italia è nota con il titolo “Ai confini della realtà”). Arrivato a diciannove passi Beamon stacca e decolla, senza avere il tempo di capire se il salto sia valido o no. Ora bisogna salire, camminare nell’aria, viaggiare quasi, arrivare fino a 178 centimetri d’elevazione in meno di mezzo secondo, ma cosa succede?, quanto lontano sto andando?, e sempre di più, con le gambe lunghissime che quasi escono dai vestiti, un ultimo slancio con il bacino, il braccio destro proteso in avanti, il braccio sinistro ad attivare le procedure di atterraggio. E poi giù, come un palazzo che implode: il corpo si rannicchia su sé stesso, le Adidas bianche affondano nella sabbia, anche se il fondoschiena non resiste alla gravità e dà una veloce spazzolata alla sabbia, lasciando il segno. Dannazione, ci avrò lasciato almeno dieci centimetri. Un occhio verso i giudici: bandiera bianca, il salto è buono. È molto buono.
I litri di adrenalina che attraversano le viscere di Bob Beamon gli consentono persino un altro paio di saltelli da canguro mentre si tira su, soddisfatto innanzitutto per aver evitato il nullo. Non è affatto pratico col sistema metrico decimale ed è rassegnato a chiedere la traduzione in piedi e pollici della misura – speriamo almeno 27 piedi! – che comparirà tra qualche secondo sul tabellone.
Per questi Giochi hanno installato un sistema di rilevazione elettronica, posizionato su un accrocchio che corre parallelo alla pista, fino a circa 8 metri e 60: ma c’è un intoppo. Beamon è andato troppo lungo. I giudici in giacca rossa si danno un gran daffare per procurarsi uno strumento manuale, una bindella, magari anche un metro da sartoria. Appena atterrato dalla Luna con dieci mesi d’anticipo sulla concorrenza, Beamon incrocia gli sguardi sbalorditi degli altri terrestri. Guarda avvicinarsi Boston, Davies, Ter-Ovanesyan, e non capisce se vogliono congratularsi oppure ammazzarlo. È il monolite nero di 2001: Odissea nello spazio fattosi uomo. Insieme passano venti lunghi minuti a guardare gli ufficiali di gara tentare la traduzione in cifre di quel volo impossibile. Il tempo si è fermato, si sentono appena le prime gocce di pioggia.
Poi arrivano i numeri, e quei numeri urlano: otto punto nove zero. Gli europei in gara hanno già capito. Beamon non ancora, deve pensarci Boston. «Hai saltato più di ventinove piedi, non è possibile. Ci hai uccisi tutti». Le foto e i filmati lo ritraggono come fulminato da questa notizia: si accascia su sé stesso, sembra urlare di dolore. Forse sta pagando solo adesso il conto dello sforzo appena effettuato, come un ubriaco che si sveglia in botta il mattino dopo. Forse per saltare otto metri e novanta serve una forza di quelle che strappano i muscoli e rompono le ossa. Qualche mese prima, ai Giochi Invernali di Grenoble, il sovietico Vladimir Belusov aveva conquistato l’oro nello ski jumping con un ultimo salto prodigioso. Mentre stava esultando, era stato colto dalla stessa crisi, che la scienza chiama “attacco cataplettico”: chi ne soffre perde il controllo dei muscoli e cade a terra, ma rimane sempre cosciente e vigile. Un deliquio passeggero, che dura meno di un minuto, strettamente legato a un momento di immane stress psico-fisico.
La performance di Beamon non ha precedenti nella storia dell’atletica leggera. C’erano voluti 38 anni per passare lentamente dall’8.08 all’8.35 del vecchio record; in cinque secondi Beamon ha piazzato l’asticella oltre mezzo metro più avanti. Non esiste. È come se domani sui 100 metri un alieno abbassasse il record di Bolt da 9”58 a 9”10. Il matematico Donald Potts quantificò in un 4% abbondante l’aiuto di altura e vento a favore e giunse a stabilire che, a vento nullo e al livello del mare, Beamon avrebbe saltato 8.56, comunque record. Qualcun altro eccepì sull’anemometro che segnava esattamente due metri a favore, asserendo che bisognava ricalibrarlo alla luce degli oltre duemila metri d’altitudine: un centimetro di più e il record non sarebbe stato omologato.
La finale perde ogni motivo d’interesse, e le cronache si riempiono soprattutto delle parole di sconforto degli avversari. «Io non posso continuare», argomenta il campione uscente Davies, «faremmo tutti la figura degli scemi» – finirà mestamente nono. «In confronto sembriamo tutti dei bambini», dice amaramente Ter-Ovanesyan. Come se ci fosse bisogno di sottolineare la dimensione ultraterrena di ciò che è appena successo, riprende a diluviare. Ripresosi a fatica, Beamon si concede lo sforzo a quel punto sovrumano di un secondo inutile salto, poco più che normale (8,04), prima di diventare un semplice spettatore del proprio capolavoro.
E adesso?
Gli ronza già nella testa quel pensiero che sarà l’urlo silenzioso che gli farà compagnia per i mesi a venire: e adesso, come si fa a continuare? Come si può volare ancora, anche se volare è tutto ciò che sa fare? [...] Ma non finirà in malora come tanti altri atleti maledetti. [...] Beamon si laureerà in sociologia nel 1972 all’Adelphi University di Long Island, diventerà tecnico, consulente, conferenziere, uomo immagine, membro di infinite Hall Of Fame.
[...] Inconsapevole del tesoro che aveva nella Nikon, Duffy si comportò come un turista qualsiasi. Aspettò due giorni per sviluppare il rullino, portandolo in un negozietto accanto all’hotel; quando tornò in camera e aprì la busta, iniziò una lenta disamina, immagine per immagine. Per riconoscere gli atleti, si aiutò con i numeri dei pettorali indicati sul programma ufficiale. La foto di Ralph Boston era venuta mossa, ma quella di Beamon – pettorale 254 – era perfetta. Nel giro di un paio di mesi era sulle copertine delle riviste sportive di mezzo mondo, sui poster, per impreziosire un libro. Qualche invidioso gli contestò l’autenticità dello scatto, ma Duffy aveva una controprova formidabile: Beamon aveva saltato solo due volte, e la seconda volta aveva indossato un paio di calzini di cui nella foto non c’era alcuna traccia. Grazie allo “scatto più fortunato della mia vita” mise da parte un piccolo tesoro che gli servì per prendere lezioni intensive di fotografia e aprire una piccola agenzia, la Allsport, che con gli anni divenne sempre più importante (sarà acquisita da Gettyimages nel 1998, compreso l’archivio che contiene la foto del Salto).
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È dunque questa la storia di un volo senza precedenti, e mai più ripetuto. Si potrà obiettare che ai Mondiali di Tokyo 1991 Mike Powell ha fatto ancora meglio, 8,95 e medaglia d’oro dopo un duello epocale con Carl Lewis (“solo” 8,91 ventoso, in una finale da cinque salti a 8,82 di media: il fatto di non aver mai superato ufficialmente Beamon sarà il più grande rimpianto della carriera). Ma altri tempi, altri allenamenti, altra preparazione fisica, altre tecnologie, lo sport ai livelli più certosini di professionismo; soprattutto, nessuna magia. In un Sessantotto colmo di proteste, di sparatorie, di bengala, di elicotteri che intervenivano dal cielo per stroncare il presente, Beamon rispose volando lontano a immaginare il futuro. Vi sembra un’esagerazione? Interpellato sull’argomento, il dottor Ernst Jokl, luminare tedesco della neurologia sportiva, fu costretto ad allargare le braccia e ad annunciare la sconfitta dei numeri e della scienza: secondo i dati in suo possesso, un salto del genere non avrebbe dovuto verificarsi prima del 2052.
In pochi secondi Bob Beamon si era inventato e aveva messo in pratica il suo incommensurabile gesto di ribellione, la ribellione all’idea che tutto si può classificare, incasellare, imprigionare. Si era elevato al di sopra dei suoi problemi personali come avrebbe fatto due anni dopo il gabbiano Jonathan Livingston, in un romanzo di Richard Bach che avrebbe ispirato milioni di giovani in tutto il mondo: aveva scoperto la velocità perfetta. «Che non vuol dire volare a mille miglia all’ora, o a un milione, o alla velocità della luce. Perché qualunque numero è un limite, mentre la perfezione non ha limiti. La velocità perfetta, figliolo, vuol dire solo esserci».
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27 lug 2020 16:12
ITALIA DA RECOVERY – SIAMO SICURI DI SAPER SPENDERE I SOLDI CHE ARRIVERANNO DALL’EUROPA? GABANELLI: “UNA DELLE CONDIZIONI È LA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. CI HANNO PROVATO TUTTI I GOVERNI A PARTIRE DA BONOMI NEL 1921, E I NODI CHE LEGANO UNA PALLA AL PIEDE DELL' ITALIA ERANO GIÀ TUTTI ELENCATI NEI RAPPORTI DEL MINISTRO GIANNINI (1979) E CASSESE (1993). SONO SEMPRE GLI STESSI, E IL DECRETO SEMPLIFICAZIONI NEMMENO LI SFIORA, A PARTIRE DALLA PARTE PIÙ SEMPLICE. CIOÈ…”
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Milena Gabanelli e Rita Querzè per “Dataroom - Corriere della Sera”
Dall' Europa arriveranno tanti soldi, ma una delle condizioni è la riforma della Pubblica Amministrazione, ovvero rendere efficiente la burocrazia. Ci hanno provato tutti i governi a partire da Bonomi nel 1921, e i nodi che legano una palla al piede dell' Italia erano già tutti elencati nei rapporti del ministro Giannini (1979) e Cassese (1993).
Sono sempre gli stessi di oggi, e che il decreto semplificazioni nemmeno sfiora, a partire dalla parte più semplice, cioè mettere ordine nelle leggi copiando modelli che funzionano: in Francia il 70% delle norme sono "a diritto costante", cioè se su una materia si interviene con una nuova legge quella vecchia viene eliminata. In Germania si utilizzano i codici per "incasellare" le leggi. Da noi è come cercare in biblioteca un libro senza lo schedario.
Il compito più difficile è mettere mano ai procedimenti autorizzativi. Se per fare un' opera devo fare domanda a Regione, Soprintendenza, Asl, Vigili del fuoco, tanto vale presentarla contemporaneamente a tutti gli enti, così si riducono i tempi. Oggi chi deve aprire un bar ha bisogno di 72 autorizzazioni, 65 un parrucchiere, 86 per un autoriparatore (fonte Cna). Nel 1990 ci abbiamo provato con la legge 241: disponeva la semplificazione di una serie di processi autorizzativi, ma quando è arrivata l' ora di sceglierli ne sono stati individuati solo 13.
Il ministero degli Interni ne segnalò solo uno: l' allevamento dei piccioni viaggiatori. Il problema, ora come allora, è che a decidere "cosa" semplificare sono le stesse amministrazioni pubbliche, ma nessun ufficio vuole ridurre le proprie competenze e la politica non ha mai avuto il coraggio di intervenire.
Il decreto semplificazioni è intervenuto sulle gare: non si dovranno più fare per importi fino a 150 mila euro, e con procedure negoziate a inviti fino a 5,35 milioni di euro. Punto.
Per molti esperti è una scelta giusta se circoscritta ai lavori da fare in urgenza, diversamente è alto il rischio di penalizzare le aziende più efficienti, aprendo la strada a favoritismi. Tanto più che il contenzioso sulle gare incide in Italia meno del 5%, e i giudizi vengono definiti in primo e in secondo grado entro un anno.
Dopo aver partecipato a numerose commissioni sull' efficienza della burocrazia dagli anni '90 a oggi, il professor Aldo Travi suggerisce che per accelerare le opere, in circostanze normali «sarebbe utile avere una sola stazione appaltante in ogni Regione e una centrale a Roma per i grandi appalti e le gare delle amministrazioni statali», poiché le opere sono spesso rallentate dai piccoli comuni che non hanno personale competente e strutture adeguate per gestire le gare.
Le strutture tecniche negli anni sono state sventrate dalla spending review e dalle norme che hanno via via ridotto le competenze specializzate. Ne è la prova il dipartimento del Ministero dei Trasporti incaricato dei controlli sulle attività delle concessionarie su ponti e viadotti, ma privo di personale qualificato. Le conseguenze sono 13 crolli in 7 anni.
Al ministero delle Infrastrutture due terzi del personale è amministrativo e solo un terzo tecnico. Inoltre i meccanismi che regolano le carriere non incentivano le professionalità perché non considerano i risultati prodotti. Brunetta aveva provato a introdurre forme di premialità, ma non ha funzionato. Di fatto gli obiettivi dati ai dirigenti sono talmente generici (ad esempio per le Infrastrutture può essere "bandire gare") che gli incentivi vengono elargiti a pioggia. Il tentativo di premiare gli insegnati più meritevoli è naufragato miseramente nonostante fosse contenuto in un accordo collettivo sottoscritto dai sindacati.
«Bisognerebbe attuare in modo rigoroso la norma costituzionale che impone l' accesso nell' impiego pubblico solo per concorso e gestire anche la progressione interna di carriera tramite esami - dice Travi - inserendo nei punteggi anche i risultati ottenuti durante la propria attività».
Un esempio su tutti. E' il 2001 e il piano provinciale rifiuti di Firenze prevede la costruzione di un termovalorizzatore. Ci sono voluti 15 anni per decidere dove costruirlo, definire le dimensioni, bandire la gara, il progetto, le linee guida, le autorizzazioni ambientali.
Quando era tutto pronto sono partiti i ricorsi al Tar e poi al Consiglio di Stato, che a marzo di quest' anno ha stabilito che non si deve fare. Così i rifiuti si andranno a bruciare da qualche altra parte. E' indicativo di un sistema malato dove anche le opere strategiche sono bloccate sia dai comitati cittadini (non coinvolti da subito in opere che impattano), che dai comuni (per ragioni puramente elettorali). Secondo Travi Il potere di interdizione può essere fermato in due modi: stabilendo con una legge l' inefficacia di tutti gli atti che possano pregiudicare l' attuazione di una infrastruttura oppure prevedendo sanzioni a carico di chi li adotta.
I tempi delle pratiche si allungano perché i burocrati hanno paura a mettere una firma nel timore di assumersi una responsabilità; chi invece la firma ce la mette rischia di essere penalizzato. Il professor Crisanti, all' inizio della pandemia, aveva iniziato a fare tamponi a tappeto. Ebbene il direttore generale dell' azienda ospedaliera di Padova minacciò di perseguirlo per danno erariale. Poi i fatti hanno dato ragione a Crisanti. Con il decreto Semplificazioni gli atti che generano danno erariale restano punibili solo se dolosi (ma non lo sono più se dovuti a colpa grave).
Quando invece a generare danno erariale è una mancata decisione, allora la punibilità resta sia per colpa grave che per dolo. Il reato di abuso d' ufficio, inoltre, viene escluso nel caso in cui riguardi regolamenti e non leggi.
Tirando le somme, il decreto consente di assolvere il funzionario che prende iniziative in buona fede, mentre per chi continua a palleggiarsi le carte non ci sono sconti. Ma si tratta di una modifica che vale fino al 31 luglio 2021. E dopo?
In materia ambientale le competenze si segmentano fra 4 ministeri (Ambiente, Salute, Interno, Agricoltura), 20 Regioni, 110 Province, oltre 8 mila Comuni, Camere di commercio, Asl, Arpa. Nel 2008 viene creata con una legge l' Ispra che deve coordinare le Arpa. Eppure i problemi ambientali restano: dall' Ilva alla terra dei fuochi, ai siti contaminati, che erano 40 nel 2014, e tali sono rimasti. Se prendiamo un' attività artigiana con consumo di alimenti sul posto, per esempio una pizza al taglio, i soggetti incaricati dei controlli sono 21. E quando tutti devono controllare, alla fine spesso non controlla nessuno, oppure si tartassano i cittadini sovrapponendo le verifiche.
Razionalizzare gli enti però vuol dire cancellare poltrone e centri di potere. Nessun burocrate intende rinunciarvi, e la politica non interviene per timore di perdere consenso: la pubblica amministrazione rappresenta un quinto della forza lavoro dell' intero Paese. Una immobilità ben descritta dal noto economista, Paul Samuelson, secondo il quale «le regole sono fissate, abbandonate e manipolate con discrezionalità». E' questa la madre di tutte le riforme da inserire dentro il piano nazionale da presentare a Bruxelles.
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Questo spot è stato realizzato da un gruppo di colleghi, me compreso, per un progetto universitario volto a mostrare le nostre capacità nel montare un breve video. Il nostro spot vuole invogliare i turisti a visitare Napoli, la nostra città.
Completamente ambientato tra le strade ed i vicoli, coloratissimi e suggestivi, della metropoli campana, smonta (o almeno prova a smontare) i miti su Napoli. E’ davvero la pizza tutto ciò che abbiamo? A detta dei nostri intervistati sembra proprio di no!
Peccato solo che non possiate ascoltare la mia bellissima voce e il mio inglese oxfordiano, ma Christian, il nostro regista era geloso delle mie capacità vocali ;)
Suburbia Italica
Napule e mille colori! Cantava quella famosa canzone… Un colore, una luce, un’allegria, una naturalezza che non si trova da nessun’altra parte d’Italia, figurarsi nel mondo. Sarà che sono nato e cresciuto sotto casa dei Borbone, ma per me il vero spirito dell’Italia è rimasto qua da noi al Sud, tra gli “scioperati” e i “ladri” coma amano chiamarci alcuni nostri concittadini poco gentili. Non me ne vengano a male padani, veneti e leghisti che, nonostante lo sfacelo in cui versa il meridione ai giorni nostri, hanno dimenticato che tutte le industrie, la ricchezza e il benessere di cui amano tanto vantarsi con noi sfaccendati perdigiorno e mangiaspaghetti, le hanno fregate proprio a noi! Li hai capiti, questi nordici! Ci ciulano il cibo e poi si lamentano che abbiamo fame! Ma andiamo con ordine: il divario tra Nord e Sud comincia a presentarsi dopo gli anni 60 del 1800, dopo l’Unità d’Italia insomma, ottenuta con tanti sacrifici (e altrettanti orribili spargimenti di sangue). Infatti, qui da noi in Terronia, fino al 17 marzo del 1861, si trovava il fantomatico Regno delle Due Sicilie, quello che quando io ero studente era il Molise odierno: non si capisce a ro stà ne se esiste veramente. Insomma queste fantomatiche Due Sicilie (15 anni dopo aver finito le elementari sto ancora cercando la seconda) affondavano le radici in un terreno già fertile creato dal buon re Carlo III di Borbone, lo stesso uomo che porto l’elettricità nelle strade (un sovrano VERAMENTE illuminato, è il caso di dirlo) e sotto la spinta della moglie Maria Amalia fece costruire la prima ferrovia d’Europa. Grazie a Carlo e Amalia, il Meridione divenne estremamente ricco e produttivo (con gran dispiacere di Matteo, cui forse non fa piacere ricordare questa parte della storia), sia al livello tecnologico che artistico (si guardino la Reggia di Portici o il Museo Archeologico di Napoli). E poi ZACCHETE! Arriva la sforbiciata che nemmeno Michelino, il barbiere del paese! Che modo migliore di unire un paese se non con un bagno di sangue pre e post unificazione… Ecco allora cosa rappresenta il rosso sulla nostra bandiera! Ma diciamocelo onestamente, se siamo in questa circostanza, sia come “meridione” sia come Italia, è perché ce la siamo voluti: noi “terroni” abbiamo perso la nostra grinta e la capacità di farci valere, arrivando ad avere una tale paura del diverso e dell’esterno da votare la Lega pur di mandare via quei perfidi e infami clandestini che vengono in Italia per “fare i crimini” e rubare il lavoro a noi persone per bene...
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Ah, dalla regia mi dicono che i paesi da cui scappano sti poveri cristiani sono deturpati dalla guerra o fanno la fame a causa delle potenze Europee che hanno fatto i loro comodi, come la Francia e l’Inghilterra, schiavizzando popoli dalla cultura millenaria in un sistema clientelistico senza uscita… Chissà perché Salvini non le dice queste cose? Sarà che non gli fa comodo far sapere che è anche un po' colpa nostra?
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Una parte del Sud, quella più tradizionalista, vede le nuove tecnologie e i nuovi lavori come una minaccia e i ragazzi che vogliono andare a vivere o lavorare fuori c’hanno mille problemi. Già andare a vivere a Milano è un inferno! (Che tutti i mie concittadini Partenopei trasferitisi a Milano sappiano che gli ho scagliato una maledizione voodoo! Oltre oceano si, ma a casa di Salvini no, cazzo!)
Come paese, poi, non ne parliamo! Non riusciamo neanche a farci rispettare dai gattini…
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Figuriamoci dalla Merkel! Una volta eravamo un popolo di avventurieri, santi, scrittori artisti e scopritori, cosa è successo al bel paese?
E’ successo che i gattini siamo diventati noi! I “Suburbs”, i sobborghi, il ghetto d’Europa!
Non è colpa dell’Unione (sapevate che l’ UE è stata voluta proprio dall’Italia e di base è la nostra speranza migliore per sopravvivere alla crisi?) ne di tutti questi poveri disgraziati, per altro in forte calo, qui ci sono i dati del Ministero della Magi… Ehm, dell’Interno, scusate
http://www.interno.gov.it/it/sala-stampa/dati-e-statistiche/sbarchi-e-accoglienza-dei-migranti-tutti-i-dati
E’ tutta colpa nostra: siamo così terrorizzati dall’idea di perdere la nostra cultura da non renderci conto che la cultura, per resistere, deve crescere, deve espandersi, e qui arriviamo al video stupendo che avete visto ad inizio post.
Il resto del mondo, fortunatamente non vede noi Italiani, noi Napoletani in particolare SOLO come pizza e mandolino, ma come un popolo solare, allegro e gentile, dalle tradizioni antiche ed affascinanti.
Facciamo in modo che sia questo a trasparire: un popolo forte che sopravvive nonostante le avversità, un popolo unito che da gattino è capace di tornare leone…
Tanti saluti dal Ronin, in bocca al lupo e non dimenticate di prendere la vostra cadrega quando uscite :3
P.s. Se non si fosse ancora capito, il Carroccio mi sta proprio qua!
P.p.s Si, le ho un po' alte -_-
Crediti della Magniloquente Opera d’arte cinematografica da noi prodotta, anteposta a codesto catartico esempio letterario che tosto avete letto. (Sono i “Crediti del video”, per chi fosse privo di Dantesca et vulgar locuzione)
Christian Ferrara: montaggio video e regia
Federica Ferriero: color correction operator
Simona Tarallo: operatore di ripresa
Il sottoscritto: Interprete, intervistatore e traduttore
Semper securus! - RedRonin
#sociology#funny#self criticism#humor#aldo giovanni e giacomo#l'ultimo scemurai#social criticism#social media#new technology#history#italia
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Premesso il discorso fatto qui: Mons. Viganò: La Preghiera arma potente, infallibile vaccino contro ogni dittatura soprattutto il video nel quale abbiamo discusso sulla Lettera…. e chiarito che gli schieramenti politici non conducono, oggi, da nessuna parte; e chiarito che non ci è lecito seminare zizzania…. cerchiamo di affrontare il tema anche da altri punti di osservazione storica e ragionevole… non vi chiediamo di “essere d’accordo con noi”, o di darci torto o ragione, ma di ragionare voi stessi con tutta onestà mentale.
Ci è stato, per esempio, chiesto quanto segue: ma sapevate che i vaccini dati agli animali sono una sintesi di sostanze naturali cosa che invece nei vaccini x i bambini ci sono sostanze metalliche pericolse x l’uomo? Sapete che ci sono tantissimi bambini nati sani ma diventati autistici dopo la somministrazione del vaccino?….
La nostra risposta: anche la chemio non è un dosaggio di zuccheri e miele e… a proposito dello zucchero, lo sa che è trasformato con sostanze chimiche e che è all’origine del DIABETE?? lo sapeva che lo zucchero bianco è, in verità, UN VELENO per l’uomo che nasce soggetto a subirne gli effetti? e lo sapeva che la schizofrenia e molte malattie neurologiche sono di origine DIABOLICA?? (che non è la possessione), argomento che oggi, per la maggioranza delle persone fa ridere…. NESSUNO NASCE SANO, lo sapeva?? che cosa intende lei per “SANO” ?? nasciamo TUTTI con delle “malattie” che ci portiamo dentro perché LA NATURA STESSA E’ STATA CORROTTA E CONTAMINATA DAL PECCATO ORIGINALE…. lo scienziato ragiona da scienziato, ma chi è battezzato deve ragionare anche in altri termini…. i vaccini NON sono la magia…. chi nasce “sano” e POI si ammala non è colpa del vaccino (i casi singolari ci sono sempre) ma di alcuni GENI con cui nasciamo e che sono già corrotti anche per questo NON reagiamo TUTTI allo stesso modo sia al vaccino, sia per altre malattie… anche con la chemio molti guariscono, altri non ce la fanno… ma guardando ai fatti milioni di bambini in Africa, nel così detto “terzo mondo”, ce l’hanno fatta grazie ai vaccini… così come abbiamo sconfitto LA POLIOMIELITE grazie al vaccino… per non parlare poi degli antibiotici…
Pandemie ed epidemie sono state sconfitte grazie ai vaccini… se lei può dimostrare il contrario di tutto ciò le daremo ragione…. NON E’ IL VACCINO ad essere “miracoloso” in se, ma è la sua modalità che su larga scala funziona… Quando sono iniziate le pandemie e le epidemie?? Quando l’uomo è AUMENTATO NELLA COABITAZIONE DI CENTRI URBANI…. IL VERO PROBLEMA E’ IL CONTAGIO NON LA MALATTIA CHE C’E’ SEMPRE STATA…. dipendente anche da NORME IGIENICHE-SANITARIE che l’uomo “civilizzato” è andato migliorando… Il vaccino contiene senza dubbio elementi velenosi per l’uomo pensiamo CHI E’ MORSO DAL SERPENTE… PER GUARIRE DEVE ASSUMERE UN VACCINO CHE E’ FATTO COL SIERO DEL SERPENTE…. deve assumere altro veleno che però e’ stato trattato CHIMICAMENTE…. LA CHIMICA STA ALLA BASE DELLE MEDICINE che hanno salvato la vita a milioni di persone e sono alla base DEGLI ANTIBIOTICI CHE ASSUMIAMO IN MODO SMODATO…. la chimica è VELENO per il nostro organismo…. per questo NELLE MEDICINE TROVIAMO LA PRECAUZIONE ALLE CONTROINDICAZIONI.. o si arriva a parlare di ASSUEFAZIONE AL FARMACO… si è contro il vaccino ma non contro gli antibiotici… o persino una presunta banale ASPIRINA CHE E’ DAVVERO VELENO per chi ne fa uso eccessivo… ridicolo!!! e potremo continuare con esempi concreti…. IL MALE, LA MALATTIA NON SONO UN INCIDENTE DI PERCORSO ma fa parte, purtroppo della vita stessa contaminata dal PECCATO ORIGINALE… i vaccini aiutano, altre volte salvano, per altri sono inutili come altre medicine… MA L’UOMO E’ SOGGETTO AD AMMALARSI indipendentemente dai vaccini…. L’AUTISMO non è una malattia “nuova” era già conosciuto in passato ma non si aveva la cura e non si sapeva come trattare queste persone che spesso venivano definite come “lo scemo del villaggio”…. il cancro lo troviamo già citato persino nei Padri della Chiesa… non c’era cura, così come la lebbra che la Bibbia ha sempre identificato con l’azione del peccato e del demonio….SCIENZA E RAGIONE; FEDE E RAGIONE NON SI COMBATTONO ma procedono di pari passo, la confusione e l’ottusità alla verità subentrano quando non camminassero più insieme…. come sta accadendo oggi.
Ma… come nasce il vaccino?? Ringraziando l’amico de Albentiis, riportiamo:
A proposito di vaccinazioni e antivaccinismo… Pochi sanno che uno dei pionieri delle vaccinazioni in Italia, a inizio del XIX secolo, fu Monaldo Leopardi, il padre di Giacomo; letterato e politico, devoto cattolico e legittimista anti-illuminista e anti-liberale, dalla fama di reazionario, fu in realtà uomo colto, raffinato e aperto di mente. Letta la traduzione italiana dell’opera di Jenner, conservata ancora oggi nella biblioteca di famiglia di Recanati, Monaldo si convinse della validità del metodo della vaccinazione, allora ancora sperimentale e potenzialmente pericoloso, e fa arrivare dall’Inghilterra e da Genova trattati di medicina e dosi di vaccino; scoppiata proprio nell’anno 1800 una grave epidemia di vaiolo nel recanatese, decise, in quanto padre di famiglia e in quanto sindaco della città, di fare qualcosa: decisosi ad attuare una vaccinazione di massa, decide di provare per primo i vaccini inoculandoli ai tre figli, Paolina, Giacomo e Carlo. I parenti preoccupati (oggi diremmo i “genitori informati”) cercano di dissuaderlo, lo minacciano addirittura, ma lui non demorde. Ad uno ad uno nel suo studio (chiuso a chiave per evitare le proteste dei parenti) vaccina da solo, seguendo le istruzioni, i suoi figli: Paolina e Carlo sono brevemente febbricitanti per poi risultare guariti e immuni; l’unico a non subire nessuna ricaduta febbrile è proprio Giacomo! Passano i giorni, Monaldo tiene sotto stretta osservazione i figli, annotando ogni cosa; avute le prove della bontà della nuova cura e diffusa la notizia, Monaldo, da uomo pubblico, procede ora a diffondere, e gratuitamente, il vaccino in tutto il territorio di sua competenza! E’ grazie a Monaldo Leopardi (che al figlio Giacomo trasmise non solo il sapere letterario ma, anche da questa esperienza diretta, il sapere scientifico) che Recanati venne salvata dal vaiolo e che si diffuse, nello Stato Pontificio prima e in tutta Italia poi, il vaccino…
Ma… serve davvero la mascherina?
Sì e no!! La mascherina non è un filtro magico, serve solo A PREVENIRE a patto che, dall’altra parte l’uomo con saggezza eviti egli stesso la possibilità di un contagio…. Vi ricordate quando scoppiò il caso dell’AIDS? Ci fu una vera battaglia di schieramenti pro e contro l’uso del profilattico il quale, in verità non solo non risolveva la malattia ma forniva alibi e giustificazioni a continuare una vita immorale e sessualmente disordinata… L’aids continua a convivere con gli uomini che continuano ad ammalarsi tra i quali, tranne i casi di trasfusioni di sangue o di incidenti non voluti, il contagio persiste per l’uso scorretto della sessualità (e che si trasmette ai figli da madre infetta), il preservativo ha solamente circoscritto un poco i rischi, ma non ha risolto il problema. Così è per l’uso delle mascherine. Esse sono utili in ambienti chiusi ed affollati ma dovrebbero indossarla le persone a rischio e coloro che sospettano di aver contratto il virus Covid-19 o persino altre malattie respiratorie come una polmonite e persino una tubercolosi di cui poco si parla, eppure i casi sono in aumento seppur circoscritti. Se tutti, in ambienti chiusi ed affollati, indossassimo le mascherine, TUTTI avremo da guadagnarci in bene, si chiama PREVENZIONE… ma non è la soluzione… Dunque la mascherina è utile per prevenire, ma non risolve il problema se continuiamo ad avere rapporti che alimentano ogni sorta di contagio…. e questo al di là delle “prevenzioni”…
E’ utile obbligarla, imporla??
Ovvio che NO!! Tutto ciò che seppur utile viene imposto senza aiutare a comprendere I DOVERI CHE ABBIAMO NEI CONFRONTI DEL PROSSIMO, l’uso imposto della mascherina finisce per alimentare LA FRUSTRAZIONE…. Ma se la mascherina viene insegnata QUALE DOVERE che abbiamo di non contagiare il prossimo, allora crescerebbe in noi il senso di UN SACRIFICIO verso l’altro: cioè, anche se non voglio indossarla, in ambienti chiusi ed affollati lo farò per RISPETTO verso l’altro….
Ringraziando l’Amico Pino Pane, condividiamo quanto segue, con le relative foto, per comprendere quanto oggi si stia esagerando, addossando ogni assurdo all’uso di elementi (mascherine e vaccini) atti a salvare vite umane e a prevenire perché, quanto al curare, se non si torna a DIO e a convertirci a Lui, tutto è e sarà inutile, anche il dissenso contro certe politiche…:
Immagina di esser nato nel 1900. Quando hai 14 anni inizia la prima guerra mondiale e finisce quando ne hai 18 con 22 milioni di morti. Poco dopo, una pandemia mondiale, una influenza chiamata “spagnola”, uccide 50 milioni di persone. Ne esci vivo e indenne, hai 20 anni. Poi a 29 anni sopravvivi alla crisi economica mondiale iniziata con il crollo della borsa di New York, provocando inflazione, disoccupazione e carestia. A 33 anni i nazisti arrivano al potere. Hai 39 anni quando inizia la Seconda guerra mondiale e finisce quando hai 45 anni. Durante l’Olocausto (Shoáh) muoiono 6 milioni di ebrei. Ci saranno oltre 60 milioni di morti in totale. Quando hai 52 anni inizia la guerra di Corea. Quando hai 64 anni inizia la guerra del Vietnam e finisce quando hai 75 anni. Un bambino nato nel 1985 pensa che i suoi nonni non abbiano idea di quanto sia difficile la vita, e invece sono sopravvissuti a diverse guerre e catastrofi. Un ragazzo nato nel 1995 e oggi di 25 anni pensa che sia la fine del mondo quando il suo pacco Amazon richiede più di tre giorni per arrivare o quando non ottiene più di 15 ′′ likes ′′ per la sua foto pubblicata su Facebook o Instagram… Nel 2020 molti di noi vivono nel comfort, abbiamo accesso a diverse fonti di intrattenimento a casa e spesso abbiamo più del necessario. Ma le persone si lamentano per ogni cosa. Eppure hanno elettricità, telefono, cibo, acqua calda e tetto sulla testa. Nulla di tutto questo esisteva in passato. Ma l’umanità è sopravvissuta a circostanze molto più gravi e non ha mai perso la gioia di vivere. Forse è ora di essere meno egoisti, smettere di lamentarsi e piangere. (Anonimo)
Mascherine, pandemie, epidemie… nulla di nuovo se… si affronta con onestà Premesso il discorso fatto qui: Mons. Viganò: La Preghiera arma potente, infallibile vaccino contro ogni dittatura…
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Sette nuovi portatili Apple in arrivo: sarà già arrivata l'ora del nuovo MacBook Pro?
Apple ha aggiornato i MacBook Pro alcune settimane fa, introducendo CPU Intel Core di ottava generazione nei 13" e di nona nei 15", ma senza modificare molto altro. C'è una tastiera migliorata, almeno nei materiali, però la sostanza del computer è rimasta la stessa. Dal case allo schermo, considerando anche connessioni e tutto il resto. Questo genere di update di metà corso possono sembrare deludenti ma in realtà sono importantissimi. Quando capita di saltarne uno o due ci si trova improvvisamente con hardware vecchio venduto al prezzo degli anni precedenti, diventando meno appetibile in un mercato sempre più competitivo. La nuova generazione è stata anche affinata in termini energetici da Intel e da Apple stessa per ottenere un profilo termico più sostenibile negli i9, ma quando gli update sono abbastanza frequenti è inevitabile che i vantaggi prestazionali tra un modello e quello immediatamente successivo si assottiglino. È un gioco di equilibri in cui comunque la cosa migliore è che ci sia questa attenzione a mantenere i computer al passo coi tempi.
Tuttavia quando ho parlato dei MacBook Pro 2019 li ho voluti definire modelli appena nati ma già prossimi al tramonto. La linea attuale è stata lanciata nel 2016 ed è ancora moderna, ma sta invecchiando male nei contenuti. Di solito le prime generazioni di un nuovo design sono le peggiori mentre le ultime rasentano la perfezione, ma non è questo il caso. I difetti del prodotto sono infatti rimasti pressoché invariati, tra cui la tastiera a farfalla che ancora si rompe troppo facilmente (questa nuova è già inclusa nel programma di richiamo), cavi flessibili del display inclini a danneggiarsi, pop dalle casse durante le attività intensive, areazione non adeguata alle CPU più prestanti. Nulla di tutto ciò è insormontabile, perché Apple riconosce i difetti e li ripara anche fuori garanzia (fino ad un certo limite di tempo) e per la scelta delle CPU basta evitare di andare sulla più potente, visto che si paga di più ma non va effettivamente meglio a pieno carico (o comunque in misura davvero minima). Ci sono tuttavia i segnali di un nuovo refresh alle porte, anche se non credo che sarà una cosa rapida.
Qualche mese fa si è iniziato a parlare di un nuovo display Apple e del ritorno del MacBook Pro 17", ma poco più avanti si è saputo che solo lo schermo sarebbe arrivato in breve tempo. Così è stato, infatti, ed abbiamo potuto vedere il Pro Display XDR nella recente WWDC 2019, mentre per il portatile più professionale dell'attuale 15,4" si deve ancora attendere. Personalmente immaginavo che Apple avrebbe iniziato dal più grande, introducendo delle variazioni strutturali e qualche ritocco estetico, allargando poi il nuovo design anche ai tagli più piccoli nei mesi a seguire. Il recente ritrovamento di MacRumors, però, potrebbe suggerire qualcosa di diverso.
Apple ha infatti registrato 7 nuovi codici prodotto nell'Eurasian Database, che fanno riferimento ad altrettanti computer portatili. Per chi non avesse dimestichezza con quanto detto, basti ricordare che a gennaio sono stati rinvenuti nel medesimo archivio della Commissione Economica Eurasiatica i codici prodotto dei nuovi iPad che Apple ha presentato solo due mesi dopo. Probabilmente non saranno tutti MacBook Pro, questi, ma anche considerando il refresh dei MacBook (2017) e magari quello degli Air (2018), sarebbe difficile superare i 4 modelli. Dunque o presenteranno tre varianti del nuovo MacBook Pro 17" (che tecnicamente potrebbe essere un 16,5") oppure potremmo avere sorprese anche per il resto delle linea (se saltassero gli Air, ad esempio, ci sarebbe spazio anche per i codici di 13" e 15"). In tutti i casi è quasi impossibile che si ripeta la stessa tempistica vista con gli iPad e che trascorrano solo due mesi fino all'arrivo sul mercato di questi computer. Questa volta c'è la flessione estiva di mezzo e anche il rientro col botto che tipicamente riguarda i nuovi iPhone. Tuttavia nello scenario autunnale avremo quasi sicuramente delle novità sul fronte portatili e magari i rumor da qui in avanti sapranno fare maggiore chiarezza su cosa aspettarsi veramente.
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Richiami di Yahweh 18
Nel nostro sistema di vita o al giorno d'oggi, sembra che questo nostro Creatore (se e vero che esiste), se ne stia così distante da noi e che noi, non siamo neanche in grado di sapere se egli esista realmente! Molti, pensano e gli rimproverano, di non interessarsi a loro e che li abbia lasciati, al proprio destino. Questo accade, per colpa della nostra ignoranza. Dio, ci ha sempre voluti bene! Yahuweh, quando ideò le creature viventi, non li ideò, come automi, insensibili, questo lo possiamo notare, osservando qualsiasi animale, con l'amore che ha ogni madre, per il suo proprio cucciolo. Pensate un'orsa cosa e pronta a fare, per difendere i suoi cuccioli? O quanto amore c'è tra loro, quando giocano tra loro, proseguendo a salire addosso alla madre e a disturbarla e lei, si lascia fare tutte queste cose e di tanto in tanto, da una leccata (come se fossero carezze), a ognuno dei suoi cuccioli. O quando giocano con noi stessi, la felicità che proviamo noi, mentre giochiamo, la stessa cosa prova l'animale. Yahuweh, non ha fatto creature antropomorfe ma, esseri, che si sentono vivi e che possono provare piacere, durante la loro vita. Pensate: se non ci fosse il gusto, si proseguirebbe a mangiare, ma non si proverebbe nessun piacere nel farlo. I colori, un mondo senza colori, come sarebbe, ve lo immaginate? Tutte queste cose, Yahuweh le creò, per rendere la vita più gradevole e bella da vivere, per non parlare delle sensazioni che si provano, quando si gioca col proprio bambino o bambina che sia. Dio, si preoccuperebbe di renderci felici, per poi, abbandonarci? Non è così! Yahuweh, si preoccupò di ognuno di noi, prima ancora che Satana si ribellasse, perché nella sua sapienza, Yahuweh, avrà pure previsto nella sua lungimiranza, che col lungo andare, qualcuno avrebbe cercato di deviare quindi, prima o dopo, doveva accadere e in previsione di questo, Yahuweh, aveva calcolato cosa fare così, dopo che Satana istigò Eva a disubbidire a Dio, persuadendola che Dio mentiva, Yahuweh, pronunciò la prima profezia che si doveva concludere con la fine del tempo della rivolta, per riportare la creazione alle sue origini, dove tutto l'universo sta in armonia col Creatore. Yahuweh, si interessa di ognuno di noi, e lo possiamo apprendere, solamente se leggiamo la sua parola. Non possiamo venirne a conoscenza se leggiamo Socrate o la gazzetta dello sport. In 2 Cronache 36: 15-16, Yahuweh, per dar scampo al suo popolo, cercava di richiamarli a s, per salvarli, dicendo:E Yahuweh l'Iddio dei loro antenati mandava avvertimenti (richiami) contro di loro per mezzo dei suoi messaggeri, mandandoli più volte, perché provò compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma si facevano continuamente beffe dei messaggeri del vero Dio e disprezzavano le sue parole e schernivano i suoi profeti, finché il furore di Yahuweh salì contro il suo popolo, finché non ci fu più, guarigione. Prosegue, dicendo: che punì il popolo Israelita e questo, vale, anche per noi oggi. In Isaia 1: 18, Yahuweh chiama dicendo: Venite, ora, e mettiamo le cose a posto fra noi, dice Yahuweh. Benché i vostri peccati siano come lo scarlatto, saranno resi bianchi proprio come la neve; benché siano rossi come il panno cremisi, diverranno pure come la lana. Se Yahuweh fa questi generi di richiami, non si può dire che non s’interessi di noi, anzi, fa di tutto per avvertire coloro che lo cercano con cuore sincero, affinché si affidino a Lui (l'Unica Roccia, a cui aggrapparsi), facendo quello che Egli dice. Isaia 2: 5 porta scritto: O uomini (che dite di amare Dio), venite e camminiamo nella luce di Yahuweh. Anche qui, sta a chiamare coloro che hanno il dono della fede. In Geremia 7: 13, Yahuweh dice: E ora per la ragione che continuaste a fare tutte queste opere, è l'espressione di Yahuweh, e io continuai a parlarvi, alzandomi di buon'ora e parlando, ma non ascoltaste, e continuai a chiamarvi, ma non rispondeste. In Geremia 25: 3-7 ci sta un altro potente richiamo che vale anche per noi oggi, dove ci sta scritto: Dal tredicesimo anno di Giosia figlio di Ammon, re di Giuda, e fino a questo giorno, in questi ventitré anni la parola di Yahuweh mi è stata rivolta, e vi parlavo, levandomi di buon’ora e parlando, ma voi non ascoltaste. E Yahuweh vi mandò tutti i suoi servitori i profeti, alzandosi di buon’ora e mandandoveli, ma voi non ascoltaste, né porgeste orecchio per ascoltare, dicendovi: Volgetevi, suvvia, ognuno dalla sua cattiva via e dalla malizia delle vostre azioni, e continuate a dimorare sul suolo che Yahuweh diede a voi e ai vostri antenati da molto tempo fa e per un lungo tempo avvenire. E non camminate dietro ad altri déi per servirli e inchinarvi davanti a loro, in modo da non offendermi con l'opera delle vostre mani e in modo che io non vi causi calamità. Ma voi non mi ascoltaste, è l'espressione di Yahuweh, con l'intento di offendermi con l'opera delle vostre mani, a vostra calamità. E nel caso che non avrebbero ascoltato il suo richiamo, nel versetto 11 fa scrivere: E tutto questo paese deve divenire un luogo devastato, un oggetto di stupore, e queste nazioni (di cui voi fate parte), dovranno servire il re di Babilonia per settant'anni. Questo, si è avverato, a scapito degli israeliti di quel tempo, mentre, questo medesimo messaggio, vale anche per noi oggi. Ricordiamoci che siamo nel giorno del Signore e questo vuol dire che siamo vicino della fine di questo sistema malvagio. Al 30: 21-22 Yahuweh dice a coloro che veramente lo cercano: Poiché chi è ora, questi che ha dato in pegno il suo cuore per accostarmisi? è l'espressione di Yahuweh. A tutti quelli che avrebbero dato il proprio cuore come pegno a Yahuweh e non per modo di dire ma, letteralmente per come si esprime; alla maniera di Cristo e degli apostoli, a questo genere di persone dice, nel versetto 22: E voi diverrete certamente il mio popolo, e io stesso, diverrò il vostro Dio. Sentite cosa dice nel versetto seguente, a tutti quelli che non avrebbero preso a cuore, tutti questi richiami; 24: L'ardente ira di Yahuweh non si ritirerà finché Egli, non avrà eseguito e finché non avrà compiuto le idee del suo cuore. Nella parte finale dei giorni lo prenderete in considerazione. Lo prenderanno in considerazione, solo chi ha conoscenza della Bibbia ed è in vita. Chi non conosce le profezie bibliche, non potrà comprendere gli eventi che devono accadere, nel tempo della fine! Ecco, chi sono, coloro che nella parte finale dei giorni, avrebbero considerato gli eventi che dovevano accadere e riconoscerli. Questa è una profezia fatta da Yahuweh, che si doveva compiere nella parte finale dei giorni, non prima! Questa profezia, si sta realizzando da più di cento anni e la gente, non se ne accorge nemmeno. Poi, ci sono alcuni che dicono: perché non ci dai un segno, per dimostrarci che esisti? [Per più di 1500 anni, chiamò il popolo ebraico e da più di due mila anni, questo invito, è rivolto a tutti i popoli della terra quindi, non possiamo dire, che Dio, non s’interessi di noi. Vi ricordate la parabola di quel Re, che aveva organizzato una grande festa, mandando gli inviti, alle persone più rappresentativi, del suo regno e costoro, con varie scuse, rifiutarono l’invito e il Re, per ripicca, sostituì i nobili, con la gente comune del popolo, compresi storpi e ciechi. I nobili, sarebbero gli ebrei, che sono stati rigettati come popolo e il popolo di Dio, sono, tutti coloro che si sottomettono al suo volere, comportandosi e vivendo, come ordina Dio e suo figlio il Cristo]. Sono millenni, che Dio fa chiamare nelle strade e dietro le porte, ricevendo rifiuti ed insulti; ma, trovando anche qualcuno che l'ascolta. 32: 33 E continuarono a rivolgermi il dorso e non la faccia, benché io insegnassi loro, alzandomi di buonora e insegnando, ma non c'era nessuno di loro che ascoltasse per ricevere disciplina. Anche in Ezechiele 3: 10-11 Yahuweh avverte e chiama le persone dicendo: Figlio dell'uomo, tutte le mie parole che ti pronuncerò, ricevile nel tuo cuore e odile con i tuoi propri orecchi. 11 E va, entra tra il popolo ... e devi dir loro: il Sovrano Signore Yahuweh ha detto questo, sia che odano o che se ne astengano. L'importante era, che Ezechiele, facesse conoscere gli avvertimenti, anche se il popolo, non avrebbe ascoltato. La stessa cosa, faccio io, in questo momento, riproponendo questo messaggio, per far capire, che questo messaggio, è valido anche adesso, sia che odano o che se ne astengano. Sentite cosa dichiara Daniele nel suo libro, omonimo, al capitolo 9: riguardo al fatto che dovevano rimanere per settantanni sotto il dominio babilonese per come prediceva la profezia: Nel primo anno di Dario figlio di Assuero del seme dei medi, che era stato fatto re sul regno dei caldei, nel primo anno del suo regno io stesso, Daniele, compresi dai libri il numero degli anni riguardo ai quali la parola di Yahuweh era stata rivolta a Geremia il profeta, per compiere le devastazioni di Gerusalemme, cioè, settant'anni. E volgevo la mia faccia a Yahuweh Dio, per cercarlo con preghiere e suppliche, con digiuno e sacco e cenere. E pregavo Yahuweh mio Dio e facevo confessione e dicevo: Ah Yahuweh, vero Dio, grande e tremendo, che osserva il patto e l'amorevole benignità verso quelli che lo amano e verso quelli che osservano i suoi comandamenti (ci rendiamo conto, che qui Daniele stesso conferma che Yahuweh osserva il patto (quello fatto con Cristo Yahushua) e verso quelli che realmente lo amano!? Questo è un messaggio, che vale per tutti quelli che leggono queste frasi), 5 noi abbiamo peccato e fatto il male e agito malvagiamente e ci siamo ribellati; e c'è stato uno sviarsi dai tuoi comandamenti e dalle tue decisioni giudiziarie. E non abbiamo ascoltato i tuoi servitori i profeti (forse noi oggi, li ascoltiamo i profeti? Non sappiamo neanche cosa hanno scritto e se sono esistiti e potremmo sapere, cosa dicono!?), che hanno parlato in tuo nome ai nostri re, ai nostri principi e ai nostri antenati e a tutto il popolo del paese e non abbiamo ubbidito alla voce di Yahuweh nostro Dio per camminare nelle sue leggi che Egli ci pose dinanzi per mano dei suoi servitori i profeti. (E noi, camminiamo nelle leggi di Yahuweh Dio? Questo principio, valeva solo per gli Ebrei o vale anche per noi oggi?) E tutti i figli d'Israele, hanno trasgredito la tua legge e c'è stato uno sviarsi, col non ubbidire alla tua voce, così che versasti su di noi la maledizione e la dichiarazione giurata che è scritta nella legge di Mosè il servitore del vero Dio, poiché abbiamo peccato contro di lui. Ed Egli eseguiva le sue parole che aveva pronunciato contro di noi e contro i nostri giudici che ci giudicavano blandamente, facendo venire su di noi una grande calamità tale, che non si è fatto sotto tutti i cieli per come si è fatto in Gerusalemme. Proprio come è scritto nella legge di Mosè, tutta questa calamità è venuta su di noi, e non abbiamo placato la faccia di Yahuweh, nostro Dio, volgendoci dal nostro errore e mostrando perspicacia nella sua verità. E Yahuweh vigilava sulla calamità e infine la fece venire su di noi, poiché Yahuweh nostro Dio è giusto in tutte le sue opere che ha fatto; e noi, non abbiamo ubbidito alla sua voce. Come possiamo notare, non è Yahuweh che non chiama, siamo noi che siamo sordi, e nel caso che sentiamo, non ubbidiamo! Tutti questi richiami e inviti, allora erano rivolti al popolo d'Israele ma, Yahuweh, in Osea 2: 23 b, dice che avrebbe rigettato il suo popolo, per prendere persone delle nazioni, affermando: ... e certamente dirò a quelli che non sono mio popolo: Tu sei mio popolo, ed essi, da parte loro, diranno: Tu sei nostro Dio. Qui, sta affermando che molte persone delle nazioni, avrebbero accettato i suoi inviti e l'avrebbero scelto quale vero Dio. Proseguendo a parlare con quelli di una volta (riferendosi alla fine dei settantanni del dominio babilonese) e con noi oggi [dato che siamo nel tempo della fine], il 3:5 dice: In seguito i figli d'Israele torneranno e certamente cercheranno Yahuweh loro Dio, e Davide (che sarebbe Yahushua) loro re; e di sicuro verranno tremando a Yahuweh loro Dio, e alla sua bontà nella parte finale dei giorni. Questa è una profezia, che si ripete per ben tre volte, allora, tempo di Yahushua e nel nostro tempo. E nel 4: 1 chiama le persone che lo amano, dicendo: Udite la parola di Yahuweh, o figli d'Israele, poiché Yahuweh ha una causa con gli abitanti del paese, poiché non c'è verità né amorevole benignità né conoscenza di Dio sulla terra. (come possiamo notare, sta includendo tutta la terra) 10: 12 Seminate per voi seme nella giustizia; mietete secondo l'amorevole benignità. Coltivatevi il terreno arabile, quando c'è tempo per ricercare Yahuweh finché Egli venga e vi dia istruzione nella giustizia. Qui Yahuweh, a chi parla, se non a coloro, che Lui ama? Quello che Lui consiglia, sono consigli di un Vecchio (Antico) saggio. Michea 6: 8, ci riprende di nuovo dicendo: Egli ti ha dichiarato, o uomo terreno, ciò che è buono. E che cosa richiede da te Yahuweh, se non di esercitare la giustizia e la benignità e di essere modesto nel camminare col tuo Dio (qui a scrivere è Michea, ma chi detta, dovrebbe essere Yahushua), In Sofonia 3: 8-9, ci sta scritto (anche in questo caso dovrebbe essere sempre Yahushua, quando ancora viveva col nome di Michele): Perciò attendetemi, è l'espressione di Yahuweh (Chi si attese per molto tempo? E chi attendiamo noi oggi? At 1: 11, dice: “Uomini di Galilea, perché state a guardare in cielo? Questo Yahushua che di fra voi è stato assunto in cielo, verrà nella stessa maniera in cui l’avete visto
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Astraendoci anche solo per un attimo dai fatti di cronaca nera che hanno caratterizzato la partita di Anfield, credo sia giusto dare ai nostri lettori la possibilità di leggere anche un nostro classico resoconto della partita. Se non altro per quello che Liverpool-Roma è stata e sarà sempre per le due tifoserie.
La “battaglia” di Via del Corso
Sebbene il fischio d’inizio fosse fissato per le 19:45 locali di martedì 24 aprile 2018, questa partita è iniziata molto prima. Dalla vendita dei biglietti, che penso vada quanto meno menzionata, giusto per far capire quanta fame di calcio ci sia a Roma e quanto determinati momenti diventino giocoforza tragicomici.
Due sono le nottate passate da centinaia di ragazzi e signori attempati fuori il Roma Store di Via del Corso. Occhi stanchi, cambi turno al lavoro, gente che si è addormentata sui sampietrini, nel cuore della Capitale. La palpitazione e l’ansia per rimediare tutti i biglietti delle trasferte precedenti, utili ad acquistare il ticket in prelazione.
C’era chi si faceva i conti su quanti biglietti sarebbero dovuti rimanere in vendita libera e chi gestiva gli appelli in base ai bigliettini posseduti dai presenti. C’era pure chi – armato di saliva e ditino – girava l’angoletto infilandosi nei vicoletti per cercare di cancellare il nome apposto a penna sui biglietti di Barcellona-Roma: “Se er nome nun corrisponde all’abbonamento rompono li cojoni!”.
Attimi di tensione e nervosismo al momento della vendita, gente che ha pianto per non esser riuscita a prendere un tagliando e tanti dubbi su come non si sia riusciti ad arrivare alla vendita libera. Modalità di vendita contestatissime dai tifosi, anche in virtù della confusione generata da quella per la gara di ritorno, all’Olimpico.
La cosa certa è che molti tagliandi sono finiti in mano a bagarini o pseudo tali. Risultato? È ancora possibile riscontrare online la vendita degli stessi a cifre esorbitanti. Si va dai 400 ai 1000 Euro.
Credo che per quanto riguardi i biglietti per la partita dell’Olimpico si debba fare una seria riflessione sulla vendita attraverso i canali telematici: oggigiorno il bagarino non è più lo scapestrato di turno che si presenta fuori dallo stadio con la mazzetta di tagliandi, bensì un personaggio che sa muoversi bene nel mare magnum della rete, arrivando anche ad hackerare sistemi di vendita. Per questo genere di eventi, non sarebbe meglio bandire totalmente la vendita telematica e consentire solo quella attraverso pochi punti vendita fisici? Si creerebbero code, è vero, ma si assicurerebbe una maggiore limpidezza.
A tal merito abbiamo raccolto la testimonianza di un tifoso della Roma residente a Milano, presente a Liverpool malgrado non sia riuscito ad acquistare il biglietto del match. Il suo appello a una migliore organizzazione delle vendite è alquanto eloquente:
http://www.sportpeople.net/wp-content/uploads/2018/04/WhatsApp-Video-2018-04-27-at-09.40.17.mp4
Road to Liverpool
Il mio viaggio inizia domenica sera alle 23:30, con il più classico dei Flixbus per Verona. Da là treno per Venezia la mattina successiva, aereo per Leeds e ancora pullman per Liverpool. Quasi ventiquattrore in giro, accompagnato solo da uno zaino, qualche panino e 3/4 birre mandate giù tra l’Italia e l’Inghilterra.
La prima nota di colore è il passaggio dal Veneto allo Yorkshire. Che più o meno equivale allo spostamento da una località caraibica a una polare. Il mio è chiaramente un paradosso, ma la forte escursione termica risulta comunque fastidiosa.
Liverpool attorno a mezzanotte sembra essere una città ancora viva. Incontro un amico e decidiamo di farci un giro per il centro dopo aver posato il bagaglio in ostello. Ci sono tanti ragazzi ma nessuna traccia di italiani. In molti hanno alloggiato nella vicina Manchester o addirittura a Londra, mentre la maggior parte del contingente giallorosso arriverà in città soltanto l’indomani.
Non c’è praticamente traccia di poliziotti in giro per la città e sebbene la militarizzazione sia una prerogativa eccessivamente italiana, rimaniamo alquanto sorpresi considerando la gara a rischio e le possibili scie lasciate dai fumi dell’alcol. Faccio presente che ammiro il modello inglese di gestione dell’ordine pubblico sotto molti punti di vista. Non facendo ovviamente riferimento a quel “modello inglese” acritico spesso invocato dai media italiani come panacea di tutti i mali del calcio.
Mettiamo subito le cose in chiaro: i sudditi di Sua Maestà non hanno certo eliminato scontri e tensioni a margine delle partite, ed è sufficiente fare una rapida ricerca online per dimostrarlo. Del resto la perfezione non può essere di questo mondo e spesso, in terra d’Albione, si preferisce non dare eco a incidenti o turbolenze, proprio per non intaccare questa nomea di oasi felice che ormai tutto il sistema calcistico britannico si è costruito agli occhi del mondo.
Comunque è vero che le forze dell’ordine locali preferiscono il dialogo e il buon senso con i tifosi, pur restando rigide e inflessibili se una regola viene trasgredita. In Inghilterra a nessuno è mai venuto in mente di vietare una trasferta o costringere i tifosi a presentare i propri documenti per acquisire un biglietto o un abbonamento.
Non so se questo raggiungimento del karma (dal loro punto di vista) può aver influito nella leggerezza con cui è stato organizzato e gestito il servizio d’ordine di questa partita. Di certo le tante testimonianze che si sono avvicendate in questi giorni e la brutta vicenda capitata a Sean Cox gettano più di un’ombra sulla perfezione del lavoro effettuato dai bobbies.
Lo abbiamo raccontato (qui e qui) e in questo pezzi mi limiterò solo a qualche accenno, volendo parlare di altro.
È altrettanto vero che Liverpool rappresenta uno spartiacque per il modo di fare ordine pubblico in Gran Bretagna. Una nazione falcidiata, almeno fino alla fine degli anni ottanta, da veri e propri disastri nei propri stadi. Culminati con la tragedia di Hillsborough, il 15 aprile 1989, quando a causa di una folle gestione dell’afflusso dei tifosi alla semifinale di FA Cup morirono 96 supporter del Liverpool. Ci sono voluti più di vent’anni per ammettere che i veri responsabili di quella tragedia furono le forze dell’ordine, anziché i tifosi dei Reds, vittime di un’infame campagna denigratoria da parte di molti tabloid nazionali, su tutti The Sun.
Paradossalmente l’Inghilterra è divenuto ormai un Paese che tiene molto più in considerazione i tifosi rispetto all’Italia. Due esempi su tutti? La grande discussione in atto ormai da anni sulle reintroduzione delle standing area (già avvenuta in alcuni stadi) e il progressivo abbassamento dei biglietti per i tifosi ospiti.
Già, proprio quei biglietti che a Liverpool hanno generato tanto malumore tra i tifosi che andranno all’Olimpico e saranno costretti a pagare ben 85 Euro, a fronte delle 48 Sterline (56 Euro) pagate dai romanisti ad Anfield. Fate voi il raffronto tra gli stadi, i settori ospiti e il costo medio della vita nei due Paesi e traete le vostre conclusioni.
http://www.sportpeople.net/wp-content/uploads/2018/04/WhatsApp-Video-2018-04-27-at-13.29.01.mp4
Matchday
La mattina di martedì il cielo annuncia pioggia, come nella più classica delle tradizioni inglesi. I goccioloni bagnano Liverpool e il suo mare. La gente sembra ampiamente fregarsene e già dalle 9 riempie pub bevendo birre e mandando già full english breakfast. Fanno altrettanto gli italiani che alla spicciolata cominciano ad arrivare. Nel frattempo le strade sono un tripudio di bandiere biancorosse e tifosi che indossano maglie e sciarpe della squadra allenata da Klopp.
Ecco, in questo già si nota – ad esempio – una certa differenza con Londra, ma anche con la vicina Manchester. Gli scousers hanno la fama di essere tifoseria calda e viscerale. E sono odiati in tutta l’Inghilterra, che vede in loro un modo zingaresco di professare la propria fede. Sarà anche per questo che ho sempre avuto la curiosità di vederli all’opera. Pur sapendo che ormai di quella tifoseria che saliva sulle navi senza pagare e rubava le autoradio a rotta di collo è rimasto ben poco.
La zona del porto – un tempo uno dei posti più malfamati di tutta l’Inghilterra – risulta carina e accogliente, totalmente ristrutturata e ricca di musei sulla città e sulle sue tradizioni storiche e marinare. Da là, camminando lungo il Mersey, è possibile avvicinarsi ad Anfield. E cominciare a respirare l’aria della partita.
I Reds tornano in una semifinale di Champions League dopo diversi anni e – come detto – la città è in fibrillazione. Malgrado la pioggia che continua a cadere imperterrita in tanti sono appostati laddove passerà il pullman della squadra per salutarlo con torce e fumogeni. Un’usanza molto poco inglese, che viene però ripetuta ad ogni occasione simile. Con il Manchester City, ai quarti di finale, questo aveva creato non pochi problemi a causa di qualche oggetto lanciato verso il pullman dei Citizens. Tanto è vero che nella conferenza del giorno precedente Klopp ha invitato i propri tifosi a non assaltare il pullman della Roma.
Sta di fatto che a livello emotivo e passionale è davvero bello vedere questo assembramento di gente con sciarpe, torce, fumogeni e bandiere caricare i propri idoli. Sono in tanti a salire addirittura sui blindati della polizia, che si limita ad osservare. A onor del vero il giorno successivo la Merseyside Police dichiarerà di aver aperto un’indagine per individuare i possessori degli artifizi pirotecnici.
Prima di entrare tappe d’obbligo sono il cancellone con la scritta “You’ll never walk alone” e la targa in memoria della Strage di Hillsboroug. Luoghi culto, per diversi motivi, della Liverpool calcistica.
Le entrate di Anfield sono alla “vecchia maniera”, quelle tipiche degli stadi inglesi di una volta. Diciamo che l’afflusso nel settore ospiti non è dei più ordinati, con bobbies e steward che non sembrano dare grande peso né al controllo dei biglietti né tanto meno a quello “corporale”. Cosa che posso dire non sia esattamente normale in Inghilterra. Mi basta pensare alle esperienze di Old Trafford, City of Manchester e Stamford Bridge, con steward pronti a tastare ogni parte del corpo. La mia non è certo una lamentala, ma una constatazione su come forse il dispositivo di sicurezza abbia preso un po’ a cuor leggero tutta la giornata. Per essere netti: non si giocava contro il Sutton United o lo Yeovil Town. Forse non era molto chiaro.
Che dire dello stadio? Penso il più bello a livello strutturale/ambientale visto nel Regno Unito. Senza troppi fronzoli, ma moderno. Non altezzoso (in stile Emirates Stadium) ma confortevole. Ma soprattutto caldo e vivo. Sarà stata la dirompente partita dei Reds e l’entusiasmo per l’importanza della posta in palio, ma praticamente per 90′ la Kop e buona parte delle tribuna si sono fatte sentire in maniera impeccabile, con diversi fumogeni accesi ai gol. Quasi tutti in piedi peraltro (altra particolarità per essere uno stadio inglese).
Avendo visto nel giro di pochi mesi due tempi celebrati del calcio internazionale come il Westfalenstadion di Dortmund e Anfield, posso tranquillamente dire che almeno nel secondo caso la fama è meritata. Sia chiaro, non parliamo del Marakana di Belgrado e neanche di uno stadio italiano mediamente caldo, ma per quello che gira nella Perfida Albione siamo davvero oltre ogni più rosea aspettativa. Non so se in campionato si raggiungano questi livelli, tuttavia l’orgoglio degli scousers è veramente ammirevole in questa serata di aprile.
E il settore ospiti? Forse un po’ per quanto successo fuori, forse per il pesante passivo e forse anche per la dubbia composizione (tanti sono sembrati davvero alla prima trasferta della vita) la performance non è esattamente delle migliori. Dopo un primo tempo discreto, nella ripresa i giallorossi calano vistosamente, riprendendosi nel finale con i due gol che riaccendono una flebile fiammella di speranza per il ritorno e protraendo i propri cori anche oltre il fischio finale, in un moto d’orgoglio di chi comunque ha macinato migliaia di chilometri dopo l’immane fatica per acquistare il biglietto.
Beninteso, in una partita del genere occorre anche tenere conto della tensione legata alla partita. Il popolo romanista aspettava una sfida del genere da oltre trent’anni e nelle settimane precedenti l’ha caricata all’inverosimile. Forse in maniera autolesionista, come spesso gli avviene. Cinque gol in sessanta minuti hanno proiettato negli occhi dei presenti un film già visto decine di volte, con una probabile umiliazione difficile da sopportare per chi nel calcio ripone tutte le proprie speranze, gioie e delusioni.
Sul post partita abbiamo già detto negli articoli relativi agli scontri. Il deflusso è stata forse la parte più critica e peggio gestita di tutta la giornata. Personalmente, dovendo tornare verso Londra in macchina, riesco a districarmi abbastanza agevolmente.
Mi aspetta ancora un viaggio della speranza: cinque ore di macchina, due di aereo verso Milano e tre di treno per Roma. Ma tutto sommato resta nel cuore e nella mente un’altra esperienza da raccontare.
Ultimo pensiero va al tifoso dei Reds attualmente in coma farmacologico a cui auguro una pronta ripresa per tornare a occupare il suo abituale posto nella Kop!
Simone Meloni
Liverpool-Roma, Champions League: c’è tutta la gioia, l’isteria e la sofferenza di un popolo Astraendoci anche solo per un attimo dai fatti di cronaca nera che hanno caratterizzato la partita di…
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Pane croccante di semi e di grano saraceno
Quando ero bambina, la mia famiglia aveva una piccola isola dove trascorrevamo le nostre estati. Non c’erano vicini, elettricità o acqua corrente. Sia che brillasse il sole o che piovesse, io e mio fratello ci tuffavamo nel lago, nuotavamo e giocavamo come un paio di trote. Una volta la settimana facevamo una gita in barca per comprare qualcosa da mangiare e poi mia madre faceva fermentare lo yogurt, il viili (una cagliata nordica) e il latticello di burro che tenevamo al fresco in un buco scavato nel terreno. A luglio i mirtilli selvatici e i mirtilli rossi circondavano il nostro cottage, e noi li mangiavamo direttamente dai cespugli. C’era un’isola più grande, vicino a noi, dove a ogni fine estate andavamo a raccogliere secchiate di fragole selvatiche, di lamponi e di funghi.
Raggiunta la pubertà, io e mio fratello ci siamo rifiutati di andare sull’isola. Non era più di moda, e noi non potevamo stare lontano dai nostri amici per tre mesi all’anno. Da adolescenti, vedevamo quella vacanza come una punizione e, durante la nostra ultima permanenza, avevo progettato di fuggire via dopo aver letto il libro di memorie di Henri Charrière, anche chiamato Papillon, che descriveva la sua fuga da una colonia penale della Guiana francese.
Vedendo la nostra resistenza, i miei genitori vendettero la casa estiva quando mio fratello aveva sedici anni e io, quindici. Mi ci sono voluti tre anni per rendermi conto della perdita che era stata. È stato allora che ho iniziato a fantasticare sulla vita in campagna.
Lo scorso dicembre, dopo aver vissuto in condizioni abbastanza primitive per otto mesi, la realtà della mia scelta di vita rustica mi sorprese. Una mattina presto, mentre stavo andando nel seminterrato a mettere della legna nella caldaia, mi sono resa conto che questo è il modo in cui più o meno passerò il resto dei miei giorni. L’idea di salire per le scale, curarmi del giardino, tagliare la legna e spalare la neve era diventata parte del mio essere, ma all’improvviso, mi apparve tutto così ordinario e persino oneroso! Per la prima volta, vidi che la cantina non era un santuario, ma un sotterraneo freddo e umido dove mi sedevo per due ore ogni alba, meditando mentre attizzavo il fuoco dopo ogni 108 ° mantra, e mentre un ragno dalle otto zampe strisciava su di me. Le pareti e il soffitto che avevo imbiancato in primavera erano già sporche di fuliggine. In preda al panico, mi sono chiesta se il fumo e il catrame mi avessero macchiato anche i polmoni. Sarò in grado di far fronte a queste austerità fino alla fine della mia vita? È stato un errore trasferirsi in questa casa di legno?
Ogni novità finisce.
Anche se è umano riporre in modo errato il desiderio di essere soddisfatti nell’ottenimento di oggetti materiali, di una posizione, di relazioni e di conquiste, mi preoccupa il fatto che spesso immagino che diventerò felice mangiando un altro pezzetto di cioccolato o avendo un paio di scarpe; o visitando l’Himalaya, o cambiando la mia visione del mondo, ottenendo una laurea o migliorando in modo significativo l’ultima versione di mio marito (scusami, caro)! Sfortunatamente non succederà perché l’anima che io sono sotto la carne, il sangue, le ossa, la mente e la ragione è pienamente compatibile solo con l’energia spirituale. La materia, per quanto ipnotizzante possa apparire, scorre su una frequenza diversa e temporanea che lascerà sempre l’anima affamata. Per quanto tempo continuerò a confondere queste cose e queste situazioni con la felicità?
La felicità è una sfida perché è una disposizione mentale, un’emozione fluttuante, in cui la sofferenza è momentaneamente assente. Come ogni stato di equilibrio, si capovolge facilmente sotto l’influenza di una forza opposta. La soddisfazione, d’altra parte, viene dal conoscere il sé e la relazione dell’anima con la natura, sia materiale che spirituale. Non è influenzata da circostanze esterne e da fattori temporali, in quanto si tratta di una convinzione profonda centrata sul vero sé e sullo scopo della vita.
Il pane tostato non è una delicatezza gastronomica, come la pizza e le crêpes che offrono una gratificazione istantanea, ma è una necessità che le persone nordiche hanno adottato e mantenuto per sopravvivere sin dal 500 D.C. Essendo un piatto dei poveri, riflette una stagione di raccolto breve e le difficoltà dell’inverno. Per me riassume (rispetto a qualsiasi altro pane) la differenza tra felicità e soddisfazione.
Nelle famiglie originariamente si cuocevano delle sottili fette di pane di farina di segale integrale, con sale e acqua, e le appendevano sotto il tetto. Oggi vengono usati vari cereali e semi.
Ecco le mie due ricette senza glutine:
Pane croccante di semi e di grano saraceno (per circa 15 pani)
Ingredienti per il pane di semi:
250 ml. di semi di girasole
125 ml. semi di zucca verdi
125 ml di semi di sesamo
4 cucchiai di semi di lino
5 cucchiai di semi di chia
1 cucchiaio di semi di finocchio
1 cucchiaio di rosmarino secco
1 cucchiaio di semi di kalonji
1 cucchiaino e mezzo di sale dell’Himalaya
4 cucchiai di burro chiarificato, olio o burro fuso
250 ml di acqua bollente
Ingredienti per il pane di grano saraceno:
625 ml. di farina di grano saraceno
2 cucchiai di semi di sesamo
2 cucchiai di semi di chia
1 cucchiaino e mezzo di sale dell’Himalaya
4 cucchiai di burro chiarificato, olio o burro fuso
325 ml. di acqua bollente
Metodo:
Per il pane con i semi, macinate finemente il rosmarino e tutti i semi, eccetto il kalonji. Aggiungere kalonji e sale, e aggiungete il ghi, l’olio o il burro fuso. Versate l’acqua bollente e mescolate bene finche’ il composto diventa omogeneo. Mettete da parte l’impasto per 10 minuti.
Per il pane croccante di grano saraceno mescolate la farina, i semi, il sale e il burro chiarificato, l’olio o il burro fuso. Versate l’acqua bollente e mescolate finche’ l’impasto diventa omogeneo. Mettete da parte l’impasto per 10 minuti.
Preparate delle palline e stendetele nel modo più sottile possibile. È più facile stendere l’impasto se lo mettete tra due fogli di carta da forno.
Cuocete il pane a 175 gradi fino a quando non e’ dorato.
Nota:
Potete variare la quantità dei semi a vostro piacimento e utilizzare altre spezie come il cumino invece di quello che ho suggerito. Aggiungendo più ghi, olio o burro, il pane diventerà più ricco e croccante. Invece dell’acqua, potete usare della panna acida o del latte (non devono essere bollenti).
Grazie.
Laksmi devi dasi
(dal sito purevege.com)
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Un’idea per una passeggiata fuori porta, un giro in moto, è quella del Sacro Monte di Varese e del Parco del Campo dei fiori. Facilmente raggiungibile si trova a nord del centro di Varese, sul monte Orona nelle Prealpi varesine.
Luogo di culto e storia, inserito nel parco regionale del Parco dei Fiori, in un contesto ambientale di valore, con sentieri che consentono camminate per tutti i gusti, immersi nella natura e che offrono paesaggi spettacolari. Una vista che abbraccia il Lago di Varese, il Lago Maggiore, le prealpi luganesi, le Orobie, la catena delle Alpi fino al Monviso e alle Alpi Marittime, la pianura padana e l’appennino con i contrafforti emiliani. La vetta maggiore del Campo dei Fiori è la punta di Mezzo a quota 1.227, mentre a Punta Paradiso, si trova la “Cittadella di scienze della natura”, con l’Osservatorio astronomico Schiaparelli, fondato nel 1956 da Salvatore Furia.
Il complesso del Sacro Monte di Varese è stato inserito nel luglio 2003, nel patrimonio dell’Unesco, assieme ad altri otto siti simili come “Paesaggio culturale dei Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia”.
E’ una storica e nota meta di visite e pellegrinaggi composto da quattordici cappelle, splendidamente collocate nell’ambiente naturale, dedicate a un Mistero del Rosario. Probabilmente già utilizzato come luogo di culto ai tempi dei primi abitanti che avevano colonizzato il lago di Varese con palafitte, 4/5mila anni a.C. poi dai Celti. Dal medioevo è diventato una nota meta di pellegrinaggio per i devoti lombardi e del Canton Ticino. Si può raggiungere con mezzi pubblici o privati, percorrendo la suggestiva strada che porta in vetta, attraverso storiche ville liberty, palazzi della ricca borghesia imprenditoriale, boschi, pinete, lasciando poi i mezzi nell’apposito piazzale, vicino al Santuario. Si può raggiungere anche con la spettacolare funicolare, in stile liberty, che parte poco sotto la Prima Cappella e porta dritto nel cuore del borgo del Sacro Maria del Monte. Una corsa in funicolare pari a 1 Euro.
Nel 1474 fu edificato nella zona più elevata del monte un monastero, fondato dalle beate Caterina da Pallanza e Giuliana da Verghera (Beata Giuliana), dove ancora oggi sono ospitate le Suore Romite Ambrosiane.
All’inizio del Seicento il frate cappuccino Giovanni Battista Aguggiari e la madre badessa suor Tecla Maria Cid, iniziarono a edificare un acciottolato che seguisse il percorso del monte con quattordici Cappelle sui Misteri del Rosario, nasceva così la Via Sacra delle Cappelle del Rosario. Quest’ ambizioso progetto fu portato avanti per tutto il XVII secolo da scultori come Bussola, e pittori come Nuvolone e Morazzone, che lavorarono seguendo l’architetto Giuseppe Bernascone, mentre a sovvenzionare i lavori ci pensò la città di Varese. Creando così un percorso sacro, di circa 2 km che parte dalla Prima Cappella, a quota 550 slm, fino a raggiungere il santuario di Santa Maria del Monte a 820 metri.
Verso la fine del Novecento sono stati eseguiti alcuni lavori di restauro delle Cappelle voluti dal vescovo Pasquale Macchi, prima Arciprete del Santuario e poi Segretario del Papa Paolo VI.
Quasi all’inizio della Via Sacra si trova la Chiesa dell’Immacolata, mentre le 14 cappelle che celebrano i Misteri del Rosario si snodano lungo un tragitto scandito da tre archi ogni cinque cappelle, l’Arco dei Misteri Gaudiosi, l’Arco dei Misteri Dolorosi e l’Arco dei Misteri Gloriosi. La terza cappella è stata dipinta negli anni 80′ da Renato Guttuso, con un affresco che è un’esplosione di colori raffigurante la “Fuga in Egitto”.
Le cappelle della Via Sacra finiscono poco prima della fontana del Mosè, ideata all’inizio dell’Ottocento con uno stile neoclassico dall’architetto Francesco Maria Argenti di Viggiù.
Superata la scalinata, si arriva nella Piazza del Santuario con la torre campanaria ideata da Giuseppe Bernasconi nel 1598, il pozzo, inquadrato da due colonne ioniche, collegate da un architrave e un monumento bronzeo dedicato a Paolo VI, di Floriano Bodini, mentre a destra, in alto, si trova la seicentesca Chiesa dell’Annunciata. Piazza che è anche uno dei principali e spettacolari punti per ammirare il panorama. Santuario che da alcuni anni è facilmente raggiungibile con un comodo ascensore, posizionato proprio sotto la piazza, che ha facilitato l’accesso ad anziani e disabili.
Nel Santuario della Madonna Assunta si trova sull’altare principale il quindicesimo mistero del Rosario, l’Incoronazione della Madonna.
Nel 2013 lo scavo nella piccola cripta romanica a tre navate, ha riportato alla luce, reperti, mura e pavimenti che documentano chiaramente la preesistenza di un ben più antico edificio di culto mariano, a oggi non noto. Ritrovamenti che oggi sono visitabili a pagamento.
Il Sacro Monte, però è anche un piccolo borgo antico, abitato, dove il tempo sembra sospeso, ricco di viuzze e scalinate ripide, tra lanterne e numerose ville in stile liberty, ristoranti, bar caratteristici dalla lunga e particolare storia, spesso con terrazze che garantiscono la vista sottostante. Inoltre conta su due musei, il Museo Baroffio, posizionato sulla parte posteriore del Santuario, con uno dei più spettacolari terrazzi del Sacro Monte. Al suo interno la storia di Santa Maria del Monte tra sculture romaniche, miniature preziose, paliotti sforzeschi e dipinti dal XV al XVIII secolo, sino alla sezione di arte sacra contemporanea. Artisti varesini come Borghi, Frattini, Montanari, Quattrini, Tavernari, in mostra accanto a maestri italiani (Biancini, Cantatore, Conti, Minguzzi, Radice, Sironi, Sassu) e ad alcuni protagonisti assoluti dell’arte europea del XX secolo come Buffet, Rouault e Matisse.
Il secondo museo è Casa Museo Lodovico Pogliaghi, di proprietà della Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Una casa-atelier, posta sulla parte finale della salita, prima del borgo, dove il grande ed eclettico artista lombardo, ha lavorato per anni a qualcosa di unico, come nel caso del gesso a grandezza naturale del portone del Duomo di Milano. Una gran mole di bozzetti e sculture dell’artista, reperti di tutte le epoche. Ogni stanza è diversa dall’altra e si viene condotti in un vero e proprio mondo a parte.
Santa Maria del Monte conta anche su un emporio dove si possono trovare opere di carattere sacro e non solo.
Sabato 17 marzo, dopo la chiusura invernale, riapriranno tutti i musei del complesso del Sacro Monte di Varese, Centro Espositivo Mons. Macchi, Casa Museo Pogliaghi, Museo Baroffio e del Santuario e la Cripta.
Il calendario del 2018 sarà molto ricco di eventi e appuntamenti, tra visite tematiche, percorsi e campus per bambini e concerti che popoleranno il sito.
Due sono gli appuntamenti con i quali il Sacro Monte di Varese aprirà la nuova stagione.
Il primo sarà la presentazione della monografia artistica Guido Villa, Cicli pittorici, prevista per sabato 17 marzo alle 17, presso le Sala Conferenze del Centro Espositivo Mons. Pasquale Macchi presso la prima cappella, a ingresso gratuito.
Il volume, ideato da Graziano Campanini insieme a Paola Locatelli, edito da Pendragon di Bologna, vede una cospicua selezione delle opere e dei cicli pittorici realizzati dall’artista vercellese, come Montagne, Ritratti e omaggi, Pittura sociale, Arte sacra, Nature morte, Sport, Africa, Video scenografie, Teatrini poetici, Copertine e manifesti, dove Villa usa un segno grafico-pittorico denso e ricco d’intensità cromatica.
Uomo di poche parole, Guido Villa si esprime attraverso un’arte prorompente, con un’esecuzione veloce e impetuosa, dove crea immagini, usando veloci pennellate e segni dall’andamento fluido e sinuoso.
Interverranno alla presentazione della monografia, ideata da Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese, l’editore Antonio Bagnoli, il curatore Graziano Campanin, direttore del Museo della Sanità e dell’Assistenza presso il complesso monumentale di Santa Maria della Vita a Bologna, e monsignor Franco Givone, ora parroco di Gattinara, ma per molti anni Missionario a Isiolo – Kenya e quindi testimone della realizzazione del Ciclo di dipinti dell’Esodo dello stesso Villa.
Il secondo appuntamento è la prima visita tematica di approfondimento del ciclo d’incontri sul Sacro Monte Contemporaneo, Lello Scorzelli: inaugurazione della formella ritrovata della Via Crucis, prevista per domenica 25 marzo alle 15 presso il Centro Espositivo Monsignor Pasquale Macchi nella prima cappella al Sacro Monte di Varese.
Nato a Napoli nel 1921 e deceduto a Roma nel 1997, Scorzelli, figlio del pittore Eugenio, iniziò la propria formazione da autodidatta e in seguito frequentò l’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Verso la fine degli anni Trenta iniziò l’attività espositiva, con alcune Mostre Sindacali della sua città natale e in seguito alla Biennale di Venezia del 1942, quindi alla Mostra del Ritratto svoltasi a Napoli nel 1945 e a una mostra collettiva degli artisti campani nello stesso anno.
Nel dopoguerra andò a vivere a Firenze per studiare il Rinascimento italiano, grazie alla lettura della Vita di Benvenuto Cellini poi, ispirato dalla figura umana, realizzò numerosi nudi femminili, ma si affermò come ritrattista, modellando nel bronzo immagini che mostravano la sua abilità nel restituire con viva penetrazione psicologica il carattere dei personaggi, come il Ritratto di Orio Vergani del 1947.
Tra le sue opere c’è il bassorilievo in bronzo per la facciata del Nuovo Teatro San Ferdinando di Napoli, eseguito nel 1953 su incarico di Eduardo De Filippo.
Dagli anni Sessanta si dedicò intensamente all’arte sacra, lavorando per la Santa Sede su commissione di Paolo VI, che gli mise a disposizione uno studio in Vaticano, oltre ad alcune opere per la chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma, il monumento commemorativo di Paolo VI per la cattedrale di Brescia e la Fontana del Guerraccino per la città di Napoli.
Il Museo Baroffio e del Santuario e il Museo Pogliaghi, propongono un biglietto unico vantaggioso per turisti e appassionati d’arte che vogliano visitare le due sedi museali del Sacro Monte. Il biglietto cumulativo, fissato a 5 €, consente anche di distanziare nel tempo l’accesso al secondo museo, avendo la validità di un mese.
12 € biglietto cumulativo (permette la visita ai tre musei e ha validità di sei mesi: Casa Museo Pogliaghi, Museo Baroffio e Cripta)
12 € biglietto famiglia (2 adulti + 2 o più bambini)
È attiva una convenzione con le Autolinee Varesine che permette ai visitatori di entrambi i musei del Sacro Monte di viaggiare gratuitamente. Esibendo il biglietto di visita del Museo Baroffio e della Casa Museo Pogliaghi è possibile scendere gratuitamente da Santa Maria del Monte utilizzando gli autobus della linea urbana C (partenza da piazzale Pogliaghi).
La convenzione non include l’utilizzo della funicolare.
Nel periodo di apertura della funicolare, è prevista una corsa ogni 10 minuti. Per chi utilizza l’autobus, è garantita una corsa ogni 20‘ (ogni 30′ nei festivi) in partenza dalle stazioni e dal centro di Varese, effettuata dalla linea urbana “C” e in arrivo e/o partenza dalla stazione del Vellone vi è la coincidenza con la funicolare. Biglietto funicolare+bus 1,40 Euro.
Sacro Monte di Varese, le novità della primavera 2018 Un'idea per una passeggiata fuori porta, un giro in moto, è quella del Sacro Monte di Varese…
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Columbus day
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Columbus day
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Che il primo a scoprire l’America non è stato Cristoforo Colombo non è più un mistero. E da anni. fino ad ora, però, a molti non era importato più di tanto. A cominciare dagli americani che ogni anno, il 2 ottobre festeggiavano il Columbus day. Il navigatore italiano che approdò sul continente americano nel 1492, per molto tempo è stata la figura più rappresentativa della comunità italoamericana. Negli ultimi anni, però, è stato messo sotto accusa per il suo trattamento delle popolazioni indigene d’America più che per le prove del fatto che non è stato lui ad aver scoperto primo l’America.
Da quest’anno, il 2 ottobre sarà la “giornata per commemorare le popolazioni indigene, aborigene e native vittime del genocidio commesso dal navigatore genovese”. È questa la proposta di alcuni attivisti stanchi di questa finzione. Una richiesta che in alcune città è già stata votata e approvata. Come a Los Angeles dove il consiglio comunale ha deciso con 14 voti favorevoli e solo uno contrario. “Ci sono ovviamente delle dinamiche interne agli Stati Uniti il cui dispiegarsi segue logiche complesse e delicate ma, comunque, come ho già ricordato, il tutto si svolge sempre all’interno di un contesto democratico consolidato”, ha dichiarato il Console Generale a Los Angeles, Antonio Verde. “Non ho la possibilità di avventurarmi in un dibattito storico particolarmente approfondito, ma credo ugualmente che sia importante riflettere sull’opportunità di un revisionismo accurato e proficuo, in grado di collocare nella corretta prospettiva i valori e le dinamiche di epoche e fatti diversi. A tale proposito, vorrei ricordare ancora una volta quanto giustamente sottolineato dalla Farnesina: “Colombo rappresenta in tutto il mondo, non solo negli Stati Uniti, un simbolo fondamentale della storia e dei successi italiani””.
La sua dichiarazione è stata oggetto di critiche e polemiche e confermerebbe il timore che le istituzioni statunitensi starebbero pianificando di rimuovere simboli divisivi e di personaggi controversi come quella del generale sudista Robert E. Lee. Lo stesso è avvenuto a Chicago, per una statua raffigurante Italo Balbo.
Statue di Colombo sono state prese di mira in varie città americane, tra cui Yonkers, sobborgo di 200mila abitanti a nord di New York, dove un busto in bronzo di Cristoforo Colombo è stato decapitato e il sindaco di New York, Bill de Blasio, (palesemente di origini italoamericane) ha detto di stare considerando l’ipotesi di rimuovere una gigantesca statua (23 metri di altezza) di Colombo che, a New York, domina il Columbus Circle di Manhattan.
Anche a Baltimora, in Maryland, una statua di Colombo del 1792 è stata distrutta a martellate. E così a Houston, in Texas, dove il monumento regalato alla città dalla comunità italoamericana, per i cinquecento anni della scoperta dell’America, è stata macchiato con vernice rossa. In Minnesota, una donna, Wintana Melekin, appartenente ai “Neighborhoods Organizing for Change”, un’organizzazione impegnata soprattutto nella lotta al razzismo, ha presentato una petizione per la sostituzione di una statua di Cristoforo Colombo con una del cantante Prince (nato in quello stato). “Replace Columbus statue with a Prince statue and one chosen by the native community” (Rimpiazza la statua di Colombo con una di Prince e una scelta dalla comunità di nativi) è stata indirizzata direttamente al governatore del Paese, Mark Dayton e al Parlamento. “Non crediamo che Colombo rappresenti i valori dei cittadini del Minnesota. Piuttosto che glorificare un uomo che ha voluto estinguere i popoli neri e nativi, dobbiamo onorare i membri della nostra comunità”, si legge sull’esposto.
In alcune città si è andati oltre. A Charlottesville si sono verificati scontri tra chi voleva solo rimuovere le statue del navigatore genovese e gli oppositori che volevano abbatterle.
Il ripetersi di questi eventi la faccenda è addirittura in Senato, non negli USA, ma in Italia dove è stata presentata una mozione (primi firmatari i senatori Carlo Giovanardi, Gaetano Quagliariello, Andrea Augello e Luigi Compagna) con la quale si chiede al governo italiano “a trasmettere all’amico popolo americano l’invito a rispettare l’immagine di Cristoforo Colombo e a voler contrastare assieme queste forme inaccettabili di ottuso furore ideologico”. “I monumenti viceversa furono fortemente voluti dalla comunità italo americana, circa il 10% oggi della popolazione degli Stati uniti, proprio per un riscatto morale e civile dalle odiose discriminazioni razziali di cui a lungo era stata bersaglio, in una ottica di valori oggi largamente condivisi di pari dignità di tutti i cittadini di quel grande paese, nativi o provenienti da ogni parte del mondo”, hanno dichiarato i parlamentari italiani.
È vero che Cristoforo Colombo non è stato il primo occidentale a giungere in America. Ma questo non ha niente a che vedere con i gesti inzuppati di fanatismo di pochi che non conoscono la storia e che in barba alla “political correctness” così cara agli americani preferiscono azioni estremiste e comportamenti da “cultura del piagnisteo come li Robert Hughes nel 1993 definì alcuni comportamenti analoghi.
Un comportamento che sembra aver dimenticato i dodici milioni di schiavi che furono portati attraversarono l’oceano (altre fonti parlano di 11 milioni, l’Enciclopedia Britannica tra 7 e 10 milioni ma solo fino al 1867 e l’Encyclopedia of the middle passage tra 9 a 15 milioni). E che rimasero schiavi per molti secoli dopo Cristoforo Colombo. Ma di questo gli americani puristi sembrano avere perso la memoria. Così come fingono di non vedere le “conquiste” degli ultimi anni fatte a forza di missioni di pace e di guerre per la democrazia volute a tutti i costi dagli USA. O le centinaia di migliaia di militari americani di stanza in molti paesi “amici” (secondo alcune fonti, in Italia ci sarebbero più soldati americani che in Afganistan!). Guerre che servono ad una cosa sola: imporre “la leadership americana in questo mondo” e mantenere l’ “ordine mondiale post guerra fredda dal quale dipende la nostra ricchezza e sicurezza”. Come ha raccomandato il 44esimo presidente degli USA Barak Obama nella sua lettera di benvenuto al suo successore Trump.
Uno strano modo per “commemorare le popolazioni indigene”….
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Bolgheri Doc,il Vino.
#ViaggidiBaccoaBolgheri 14-15 Ottobre 2017 #NelCuoredelVino importanti informazioni su #Bolgheri e sulla sua Doc #BolgheriDoc #Vino Nel Cuore del Vino di Bolgheri : La Storia Mario Incisa della Rocchetta impianta il primo vigneto di cabernet a Castiglioncello di Bolgheri nel 1944. La prima bottiglia di Bolgheri Sassicaia, con la stessa etichetta che conosciamo oggi, esce nel 1968 (al tempo era vino da tavola). La DOC per il vino rosso arriva solo nel 1994 e disciplina i Bolgheri Superiore ed il Bolgheri Sassicaia, come primo esempio di "cru" italiano. Tanti anni ci sono voluti perché si capisse che le originali intuizioni del Marchese Incisa avevano creato un fenomeno particolare per la storia del vino italiano: quel fenomeno che rende i vini bolgheresi, vini di piena e grande espressione di "terroir", i vini profondamente legati al suolo ed al clima del territorio da cui provengono. Vini di carattere e razza originale e personale, i più famosi dei quali derivano da un perfetto adattamento dei vitigni usati al clima di Bolgheri, l'espressione mediterranea di Cabernet e Merlot. La vocazione ai grandi vini si esprime, però, anche con l’autoctono Vermentino, molto diffuso nella zona. Bolgheri Sassicaia tra i più grandi vini del mondo, ma non solo. Già dalla fine degli anni '80 altri produttori, anch'essi oggi famosi, si affiancano al "mito" per dimostrare che "grande" è l'intero territorio e non solo il singolo vino. La DOC Bolgheri ha avuto una rapida espansione negli ultimi vent’anni, passando dai 250 ettari della fine degli anni '90 ai 1.319 attuali. Le aziende attualmente associate al Consorzio sono 41 su circa 61 operanti sul territorio. Tipologia dei Vini e Uve di Bolgheri : DOC Bolgheri - 0-100% Cabernet Sauvignon - 0-100% Merlot - 0-100% Cabernet Franc - 0-50% Syrah - 0-50% Sangiovese -
#Doc#BolgheriDoc#costadeglietruschi#Bacco#eventi#14Ottobre2017#Vino#Wine#ViaggidiBaccoaBolgheri vdbbolgheri#baccoperbaccoitalia
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È un tormentone da dizionario dei luoghi comuni, ne parlava già Leopardi.
Ma letteratura, arte e musica possono anche aiutare a comprendere i cambiamenti climatici: i pittori fiamminghi e Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi ci raccontano la piccola età glaciale fra Seicento e Settecento, che fu un capriccio naturale.
E cosa scriveremo noi, umani della rivoluzione industriale, artefici del riscaldamento globale?
Come sarà il mondo di domani se non prendiamo coscienza del più grande cambiamento che mai sia stato indotto dai nostri consumi sull’ambiente globale?
Di sicuro non avremo più le stesse stagioni del passato… Altrettanto sicuramente, questa, con la voce di Luca Mercalli e la musica di Banda Osiris insieme per la prima volta, sarà una serata unica.
Lo spettacolo si inserisce nel progetto A seminar la buona pianta, eventi e approfondimenti voluti da Aboca per contribuire a uno sviluppo sostenibile. I proventi dello spettacolo sono destinati a Menu for Change, la campagna di Slow Food sul cambiamento climatico.
20 anni di Cheese
Eccoci! Siamo pronti a spegnere le candeline di un’edizione speciale di Cheese.
Sì, perché quest’anno, a Bra, dal 15 al 18 settembre,festeggiamo il ventesimo compleanno di Cheese, l’evento record organizzato dall’associazione Slow Food Italia e dalla Città di Bra.
Lo chiamiamo evento record a ragione: l’edizione 2015 si è chiusa con numeri che mai avremmo immaginato. 270.000 visitatori e oltre 300 espositori da 23 nazioni, a conferma della sua portata internazionale.
Negli anni, Slow Food ha sempre sostenuto le produzioni artigianali di qualità, promuovendo l’utilizzo del latte crudo, la biodiversità delle razze, il legame con il territorio, il benessere animale, il rispetto per il paesaggio, i saperi legati ai mestieri del latte e mostrando come tutti questi elementi siano profondamente connessi a formaggi più interessanti e complessi sotto il profilo gustativo.
Nell’edizione 2017, torniamo a impegnarci con forza su un argomento che è sempre stato nostro e che costituisce la cornice entro cui inscrivere tutta la manifestazione – dalle conferenze ai laboratori al mercato –, i formaggi a latte crudo. Non solo.
Un altro tema sotto i riflettori sono i formaggi naturali, ossia prodotti senza l’ausilio di fermenti industriali, anch’essi protagonisti di conferenze, laboratori e di un’importante area in cui di naturale si ragionerà a 360 gradi.
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