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italianiinguerra · 4 years ago
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Medaglie d'Oro della 2ª Guerra Mondiale - Sottotenete IVONE SCAPOLO - Monte Mureve (Fronte greco-albanese), 27 dicembre 1940
Medaglie d’Oro della 2ª Guerra Mondiale – Sottotenete IVONE SCAPOLO – Monte Mureve (Fronte greco-albanese), 27 dicembre 1940
Nome e CognomeIvone ScapoloLuogo e data di nascitaAlghero (Sassari), 1917Forza ArmataRegio EsercitoCorpo o specialitàAlpiniReparto142ª Compagnia, Battaglione“Bolzano” – 11° Reggimento AlpiniUnità2ª Divisione alpina “Tridentina”GradoSottotenente di complementoGuerre e campagnaSeconda Guerra Mondiale (campagna delle Alpi occidentali)Seconda Guerra Mondiale (fronte greco-albanese)Luogo e data del…
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francescoitalo · 5 years ago
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Monumento agli Alpini della Divisione Alpina Cuneense
Alba, CN
27-10-2019
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claudiodangelo59 · 3 years ago
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OGGI 20 DICEMBRE, ITALIANO RICORDA…
1940
SECONDA GUERRA MONDIALE
A SPINETTA DI CUNEO
I RAGAZZI DELLA CLASSE 1922
FESTEGGIANO LA LORO PARTENZA
PER IL SERVIZIO MILITARE.
LA MAGGIOR PARTE SARÀ ARRUOLATA
NELLA DIVISIONE ALPINA “CUNEENSE”
E RESTERANNO PER SEMPRE
NELLA GELIDA STEPPA RUSSA
Il 20 dicembre 1940 nella frazione di SPINETTA nei pressi di CUNEO quei giovanotti si riunirono per un pranzo e fare un po’ di musica per festeggiare la loro partenza per la chiamata al servizio militare.
La spensieratezza e l’ingenuità di quell’età non gli faceva certo presagire le drammatiche vicende che la vita avrebbe riservato loro negli anni immediatamente successivi.
La seconda guerra mondiale era già iniziata da pochi mesi e la maggior parte di quei coscritti finì per entrare nei ranghi dei reparti Alpini.
Uno di quei ragazzi era mio padre Meinero Mario nato il 9 febbraio 1922 a TETTO CONTINO – una tipica fattoria piemontese a ridosso della strada che da BORGO SAN GIUSEPPE porta a BOVES – nella territorio della FRAZIONE di SPINETTA (CUNEO).
Lui si arruolò nell’Arma dei Carabinieri e, pur con alterne vicende tra le quali i lunghi mesi di prigionia trascorsi in GERMANIA dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 rimanendo fedele al giuramento al Re e rifiutando di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, riuscì a sopravvivere al conflitto e continuò la carriera di Sottufficiale della Benemerita fino al 1982 meritando la promozione a Tenente dei Carabinieri.
Invece, alla maggior parte di quei ragazzi toccò un tragico destino.
Si trovarono a combattere sui monti fra l’ALBANIA e la GRECIA, poi in JUGOSLAVIA e, infine, inquadrati nella Divisione Alpina “Cuneense”, parteciparono alla campagna sul FRONTE RUSSO.
Nel gennaio 1943 i sopravvissuti ai combattimenti sul FIUME DON vennero circondati e presi prigionieri dai sovietici.
Dai campi di prigionia in SIBERIA ben pochi tornarono in ITALIA al termine del conflitto.
Nel secondo dopoguerra, e fino a quando gli acciacchi dell’età e le progressive “…Andate avanti” lo hanno consentito, i reduci della leva del 1922 di SPINETTA si ritrovavano periodicamente per un pranzo conviviale.
Mi ricordo allora che mio padre, per l’occasione, prendeva qualche giorno di licenza, lasciava l’uniforme da Maresciallo dei Carabinieri per indossare il suo vestito migliore e partiva in treno da CESENA per raggiungere CUNEO allo scopo di incontrare quei “ragazzi del ‘22”.
Erano viaggi in treno lunghi e con almeno tre o quattro cambi, perché raggiungere il capoluogo della Provincia Grande non è mai stato agevole.
Oggi credo proprio che di quel baldo gruppo di 22 giovani reclute del ’22 non sia rimasto più nessuno….
ognuno di loro, e il mio babbo per primo, resta però vivo nei miei ricordi…
W la LEVA del 1922 di SPINETTA di CUNEO
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lorelsa-blog · 6 years ago
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Ponte "Divisione Alpina Cuneense", Bolzaneto (GE) Visto adesso appare orrendamente sinistro (presso Bolzaneto, Liguria, Italy) https://www.instagram.com/p/BnG9nVpHfsKtcPzo_WpKL7VO7Vn8dZ9PXOaPs80/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=az2ws2tkncs
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aneddoticamagazinestuff · 5 years ago
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Il dramma della steppa. Alpini toscani in Russia 1942-43
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Il dramma della steppa. Alpini toscani in Russia 1942-43
“I russi erano dalla parte della ragione, e combattevano convinti di difendere la loro terra, la loro casa, le loro famiglie. I tedeschi d’altra parte erano convinti di combattere per il grande Reich. Noi non si combatteva nè per Mussolini, nè per il Re, si cercava di salvare la nostra vita“. Mario Rigoni Stern con questa frase inquadrò perfettamente lo spirito dei soldati italiani, quando in quel lontano 1942 furono inviati sul fronte russo in sostegno alle forze germaniche per l’occupazione dell’Unione Sovietica, in quella che l’alto comando del Reich definì con il nome di: “Operazione Barbarossa“, d’altronde chi mal comincia… La logistica funzionò malissimo: indumenti inadatti, mezzi ed armi inefficienti fecero capire subito a Mario Rigoni Stern e ai soldati italiani (e anche a quelli garfagnini) che l’obiettivo principale sarebbe stato quello di ritornare a casa sani e salvi.
Un numero mostruoso di esseri umani non riuscirono però nell’intento, nella sua totalità si parla di un numero imprecisato di morti fra militari e civili nell’ordine di alcuni milioni. L’Italia ebbe un bilancio spaventoso e pagò un prezzo altissimo con la sua scellerata decisione di immischiarsi in quello che ancora oggi rimane il più grande scontro militare della storia. Trentamila soldati rimasero feriti, ottantamila furono uccisi, rimasero dispersi o furono presi prigionieri. Con il tempo l’Unione Sovietica restituì diecimila prigionieri italiani e di altri settantacinquemila non si seppe più niente. Fra tutti questi grandi numeri rimane però da analizzarne uno, il più piccolo, quasi insignificante di fronte a queste grosse ed incredibili cifre, ci furono quattrocento-cinquecento giovani che non fecero più ritorno a casa, erano gli alpini garfagnini. Può sembrare un inezia, ma questa perdita per una valle di trentamila persone fu una delle più grosse tragedie della sua storia.Tutto cominciò quel maledetto 22 giugno 1941, quando i tedeschi, un po’ a sorpresa oltrepassarono il confine russo. Con l’impiego delle grandi unità corazzate e dei micidiali Stukas travolsero tutto e tutti in modo da non dar respiro ai soldati russi. In poche settimane i nazisti annientarono intere armate, avanzando per centinaia e centinaia di chilometri, la loro marcia era inesorabile e il successo sembrava sicuro. Di fronte a tutto questo Benito Mussolini non voleva rimanerne fuori e il 26 giugno arrivò la prima richiesta del duce a Hitler per intervenire al fianco dell’alleato germanico: “Sono pronto a contribuire con forze terrestri ed aeree e voi sapete quanto lo desideri. Vi prego di darmi una risposta in modo che mi sia possibile passare all’attività operativa”, il Fuhrer era titubante: “Se tale è la vostra decisione, Duce, che io accolgo naturalmente con il cuore colmo di gratitudine, vi sarà abbastanza tempo per poterla realizzare, l’aiuto decisivo lo potrete dare col rafforzare le vostre forze nell’Africa settentrionale”, ma Mussolini era più che mai deciso: “In una guerra che assume questo carattere, l’Italia non può rimanere assente“. E così il 10 luglio 1941 partirono i primi soldati per la lontana Russia, si chiameranno C.S.R.I (corpo di spedizione italiano in Russia).
22 giugno 41 i tedeschi passano il confine russo
La speranza era quella di un’operazione facile e rapida, nessuno badò all’inadeguatezza con cui furono mandati allo sbaraglio i nostri soldati; alcuni reparti percorsero a piedi 1300 chilometri prima di raggiungere il fronte, non c’erano nè armi, nè mezzi, nè indumenti all’altezza dell evento. Il primo successo italiano si ebbe comunque nella battaglia di Kiev, sulla scia degli alleati tedeschi, ma con il tempo le difficoltà cominciarono a farsi avanti e peggiorarono con l’arrivo del più grande e temuto generale… “il generale inverno”. I tedeschi cominciarono a rendersi conto di aver sottovalutato la potenza russa e il termometro sceso a -40 gradi fece il resto: dei sessantamila uomini del CSRI, quattromila rimasero congelati. A questo punto il comando tedesco che dapprima aveva guardato con sufficienza l’aiuto italiano, adesso chiedeva al duce l’invio di ulteriori uomini, il fronte da difendere era diventato estremamente vasto, urgevano rinforzi. Mussolini era comunque raggiante e ancora pieno di fiducia:“Al tavolo della pace peseranno più i duecentomila dell’A.R.M.I.R che i sessantamila del CSIR” . L’8 agosto 1942 Hitler scrive nuovamente al duce per avere le divisione alpine, partirono così le tre divisioni: Julia, Tridentina e Cuneense. Inizia così l’epopea in Russia degli alpini garfagnini. Tutti questi reparti faranno parte dell’ A.R.M.I.R (armata italiana in Russia) con il CSRI raggiungeranno l’impressionante numero di duecentoventimila uomini.
L’ARMIR in marcia
Con l’aumento della richiesta di alpini, il reclutamento di forze fu esteso non solo agli abitanti di coloro che vivevano a ridosso delle Alpi ma anche a coloro che vivevano nelle zone più idonee dell’Appennino, così i montanari abruzzesi del Gran Sasso e quelli delle Alpi Apuane furono immediatamente richiamati. La maggior parte dei garfagnini fu in gran parte arruolata nella divisione Cuneense e in particolare nel battaglione Dronero, per molti di loro era la prima volta che uscivano dalla cerchia delle loro montagne, al massimo potevano essere andati alla fiera di Santa Croce a Lucca; per molti di loro la chiamata alle armi sarebbe stata la prima esperienza di vita, si sentivano orgogliosi e fieri di questa nuova avventura. Remo De Lucia di Sillicagnana cambiò presto idea quando arrivò a Dronero con un metro di neve, era partito da casa con i vestiti peggiori e con un paio di scarpacce, tanto l’avrebbe rivestito l’esercito, la divisa gli fu però data dopo otto giorni, racconta poi che già in quella caserma c’erano un migliaio d’alpini male alloggiati, con servizi igenici insufficienti e quello che era peggio l’atmosfera era già cupa, niente a che vedere con l’entusiasmo di qualche mese prima. Naturalmente non sarebbe andato tutto liscio nemmeno nel trasferimento dall’Italia in Russia, Luigi Grilli di Pieve Fosciana narra che il suo treno si ruppe, altri commilitoni proseguirono a piedi mentre lui ed altri alpini rimasero sul vagone che una volta riparato fu trascinato da treno in treno fino al quartier generale italiano, una volta giunti lì, la vista di un cimitero fece tornare in mente ai soldati e al Grilli le vecchie abitudini di casa, era il 31 ottobre, il giorno dopo in Garfagnana era tradizione andare al cimitero a pregare per i propri morti, qualcuno volle dire un rosario, qualcun’altro ancora esclamò :- Allora anche in Russia si muore!-. Si, purtroppo si moriva e la battaglia di Stalingrado sarebbe stata il trionfo della morte, oltre un milione di vittime e i tedeschi vollero le nostre truppe proprio li. I nazisti concentrarono su Staligrado le forze più potenti, lasciando la riva destra del Don sorvegliata da caposaldi distanziati fra di loro da larghi vuoti, nei quali si potevano infiltrare i Russi, c’era quindi l’urgenza di costituire un fronte continuo ed era qui che fu impiegata l’ARMIR. Ma quegli uomini che non uccise l’Armata Rossa, le uccise l’inverno. Nei ricordi degli alpini garfagnini rimase indimenticabile quella stagione e se per molti l’inferno è paragonato al fuoco, alle fiamme e al caldo, per quelle persone aveva un colore solo: bianco. Il termometro precipitava a -30 come se niente fosse, nella notte era poi anche peggio quando si alzava il vento della steppa, il conducente di un mulo vide le sue dita congelate nonostante avesse i guanti di pelliccia, poichè reggeva la catena metallica dell’animale. Le parti del corpo umano che erano a  maggior rischio di congelamento erano la punta del naso e delle orecchie e l’estremità delle dita, l’alpino Bastiano Filippi di Pieve Fosciana uscì per fare pipì, ebbe la sventurata sorte di toccare con la pelle nuda della coscia una parete di metallo, vi rimase clamorosamente attaccato e fu liberato a stento dai compagni, riportò una bruttissima ferita. Ma la tragedia si completò con i viveri, il cibo diventava un blocco di ghiaccio: patate, formaggio erano duri come pietre, il vino ghiacciava, bisognava spaccarlo con l’accetta. Arrivò poi quel 16 dicembre 1942; un po’ tutti ormai sapevano che i russi si stavano riorganizzando ma mai nessuno avrebbe immaginato il livello di potenza numerica e qualitativa che avrebbero raggiunto, tutto era quindi pronto per una controffensiva senza precedenti, così i sovietici dettero avvio sul Don all’operazione denominata “Piccolo Saturno”. I russi sfondarono sul fronte della Cosseria e della Ravenna, travolgendo poi le divisioni Pasubio, della Torino, della Sforzesca, della Celere. Sul Don resistette ancora, perchè non attaccato direttamente il corpo d’armata alpino, che ricevette poi l’ordine di ripiegare a inizio ’43.
Quel 16 dicembre ’42, portò allo smembramento totale dell’intero ARMIR che si dissolse in una tragica ritirata. A questo punto lo scopo per gli alpini garfagnini e per tutto il resto degli italiani era uno solo: tornare a casa vivi. L’esperienza di Bastiano Filippi è emblematica; si radunarono sedici o diciassette garfagnini, tutti ragazzi poco più che ventenni, si organizzarono e decisero che l’Italia era a ovest e di li cominciarono una lunga marcia, camminavano con i piedi fasciati per evitare il congelamento, oramai erano senza armi , e niente dovevano temere gli italiani dalla popolazione locale. In un isba (tipica costruzione di legno russa), racconta Remo, che furono accolti da due donne che gli offrirono due tazze di latte ed un intero pane nero, però furono folgorati da un pensiero che la propaganda fascista aveva inculcato ai soldati… e se i cibi fossero stati avvelenati? Le due donne capirono e prima le assaggiarono loro, gli chiesero poi se parlavamo la loro lingua, volevano parlare di Verdi, di Michelangelo, dell’Italia…il soldato si mise a piangere. La grande ospitalità della popolazione russa salvò molte vite, testimonianze “garfagnine” raccontano ancora che una vecchia non avendo altro dette loro un cetriolo e dei semi di girasole, un’altra pregava la Madonna perchè potessero tornare a casa dai loro cari. Nelle retrovie intanto partivano treni per il centro Europa, alcuni garfagnini fecero in tempo a salirvi fu un lungo tragitto fino a Vienna. Luigi Grilli racconta ancora la sua disperata ritirata, l’esercito ormai era in rotta e lui non sapeva più quale direzione prendere, non rimaneva altro che seguire la fiumana di gente. I suoi ricordi vengono fuori a sprazzi, i giorni e le notti di lunghe marce nella steppa sono rifiutati dalla sua memoria.
La sciarpa che gli aveva inviato la mamma era ormai un blocco di ghiaccio , attorno a lui si muoveva tutto, la fame e la stanchezza diventarono sempre più pesanti, ormai sfinito stava per sedersi sul ciglio della strada, inerme senza forze, lo salvò un tenente che lo sgridò, lo maltrattò e infine gli regalò una scatoletta di carne e letteralmente lo spinse avanti, il male ai piedi era insopportabile e l’errore più grosso fu quello di togliersi gli scarponi, non si li rimise più. La fame intanto non passava  e quello che sognava era una bella tazza di latte caldo delle sue vacche  garfagnine, ma la salvezza ormai era vicina, arrivò un treno, quel treno portava a Varsavia. Ma c’era anche chi tornò a guerra finita, fu il caso (fra i tantissimi)di Giovanni Bertolini, aveva ventitre anni, mancò da casa per tre lunghi anni. Per tornare alla sua terra partì dalla Russia con il treno insieme ad altri reduci, il 2 novembre 1945 raggiunse la Polonia, ad attenderli c’era l’ambasciatore italiano, consigliò a loro di fermarsi qualche giorno per rifocillarsi e riposare, ma la voglia di tornare a casa era tanta, ripartirono così senza accettare l’invito. Altra sosta fu in Germania, qui vennero accolti dagli americani e da una delegazione italiana, finalmente ricominciarono anche a mangiare, la sosta durò quindici giorni. Arrivati poi al Brennero si cambiarono d’abiti, di li ci sarebbe stato un autocarro che li avrebbe portati fino a Bologna. A Bologna infine un’ ennesimo treno passeggeri li avrebbe attesi, il treno però era stracolmo, la guerra era finita tutti volevano raggiungere qualcuno, addirittura c’era chi non voleva far salire questi garfagnini, ma quando ai passeggeri fu detto che erano reduci dalla Russia molti si alzarono in piedi facendo posto agli ex soldati. Finalmente si arrivò a Lucca, da li con mezzi di fortuna il nostro Giovanni s’inoltrò per la Garfagnana dilaniata e sventrata dalla guerra appena conclusa, poi l’ultimo tratto di strada a piedi, la mulattiera che porta a Livignano (Piazza al Serchio); improvvisamente cominciarono a suonare le campane a festa, chissà perchè suonavano, a Natale mancavano ancora cinque giorni. Qualcuno dalle case del paese l’aveva visto, le campane suonavano per lui. Era il 20 dicembre 1945.
Non ci fu comune della Garfagnana risparmiato da questa voluta tragedia. Gallicano come numero di deceduti fu la comunità che più di tutti fu colpita dal lutto di questa scellerata campagna, ma quello che conta non sono i più e i meno, quello che conta sono quei 437 uomini che non fecero mai più ritorno.
      Bibliografia: “Alpini di Garfagnana strage in Russia 1942-43” di Lorenzo Angelini. Banca dell’identità e della memoria. Unione dei Comuni della Garfagnana anno 2014
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pangeanews · 6 years ago
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Caino, Abele e l’esplosione della supernova: dialogo con Raffaele Riba, autore di uno dei romanzi più stupefacenti della stagione (scritto in blu)
La custodia dei cieli profondi (66thand2nd, 2018) è il terzo romanzo di Raffaele Riba, autore cuneense classe ’83, che nel 2014 ha esordito con Un giorno per disfare (66thand2nd), e nel 2015 ha pubblicato con Loescher Abbi pure paura.
Ecco, dopo aver contestualizzato vorrei partire da qualcosa che non c’entra nulla, un tiro in porta dove chi afferra il pallone con due mani senza riuscire a trattenerlo è il lettore. Deve aver fatto una gran cosa chi ha calciato. Trasmesso intensità.
Il giorno in cui ho letto La custodia dei cieli profondi per la prima volta mi sono limitato a questo, al titolo, che ha iniziato a girarmi in mente come l’estremità più profonda di un vortice. Punto che sono riuscito a raggiungere – e quindi a sfuggirgli – soltanto dopo l’ultima riga della pagina finale.
Quante volte vi sarà successo di avviarvi pigramente a una conclusione? “Sì, sta per finire. Ci siamo. Peccato, quella cosa resterà nascosta. O forse meglio così (ma non divaghiamo). Fine. Saluti a casa”. Ma in questo caso stiamo parlando d’altro, di uno dei migliori romanzi del 2018 – uscito in sordina verso fine anno. E senza influire sulla prima lettura di chiunque posso dire che l’ultima frase de La custodia dei cieli profondi è roba da far saltare in aria le sopracciglia. L’ultima di una serie di cose regalate dalle sue pagine. Che consiglio di leggere. Tutto qui. Mettersi da parte è una forma di rispetto difficile, ci provo ugualmente, e per non entrare in un circolo vizioso penso che la cosa migliore sia lasciare spazio al dialogo con Riba.
La custodia dei cieli profondi è un romanzo caratterizzato da una scelta linguistica non in linea con la narrativa contemporanea. E una convinzione diffusa recita che la buona letteratura non necessita di una trama da romanzo giallo. Questo significa che la lingua è parte integrante della narrazione? E se sì, fino a che punto?
“Sì, ma c’è di più. Non credo che separare significante e significato, trama e lingua, sia un buon modo di vedere le cose. Per me un intreccio nullo, raccontato con una prosa sopraffina, è una storia brutta raccontata bene. Così come un intreccio mozzafiato raccontato male è una storia interessante raccontata male. In entrambi i casi siamo di fronte a qualcosa di incompleto o comunque uscito male. Trama e lingua sono due ingredienti da dosare al meglio per ottenere un qualcosa di nuovo, una soluzione omogenea con caratteristiche proprie, ben bilanciate e stabili”.
Personalmente, ho notato una morfosintassi narrativa che rimbalza costantemente fra il vuoto interiore di Gabriele, il protagonista, e il contesto in cui si trova – ucronico, se così possiamo definirlo. Ciò che accade dentro si ripercuote fuori, è giusto? E data l’entropia come colonna portante del romanzo, quanto pensi sia simbolico il limite che separa chi scrive – mentre sta scrivendo – dalla realtà?
“Certamente ne La custodia dei cieli profondi c’è un legame forte tra la fine di una casa e di una famiglia con la fine di una stella. Il primo è un evento tutto sommato naturale, che solo nella percezione del protagonista (e voce narrante) diventa drammatico e violento. Ma se Gabriele guardasse con occhio sereno il cielo, potrebbe vedere che la fine di una stella – quella sì, violenta e traumatica come può essere una supernova – è un messaggio, una sorta di preghiera laica che non solo riverbera il suo stato (emotivo e biologico), ma gli potrebbe fornire una risposta. Per quanto riguarda il limite tra chi scrive – il suo immaginario – e la realtà è sempre molto più labile di quanto siamo abituati a credere. Ma non lo dico certo io. Ci sono molti studi di linguistica cognitiva e di biologia della letteratura che ne parlano ormai da qualche anno”.
Secondo la concettualizzazione di Lotman esistono due principi fondamentali che caratterizzano i romanzi di formazione: il principio di caratterizzazione – che prevale in caso di epiloghi delineati – oppure quello di trasformazione, che si verifica quando una narrazione trova il massimo della sua ragion d’essere nel sopprimersi in quanto racconto. Ecco perché ho pensato al tuo come a un romanzo di deformazione. Com’è nata La custodia dei cieli profondi?
“Sette anni fa ho cominciato col voler scrivere la storia di una fratellanza. La fratellanza è un sentimento strano, in grado di abbracciare tutte le sfumature di una relazione tra due individui: si può passare dal massimo dell’amore al massimo dell’odio e ritorno in un battito di ciglia, almeno quando si è piccoli. Da adulti le cose diventano più lente, ma anche potenzialmente più intense. Emanuele e Gabriele, i due fratelli di questo libro, sono una specie di Caino e Abele, ma dei giorni nostri, quindi dalle caratteristiche più sfumate, meno nette, senza cattivi né buoni. La custodia doveva raccontare il trasformarsi e il disperdersi degli elementi del loro rapporto, e della casa della loro infanzia. Dal disperdersi e dal riorganizzarsi della materia, al sole blu (l’altro protagonista del libro), che racconta il ciclo evolutivo di una stella, il passo è stato breve e naturale. Chi cantava ‘Siamo polvere di stelle’ aveva scientificamente ragione”.
Passiamo a cose più frivole. Perché il testo è scritto in blu? E la grafica: è stata una tua idea? Hai trovato prima il titolo o il romanzo?
“No, il merito è di Silvana Amato, l’art director di 66thand2nd. Sia per il colore del carattere (perché è blu si capisce a pagina 1, ma non facciamo spoiler) che per la grafica. E il titolo: è sempre stato un mio tallone d’Achille. Su quello sono costantemente insicuro: è venuto fuori dopo infinite ipotesi e probabilmente non era neanche quella migliore”.
I tuoi prossimi piani invece quali sono? Stai già scrivendo altro?
“Lo sto pensando, passo sempre da lì prima. Ci saranno Ponzio Pilato e un albero secolare”.
Nicolò Locatelli
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enricocassi · 7 years ago
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Ultima serata della 53esima edizione della Sagra di settembre a Montà con la tradizione Fiera di fine sagra per le vie del centro.
Durante tutta la manifestazione, mostra di fotografia a cura di Piero Calorio, presso il Salone Comunale.
Saranno aperti, inoltre, il Banco di beneficienza presso la Parrocchia e il Luna park presso Piazza Divisione Alpina Cuneense.
Il salotto sarà aperto come ogni giorno dalle 19.00
  http://ift.tt/eA8V8J
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catholicwatertown · 7 years ago
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Pope names Card. Bertello special envoy for diocesan celebration in Italy
(Vatican Radio)  Pope Francis has appointed Cardinal Giuseppe Bertello, President of the Governorate of Vatican City State, as his Special Envoy for the bicentennial celebrations of the founding of the Diocese of Cuneo in Italy.
Celebrations will be held on 16 July in the Cathedral, St. Mary of the Woods.
Cardinal Bertello is to be accompanied by Msgr. Giovanni Battista Riberi, Vicar General of the diocese, and Msgr. Don Roberto Mondino, Secretary of the Presbiteral Council.
Pope Francis sent the following letter to Cardinal Bertello for the occasion.
Venerabili Fratri Nostro
IOSEPHO S.R.E. Cardinali BERTELLO
Praesidi Praefecturae Civitatis Vaticanae
Cuneensis dioecesis, quam Decessor Noster Pius VII rec. mem., pastorales necessitates attente considerans, die XVII mensis Iulii anno MDCCCXVII bulla "Beati Petri Apostolorum Principis" condidit, laetanter ducentesimam celebrat anniversariam suae fundationis memoriam. Dilecti quidem fideles Cuneenses, actuoso Pastore et sacerdotibus moderantibus, hunc eventum recolentes, Domini vocem diligenter exaudire cupiunt atque spiritale iter studiose sequi. Quaedam etenim adimplentur pastoralia incepta, quae Venerabilis Frater Petrus Delbosco, Episcopus Cuneensis et Fossanensis, suis proposuit fidelibus, ut in huius gregis historia Domini misericordiam et largitatem clare admirari possent atque incitamentum experiri ad renovatam vitam sub Christi lumine assidue sequendam.
Novimus insuper die XVI proximi mensis Iulii, in memoria videlicet Beatae Mariae Virginis de Monte Carmelo, sollemnem Eucharistiam celebratum iri, veluti anniversariae memoriae praecipuum eventum. Hanc ob rem memoratus sacer Praesul humanissime Nos rogavit ut aliquem eminentem Virum mitteremus, qui Nostras vices Cunei gereret Nostramque erga istum gregem dilpctionem manifestaret. Ad Te autem, Venerabilis Frater Noster, qui, Italiae insignis Filius, pergrave munus exerces Praesidis Praefecturae Civitatis Vaticanae, mentem Nostrarn vertimus Teque hisce Litteris MISSUM EXTRAORDINARIUM NOSTRUM nominamus ad dictam celebrationem, quae memorato die XVI proximi mensis Iulii prope cathedrale templum Cuneense, Sanctae Mariae a Silva dicatum, perficietur.
Sollemni ergo praesidebis Eucharistiae atque Episcopum Cuneensem et Fossanensem aliosque sacros Praesules, sacerdotes, religiosos viros mulieresque, publicas auctoritates atque universos christifideles Nostro salutabis nomine. Omnes adstantes sermone tuo ad diligentiorem usque Christi vitae imitationem hortaberis. Optamus denique ut cuncti, venustam historiam dioecesis Cuneensis recolentes, novis viribus novaque caritatis diligentia peculiarem dilectionem erga Christi Ecclesiam et Evangelium demonstrent atque spirituali assiduitate in cotidiana vita emineant.
Nos autem Te, Venerabilis Frater Noster, in tua missione implenda precibus comitabimur. Denique Benedictionem Nostram Apostolicam libentes Tibi impertimur, signum Nostrae erga Te benevolentiae et caelestium donorum pignus, quam omnibus celebrationis participibus rite transmittes.
Ex Aedibus Vaticanis, die XVI mensis lunii, anno MMXVII, Pontificatus Nostri quinto.
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italianiinguerra · 4 years ago
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Medaglie d'Oro della 2ª Guerra Mondiale - Tenente MARIO FRANCESCATTO - Shesh i Mali (Albania), 14 dicembre 1940
Medaglie d’Oro della 2ª Guerra Mondiale – Tenente MARIO FRANCESCATTO – Shesh i Mali (Albania), 14 dicembre 1940
Nome e CognomeMario FrancescattoLuogo e data di nascitaModave (Belgio), 3 agosto 1915Forza ArmataRegio EsercitoCorpo o specialitàAlpiniReparto 279ª compagnia del Btg. “Val Natisone” – 8º Reggimento alpiniUnità1ª Divisione alpina “Julia”GradoTenente comandante della 279ª compagnia del Btg. “Val Natisone”Guerre e campagnaSeconda Guerra Mondiale (fronte greco-albanese)Luogo e data del…
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claudio82clod · 4 years ago
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322 di 366 I distintivi omerali, o scudetti da braccio come vengono chiamati comunemente, erano portati sull'omero sinistro nel periodo che va dal 1934 al 1938. Dal 38 al 40 vennero ricamati e con l'entrata in guerra aboliti. Nonostante ciò ho visto che ne sono stati trovati diversi in terra Russa, probabilmente il loro uso venne tollerato anche in seguito. Come potete notare i distintivi hanno un colore di fondo che varia a seconda dell'unità, quelli alpini sono verdi. Esistono parecchie copie recenti di questi oggetti quindi prestate attenzione ai fori, alla qualità del materiale e alla zigrinatura fatta per trattenere la vernice. #ww2 #worldwar #worldwar2 #alpini #army #italian #esercito #alps #collectable #collection #russia #russian #cuneense #cuneo #csir #armir https://www.instagram.com/p/CHvZ0bPDFJs/?igshid=1qdgnipam3xnd
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claudio82clod · 4 years ago
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321 di 366 L'altro giorno mi son fatto un regalino. Io che colleziono prevalentemente materiale degli alpini e della campagna di Russia, non potevo non avere lo scudetto omerale della Cuneense. Ringrazio anche qui l'amico che me l'ha passato. #ww2 #worldwar #worldwar2 #alpini #army #italian #esercito #alps #collectable #collection #russia #russian #cuneense #cuneo #csir #armir https://www.instagram.com/p/CHs0cx2lHvq/?igshid=116hfx1l7gnz4
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claudio82clod · 5 years ago
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Questa sera per l'ultia immagine a colori vi metto un pezzone. Anche questo andato via alla recente asta di Crippa Numismatica per la modica cifra di 1100 €...logicamente anche qui l'ho solo osservato, le mie finanze non mi permettono esborsi di quel genere. Si tratta della medaglia/distintivo per la compagnia MEHARISTI DEL FEZZAN. Col termine meharisti vengono chiamati i corpi militari montati su dromedari. Il nome meharisti deriva dalla regione sud-arabica del Mahra in cui da lunghi secoli si alleva una razza assai pregiata di dromedari, particolarmente vocati al galoppo veloce. Dopo la guerra italo-turca e la conquista della Libia, l'Africa settentrionale italiana venne divisa in due colonie distinte con due distinti corpi militari: il Regio corpo truppe coloniali della Tripolitania e quello della Cirenaica, riuniti nel 1935 nel Regio corpo truppe coloniali della Libia. Questi corpi fin dalla fondazione schierarono reparti di meharisti e di sahariani, particolarmente adatti ad operare nei territori meridionali desertici della Libia. Vennero attivati complessivamente sette Gruppi Squadroni Sahariani della Tripolitania e quattro Squadroni Meharisti della Cirenaica. Ebbero un ruolo significativo nelle operazioni di riconquista della Libia negli anni venti e nelle successive operazioni di polizia coloniale, e durante la Seconda Guerra Mondiale ebbero un limitato impiego nella campagna del Nordafrica con compiti di ricognizione e contro-ricognizione a lungo raggio nel settore meridionale della Libia. #storie #storia #medaglia #medal #storieefoto #history #ww2 #worldwar2 #worldwar #worldwartwo #cuneense #alpini #faleristica #tripoli #libia #meharisti #fezzan #colleione #collection #numismatica https://www.instagram.com/p/B5A9F6NnHY_/?igshid=f0148jepz31i
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claudio82clod · 5 years ago
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Altra versione della medaglia commemorativa fatta coniare dalla città di Cuneo per gli ufficiali della Cuneense impegnati nell'offensiva del fronte alpino occidentale. #storie #storia #medaglia #medal #storieefoto #history #ww2 #worldwar2 #worldwar #worldwartwo #cuneense #alpini #faleristica (presso Cuneo) https://www.instagram.com/p/B4-sIxxn6Nh/?igshid=rf5f2ep5ek6v
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claudio82clod · 5 years ago
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Ho deciso che dedicherò questa serie di tre immagini ad alcuni pezzi interessanti poco frequenti da vedere andati all'asta qualche giorno fa di Crippa Numismatica. Io non ho partecipato ma vi confido che un pezzo così mi piacerebbe tanto. Medaglia commemorativa fatta coniare dalla città di Cuneo per gli ufficiali della Cuneense impegnati nell'offensiva del fronte alpino occidentale. #storie #storia #medaglia #medal #storieefoto #history #ww2 #worldwar2 #worldwar #worldwartwo #cuneense #alpini #faleristica (presso Cuneo) https://www.instagram.com/p/B478fgqHtE5/?igshid=s3udoel3a2qn
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claudio82clod · 5 years ago
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Un alpino del 1 reggimento alpini della Cuneense in Russia durante la campagna del 41 42. La cosa interessante di questa foto è vedere il distintivo smaltato della Cuneense portato sul cappello, un'usanza che era agli inizi in quegli anni.e abbastanza rara da vedere. #alpini #ww1 #ww2 #worldwar #storie #storieefoto #history #italian #italy #cuneense #russia #russian https://www.instagram.com/p/BzWNb8OHZJ2/?igshid=1jm4e1hwpfj96
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italianiinguerra · 5 years ago
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Fronte russo 12 gennaio 1943, attacco al Corpo d’Armata Alpino Nei nostri precedenti post abbiamo analizzato l'operazione Piccolo Saturno, la seconda fase dell'offensiva invernale dell'Armata Rossa nel 1942-43, che coinvolse due dei tre corpi di armata dell'8ª Armata italiana (o ARMIR).
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