#crisi multiutility
Explore tagged Tumblr posts
Text
Lega Alessandria: "Su AMAG avevamo ragione". Il Consiglio Comunale approva l'emendamento che blocca le consulenze con società legate al management del Gruppo
Un segnale forte e chiaro arriva dal Consiglio Comunale di Alessandria: con l’approvazione dell’emendamento presentato dal Gruppo Consiliare della Lega, viene sancito lo stop alle consulenze con società che hanno avuto rapporti con il management del Grupp
Un segnale forte e chiaro arriva dal Consiglio Comunale di Alessandria: con l’approvazione dell’emendamento presentato dal Gruppo Consiliare della Lega, viene sancito lo stop alle consulenze con società che hanno avuto rapporti con il management del Gruppo AMAG. Una decisione che, secondo i consiglieri leghisti, rappresenta non solo una vittoria delle loro posizioni sostenute nel corso dell’anno,…
#Alessandria news#Alessandria today#AMAG#Amag Ambiente#AMAG Reti Gas#assessore Laguzzi#cimiteri Alessandria#comune di Alessandria#consiglieri Cuttica#consiglieri Lumiera#consiglieri Roggero#Consiglio comunale#consulenze AMAG#crisi AMAG#crisi multiutility#dibattito politico Alessandria#economia locale#emendamento Lega#futuro AMAG#gestione Amag#gestione pubblica Alessandria#Giunta Abonante#Google News#governance Amag#immobili comunali Alessandria#italianewsmedia.com#lavoratori AMAG#Lega Alessandria#Lega Nord#multiutility AMAG
0 notes
Link
ANCONA – Sono 3.874 gli anconetani che nel 2018 hanno chiesto ed ottenuto il bonus per lo sconto in bolletta su luce e gas, varato dal Governo ed Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), a favore delle famiglie con reddito Isee non superiore a 8.107 euro l’anno, soglia che può salire fino a 20.000 euro se i figli a carico sono più di tre.
Un numero in crescita dal 2017, quando nel capoluogo dorico sono state concesse poco più di 3 mila agevolazioni, ma nettamente inferiore rispetto all’utenza in carico ai Servizi sociali del Comune. Anche a livello nazionale il ricorso a questi benefici stenta a decollare. Lo rivela l’ultimo report di Arera, che segnala come, in Italia, solo il 36% degli aventi diritto ne abbia effettivamente usufruito.
I dati sono stati illustrati questa mattina, ad Ancona, in una conferenza stampa promossa da Estra per presentare l’avvio di una campagna di informazione volta a sensibilizzare tutti i potenziali beneficiari ad accedere ai bonus energetici.
“I numeri – ha affermato Chiara Sciascia, consigliere d’amministrazione della multiutility e presidente di VivaServizi – ci dicono che sinora solo una bassa percentuale di popolazione ha richiesto ed ottenuto il bonus energia. Con questa campagna confermiamo il nostro impegno di azienda vicina ai cittadini, soprattutto quelli più bisognosi”.
“Estra ti è vicina e ti informa” è il titolo dell’iniziativa con la quale la multiutility, primo operatore nelle Marche, intende anche fornire il suo contributo al contrasto alla povertà energetica, che vede l’Italia al 17° posto nella classifica dei 28 Paesi membri dell’Unione Europea.
Dépliant disponibili nei propri uffici al pubblico e inseriti in bolletta, spot radiofonici e televisivi, incontri pubblici con le associazioni di volontariato e dei consumatori: sono gli strumenti attraverso i quali la società, da sempre attenta al sociale, si propone di portare avanti la campagna, che si concentra anche sul sostegno alla recentissima proposta di Arera a Parlamento e Governo di applicare direttamente in bolletta il bonus sociale di sconto previsto.
“Far conoscere queste misure di fondamentale sostegno alle famiglie in difficoltà – ha sottolineato Emma Capogrossi, assessore alle Politiche sociali di Ancona – è molto importante. Negli anni abbiamo visto aumentare gli accessi alle agevolazioni, trend legato alla situazione di crisi che sta attraversando il Paese. Ma il numero dei beneficiari resta di gran lunga inferiore rispetto a quello delle persone seguite dai nostri uffici”.
L’amministratore delegato di Estra Prometeo Francesco Verniani ha aggiunto come per la multiutility la responsabilità sociale sia strategica. “Siamo molto legati ai nostri territori di riferimento – ha proseguito – e vogliamo essere vicini alle famiglie, in particolare a chi si trova in condizioni di disagio economico o fisico. A volte anche accedere alle informazioni non è semplice e con questa campagna vogliamo fornire uno strumento utile per ottenere le agevolazioni di cui si ha diritto”.
Scendendo nei dettagli, nel 2018, nel Comune di Ancona sono stati erogati 1.945 bonus elettrici a fronte dei 1.249 del 2017 e 1.929 bonus gas (nel 2017 erano 1.753). Assegnati, inoltre, 1.183 bonus idrici, entrati in vigore a partire dallo lo scorso anno.
Estra, dal canto suo, nel 2018 ha distribuito 19.662 bonus gas per un totale di 1.872.882 euro: una media a famiglia di 95 euro all’anno sulla bolletta del gas. Mentre per quanto riguarda l’energia elettrica i bonus sono stati 6.333 per un totale di 590.137 euro: una media a famiglia di 93 euro sulla bolletta dell’energia elettrica. Complessivamente sono quasi 26mila i bonus erogati.
I bonus sociali
Per fare domanda occorre compilare gli appositi moduli, reperibili sia presso i Comuni, sia sui siti internet dell’Arera sia sul sito Anci e consegnarli al proprio Comune di residenza o presso altro Istituto (es. Centri di assistenza fiscale Caf). E’ possibile utilizzare un unico modulo (modulo A) per richiedere sia il bonus elettrico che quello del gas per il disagio economico. In questo modo si compila una sola volta la domanda di ammissione allegando i documenti necessari da consegnare al Comune o al Caf. La domanda per il bonus può essere accettata o respinta, previa verifica delle condizioni per le quali viene richiesto.
I bonus valgono esclusivamente per il gas metano distribuito a rete (e non per il gas in bombola o per il Gpl) e per le forniture di energia elettrica con potenza impegnata fino a 3kW (familiari residenti non superiori a 4) o fino a 4,5 kW (familiari residenti superiori a 4). Il bonus sociale gas e il bonus sociale elettrico sono cumulabili.
In presenza di un malato grave, che debba usare macchine elettromedicali per il mantenimento in vita, non ci sono limitazioni per quanto riguarda la residenza o la potenza impegnata. In questo caso, è indispensabile una apposita certificazione Asl, mentre non è richiesto l’Isee.
I bonus sociali per disagio economico e per disagio fisico sono cumulabili qualora ricorrano i rispettivi requisiti di ammissibilità. Il valore dei bonus si differenzia per tipologia di utilizzo, per numero di persone residenti nella stessa abitazione, per zona climatica di residenza. Per i bonus che sono stati accettati, la domanda può essere rinnovata ogni anno entro la scadenza del periodo.
Estra
Il Gruppo Estra, tra gli operatori leader nel Centro Italia nel settore della distribuzione e vendita di gas naturale, attivo altresì nella vendita di energia elettrica, nasce nel 2010. Ad oggi i soci indiretti di Estra sono 143 Comuni delle province di Ancona, Arezzo, Firenze, Grosseto, Macerata, Pistoia, Prato e Siena.
Il Gruppo Estra opera, attraverso società controllate, in joint venture e collegate, prevalentemente nelle regioni Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria e Puglia ed è attivo nella distribuzione, vendita e approvvigionamento di gas naturale, nella distribuzione e vendita di gpl, nella vendita e approvvigionamento di energia elettrica, nonché nelle telecomunicazioni, nella progettazione e gestione di servizi energetici e nella produzione di energia da fonti rinnovabili.
0 notes
Text
passano gli anni,le crisi economiche ma i manager della prima repubblica si darwinismano semprel
Parliamo di paolo scaroni oggi il fondo elliot fará il suo nome per la carica,di ad Milan,il manager nato il 1946 é stato anche ad eni ed Enel,un dirigente di azienda ed ex banchiere. Dopo il diploma al Liceo Classico Antonio Pigafetta di Vicenza e laurea in Economia e Commercio all'Università Bocconi, del cui International Advisory Council è tuttora membro,[2] Paolo Scaroni consegue un master in Business Administration presso la Columbia University di New York, dove ha studiato anche il figlio Alvise Scaroni. Inizia la sua attività professionale nella società di consulenza aziendale McKinsey. Nel 1973 lavora per il gruppo Saint-Gobain dove, nel 1978, assume l'incarico di presidente della divisione vetro a Parigi. Dal 1985 al 1996 è Vicepresidente e Amministratore Delegato della Techint. Nel luglio 1992, negli anni di Tangentopoli, è arrestato con l'accusa di aver pagato tangenti al Partito Socialista Italiano per la centrale elettrica di Brindisi, per conto della stessa Techint. Nel 1996 si celebra il processo in cui Scaroni chiede di patteggiare la pena: un anno e quattro mesi, al di sotto della soglia di carcerazione.[3] Dal 1997 al 1999 è stato inoltre presidente del Vicenza Calcio. Nel 1996, Paolo Scaroni si trasferisce in Gran Bretagna per ricoprire il ruolo di amministratore delegato di Pilkington.[4] Carica che lascia nel 2002 per andare a ricoprire il ruolo di Amministratore Delegato dell'Enel, nominatovi dal secondo governo Berlusconi. Nell'Enel opera una vera e propria svolta rinunciando al modello di società multiutility, sostenuto dal suo predecessore Franco Tatò, in favore di una maggiore focalizzazione sul core business energetico. Sotto il suo mandato sono da sottolineare la cessione di Wind, la riduzione dell'impegno di Enel nella creazione di una catena di negozi in franchising a marchio Enel sì. Dopo i risultati ottenuti in Enel, nel 2005 è nominato Amministratore Delegato dell'Eni, che nel 2006 (anche in virtù dell'elevato prezzo del petrolio e dell'inverno rigido) raggiunge fatturato e profitti da record. Appare subito chiaro che Scaroni in Eni intenda operare una strategia speculare a quella attuata in Enel: concentrazione sul core business energetico (che potrebbe implicare, tra l'altro, la cessione delle attività "storiche" nel settore petrolchimico), maggiore integrazione tra le divisioni aziendali e l'ingresso prepotente nel mercato della produzione e distribuzione di energia elettrica attraverso aggressive politiche di marketing rivolte al mercato consumer. Scaroni non ha mai preso posizioni politiche esplicite a sostegno di un partito o di una coalizione. Più volte sottolinea come l'Italia, a differenza di altri Paesi Europei, è terra di petrolio e di gas, risorse che non vengono valorizzate adeguatamente, a suo dire, a causa della miopia dei politici e di un ambientalismo populista. Nel novembre 2008 sul tema Protocollo di Kyoto e Pacchetto Clima 20-20-20 si esprime in questi termini: "Noi pensiamo che a breve, con le tecnologie esistenti e con quello che sappiamo fare, le rinnovabili, sostanzialmente eolico e solare, rappresenteranno forzatamente una cosa piccola. Proprio per questo noi, come Eni, investiamo in ricerca, in particolare sul solare, e siamo convinti che solo una scoperta tecnologica rivoluzionaria può far sì che le rinnovabili diano un contributo importante al nostro fabbisogno energetico". Paolo Scaroni è Consigliere di Amministrazione di Assicurazioni Generali, Vicepresidente non esecutivo del London Stock Exchange Group e Consigliere di Amministrazione di Veolia Environnement. È inoltre nel Board of Overseers della Columbia Business School di New York e della Fondazione Teatro alla Scala.[ Dal 2014 è Vicepresidente di Rothschild Possedeva una piccola quantità di azioni del Milan, cedutegli direttamente dal presidente Berlusconi fino al 14 aprile 2017, quando entra a far parte del Consiglio di Amministrazione del Milan. Vicende giudiziarie Paolo Scaroni è stato arrestato nel 1992 in merito all'inchiesta giudiziaria di Mani Pulite; nel 1996 ha patteggiato un anno e 4 mesi per tangenti di svariate centinaia di milioni di lire italiane, versate al Partito Socialista Italiano per appalti Enel Nel 2006 viene processato dal tribunale di Adria in qualità di amministratore delegato dell'Enel all'epoca dei fatti, per aver inquinato il territorio del delta del Po con la Centrale di Porto Tolle. Viene successivamente condannato ad un mese di reclusione, a titolo colposo, pena che viene convertita in un'ammenda di 1 140 euro. Nel marzo del 2009, la Corte d'Appello di Venezia ha assolto Scaroni dai reati attribuiti, annullando la precedente sentenza di primo grado. Nel 2011 "La Cassazione ha ribaltato la sentenza della Corte d'Appello di Venezia: secondo quanto si è appreso sarebbe prevalsa la linea dura per cui sarebbe stata riconosciuta la responsabilità penale (ma i reati tuttavia nel frattempo si sono prescritti) sia dei direttori di centrale sia degli amministratori delegati di Enel". Il 7 febbraio 2013 viene iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Milano per corruzione internazionale: il caso riguarda una presunta tangente da 198 milioni di euro pagata ad esponenti del governo algerino per favorire la controllata Saipem e la stessa Eni in appalti da 11 miliardi di dollari. Il 2 novembre 2015 viene assolto per mancanza di prove. Il 24 febbraio 2016 la Corte di Cassazione annulla l'assoluzione di Paolo Scaroni e ENI. Il processo per la presunta maxi-tangente è attualmente in corso davanti al Tribunale di Milano nei confronti di Scaroni, ENI, Saipem e altri sette imputati.[
0 notes
Link
Proprio a Bologna,in via A.Costa, ha sede il centro di assistenza ai clienti con centinaia di addetti a rispondere alle richieste degli utenti 24/24h. L'azienda nasce nel 2002 ed è la prima esperienza in Italia di unificazione di diverse reti municipalizzate: dall' Umbria all'Emilia, passando per il Veneto e la provincia di Udine. All' attuale conta circa ottomila dipendenti e fornisce servizi per tre milioni e mezzo di persone. insomma, un colosso nel mercato energetico italiano, con fatturati a sei cifre e spostamenti di flussi di capitali nei territori in cui opera molto consistenti. E, nondameno, al centro dell'occhio mediatico per le ingerenze politiche, come testimoniato qualche mese fa dalla scelta del sindaco bolognese Merola: quando si trattò di scegliere uno dei componenti del cda di Hera in capo al Comune, Merola prima sostenne il nome di Alberto Aitini, responsabile organizzativo Pd e fedelissimo del segretario provinciale Francesco Critelli; poi, di fronte al veto di molti amministratori dem, decise di accettare il passo indietro. Il business plan attuale dell'azienda prevede una attenzione alta per le quote di azioni che ne determinano la scalata nel mercato borsistico. Una multiutility semi-pubblica tendente, secondo la processualità avvenuta a livello transnazionale ad altre grandi compagnie del settore, a una crescente privatizzazione nonchè immissione e investimento di capitale privato. La crescente politica di vendita delle azioni di Hera spa ha peraltro portato negli scorsi mesi a dubbi e interrogativi a livello politico nei feudi dem, come a Rimini, dove si è posto in questione la natura del ricavo di Hera sulle azioni e i conseguenti apprezzamenti sulle spalle dell' utenza: utile solo e per l'azienda o utile all'effettiva programmazione futura delle politiche energetiche e ambientali per la cittadinanza? Una multiultility, tentacolare e con tantissimi partner, e lavori appaltati e subappaltati tramite il sistema delle cooperative. E' qui che si giunge dietro le quinte del colosso,quelle degli operatori telefonici che lavorano per Hera tramite cooperativa, assunti per lo più da interinali. Persone malpagate, costrette a lavorare in ambienti a dir poco anti-ergonomici e snervanti, come accade in lungo e in largo nella penisola per tutti coloro che alla ricerca del salario vengono fagocitati dalle grandi compagnie per servizio di assistenza e offerta di prodotti commerciali. Lavoro senza ferie pagate, con forti ricadute psico-fisiche anche a breve termine. Abbiamo carpito questo e altro intervistando Teresa (nome di fantasia), che ha lavorato per Hera in uno dei centri di assistenza presenti a Bologna. Buona lettura. Com'è stata la tua esperienza lavorativa per Hera e che mansioni hai svolto in particolare? Ho lavorato per Hera nel febbraio del 2016 e ho terminato il rapporto con loro a dicembre dello stesso anno. Sono arrivata a questo lavoro tramite annuncio, dopo che questo era stato girato ad una agenzia interinale, la stessa che è stata coinvolta in recenti scandali. Alcuni colleghi lavoravano direttamente per Trenkwalder, l'agenzia interinale che è rimasta famosa per aver lasciato migliaia di dipendenti senza stipendio nel 2016, mentre io e altri eravamo sotto Tapos, azienda di Milano che presta servizio di call-center per multinanzionali, quali Hera, Tim, Tre, Fastweb ecc. Qui a Bologna, solo il call-center dove lavoravo io contava all' incirca 400 dipendenti.. so che c'è un altro call-center a Bologna che ha lo stesso appalto con Hera. Ognuno di noi aveva storie totalmente diverse e proveniva da percorsi totalmente diversi. Io alla fine non ci sono arrivata per agenzia interinale e per la categoria per cui avevo firmato il contratto prendevo comunque meno soldi di quello che era possibile. Era un contratto part-time a 30 ore più ovviamente straordinari, che venivano richiesti e pagati non il doppio come doveva essere, ma da 6 euro e 70 se lavoravi il sabato e la domenica venivi retribuito con soli due euro in più. Io ho fatto straordinari solo il sabato, mai la domenica, quindi non so in realtà com'era la gestione del servizio la domenica. La situazione in cui lavoravo era una situazione comunque di stress perché ci chiedevano ovviamente di fare il servizio clienti Hera, ma anche di fare pubblicità dei servizi che Hera offriva. Sul contratto c'era scritto che tu venivi pagata per il servizio clienti, però se riuscivi a chiudere contratti o a far passare un cliente che era legato a un servizio ancora tutelato al mercato libero, prendevi la precentuale su questo cliente. Non eri obbligata a farlo, però chi non riusciva a portare clienti durante il mese insomma veniva fatti fuori, quindi in realtà vivevi una certa sorta di stress che ti obbligava a cercare di chiudere una serie di pezzi richiesti entro la fine del mese. Più clienti dunque riuscivi a portare dal tutelato al mercato libero, più l'azienda ne guadagnava in complessiva. La pressione su di noi dipendeva dal periodo, dipendeva dalle esigenze dell'azienda, ovviamente erano cose che a noi non venivano dette, però lo deducevi dall'atteggiamento del team leader che in una settimana non si preoccupava se erano stati fatti dieci pezzi complessivi, che non sono niente, mentre altre settimane ne facevi cento su quattrocento persone complessive e non andava bene...per cui ci si rende conto che tutto era portato dall' alto...sicuramente l'estate è stato il momento più duro, forse perché c'era crisi; mi ricordo che comunque almeno una ventina sono stati mandati a casa dopo qualche mese, dopo che a tutti quanti era stata propinata una formazione che non serviva assolutamente a nulla, e dopo due mesi la maggiorparte delle persone che stavano con me sono state mandate a casa perchè non erano state produttive sul piano commerciale.. C'era un approccio motivazionale forte al lavorare “per il bene” di Hera? No, spesso ci veniva detto che comunque col fatto che a loro veniva appaltato il servizio da Hera, se non riuscivamo a vendere il commerciale avrebbero perso il servizio clienti e quindi tutti noi saremmo andati a casa. Loro hanno all'interno del posto, come Hera, un piccolo ufficio commerciale che vendeva servizi ma solo a persone che erano già loro clienti, quindi appaltavano tutto il resto della loro promozione a noi in sostanza. L'ufficio trattava liste di clienti che per esempio avevano con Hera solo l'acqua intestata, e quindi cercavano di fargli intestare anche la luce, per fare un esempio.. si trattava spesso di convincere ad aderire al super pacchetto all-inclusive, proposto come un grande vantaggio, ma in realtà una super incu...a, perchè dopo due anni di offerta il cliente pagava di più. Come è finita la tua prestazione e per quali motivi? Ho deciso di licenziarmi, mi avevano proposto un rinnovo di contratto per altri due mesi e io ero esausta. Non ce la facevo più a sentire tutte quelle voci, non riuscivo più nemmeno a essere cortese al telefono. Loro come servizio clienti hanno una impostazione molto rigida: ti dicono cosa devi dire, come approcciare al cliente, e non hai la possibilità di rivolgerti in altre modalità. Se ti sentono mentre sei in linea e dici qualcosa che ad alcuni leader non vanno bene, perchè hai un leader di comunicazione che ti sta dietro mentre tu ricevi le telefonate, questo ti blocca e ti mette in attesa. Ha la possibilità [il leader] di poterlo fare dato che – e chi ha lavorato in un call center lo sa – le cuffie collegate alle linee telefoniche di un call-center hanno praticamente una presa interna con la quale il leader ha la possibilità di bloccarti la telefonata, che poi magari viene passata ad un altro operatore oppure conclusa dallo stesso team leader. L'importante per loro è che porti il contratto o comunque fascini il cliente. Da un certo punto di vista, la formazione che fai lì non ti dà gli strumenti in realtà per fornire spiegazioni esaustive al cliente; è compito tuo alla fine andarti a studiare tutte le particolarità di Hera, o chi per lei, ma non puoi conoscere in sostanza tutte le offerte come tutte le problematiche di pronto intervento. E' normale che nelle sei ore e mezza in cui sei di turno ti poni davanti la pagina web di Hera praticamente sempre. Descrivici l'ambiente di lavoro nel complesso e il rapporto con i colleghi. Puoi fare quindici minuti di pausa pagata in tutto. O due da sei minuti o una da quindici minuti. Chi aveva già lavorato in un call center mi ha detto che è sempre così solitamente. E assolutamente non si può andare in pausa tutti quanti insieme, quindi vai in pausa solitamente con la fila di persone che stanno ai pc di fronte, una fila per volta. La questione più assurda è che tu ti trovi in un enorme ufficio dove ci sono quattrocento persone al telefono. La sera ne esci con mal di testa incredibile, perchè risenti del sottofondo. Dato che devi essere abbastanza concentrata per parlare con il cliente, risenti dei rumori che ti disturbano. Praticamente a un certo punto sei una macchina, e sei lì davanti al tuo computer a parlare col cliente. Se ci pensi, è assurda come situazione, ad esempio io avevo a fianco un altro operatore che praticamente gridava in maniera molto colorita e sovrastava l'ascolto del mio cliente in cuffia... Di quattrocento persone, nessuna iniziava allo stesso orario. Tutti con scarti di dieci minuti, per coprire l'intero arco delle ore dell'assistenza, quindi non c'era granchè tempo di poter scambiare due chiacchiere con gli altri e le altre. Il servizio clienti rispondeva fino alle 22:30, mentre il pronto intervento era attivo fino alle 24, altrimenti poi c'era un altro numero di pronto intervento che viene utilizzato dagli operatori che hanno reperibilità. Devi avere una gran dose di pazienza per essere da questa parte della cornetta. Spesso ti senti dire “vada a fare un altro lavoro” senza apparenti motivazioni, e ti tocca buttare giù il boccone amaro. Di fatto, ci sono persone che trovano in qualche modo stimoli per continuare con questo lavoro. Ci sono persone che vi lavorano da sei, otto, dieci anni, e sono spesso i team leader, che dopo un po' di tempo divengono esperti di comunicazione telefonica. La maggiorparte degli operatori vive il suo lavoro con ansia e frustrazione, poi c'è gente a cui piace parlare al telefono... credo perchè abbiano problemi relazionali in generale... Personalmente, una volta finito il lavoro in Hera, ho passato tempo a non parlare con le persone, e soprattutto a non riuscire a parlare al telefono con tante persone. Come si faccia a provare piacere per tanto tempo a svolgere questa mansione per me resta un mistero, io lo ho trovato alienante e anche i miei amici mi hanno detto di essere non poco preoccupati per come mi vedevano settimana dopo settimana. Ci sono episodi che ti porterai dietro come ricordi forti? Sì, una volta sono stata molestata da un cliente. Verbalmente, ovvio. Ma più o meno ho continuato ad essere molestata sessualmente da un anziano fino a che non mi sono saltati i nervi e gli ho risposto per le rime, come si conveniva a una situazione del genere. Mi è stato detto dalla team leader di andare a casa, prendermi tre o quattro giorni di ferie e riflettere sulla modalità con cui mi sono comportata... io ovviamente sono andata all' amministrazione dal responsabile per fargli capire la natura della telefonata, dato che tutte le nostre telefonate sono registrate, soprattutto per rispondere del giudizio che i clienti fanno sulla qualità del servizio, come avviene anche per quasi tutte le altre compagnie e call-center del mondo. Altre volte mi ricordo di dover andare a fare la pipì mentre ero in conversazione, e di non volerci andare perchè una volta superata la pausa “sindacale” di 15 minuti, il tempo extra di pausa non veniva retribuito, quindi per terminare le sei ore e mezza di turno rischiavi di rimanere lì dentro ancora per più tempo...
0 notes
Text
Penna(SEL): "Da ATM a Amag Mobilità, un risultato così non si improvvisa"
Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa di Renzo Penna(SEL): Bravi tutti: i Sindacati di categoria e quelli Confederali di Cgil, Cisl e Uil, l’Amministrazione Comunale con il Sindaco Rita Rossa e l'Assessore Giorgio Abonante che hanno seguito passo, passo la vicenda e le trattative, le lavoratrici e i lavoratori che hanno trascorso un anno difficile, con preoccupazioni e incertezze per il loro futuro, garantendo, comunque, sempre il servizio. Bravo, per la sua determinazione, il curatore fallimentare di ATM e brava anche la nuova azienda ‘Line’ di Pavia che parte col piede giusto e dalla quale i cittadini di Alessandria si attendo molto. Ma se in questi anni la società AMAG non si fosse risanata e messa in grado di costruire, con un patrimonio netto più solido, una vera Multiutility, un’azienda, cioè, comprensiva dei principali servizi del e per il territorio, tra di loro autonomi: dal servizio idrico interamente pubblico, alla società per la distribuzione del gas e del calore, all’azienda per la raccolta e la separazione dei rifiuti urbani, alla costituzione, insieme al privato che investe, della società per il teleriscaldamento; tutto, per la risoluzione della crisi di ATM e del trasporto pubblico comunale sarebbe stato molto più difficile. Un risultato così, infatti, non si improvvisa, ma si costruisce, con costanza, nel tempo. E non solo per l’essersi impegnata ad occupare, distribuiti fra le proprie società, le 25 lavoratrici e lavoratori ritenuti eccedenti in ATM, ma per aver seguito, per un anno durante il fallimento, i lavori del Commissario e costituito, con un partner del settore, la società che ha partecipato e vinto la gara per l’aggiudicazione dell’azienda. E va ricordato, altresì, che AMAG è stata protagonista del salvataggio e del rilancio di AMIU fallita e transitata, con tutti i dipendenti, in AMAG Ambiente e, ancora, che hanno trovato stabile occupazione presso AMAG anche le lavoratrici e i lavoratori del Teatro Comunale, messo in liquidazione dopo l'inquinamento causato da amianto. L'applauso dei lavoratori ex ATM in assemblea, al termine della lunga e complessa trattativa, è sicuramente il miglior premio per tutti coloro che si sono impegnati. Chi negli scorsi giorni ha criticato il vertice di AMAG, accusandolo di non fare gli interessi dell'azienda, ha dimostrato superficialità e una non adeguata conoscenza della situazione. Dispiace anche per la presa di posizione del M5S che ha voluto, a tutti costi, trovare un elemento di polemica nei confronti della Giunta e della maggioranza del Comune. Capisco le esigenze della campagna elettorale, ma è proprio in queste occasioni, quando sono in gioco i destini e il futuro di centinaia di lavoratrici e di lavoratori che si deve dimostrare maturità e cultura di governo. http://dlvr.it/NnlBYT
0 notes
Text
Centrodestra alessandrino: incontro chiarificatore sul futuro del Gruppo AMAG
Le forze politiche di centrodestra incontreranno venerdì 22 novembre la Presidente e l'Amministratore Delegato di AMAG per discutere delle criticità e delle prospettive future dell'azienda.
Le forze politiche di centrodestra incontreranno venerdì 22 novembre la Presidente e l’Amministratore Delegato di AMAG per discutere delle criticità e delle prospettive future dell’azienda. L’incontro, previsto alle ore 17:30 presso la sede aziendale, punta a fare luce sulle preoccupazioni legate alla gestione del gruppo e al destino dei lavoratori. Un confronto necessario per la…
#Alessandria today#centrodestra Alessandria#confronti aziendali#Crisi aziendali#criticità aziendali#dialogo costruttivo#economia e governance#Economia locale Alessandria#energia AMAG#Forza Italia Alessandria#Fratelli d’Italia Alessandria#futuro AMAG#futuro delle aziende pubbliche#gestione multiutility#Google News#governance Amag#Gruppo Amag#incontri chiarificatori#italianewsmedia.com#lavoratori AMAG#Lega Alessandria#multiutility Alessandria#opposizione Alessandria#opposizione politica.#Per Alessandria#Pier Carlo Lava#politica Alessandria#politica locale#risposte politiche#servizi acqua Alessandria
0 notes
Text
Roggero (Lega) solleva preoccupazioni su Amag durante la Commissione Bilancio di Alessandria
Criticità su consulenze, gestione del personale e nomine incerte: molte domande senza risposta sulla situazione di Amag
Criticità su consulenze, gestione del personale e nomine incerte: molte domande senza risposta sulla situazione di Amag Giovedì mattina, durante la Commissione Programmazione e Bilancio del Comune di Alessandria, sono emerse numerose questioni delicate riguardanti il Gruppo Amag, la multiutility della città. Il Capogruppo della Lega, Mattia Roggero, ha sollevato dubbi riguardanti la gestione…
#Amag Alessandria#AMAG Reti Idriche#amministratore unico dimissioni#bilancio Amag 2024#Commissione Bilancio Alessandria#commissione programmazione Alessandria#Consiglio comunale Alessandria#consulenze AMAG#crisi multiutility Alessandria#critica consulenze aziendali#dimissioni amministratore Amag#futuro multiutility Alessandria.#gestione multiutility Italia#gestione personale Amag#governance Amag#governance trasparente#gruppo Amag perdite 2023#Lega Alessandria#management aziendale Amag#Mattia Roggero#multiutility Alessandria#responsabilità amministrative Amag#riforma statuto Amag Reti Idriche#rimborsi consulenze Amag#scioperi aziendali Alessandria#sciopero Amag#sciopero Amag Reti Idriche#sciopero lavoratori Amag#sindaco Abonante#trasparenza Amag
0 notes
Text
rodotáchiamava il governo renzi regime
Rodotà: contro il regime, ci resta l’arma del referendum Il fastidio di Matteo Renzi questa volta non è per qualche singolo oppositore ma è direttamente per uno strumento costituzionale. Renzi ce l’ha con i referendum, e dice che sono inutili, perché sa che oltre agli effetti concreti sulle norme, quando sono promossi dal basso verso l’alto, dai cittadini o dalle regioni, e non sono plebiscitari come quello che avremo sulla riforma costituzionale, i referendum producono ricomposizione sociale. Ed è invece sulla disgregazione della società che il presidente del Consiglio ha impostato la sua strategia di governo, come dimostra la politica dei bonus, che dà qualcosa a ognuno – il bonus ai giovani, il bonus ai poliziotti, il bonus ai professori – e non a tutti. E con l’attacco frontale ai referendum, cercando ogni modo per non attuarli, come nel caso dell’acqua pubblica, o dicendo che non bisogna andare a votare, come sulle trivellazioni, Renzi prosegue sulla strada della passivizzazione dei cittadini. Che è una strada che percorriamo da anni. Si diceva che i cittadini sono ormai carne da sondaggio, ma è un’espressione vecchia. Ora sono carne da tweet o da slide. I referendum possono essere inutili, si aggirano, si ignorano? Ma non è certo colpa dei cittadini. È il governo, e il Parlamento, che dovrebbero lavorare per dare attuazione a quanto indicato dalle consultazioni. Ma non succede, con effetti pericolosi: e non solo per lo strumento referendario. Perché il ridursi degli spazi di partecipazione istituzionale produce reazioni extra istituzionali: quando si demonizza il referendum, che sia proposto da una raccolta firme o dalle regioni non cambia, si sta dicendo ai cittadini che è inutile rivolgersi alle istituzioni e alla politica. Quello sull’acqua pubblica è un referendum che ha bloccato un processo di privatizzazione ma che si sta cercando di tradire. Senza peraltro preoccuparsi di farlo in maniera smaccata. Scandaloso, ad esempio, è l’articolo 25 del decreto Madia sui servizi pubblici che prevede “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, usando esattamente le parole cancellate dal voto sul secondo quesito referendario. È palese l’illegalità costituzionale. Nel 2012 la Corte Costituzionale aveva già dichiarato illegittime le norme che riproducono norme abrogate con il referendum. Oggi si dice con superficialità: il voto non ha escluso la via di una gestione privata. Ma quello che il voto ha stabilito è però che quella privata non può essere la via preferenziale, come stabiliva il decreto Ronchi, con Berlusconi, e come vuole stabilire nuovamente il governo Renzi, sempre con il decreto Madia e con l’emendamento che ha riscritto la legge in discussione in Parlamento, che originariamente riprendeva quella di iniziativa popolare. L’indicazione che si fa finta di non vedere è che la gestione dell’acqua deve essere in via prioritaria pubblica, pur nelle forme variamente partecipate, e slegata da logiche di mercato. L’argomento del governo è che il pubblico produce inefficienza e non ha le risorse per i necessari investimenti sulla rete? Ancora una volta è la dimostrazione che si vuole ignorare l’esito referendario: l’argomentazione usata è la stessa di cinque anni fa, come se non ci fosse stato il dibattito. E, esattamente come quando si discusse all’epoca, si dice che la gestione pubblica è giocoforza pessima, rimuovendo che i luoghi dove la gestione dell’acqua è migliore sono invece Milano e Napoli, dove è completamente pubblica. Il dialogo è ritenuto pericoloso. Ma il discorso sui beni comuni si sta svolgendo in tutto il mondo ed è un percorso opposto a quello che si vorrebbe imporre in Italia, dove le multiutility vogliono impedire che si avvii. Se si leggessero i libri, se ne troverebbero di scritti con particolare attenzione alle modalità di gestione, senza inconsapevolezza né ideologia. Anche l’uso plebiscitario del prossimo referendum costituzionale sembra indicare una crisi dello strumento. Indica invece l’uso congiunturale che si è ormai soliti fare delle istituzioni. Il referendum viene usato quando fa comodo, quando può essere utilizzato per misurare il consenso del leader, mentre nelle altre occasioni se ne parla male. Invece il referendum – così come lo ha voluto il costituente, che ha escluso i plebisciti perché consapevole dei rischi – è proprio quello dal basso, promosso dai cittadini o da almeno cinque regioni. Ed è quello che rivitalizza la democrazia e la politica. Intorno ai referendum si determina una ricomposizione sociale, di cui c’è molto bisogno, visto che ultimamente è stata favorita invece la frammentazione sociale, considerando superflui, ad esempio, i corpi intermedi. La scelta di invitare a disertare le urne referendarie fa il paio con le riforme costituzionali ed elettorali volute da Matteo Renzi? Mi pare evidente. Anche se a voler legger bene la riforma Boschi c’è persino una contraddizione rispetto a quello che è l’atteggiamento di Renzi, che invita all’astensione scommettendo sul mancato raggiungimento del quorum, con una furbizia che prima di lui hanno usato in tanti, dalla Chiesa a Craxi. La riforma invece modifica i requisiti per la validità dei referendum proprio per scoraggiare il gioco dell’astensione. C’è più modernità nei referendum, in questo sulle trivelle e in quelli che avremo nel prossimo anno, per cui si stanno raccogliendo le firme, dal Jobs Act alla scuola, che in tutta la riforma Boschi. Che è anzi una riforma conservatrice, che accentra il potere. Innumerevoli politologi hanno studiato il progressivo accrescimento del potere esecutivo e si sono chiesti come ricostruire gli equilibri costituzionali, come organizzare la politica e le istituzioni nell’era della sfiducia. Una delle principali risposte è quella dei referendum, che riportano il potere nelle mani del cittadino, fosse anche come legislatore negativo. (Stefano Rodotà, dichiarazioni rilasciate a Luca Sappino per l’intervista “Referendum, che fastidio i cittadini”, pubblicata da “L’Espresso” e ripresa da “Micromega” il 30 marzo 2016). Il fastidio di Matteo Renzi questa volta non è per qualche singolo oppositore ma è direttamente per uno strumento costituzionale. Renzi ce l’ha con i referendum, e dice che sono inutili, perché sa che oltre agli effetti concreti sulle norme, quando sono promossi dal basso verso l’alto, dai cittadini o dalle regioni, e non sono plebiscitari come quello che avremo sulla riforma costituzionale, i referendum producono ricomposizione sociale. Ed è invece sulla disgregazione della società che il presidente del Consiglio ha impostato la sua strategia di governo, come dimostra la politica dei bonus, che dà qualcosa a ognuno – il bonus ai giovani, il bonus ai poliziotti, il bonus ai professori – e non a tutti. E con l’attacco frontale ai referendum, cercando ogni modo per non attuarli, come nel caso dell’acqua pubblica, o dicendo che non bisogna andare a votare, come sulle trivellazioni, Renzi prosegue sulla strada della passivizzazione dei cittadini. Che è una strada che percorriamo da anni. Si diceva che i cittadini sono ormai carne da sondaggio, ma è un’espressione vecchia. Ora sono carne da tweet o da slide. I referendum possono essere inutili, si aggirano, si ignorano? Ma non è certo colpa dei cittadini. È il governo, e il Parlamento, che dovrebbero lavorare per dare attuazione a quanto indicato dalle consultazioni. Ma non succede, con effetti pericolosi: e non solo per lo strumento referendario. Perché il ridursi degli spazi di partecipazione istituzionale produce reazioni extra istituzionali: quando si demonizza il referendum, che sia proposto da una raccolta firme o dalle regioni non cambia, si sta dicendo ai cittadini che è inutile rivolgersi alle istituzioni e alla politica. Quello sull’acqua pubblica è un referendum che ha bloccato un processo di privatizzazione ma che si sta cercando di tradire. Senza peraltro preoccuparsi di farlo in maniera smaccata. Scandaloso, ad esempio, è l’articolo 25 del decreto Madia sui servizi pubblici che prevede “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, usando esattamente le parole cancellate dal voto sul secondo quesito referendario. È palese l’illegalità costituzionale. Nel 2012 la Corte Costituzionale aveva già dichiarato illegittime le norme che riproducono norme abrogate con il referendum. Oggi si dice con superficialità: il voto non ha escluso la via di una gestione privata. Ma quello che il voto ha stabilito è però che quella privata non può essere la via preferenziale, come stabiliva il decreto Ronchi, con Berlusconi, e come vuole stabilire nuovamente il governo Renzi, sempre con il decreto Madia e con l’emendamento che ha riscritto la legge in discussione in Parlamento, che originariamente riprendeva quella di iniziativa popolare. L’indicazione che si fa finta di non vedere è che la gestione dell’acqua deve essere in via prioritaria pubblica, pur nelle forme variamente partecipate, e slegata da logiche di mercato. L’argomento del governo è che il pubblico produce inefficienza e non ha le risorse per i necessari investimenti sulla rete? Ancora una volta è la dimostrazione che si vuole ignorare l’esito referendario: l’argomentazione usata è la stessa di cinque anni fa, come se non ci fosse stato il dibattito. E, esattamente come quando si discusse all’epoca, si dice che la gestione pubblica è giocoforza pessima, rimuovendo che i luoghi dove la gestione dell’acqua è migliore sono invece Milano e Napoli, dove è completamente pubblica. Il dialogo è ritenuto pericoloso. Ma il discorso sui beni comuni si sta svolgendo in tutto il mondo ed è un percorso opposto a quello che si vorrebbe imporre in Italia, dove le multiutility vogliono impedire che si avvii. Se si leggessero i libri, se ne troverebbero di scritti con particolare attenzione alle modalità di gestione, senza inconsapevolezza né ideologia. Anche l’uso plebiscitario del prossimo referendum costituzionale sembra indicare una crisi dello strumento. Indica invece l’uso congiunturale che si è ormai soliti fare delle istituzioni. Il referendum viene usato quando fa comodo, quando può essere utilizzato per misurare il consenso del leader, mentre nelle altre occasioni se ne parla male. Invece il referendum – così come lo ha voluto il costituente, che ha escluso i plebisciti perché consapevole dei rischi – è proprio quello dal basso, promosso dai cittadini o da almeno cinque regioni. Ed è quello che rivitalizza la democrazia e la politica. Intorno ai referendum si determina una ricomposizione sociale, di cui c’è molto bisogno, visto che ultimamente è stata favorita invece la frammentazione sociale, considerando superflui, ad esempio, i corpi intermedi. La scelta di invitare a disertare le urne referendarie fa il paio con le riforme costituzionali ed elettorali volute da Matteo Renzi? Mi pare evidente. Anche se a voler legger bene la riforma Boschi c’è persino una contraddizione rispetto a quello che è l’atteggiamento di Renzi, che invita all’astensione scommettendo sul mancato raggiungimento del quorum, con una furbizia che prima di lui hanno usato in tanti, dalla Chiesa a Craxi. La riforma invece modifica i requisiti per la validità dei referendum proprio per scoraggiare il gioco dell’astensione. C’è più modernità nei referendum, in questo sulle trivelle e in quelli che avremo nel prossimo anno, per cui si stanno raccogliendo le firme, dal Jobs Act alla scuola, che in tutta la riforma Boschi. Che è anzi una riforma conservatrice, che accentra il potere. Innumerevoli politologi hanno studiato il progressivo accrescimento del potere esecutivo e si sono chiesti come ricostruire gli equilibri costituzionali, come organizzare la politica e le istituzioni nell’era della sfiducia. Una delle principali risposte è quella dei referendum, che riportano il potere nelle mani del cittadino, fosse anche come legislatore negativo. (Stefano Rodotà, dichiarazioni rilasciate a Luca Sappino per l’intervista “Referendum, che fastidio i cittadini”, pubblicata da “L’Espresso” e ripresa da “Micromega” il 30 marzo 2016).
0 notes