#costruzioni su palafitte
Explore tagged Tumblr posts
Text
Il segreto di Venezia: come la città galleggiante si sostiene su colonne di legno. La straordinaria ingegneria dietro Venezia: perché i pilastri di legno che sostengono la città resistono da secoli?
Venezia è uno dei gioielli più preziosi del mondo, non solo per la sua bellezza artistica e culturale, ma anche per l'ingegneria straordinaria che la sostiene.
Venezia è uno dei gioielli più preziosi del mondo, non solo per la sua bellezza artistica e culturale, ma anche per l’ingegneria straordinaria che la sostiene. Costruita su un intreccio di isole nella laguna veneziana, la città sorge su migliaia di pilastri di legno affondati nel fondale, una tecnica che ha permesso a Venezia di “galleggiare” stabilmente per secoli. La costruzione di Venezia:…
#abete rosso Venezia#acqua salata e legno#ambiente anaerobico#architettura antica#architettura lagunare#architettura Venezia#cambiamento climatico Venezia#città galleggiante#conservazione Venezia#costruzione laguna#costruzione su laguna#costruzioni storiche#costruzioni su acqua#costruzioni su palafitte#edifici storici Venezia#fondali laguna#fondamenta architettoniche#fondamenta di Venezia#ingegneria medioevale#ingegneria storica#ingegneria veneziana#inondazioni Venezia#laguna veneziana#MOSE Venezia#ossigeno e decomposizione#patrimonio culturale#patrimonio culturale Venezia#patrimonio UNESCO#pilastri di legno Venezia#pilastri sott&039;acqua
0 notes
Text
Yasmeen Lari
https://www.unadonnalgiorno.it/yasmeen-lari/
Yasmeen Lari è stata la prima donna a diventare architetta in Pakistan e la prima ad aprire il proprio studio.
Pioniera del brutalismo, è passata alla storia come colei che ha insegnato alle persone povere a costruirsi le case da sole.
La sintesi della sua filosofia progettuale risiede nel rispetto e recupero di tecniche tradizionali e materiali naturali, in un sistema strutturale efficiente e razionale, capace di emancipare le persone, coinvolte nei lavori di costruzione.
Una carriera divisa in due parti, per trentasei anni ha progettato edifici imponenti per poi dedicarsi alla realizzazione di migliaia di abitazioni per comunità colpite da disastri ambientali.
La sua è un’architettura a piedi scalzi rispettosa delle abitudini di vita delle comunità locali: bungalow che riprendono forme tradizionali, palafitte in bambù che resistono a inondazioni e terremoti, abitazioni con terrazze adatte a ospitare pollai.
Nata a Dera Ghazi Khan nel 1941, da bambina è stata ispirata dal lavoro del padre che si occupava di progetti di sviluppo con il servizio civile indiano.Si è laureata alla Oxford School of Technology nel 1964.
Tornata in patria ha dovuto affrontare pregiudizi e difficoltà.
Ha iniziato a lavorare per una società di costruzioni britannica e poi aperto il suo studio, la Lari Associates che l’ha resa celebre in tutto il mondo.
Famosa e prolifica pioniera dell’architettura brutalista, ha costruito imponenti edifici su commissioni statali come la Pakistan State Oil House, il Finance and Trade Center di Karachi e le ABN Amro Bank a Lahore e Karachi.
Parallelamente, ha sperimentato un’architettura che andasse incontro alle esigenze delle fasce meno agiate della popolazione.Insediamenti informali a emissioni zero di carbonio e resistenti ai terremoti, restauro e conservazione di molti villaggi rurali che hanno contribuito a salvare il patrimonio storico e culturale pakistano.
Nel 1978, a Lahore, ha progettato Anguri Bagh Housing, il primo caso di edilizia popolare del paese e il Lines Area Resettlement, un quartiere diffuso composto da alloggi costruiti autonomamente dai residenti di Karachi.
Dal 2000, si occupa a tempo pieno della Heritage Foundation Pakistan, fondata nel 1984 per salvaguardare il patrimonio culturale attraverso progetti di natura sociale.
Dopo il terremoto del 2005, ha promosso programmi di formazione per l’autocostruzione 40.000 residenze a zero emissioni, realizzate in bambù, calce e fango.
Con l’aiuto di formatrici a domicilio, ha messo in condizione le donne delle campagne di costruirsi i chulah, cucine all’aperto in terra battuta e calce, il cui progetto ha vinto il World Habitat Award nel 2018.
È stata insignita anche con il Fukuoka Prize e il Jane Drew Prize.
Consulente UNESCO è stata eletta tra le 60 donne che hanno contribuito maggiormente agli obiettivi dell’organizzazione.
Nel 2021, il Politecnico di Milano le ha conferito la laurea ad honorem in architettura per aver dedicato la sua vita ai diritti delle persone più indigenti, alle emergenze abitative e alla sostenibilità ambientale.
Il lavoro di Yasmeen Lari, per la ricerca paziente delle tecniche e della forma appropriata che pone con sapienza in relazione le tradizioni locali con uno sguardo sul futuro, è in grado di costituire una nuova idea di bellezza, di utilità, di solidità dell’architettura.
0 notes
Photo
Chiunque sia mai stato in Abruzzo e abbia visto il suo bellissimo litorale, non potrà dimenticare lo splendido panorama dei trabocchi, insoliti giganti che emergono dalle acque. Le loro origini non sono ancora chiare, ma è certo che la loro presenza rende decisamente molto più suggestivo un paesaggio già di suo a dir poco fantastico. Siamo lungo la Costa dei Trabocchi, quel tratto di litorale del Medio Adriatico compreso tra Ortona e Vasto che ha ispirato anche Gabriele D’Annunzio. Nei pressi di San Vito Chietino, lo scrittore acquistò una casetta di pescatori che trasformò nel suo nido d’amore. E proprio i trabocchi, da lui descritti come “ragni colossali”, hanno fatto da sfondo ad almeno parte della storia narrata nel suo capolavoro Il trionfo della morte. Queste bizzarre costruzioni sono delle macchine da pesca su palafitte, che secondo alcune testimonianze andrebbero accreditate ai Fenici. In realtà non sappiamo con esattezza a quando risalgono i trabocchi, le fonti sono piuttosto incerte. Qualsiasi siano le loro origini, è certo che stiamo parlando di strutture davvero particolari, che offrono un panorama incredibile. Si stagliano sull’azzurro del mar Adriatico, e suscitano grandi emozioni. L’affascinante panorama dei trabocchi – Foto: 123rf Molti trabocchi sono stati restaurati e riportati alla loro bellezza originaria – alcuni di essi ospitano ristoranti dove potrete gustare qualche saporita pietanza locale, nel pieno rispetto delle tradizioni abruzzesi. Impossibile descriverli tutti: ciascuno di loro ha una storia lunga millenni da raccontare, e solo ammirandone la maestosità è possibile capire appieno quale meraviglia possa suscitare nei visitatori. Ma la Costa dei Trabocchi ha ancora molte altre bellezze da regalare ai turisti. Le sue spiagge, ad esempio, sono tra le più affascinanti dell’intero litorale dell’Adriatico, e hanno il vantaggio di non essere ancora molto conosciute al turismo di massa. Luoghi splendidi come la spiaggia di Ripari di Giobbe, oggi considerata area protetta, o come le piccole calette del Golfo di Venere meritano assolutamente di essere (ri)scoperte. Acque azzurre, sabbia fine e panorami mozzafiato sono garantiti. Se siete alla ricerca di una vacanza a contatto con la natura, poi, avrete solamente l’imbarazzo della scelta. La Costa dei Trabocchi – Foto: 123rf La Costa dei Trabocchi è rigogliosa dal punto di vista della vegetazione: siamo sicuri che rimarrete incantati dalla meraviglia della Lecceta di Torino di Sangro, una riserva protetta a ridosso della foce del fiume Sangro, che si affaccia proprio sul litorale abruzzese. E che dire della Riserva Naturale di Punta Aderci? Splendide distese verdi che alternano vigneti a campi di grano, magnifici colori e odori che lasceranno un segno indelebile tra i vostri ricordi. L’area si estende sino al promontorio di Punta Aderci, un balcone sul mare che domina la bellissima spiaggia di Punta Penna. È questo il luogo perfetto se volete concedervi un’esplorazione del territorio su due ruote. A Francavilla a mare aprirà a breve i battenti la nuova ciclostazione dei trabocchi, dove noleggiare bici da strada, mountain bike o bici elettriche per partire poi alla scoperta dell’affascinante paesaggio della costa abruzzese. E, perché no, potrete ammirare qualche piccolo paesino delizioso come il borgo medievale di Rocca San Giovanni o la splendida Ortona, la perla dell’Adriatico. Ortona – Foto: 123rf https://ift.tt/2RQYMZx La Costa dei Trabocchi, il meraviglioso litorale d’Abruzzo Chiunque sia mai stato in Abruzzo e abbia visto il suo bellissimo litorale, non potrà dimenticare lo splendido panorama dei trabocchi, insoliti giganti che emergono dalle acque. Le loro origini non sono ancora chiare, ma è certo che la loro presenza rende decisamente molto più suggestivo un paesaggio già di suo a dir poco fantastico. Siamo lungo la Costa dei Trabocchi, quel tratto di litorale del Medio Adriatico compreso tra Ortona e Vasto che ha ispirato anche Gabriele D’Annunzio. Nei pressi di San Vito Chietino, lo scrittore acquistò una casetta di pescatori che trasformò nel suo nido d’amore. E proprio i trabocchi, da lui descritti come “ragni colossali”, hanno fatto da sfondo ad almeno parte della storia narrata nel suo capolavoro Il trionfo della morte. Queste bizzarre costruzioni sono delle macchine da pesca su palafitte, che secondo alcune testimonianze andrebbero accreditate ai Fenici. In realtà non sappiamo con esattezza a quando risalgono i trabocchi, le fonti sono piuttosto incerte. Qualsiasi siano le loro origini, è certo che stiamo parlando di strutture davvero particolari, che offrono un panorama incredibile. Si stagliano sull’azzurro del mar Adriatico, e suscitano grandi emozioni. L’affascinante panorama dei trabocchi – Foto: 123rf Molti trabocchi sono stati restaurati e riportati alla loro bellezza originaria – alcuni di essi ospitano ristoranti dove potrete gustare qualche saporita pietanza locale, nel pieno rispetto delle tradizioni abruzzesi. Impossibile descriverli tutti: ciascuno di loro ha una storia lunga millenni da raccontare, e solo ammirandone la maestosità è possibile capire appieno quale meraviglia possa suscitare nei visitatori. Ma la Costa dei Trabocchi ha ancora molte altre bellezze da regalare ai turisti. Le sue spiagge, ad esempio, sono tra le più affascinanti dell’intero litorale dell’Adriatico, e hanno il vantaggio di non essere ancora molto conosciute al turismo di massa. Luoghi splendidi come la spiaggia di Ripari di Giobbe, oggi considerata area protetta, o come le piccole calette del Golfo di Venere meritano assolutamente di essere (ri)scoperte. Acque azzurre, sabbia fine e panorami mozzafiato sono garantiti. Se siete alla ricerca di una vacanza a contatto con la natura, poi, avrete solamente l’imbarazzo della scelta. La Costa dei Trabocchi – Foto: 123rf La Costa dei Trabocchi è rigogliosa dal punto di vista della vegetazione: siamo sicuri che rimarrete incantati dalla meraviglia della Lecceta di Torino di Sangro, una riserva protetta a ridosso della foce del fiume Sangro, che si affaccia proprio sul litorale abruzzese. E che dire della Riserva Naturale di Punta Aderci? Splendide distese verdi che alternano vigneti a campi di grano, magnifici colori e odori che lasceranno un segno indelebile tra i vostri ricordi. L’area si estende sino al promontorio di Punta Aderci, un balcone sul mare che domina la bellissima spiaggia di Punta Penna. È questo il luogo perfetto se volete concedervi un’esplorazione del territorio su due ruote. A Francavilla a mare aprirà a breve i battenti la nuova ciclostazione dei trabocchi, dove noleggiare bici da strada, mountain bike o bici elettriche per partire poi alla scoperta dell’affascinante paesaggio della costa abruzzese. E, perché no, potrete ammirare qualche piccolo paesino delizioso come il borgo medievale di Rocca San Giovanni o la splendida Ortona, la perla dell’Adriatico. Ortona – Foto: 123rf Spuntano dalle acque come misteriosi giganti che sorvegliano la costa: i trabocchi sono una delle peculiarità del bellissimo litorale abruzzese.
1 note
·
View note
Text
La Preistoria. Le prime forme di architettura
La Preistoria Le prime forme di architettura
I villaggi del Neolitico
Veduta dei Sassi di Matera
Le prime forme di architettura risalgono al tempo in cui l'uomo si è stabilito in comunità sedentarie, dando origine a veri e propri villaggi. Villaggi palafitticoli, le cui case sono cioè elevate su piattaforme sostenute da pali conficcati nel terreno. Nella metà dell'Ottocento, il ritrovamento di palificazioni nel lago di Zurigo aveva suggerito l'ipotesi nei villaggi palafitticoli le case, allineate per le file parallele, sorgessero su piattaforme lignee erette su pali molto alti confitti nelle acque del lago. La distanza dalla riva sarebbe stata giustificata da ragioni di difesa e confermata dal buono stato di conservazione degli oggetti di legno, argilla e fibre vegetali ritrovati al loro interno. A partire dalla metà del Novecento, le palafitte non sarebbero state erette su laghi o zone paludose, ma in villaggi di terraferma. Ciò sarebbe stato dimostrato dal fatto che proprio il progressivo aumento del livello dei laghi e l'attenzione delle zone paludose avrebbe determinato l'abbandono dei villaggi, gradualmente sommersi dall'acqua. Dall'Età mesolitica sono frequenti i centri con abitazioni dal pavimento elevato su una palificazione. Tali soluzioni furono ampiamente diffuse nelle regioni alpine. Le Terramare. Generalmente quadrangolari, questi insediamenti erano delimitati da un argine e da un fossato. Risalgono alla media e recente Età del bronzo (1600-1200 a.C.), quando in Emilia si verificò una forte espansione demografica che determinò la fondazione di circa 60 villaggi. Un altro tipo di insediamento è ottenuto scavando in modo sistematico le abitazioni nella pietra e tra gli anfratti del terreno. L'esempio dei Sassi di Matera, composte da caverne scavate le tufo, parzialmente sovrapposte disposte lungo un ripido pendio. Il primo stanziamento risale a circa 10000 anni fa e divenne in poco tempo un vero e proprio villaggio. Le pareti scavate e quelle costruite si compenetrano, in modo che il tetto di un'abitazione diventi la strada di accesso all'altra superiore.
Le costruzioni megalitiche
Carnac. Bretagna
Dolmen di Bisceglie. Bari
All'ultima fase del Neolitico e alle successive età del rame e del bronzo risalgono le grandi costruzioni megalitiche (dal greco mégas grande, e lithos pietra). L'inizio della civiltà megalitica segnò la fine dell'Età neolitica e il principio di quella eneolitica, intorno al 4000 a.C. Tutti i tipi di megaliti più diffusi ricordiamo il menhir (dal bretone men, pietra, e hir. lunga), costituita da una pietra conficcata nel terreno, di forma troncoconica o parallelepipeda posta probabilmente ad indicare un luogo di sepoltura. Sono alti mediamente da 2-3 mesi a 6 metri; possono tuttavia raggiungere altezze elevatissime, come il menhir di Kerloas in Bretagna (alto 9,5 metri, ma un tempo ancor più elevato) e quello di Locmariaquer (alto 23,5 metri). Il dolmen (dal bretone tol, tavola e men, pietra) è costituita, nella forma più semplice, da due blocchi, lapidei infissi nel terreno, cui è sovrapposta una lastra orizzontale. Fu utilizzato dal III al I millennio a.C. nell'Europa atlantica (dalla Scandinavia al Portogallo) e mediterranea. Il dolmen ha carattere sepolcrale che può essere una tomba intellettuale e collettiva. Questo sistema costruttivo è il primo utilizzato dall'uomo e prende il nome di trilico, perché composto da tre pietre: due verticali, i piedritti, che sostengono una terza orizzontale, l'architrave. I dolmen erano in origine ricoperti da un tumulo di pietrame o di terra (cairn). In Italia, i più antichi dolmen sono quelli rinvenuti in Sardegna, regione posta al centro di importanti traffici marittimi, nelle Puglia e, nell'Età del rame, nella regione alpina. I cromlech (dal bretone crom, rotondo, e lech, pietra), serie di dolmen disposti in modo da formare figure circolari concentriche. Nella penisola salentina sono i numerosi i menhir e i dolmen ritrovati nelle campagne. Per molti di essi si è verificato l'orientamento secondo precise direzioni astronomiche, riferite in particolare al Sole e alla Luna. Il dolmen di Bisceglie, il più imponente, è introdotto da un percorso d'ingresso orientato.
Aosta megalitica
Ad Aosta, nel quartiere, di San Martin de Corleans, si trova la più vasta area di resti megalitici mai rinvenuta in Italia. Databili a partire dall'inizio del III millennio a.C. testimoniano una società economicamente e culturalmente evoluta rispetto alle società coeve. Si tratta forse di un'area sepolcrale, in cui venivano celebrate anche cerimonie rituali. In venti anni di scavi sono state rinvenute tombe, reperti, stele antropomorfiche, dolmen ed altri segni, come buchi di palificazione ed arature sacre. Gli allineamenti seguono l'orientamento di un'area arata e rispondono a precise connessioni astronomiche, riferibili a cicli solari e lunari. Tutti sono rivolti, al sorgere del Sole nel solstizio d'inverno. I lati del basamento triangolare su cui poggia il dolmen denominato tomba II, sono orientati secondo direzioni astronomiche: il tramonto e l'alba al solstizio invernale, il tramonto della Luna nel sua massima declinazione. Particolarmente interessante è la disposizione delle stele antropomorfe. Accostate le une alle altre e quasi tutte di altezza compresa tra i due e i tre metri, seguono due allineamenti ortogonali, all'interno dell'area sacra.
I templi di Malta
Ipogeo di Hal Saflieni
Dall'inizio del IV alla metà del III millennio a.C., l'arcipelago maltese fu interessato da un'intensa fase costruttiva, un momento di fioritura commerciale ed economica. Le testimonianze più importanti per la natività delle tipologie e per la quantità dei ritrovamenti, sono i complessi monumentali dei santuari. Al loro interno, i grandi templi (ne sono stati individuati circa trenta nell'arcipelago) derivano probabilmente dalle sepolture collettive ipogee, documentate a partire dalla fine del V millennio a.C. Nell'età dei complessi templari la popolazione nell'arcipelago, che era pari a circa 10000 abitanti, era organizzata in villaggi. I templi sorgevano su alture o presso guadi o approdi. In alcuni casi essi si concentrano in aree più densamente abitate. La prima di questo fenomeno, attestata tra il 3600 e il 3000 a.C., prende il nome dal sito Ggantija, ("Torre dei giganti"), nell'isola di Gozo. Si tratta forse del primo esempio di architettura templare con pianta a lobi: un corridoio centrale distribuisce simmetricamente locali absidati, dietro ai quelli tre ulteriori vani si dispongono attorno ad un cortile. Questa distribuzione è rimasta pressoché invariata nel tempo, anche se tra la fine del IV e la metà del III millennio ha acquisito una maggiore articolazione spaziale. Tutti i complessi sacri sono perimetrati da un possente muro a forma di D. Gli edifici templari potevano raggiungere i nove metri di altezza. Le facciate insistevano su ampi cortili, mentre i blocchi di pietre erano disposti ordinatamente su filari orizzontali in alto e verticali in basso. L'ingresso è di norma inquadrato da tre grandi monoliti. Gli interni erano spesso intonacati e dipinti, talvolta arricchiti da rilievi a motivi geometrici e figure animali che componevano un ricco apparato iconografico. Sono state rinvenute figure votive. Le figurine della dea obesa, distesa su un lettino e dormiente, come quella ritrovata nell'ipogeo di Hal Saflieni, capolavoro dell'arte preistorica maltese. Essa era forse rappresentazione del passaggio tra la veglia ed il sonno, quindi tra la vita e la morte.
#annalisalanci samueltheis samueltheisschool forbach lorraine francia germania megalitico preistoria arte preistorica#arteprimitiva#storia arte cultura luce lucetracieloeterra buioeluce buioelucetracieloeterra tracieloeterra
0 notes
Photo
L’Itsukushima Jinja di Miyajima sorge su palafitte e con l'alta marea l'acqua arriva a ridosso delle costruzioni. Ha origini antiche e la forma attuale risale al 1168, anche se nel corso dei secoli è stato ricostruito o restaurato più volte perchè il fatto di essere così vicino al mare lo rende vulnerabile. Nel 2004 è stato seriamente danneggiato da un tifone e i lavori di ristrutturazione non sono ancora del tutto finiti.
Itsukushima Jinja in Miyajima stands on stilts and at high tide the water comes up against the buildings. It has ancient origins and its present form dates back to 1168, although over the centuries it has been rebuilt or restored several times because the fact of being so close to the sea makes it vulnerable. In 2004 it was seriously damaged by a typhoon and the renovations are not yet completely finished.
(Canon Eos 300V, Kodak Gold 200)
0 notes
Text
La preistoria.Le prime forme di architettura. I villaggi del Neolitico. Le costruzioni megalitiche. Aosta megalitica. I templi di Malta.
Dolmen di Bisceglie (Bari)
Aosta. Stele detta n.3 sud
Stanza principale dell'ipogeo di Hal Saflieni
Complesso megalitico di Stonehenge, nella contea di Wiltshire. Inghilterra
Carnac. Bretagna
I Sassi di Matera
La preistoria
Le prime forme si architettura
Il villaggi del Neolitico
Le pime forme di architettura rislagono al tempo in cui l'uomo si è stabilito in comunità sedentarie, dando origine a veri e propri villaggi. Villaggi palafitticoli, le cui case sono cioè elevate su piattaforme sostenute da pali conficcati nel terreno. Nella metà dell'Ottocento, il ritrovamento di palificazioni nel lago di Zurigo veva suggerito l'ipotesi che nei villaggi palafitticoli le case, allineate per file parallele, sorgessero su piattaforme lignee suu pali molto alti confitti nelle acque del lago. La distanza dalla riva sarebbe stata giustificata da ragioni di difesa e confermata dal buono stato di conservazione degli oggetti in legno, argila e fibre vegetali ritrovati al loro interno. Le palafitte non furono erette su laghi o zone paludose, ma in villaggi di terraferma. Ciò sarebbe dimostrato dal fatto che proprio il progressivo aumento del livello dei laghi e l'estenzione delle zone paludose avrebbe determinato l'abbandono dei villaggi, gradualmente immersi dall'acqua. Dall'Età msolitica sono frequenti centri con abitazioni dal pavimento elevato su una palificazione. Tali soluzioni furono ampiamente diffuse nelle regioni alpine. Le Terramere, generalmente quadrangolari, questi insediamenti erano delimitati da un argine e da uno fossato. Risalgono alla media e recente Età del bronzo (1600-1200 a.C.), quindi in Emilia si verificò una forte espansione demografica che detrminò la fondazione di circa 60 villaggi. Un altro tipo di insediamento neolitico è ottenuto scavando in modo sistematico ke abitazioni nella pietra e tra gli anfratti del terreno. L'esempio più viistoso in Italia è costituito dai Sassi di Matera, composti di caverne scavate nel tufo, parzialmente sovrapposte disposte lungo un ripido pendio. Il primo stanziamento risale a circa 10000 anni fa e divenne in poco tempo un vero e proprio villaggio. Le parti scavate e quelle costruite si compenetrano, in modo che il tetto di un'abitazione diventi la strada di accesso all'altra superiore.
Le costruzioni megalitiche
All'ultima fase del Neolitico e alle successive Età del rame e del bronzo risalgono le grandi costruzioni megalitiche (dal greco mégas, grande, e lìhos, pietra). L'inizio della civiltà megalitica segnò la fine dell'età neoolitica e il principio della eneolitica, intorno al 4000 a.C. Tra i tipi di megaliti più diffusi ricordiamo il menhir (dal bretone men, pietra, e hhir, lunga), costituito sa una pietra conficcata nel terreno, di forma troncoconica o parallelepipeda posta probabilmente ad indicare un lugo di sepoltura. Sono alti mediamente da 2-3 metri a 6 metri; possono tuttavia raggiungere altezze elevatissime, come il menhir di Kerolas in Bretagna (alto 9,5 metri, ma un tempo ancor più elevato) e quello di Locmariaquer (alto 23,5 metri). Il dolmen (dal bretone tol, tavola, e men, pietra) è costituito nella forma più semplice, da due blocchi lapidei infissi nel terreno, cui è sovrapposta una lastra orizzontale. Fu utilizzato dal III al I millennio a. C nell'Europa atlantica (dalla Scandinavia al Portogallo) e mediterranea. ll dolmen ha carattere sepolcrale: può essere una tomba individuale o collettiva. Questo sistema costruttivo è il primo utilizzato dall'uomo e prende il nome di trittico, perché composto da tre pietre: due verticali, i piedritti, che sostengono una terza orizzontale, l'architrave. I dolmen erno in origine ricoperti di tumuli di petrame o di terra (cairn). In Italia, i più antichi dolmen sono quelli rinvenuti in Sardegna, regione posta al centro di importanti traffici marittimi, nelle Puglie e, nell'Età del rame, nella regioe alpina. I cromlech (dal bretone crrom, rotondo, e lech, pietra), serie di dolmen disposti in modo da formare figure circolari concentriche. Nella penisola salentina sono numerosi i menhir e i dolmen ritrovati nelle campagne. Per molti di essi si è verificato l'orientamento secondo preciise direzioni economiche, riferite in particolare al Sole e alla Luna. Il dolment di Bisceglie, il più imponente, è introdotto da un percorso d'ingresso orientato.
Aosta megalitica
Ad Aosta, nel quartiere Saint Martin de Corleans, si trova la più vasta area di resi megalitici mai rivenuti in Italia. Databli a partire dal III millennio a.C., testimoniano una società economicamente e culturalmente evoluta rispetto alle società coeve. Si tratta forse di un'area sepolcrale, in cui venivano celebrate anche cerimonie rituali. In venti anni di scavi sonno state rinvenute tombem reperti, stele antropomorfe, dolmen ed alri segni, come buche per palificazioni ed arature sacre. Gli allineamenti seguono l'oriientamento di un'area arata e rispondono a precise connessioni astronomiche, riferibili a cicli solari e lunari. Tutti sono rivolti, al Sorgere del sole nel solstizio d'inverno. I lati del basamento triangolare su cui si poggia il dolmen denominato tomba II, sono orientati secondo direzioni astronomiche: il tramonto e l'alba al solstizio invernale, il tramonto della Luna nella sua massima declinazione. La disposizione delle stele antropomorfe, accostate le une alle altre e quasi tutte di altezza compresa tra i due e i tre metri, seguono due allineamenti ortogonali, all'interno dell'area sacra.
I templi di Malta
Dall'inizio del IV alla metà del III millennio a.C. l'arcipelago maltese fu interessato da un'intensa base costruttiva, momento di fioritura commerciale ed economica. Le testimonianze più importanti, per la novità delle tipologie e per la quantità dei ritrovamenti, sono i complessi monumentali dei santuari. Al loro interno, i grandi templi (ne sono stati individuati circa trenta nell'arcipelago) derivano probabilmente dalle spolture collettive ipogee, documentate a partire dalla fine del V millennio a.C. Nell'età dei complessi templari la popolazione dell'arcipelago, che era pari a circa 10000 abitanti era organizzata in villaggi. I templi sorgevano su alture o presso guadi o approdi. In alcuni casi essi si concentravano in aree più densamente abitate. La prima fase di questo fenomeno, attestata tra il 3600 e il 3000 a.C., prende il nome del sito di Gantija ("Torre dei giganti"), nell'isola di Gozo. Architettura templare con pianta a lobi: un corridoio centrale distribuisce simmetricamente locali absidati, dietro ai quali tre ulteriori vani si dispongono attorno ad un cortile. Questa distribuzione è rimasta pressoché invariata nel tempo, anche tra la fine del IV e la metà del III millennio ha acquisito una maggiore articolazione spaziale. Tutti i complessi sacri sono perimetrati da un possente muro a forma di D. Gli edifici templari potevano raggiungere i nove metri in altezza. Le facciate insistevao su ampi cortili, mentre i blocchi di pietre erano disposti ordinatamente su filari orizzontali in alto e verticali in basso. L'ingresso è di norma inquadrato da tre grandi monoliti. Gli interni erano spesso intonacati e dipinti, talvolta arricchiti da rilievi a motivi geometrici e figure animali che componevano un ricco apparato iconografico. Sono state rinvenute anche statue e figure votive. Esemplari sono le figurine della dea obesa, distesa su un letto e dormiente, come quella ritrovata nell'ipogeo di Hal Saflieni, capolavoro dell'arte preistorica maltese. Essa era forse rappresentazione del passaggio tra la veglia ed il sonno, quindi tra la vita e la morte.
Il complesso megalitico di Stonehenge
Il più importante e celebrato dei comlech è quello di Stonehenge, eretto nella contiea di Wiltshire in Inghilterra. Realizzato in tre fasi tra il 3100 a.C. e il 1500 a. C.; presenta una struttura circolare formata da 30 monoliti allineati e sormontati da architravi in modo da costituire una sequenza continua di triliti. Sono alti quattro metri e delimitano una circonferenza del diametro di circa 30 metri.il cromlech è circndato da un fossato di circa 98 metri di diametro e 6 di larghezza; all'interno un'ulteriore struttura a forma di ferro di cavallo corrisponde forse ad un cerchio non completato. In alcune pietre sono rimaste tracce di figure incise. Il complesso sarebbe stato in Età preistorica un osservatorio astronomico. I costruttori di Stonehenge avrebbero disposto i monoliti, allineamenti che corrispondono alle posizioni del Sole nei solstizi d'estate e d'inverno. Le 56 buce poste nell'anello esterno: sarebbero servite a contare gli anni (appunto 56), che separano, ciclicamente, un'eclissi solare dalla successiva. Utilizzato per circa due millenni, come calendario, come uno strumento per compiere osservazioni astronomiche e per fornire predizioni e forse come area sacra e cimiteriale. Alcuni monoliti, in pietra azzurra di dolerite screziata, provenivano da cave gallesi distanti 230 km. Alla prima fase, intorno al 3100 a.C. risalirebbero lo scavo esterno, il cerchio più piccolo e concentrico con el 56 buche e l'erezione di due pietre d'ingresso sul lato nord-occidentale (una sola, tuttavia, è ancora in sito). Una seconda fase potrebbe risalire al 2100 a.C., quando furono portate in sito e collocate le circa 80 'pietre azzurre' formanti il cromlech. In una terza fase, a partire dal 2000 a.C., furono disposte le pietre interne, provenienti da cave non molto distanti da Stonehenge. Di queste, solo sette sono oggi in sito. Un'ulteriore fase vide il collocamento di circa 20 'pietre azzurre? disposte ad ovale e, intorno al 1500, la formazione di altri due cerchi concentrici e la disposizione di ulteriori monoliti.
0 notes
Text
21-11-2017 2° giorno Bangkok
Mi sveglia per colazione -omelette- una gentile hostess. Atterriamo alle 10.21 (previsto 09.45). Eseguo il controllo passaporti con acclusa Visa già da me compilata e ritiro la valigia. Mi attende Ciu Ciu una ragazzina sveglia, incaricata dell'agenzia locale ad accogliere i clienti in aeroporto a Bangkok. “Bangkok è la capitale e la più grande città della Thailandia situata lungo il fiume Chao Phraya. La città ha conosciuto uno dei più rapidi sviluppi industriali e rappresenta una delle città economicamente più dinamiche del sud-est asiatico.” Alle 11.05 un pulmino con autista mi accompagna, da solo, in hotel. Arriviamo in albergo alle 12.15. Ho il tempo per fare una doccia, scattare foto dalla mia camera con vista panoramica e mangiare qualcosa salvato dai pasti a bordo. All'appuntamento con la nostra guida thailandese -nome italiano corrispondente a Massimo e cognome chilometrico- conosco i primi 8 partecipanti al tour. Alle 14.10 ci trasferiamo a piedi al “molo antistante all'hotel, sul fiume Chao Phraya per la nostra prima visita. Imbarco su di una tipica motolancia (long tail boat) per un escursione sul fiume dove si ergono le caratteristiche case costruite su palafitte.” In direzione nord arriviamo fino al canale Klong Bangkok Noi e torniamo indietro. “Scendiamo dalla motolancia e visitiamo il famoso Wat Arun, nel distretto di Bangkok Yai. E' un complesso di costruzioni religiose che fungono da tempio buddhista. E' detto il Tempio dell’Aurora, a causa dei suoi meravigliosi effetti cromatici alle prime luci dell'alba, mentre il suo nome reale è Wat Arunratchawararam Ratchaworamahavihara, alto 86 metri in stile Khmer.” La sua altezza è apprezzabile soprattutto dalla sponda opposta o navigando il fiume. Tra le bellezze monumentali una modella bionda con vestito all'uncinetto. Siamo di ritorno in hotel alle 16.40. Faccio un veloce giro nel centro commerciale con ingresso dalla nostra hall e trovo uno sportello cambio valuta giusto per avere un riferimento. Poi faccio un riposino e mi preparo per uscire da solo alle 19.00. Durante il mio sonnellino ha piovuto, ma decido di uscire lo stesso. L'hotel mette a disposizione dei clienti un comodissimo shuttle/barca che parte dallo stesso molo della nostra visita pomeridiana. Esso collega l'hotel con l'altra sponda del fiume Chao Phraya con corse ogni 20'. Effettua due sole fermate: all'Asiatique Night Market-un molo turistico con mercato, negozi, ristoranti e ruota panoramica riconoscibile anche dalle mie prime foto dalla camera- e a Saphan Taksin -fermata della metro molto utile per girare Bangkok-. Alle 19.20 l'imbarcazione parte ed io voglio scendere all'Asiatique. Ma la prima fermata è quella più lontana, a Saphan Taksin, pazienza. Scendono pochi clienti e salgono in molti per tornare in hotel dopo avere bighellonato tutto il giorno per Bangkok. Tornando indietro la barca non trova spazio al molo dell'Asiatique. Invece di attendere uno spazio libero, il pilota decide di saltare la fermata e tornare in hotel per lasciare i nuovi clienti ultimi arrivati. Io protesto invano per la perdita di tempo. Riesco a sbarcare solo alle 20.10. Faccio un giro delle botteghe per rendermi conto dell'offerta di paccottiglia turistica. In un locale-bar stanno presentando uno scooter marchio Moto Parilla -Fashion of Italy-. Quattro ragazzi lo stanno ammirando. Io mi avvicino e chiedo se qualcuno di loro parla inglese. Le dita indicano un giovane. Parlicchiamo e ci capiamo abbastanza. Io gli confesso che la Moto Parilla in Italia non esiste. Ci restano male e mi dice che i rappresentanti della ditta sono presenti nel locale-bar. Auguro ai titolari fortuna per le future vendite e li lascio. -A casa faccio i compiti e scopro che Moto Parilla e un marchio italiano del primo ventennio del dopoguerra. Oggi, si trovano in vendita in Italia solo due bici con assistenza alla pedalata, ma niente scooter. Su Facebook si chiarisce che è un prodotto thailandese. Il modello Levriero 150 -quello in vendita all'Asiatique- è venduto a Baht 69.900 circa €1.900-. Torno al mio giro e trovo un cambio valuta Superrich, recensito su internet, che in effetti ha un miglior cambio -roba di decimi di Baht- rispetto a quello dell'hotel. Per l'operazione lo sportellista mi chiede il passaporto. Purtroppo, per prudenza, l'ho chiuso con il grosso dei soldi nella safety case della mia camera d'albergo. Contavo sul cambio per potere cenare senza usare le carte di credito, ma non mi resta che andare via. Poi ricordo di avere una fotocopia del passaporto nel marsupio. La trovo e torno al Superrich. L'operatore è soddisfatto ed io ancor di più. Scambio €20 contro 736 Baht thailandesi. Per eccesso di prudenza -non voglio rischiare la dissenteria già al primo pasto libero- mangio in un sicuro KFC: hamburger, coca e patatine (Baht 119). Mentre attendo la barca-shuttle, che mi riporta in albergo, inizia una pioggerellina che rinforza abbondantemente allo sbarco al molo dell'hotel alle 22.40. Meno male che ho con me l'ombrello. Bagnato per bagnato faccio un altra doccia veloce e mi infilo a letto per la nanna.
0 notes
Text
Architettura senza architetti
La storia ricorda i grandi nomi e le loro opere, basti pensare ad architetti come Antoni Gaudì, Filippo Juvarra o Christopher Wren che hanno radicalmente trasformato i luoghi in cui hanno operato, tanto da non riuscire ad immaginare queste città senza le opere di questi artisti. Barcellona non sarebbe più la stessa senza Parco Güell o la Sagrada Famìlia, lo stesso dicasi per Torino senza le opere dell’architetto sabaudo, e Londra sarebbe stata ricostruita diversamente senza Wren, e così via. Una domanda a questo punto sorge spontanea, ma prima di loro, prima dei grandi architetti, dei costruttori e delle grandi opere, prima di una codifica delle regole architettoniche, prima di Vitruvio e del De Architectura, cosa c’era? Prima di tutto ciò esisteva un’architettura anonima, spontanea, figlia di una necessità primordiale: la creazione di un rifugio. Questo tipo di costruzioni avevano il vantaggio di sfruttare ciò che offriva il territorio creando un habitat ideale perché si adattavano alle caratteristiche climatiche e geografiche della regione. Non a caso le grandi costruzioni in legno si trovano nelle regioni ricche di foreste e quindi di legname, come il nord Europa, mentre nelle aeree mediterranee le prime abitazioni umane erano rifugi scavati nella pietra, ma l’esempio, forse, più significativo è l’igloo che per sua natura è adatto solo alle regioni fredde, luoghi in cui le temperature sono così basse da avere a disposizione grossi quantitativi di ghiaccio e di neve. Un’analisi dettagliata dei diversi sistemi adottati nelle diverse aree del pianeta risulta quindi indispensabile per capire quali sono i materiali adoperati, quali le tecniche costruttive e ovviamente i pro ed i conto di ognuna. Alle origini l’uomo risolse il problema dell’abitare solo con ciò che offriva il territorio, pensiamo alle strutture a cruck della Gran Bretagna o alle tipiche case giapponesi, entrambe possibili perché le regioni citate erano ricche di legname. A dimostrazione di ciò basti pensare che Enrico VIII proibì la realizzazione di edifici a cruck quando il legname iniziò a scarseggiare. Infatti, per costruire questo tipo di struttura occorre un intero tronco d’albero che deve essere tagliato verticalmente in due. Le due metà devono essere disposte in modo tale da formare un triangolo la cui cima è fissata con un tirante. Una serie di queste strutture vengono erette ad intervalli regolari unite da una trave di colmo mentre tronchi più piccoli vengono usati come controventi. Il tutto viene poi ricoperto da zolle d’erba, argilla o pietre. In Giappone, invece, il tipo più comune di casa di città è la machiya. Gli esempi migliori si trovano a Kyoto e per la maggior parte sono edifici a schiera lunghi e stretti arricchiti con diversi giardini. La struttura è interamente lignea, le pareti sono ricoperte da bambù intrecciato, il tetto da tegole chiamate kawara mentre il pavimento è fatto di tatami cioè stuoie di giunco intrecciato. Nelle zone mediterranee, invece, proprio per la scarsità di foreste le abitazioni tipiche sono ricavate nella roccia come avviene a Matera, che è l’esempio più rappresentativo, ma siti simili si possono trovare anche in Spagna in Andalusia, in Turchia in Cappadocia, oppure, sempre in Italia, in Calabria: la zona di Brancaleone è ricca di caverne usate come abitazioni fino al secolo scorso. Gli stessi trulli pugliesi sono abitazioni di pietra calcarea realizzati con tecniche costruttive preistoriche. I Sassi di Matera sono l’esempio più straordinario di insediamento in grotte che ci sia in Europa e dal 1993 sono stati dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco e definiti come un paesaggio culturale. Scavati e costruiti a ridosso della Gravina di Matera sono un eccezionale esempio di ciò che si può fare con le risorse fornite dalla natura senza stravolgere completamente ciò che ci circonda. Sempre Italia si possono trovare altre abitazioni in grotta ormai del tutto abbandonate come nel caso della Calabria mentre in Spagna si è riuscito a dare nuova vita ristrutturando le case-caverne dell’Andalusia che sono ormai un polo turistico di un certo interesse. Tipiche della Cappadocia sono invece i camini delle fate straordinarie conformazioni geologiche trasformate in abitazioni durante il periodo paleocristiano quando a cause delle persecuzioni religiose si aveva necessità di nascondersi. Oggi sono state riscoperte in questa regione trentasei città sotterranee, fra queste la maggiore è Derinkuyu, un’area di 4 km2 che si sviluppa su sette livelli in grado di ospitare anche 20.000 persone. Nella roccia furono pure scavati monasteri, chiese e cappelle cristiane oltre che tutta una serie di strutture di servizio quali cisterne, pozzi, cantine, stalle e arnie, più tutta una serie di tunnel per collegare queste città. In altre regioni del mondo le antiche abitazioni scavate nel terreno hanno subito un’evoluzione come nel caso dell’edilizia in adobe del New Mexico cioè alloggi di un solo piano realizzati con fango essiccato, pietre e malta, privi di finestre e con copertura piana. Vanno, poi, considerate le abitazioni dei popoli nomadi che a causa delle avverse condizioni climatiche hanno realizzato dimore più precarie ma di più facile realizzazione, in questo caso è d’obbligo citare i teepee dei nativi americani e le tende nere dei beduini. Il teepee è la forma classica delle abitazioni delle tribù del nord America e per il cui montaggio è necessario legare tre pali in modo che alla base si formi un triangolo, a cui fissare una decina di altri pali, ad intervalli regolari, in modo da formare un cerchio. A questo punto è possibile inserire la copertura fatta di pelli o tela e il tutto viene ancorato al terreno con del picchetti. La principale innovazione, rispetto ad altri alloggi momentanei, è la possibilità di accendere un focolare all’interno grazie all’apertura in cima che permette la fuoriuscita del fumo. La tenda beduina, invece, è un intreccio variabile di pali fissati al terreno con picchetti e funi di canapa, il tutto coperto da teli realizzati con lana di capra. La zona d’ingresso è aperta su di un lato ed è orientata in senso opposto al vento e può essere coperta da teli durante le fredde notti desertiche. In caso di necessità, poi, i teli laterali si possono arrotolare per migliorare la ventilazione. Quando, poi, si parla di architettura spontanea moderna o contemporanea non deve essere vista come abusivismo edilizio, come spesso avviene delle grandi città del sud del mondo, come le favelas basiliane o gli insediamenti di Dharavi e Manila, ma come riuso di risorse, siano esse aree destinate all’abbandono, come ex zone industriali ormai in disuso o materiali di scarto. Ci sono molti esempi di muri ed edifici realizzati con materiali di riciclo quali vecchi copertoni di auto e bottiglie come il tempio di bottiglie il Wat Pa Maha in Thailandia. Le favelas brasiliane, gli insediamenti di Dharavi e Manila sono strutture abusive, delle vere e proprie baraccopoli, realizzate usando materiali di scarto e rifiuti urbani, privi di acqua corrente, fogne ed elettricità, ma nonostante ciò sono spesso più sicure di molti edifici moderni di fronte a disastri di tipo ambientale. Le favelas di Rio de Janeiro sono composte da migliaia di fragili baracche erette su palafitte per evitare che durante le piogge estive vengano travolte dall’acqua come spesso accade alle abitazioni convenzionali. Inoltre, nonostante i tentativi del governo di realizzare alloggi migliori, gli abitanti stessi preferiscono questo genere di abitazioni sia per motivi economici che sociali. Basti pensare ai tentativi fatti nelle Filippine per risolvere i problemi di Manila tanto che in The Evolution of Informality as a Dominant Pattern in Philippine Cities si prende in considerazione l’idea di studiare questi insediamenti per trovare una soluzione più idonea all’idea dell’abitare cercando di distaccarsi però dal concetto di abitazione classica, prendendo il meglio da questi alloggi apparentemente precari che però ospitano milioni di persone. In questi contesti per quanto disagiati, privi di comodità e di condizioni igieniche ottimali, si può notare l’inventiva umana, in cui ogni oggetto può essere riutilizzato e diventare utile, in cui si riscoprono sistemi semplici e primordiali, come appunto le palafitte, per risolvere problemi tipici del territorio in cui si abita. Questo perché il xx secolo ed il movimento moderno ci hanno insegnato a rompere con il passato e con le regole classiche, quindi troppo spesso gli edifici di nuova costruzione risultano troppo standardizzati e fuori contesto mentre ora è arrivato il momento di fare un passo indietro e di attingere dal repertorio storico. Troppo a lungo si è pensato di aver trovato una soluzione per l’abitare che fosse sempre valida, in qualunque tempo ed in qualunque luogo. Le tecnologie che abbiamo a disposizione, infatti, ci permettono di costruire qualunque cosa in qualunque posto, ma ci sono dei limiti dettati dai costi, in termini di risorse e di denaro; realizzare invece opere che abbiano un basso impatto ambientale, che utilizzino materiali reperibili in loco, con tecniche costruttive idonee significherebbe maggiore risparmio, un miglior confort e maggiore rispetto per l’ambiente. Vale la pena quindi, rivalutare il concetto di earthship, una nuova forma di architettura che unisce elementi di edilizia spontanea con le nuove tecnologie che si hanno a disposizione con l’unico fine di creare edifici il più possibile in armonia con l’ecosistema, permettendo così alle future generazioni di usufruire delle stesse risorse di cui abbiamo goduto fin ora. Infatti, quando si parla di earthship si parla di costruzioni realizzate con materiali riciclati e naturali che, dal punto di vista energetico, siano in grado di sfruttare le fonti rinnovabili e che conservino e riutilizzino le acque meteoriche. Difatti ogni anno nel mondo si producono 4 miliardi di tonnellate di rifiuti, pari a 650 chili per abitante. L’Italia è responsabile di 32,4 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, di 36,6 milioni di rifiuti industriali e di 52,3 milioni provenienti dal settore edile. Il 42% di questi rifiuti finisce negli impianti di riciclaggio. Se si riuscissero ad ottimizzare queste cifre si potrebbe pensare di utilizzare questi materiali nel settore edile diminuendo la produzione di nuovi materiali, evitando, quindi, gli sprechi. A tutto ciò andrebbe poi aggiunto l’utilizzo di materiali naturali quali il legno, i materiali lapidei, l’argilla, il bambù, il sughero e tanti altri, e allo stesso tempo la riqualifica di quartieri o edifici abbandonati riducendo così il tasso di inquinamento delle nostre città.
Lasciando a voi le considerazioni finali io assaporo il mio tè fortemente speziato invitandovi a viaggiare sempre ogni qual volta ne abbiate la possibilità.
Stefania.
May J., Reid A., Architettura senza architetti, guida alle costruzioni spontanee di tutto il mondo, Rizzoli, Milano, 2010
#books#architettura senza architetti#architecture without architect#May J. Red#Architettura spontanea#non-pedigreed architecture#architettura nel mondo#earthship#materiali naturali#movimento moderno#favelas#teepee#adobe#camini delle fate#case-caverne#trulli#paesaggio culturale#sassi di matera#grotte di barcaleone#andalusia#cappadocia#machiya#cruck#igloo#architecture
0 notes
Text
Yasmeen Lari
https://www.unadonnalgiorno.it/yasmeen-lari/
Yasmeen Lari è stata la prima architetta del Pakistan e prima a aprire il proprio studio.
È passata alla storia come colei che ha insegnato ai poveri a costruirsi le case da soli.
Il suo lavoro si distingue per l’impiego di materiali naturali, il recupero di palazzi e tradizioni e il coinvolgimento delle comunità locali nei lavori di costruzione.
La sintesi della sua filosofia progettuale risiede nel rispetto e recupero di tecniche tradizionali in un sistema strutturale efficiente e razionale, capace di emancipare le persone.
La sua carriera è divisa in due parti, per trentasei anni ha progettato edifici imponenti per poi dedicarsi alla realizzazione di migliaia di abitazioni per comunità colpite da disastri ambientali.
Le sue costruzioni rientrano in quella idea di architettura “a piedi scalzi” rispettosa delle abitudini di vita delle comunità locali: bungalow che riprendono forme tradizionali, palafitte in bambù che resistono a inondazioni e terremoti, abitazioni con terrazze adatte a ospitare pollai.
Nata a Karachi nel 1941, aveva deciso di diventare architetta sin da piccola, osservando il padre lavorare ai progetti di sviluppo con il servizio civile indiano. Si è laureata alla Oxford College of Technology nel 1964. Tornata in patria ha dovuto sfidare pregiudizie superare molte difficoltà. I suoi primi lavori furono per una società di costruzioni britannica, l’anno successivo ha aperto il suo studio, la Lari Associates che l’ha resa celebre in tutto il mondo.Famosa e prolifica pioniera dell’architettura brutalista, ha costruito imponenti edifici su prestigiose commissioni statali come la Pakistan State Oil House, gigantesco quartier generale che osanna la potenza economica della compagnia petrolifera statale. Altre importanti realizzazioni sono state il Finance and Trade Center di Karachi e le ABN Amro Bank a Lahore e Karachi.Parallelamente, ha sperimentato un’architettura per andare incontro alle esigenze delle fasce meno agiate della popolazione. Insediamenti informali a emissioni zero di carbonio e resistenti ai terremoti, restauro e conservazione di molti villaggi rurali che hanno contribuito a salvare il patrimonio storico e culturale pakistano.Nel 1978, a Lahore, ha progettato Anguri Bagh Housing, il primo caso di edilizia popolare del paese e il Lines Area Resettlement, un quartiere diffuso composto da alloggi costruiti autonomamente dai residenti di Karachi.La sua carriera è stata pregna di successi e riconoscimenti fino a quando, nel 2000, ha chiuso lo studio per occuparsi a tempo pieno della Heritage Foundation Pakistan, associazione fondata nel 1984 con lo scopo di salvaguardare il patrimonio culturale attraverso progetti di natura sociale.Ha smesso i panni da archistar per dedicare la sua professionalità alle fasce deboli della popolazione, preferendo ai grandi progetti pubblici le case autoprodotte post calamità.Ha promosso programmi di formazione che hanno portato alla costruzione di migliaia di abitazioni a zero emissioni, realizzate adottando tecniche edili tradizionali.
Il suo progetto del chulah ecologico, un forno non inquinante all’aperto, ha vinto il World Habitat Award nel 2018.
Yasmeen Lari è nella lista delle sessanta donne che, in tutto il mondo, hanno contribuito maggiormente agli obiettivi dell’UNESCO.
Ha vinto numerosi premi, tra cui il Fukuoka Prize e il Jane Drew Prize.
Nel 2021, il Politecnico di Milano le ha conferito la laurea ad honorem in architettura per aver dedicato la sua vita ai diritti dei più indigenti, alle emergenze abitative e alla sostenibilità ambientale.
Il lavoro di Yasmeen Lari, per la ricerca paziente delle tecniche e della forma appropriata che pone con sapienza in relazione le tradizioni locali con uno sguardo sul futuro, è in grado di costituire una nuova idea di bellezza, di utilità, di solidità dell’architettura.
0 notes