#cosa vedere ad halloween
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UN VIAGGIO NELL'ORRORE
Tranquilli, non è il vostro viaggio ma il mio.
Io sono nato all'inizio degli anni '70, quindi mi sono fatto prima tutta la cinematografia horror di Dario Argento&co e poi tutti gli slasher americani con le icone classiche quali Jason, Freddy, Leatherface etc.
Ma c'è un problema...
Io non ho mai visto nessuno di quei film fino al 1990.
Vedete, io vivevo in una famiglia molto particolare™ dove la televisione era vista come il male assoluto, ragion per cui fino ai 14 anni io sono stato costretto ad andare a letto alle nove di sera e durante il giorno potevo guardare solo un'ora di televisione (stranamente non era conteggiato il tempo davanti al Commodore 64 e indovinate un po' chi era il mio migliore amico).
In quell'ora a disposizione io cercavo, ovviamente, di farci stare i miei cartoni animati preferiti ma non mi era possibile guardare film, tantomeno di sera.
Me li facevo raccontare.
Sì perché, evidentemente, il concetto di film non adatto ai bambini si applicava solo a me mentre tutti i miei amici, invece, rimanevano alzati fino a tardi a guardare film pazzeschi insieme ai loro genitori e il giorno dopo me li raccontavano.
A difesa dei miei genitori posso dire che in effetti ero un bambino particolarmente impressionabile ed è forse a causa dei sogni che facevo alle elementari che scelsero di non espormi a quello che in linguaggio tecnico viene definito nightmare fuel.
Non che ne avessi bisogno, intendiamoci.
Per esempio, in terza o in quarta elementare fui perseguitato da quello che io avevo soprannominato Il Burattinaio Cadavere, che si manifestava nel seguente modo: prima io mi trovavo in un qualsiasi luogo a me conosciuto (casa, scuola, parco giochi etc) poi improvvisamente tutto diventava scuro e dei fili tipo ragnatele scendevano dal cielo per toccare le decine di cadaveri che improvvisamente erano apparsi accasciati a terra, i quali si rianimavano come burattini e mi venivano barcollando incontro. Ovviamente mi svegliavo urlando come un ossesso.
E che dire della Lamante, una donna che ogni notte mi faceva vedere un buco sul braccio e mi sussurrava 'Se mi aspetti poi ti faccio vedere cosa mi hanno fatto'. E dopo tornava con le braccia amputate e due lame lunghissime innestate cercando di trafiggermi.
E poi il Buio, la Porta, il Verme Oculare, lo Sghignazzatore Maledetto...
(Beh, forse ero un qualcosa di diverso da 'impressionabile' ma vabbe'...)
Comunque, il primo film horror che vidi a casa di un amico fu Halloween di John Carpenter e al di là dell'angoscia di vedere REALMENTE un qualcosa horror, mi piacque parecchio e lì cominciò la mia collezione di problemi.
Come qualsiasi manuale di pedagogia insegna fin dai primi capitoli, la lunga privazione di un qualcosa di proibito che ero l'unico a non possedere mi spinse a fare binge watching di ogni film horror, di ogni libro di Stephen King, Clive Barker, Lovecraft e persino a scegliere come gioco di ruolo preferito Call of Cthulhu invece del più innocuo Dungeons&Dragons.
Andai fuori di testa.
Ogni notte un Geteit Chemosit che indossava la faccia strappata di mia madre cercava di entrare in camera mia e di giorno giravo sempre armato perché non si sa mai.
Mandai quasi in ospedale la mia povera mamma che ebbe la pessima idea di entrare in camera mia perché mi lamentavo nel sonno (non avevo capito che la faccia era attaccata alla persona giusta) e a distanza di anni ancora ridiamo con i miei amici di quando in campeggio tenni sollevato per il collo lo sventurato che fece un verso sospetto quando, uscendo per pisciare ancora mezzo addormentato, calpestai per sbaglio il suo sacco a pelo.
Per me valeva il motto 'L'uomo che dorme con un machete sotto al cuscino è un pazzo tutte le notti tranne una' e infatti la routine serale dei miei amici era aspettare che mi addormentassi e poi nascondere tutte le mie armi (grazie Francesca perché quella notte particolare avrei senza dubbio ucciso tutti con la mia Katana).
La notte, insomma, non mi è stata mai amica perché forte in me era la convinzione, per non dire la certezza, che il sonno rendesse possibile la venuta di orrori innominabili che si arrampicavano lungo la parte sbagliata della luce.
Verso i diciannove anni facemmo una festa per la fine della Maturità in un'enorme casa di campagna di non mi ricordo chi e dopo aver bevuto l'impossibile ognuno si appropriò di una stanza a casa, chi per trombare (non io) chi per collassare (io).
Solo che non collassai.
Come in un racconto breve di Stephen King mi misi a sedere su un vecchio letto col materasso di lana e tenendo i piedi nudi su un pavimento di cotto dalle piastrelle tutte storte (assurdo come certi particolari rimangano impressi) cominciai a fissare la porta chiusa.
Faceva caldo ma l'avevo chiusa.
Improvvisamente sento una sensazione strana sulla schiena, come di brividi, e i capelli mi si rizzano sulla nuca.
Un pensiero mi si insinua nelle tempie come un ago nel polistirolo...
'Sta arrivando'.
E poi abbasso lo sguardo e vedo che sto tenendo in mano un lungo coltello da macellaio, che evidentemente non ricordavo di aver preso giù in cucina.
Non ricordavo di averlo preso o forse in quel momento avevo capito qualcosa?
Sta arrivando
Punto i piedi a terra...
STA ARRIVANDO
Mi alzo e stringo più forte il coltello
STA ARRIV...
Ma io mi muovo per primo e scatto verso la porta con un fendente dal basso verso l'alto che avrebbe aperto in due la pancia dell'essere non appena avesse spalancato la porta.
TUNC!
Guardo la lama affondata a metà nel pannello della porta chiusa, assolutamente chiusa ma così chiusa che pareva l'emblema della possibilità che io quella sera trombassi.
Allora scendo in cucina, rimetto il coltello nel cassetto e tra i gorgoglii dei conati di vomito di chi aveva ecceduto e l'assoluto silenzio di chi non stava minimamente trombando, mi sdraio sul letto e mi addormento di un sonno senza sogni.
La parte più nobile e metafisica di me vuole pensare che con quell'ultimo fendente dato al vuoto in realtà uccisi definitivamente l'oscurità in me ma in realtà credo di aver semplicemente realizzato che chiunque fosse entrato in quel particolare momento si sarebbe visto rovesciare gli intestini sul pavimento e questo non rientrava tra le cose che avrei voluto fare da grande.
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Monotonia.
Sgradevole ripetizione o insistenza di un motivo invariabile. Tedio provocato da una piatta uniformità. Definizioni dall'Oxford language dictionary. Oggi si chiude il mese di Ottobre, tutti amminchiati con halloween e da domani si parte con la trafila del natale, nessuna novità, tutto come da programma degli ultimi 20 anni o forse più, tutto regolare come le lancette dell'orologio che instancabilmente girano sempre allo stesso modo, ma non vi annoiate? Non vi viene il vago presentimento che sia tutto maledettamente ripetitivo? La stabilità che volete è una prigione in cui vi rinchiudete da soli, Huxley docet, credendo che sia la vita reale. Spesso il tubo mi propina video di tizi che parlano del fatto che viviamo in una simulazione, che non guardo figuriamoci, ma non è una cosa stile Matrix dove il nostro corpo è rinchiuso in un baccello e noi crediamo di vivere una realtà virtuale così vera che solo gli eletti possono comprendere che è tutto finto, no non lo è, è la realtà di una vita dentro un recinto mentale dove i passi per raggiungere una felicità ci portano nel loop di una vita scandita da eventi ciclici che di anno in anno sono sempre gli stessi, non vi rendete conto? Il tizio che ho postato l'altro giorno, il disegnatore, è incazzato e posso capirlo perché nell'arte oramai è la stessa cosa, un circolo in cui se fai i tuoi pezzi come dice il sistema forse puoi arrivare ad un 'successo', mentre se pensi con la tua testa e fai quello che ti senti o che la tua visione ti fa fare non arrivi da nessuna parte, internet è una trappola per questo con i suoi standard e le sue faccine sorridenti da perbenisti finti come gli scheletri di plastica di questo periodo. Certo a fare di tutta l'erba una canna ci si sballa di brutto ma poi non resta più niente, parafrasando il detto. Sarà che sono vintage e quindi cresciuto in maniera diversa, ma vedo i miei sogni svanire per via della diversità che sparisce, quella diversità che era alla base della nascita di una miriadi di artisti che davano vita a opere, di qualsiasi arte, diversificate.
Adesso i giovani, diciamo dai millenials in poi quindi i 30enni anno più anno meno, che sono quelli che dovrebbero avere più forza fisica e mentale, sono tutti indirizzati verso una cosa sola, guadagnare e per farlo si inseriscono in uno dei binari prefabbricati di questa monotonia, li vedi tutti sorridenti e ben vestiti, anche quelli che si definiscono alternativi al mainstream sono comunque fighetti mollicci, in realtà recitano una parte quella dei bravi ragazzi/e che pur di guadagnare, che siano soldi o visualizzazioni in un social, si adeguano a questo status moderno, poi magari nei fuori onda o nel loro intimo sono dei pezzi di merda che insultano i loro followers o che trattano male la madre o la partner, ma sono sicuro che non sono come si mostrano in pubblico, certo qualcuno che è riuscito a cancellare il suo core mentale ed è diventato così perbenista da risultare sempre e comunque finto ci sarà. Dico questo perché spesso nella vita reale mi è capitato di prendere merda da personcine a modo, tutti simpatici e con le frasi giuste al momento giusto, una confezione niente male, ma vuota all'interno. Nella musica poi non ne parliamo, non è stato mai un ambiente sano, vorrei vedere tra alcolizzati, tossici e psicopatici (si spesso i musicisti sono così) non si ha mai la certezza di cosa possano fare le persone, almeno una volta era così e ci stava perché l'imprevedibilità era all'ordine del giorno e poteva capitare di tutto in qualsiasi momento. Gli artisti si sono venduti al sistema e non lo combattono più, anzi non hanno più il coraggio di combatterlo perché non gli conviene, sono tutti ristretti nei loro loculi di stile, di tecnica, di foglietti di carta, di apparire 'normali' (irritazione istantanea ogni volta che mi esce sta parola), l'appiattimento di tutta l'arte. Si ovvio ci sono quelli che hanno qualcosa in più, quelli bravi, quelli che creano qualcosa di artistico, che non deve essere per forza critico della società, ma in questo mondo nuovo mancano gli artisti che si ribellano, quelli che fanno quadrato creando un movimento e che vanno contro qualcosa, se lo fai sei fuori dal circolo e rischi anche di morire di fame o di non riuscire a sbarcare il lunario perché vieni esiliato dalla società, ti cancellano. Mi ricorda molto i video degli Outsider che vidi tempo fa, persone che nonostante la loro condizione, spesso mentale, non creavano arte per diventare famosi o ricchi, ma solo per terapia o per proprio piacere, molti di loro sono morti e i parenti scoprendo una quantità di materiale valido lo hanno venduto ai musei o a qualche gallerista che li ha pagati poco e ci ha guadagnato tanto perché ha in mano la chiave che apre determinate casseforti, un pò come i produttori del mainstream che se sei bravo e fai quello che ti dicono, guardate i maneskin, diventi famoso non so ricco, forse a lungo andare, ma quello è un mistero un pò per tutti fino a quando qualcuno non tirerà fuori i numeri, quanto guadagna va, non sapremo mai se i ragazzetti famosi sono anche ricchi. Tutto questo uccide l'arte non solo di adesso ma quella del futuro perché chi ha 13 anni ora e vede la situazione vuole fare anche lui così perché è in quel modo che si guadagnano i soldi. Nella mia vita, aimè, ho sempre pensato che fare un buon lavoro e sfornare qualcosa di valido artisticamente fosse più soddisfacente che prostituirsi, "Tanto se il lavoro è valido in qualche modo rientra qualcosa, no?", forse, resta la soddisfazione personale di restare integro e fedele a me stesso, alla mia arte e al portafoglio vuoto.
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Tarots Book Tag
Ciao a tutti! In occasione del periodo autunnale e di Halloween, ho deciso di portarvi questo book tag dei tarocchi. Io non sono superstiziosa, perciò non conosco il significato delle varie carte, però ho trovato questo tag molto carino. Buona lettura!!
Il Matto: un libro che riporta ricordi nostalgici.
Un libro in cui la nostalgia è protagonista è sicuramente "Camere Separate" di Pier Vittorio Tondelli, autore italiano del '900 che in questo romanza narra della storia d'amore complessa tra *** e ***. La nostalgia è un tema presente in ogni pagina, poiché il protagonista ricorda i momenti passati con il suo amante.
Il Mago: un personaggio principale orientato all’obiettivo/molto focalizzato.
Yuji Itadori di "Jujustu Kaisen", manga scritto da Gege Akutami, è un adolescente la cui vita cambia drasticamente con la perdita del nonno. Da questo momento in poi si prefissa l'obiettivo di morire degnamente, senza rimpianti, obiettivo che non viene dimenticato nel corso della vicenda. Devo ancora completare la lettura del manga, ma vi farò sapere cosa ne penso più nel dettaglio.
L’Imperatrice: un libro con una forte figura materna.
Nel romanzo "Il Cardellino" di Donna Tartt, vincitore del premio Pulitzer, incontriamo la madre del protagonista Theo Decker, una figura che onnipresente nel romanzo e che mostra la sua importanza proprio nel ricordo.
Gli Amanti: un libro con la tua relazione/coppia preferita.
A questa domanda rispondo con una delle mie serie romantasy preferite, ovvero "Il Principe Prigioniero" di C.S. Pacat. In questo primo volume incontriamo i due ragazzi, Damen e Laurent, che sono veri nemici (il perché lo lascio scoprire a voi). In questa narrazione slow burn, ho amato ogni singola pagina e come i due si sono lentamente avvicinati fino ad innamorarsi.
Giustizia: un libro che ti rappresenta.
Questa è una domanda un po' complessa. Trovare un libro che mi rappresentasse è stato difficile, poiché, in quanto lettrice, ci sono diverse storie che mi caratterizzano sotto diversi punti di vista. Alla fine ho deciso di parlarvi di "Confessioni di una Maschera" di Yukio Mishima, in cui l'autore si mette a nudo davanti al lettore, scrivendo un romanzo estremamente introspettivo. Io cerco sempre dei significati dietro ciò che leggo, ma in generale dietro tutto, e questo romanzo mi ha permesso di farlo con una semplicità senza eguali.
Morte: un libro che ti ha cambiato per sempre.
"Notti Bianche" di Fedor Dostoevskij è un libro breve ma intenso. Letto in una sera, mi ha catturata con la sua profondità. L'autore è enigmatico nella caratterizzazione dei personaggi e, nonostante le poche pagine, il lettore riesce a comprendere a pieno entrambi. E' un libro che ha cambiato il mio modo di vedere i libri brevi, perché se scritti bene hanno un potenziale enorme.
Il Diavolo: un personaggio che ti ha fatto urlare per la frustrazione.
Un personaggio che io ho odiato fino allo sfinimento è Teresa della saga di Maze Runner, scritta da James Dashner. Non c'è una caratteristica sua che io abbia apprezzato, ma in generale tutti i personaggi femminili sono stereotipati in questa serie.
La Torre: un libro che distrugge un certo stereotipo.
"One" di Sarah Crossan è un romanzo che narra di due gemelle siamesi, attaccate l'un l'altra alla testa. E' un romanzo scritto sottoforma di canzone, ma con la sua prosa semplice è chiaro, portando il lettore ad abbattere le barriere che riguardano i gemelli siamesi.
La Stella: un libro ispiratore.
"Lo Zen e la Cerimonia del Tè" di Kakuzo Okakura è un saggio che spiega l'importanza della cerimonia del tè in Giappone. Questa cerimonia, però, ha dei risvolti filosofici che l'autore riesce a spiegare in modo conciso, nonostante la loro complessità. E' sicuramente un'opera che fa riflettere sull'importanza delle tradizioni.
Il Sole: quale autore speri diventi un nome familiare a causa di quanto sia incredibile il suo lavoro?
Un autore di cui mi sono innamorata è James Islington, con la lettura di "The Will of the Many". In attesa del seguito, vorrei recuperare l'altra sua serie intitolata "Trilogia di Licanius". Spero che questo autore venga letto da molte persone, perché ha un penna come poche e una fantasia che gli permette di trasportare i suoi lettori in mondi inimmaginabili.
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Indossare un kimono, se non si è giapponesi, è appropriazione culturale?
Una delle esperienze che spesso viene proposta ad un turista in Giappone, è quella di sottoporsi alla vestizione con i kimono per poi girare per le città a fare foto ricordo. In questo caso generalmente la cosa non è considerata un’appropriazione culturale, dato che è un servizio offerto dai giapponesi agli stranieri. I kimono usati sono sempre originali e fatti indossare nella maniera corretta da persone esperte nel farlo. Quindi il fatto che la cosa sia giusta o sbagliata dipende dalle circostanze in cui avviene e come. C’è una linea sottile che divide l’appropriazione culturale e l’apprezzamento culturale.
In molti luoghi di tutto il mondo, puoi vedere dei kimono venduti o affittati con l’intenzione sbagliata. Ad esempio come vestiti di Carnevale, Halloween o cosplay in generale. Non solo questo può essere considerato irrispettoso nei confronti della cultura giapponese tradizionale, ma suggerisce anche che il kimono per qualcuno che ignora la cultura nipponica è considerato una pagliacciata.
Altro modo offensivo di indossare un kimono è farlo in modo sessualizzato. Metterlo troppo corto, troppo stretto, troppo aperto sul davanti o sulla schiena per le donne, con conseguente atteggiamento sbagliato nel portarlo, lo fa associare inevitabilmente alla professione della Geisha. Che però in realtà non ha nulla a che vedere con il sesso. La Geisha è un’artista dell’intrattenimento, della conversazione, una musicista e una danzatrice. Ma non una prostituta.
La diffusione del kimono fuori dal Giappone
Il kimono è storicamente considerato un indumento quotidiano in Giappone. Non ha un particolare significato religioso o cerimoniale. Fu introdotto nel resto del mondo dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali, i primi occidentali in assoluto che visitarono il Giappone nel 1609. Come dono di benvenuto, venne regalato loro un > kimono di seta dai colori vivaci e splendidamente decorato. Suscitando scalpore e meraviglia in patria quando gli olandesi lo portarono a casa dal primo viaggio.
In seguito la Compagnia delle Indie, facendo avanti e indietro nel paese, iniziò a commissionare varie versioni di kimono agli artigiani giapponesi. Questi aggiungevano a volte della spessa ovatta e maniche adattate ai gusti olandesi del tempo. Ben presto, lo stile innovativo di questi kimono fu replicato anche dai sarti europei in quanto erano uno status symbol per il periodo. Le persone che li indossavano manifestavano una prestigiosa connessione internazionale. Questa ‘moda‘ ha fatto scaturire una vera e propria mania anche per altri beni artistici giapponesi come porcellane, stampe e oggettistica varia. Tutto questo rappresentava la nascita del gusto per l’esotismo, la novità dell’epoca. Da quel momento in poi i kimono in particolare, divennero un importante capo di abbigliamento per le donne europee.
Negli ultimi due secoli poi, gli stilisti di tutto il mondo si sono ispirati al kimono giapponese. Da Christian Dior ad Alexander McQueen, in molti hanno attinto al suo stile con l’idea di esaltarlo, non di appropriarsene. Tuttavia, nel corso degli anni, ci sono stati molti designer e marchi che non hanno fatto lo stesso. La moda occidentale ha iniziato ad incorporare il kimono nelle collezioni. Questo interesse ha anche fatto rifiorire l’industria giapponese del kimono che, dopo l’arrivo dell’abbigliamento occidentale, si sta tutt’ora perdendo. Al giorno d’oggi è difficile vedere dei giapponesi in kimono nella vita di tutti i giorni. Lo usano solo gli anziani e in occasione di ricorrenze nazionali e cerimonie. Oltre alle Geishe, che però si possono scorgere ormai solo a tarda sera nella città di Kyoto.
Come capire quando il kimono è appropriazione culturale
Storicamente, il kimono faceva parte dell’abbigliamento quotidiano in Giappone, non era un capo ‘alla moda’. Tutti lo indossavano, maschi e femmine, ricchi e poveri. Cambiava solo la ricchezza dei decori e dei tessuti. I giapponesi ovviamente sono entusiasti che la loro cultura sia apprezzata in tutto il mondo. Ma prima di indossare un kimono a caso, si dovrebbe considerare il motivo per cui si vuole farlo. E’ perché siamo interessati al Giappone e alle sue tradizioni? Se la risposta è affermativa e siamo incuriositi da questo paese, dalla sua storia e cultura, allora questo è apprezzamento culturale ed indossare un kimono è una cosa positiva.
Se al contrario si indossa un kimono per divertimento o per scherzo ignorando tutto, allora si sta potenzialmente prendendo parte ad una appropriazione culturale. Anche se si acquista un kimono da aziende che ne traggono profitto senza riconoscere o accreditare la cultura giapponese, è lo stesso. I veri kimono sono opere d’arte pregiate e costose. Molti marchi di abbigliamento vendono capi definiti ‘kimono‘ ma che sono in realtà delle vestagliette che non si avvicinano nemmeno agli yukata, ovvero la versione di cotone estiva di un kimono.
I giapponesi quando vedono un occidentale in kimono, solitamente gli fanno dei gran complimenti. Se si è in Giappone e si esprime il desiderio di indossarne uno, saranno disposti ad aiutarci a farlo. E’ molto improbabile che si offendano o si preoccupino per la cosa. Finché c’è rispetto e curiosità, indossare un kimono non è considerato appropriazione culturale. Se invece viene fatto con spregio, come una buffonata e senza interesse per la cultura che c’è dietro, allora è appropriazione culturale. Quindi niente maschere da Geisha a Carnevale se non sapete la differenza tra questa e una Oiran, per fare un esempio.
ENRICA BILLI
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Visto il primo episodio di Chapelwaite con Adrien Brody. Per ora mi ispira. Ha molto della classica storia horror, ma pare che abbia il potenziale per essere qualcosa di carino.
E sì, come mi aspettavo sta arrivando la pulsione sessuale per Brody, specie dopo la scena della vasca da bagno. Un attore che ho sempre adorato per le sua capacità attoriali, ma che non mi sono mai cagata dal punto di vista fisico. Basta che qualcuno sia ripreso da una macchina da presa per un certo tempo, e sentirei attrazione pure per Danny de Vito.
(E come volevasi dimostrare mi sono fatta spoiler cercando l'immagine da mettere per il post.)
#chapelwaite#adrien brody#brody#horror#horror series#halloween#charles boone#Rebecca Morgan#Emily Hampshire#serie horror#cosa vedere ad halloween#passione horror#cinema horror#Honor Boone#Jerusalem's Lot#stephen king#Peter and Jason Filardi
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[...]
non mi era mancato per niente tutto questo casino, la musica, l'alcol e ogni angolo del locale occupato da qualcuno che vomitava persino la propria anima.
parlo proprio io poi, che neanche l'anno prima affogavo la tristezza in drink scadenti in cui c'era più alcol che la bevanda accompagnata, e dio solo sa come riuscivo a svegliarmi senza un post sbornia.
il bruciore agli occhi iniziava a sentirsi, guai se mi fossi toccata per un millisecondo l'occhio, rovinando poi il capolavoro fatto dalla mia migliore amica.
una sola parola, Halloween.
[...]
le gambe iniziarono a farmi male, la testa si fece sempre più pesante e il sonno si fece sentire.
«quasi quasi torno a casa, sono stanca e ho un sonno assurdo» dissi avvisando la mia migliore amica.
«d'accordo, tra poco andremo anche noi, ormai si è fatto tardi»
[...]
sapevo benissimamente a cosa sarei andata in contro, ma la mia domanda ogni volta sorgeva spontanea...
“perche sei ritornato? dopo tutto quello che è successo...”
avevo deciso di metterci un punto con lui, ma ogni volta che lo incontravo, anche per caso, era come se ritornassi indietro nel tempo, pentendomi poi di seguito alle azioni compiute.
alla fine però se una cosa ci fa stare bene anche per poco, perché non farla? perché non continuarla a fare?
semplice, ritorneremo sempre al punto di partenza. masochismo? forse.
[...]
“io vado sono stanca” presi coraggio e schiacciai invio a quel ridicolo messaggio, consapevole che non l'avrebbe neanche letto, eppure eravamo nello stesso locale, eppure mi aveva salutata, eppure i nostri sguardi si incrociavano spesso.
“aspettami all'uscita”
[...]
ed eccolo lì, vicino all'uscita, in tutta la sua eleganza da fare invidia, ancora non capisco come un ragazzo così abbia “scelto” me.
si girò e mi guardò da capo a piedi mettendomi in soggezione, e senza dire una parola prese a camminare andando verso il parcheggio.
[...]
«ho solo voglia di fare due chiacchiere, visto che è da un po' che non ci vediamo».
«be non ti fai mai vedere» mi rispose prendendomi il braccio e spostandomi sulle sue ginocchia.
persi un battito, non l'ho mai visto così deciso e tutta questa vicinanza improvvisa mi frastornò.
«cosa stai facendo?»
«tu cosa vuoi che faccia?»
«ho detto solo due chiacchiere».
«infatti stiamo parlando» iniziò ad accarezzarmi i fianchi, abbracciandomi un attimo dopo.
ricambiai l'abbraccio, mi era mancato, tanto, troppo.
«mi sei mancata» neanche se mi avesse letto nel pensiero, ma non risposi, l'orgoglio fa la sua parte in questi casi e non potevo dargliela vinta così facilmente.
«dormi da me? solo questa notte per favore...» lo vidi vacillare per un secondo, non l'ho mai visto senza barriere, è solito prendermi in giro o darmi fastidio, ma così “fragile”...
«a cosa stai pensando?»
«nulla ho molto sonno».
in quel momento mi persi un attimo a guardarlo, anche se era notte fonda, dentro la sua macchina, con solo un lampione accanto ad illuminare la zona, ripercorsi a memoria le sue sfumature, i suoi contorni castani e quel verde che compensa l'intera iride.
“speranza, ricordi? la speranza che noi non abbiamo”.
sentì un calore nel petto espandersi per tutto il corpo, senti le sue mani risalire fino al mio viso, finché con una delle due si mise a giocare con i miei capelli mentre con l'altra iniziò ad accarezzarmi la guancia.
“vorrei tanto essere coraggiosa prendendo l'iniziativa e baciarti” pensai, ma neanche un secondo dopo mi ritrovai le sue labbra sulle mie.
calde e morbide, come le ricordavo.
[...]
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Quelle risate forti quando eravamo insieme, le corse in bici su via dei consoli di notte, le manifestazioni, le serate a rullare canne fino a non capire niente, le canne sulla fontana in piazza della repubblica davanti alle camoinette, la giornate al parco, i singhiozzi nell'ascensore, lo zaino in spalla posso dormire con te che ho freddo, le domenica di pioggia sul cornicione di casa tua, il mercoledì al corto, le occupazioni alla fiat, le serate post esame a bere con un peso in meno, i concerti al villaggio, i subsonica all'intifada con 5mila lire, gli after alla centrale del tennis a gratis, il sesso nel portone di trastevere, tu che mi baci appoggiati al muro dietro la piramide sulla metro b, il sesso di nascosto sul balcone, il pompino nel parco, 15kg sulle spalle su per i sentieri del gran sasso, i weekend a dormire in spiaggia a sperlonga, gli ska p a livorno, barceloneta tra le lacrime mentre mi facevi sentire in colpa, lo spacciatore ad oviedo vestito da morte, i capodanni a non ricordarsi dove stava la macchina, la birra nello scantinato a san lorenzo, il bacio rubato a vania al buio, andiamo a prendere la stampe all'aventino ti faccio vedere il buco, è l'alba ti porto al gianicolo che è più bello, i gay pride da sola al circo massimo con lady gaga, quando sono svenuta davanti al 32, le strisce di coca sul comodino, la vittoria del mondiale a don bosco, quando giovanni ha smesso di venire e ci sei rimasto male, i pullman fino a poggio mirteto così possiamo bere, le guardia al roma rock che ci hanno portato con loro per un tocco di fumo, quelle in autostrada che mi hanno controllato il buco del culo, quando è andata via la luca durante la notte bianca e pioveva a dirotto, quando eravamo in 18 a dormire a casa, quando mi hai trovato in quella bolgia del concerto di manu chao e ci siamo abbracciati, quando mi venivate a prendere alla stazione che ero piena di roba da giù, il bagno nudi di notte, le scopate nel bagno mentre gli altri dormivano, le scopate di pomeriggio col caldo che si moriva, quando me la leccavi e tremavo tutta e ridevi, quando ho vomitato perchè sei venuto con lei alla festa, quando abbiamo fatto il test per l'aids la mattina presto, quando tornavamo la mattina presto e andavamo direttamente a porta portese, la festa di halloween al circolo degli artisti, la festa di vice al circolo degli artisti in cui ci siamo finalmente baciati tantissimo, tua mamma che mi cucina la lingua, la guerra delle arance nella sala lettura, quando ho capito che eri geloso e non me lo hai mai detto, quanto mi manchi.
Ho paura di dimenticare tutto, di dimenticare la vita che non c'è più, al dolore delle cose che non tornano non ci penso mai, ma quando succede mi sento soffocare, sento mancarmi il respiro e soffoco di nostalgia, razionalmente penso che vivo, ho vissuto, ho l'urgenza della vita, sono nata così, mi hanno insegnato così, mi ribello alla vita, lotto contro per recuperare tempo, per rubare attimi, ma poi tutto passa e soffoco di memoria. A volte quando tutto mi torna ho paura di dimenticarmi i pezzi e non voglio, mi sento soffocare di inesorabilità, ho paura della vecchiaia, ho paura di finire, di non potere, ho paura che le cose finiscano perchè so benissimo che finiscono o si trasformano, ma finiscono. Mi convinco che anche io cambio, ma io sarei pronta a rifare ogni cosa così come è stata, dolore e gioia, ripetere ogni istante. Me ne vado a camminare così mi passa anche stavolta.
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Guardo dentro il cesso e vedo un frammento di cellula navigare per poi sparire.
Sfugge alla mia vista come il pensiero che rincorro ora.
Forse lo ricordo ma voglio solo seppellirlo.
Rientro in camera e le lucine illuminano le nostre foto che sono ancora sul comodino ed il sapore amaro di quel pacco lasciato esattamente come quando tu eri qui.
A volte non parlo di cosa pensi,di cosa sento archiviandolo semplicemente con un "glielo dico dopo,ora non è il momento/non ne ho voglia/ non voglio" ma la realtà è che non sono pronta a parlarne con altri che non siano me.
È stato divertente,bello quasi soddisfacente finché quel pensiero si è insinuato tra le fessure della mia mente e mi ha sfaldata da dentro,irrigidendosi il corpo,dilagnandomi come a quel dolore in cui ti ho sorriso e detto "continua" respirando e ripetendomi "resisti ancora un po'". Il dolore ormai fa parte di me ed è divertente vedere fin dove si spingermi,fin dove riesci a sopportare finché un pensiero ben più semplice mi fa implodere.
Li,proprio in quella fessura dove la luce arriva più diretta e calda,fa male,scotta sulla pelle e la voce viene a mancare.
E mi odio,profondamente tanto perché non riesco ad accettare di avere limiti,di avere paura.
Non riesci ad accettare che tu possa cambiare perché in fondo so che dovrei allontanarti perché ho paura di quel frammento,di quel che può diventare e mi viene solo voglia di rannicchiarmi in un angolo ed urlarti di restarmi lontano perché ho paura.
Mi sono rifugiata nell'angolo del tuo collo talmente tante volte per proteggermi da ciò che ora ho paura di tutto perché sento di non poterlo più fare e mi odio per non saperti amare a pieno.
Vorrei solo stringerti forte ma so benissimo che in questo momento non ci riuscirei,mi fa paura anche avere quella scatola vuota la in fondo.
Mi fa paura quando vedo persone anziane,che mi fanno tenerezza ma come sorpassano quel limite la gola si chiude e la testa comincia a girare e non vedo l'ora di allontanarmi.
Come quell'anziano che mi ha fatto i complimenti per Halloween e da quel giorno sento gli occhi addosso ogni volta che viene,magari è solo nella mia testa ma mi viene il vomito,vorrei solo correre lontano e grattarmi via di dosso quella sensazione.
Sento il bisogno di proteggermi,da tutti e di non poterne parlare davvero con nessuno,perché nessuno può davvero aiutarmi.
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Concert for Halloween
#FRobinAutumn2020 by @frobinfandays
Week 2: 23rd October - 30th October Visual Prompt: Concert Music: Halloween Town (Danny Elfman) - This is Halloween
Rating: green Words: 1113 Pairing: Franky / Nico Robin
(I wrote it in italian to be quicker, sorry 😥 ... But you can read it throught the translator...)
Franky ci aveva già pensato almeno una volta negli ultimi giorni: organizzare un appuntamento romantico per lui e Robin che fosse SUPER! O per lo meno, più Super dei precedenti. D’altronde quella parola è uno dei suoi standard, su cui si basa tutta la sua vita e le sue azioni, che siano per sé o per gli altri. E quando si tratta di Nico Robin, tutto deve essere ancora migliore: farebbe qualsiasi cosa per quella magnifica donna.
In realtà i due avevano già avuto occasione di uscire assieme alcune volte, se così si poteva dire, seppur per questioni quasi sempre ordinarie di esplorazione o rifornimento, quando approdavano su qualche isola. Accadeva però che talvolta fossero da soli, mentre in altre c’era qualcuno dei Mugiwara a fargli compagnia. Per carità, ovviamente voleva bene ai suoi amici, ma… voleva anche riuscire ad organizzare ancora un’uscita che fosse solo per loro due.
E fu così che dopo averci rimuginato per un po’, trovò la sua idea proprio grazie ad un poster pubblicitario di un evento a tema Halloween, sull’ultima isola in cui erano attraccati:
“Un concerto su Nightmare Before Christmas, eh? Beh... potrebbe essere Super per lei!”
Un mix tra Halloween e Natale che, diciamocelo, potrebbe essere perfetto per Robin. L’archeologa aveva quel suo lato un po’ cupo e creepy che ben si sposava con l’atmosfera di quella storia. Tra l’altro in un paio di occasioni le capitava pure di canticchiare le melodie del film, ad esempio “This is Halloween”, e lui una volta l’aveva pure sentita mentre era intento a costruire uno dei suoi bizzarri ma utili progetti, offrendogli pure un piacevole sottofondo musicale. E fu proprio in quella circostanza che le chiese qualcosa in merito.
“È Nightmare Before Christmas! Non l’hai mai visto!?”
“Oh yeah, in realtà sì, una volta. Ma ecco… è stato tempo fa e… sai com’è… me lo ricordo poco.”
“Dovresti rivederlo, è uno dei miei film preferiti. Trovo la storia e lo stile molto interessanti! E anche le canzoni, fufufu…!”
Robin non era solita cantare in maniera diretta ed espansiva, era più il tipo di persona che intonava le musiche senza le parole, a tono non troppo alto ma sufficiente da essere sentito da quelle persone che erano accanto a lei e con cui lei si sentiva a suo agio, da permettere di ascoltarla. E Franky adorava questa sua caratteristica, così in linea con il suo carattere, e così gradevole da condividere con lui mentre erano insieme.
Così quando il carpentiere vide il manifesto dell’evento, non poté fare a meno di organizzare un appuntamento con Robin. Strappò il poster dal muro su cui l’aveva visto e, in un secondo tempo, lo mostrò alla donna. Il suo sorriso valeva più di mille parole.
“Ehi bella, ti va di andarci assieme domani sera? Dovrebbero esserci le tue canzoni preferite!”
“Ma certo, volentieri! Anche io avevo visto i manifesti del concerto, tappezzati sulle pareti dell’isola. Speravo già di poterci andare, sai?”
A Franky stava per partire un “SUPER!”, quando lei aggiunse: “… dovevo solo decidere con chi.”
Il sorriso del Cyborg si smorzò un po’. Quindi aveva già considerato la possibilità di chiedere a qualcun altro dei loro amici di accompagnarla?
“Chi…?”
“Brook sembra particolarmente interessato a questo concerto, in quanto musicista suppongo. Trovo anche divertente che il protagonista sia uno scheletro esattamente come lui. Tutto mi fa venire in mente un po’ Thriller Bark sai? Ad ogni modo, Brook ha chiesto a me e a Nami se abbiamo voglia di andarci in sua compagnia.”
Franky non seppe se ridere o meno, però anche lui pensò all’effetto Thriller Bark. E maledisse un po’ Brook per aver avuto la sua stessa idea.
“E… tu cosa gli hai risposto?” le chiese.
“Beh… gli ho detto che ci avrei pensato. Nami ha subito rifiutato, sembrava pure parecchio spaventata dalla cosa, forse le erano tornati in mente i ricordi degli avvenimenti contro gli sgherri di Gekko Moria, seppur il film sia un’altra cosa… è una bella storia. Poi figurati, lui è subito partito in quarta chiedendo le sue solite cose… sai com’è no?”
“Sì, certo…”
“Mi sarebbe piaciuto chiederlo pure a Chopper, ma anche lui sembrava terrorizzato dall’idea di vedere scheletri, mostri, cose horror…”
“… comprensibile pure per lui, stessa cosa di Nami.”
Robin continuava a fissare il carpentiere, tutto l’entusiasmo di quando le aveva proposto l’idea sembrava essersi un po’ smorzato. Poi la donna sorrise in maniera dolce.
“Beh… almeno ora so che risposta dare a Brook.”
Franky rimase in attesa, con un sopracciglio alzato e un’espressione indecifrabile. Dopo tutti i progetti che aveva iniziato ad organizzare per quell’appuntamento… ci mancava solo che Brook diventasse il Jack Skeletron della situazione e Robin facesse Sally. No grazie. Anche perché aveva visto che il concerto si sarebbe tenuto in un bel luogo, non troppo lontano dal porto e con effetti d’illuminazione che avrebbero creato un’atmosfera piacevole. Pensare di poter passare la serata con Robin, accompagnarla ad un concerto di qualcosa che apprezzava… gli avrebbe fatto molto piacere. Se lui riusciva a renderla contenta, anche lui era contento. E ora ci si metteva in mezzo pure lo scheletro.
“Avvertirò che per quella sera ho già altri progetti. Brook se ne dovrà fare una ragione. A quale orario devo farmi trovare pronta, Franky?”
L’uomo accolse la risposta con quasi insperato ottimismo.
“Beh, direi per le 8.30 PM! Sarà senz’altro SUPER!!”
“Eehehe… infatti. Sai cosa? In realtà anche io avevo pensato di chiederti se avevi voglia accompagnarmi a vedere il concerto di Nightmare Before Christmas. Quindi mi hai preceduta.”
“Oh, ah sì? Davvero? Ottimo!”
“Da quel che ricordo avevi visto il film solo una volta, in passato… e mi sarebbe piaciuto farti fare un bel ripasso delle canzoni e della storia con questo spettacolo. Sai… sarebbe stata una bella occasione per entrambi. E sinceramente preferisco andarci con te. Anche se Brook è un ottimo musicista e sarebbe sicuramente talentuoso nel riprodurre le sinfonie.”
Detto questo, Robin si avvicinò meglio a Franky, toccandogli gentilmente una guancia con una mano e scoccandogli poi un fugace bacio sulle labbra. Poi i due sentirono dei rumori di schiamazzi non molto lontani, provenienti dai loro amici. Nami urlava qualcosa contro Luffy e Zoro, mentre Sanji sembrava godere nel sentire delle offese verso lo spadaccino facendo le sue solite moine alla rossa.
“Sarà meglio andare di sopra e vedere cosa stanno combinando gli altri. Nami mi sembra alquanto furiosa, a giudicare dalla sua voce…”
Franky si trovò d’accordo con lei, anche se in quel momento la cosa non gli importava poi molto: era riuscito ad organizzare un’uscita romantica con l’archeologa, e questo era più che sufficiente per tirargli su il morale e farlo sorridere come un bambino.
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Gli slip sono sopravvalutati, non trovate?
28.10.76 [...]
T:«Schiopodo sparacoda.Vermicolo marcio» Le guance delle ragazze sono accese di rosso per via della corsa attraverso i sotterranei e gli occhi grigi sono lucidi di rabbia. Senza tanti preamboli né delicatezza, la serpeverde spalanca la porta del dormitorio maschile del terzo anno e comincia a parlare anche prima di aver individuato il proprio obiettivo «Vichingo!Sei un cafone!» N: « Gnn. Dimmi tutto » esclama.
T: «Ridammi le mie mutande!». Alla faccia della timidezza. «Ho parlato con Wesley» gli spiega. N: « Quindi? » T: «Parlavamo dei vestiti di Halloween.» N:« Eh »
T:« E mi ha detto una certa cosa» N:« E... »
T:«E tu hai detto a Wes che hai qualcosa di mio» Lo osserva mentre quello si alza per mettersi addosso una maglia. Pecca...cioè meglio così. «E che potevi prestarglielo per Halloween » Gli lancia un’occhiataccia, come se potesse veramente fulminarlo sul posto. « Mi sembra chiaro che cosa di preciso volevi dargli. E,beh, non sta a te decidere a chi dare le mie mutande. Spetta a me» Eh? «Cioè, intendevo dire che non puoi tenerle» Ah ecco. «Rivorrei i miei indumenti indietro»
Questa chiacchierata ha dell’incredibile, e infatti Niall è talmente confuso che potrebbe colpirsi da solo con quella bacchetta che non viene di certo mossa con far minaccioso. Sembra quasi un antistress, mentre appunto batte piano sul palmo che non la impugna.« Potevi venire a chiedermele prima, gnn? »
T: «Non te le ho chieste prima perché,beh..»Embè? Te la vedi una tredicenne che senza imbarazzo se ne va dal compagno a chiedergli le mutande indietro? «Sono mie. Non dovrei chiederle indietro. Avresti dovuto portarmele tu»
N:« Sì certo »
T:«Anzi, non avresti dovuto prenderle».
N: « Non hai fatto nulla quando te l’ho prese.. sisi » e sembra un po’ sfotterla in effetti, anche se non con cattiveria. «Cosa mi fai per riaverle?Sono tutte pulite, nemmeno le ho toccate » commenta aggiungendo anche che « non puoi negare che ti piacerebbe vedere Wesley in mutande da femmina » e non sembra scherzare. Ma chi lo capisce è bravo
T: «E ci mancherebbe. Non le hai usate per quel giornaletto,vero?» E poi,beh,scoppia a ridere. Una risata sincera e divertita «No»esclama mentre ancora ride «Non con le mie mutande». Ma non era arrabbiata? Si morde il labbro inferiore per cercare di trattenere le risa e riassumente un’espressione seria «Cosa vorresti che facessi in cambio?» N:« L’ho chiesto io a te » afferma, guardandola dritta negli occhi, dall’alto verso il basso, visto che lui è in piedi.
Tasha sospira e si alza lentamente in piedi per cercare di mettersi al suo livello,sebbene sia comunque più bassa di qualche centimetro «La vera domanda è perché tu te le sei tenute. Che te ne sei fatto?Le indossavi e ti guardavi allo specchio?» Niall la osserva senza mai distogliere lo sguardo, arrivando ad altre domande, alle quali sbuffa solo aria dalle narici. Non risponde, ovviamente. E poi ecco tutta quella pappardella di parole, con lui che se ne frega altamente. Ma c’è pure quello sfottò finale, con lei che si alza pure. « Mi sa che non le rivuoi » commenta ora « quando le rivorrai, sai come trovarmi eh » commenta, muovendosi, andando verso il bagno. Passi lenti, cadenzati e da soldatino, al solito.
T:«No,Niall!» Lo chiama quasi con voce supplicante. Scatta in avanti per tentare di afferrargli una mano e impedirgli di allontanarsi mentre cerca di superarlo «Cosa vuoi?Un abbonamento per il Playwizard?» chiede mentre gli si para davanti per bloccargli la strada. La mano destra tenta di afferrargli il polso della mano sinistra mentre la sinistra della ragazza va a posarsi sul petto di lui,come per impedirgli di muoversi ulteriormente «Ti lascio un paio di mutande?O vuoi forse un reggiseno?» Ecco,visto quanto disperatamente ha bisogno dei suoi slip?Si sta praticamente svendendo. Se ne pente immediatamente «Oppure posso dire in giro che hai le mutande infuocate» Eh? «Cioè, con fuochi animati disegnati sopra» Nemmeno avesse i pupazzetti.
A Niall il contatto non da noia, solo che va ad osservare con gli occhi chiari quel polso stretto e quella mano ferma in mezzo al suo petto. La lascia parlare, e torna quindi piano piano ai suoi occhi. « Troppe proposte » esclama ora, arricciando le labbra e la punta del naso. « Rinuncia al posto da titolare » le dice, sorridendo sghembo, lasciando che passino attimi, silenziosi, prima di nuove parole. E continua a fissarla. « A te la scelta » esclama ora, cercando però di porre le sue mani sui suoi fianchi, come a non farla andar via.
La ragazzetta molla immediatamente il polso del compagno,come se scottasse; ma la destra resta ferma sul suo petto e altrettanto paralizzata resta Tasha. Questa trattiene il fiato bruscamente e il cuore nella sua gabbia toracica ha uno scatto non di poco conto. Se al suo arrivo le guance erano rosse,ora perdono gran parte del colore mettendo ancora più in risalto le lentiggini sul naso. Sta praticamente in trance con l’espressione seria di chi sta riflettendo, almeno finché lui non le posa le mani sui fianchi. Lei si riscuote sbattendo le palpebre più volte e accennando un sorrisetto sul volto. «Avrei quasi preferito baciarti» osserva, ma la voce le esce fuori piano, in un sussurro. La lingua fa capolino dalla bocca per andare ad umettare le labbra secche. Il collo si stende verso l’alto nel tentativo di annullare i pochi centimetri che la separano dal concasato. Gli occhi grigi sono fissi sulle labbra di lui e il naso arriva a sfiorare il suo. Socchiude appena le labbra e resta così per qualche istante. Si prende del tempo, prima di rialzare lo sguardo e fissare le iridi grigie in quelle azzurre di lui «Ti ci puoi appendere al Platano con le mie mutande». Eccoti l’elegante risposta. Quindi il ghigno è sulla sua faccia ,adesso, mentre il volto torna ad allontanarsi dal suo. Niall la osserva lasciando che si avvicini e che le punte dei nasi si tocchino. La ascolta, e lascia che un sospiro esca dalle sua labbra. « Ma non lo fai » dice, guardandola fissa negli occhi. E per fortuna,Tasha si ribella, ma Niall cercherebbe di non farla scappare, tenendola per i fianchi. « Sei venuta qui, presa dall’ira e non hai nemmeno provato ad aprire il mio baule » ecco sì, ecco che la prende un po’ in giro, seppur lui sia del tutto serio. « Ora Odinsbane… puoi andar a pensare che puoi fare veramente per me, e le mutande saranno tue »
T:«Fai prima a dirmi che cosa vuoi tu,perché io non ti leggo nella mente» Purtroppo e per fortuna. «Il posto da titolare te lo scordi,perciò lasciami andare così mi apro il baule da sola» Appoggia le mani sulle sue,come a ricordargli che sono ancora lì. «O forse non vuoi lasciarmi andare?» E lo guarda di nuovo sollevando il mento, tornando a usare un tono più calmo, con voce bassa e pacata «Se ti baciassi adesso?» E si mette in punta di piedi per raggiungere la sua stessa altezza, il naso che sfiora nuovamente il suo e la labbra socchiuse che gli alitano addosso. Ma poi si sposta di nuovo,mirando ad una guancia e tentando di schiocchiare lì un bacio veloce.
Niall ricerca il suo collo, per darle un bacio lì. Un bacio abbastanza passionale, con la punta del naso che carezza la pelle, e il fiato caldo che si palesa. Tasha resta immobile mentre Niall le sfiora il collo con il naso e dei brividi le risalgono dalla schiena. Sulla pelle compare la pelle d’oca e per lei è una sensazione così strana,così nuova... Sente il fiato caldo e poi le labbra. Trattiene il respiro e resta immobile in quella posizione.
N:« Non hai il coraggio di baciarmi » le dice, poi, ricercando l’orecchio per un sussurro. E la lascerebbe andare, andando verso il baule. « Toh, prendile »
E quelle sono le paroline magiche, quella frase di sfida sul suo essere codarda. E lei dimentica finalmente ‘ste benedette mutande, perché è una che non accetta la sconfitta. E questa lo sembra. Aggrotta le sopracciglia mentre si trova a seguire i movimenti del ragazzo. La mano torna ad allungarsi verso il suo polso,per fermarlo come ha fatto prima «Aspetta» sussurra. Lo aggira di nuovo per fronteggiarlo nuovamente. Questa volta, però si muove in fretta,decisa. Tenterebbe di appoggiare le mani sulle sue spalle larghe,per aiutarsi a mantenere l’equilibrio mentre si alza in punta di piedi. Avvicinerebbe il viso al suo, socchiuderebbe le labbra e si fermerebbe a pochi centimetri dalle sue «Grazie»Gli soffia,prima di colmare la distanza che li separa e appoggiare le labbra alle sue. Un semplice bacio stampo,che per una tredicenne però è tanto. Se la lasciasse fare, premerebbe la bocca sulla sua per qualche secondo quindi si allontanerebbe di nuovo,riabbassare e i talloni, toglierebbe le mani dalle spalle e,senza dire una parola, gli volterebbe la schiena. Nasconderebbe così il rossore che le pervade le guance e andrebbe diretta verso il baule,dando per scontato che lui le restituisca davvero ciò che le appartiene.
Niall aspetta sì, anche perché quel sussurro lo sente. E sono di nuovo uno di fronte all’altro, col vichingo che la fissa dritta negli occhi con i suoi chiari che risentono delle sfumature di quella stanza. E si aggrappa, lei, e lui la lascia anche se gira il capo per osservar una delle due mani. Quel “grazie” lo porta ad alzare il sopracciglio, e poi ecco quelle labbra che si toccano. Non si oppone, non si scalza, ma non apre le sue labbra, lasciando casto quel bacetto, quell’incontro di due labbra che non si conoscono proprio. « C’hai messo di tempo eh?» domanda retorico, sorridendole, e andando appunto verso il baule, lasciando che lei si prenda le sue mutande.
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Per @crazybee che avrebbe voluto vedere questo missing moment.
*******************
Ti eri scordata l'emozione di vedere il suo nome sul display. Avresti preferito ti fosse risparmiato questo tuffo carpiato nel passato, che ti fa battere il cuore a mille e sudare le mani tanto da farti quasi sfuggire il cellulare di mano.
Non sai neanche se rispondergli.
Cosa potrà mai volere, dopo tutti questi mesi? Sapere come stai?
No, figuriamoci.
Accordarsi per venirsi finalmente a prendere quegli scatoloni?
Neppure.
Sarebbe bastato anche solo un messaggio, per entrambe le eventualità.
No, deve trattarsi di qualcosa di serio. L'unica cosa che entrambi avete mai ritenuto tale: Martino.
"Ehi. Da quanto tempo..." Rispondi, maledicendoti subito per la banalità delle tue parole. Avresti dovuto essere fredda, glaciale, e andare subito al punto chiedendogli il motivo della sua chiamata.
"Troppo." Commenta lui, senza scomporsi. "Mi dispiace essere sparito così, e so che dovrei decidermi a portar via le mie ultime cose rimaste lì da voi..."
Sospiri, non sapendo cosa fartene delle sue scuse. È sempre stato così, il tuo ex marito.
Sempre pronto a chiedere perdono, senza mai fare nulla di concreto per ottenerlo.
"Ognuno ha le sue priorità." Tagli corto. "Ma ti avviso che non so per quanto Martino sopporterà ancora di vederli lì in corridoio. Un giorno di questi li porterà giù in strada." Il tono si addolcisce, nel parlare di tuo figlio. Forse starebbe meglio con lui e Paola. Loro sì che se ne saprebbero prendere cura. Lo sai, eppure speri davvero non intenda avanzare una proposta dal genere. Perché non riusciresti mai a dirgli di sì.
Sei troppo egoista per lasciarlo andare, per lasciartelo strappare proprio dalla persona che già ti ha tolto tutto.
"Immagino. A proposito di nostro figlio... Ti chiamavo per dirti che finalmente siamo riusciti a metterci d'accordo per una cena il 14 dicembre. Forse lui te ne ha già parlato, ma ci tenevo a fartelo sapere casomai non l'avesse fatto." Quanta magnanimità, signor Rametta. Quale tardiva onestà e correttezza...
"Certo che sì." Rispondi, alquanto seccata. "Io e Marti ci diciamo tutto."
"Be', allora ti avrà già sicuramente menzionato Niccolò." Ribatte serafico, prendendoti in contropiede. "Bene. Non mi preoccuperei, è giovane e confuso... ma proprio per questo ti chiederei se potessi suggerigli di non portarlo con sé. Non che non voglia conoscerlo, per carità, ma magari un'altra volta in cui ci siamo solo noi tre?"
"Non sia mai che un bambino possa scoprire anche due ragazzi o due ragazze si posso amare, già. Difficile da spiegare. Ma non sono sua madre, quindi..." Quindi ti risparmi giudizi sulla sua educazione. Non avrai grande stima di Paola come donna, ma non ti permetteresti mai di giudicarla come madre. "Lasciamo perdere, okay? Diglielo tu e vedi come la prende. Che se mi ci metto di mezzo io potrebbe anche pensare che questa cosa per me sia un problema..."
"E non lo è?" Sembra così sorpreso che vorresti chiudergli il telefono in faccia.
"Ma sei serio? Perché mai dovrebbe esserlo?" Okay, i nipotini se li immaginano un po' tutti ma c'è sempre l'adozione. E la ramanzina sulle malattie sessualmente trasmissibili gliela avresti fatta pure se si fosse trattato di una ragazza, per cui... Non vedi dove mai possa esserci, questo gran problema.
Semmai fa male sapere che Martino ha convissuto così a lungo con questo segreto, convincendosi che tu non saresti mai stata in grado di accettarlo.
Ma perché? Dove hai sbagliato?
"Meglio che eviti di rispondere. Martino è ciò che più importante io abbia nella mia vita. Questo conta. Il resto è secondario. Ma non mi aspetto certo che tu possa capire." Chiudi la telefonata bruscamente, e ti metti a fare la valigia per Cecina. Hai bisogno di qualcosa che ti distragga, mentri attendi il ritorno di Martino.
Hai come l'impressione che non sia andato affatto da Giovanni. Magari è di nuovo da questo Niccolò, come ad Halloween.
Chissà che tipo è. Non vedi l'ora di incontrarlo... Che se ti aspetti di avere informazioni da Martino, si fa Pasqua 2040.
Ti aspetti che rientri a casa raggiante.
Ma non è così.
Si barrica in camera sua, sconvolto e distrutto.
Che diavolo è successo? Devi andare a fondo di questa storia, una volta per tutte.
Ne hai abbastanza di stare nell'ombra, a vederlo soffrire senza poter fare nulla.
È venuta l'ora di farsi avanti, di stargli accanto.
Che lui lo voglia o no.
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Valentina è pazza
Valentina ha due occhi di un azzurro così pallido che dire glaciale sembra riduttivo. E li ha perennemente sgranati. Sembra quasi che le stiano per uscire dalle orbite da un momento all’altro. Dio, quanto è inquietante! Ma è bella, bella davvero. Ha un viso così angelico, da bambola di porcellana. Ciononostante, non è possibile guardarla fissa in volto senza sentire la preoccupante pressione del suo sguardo. Intendiamoci: non ha altri dettagli che la facciano sembrare una psicopatica, ma quei suoi occhi... ogni qual volta che prende in braccio un bambino e dice “ti morderei tutto il giorno!”, per un attimo, un attimo minuscolo, penso ad una scena alla Hannibal Lecter. Una volta siamo stati in centro e fissando un vestito in una vetrina ha esclamato: ucciderei per averlo. Poi, ha voltato lo sguardo verso di me. In quel momento, ho immaginato che da un momento all’altro entrasse nel negozio, pistola alla mano, urlando alla commessa di dargli quel vestito. Devo ammettere che non penso questo di lei dal primo giorno che l’ho vista. Anzi, tra noi c’è stato qualcosa. Pochi giorni, nulla di così importante. Una cottarella da telefilm, un momento da riprendere e mandare su come ricordo d’infanzia. Eravamo poco più che adolescenti, mi confessò di avere una cotta per me. Per l’esattezza, mi disse: sono mesi che penso che tu sia bello da morire. Ecco, a distanza di anni, ripenso a quella frase con un effetto del tutto diverso. Se me lo dicesse oggi, le chiederei se a morire, nel caso, sarei io o lei. Lei riderebbe, probabilmente. E la cosa mi spaventerebbe ancor di più. Credo che la prima volta che ho pensato di Valentina qualcosa di così grave è stato quando ha detto di essere pazza di me. Ecco, sì, lì ho avuto la prima immagine nefasta. Ho immaginato lei che mi rincorre in auto suonando il clacson per tutta la città e sfrecciando a duecento all’ora e facendo slalom tra le macchine ferme ai semafori. Fu lì che le dissi, su due piedi, che le cose stavano andando troppo in fretta. Scoppiò in lacrime. I suoi occhi non furono più inquietanti. Divennero tristi. Gli occhi più tristi che abbia mai visto. Per anni, dopo quel momento, non ci siamo più parlati. Come biasimarla, le avevo spezzato il cuore e senza motivo. Adesso, però, siamo buoni amici. E ieri è venuta a farmi vedere il suo costume di Halloween. Non sapendo se quest’anno andrà ad una festa, voleva condividerlo almeno con me. Ha comprato una parrucca bionda, riccia, lunghissima e un vestito bianco, con i merletti e il pizzo, da dama del ‘700 - almeno credo, ma a me dava soltanto l’impressione di aver incarnato la bambola di porcellana che le ho sempre associato. Nonostante sia splendida in quel vestito e nonostante l’immagine di lei in quelle vesti provocherebbe pensieri poco casti nella maggior parte degli uomini, appena ho incrociato il suo sguardo mi sono pietrificato. La splendida Valentina, bambola immortale di tre secoli, era diventata la sposa di Chucky. Nulla avrebbe potuto farmi pensare altro. E capiamoci: lei lo sa, lo sa che penso queste cose. Gliele confesso, perché oltre ad avere un corpo mozzafiato ha il cuore più grande e l’animo più buono che abbia mai conosciuto. Però... pecca di presunzione. Continua a dirmi, ogni volta, che non ho mai superato il rimpianto di averla lasciata da ragazzini per paura d’impegnarmi. Anzi, non è solo presunzione. È pazza, se dice questo.
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Ho una passione per i fumetti… Tutti i fumetti!
Il mio amore per i libri e per i fumetti dura da sempre: i miei genitori mi leggevano un sacco di fiabe da bambina, così come i giornalini di Topolino e di Barbie. È così che ho imparato a riconoscere le lettere e a leggere con scioltezza a quattro anni e mezzo.
Posso dire di aver letto di tutto, ma è soprattutto con i fumetti che ho sperimentato di più: sono partita con Topolino, poi l’ho lasciato per i fotoromanzi di Barbie alla scuola materna e buona parte delle elementari. Perso l’interesse per Barbie, ho ripreso con Topolino per altri tre anni (complice l’abbonamento annuale) e le intramontabili W.I.T.C.H.
Alle medie abbandonai i fumetti, perchè volevo sentirmi grande e trovare nelle pagine dei giornaletti per ragazzine (tipo Top Girl o Cioè) la migliore amica che non avevo e con cui potevo confrontarmi per affrontare l’adolescenza. Di quelle riviste mi stancai però presto, perchè mi sembravano tutte uguali e, in un certo senso, insulse: come potevano aiutarmi i loro consigli sull’amore e sull’amicizia, quando ero terribilmente sola, e come potevano interessarmi i gossip sulle star che io manco seguivo? I valori e gli ideali che quei giornaletti veicolavano non coincidevano con i miei, così smisi di comprarli e sono l’unica cosa cartacea di cui mi sono sbarazzata di cui non sento la mancanza.
Vennero poi finalmente le superiori e lì cambiò tutto. Grazie ad una compagna di classe, riscoprii il piacere dei baloon con i manga giapponesi (se adesso qualcuno si azzarda a mandarmi un messaggio anonimo, dicendo che non c’era bisogno di specificare “giapponesi”, lo picchio: esistono molti fumetti in stile manga anche di artisti di altri Paesi, come la Cina, la Corea del Sud e anche l’Italia). In quei cinque anni ho svaligiato la fornitissima fumetteria della mia cittadina con opere di Ai Yazawa, le CLAMP, Masashi Kishimoto e qualunque altro titolo mi ispirasse.
Alla lunga però, quel tipo di disegno e le trame quasi sempre simili persero di attrattiva. Avevo bisogno di nuovi stimoli e di nuove storie, così provai il fumetto occidentale durante gli anni universitari, soprattutto quello americano: iniziai con qualche numero di Star Wars e di qualche supereroe della Marvel. Presi anche qualche numero di The Walking Dead, ma non scattò la scintilla con nessuno di questi: o non mi piaceva lo stile di disegno oppure non mi appassionava la trama. Menzione speciale va ad una serie di strisce che per tutto quel periodo mi ha accompagnato e mi ha fatto riflettere con la sua ironia sagace e al tempo stesso tagliente: i Peanuts, di cui ho postato moltissime gag in questo blog.
Fu proprio in questo momento di limbo che trovai il comic perfetto per me: Batman. Dopotutto, da bambina era il mio supereroe preferito e amavo il cartone animato. Se il mio amico di penna torinese non mi avesse convinto a prendere in mano The Killing Joke, forse non mi sarei più riavvicinata a Gotham… Complice anche la faida fra i fan delle due più grandi case di supereroi americane che andava tanto di moda anni fa: io ero schierata con la Marvel (e tuttora la preferisco per i concept dei personaggi), quindi non osavo ammettere che ci potesse essere qualcosa di interessante nel pantheon DC. Invece, mi dovetti ricredere: The Killing Joke fu uno schiaffo a tutte le mie convinzioni e mi trasportò in un mondo più cupo e ammaliante di quanto potessi immaginare. Ancora adesso seguo il Cavaliere Oscuro con la pubblicazione quindicinale (sono indietrissimo con la lettura, quindi nessuno mi chieda pareri sulle ultime vicende, perchè non le ho lette) e, quando posso, recupero le grandi storie del passato come Il ritorno del Cavaliere Oscuro e il Lungo Halloween. L’ultimo acquisto è Anno Uno e non vedo l’ora di ritagliarmi un po’ di tempo per immergermi nel suo splendore.
Ma la mia curiosità per il mondo dei fumetti non si è fermata qui! Durante il Servizio Civile ho scoperto Zerocalcare e il catalogo della Bao, con tutte le loro proposte nostrane e internazionali. Anche se conosco molti autori solo di nome, ho già inserito alcune loro opere nella mia infinita lista di roba da leggere, aspettando il momento migliore per recuperarle (cioè quando riuscirò a smaltire qualcosa da questa benedetta lista).
Quindi, perchè ho scritto tutto questo panegirico? Perché da qualche settimana ho ripreso a cercare qualcosa di nuovo da leggere… In realtà, non si tratta di scoperte, ma di un grande ritorno: Topolino! Ho ricominciato a seguirlo dopo un lungo periodo di valutazione: mi era tornata la curiosità di riprendere in mano le avventure dei beniamini della mia infanzia, ma qualcosa mi aveva sempre frenato dal farlo. Forse era la paura di restare delusa, come è successo con tanti miti di quando ero bambina. Poi un mesetto fa mi sono decisa a prenderne una copia e ho ritrovato un mondo che conosco bene e che è ancora così strabiliante, proprio come lo ricordavo! Anzi, forse adesso lo apprezzo anche di più, perchè riesco a vedere dietro la lettura più superficiale e giocosa: tutto il lavoro stilistico e grafico che c’è dietro, dalla scelta del vocabolario alla mimica dei personaggi. È un mondo spiritoso e avventuroso, leggero ma emozionante, spensierato e istruttivo/educativo al tempo stesso. È semplicemente perfetto. E tuffandomi nuovamente fra le pagine di questo settimanale, ho capito perchè sono appassionata di storie a fumetti e perchè non riesco a farne a meno.
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Dolcetto o Scherzetto aka la notte del citofono maledetto
Inzomma, ormai mi odierete tutty ma ecco qua, così, un po’ di sano quel-che-mi-è-quasi-successo-ieri e di metamoro. Au con ambientazione bolognese perché sì.
Enjoy
Come ogni anno, i giorni si ripetono, quasi tutti uguali. Lezioni, esami, Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi, ultimo dell’anno organizzato per l’appunto all'ultimo minuto, mare in estate, freddo bolognese in inverno e siamo tutti contenti insomma.
Questo significa che, una volta all’anno, si ripete però anche una delle notti che Ermal Meta più odia al mondo : la notte del 31 Ottobre.
Ah, Halloween.
La notte in cui le strade si riempiono di gente in costume troppo grande per fare stronzate del genere, mentre gli universitari si stipano in discoteche e bar e case a bere.
La notte dove orde di bambini con costumi ridicoli si muove in branco sorvegliata da pattuglie di genitori per suonare campanelli al grido di “dolcetto o scherzetto?” e dove, passeggiando per strada e incontrando i gruppi di adolescenti che si collocano a metà tra le due categorie di adulti e bambini e che quindi non hanno esattamente un passatempo predefinito, sorge spontanea la domanda:
“Ma questi dannati petardi non se li possono infilare nel-eh scusa ti ascolto!”
Ed eccolo lì: telefono appoggiato all’orecchio e sguardo torvo rivolto a un gruppo di suddetti adolescenti, Ermal si aggira per le strade umide della stramaledetta Bologna, cercando il loco designato per la festa.
Festa a cui non voleva andare ma a cui è obbligato a partecipare a causa della perdita di una scommessa con il suo coinquilino.
In costume, peraltro.
In costume, a una festa a cui non voleva andare, organizzata da un tipo che non conosce, per di più.
Buon Halloween, Ermal.
E la cosa migliore di tutte è che si è anche perso perché, in tutto questo, ha finito pure i giga a furia di usare il telefono causa modem rotto che nessuno si è ancora preso la briga di venire a sostituire nonostante le assillanti chiamate e mail.
Come se in quanto universitario a lui non servisse internet eh.
Perciò è da venti minuti al telefono con Marco che, da tutt’altra parte, sta cercando di guidarlo nella direzione giusta.
Ad Ermal stanno venendo i nervi
E parecchio anche.
Il fatto è che, come al solito, gli altri sono andati a sistemarsi per la festa tutti insieme e, come al solito, hanno finito ad essere in ritardo clamoroso.
L’unico più o meno in orario è lui che dopo aver passato un pomeriggio a studiare è tornato a casa, si è fatto la doccia e si è infilato il costume, costituito dal massimo che è stato disposto a mettersi: camicia bianca-ridicola a suo parere, con le maniche a sbuffo e i cordini, ma almeno è una camicia- pantaloni neri, scarpe scure e un mantello nero. La dentiera si è rifiutata di metterla.
“E per il pallore e le occhiaie sei già apposto di tuo!” aveva detto Francesco soddisfatto, guadagnandosi un’occhiataccia che avrebbe potuto ucciderlo e tumularlo seduta stante.
“Senti Dracula, svolta a destra e prova a vedere se c’è la via” si sente dire al telefono ed è sbuffando e rabbrividendo che svolta, sospirando di sollievo quando finalmente il cartello rispecchia la sua destinazione
“Sì, ci sono” afferma, iniziando a camminare “ora ce la faccio. Ci vediamo dopo. E muovetevi” dice, prima di chiudere la chiamata e proseguire a passo di marcia verso il numero 104
Quando ci arriva, si accorge con orrore di non sapere a che campanello suonare.
O meglio, dovrebbe saperlo, ma non se lo ricorda perché non stava prestando attenzione.
Ma, a dire il vero, i campanelli provvisori sono solo due e dato che gli pare di aver capito che gli altri sono tutti fuorisede come loro, è probabile che sia uno di quelli, no?
Li osserva, cercando di decidere cosa fare, fino a che non legge un nome che gli pare di ricordare e suona
Mal che vada, sbaglia
Niente
Nessuno risponde
Irritato, suona di nuovo ed ecco che mezzo minuto dopo una voce risponde “Siiii?” in maniera scazzata mentre una musica in sottofondo quasi copre le sue parole
Ok, musica uguale festa quindi forse ha azzeccato
“Emmmm...” balbetta piano “Sono Ermal?” dice titubante “Sono un amico di Francesco lui-sono qui per la festa” spiega infine
“Si.... cesco..... esta!” risponde la voce, in quello che pensa sia un assenso alle sue parole “certo...ali pure....to piano!”
“Aspetta non ho-” cerca di dire, ma prima che possa dire che non ha capito a che cazzo di piano deve andare il citofono si chiude e il portone scatta, lasciandolo al suo destino.
Sbuffa, infreddolito, spingendolo ed entrando
Di citofonare di nuovo non ne ha voglia e poi, in teoria, non sarà difficile trovare la festa, no?
To piano. Quindi... quarto, quinto o sesto, immagina. Beh, basterà provarli tutti e tre.
Così sale in ascensore e preme il pulsante per il quarto, lanciandosi un’occhiata allo specchio e sbuffando al suo riflesso che trova piuttosto ridicolo così, mentre sembra venuto fuori da un romanzo del milleduecento. Che palle.
Al quarto piano, trova il nulla.
Fortunatamente, quando le porte dell’ascensore si aprono al quinto, sente una musica provenire da li e, sbirciando, trova una porta aperta da cui proviene suddetta musica.
Bene, ecco qua.
Esce sul pianerottolo, titubante, avvicinandosi piano alla porta, non sapendo cosa fare, se entrare o bussare o cosa, ma per fortuna ecco che dopo pochi secondi di stallo in cui si sente un coglione, qualcuno compare sulla soglia
Tale qualcuno è un ragazzo, un poco più grande di lui, le braccia nude ricoperte di tatuaggi e un buffo cappello in testa, che lo guarda, inclinando appena il capo.
Si fissano, in silenzio, prima che lui si illumini con un sorriso enorme “Sei qui per la festa tu, sì?”
Ed Ermal sospira e annuisce, sentendosi appena in imbarazzo
“Si... sono... cioè... un mio amico...io... sono Ermal” si risolve a dire, dandosi dell’idiota perché ha balbettato, tendendo la mano al ragazzo che gli sorride ancora di più mentre gliela stringe e si fa da parte per farlo passare “Fabbbbrizio, entra entra” gli fa cenno, mentre dietro di lui, dalle scale, sbucano altre persone, che sorridono e salutano entrando subito nella casa al suo seguito, Fabrizio che a sua volta ricambia strette di mani e nuovi convenevoli
Ermal si guarda attorno, appena imbarazzato, prendendo il telefono per controllare se gli altri sono in cammino, ma trova solo un messaggio di Marco che lo avvisa che sono super in ritardo. Ecco qua.
“Vieni accomodati” gli dice Fabrizio e lui, appena in imbarazzo, lo segue: guardandosi attorno si rende conto che alla festa sono quasi tutti più grandi di lui, ma non è un problema questo. Solo... non conosce nessuno
La musica suona mentre Fabrizio lo conduce in una stanza, dove sono ammucchiati zaini e cappotti vari
“Lascia pure la giacca qua” gli dice, sorridendo “il padrone di casa si sta a fa’ la doccia, però poi arriva” gli spiega poi mentre Ermal annuisce, posando la giacca
Non ha cuore di dirgli che lui, il padrone di casa, manco lo conosce
Quando ha finito segue Fabrizio in un’altra stanza, dove c’è molta più gente e un tavolo ricolmo di cibo e bevande.
“Serviti pure” raccomanda Fabrizio prima di sparire, rincorrendo un amico che lo richiama con un gesto, senza lasciare la possibilità di chiedere qualcosa
Ed eccolo la, fermo come un coglione in una stanza piena di gente sconosciuta.
Beh, tanto vale aspettare gli altri seduto su una sedia.
Ne adocchia una libera in fondo alla stanza, e ci si dirige.
Qualcuno gli fa un cenno di saluto mentre passa, qualcuno lo ignora.
Comunque, va a schiantarsi sulla sedia e guarda ancora il cellulare, senza trovarvi nulla se non la batteria quasi scarica.
Sospira, preparandosi a una lunga, lunghissima attesa
E infatti, mezz’ora dopo è ancora la, seduto sulla sedia, senza nessuno che gli parli, senza nessuno che conosce
Guarda nervosamente il telefono, con il “Prima o poi arriviamo” di Marco che risale a un quarto d’ora prima e sospira, massaggiandosi piano la base del naso
“Nun te stai a divertì molto eh?”
Alza gli occhi a quella frase, ritrovandosi davanti il ragazzo di prima, Fabrizio, che lo osserva con una birra in mano, che gli tende
“No” ammette piano “Non molto” dice sconsolato, guardandolo sedersi accanto a lui mentre recupera la birra con un “grazie” leggero
“’O vedo” risponde l’altro “non ti sei mosso da qua da quando sei arrivato... com’è che non conosci nessuno?” gli domanda cosa a cui Ermal risponde con uno sbuffo
“I miei amici devono ancora arrivare” spiega, alzando gli occhi al cielo “Sono sempre in ritardo” spiega poi, irritato, mentre la risata di Fabrizio si fa appena sentire, leggera, a quelle parole
“Un classico” dice, prima di voltarsi, per guardarlo meglio “Che dovresti essere tu?” domanda poi, indicando il suo costume
“Dracula, in teoria” replica Ermal, grattandosi appena il collo, che prude per colpa di quella camicia mentre Fabrizio lo guarda annuendo
“Il vampiro. Giusto?” chiede ed Ermal annuisce anche se è un po’ perplesso che ci sia stato bisogno di precisarlo
“E tu?” chiede poi, confuso dal suo abbigliamento: ha addosso un paio di jeans scuri e una maglia con le maniche tagliate, in vita una camicia a scacchi neri e rossi, e quello stupido cappello ancora in testa a nascondere dei ciuffi scuri. Anche sforzandosi, non riesce a capire cosa sia
A parte un gran fregno
“Io so me stesso” ride l’altro, bevendo un sorso di birra “Nun me piace molto Halloween” spiega poi mentre Ermal annuisce entusiasta
“Nemmeno a me” conferma “Mi sono dovuto vestire perché ho perso una scommessa ma sto odiando ogni minuto, credimi” dice, prima di prendere un sorso di birra a sua volta, socchiudendo gli occhi
Almeno ha da bere, ora
Voleva aspettare almeno gli altri ma... a questo punto, tanto vale. Meglio l’alcol che la solitudine.
Mentre beve, si sente lo sguardo di Fabrizio addosso per cui si rivolta per osservarlo meglio, sorridendo
“Che c’è?” chiede, allungando appena una gamba davanti a se con noncuranza, stiracchiandosi
Lo osserva, mordendosi piano il labbro, cercando di valutare le proprie opzioni
Ok forse è decisamente troppo sobrio per iniziare a flirtare pesantemente ma Fabrizio è un bel ragazzo e quantomeno gli sta parlando quindi può tastare un po’ il terreno, no?
Beh, sì.
Mal che vada... chissenefrega
E poi o è parlare con lui o è morire di noia quindi tanto vale tentarla
Anche perché, pensa, Fabrizio non gli avrà offerto una birra per pura e semplice gentilezza giusto?
“Niente” replica l’altro, scrollando le spalle e leccandosi piano le labbra “Allora...tu non sei di qui vero?” gli chiede
E così, Ermal si volta del tutto e inizia a parlare con lui, avendo cura, ogni tanto, di rivolgergli qualche piccolo gesto: leccarsi le labbra, scostarsi piano i ricci, inclinare appena il capo, sorridere.
E Fabrizio, c’è da dirlo, gli da corda.
Parla con lui, sporgendosi appena per ascoltarlo meglio, sorridendogli, il viso che pur nella penombra della stanza si rivela bello, con quella barba appena accennata e le lentiggini
Parlano di tutto: da dove vengono, cosa fanno, cosa gli piace. Di musica, di cinema, di studi e lavori.
Tanto che Ermal, a dire il vero, si dimentica anche che devono arrivare i suoi amici
Il tempo scorre e la birra scende mentre le aspettative di una serata piacevole si alzano sempre di più ed è solo quando si alza per andare in bagno che si accorge che è passata più di un’ora da quando ha guardato il telefono
Perplesso, si guarda attorno.
Nessuno: di Marco o Francesco o qualcuno degli altri non c’è assolutamente traccia.
Corruga la fronte in una ruga di preoccupazione, dirigendosi verso il bagno e tirando fuori il telefono che trova spento.
Sbuffa, irritato: non si dovrebbe preoccupare troppo, eh, ma l’essere ancora solo e la batteria scarica gli hanno rovinato un po’ l’umore che la birra e Fabrizio gli avevano tirato su.
E’ brillo, si, ma non abbastanza da non capire che c’è qualcosa che non va in quasi due ore di ritardo
Perciò, quando torna indietro, si avvicina a Fabrizio e chiede “senti non è che hai una presa?” sventolando il telefono scarico
“Si, vieni” annuisce l’altro, alzandosi, accompagnandolo nella stanza di prima e facendogli un cenno verso il muro
“Grazie” sospira Ermal, attaccando il telefono, chinandosi per farlo “I miei amici non sono ancora arrivati e io-” inizia a dire, interrompendosi però quando si volta
Fabrizio è appoggiato allo stipite della porta ora chiusa, e lo guarda, il viso appena arrossato per l’alcol e un sorriso sottile sulle labbra
Inclina appena il capo Ermal, arrossendo appena di fronte a quello sguardo che non sembra solo vederlo, ma studiarlo e quasi... spogliarlo.
Non che se ne stupisca troppo: è dall’inizio della loro conversazione che stanno giocando a quel gioco e evidentemente ha fatto centro perché se ora sono lì e si osservano in quel modo vuol dire che sono ambedue sulla stessa lunghezza d’onda.
Deglutisce, le dita ancora premute ad accendere il telefono, ma lo sguardo rivolto solo a lui, che lo osserva, indeciso su cosa fare apparentemente
Perciò, si morde piano il labbro, guardandolo intensamente come a dire, vieni avanti dai
Non che non sia più preoccupato ma l’alcol e il modo di Fabrizio di guardarlo gli fanno mettere da parte momentaneamente l’urgenza
Per un paio di minuti... non succede nulla, giusto?
Fabrizio si tira su, iniziando a camminare e posando la birra che ha ancora in mano su una scrivania, mettendosi poi le mani in tasca
“Toglimi una curiosità” dice Fabrizio, avvicinandosi a lui lentamente “Com’è che funzionava con i vampiri? Ti devono mordere per trasformati, giusto?” chiede, cosa che spinge Ermal ad annuire, un ghigno che gli si dipinge piano in faccia a quella domanda
“Perché” chiede piano, leccandosi le labbra quasi senza accorgersene “Hai paura che ti morda?” scherza, guardando Fabrizio farsi sempre più vicino, arretrando più per istinto che per altro
“Mh” risponde solo l’altro, arrivando a mezzo passo da lui, i loro respiri che si mischiano nell’aria immobile e fresca della stanza “Ma che succede se invece un vampiro ti bacia?” chiede, cosa che fa aumentare il ghigno sul viso di Ermal, che si inclina appena mentre si sporge delicatamente verso di lui
“Non saprei” dice, ponderando la cosa come se fosse una domanda seria prima di dire “vuoi scoprirlo?”
Fabrizio ride piano a quella cosa, annuendo appena “scopriamolo” dice, ma non fa in tempo a finire di dirlo perché Ermal decide di sporgersi verso di lui
Con tutta la razionalità del mondo eh, non perché Fabrizio è un fregno paura no no
I loro nasi si sfiorano, piano, e poi le loro bocche si incontrano, in maniera dolce, leggera, delicata
Un bacio che sembra quasi fin troppo giusto, naturale, cosa che porta Ermal a sospirare sulla sua bocca, un sorriso che gli si allarga sulle labbra che fa per schiudere per approfondire quel bacio che già non è più abbastanza...
...se non fosse che il telefono che ha in mano inizia a suonare, facendolo sobbalzare dalle spavento ed è a tanto così *gesto delle dita che si toccano* dal lasciarlo cadere di prepotenza
Guarda lo schermo, notando il nome di Marco - ovvio che era lui dato che la suoneria è quella di una sirena di emergenza - e subito guarda Fabrizio con aria di scuse
“Un secondo” gli chiede, facendo cenno di alzare il dito mentre l’altro annuisce
“Sì?” risponde, sussultando di nuovo quando la voce di Marco gli urla nell’orecchio “ERMAL BRUTTA TESTA DI CAZZO MI HAI FATTO PRENDERE UN COLPO”
Sbatte le palpebre, perplesso da quel commento “Scusa, mi si era spento il telefono... ma tanto non siete ancora arrivati, no? Siete voi che avete fatto prendere un colpo a me” ribatte
“Non ancora arrivati? Ma se è mezz’ora che siamo qui e ti cerchiamo! Pensavamo fossi svenuto da qualche parte” ringhia l’altro, cosa che fa inarcare le sopracciglia ad Ermal dallo sdegno e dallo stupore
“Mezz’ora? Ma non dire cazzate! Ho fatto un giro nelle stanze due minuti fa e nessuno di voi c’era!” replica stizzito dall’essere anche preso in giro oltre che interrotto nel corso di un bacio
“Ma che stai dicendo!” sbotta Marco “Ma si può sapere dove cazzo sei?!”
“ALLA FESTA!” sbotta a sua volta, scoccando uno sguardo a Fabrizio che si è messo una mano sulla bocca come a nascondere una risata alla sua esasperazione “In questo stracazzo di vicolo, al numero 104, alla stracazzo di festa di Halloween allo stramaledettissimo quinto piano!” ulula contro al telefono
Sclero a cui segue un minuto di silenzio, pieno, denso, che nemmeno lui osa rompere sentendo che qualcosa di imprevedibile e terribilmente divertente nel suo orrore deve essere accaduta
“Al sesto” dice solo Marco, piano, tanto piano che quasi non lo sente “La festa è al sesto piano”
“Sesto? Ma allora io a che cazzo di festa-” dice prima di interrompersi
Rimane immobile, congelato quasi sul posto, Fabrizio che lo guarda come in cerca di una spiegazione ed è così che mormora “Scusa un secondo” a Marco prima di tirare giù il telefono dall’orecchio per guardarlo “Questo è il quinto piano, vero?” chiede, guardandolo poi annuire “Ok. E la festa è di...?”
“...Roberto?” chiede piano Fabrizio, confuso dal fatto che il ragazzo davanti a lui abbia prima peso poi perso colore e che ora stia tornando di una sfumatura tendente al viola mentre un attacco improvviso di risa lo scuote
“Ho sbagliato piano” ride, nella cornetta, non riuscendo a trattenersi per quanto assurdo sembri “Macco ho sbagliato piano. Sono alla festa sotto di... Roberto, apparentemente” dice, scuotendo la testa, imbarazzato ma anche troppo incredulo per trattenersi
E anche Fabrizio, accanto a lui, ride
Ride forte, lasciandosi andare su una sedia, cosa che lo fa ridere ancora di più a sua volta
“SEI UN COGLIONE MA COME CAZZO PUOI SBAGLIARE PIANO” sbraita Marco dall’altro lato, anche se Ermal può sentire che, in fondo, sta ridendo anche lui “Ci hai fatto morire di paura” spiega prima di dire “Ci raggiungi? Aspetta, ma sei con qualcuno?”
“Succede, se il citofono fa schifo e non si sente nulla” replica prima di guardare Fabrizio alla domanda “Si” dice, scuotendo poi la testa “No. Cioè... si, c’è. E sai cosa? Credo proprio che rimarrò qui” replica, spegnendo pian piano la risata per guardare Fabrizio con malizia “Ci vediamo a casa Macco” dice, chiudendo poi il telefono che abbandona a terra, avvicinandosi di nuovo a Fabrizio che, rosso in viso, è ancora scosso da brevi sprazzi di risata
“E così” gli dice, guardandolo mentre si avvicina “Hai sbagliato piano”
“Già” replica, sorridendo mentre si sistema piano su di lui, inclinando appena il capo “Solo mi chiedo... com’è che c’era la porta aperta?”
Fabrizio scuote la testa a quella domanda, posandogli piano una mano sul fianco e l’altra sulla schiena, andando poi ad affondarla tra i ricci “I ragazzi che sono sbucati dopo di te. Loro hanno suonato. Probabilmente mentre tu salivi loro so arrivati ed è successo” cerca di spiegare, mentre Ermal annuisce
Probabile, sì
“Beh” dice, leccandosi piano le labbra “in fondo, meglio così” sussurra, avvicinandosi piano a lui, un brivido leggero che lo percorre quando sente il suo respiro caldo sul viso “Dove eravamo?” domanda, poi, avvicinandosi appena a lui
“Al cosa succede se baci un vampiro” replica Fabrizio, sorridendogli, guardandolo, per nulla contrario alla svolta degli eventi
“Mh giusto” replica Ermal, sfregando appena il naso contro al suo “Però sappi che questo vampiro potrebbe anche decidere di morderti, prima o poi” lo prende appena in giro, sorridendo quando lo sente ridere appena, una risata bassa e roca che lascia sul suo collo che lui inclina appena indietro per lasciargli spazio
“E se volessi morderti io?” chiede poi, posando piano le labbra sulla sua pelle pallida e accaldata “Cosa succede, mh? Che succede se mordi un vampiro?” domanda
Ermal sospira, rabbrividendo appena mentre socchiude gli occhi, le labbra schiuse in un sorriso e lo sguardo che, rivolto al soffitto, pensa a cosa si sarebbe perso se avesse imbroccato il piano giusto
“Non saprei. Scopriamolo”
Ed ecco va beh è una cazzata ma insomma si abbiamo pensato per un buon periodo di tempo di aver sbagliato piano solo che io e i miei amici eravamo infine alla festa giusta xD
Spero ve lo siate goduto!
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"L'Epifania tutte le feste porta via"
È un detto popolare che senz'altro avrete sentito.
Ma vi siete mai chiesti:
Di che feste si tratta?
Chi è la vecchia con la scopa?
Innanzitutto scopriamo cosa significa il termine
Epifania o Befana.
L'etimologia della parola befana è da ricondursi al greco epifáneia che vuol dire "mostrarsi, presentarsi"
La befana, è un personaggio di fantasia legato al folklore popolare, derivato da antichi riti pagani propiziatori legati all'agricoltura ed ai cicli stagionali.
Come abbiamo avuto modo di vedere per le altre tradizioni tipo il Natale e Capodanno, molte festività hanno un'origine rurale affondando le loro radici nel passato agricolo. Così è anche per la Befana o Epifania.
La sua origine discende da tradizioni magiche precristiane, mischiandosi poi con elementi folcloristici e religiosi.
Gli antichi Romani per esempio, pensavano che la Befana fosse Diana, dea legata alla vegetazione.
Anticamente, infatti, la dodicesima notte dopo il Natale, ossia dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso la figura pagana di Madre Natura.
La notte del 6 gennaio, Madre Natura, stanca per aver donato tutte le sue energie durante l'anno, appariva sotto forma di una vecchia e benevola strega, che volava per i cieli con una scopa.
Oramai secca,essa era pronta ad essere bruciata per far sì che potesse rinascere dalle ceneri alla luna nuova.
Ci dovremmo anche chiedere:
cosa c’entra la festa dell’Epifania, ed altri riti e tradizioni pagani e spiritici, con la religione?
Quale dovrebbe essere l'atteggiamento dei veri cristiani?
Come in altre situazioni (pensiamo ad Halloween) assistiamo a fenomeni di “sincretismo”* e di fusione tra festività cosiddette "cristiane" e riti e tradizioni di origine molto più antiche, talmente radicate nella cultura popolare da rimanere nei secoli.
Questo significa che non c'è nulla di male nell'osservare queste ricorrenze?
Come possiamo scoprirlo?
Senz'altro ognuno è libero di fare come vuole, ma rimane pur sempre responsabile di se stesso davanti a Dio, che amorevolmente,non ci tiene nell'ignoranza.
Nella sua Parola scritta infatti, abbiamo ogni indicazione utile in modo da poter fare scelte consapevoli dettate dalla fede e dal sano timore nei suoi confronti.
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𝐓𝐇𝐄𝐎 & 𝐉𝐀𝐒𝐌𝐈𝐍𝐄
﹙Mini Role﹚⋆ Circle Eight
#𝐫𝐚𝐯𝐞𝐧𝐟𝐢𝐫𝐞𝐫𝐩𝐠
« Allora, quando poserai per me? Vestita, s’intende. »
Sa bene di dover tenere a riposo il braccio e la mano, ma ormai scalpita per riprendere a disegnare. Non sopporta più la vista di tutti i progetti non finiti che occupano il suo studio da quasi due mesi, vuole terminare ciò che ha cominciato e dare vita a nuove idee che gli frullano nella testa ormai da un po’, tra cui un dipinto di Jasmine. Approfittando della serata libera ha deciso di invitarla per una birra al Circle Eight, così da passare qualche ora in sua compagnia e, con un po’ di fortuna, convincerla ad un supplizio come quello di restare immobile in una posa scomoda mentre lui la disegna.
« Giuro che non ti farò tenere in mano un frutto o altre cose strane, promesso. »
Jasmine Persephone A. Harrison
Capelli neri come la notte incorniciavano il volto della dea che ora sembrava nascondere un sorriso sulle labbra carnose. Divertita era l'espressione che aleggiava su una persona che, nonostante la situazione, viveva per quelle attenzioni che il giovane le stava riservando. Aveva accettato immediatamente l'invito dell'amico, non per chissà quale secondo fine, ma solamente con il desiderio di trascorrere una serata all'insegna di quella quiete che ormai andava ricercando. « Ancora non hai finito il disegno? Pensavo che mi sognassi perfino la notte, Hèbert. » Con fare estremamente femminile, Jasmine gli strizzò l'occhiolino approfittando del momento per bere un sorso del liquido ambrato che scaldava più di quanto non volesse ammettere. « Immaginavo una proposta indecente, e invece... Andiamo, non dirmi che hai bisogno ancora di me. Potrei accettare, e dico potrei, solamente se posso decidere che cosa indossare. Non mi alletta il fatto di dover rimanere ferma chissà quante ore... Ah, condizione necessaria affinché accetti è terminarlo per davvero questa volta. »
Theodor Hèbert
« Lo dici come se fosse una mia abitudine quella di accantonare i disegni, non potevo muovere il braccio! Come lo finivo, con i piedi? Mi mettevo la matita nel naso? » Così dicendo porta la cannuccia del suo drink all’altezza del naso e comincia a muovere il capo fingendo di disegnare arabeschi invisibili, incurante degli sguardi che può attirare su di sé. È vero che ha lasciato molti progetti inconclusi e in effetti alcuni non ha più intenzione di riprenderli; preferisce lavorare su nuove idee, almeno per ora, ma questo non significa che sia solito abbandonare le tele iniziate. Uno sbuffo dal naso segue le parole della bruna, specialmente per quella “proposta indecente” che Theo non sarebbe mai in grado di fare, benché il fascino dell’amica sia innegabile. « Solo nei miei incubi, Jas. » Strofina il volto mentre ragiona se accettare o meno quella clausola. Ha già ritratto modelli con abiti moderni, specialmente per lavori su commissione, e non si sente in grado di intraprendere progetti importanti dato che la mano sembra ancora dargli problemi. Non può fare lo schizzinoso, specialmente con dei modelli che nemmeno paga. « Va bene, porta allo studio almeno tre o quattro vestiti che pensi possano andare e ne sceglierò uno. »
Jasmine Persephone A. Harrison
Stuzzicare ecco cosa piaceva realmente alla veggente, vedere nel prossimo la reazione che scatenavano le di lei parole era un qualcosa di irresistibile per lei, e la reazione di Theo non tardò ad arrivare. Ella si ritrovò così a ridacchiare, un ghigno sardonico che impreziosiva il sorriso della venere nera che ora osservava con interesse le movenze dell'amico. « Ehi, potrebbe essere un'idea... » Commentò ridacchiando prima di prendere un sorso del proprio drink. Era una serata come tutte le altre, e l'intenzione era quella solamente di rilassarsi. Certo, chiunque altro avrebbe scelto un locale più tranquillo, ma Jasmine sapeva apprezzare quel locale dedicato solamente agli esseri sovrannaturali. Sapeva di poter essere se stessa, di non dover nascondere la propria natura, ma soprattutto sentiva di non doversi nascondere. « Oh, è dannatamente divertente stuzzicarti, lo sai? E comunque sarebbero incubi bellissimi. E vada per i vestiti, non ti deluderanno. Ma a parte questo, come stai? Il braccio? »
Theodor Hèbert
« Sì, ho intuito che la cosa ti diverte parecchio... » Non è per nulla offeso dai modi di Jas e quella sua naturale propensione che ha di giocare con lui come un gatto gioca con un topo; sa che non c’è alcuna cattiveria dietro, sono solo scherzi innocenti fra due amici di vecchia data. Prende tempo concedendosi un lungo sorso del suo drink fino ad arrivare al fondo del bicchiere, che aspira rumorosamente con la cannuccia senza troppo curarsi del galateo. Non sa bene come rispondere alla veggente senza mentirle spudoratamente, non vuole ammettere di essere ancora lontano dalla guarigione completa ma nemmeno sembrare uno a cui sta per staccarsi il braccio dalla spalla... certo avrebbe profondamente gradito se la folla non avesse deciso di passarci sopra, torcendolo e fratturandolo. Una cosa è sicura, ricorderà quell’ultima festa di halloween per sempre. « Sto meglio, seguo la fisioterapia due volte a settimana ma la dottoressa ha detto che presto potremo ridurre le sedute. Faccio gli esercizi a casa, mi comporto abbastanza bene... ma ho ripreso a dipingere. Solo dipingere, non ho ancora preso lo scalpello in mano, sto cercando di fare il bravo. » Inutile dedicarsi alla scultura quando perfino un pennello sembra pesare troppo nelle giornate no, tanto da far tremare la mano e rendendo impossibile qualsiasi tratto. Non lo dice, Theo, ma è terrorizzato all’idea di non riuscire a recuperare la precisione di un tempo... sarebbe la fine di un sogno e molto di più. « Tu piuttosto, che racconti? Cosa si dice nel mondo di Jasmine? »
Jasmine Persephone A. Harrison
Un sorriso più simile ad un ghigno divertito piegò le labbra della venere nera che ora osservava l'amico bere il suo cocktail. Sapeva che Theodor non se la sarebbe presa per quello stuzzicarsi che ormai era diventato all'ordine del giorno, ma sapeva anche quando era il momento di fermarsi. Mai in alcun caso la veggente avrebbe voluto mettere a disagio l'amico, e mai si sarebbe spinta a tanto. Le conseguenze della festa di Halloween erano ancora ben visibili in molti dei suoi amici, e solamente per una fortuna del caso lei stessa non era rimasta coinvolta in quello che era stato definito un semplice incidente. Osservò con più attenzione l'Hèbert prima di inclinare il capo, assumendo quella posa che usava quando aveva necessità di comprendere appieno ciò che le stava di fronte. « E questa è la versione ufficiale o ufficiosa? Devi semplicemente darti del tempo... Un passo alla volta. Dipingere è già un buon passo, no? » Sapeva quando la scultura fosse importante per Theodor, ma la veggente era anche convinta che tutto avesse bisogno del proprio tempo. Solamente dopo qualche istante, Jasmine prese un sorso del proprio drink e socchiuse gli occhi cercando il punto da cui cominciare. « Il mondo di Jasmine, eh? Potrebbe essere un'idea per il titolo di un libro... Io, le mie avventure, e la straordinaria sensazione che qualcosa di brutto debba capitare da un momento all'altro... Ma a parte questo mi divido tra le lezioni e gli allenamenti. »
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